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Titolo originale: The Pirates! In An Adventure With Scientists © 2004 Gideon Defoe Mappe © 2004 David Senior Traduzione di Serena Vischi Prima edizione in questa collana: marzo 2012 © 2005 Newton & Compton editori s.r.l. © 2012 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214 ISBN 978-88-541-3624-3 www.newtoncompton.com Realizzazione a cura di Pachi Guarini per Studio Ti s.r.l., Roma Stampato nel marzo 2012 presso Puntoweb s.r.l., Ariccia (Roma) su carta prodotta con cellulose senza cloro gas provenienti da foreste controllate e certificate, nel rispetto delle normative ecologiche vigenti 4

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Titolo originale: The Pirates! In An Adventure With Scientists© 2004 Gideon Defoe

Mappe © 2004 David Senior

Traduzione di Serena VischiPrima edizione in questa collana: marzo 2012

© 2005 Newton & Compton editori s.r.l.© 2012 Newton Compton editori s.r.l.

Roma, Casella postale 6214

ISBN 978-88-541-3624-3

www.newtoncompton.com

Realizzazione a cura di Pachi Guarini per Studio Ti s.r.l., RomaStampato nel marzo 2012 presso Puntoweb s.r.l., Ariccia (Roma)

su carta prodotta con cellulose senza cloro gas provenienti da forestecontrollate e certificate, nel rispetto delle normative ecologiche vigenti

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Gideon Defoe

Pirati!

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A Sophie,che ha un quarto di milione di sterline

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Pirati!

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Uno

Azione sotto la bandiera pirata!

«La parte migliore dell’essere pirati», disse il pi-rata con la gotta, «è il saccheggio».

«Stupidaggini!», disse il pirata albino. «Sono i do-bloni. I dobloni sono di gran lunga la parte miglioredell’essere pirati».

Il resto dei pirati si crogiolava al sole sul ponte del-la nave pirata, ma si aggregò presto alla discussione.Erano già passate diverse settimane dall’Avventura deiPirati con i Cowboy e avevano parecchio tempo libe-ro a disposizione.

«È il grog dei pirati!».«Abbandonare le persone in un luogo deserto!

Ecco cos’è che preferisco!».«Le sciabole!».

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«Il mar delle Antille!».«I biscotti del marinaio!».Uno dei pirati fece una strana smorfia per mostrare

esattamente ciò che pensava di quest’ultimo com-mento, e presto vennero tutti alle mani. Con un suo-no simile a quello di un bastone che colpisce un co-comero, un pugno pirata incontrò un mento pirata eun dente d’oro rimbalzò per il ponte. Il pirata con lagotta si ritrovò a correre in giro in un modo spaven-toso, e uno dei mozzi si beccò in testa per sbaglio unlucido uncino pirata. Probabilmente le cose sarebbe-ro andate avanti così per ore, ma le pesanti porte dilegno che portavano sotto coperta si spalancaronocon violenza e Capitan Pirata in persona uscì sulponte a grandi passi.

Capitan Pirata aveva un profilo imponente. Se ave-ste dovuto accostarlo a un tipo di albero – e decidereche albero sarebbero stati se fossero stati alberi inveceche pirati era di gran lunga uno dei passatempi prefe-riti della ciurma – sarebbe stato senza dubbio unaquercia, o forse un ippocastano. Era tutto denti e ric-cioli, ma con un volto simpatico e franco; il suo sopra-bito era di fattura migliore rispetto a quelli di chiun-que altro e la sua barba era fantastica e lucida, con lepunte intrecciate a nastri dall’aria costosa. La vita in

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mare tende a lasciare i capelli ispidi e arruffati, maCapitan Pirata in qualche modo riusciva a mantenerela barba morbida e in buone condizioni, e anche senessuno conosceva il suo segreto, lo rispettavano tuttiper questo. Lo rispettavano anche perché si dicevache fosse sposato con il mare. Molti pirati dicevano diessere sposati con il mare, ma di solito era una scusaperché non erano riusciti a trovarsi una fidanzata op-pure perché erano pirati gay, ma nel caso di CapitanPirata nessuno della sua ciurma dubitava nemmenoper un minuto che non fosse davvero sposato con ilmare. Ognuno dei suoi uomini si sarebbe preso volen-tieri una pallottola per lui, o persino la punta affilata diuna sciabola. Capitan Pirata non dovette far altro cheschiarirsi la gola e far ruotare un po’ gli occhi per por-re completamente fine alla zuffa fra i suoi ranghi.

«Che sta succedendo, miserabili canaglie!», rombò. Ipirati erano spesso bruschi l’uno con l’altro, ma senzavolerlo essere sul serio, quindi nessuno di quei piratiattaccabrighe se la prese troppo per essere stato chia-mato “miserabile canaglia”.

«Stavamo solo discutendo su quale fosse la partemigliore dell’essere pirati», rispose il pirata vestito diverde dopo una pausa piuttosto imbarazzata.

«La parte migliore dell’essere pirata?»

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«Sissignore. Non riusciamo a deciderci. Cioè, è tut-to bello ma…».

«La parte migliore dell’essere pirati sono i cantimarinareschi».

E avendo sistemato la disputa, rientrò a grandi pas-si nella cambusa facendo segno al pirata con la sciar-pa di seguirlo. Il resto della ciurma fu abbandonato ase stesso.

«Ha ragione lui. Sono i canti marinareschi», dissepensieroso il pirata albino. Uno degli altri pirati annuì.

«Sono davvero belli. Intoniamo un canto pirata?».

Capitan Pirata fu segretamente sollevato quandoudì le strofe di un chiassoso canto provenire dal tettodella cambusa. Negli ultimi tempi lo preoccupava ladisciplina a bordo della nave, e c’era anche un vec-chio motto pirata: “Se i pirati cantano non ne stannocombinando qualcuna delle loro”1.

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1 La parola inglese per canto marinaresco è shanty, e deriva dalfrancese chanter, “cantare”. La maggior parte delle canzoni piratatrattano di vivaci sirene cui piaceva far impazzire soprattutto i pirati.

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«Vieni un momento nel mio ufficio», disse al piratacon la sciarpa, il suo fidato secondo in comando.L’ufficio di Capitan Pirata era pieno di ricordi delleprecedenti avventure. C’era un cappello grande co-me una damigiana che risaliva all’Avventura deiPirati con i Cowboy, e alcuni vecchi brandelli di ten-tacolo dell’Avventura dei Pirati con un Calamaro gi-gante, ma anche alcuni post-it che ricordavano aCapitan Pirata di dire cose come: «Impiombate ilponte principale!», o «Virate tutta di bordo, ragaz-zi!». Alle pareti erano appesi alcuni fantastici ritrattidi Capitan Pirata – uno lo ritraeva con un’aria addo-lorata mentre cullava un cigno morto: quel quadroera intitolato Perché?. Un altro mostrava CapitanPirata disteso nudo, salvo che per un piccolo scam-polo di mussolina. Un terzo quadro rappresentavaCapitan Pirata mentre condivideva un drink dall’a-spetto futuristico con una donna che sembrava fattadi metallo. C’erano anche parecchie mappe e cartenautiche sparse in giro, e persino un astrolabio.Capitan Pirata non era sicuro al cento per cento diquale fosse l’utilità di un astrolabio, e non sapevanemmeno se quello era un vero e proprio astrolabioo un sestante, ma gli piaceva lo stesso giocherellarciquando si annoiava. Proprio in quel momento la noia

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era un problema che dava molto da pensare a Capi-tan Pirata.

«Gradisci del grog?», domandò cortese. Il piratacon la sciarpa non aveva molta sete, ma disse di sì lostesso, perché quando sei un pirata cominciare a ri-fiutare del grog non contribuisce un granché alla tuareputazione.

«Biscotti del marinaio? Ne ho di marinari alla cre-ma pasticcera e di marinari al bourbon», disseCapitan Pirata. Tirò fuori una scatola di latta con unabarca disegnata sopra e il pirata con la sciarpa preseun biscotto al bourbon, perché sapeva che quelli allacrema pasticcera erano i preferiti di Capitan Pirata.

«Per cosa pensi che fosse tutto quello schiamazza-re, numero due?», domandò Capitan Pirata, che os-servava distrattamente quanto riusciva a far ruotareveloce l’astrolabio usando solo un dito.

«Come dicevano gli uomini… era solo una discus-sione amichevole sfuggita un po’ di mano», rispose ilpirata con la sciarpa, non proprio certo di dove voles-se arrivare Capitan Pirata con quel discorso, ma sor-preso come sempre che potesse portare avanti unaconversazione mentre faceva complessi calcoli con l’a-strolabio. È per cose come questa che Capitan Pirataera Capitan Pirata, rifletté il pirata con la sciarpa.

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«Ti dirò io di cosa si trattava», disse Capitan Pirata.«Si trattava di pirati annoiati! Ho commesso un erro-re. Siamo rimasti ormeggiati qui nelle… nelle…».Capitan Pirata si strofinò il naso, che gli piaceva pen-sare fosse un naso stentoreo – anche se in realtà puòessere stentoreo un tono di voce – e lanciò un’oc-chiata furtiva a una delle mappe.

«Le Indie Occidentali, signore», disse il pirata conla sciarpa venendogli in aiuto.

«Mmmm. Be’, siamo stati qui troppo a lungo.Pensavo che dopo la nostra eccitante avventura conquei cowboy avremmo avuto tutti bisogno di unapausa, ma suppongo che noi pirati siamo davvero fe-lici solo quando compiamo imprese piratesche».

«Credo che abbiate ragione, signore», disse il pira-ta con la sciarpa. «È abbastanza bello qui, ma conti-nuo a trovare la sabbia nel mio grog, con tutto que-sto picchiarsi a destra e a manca sulla spiaggia. Equeste donne indigene che se ne vanno in giro senzail pezzo di sopra… è un po’ troppo».

«Esattamente. È tempo di un’altra avventura pirata!».«Lo farò sapere agli altri pirati. Dove ci dirigere-

mo? All’Isola del Teschio? Verso il mar delleAntille?»

«Oh, Dio, no! Se deprediamo di nuovo il mar del-

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le Antille2 credo che mi strapperò tutta la barba»,disse Capitan Pirata, indossando il cappello grandecome una damigiana e stringendo gli occhi come uncowboy mentre studiava la sua immagine allo spec-chio.

«Allora cosa pensavate?»«Qualcosa mi verrà in mente. Di solito è così.

Assicurati solo che a bordo ci siano prosciutti in ab-bondanza. La nostra ultima avventura in realtà nonmi è piaciuta granché, perché abbiamo esaurito iprosciutti a metà strada. E qual è il mio motto?“Amo il prosciutto!”».

«È un buon motto, signore».

Intanto sul ponte gli altri pirati avevano terminato illoro canto – un canto su una bella ninfa marina cheaveva lasciato il suo fidanzato della Marina Inglese

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2 Francis Drake è stato il primo ad aver reso il mar delle Antilleun obiettivo popolare dal 1571. Oggi, vicino al London Bridge, sipuò vedere una riproduzione della sua nave, la Golden Hind, la“Cerva d’oro”.

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ricco ma stupido per un fidanzato pirata, perché par-lare con lui era più interessante e sapeva farla ridere –e adesso stavano ruggendo. Questo era un altro pas-satempo comune fra i pirati.

«Rah!».«Oooh-Arg!».«Aaaarrr, compagni miei marinai!».Non significava granché, ma era un ottimo riempitivo.

Si interruppero tutti quando videro il pirata con la sciar-pa di ritorno dalla sua riunione con Capitan Pirata. Qua-si scivolò sulla pozza del sangue di mozzo che era rima-sta lì dopo la rissa.

«Qualcuno può redazzare il ponte?», disse un po’stizzito. Abbandonati a se stessi i pirati tendevano adessere dei pigroni.

«È martedì! Il giorno di pulizia della nave è la do-menica!».

«Lo so, ma qualcuno potrebbe farsi male».Il pirata diffidente scrollò le spalle e si allontanò

per trovare uno straccio, mentre quel che restava del-la ciurma guardava in su, in attesa, da dove erasdraiato. Il pirata con la sciarpa osservò le acque in-crespate fuori bordo, la spiaggia tropicale con la suasabbia d’alabastro, la foresta di alberi di cocco dietrola spiaggia, e allora notò una delle graziose donne in-

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digene, così abbassò in fretta lo sguardo sulle suescarpe pirata.

«Pirati, ascoltate», disse. «So che tutto questo va-gare senza fine su e giù per la spiaggia… e i nostri in-terminabili sforzi nella scelta di quale tipo di appeti-toso frutto esotico mangiare… e tutte queste dissolu-te ragazze tropicali che se ne vanno in giro… So chevi sta avvilendo».

Un paio di pirati si scambiò un mormorio, ma il pira-ta con la sciarpa non colse appieno quello che si dissero.

«Dunque sarete felici», proseguì, «ora che CapitanPirata ci ha ordinato di metterci in mare, non appenaavremo raccolto qualche prosciutto per il viaggio».

Un brusio di eccitazione attraversò il ponte.«Non dovremmo cucinare i prosciutti, prima di

partire?», domandò il pirata in verde.«Sembra una buona idea», disse il pirata albino.«Pensate che l’arrostitura sia il sistema migliore?»,

domandò il pirata allergico alle noci.Il pirata con la sciarpa sospirò, perché sapeva con

quale serietà i pirati prendevano i loro prosciutti, epoteva indovinare come sarebbe andata a finire.Cercò di mostrarsi determinato, cosa che implicavala tensione di tutti i muscoli delle narici, e con tuttal’autorità di era capace disse: «Sì, l’arrostitura va be-

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ne. Permette la libera fuoriuscita delle particelle umi-de che è necessaria per dare un gusto ricco. Ma dob-biamo assicurarci che sia scandita da frequenti co-spargimenti con il grasso che trasuda dalla carne,mescolato a un po’ di sale e acqua – altrimenti i pro-sciutti si bruceranno e diverranno duri e insipidi».

«L’arrostitura?3 Ma sei sicuro?», chiese il piratascontroso vestito di rosso, dissimulando a malapenail suo disprezzo. «Che ne dite della bollitura? Hosempre trovato che un prosciutto bollito diventa piùappetitoso nel gusto e nell’odore, nonché più sodo edigeribile».

«Ah, ma se lo lasci bollire troppo rischi che diventiduro e meno succulento», disse il pirata in verde.

«Ma il calo di peso nell’arrostitura è superiore al 22percento del prosciutto totale! Nella bollitura il caloè solo del 16 percento. Più prosciutto per noi! Nonpuò che essere una buona cosa».

«Dobbiamo cospargere i prosciutti di pangrattato,se li bolliamo. E dobbiamo rivestire il garretto conuna balza arricciata di carta bianca».

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3 A quel tempo l’arrostitura avrebbe comportato la cottura allospiedo. Una moda popolare nella prima parte del XIX secolo eraquella di usare un cagnolino attaccato a un cilindro orizzontaleper girare lo spiedo, in questo modo si sollevava dal compito ilcuoco, che poteva preparare altre pietanze.

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«Una balza arricciata di carta bianca? Ma che razzadi pirata sei? Rah!».

I pirati vennero di nuovo alle mani, e fu solo quan-do uno di loro si accorse che Capitan Pirata era usci-to dalla sua cabina e adesso se ne stava appoggiato al-l’albero, tamburellando con le dita contro un barile,che si trascinarono sull’attenti.

«Basta con questa storia, bellezze!», ruggì, «spie-ghiamo le vele…», a questo punto Capitan Pirata siinterruppe con un fare che sperò essere drammaticoed eccitante, «… per l’avventura!».

La ciurma gli lanciò solo un’occhiata collettivapiuttosto vacua. Capitan Pirata sospirò.

«Bene», disse imbronciato, «a Sud».

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Due

Ritorno all’isola del teschio!

«Era una specie di uragano!», disse il pirata in-cline all’esagerazione, svuotando fuori bor-

do l’acqua di mare che aveva raccolto nei suoi stivalipirata. «Credo di non averne mai visto uno simile!Pensavo che l’albero avrebbe finito per spezzarsi! Eche avremmo perso quasi una decina di uomini,semplicemente spazzati via nell’oceano»1.

«Quello non era un uragano. Non era nemmenouna tempesta», disse il pirata in rosso.

«Bene, allora una tempesta di vento. Era una speciedi tempesta di vento».

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1 I Caraibi e il Golfo del Messico erano, e sono, soggetti a uraga-ni devastanti. Nel 1712 il governatore Hamilton riferì che unatempesta aveva distrutto trentotto navi nel porto di Port Royal enove a Kingston.

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«Pffui!», disse il pirata in rosso. Era innervositoperché era trascorsa un’intera giornata e non sem-bravano essere affatto più prossimi a cominciare dav-vero un’avventura.

«Secondo la mia Scala Beaufort», disse il pirata al-bino, sventolando un trattatello nautico al resto dellaciurma, «un uragano è il numero dodici, ovvero“quello cui nessuna vela può resistere”. Come vedetele nostre vele sono a posto, perciò ovviamente nonera un uragano. Direi che era da qualche parte fra ilnumero sei, una Forte brezza – ovvero “quella chefarà volare il cappello del pirata e scompiglierà la suarigogliosa barba” – e il numero otto, una Fresca tem-pesta di vento – ovvero “quella che farà gonfiare ipantaloni del pirata al punto che sembrerà avere legambe grasse”».

«Sei sicuro che è davvero una Scala Beaufort, quel-la che hai lì?», domandò il pirata con la sciarpa.

«Certo che sono sicuro», scattò il pirata albino.«L’ha scritta per me Capitan Pirata in persona».

I pirati erano tutti troppo stanchi persino per rug-gire l’uno all’altro, figurarsi per intonare un canto

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marinaresco, dopo gli ardui sforzi affrontati per con-durre la nave attraverso l’eccezionale tempesta dellanotte prima (o fresca tempesta di vento o forte brez-za o qualunque cosa fosse). Così se ne stavano sdraia-ti sul ponte, osservando in alto gli ultimi, sparuti gab-biani che erano riusciti ad allontanarsi tanto da terra,e che volavano in tondo in un cielo ora azzurro. Fuquando sentirono l’odore del prosciutto fresco dif-fondersi dalla cambusa che i pirati si mossero e sce-sero nella sala da pranzo pirata.

Capitan Pirata era già seduto a tavola, e batteva leg-germente coltello e forchetta con l’atteggiamento dichi aspetta. Bisognava ammettere che di tutti i piratinessuno amava il suo prosciutto più di CapitanPirata. I prosciutti vennero portati a tavola, ed eranostati arrostiti, cosa che infastidì il pirata che sostene-va dovessero essere bolliti, ma questi aveva una talefame che non si diede la pena di lamentarsi, e dovet-te ammettere che erano deliziosi. I pirati attaccaronoil cibo e il grog con l’entusiasmo che deriva da unadura notte di scorrerie piratesche.

«Davvero, pirati! Avete dimenticato di essere prov-visti di denti? Non mi meraviglia che vi lamentiatedelle indigestioni se dimenticate di masticare!», am-monì Capitan Pirata.

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«Pensavo che l’indigestione fosse colpa dei piedifreddi», disse il pirata con un uncino al posto dellamano. «E che avvolgere i piedi con una pezza caldaprevenisse simili dolori alla pancia».

«Quelli sono i mal di testa, idiota!», disse il piratain verde.

«No. I mal di testa vengono nella maggior parte deicasi quando si legge a lume di candela, se la si posi-ziona in modo sbagliato. La dovresti mettere dietrodi te, in modo che i raggi possano passare al di sopradelle tue spalle e cadere direttamente sul libro».

I pirati stavano quasi per ricominciare ad azzuffar-si, ma Capitan Pirata sollevò una mano imperiosa ecominciò a parlare.

«Questa mattina ho ricevuto una lettera», disse,«dal nostro nemico Bellamy il Malvagio».

I pirati sussurrarono qualche imprecazione.Bellamy il Malvagio era lo scaltro pirata rivale che ipirati avevano incontrato nell’Avventura dei Piratidel Tesoro sepolto e nell’Avventura dei Pirati con laPrincipessa di Cadice. In un modo o nell’altro nonfurono sorpresi di sentirne parlare ancora.

«Bellamy il Malvagio ci ha invitati a un banchetto abordo della sua goletta, la Barbary Hen, che veleggiaa poche leghe da qui».

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«È Bellamy il Malvagio, Capitano! Non potete pen-sare di credergli!», disse il pirata albino. Gli altri pi-rati annuirono.

«Magari è cambiato», disse Capitan Pirata. «Nellasua lettera dice che è cambiato e che vuole dare que-sto banchetto per rimediare a tutto il disturbo che luie la sua ciurma di furfanti ci hanno procurato in pas-sato».

«Ah, bene. In effetti non si può discutere davanti aun sentimento di questo genere», convenne il piratain verde.

«Sì, sembra molto gentile da parte sua», disse il pi-rata albino, sentendosi un po’ in colpa per essere sta-to così severo con Bellamy il Malvagio solo pochi se-condi prima.

«E sarebbe bello vedere come preparano i loroprosciutti, a bordo della Barbary Hen», disse il piratain rosso.

«È deciso allora, accetteremo l’invito e faremo su-bito rotta per il banchetto di Bellamy il Malvagio!»,disse Capitan Pirata, tirando via un pezzo di pro-sciutto dalla sua barba immacolata.

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Le acque illuminate dalla luna erano limpide e cal-me quando la nave dei pirati attraccò a fianco dellaBarbary Hen. La ciurma dei pirati si ammassò su unalancia. «Un fucile!», urlò il pirata sfacciato cui piace-va stare in piedi davanti insieme al capitano. Remò fi-no al fianco dell’altra nave, dove era stata appesafuori bordo una scala di corda. C’erano circa quaran-ta teste di maiale che vagavano per il ponte oscurato;si trattava naturalmente del modo di Bellamy ilMalvagio per impressionare i suoi ospiti. Bellamy ilMalvagio prese educatamente i soprabiti e le sciabo-le dei pirati. Questo dimostrava che era davvero cam-biato, perché il Bellamy il Malvagio di un tempo eranoto per la sua mancanza di buone maniere. Ma eraancora una visione spaventosa, con la barba che gliarrivava agli occhi, due paia di pistole appese alla fi-ne di una tracolla di seta e un grande coltello fra identi.

«Favve. Bembenufi afforfo vevva Vavvary Hen»,disse Bellamy il Malvagio.

«Che ha detto?», sussurrò il pirata in verde.

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«Credo che abbia detto “Benvenuti a bordo dellaBarbary Hen”. È un po’ difficile da dire con quelcoltello stretto fra i denti», disse il pirata con lasciarpa.

Bellamy il Malvagio fece alcune presentazioni in-comprensibili e poi condusse i pirati nel suo salonedei banchetti. Il loro vecchio rivale aveva di certo fat-to del suo meglio – c’erano vitello arrosto, con mezzolitro di burro fuso sopra, filetti di manzo guarniti confettine di limone, un sontuoso brodo di maiale, fo-caccine di patate, funghi stufati… Alcuni pirati do-vettero usare il fazzoletto pirata da collo per asciuga-re via la saliva dalla bocca. Non aveva importanzache prima, in quello stesso giorno, avessero già fattoun banchetto sontuoso, perché partecipavano spessoad avventure fatte di null’altro che sontuosi banchet-ti. Inizialmente, dato che fra loro c’erano stati queitrascorsi, i due gruppi di pirati furono un po’ ostili, ela conversazione fu comprensibilmente imbarazzata,ma dopo alcuni boccali di grog pirata si misero pre-sto a gozzovigliare insieme. Sulla nave si sentivanobisbigli di conversazioni piratesche.

«Le immersioni. Le avete mai provate? Sono fanta-stiche! Noi siamo scesi e abbiamo esplorato il relittodi una vera nave pirata!».

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«Il mio amico qui pensa che dovremmo bollire iprosciutti, ma è un idiota».

«…era l’inconfondibile odore penetrante della car-ne umana…».

«… e non me lo sto inventando, aveva una gamba dilegno!».

Sia Bellamy il Malvagio che Capitan Pirata eranocompiaciuti che stesse andando così bene.

«Perché non ci trasferiamo nel mio salotto per unapartitina a carte?2 Mmmh?», disse Bellamy il Malvagioa Capitan Pirata. Capitan Pirata sarebbe potuto anda-re avanti a mangiare colli di montone per tutta la not-te, ma il padrone di casa era stato così gentile che pen-sò fosse scortese rifiutare.

I pirati furono un po’ infastiditi nel vedere quantofosse grazioso il salotto, specialmente quando Bellamy

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2 La Storia generale dei pirati del Capitano Johnson ci dice chegran parte delle navi pirata aveva un Codice di articoli cui la ciur-ma doveva aderire. L’articolo 3 recita: «Nessuno deve giocare acarte o a dadi per denaro», dunque Bellamy il Malvagio sta mo-strando qui il suo lato di cane sciolto.

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il Malvagio fece scattare la parte superiore di unenorme mappamondo di mogano svelando un picco-lo bar. Il mappamondo di Capitan Pirata a bordodella nave pirata era fatto di stagno ed era più o me-no delle dimensioni di un pallone da calcio, e lui nonera nemmeno sicuro che ci fosse sopra l’Africa; quin-di era difficile non provare una fitta di invidia.Bellamy il Malvagio versò del rum da una caraffa dicristallo e propose una partita a Cincinnati AltoBasso.

«Oh, è un gioco per uomini fortunati», disseCapitan Pirata, poiché in passato lo aveva sentito di-re a qualcuno.

«Bene, cosa proponi allora?», chiese Bellamy ilMalvagio amabilmente. «Fuoco incrociato? Poker?Telesina messicana a sette carte?».

Si stava solo mettendo in mostra, pensò CapitanPirata, ma se la cavava bene anche lui con le carte.

«Che ne pensi», disse Capitan Pirata, «di Culla delGatto? O di Intorno al mondo? O di Porto a spasso ilcane?»

«Quelli sono giochi d’abilità per lo yo-yo».«Eh! Certo che lo sono. Bene dunque, facciamo

quello con i messicani».Si sedettero per giocare la partita. Ben presto il

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Capitan Pirata fu sotto di qualche doblone e, dopoquelli, perse tutte le preziose provviste di prosciutto.Il guaio era che la barba di Bellamy il Malvagio, arri-vando proprio fin sotto gli occhi a quel modo, gliconferiva un’espressione perfettamente imperscruta-bile. La ciurma di Capitan Pirata stava cominciandoa preoccuparsi, ma poi Capitan Pirata ebbe un’ideafantastica. Si ritrovò con un’altra mano sfortunata,ma stavolta invece di battere i pugni sul tavolo e dimostrarsi avvilito, fece un gran ghigno e sussurrò adalta voce al pirata con la sciarpa: «Banchette- remocon quelle quaranta teste di maiale, grazie a questamano eccezionale!».

Bellamy il Malvagio udì quella frase e decise di riti-rarsi. Il Capitan Pirata fece scivolare la pila di doblo-ni nelle sue tasche. Bellamy il Malvagio guardò le suecarte e rimase a bocca aperta.

«Ma… avevi una mano terribile!».«Sì. Ma sapevo che se mi fossi mostrato compiaciuto

avresti pensato che avevo un tris o qualcosa di simile!».«Sei un maledetto furbo!», ruggì Bellamy il Malva-

gio. «Ma ascolta. Ridammi tutti i dobloni che ho appe-na perso e in cambio ti dirò dove trovare un bottinodieci volte superiore».

Capitan Pirata pensò all’offerta di Bellamy il Malvagio

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per un paio di secondi. La matematica non era il suoforte – ovviamente il suo forte era la pirateria – manon bisognava essere Archimede per capire che diecivolte la somma di dobloni che aveva appena vintoera un bel mucchio di denaro.

«Molto bene, Bellamy il Malvagio», disse CapitanPirata, tirando fuori le monete dalle tasche. «Dove lotroviamo questo tesoro?»

«Te lo devo mostrare sulle mappe nautiche», sospi-rò Bellamy il Malvagio, facendo un’espressione triste.«Io e i miei uomini stavamo pianificando di navigarefino ai Mari del Sud, vicino alle Isole Galapagos, do-ve una nave che appartiene alla – ehm – Banca di In-ghilterra sta trasportando dalle colonie proprio inquesto momento… ooh, almeno un centinaio di lin-gotti d’oro. Non vedevo davvero l’ora di saccheggia-re un po’, ma presumo che dovrò lasciare che orga-nizzi la razzia da solo!».

«Ne sei sicuro?», disse Capitan Pirata strizzandogli occhi. «È a ottocento leghe da qui. È un po’ fuoridalla nostra rotta».

«Lo giuro sul Codice dei Pirati».«Conosci il nome di questa nave?»«Si chiama Beagle. È piena zeppa d’oro, dammi ret-

ta. Posso riavere quei dobloni adesso?».

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Quando i pirati se ne tornarono alla loro nave pote-rono sentire delle risate venire dalla Barbary Hen.Era bello, pensò Capitan Pirata, che avessero lasciatoi loro ospiti con un morale così alto, anche se avevaavuto la meglio su Bellamy il Malvagio.

E stavolta era piuttosto sicuro che stessero davverofacendo rotta per… l’avventura!

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