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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI EUMATOLOGIA R PRATICA Direttore Scientifico Roberto Marcolongo Direttore Editoriale Bianca Canesi Comitato Scientifico Gerolamo Bianchi Alessandro Bussotti Pierlorenzo Franceschi Bruno Frediani Stefano Giovannoni Arrigo Lombardi Raffaella Michieli Vittorio Modena Presidente CROI Gerolamo Bianchi Presidente LIMAR Roberto Marcolongo Presidente SIMG Claudio Cricelli Presidente FADOI Giovanni Mathieu Direttore Responsabile Patrizia Alma Pacini © Copyright by Pacini Editore S.p.A. - Pisa Edizione Pacini Editore S.p.A. Via Gherardesca 1 • 56121 Ospedaletto (Pisa) Tel. 050 313011 • Fax 050 3130300 [email protected] www.pacinimedicina.it Staff Marketing Pacini Editore Medicina Andrea Tognelli - Medical Project - Marketing Director Tel. 050 3130255 - [email protected] Fabio Poponcini - Sales Manager Tel. 050 3130218 - [email protected] Manuela Mori - Customer Relationship Manager Tel. 050 3130217 - [email protected] Editorial Office Lucia Castelli Tel. 050 3130224 - [email protected] Stampa Industrie Grafiche Pacini • Ospedaletto (Pisa) Con il patrocinio di FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI DEI DIRIGENTI OSPEDALIERI INTERNISTI COLLEGIO REUMATOLOGI OSPEDALIERI ITALIANI SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA GENERALE LEGA ITALIANA MALATTIE AUTOIMMUNI E REUMATICHE MARZO 2007 NUMERO 1 LA POLIMIALGIA REUMATICA P. Macchioni ............................................... 3 L’ATTACCO ACUTO DI GOTTA L. Di Matteo, M. Di Cicco, C. Lauriti .............. 10 Il punto di vista del Medico di Medicina Generale P.L. Franceschi .............................................. 15 LA GONALGIA Q. Mela, L. Montaldo ................................. 16 LA COMUNICAZIONE E IL SUO RUOLO NEL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE G. Minisola .............................................. 23 ASPETTI INTERNISTICI DELLE MALATTIE REUMATICHE F. Lombardini, G. Palombi, C. Vitali ............... 28 RUOLO DEGLI STRUCTURE/DISEASE MODIFYING OSTEOARTHRITIS DRUGS (S/DMOADs) NEL PAZIENTE CON OSTEOARTROSI L’esperienza in Medicina Generale R. Michieli ................................................... 37 L’esperienza in Reumatologia L. Di Matteo, L. Di Battista............................... 44 TESTIMONIANZA DEL PAZIENTE L’artrite reumatoide S. Cheli ....................................................... 51

REUMATOLOGIA - simg.it · Nel caso di provenienza da un Dipartimento Universitario o da un Ospeda- ... Preferibilmente devono partire dalla illustrazione di un caso clinico. Non devono

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIAEUMATOLOGIAEUMATOLOGIAEUMATOLOGIAPRATICA

Direttore ScientificoRoberto Marcolongo

Direttore EditorialeBianca Canesi

Comitato ScientificoGerolamo BianchiAlessandro BussottiPierlorenzo FranceschiBruno FredianiStefano GiovannoniArrigo LombardiRaffaella MichieliVittorio Modena

Presidente CROIGerolamo Bianchi

Presidente LIMARRoberto Marcolongo

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Presidente FADOIGiovanni Mathieu

Direttore ResponsabilePatrizia Alma Pacini

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DEI DIRIGENTI OSPEDALIERI INTERNISTI

COLLEGIO REUMATOLOGIOSPEDALIERI ITALIANI

SOCIETÀ ITALIANADI MEDICINA GENERALE

LEGA ITALIANA MALATTIEAUTOIMMUNI E REUMATICHE

MARZO 2007 NUMERO 1

LA POLIMIALGIA REUMATICAP. Macchioni ............................................... 3

L’ATTACCO ACUTO DI GOTTAL. Di Matteo, M. Di Cicco, C. Lauriti .............. 10

Il punto di vista del Medico di Medicina GeneraleP.L. Franceschi .............................................. 15

LA GONALGIAQ. Mela, L. Montaldo ................................. 16

LA COMUNICAZIONE E IL SUO RUOLONEL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTEG. Minisola .............................................. 23

ASPETTI INTERNISTICI DELLE MALATTIE REUMATICHEF. Lombardini, G. Palombi, C. Vitali ............... 28

RUOLO DEGLI STRUCTURE/DISEASE MODIFYINGOSTEOARTHRITIS DRUGS (S/DMOADs)NEL PAZIENTE CON OSTEOARTROSI

L’esperienza in Medicina GeneraleR. Michieli ................................................... 37

L’esperienza in ReumatologiaL. Di Matteo, L. Di Battista............................... 44

TESTIMONIANZA DEL PAZIENTE

L’artrite reumatoideS. Cheli....................................................... 51

NOrME rEDaZiONaLi

Gli articoli dovranno essere accompagnati da una dichiarazione firmata dal primo Autore, nella quale si attesti che i contributi sono inediti, non sottoposti contemporaneamente ad altra rivista ed il loro contenuto conforme alla legislazione vigente in materia di etica della ricerca. Gli Autori sono gli unici responsabili delle affermazioni contenute nell’articolo e sono tenuti a dichiarare di aver ottenuto il consenso informato per la sperimentazione e per la riproduzione delle immagini. La Redazione accoglie solo i testi confor-mi alle norme editoriali generali e specifiche per le singole rubriche. La loro accettazione è subordinata alla revisione critica degli esperti, all’esecuzione di eventuali modifiche richieste ed al parere conclusivo del Direttore.Il Direttore del Giornale si riserva inoltre il diritto di richiedere agli Autori la documentazione dei casi e dei protocolli di ricerca, qualora lo ritenga opportuno.Nel caso di provenienza da un Dipartimento Universitario o da un Ospeda-le il testo dovrà essere controfirmato dal responsabile del Reparto ( U.O.O., Clinica Universitaria…).Conflitto di interessi: nella lettera di accompagnamento dell’articolo, gli Au-tori devono dichiarare se hanno ricevuto finanziamenti o se hanno in atto contratti o altre forme di finanziamento, personali o istituzionali, con Enti Pubblici o Privati, anche se i loro prodotti non sono citati nel testo. Questa dichiarazione verrà trattata dal Direttore come un’informazione riservata e non verrà inoltrata ai revisori. I lavori accettati verranno pubblicati con l’ac-compagnamento di una dichiarazione ad hoc, allo scopo di rendere nota la fonte e la natura del finanziamento.

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libriTajana GF. Il condrone Milano: Edizioni Mediamix 1991.Krmpotic-Nemanic J, Kostovis I, Rudan P. Aging changes of the form and infrastructure of the extemal nose and its importance in rhinoplasty. In. Conly J, Dickinson JT, eds. Plastic and reconstructive surgery of the face and neck. New York: Grune and Stratton 1972, p. 84.ringraziamenti: indicazioni di grants o borse di studio, vanno citati al termine della bibliografia. Le note contraddistinte da asterischi o simboli equivalenti, compariranno nel testo a piè di pagina.termini matematici, formule, abbreviazioni, unità e misure devono conformarsi agli standards riportati in Science 1954;120:1078.I farmaci vanno indicati con il nome chimico. Solo se inevitabile potran-no essere citati con i nome commerciale (scrivendo in maiuscolo la lettera iniziale del prodotto).

NOrME SpEciFichE pEr LE SiNGOLE ruBrichEEditoriali Sono intesi come considerazioni generali e pratiche sui temi di attualità, in lingua italiana, sollecitati dal Direttore o dai componenti il Comitato di Redazione. Per il testo sono previste circa 15 cartelle da 2000 battute. Sono previste inoltre al massimo 3 figure e 5 tabelle. Bibliografia: massimo 15 voci.articoli sulle patologieNon devono superare le 10 pagine dattiloscritte (2000 battute). Sono pre-viste massimo 3 parole chiave, massimo 2 figure e 3 tabelle e non più di 30 voci bibliografiche. Gli articoli dovranno riportare al termine un quadro sinottico per riassumere gli elementi essenziali di utilità pratica. L’articolo se è scritto dallo specialista verrà inviato dalla redazione ad un medico di medi-cina generale per un commento (massimo una pagina di 2000 battute). Se l’articolo verrà elaborato da un medico di medicina generale il commento sarà a cura di uno specialista.articoli sui sintomiPreferibilmente devono partire dalla illustrazione di un caso clinico. Non devono superare le 10 pagine dattiloscritte (2000 battute). Sono previste massimo 3 parole chiave, massimo 2 figure e 3 tabelle e non più di 30 voci bibliografiche. Gli articoli dovranno riportare al termine un quadro sinottico per riassumere gli elementi essenziali di utilità pratica. L’articolo se è scritto dallo specialista verrà inviato dalla redazione ad un medico di medicina generale per un commento (massimo una pagina di 2000 battute). Se l’arti-colo verrà elaborato da un medico di medicina generale il commento sarà a cura di uno specialista.casi cliniciVengono accettati dal Comitato di Redazione solo lavori di interesse didatti-co e segnalazioni rare. La presentazione comprende l’esposizione del caso ed una discussione diagnostico-differenziale. Il testo (8 cartelle da 2000 battute) deve essere coinciso e corredato, se necessario, di 1-2 figure o tabelle al massimo di 10 riferimenti bibliografici essenziali. Il riassunto è di circa 50 parole. Devono essere suddivisi in 3 blocchi temporali (Step). Alla fine di ogni fase devono essere esposti alcuni quesiti, che derivano dall’ana-lisi dei problemi più importanti emersi con la presentazione del caso, seguiti dalle risposte e eventuali commenti. Evidenziare gli obiettivi del lavoro.report congressiSono previste 5 cartelle da 2000 battute.Notizie dal WebSono previste 2,5 cartelle da 2000 battute, sono ammesse 2/3 tra figure e tabelle. una pagina per il paziente Sono previste 4 cartelle da 2000 battute, sono ammesse 2/3 tra figure e tabelle.

Gli scritti di cui si fa richiesta di pubblicazione vanno indi-rizzati a:Pacini Editore S.p.A. – Ufficio Editoriale, via Gherardesca 1, 56121 Ospedaletto (PI) – E-mail: [email protected]

Finito di stampare nel mese di aprile 2007 presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore - Pisa

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

RIASSUNTOLa polimialgia reumatica è la forma più frequente di malattia reumatica infiammatoria dell’anziano e rappresenta la più comune indicazione per la terapia a lungo termine con corticosteroidi. I pazienti affetti da polimialgia reumatica presentano l’improvvisa comparsa di dolore e rigidità mattutina al cingolo scapolare e pelvico a volte associati a sintomi generali (iporessia, riduzione ponderale e iperpiressia) o alla presenza di arterite a cellule giganti. La malattia risponde rapidamente alla somministrazione di corticosteroidi e, se trattata adeguatamente, ha una prognosi molto buona. In un sottogruppo di pazienti, la durata della terapia steroidea può essere superiore ai 5 anni con importanti implicazioni per lo sviluppo di eventi avversi da corticosteroidi. L’utilizzo di nuove indagini strumentali, specialmente la risonanza magnetica e l’ecografia, hanno potuto dimostrare il coinvolgimento delle strutture periarticolari delle spalle e delle anche e hanno potuto chiarire meglio il rapporto con la sindrome RS3PE. Sono stati pubblicati o sono in corso di pubblicazione studi controllati che hanno dimostrato la possibilità di utilizzare il metotrexato o i farmaci anti-TNF come risparmiatori di steroidi nei casi di nuova diagnosi o resistenti alla terapia steroidea.

INTRODUZIONELa polimialgia reumatica (PMR) è una malattia infiam-matoria di origine sconosciuta caratterizzata da do-lore e rigidità mattutina localizzate al cingolo scapo-lare, pelvico e al collo che, generalmente, risponde rapidamente a basse dosi di corticosteroidi e con una prognosi favorevole 1.La prima descrizione della malattia è stata forse forni-ta da Bruce nel 1888, che la definì “gotta reumatica senile”, sottolineando in questo l’insorgenza nell’età avanzata 2. Barber è stato il primo a proporre l’uso della definizione “polimialgia reumatica” 3. Nel 1963 Bagratuni ne sottolineò il carattere non erosivo e negli anni ’80 ne è stato riconosciuto anche il carattere ar-tritico periferico.

EPIDEMIOLGIA E CRITERI DIAGNOSTICILa PMR è una malattia relativamente comune con una prevalenza di un caso ogni 130 soggetti con età supe-riore ai 50 anni. In uno studio su popolazione nel co-mune di Reggio Emilia svolto negli anni ’80 del secolo scorso l’incidenza annuale si è dimostrata maggiore

LA POLIMIALGIA REUMATICA

MARZO 2007 NUMERO 1:3-9

PIERLUIGI MACCHIONI

Servizio di Reumatologia,Arcispedale “Santa Maria Nuova”, Reggio [email protected]

Parole chiavePolimialgia reumatica • Clinica • Terapia

nel sesso femminile (14,9/100.000 di età superiore ai 50 anni) che in quello maschile (9,7/100.000) con valori complessivi di 12,7 casi/100.000 di età superiore a 50 anni 4. In tutte le popolazioni in cui la malattia è stata descritta l’incidenza aumenta con l’età con un picco tra i 70 e gli 80 anni. Esiste anche un chiaro gradiente legato alla latitudine, con le maggio-ri incidenze nei paesi nordici. L’incidenza della ma-lattia, inoltre, non sembra variata nelle ultime decadi anche se uno studio recente svolto nel Regno Unito e pubblicato nel 2006 segnala il possibile incremento dei tassi di incidenza negli ultimi anni (nel 1990 il tas-so di incidenza per 10.000 era di 6,92 e nel 2001 di 9,25). Anche questo lavoro riporta una stagionalità dell’incidenza della PMR, che sarebbe maggiore nel periodo estivo 5.I tassi di mortalità non differiscono da quelli della po-polazione generale, anche se alcuni report epidemio-logici segnalano la possibile maggiore incidenza di malattie cardiovascolari ischemiche.Esistono numerosi criteri diagnostici per la PMR tra cui quelli di Chuang, formulati nel 1982, o quelli di Healey del 1984 (Tab. I) ma nessuno è stato mai va-lidato formalmente sia verso la popolazione generale sia verso una popolazione di controllo con patologie reumatiche note.La PMR ha degli stretti rapporti con l’arterite giganto-cellulare (AGC), poiché dal 16 al 21% dei pazienti con PMR hanno una AGC dimostrata biopticamente e

4 LA POLIMIALGIA REUMATICA

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

sintomi di tipo PMR sono presenti dal 40 al 60% dei pazienti con AGC. La PMR può precedere, essere simultanea o seguire l’esordio di una AGC. Pazien-ti con PMR che non presentano sintomi di coinvolgi-mento delle arterie craniche (disturbi visivi, cefalea di recente insorgenza o claudicatio mandibolae) hanno un’elevata probabilità di non presentare una AGC alla biopsia dell’arteria temporale, per cui non è ne-cessario ricercare attivamente un’arterite nel caso di sintomi di sola PMR. L’AGC può manifestarsi in pa-zienti con PMR nota durante le fasi di riduzione del dosaggio steroideo o alla sospensione del farmaco, per cui è necessaria attenzione per cogliere i primi segni di questa vasculite e avviare rapidamente op-portune misure diagnostiche o terapeutiche.

PATOGENESILa PMR è una malattia poligenica in cui fattori sia genetici sia ambientali influenzano la suscettibilità e la severità. La maggiore incidenza alle alte latitudini e nelle popolazioni con origini scandinave sono una prova dell’influenza di fattori etnici e ambientali. Una causa virale è stata sospettata, ma mai definitivamen-te dimostrata. Sono stati descritti rapporti tra epide-mie di Mycoplasma pneumoniae, parvovirus B19 o infezioni da Chlamydia pneumoniae e lo sviluppo di PMR. Le forme di associazione genetica più studiate sono state quelle con il sistema HLA (Human Leukocyte Antigens) e anche in questo caso, come nell’artrite

reumatoide, è presente una significativa associazione con gli alleli HLA-DRB1*04 e HLA-DRB1*01. Il rap-porto tra AGC e PMR è inoltre sottolineato da diversi lavori del gruppo di Weyand e Goronzy, che hanno dimostrato come una forma subclinica di vasculite sia presente in pazienti con PMR e come la produzione di interferone-gamma sia la citochina cruciale per l’evo-luzione verso una vasculite conclamata. Anche dati derivati da studi con tomografia a emissione di posi-troni hanno dimostrato il coinvolgimento infiammatorio delle pareti dei vasi arteriosi in pazienti con PMR che non presentavano segni clinici di vasculite 6 fornendo dati utili per la diagnosi precoce.

ANATOMIA PATOLOGICAStudi in artroscopia, radioisotopici, con ultrasuoni o con risonanza magnetica hanno tutti dimostrato la presenza di sinovite delle articolazioni prossimali e delle strutture periarticolari (borse e guaine tendinee). La sinovite as-sociata alla PMR è caratterizzata dalla predominanza di macrofagi e di cellule T, soprattutto cellule CD4+, con aspetti istologici molto simili a quelli osservabili nel-la struttura delle pareti arteriose della AGC 7.

MANIFESTAZIONI CLINICHEI sintomi clinici che devono far pensare a una PMR sono la presenza di dolore e rigidità mattutina della durata di almeno 30 minuti, localizzati al cingolo pel-vico, al cingolo scapolare e/o al collo e associati ad

TABELLA I. Due set di criteri diagnostici per la polimialgia reumatica.

CRITERI DI CHUANG (1982)u Età superiore ai 50 anni

u Dolore e rigidità da almeno un mese coinvolgente almeno due delle seguenti aree: collo e dorso, spalle o regione prossi-male delle braccia, anche o regione prossimale delle cosce

u VES superiore a 40 mm/prima ora

u Esclusione di altre patologie reumatiche esclusa la AGC

CRITERI DI HEALEY (1984)u Dolore della durata di almeno 30 giorni e coinvolgente almeno 2 delle seguenti aree: collo, cingolo scapolare, cingolo

pelvico

u Rigidità mattutina di almeno 60 minuti

u Rapida risposta al prednisone (≤ 20 mg/die)

u Assenza di altre malattie in grado di causare gli stessi sintomi

u Età superiore ai 50 anni

u VES alla prima ora superiore a 40 mm

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aumento degli indici aspecifici di flogosi (velocità di eritrosedimentazione [VES] > 40 mm/prima ora e/o proteina C reattiva [PCR] superiore a 0,50 mg/dl).La maggior parte dei pazienti ha coinvolgimento del cingolo scapolare (dal 70 al 95%). Il cingolo pelvico e il collo sono meno coinvolti (50-70%). Il dolore può inizialmente essere monolaterale, ma in genere divie-ne rapidamente bilaterale. Il dolore è bilaterale nella maggior parte dei pazienti e si estende lungo gli arti sia nella faccia antero-laterale delle cosce sino al ginocchio sia lungo le braccia sino al gomito. In genere il dolore è presente a riposo, si esacerba nelle ore notturne e del primo mattino, può peggiorare con il movimento, interferendo in modo rile-vante con le normali attività quotidiane del paziente.All’esame clinico sono presenti chiare limitazioni alla motilità attiva, e talora anche passiva, delle spalle. Un terzo dei pazienti associa sintomi sistemici rappre-sentati da febbre, malessere generale, astenia, ano-ressia e perdita di peso. Il ritardo diagnostico va in genere dalle 6 alle 12 settimane dopo l’inizio dei sintomi.Gli importanti sintomi riferibili al cingolo scapolare sembrano dovuti al coinvolgimento sia delle strutture articolari della gleno-omerale sia delle strutture periar-ticolari. L’esame obiettivo dimostra però solo raramen-te la presenza di un coinvolgimento della gleno-ome-rale, nonostante i sintomi rilevanti del paziente.Esami ultrasonografici o con risonanza magnetica hanno dimostrato che le strutture coinvolte nel proces-so infiammatorio sono più frequentemente la borsa subacromion-deltoidea e la guaina del capo lungo del bicipite.Più della metà dei pazienti presenta altre manifesta-zioni reumatologiche quali sinovite articolare anche simmetrica, in genere non erosiva e autolimitantesi localizzata con maggiore frequenza ai polsi, alle ginocchia o alle metacarpo-falangee. Alcuni pazien-ti presentano una sindrome del tunnel carpale e altri associano la presenza di una chiara sindrome sinovi-tica simmetrica sieronegativa con edema improntabile (RS3PE) con edema localizzato al dorso della mano e del polso o delle caviglie e del dorso del piede mono o bilatarale.

DATI DI LABORATORIOLa maggior parte dei criteri classificativi/diagnostici della PMR richiede la presenza di valori di VES supe-riori a 40 mm/prima ora, anche se studi epidemiolo-gici hanno rilevato che dal 7 al 20% dei pazienti con

PMR hanno valori normali di VES al momento della diagnosi.Studi più recenti compiuti alla Clinica Mayo (Roche-ster, MN) hanno dimostrato che il 5,4% dei soggetti con PMR ha, alla diagnosi, valori di VES inferiori a 40 mm/prima ora e che il 10,8% ha valori inferiori a 50 mm/prima ora. Quindi il riscontro di valori normali della VES non è incompatibile con la diagnosi di PMR in fase attiva, e quando gli altri dati clinici sono in ac-cordo con questa non vi è motivo per ritardare l’inizio della terapia con steroidi.I livelli della proteina C reattiva sono considerati un indicatore più sensibile della VES sia per la diagnosi che per il follow-up. L’indicatore più sensibile dell’atti-vità della PMR sembra comunque essere l’interleuchi-na (IL)-6.Molti pazienti associano una forma moderata o lieve di anemia dell’infiammazione cronica e un terzo dei pa-zienti ha anormalità dell’enzimogramma epatico (spe-cie degli indici di colestasi). In genere sia gli anticorpi antinucleo sia il fattore reumatoide sono negativi. Una piccola percentuale di pazienti presenta positività per gli anticorpi antipeptidi ciclici citrullinati (CCP).

IMAGINGSia la risonanza magnetica sia l’ecografia muscolo-tendinea sono ugualmente sensibili e specifici per riconoscere la presenza della tipica distensione bi-laterale della borsa subacromion-deltoidea presente nella quasi totalità dei pazienti. Con la risonanza magnetica è infatti possibile riconoscere la presen-za di borsite subacromiale nella totalità dei pazienti confrontata al 22% dei controlli affetti da patologie reumatiche infiammatorie. In una buona percentuale di casi è possibile dimostrare anche il coinvolgimento delle guaine del tendine del capo lungo del bicipite omerale o dell’articolazione gleno-omerale. L’esame ultrasonografico si è dimostrato molto utile nel confer-mare la diagnosi in casi atipici o con indici di flogosi nei limiti della norma 8.In caso di sindrome RS3PE sia la risonanza magnetica sia gli esami ultrasonografici possono rilevare la pre-senza della tenosinovite dei flessori e degli estensori delle dita e del carpo.Recentemente è stata proposta anche la tomografia a emissione di positroni con 18F-fluorodesossiglucosio (FDG-PET) sia per confermare una diagnosi di PMR sia per escludere la presenza di una vasculite associata. I dati hanno dimostrato che oltre alla captazione a livel-lo delle spalle (94% dei pazienti) e delle anche (89%

6 LA POLIMIALGIA REUMATICA

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dei casi), è molto frequente la captazione a livello dei processi spinosi cervicali e lombari (51%) e a livello dei grossi vasi (31%) indicando come il processo flo-gistico della PMR sia più diffuso di quanto non appaia alla sola ispezione clinica 6.

DIAGNOSI DIFFERENZIALESono diverse le condizioni cliniche che possono mimare la PMR. Quando ad esempio la PMR associa interessa-mento distale può essere difficile differenziarla dall’ar-trite reumatoide o da altre patologie infiammatorie arti-colari di tipo spondilitico. La presenza di positività del fattore reumatoide o degli anti-CCP, il coinvolgimento periferico spiccato, la presenza di manifestazioni extra-articolari o lo sviluppo di erosioni ossee articolari indica-no chiaramente la presenza di un’artrite reumatoide. La presenza di entesite periferica, dattilite, uveite anteriore e di evidenza radiologica di sacro-ileite sono elementi differenziali delle spondiloartriti dell’anziano. La diagnosi differenziale con la sindrome RS3PE può essere difficoltosa quando la PMR si manifesta con ede-ma distale al dorso delle mani o dei piedi. La sindrome RS3PE è caratterizzata dallo sviluppo acuto di tumefa-zione simmetrica bilaterale e diffusa dei polsi e delle mani o meno frequentemente dei piedi con intenso do-lore, importante limitazione funzionale ed evidente ede-ma improntabile del dorso della mano (o del piede). I pazienti sono tipicamente sieronegativi per il fattore reumatoide e non hanno l’artrite reumatoide. La terapia con basse dosi di steroidi è rapidamente efficace. La risonanza magnetica e gli esami ultrasonografici dimo-strano che la causa dell’edema è la presenza di una tenosinovite dei flessori e degli estensori delle dita. Alcu-ni studi hanno suggerito che la sindrome RS3PE faccia parte dello stesso spettro di malattia della PMR.La diagnosi differenziale con il lupus eritematoso siste-mico (LES) dell’anziano, che a volte può presentarsi con sintomi simil-PMR, può essere effettuata per l’as-senza nella PMR di positività degli anticorpi antinucleo (ANA), di leucopenia o trombocitopenia e di sierosite (pericardite o pleurite), che invece sono relativamente frequenti in questo subset di pazienti.La polimiosite si presenta più con debolezza musco-lare dimostrabile con il movimento che con dolore, e si associa a incremento degli enzimi muscolari non presente nella PMR.Anche endocarditi batteriche e tumori solidi (più spes-so del rene, dell’ovaio o dello stomaco) o di tipo ema-tologico (in particolare mieloma) possono simulare la presenza di una PMR. In questi casi però la risposta

allo steroide è variabile e i sintomi non sono tipici per la mancanza di una chiara rigidità mattutina, per la scarsa accentuazione dei sintomi con il movimento e per il pattern più diffuso del dolore somatico. In gene-re non è giustificata la ricerca sistematica di un tumore occulto o di un’infezione nei casi tipici di PMR. Anche l’amilodosi può a volte presentarsi con aspetti simili alla PMR o alla AGC. In questi casi la risposta allo steroide è scarsa e una biopsia per la ricerca dell’ami-loide potrà confermare il sospetto diagnostico.

TRATTAMENTO E DECORSO DELLA MALATTIAGli steroidi sono il farmaco di scelta nella terapia della PMR, anche se studi formali sul dosaggio del farmaco all’esordio e sugli schemi di riduzione dello stesso sono molto scarsi. Una dose iniziale di 10-20 mg di prednisone o suoi equivalenti sono sufficienti nella maggior parte dei pazienti. La risposta alla te-rapia è rapida con la risoluzione dei sintomi dopo pochi giorni dall’inizio del trattamento. Una mancata risposta alla terapia steroidea dovrebbe far sospettare al medico una diagnosi differente.La dose iniziale va somministrata per almeno 4 settima-ne e può, in seguito, essere ridotta progressivamente ogni 2-4 settimane del 10% della dose iniziale. Una riduzione troppo rapida scatena nella maggior parte dei casi una recidiva della sintomatologia dolorosa. In ogni caso dal 30 al 50% dei pazienti può manifestare una riaccensione della malattia, specie durante i primi due anni dall’inizio dei sintomi, che è indipendente dal dosaggio steroideo assunto in quel momento. Uno studio retrospettivo della Clinica Mayo ha dimostrato come i fattori che sono indipendentemente legati al rischio di recidiva siano rappresentati dal dosaggio più elevato di prednisone all’esordio (superiore a 20 mg/die) e alla rapidità del decremento nelle settima-ne successive.Nel follow-up del paziente è importante la regolare valutazione (ogni 2-3 mesi) della VES e della PCR. Il riscontro isolato di un incremento degli indici aspecifi-ci di flogosi, in assenza di altri sintomi riferibili a una riaccensione della malattia, non è un motivo sufficien-te per aumentare il dosaggio dello steroide. La durata della terapia steroidea è in genere di uno o due anni. Tuttavia una percentuale variabile di pazienti presen-ta un andamento di malattia cronico-recidivante che richiede terapia cortisonica per diversi anni. Da se-gnalare l’elevata frequenza di pazienti che presenta-no reazioni di tipo simil-fibromialgico alla riduzione o

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alla sospensione dello steroide, che non vanno con-fuse con una riaccensione della PMR ma che a volte necessitano ugualmente la ripresa della terapia ste-roidea a bassi dosaggi. Sono stati proposti sia indici di attività di malattia sia indici di risposta alla terapia che possono essere impiegati nella pratica clinica e nei trial clinici (Tabb. II e III), anche se il loro impiego non è al momento generalizzato.Purtroppo non esistono attualmente indicatori utilizza-bili come fattori prognostici per la durata della tera-pia. Uno studio ha suggerito che i valori di IL-6, dopo

4 settimane di terapia steroidea ottimale, sono utili nell’identificare il sottogruppo di pazienti che richiede-rà un trattamento più prolungato. I pazienti che dopo 4 settimane hanno valori di IL-6 nei limiti di norma hanno, infatti, minori probabilità di sviluppare recidi-va alla riduzione del dosaggio steroideo e possono essere considerati con malattia più benigna. Un altro studio ha dimostrato che i livelli di VES e di PCR al-l’esordio sono indipendentemente correlati al rischio di recidiva di malattia. I pazienti con VES > 40 mm/prima ora hanno un rischio 4,9 volte maggiore di svi-

TABELLA II. Criteri di attività di malattia secondo Leeb.

SI OTTIENE SOMMANDO ARITMETICAMENTE I SEGUENTI PARAMETRI:u PCR (in mg/dl)

u Stato generale di salute secondo il paziente (in centimetri su scala 0-10)

u Stato generale di salute secondo il medico (in centimetri su scala 0-10)

u Durata della rigidità mattutina in minuti/10

u Capacità di elevare le braccia su scala 0-3 (0 = mobilità normale; 1 = solo sino al piano delle spalle; 2 = al di sotto del piano delle spalle; 3 = incapacità completa)

IN BASE A QUESTI CRITERI LA MALATTIA PUÒ ESSERE DEFINITA SECONDO TRE CATEGORIE:u < 7: bassa attività di malattia

u tra 7 e 17: media attività di malattia

u > 17: elevata attività di malattia

È POSSIBILE COSTRUIRE CRITERI DI RISPOSTA ALLA TERAPIA O CRITERI DI RIATTIVAZIONE DELLA MA-LATTIA BASANDOSI SUL PASSAGGIO DA UNA CLASSE DI ATTIVITÀ A UN’ALTRA O SULLA PERCEN-TUALE DI VARIAZIONE RISPETTO AL CONTROLLO PRECEDENTE.

TABELLA III. Criteri di risposta alla terapia nella polimialgia reumatica.

CRITERI EULARCore set di criteri per la risposta alla terapia

u Dolore su scala visiva analogica (100 mm)

u PCR (mg/dl) o VES (mm/prima ora)

u Durata della rigidità mattutina in minuti

u Capacità di elevare le braccia su scala 0-3 (0 = incapacità completa; 1 = al di sotto del piano delle spalle; 2 = sino al piano delle spalle; 3 = al di sopra del piano delle spalle)

u Valutazione generale del medico su scala visiva analogica (100 mm)

LA RISPOSTA VIENE DEFINITA AL 20, 50, 70 O 90% QUANDO VIENE SODDISFATTO IL PRIMO CRITE-RIO (CHE È OBBLIGATORIO) E ALMENO 3 DEGLI ULTIMI 4.

8 LA POLIMIALGIA REUMATICA

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luppare riaccensioni della malattia e i pazienti con PCR > 7,8 mg/dl hanno un rischio 2,1 volte maggio-re di sviluppare recidive 9.Gli eventi avversi della terapia steroidea, data anche l’età avanzata dei pazienti, sono molto frequenti. Uno studio di follow-up di lunga durata ha potuto docu-mentare l’insorgenza di almeno un evento avverso agli steroidi nel 65% dei pazienti. I rischi di diabete mellito o di fratture osteoporotiche sono da 2 a 5 volte maggiori tra pazienti affetti da PMR che tra coetanei della stessa popolazione.Variabili indipendentemente associate allo sviluppo di eventi avversi sono l’età alla diagnosi, il sesso femminile e una dose cumulativa di steroidi superiore ai 2 grammi.Per questo motivo supplementi di calcio e vitamina D sono da somministrare in tutti i pazienti con PMR in trattamento steroideo. Per quelli con ridotto contenuto minerale osseo alla densitometria ossea computeriz-zata (MOC) vertebrale o femorale è necessaria l’as-sociazione di bifosfonati.Data la frequenza e la gravità delle complicanze del-la terapia steroidea in pazienti anziani sono state ten-tate diverse strategie per ridurre la durata e la dose cumulativa totale di cortisonici. Diversi studi hanno di-mostrato l’assenza di efficacia degli agenti citotossici come agenti risparmiatori di steroidi.Alcuni studi in aperto e uno studio in doppio cieco verso placebo 10 hanno dimostrato l’efficacia del me-totrexato, in pazienti con malattia di recente insorgen-za, nell’indurre una significativa maggiore percentuale di remissioni complete rispetto ai pazienti trattati con solo steroide (pazienti non più in trattamento 28/32 nel gruppo con metotrexato e 16/30 nel gruppo con solo steroidi, p = 0,003). Alla fine del follow-up di 76 settimane il gruppo che effettuava la terapia di associazione aveva assunto una dose cumulativa di steroide significativamente inferiore rispetto al gruppo dello steroide da solo (2,1 g vs. 2,9 g, p = 0,03), ma senza apprezzabili variazioni nell’incidenza di eventi avversi correlati all’uso del cortisonico.Diversi studi in aperto hanno rilevato che gli anti-TNF (Tumor Necrosis Factor) (sia infliximab sia etanercept o adalimumab) possono essere efficaci nel ridurre la dose media giornaliera di steroide nel sottogruppo di pazienti cosiddetti “steroido-dipendenti”, cioè che non riescono a ridurre la dose giornaliera di prednisone al di sotto dei 7,5-10 mg/die senza riaccensione della malattia. Uno studio in doppio cieco vs. placebo in un gruppo di pazienti con PMR di nuova diagnosi, uti-lizzando infliximab alla dose di 3 mg/kg secondo lo

schema utilizzato nell’artrite reumatoide e somministrato per 22 settimane, non ha invece dimostrato una chiara efficacia dell’anti-TNF nel ridurre sia il numero delle ria-cutizzazioni sia la dose cumulativa dello steroide in un follow-up di 52 settimane (in press). Sembra quindi che gli anti-TNF, così come osservato per la granulomatosi di Wegener, possano essere utilizzati come risparmia-tori di steroidi, per lo meno nel breve periodo, solo nel sottogruppo di pazienti con malattia recidivante.

PROSPETTIVE FUTURENella PMR mancano ancora criteri standardizzati sia diagnostici sia classificativi. Ad esempio potrebbero essere inclusi in un nuovo set di criteri sia la PCR sia la dimostrazione per mezzo di ultrasuoni (o con riso-nanza magnetica) di distensione bilaterale delle borse subacromiali. Non sono inoltre disponibili dati con-trollati sul dosaggio ottimale dello steroide all’inizio della terapia. Manca ancora la possibilità di differen-ziare le forme più benigne di malattia dalle forme più severe che necessitano di trattamento steroideo più prolungato. Forse in questi ultimi casi un trattamento più aggressivo con farmaci in associazione potreb-be portare a un più rapido controllo della malattia. L’utilizzo del dosaggio dell’IL-6 potrebbe dimostrarsi utile nel monitoraggio dei pazienti per decidere con più sicurezza quando è il caso di ridurre il dosaggio steroideo per evitare troppo frequenti recidive. Inoltre, studi multicentrici randomizzati potranno chiarire con maggiore certezza se l’uso di altri farmaci immuno-soppressori, compresi i farmaci biologici (ad es. anti-TNF), possono avere un ruolo nel controllo della ma-lattia o nel ridurre la durata del trattamento steroideo sia in pazienti all’esordio sia nel gruppo con malattia più prolungata. Infine la comprensione dei meccani-smi molecolari e cellulari coinvolti nella patogenesi della PMR può aiutare nel proporre nuove terapie, nel riconoscere eventuali cause infettive della malat-tia, nello stabilire i motivi sia dell’esclusiva prevalenza della malattia nella popolazione anziana che dell’an-cora oscura associazione tra PMR e AGC.

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9P. MACCHIONI EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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BASI FISIOPATOLOGICHELa gotta è un disordine del metabolismo purinico ca-ratterizzato da un accumulo di acido urico, prodotto finale della degradazione delle purine 1.Circa un terzo del carico giornaliero di urato pro-viene dalla dieta, la restante quota è di produzione endogena; la sua escrezione dipende principalmente dall’apparato urinario e in minor parte da quello ga-stroenterico 2.Il 90% dei casi di gotta è dovuto a un difetto enzi-matico, quasi sempre misconosciuto, responsabile di un’aumentata produzione o di un’inefficace elimina-zione di acido urico (gotta primaria); nel restante 10% dei casi essa è secondaria a una patologia nota in cui vi sia un aumentato turn-over degli acidi nucleici, come nelle malattie emolinfoproliferative, o a una ri-dotta escrezione di urati, quale si verifica ad esempio nell’insufficienza renale cronica o durante l’assunzio-ne di alcuni farmaci (diuretici dell’ansa e diuretici tiazi-dici, aspirina a basse dosi, ciclosporina ecc.) 1.Quando la sua concentrazione supera la soglia di so-lubilità – che nei liquidi biologici è intorno ai 7 mg/dl – l’acido urico in eccesso precipita in soluzione 3. L’at-tacco di gotta consiste appunto in una sinovite acuta in risposta alla deposizione di cristalli di urato mono-sodico (MSU) nella cavità articolare, con conseguente richiamo di fagociti polimorfonucleati e produzione di grandi quantità di chemochine e citochine, in particola-re interleuchina-1 (IL-1) e Tumor Necrosis Factor (TNF)- .Raggiunta la sede dell’infiammazione, i polimorfonu-

cleati fagocitano i cristalli di MSU e vanno incontro ad apoptosi, da cui deriva la liberazione massiva di enzimi e un ulteriore rilascio di mediatori flogistici 4.L’attacco acuto di gotta è per sua natura auto-limitantesi. Tra i diversi meccanismi proposti per spiegare la risolu-zione spontanea della flogosi è stata data importanza sia al rivestimento dei cristalli da parte delle apolipo-proteine, con la conseguente riduzione dello stimolo flogistico, sia alla sostituzione progressiva della popo-lazione di neutrofili e monociti con quella dei macro-fagi, la cui risposta nei confronti dei cristalli di MSU è caratterizzata dalla prevalenza dei mediatori ad attività antinfiammatoria, in particolare il Trasforming Growth Factor (TGF)- , su quelli ad attività pro-infiammatoria 4.

FATTORI DI RISCHIO E COMORBIDITÀL’iperuricemia, che è definita come un livello di acido urico nel sangue superiore ai 7 mg/dl, non è sinoni-

LUIGI DI MATTEO, MARIA DI CICCO*,CIRO LAURITI**

Direttore U.O.C. Reumatologia,Ospedale “Santo Spirito”, Pescara* Scuola di Specializzazione in Reumatologia,Università “D’Annunzio”, Chieti-Pescara** Medico frequentante U.O.C. Reumatologia,Ospedale “Santo Spirito”, [email protected]

RIASSUNTOLa gotta è una delle forme di artrite di più comune riscontro nella pratica clinica, di cui già negli antichi trattati di arte medica si trovano ampie descrizioni. A una millenaria conoscenza delle più tipiche manifestazioni della malattia si affianca oggi una precisa definizione dei suoi meccanismi fisiopatologici.Mancando però un adeguato numero di studi clinici randomizzati, non esistono ancora linee guida definitive e con-divise per il trattamento farmacologico dell’attacco gottoso acuto e per la profilassi delle ricorrenze. La gestione della gotta è perciò al tempo stesso facile e difficile: facile perché essa rimane una delle patologie reumatiche meglio note dal punto di vista eziologico e fisiopatologico e nelle quali la terapia farmacologica raggiunge i migliori risultati; difficile perché il paziente gottoso presenta tipicamente comorbidità (ipertensione arteriosa, cardiopatie, insufficienza renale, gastrite cronica ecc.) che rendono non sempre maneggevole l’impiego dei farmaci, soprattutto degli antin-fiammatori.

Parole chiaveIperuricemia • Gotta • Attacco acuto • Profilassi,

Comorbidità • FANS • Coxib • Colchicina • Allopurinolo

L’ATTACCO ACUTO DI GOTTA

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mo di gotta 3: ma rappresenta il marker biochimico e la causa necessaria, ma non sufficiente, per la sua insorgenza. Gran parte dei soggetti iperuricemici non sviluppa mai l’artrite, e perché questa si determini è decisivo il ruolo svolto da diversi cofattori quali la fami-liarità, la predisposizione individuale alla formazione dei cristalli, la coesistenza di disordini endocrino-me-tabolici, gli stati di acidosi, l’usura dell’articolazione, le alterazioni del microambiente articolare e in parti-colare del ph e della temperatura 2 5.Tuttavia, dal momento che esiste una correlazione linea-re tra i livelli sierici medi di acido urico e l’incidenza di artrite gottosa nella popolazione, l’iperuricemia costitui-sce il fattore di rischio maggiore per la malattia 6.I dati epidemiologici dimostrano che ereditarietà e fat-tori ambientali concorrono sinergicamente a determi-nare i disordini del metabolismo dell’acido urico 7.Il primo fattore di rischio è l’appartenenza al sesso maschile: nelle donne, infatti, l’iperuricemia premeno-pausale è un evento raro, riscontrato quasi esclusiva-mente in soggetti con un’importante storia familiare di gotta o in terapia con diuretici; questo in virtù del fatto che gli estrogeni esercitano un ruolo protettivo grazie ai loro effetti uricosurici, tant’è vero che, nell’età seni-le, i dati epidemiologici sulla prevalenza della gotta nei due sessi tendono a convergere 2 5 7.Tra i fattori di rischio ambientali, un ruolo importante è svolto soprattutto dalle abitudini alimentari, in partico-lare le diete ipercaloriche ricche di proteine di origine animale e il consumo di alcolici; per questo motivo la gotta è sempre stata tradizionalmente considera-ta una condizione legata al benessere, mentre oggi la tendenza epidemiologica risulta invertita, con una maggiore prevalenza tra le classi sociali medio-basse della popolazione 5 7.Un altro fattore di rischio è l’uso dei farmaci iperurice-mizzanti, in primo luogo i diuretici, ma anche l’aspiri-na a basse dosi (i dosaggi elevati, al contrario, hanno un effetto ipouricemizzante), la ciclosporina e altri 5 7.Considerata l’elevata coesistenza di ipertensione nei pazienti gottosi, sarebbe opportuno evitare l’impiego dei tiazidici e privilegiare alcuni agenti anti-ipertensivi per cui è stato dimostrato un blando effetto uricosuri-co, come il losartan o l’amlodipina 3 5 6.Insieme all’ipertensione arteriosa, i soggetti iperuri-cemici e gottosi presentano altre tipiche comorbidità – elevato indice di massa corporea, obesità centrale, resistenza insulinica, dislipidemia – che nell’insieme definiscono un elevato rischio cardiovascolare. La re-sistenza insulinica legata all’obesità centrale potrebbe

rappresentare un’importante connessione tra iperten-sione e iperuricemia, dal momento che l’iperinsuline-mia stimola a livello tubulare renale il riassorbimento sia di sodio sia di urato 2 5 7.Rimane incerto se iperuricemia e gotta costituiscano fattori di rischio indipendenti per malattie cardiova-scolari.

PRESENTAZIONE CLINICA E DIAGNOSINel 90% dei casi il primo attacco di gotta è monoarti-colare 7. L’articolazione metatarso-falangea del primo dito è colpita in più della metà dei pazienti 7, sebbene le ragioni della predilezione per tale sito non siano chiare; probabilmente entrano in gioco diversi fatto-ri, tra cui i microtraumi conseguenti alle sollecitazioni articolari iterate e il raggiungimento di basse tempe-rature locali o di condizioni di acidosi che facilitano la cristallizzazione 5. Articolazioni frequentemente interessate sono pure le tibio-tarsiche, i polsi, le meta-carpo-falangee, le interfalangee e le ginocchia. Negli anziani la gotta può presentarsi in maniera atipica, con una maggiore frequenza di esordio poliarticolare e di coinvolgimento delle articolazioni delle estremità superiori come il gomito o la spalla 5.Gli episodi possono essere isolati oppure recidivare a intervalli più o meno ravvicinati; esiste una variante, la cosiddetta “gotta a crisettes” degli autori francesi, ca-ratterizzata dalla ricorrenza di poussees che assumono l’andamento di un tipico reumatismo palindromico.L’attacco di gotta si verifica tipicamente di notte o nel primo mattino, e in poche ore la sintomatologia ac-quista carattere di intensità crescente: l’articolazione è tumefatta, la cute sovrastante calda ed eritematosa, il dolore acutissimo. Talora si associano sensazioni di-sestesiche e componente allodinica meccanica 5.Spesso sono presenti segni clinici e laboratoristici di malattia sistemica: febbre, leucocitosi, elevazione degli indici aspecifici di flogosi. I livelli di acido urico pos-sono invece risultare normali durante l’attacco acuto 3:perciò, se la clinica è suggestiva, una normouricemia non pregiudica la diagnosi – semmai stimola a non trascurare ipotesi alternative, in particolare la condro-calcinosi – che comunque è di certezza solo quando confermata dall’esame del liquido sinoviale al micro-scopio a luce polarizzata, in cui i cristalli di urato sono svelati dalla caratteristica birifrangenza negativa 5.La condrocalcinosi è un’artrite microcristallina causata da deposizione di cristalli di pirofosfato di calcio, det-ta anche pseudogotta per le analogie di presentazio-ne con la gotta classica. Essa presenta, tuttavia, una

12 L’ATTACCO ACUTO DI GOTTA

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serie di caratteristiche peculiari che la differenziano dall’artrite uratica: la condrocalcinosi è spesso secon-daria a vari disordini metabolici tra cui iperparatiroi-dismo, emocromatosi, ipotiroidismo, ipomagnesemia, diabete; gli episodi acuti sono in genere di più lunga durata, si presentano a intervalli più frequenti e sono più resistenti ai trattamenti; la loro prevalenza aumen-ta in rapporto all’età; è patognomonico il riscontro radiologico di calcificazioni meniscali, del legamento triangolare del polso e della sinfisi pubica 1 8.Condrocalcinosi e gotta possono anche coesistere, e ciò si verifica non di rado nell’anziano.Un’altra diagnosi differenziale che non andrebbe mai trascurata è con l’artrite settica, che presenta manifesta-zioni cliniche e laboratoristiche sovrapponibili a quelle dell’artrite gottosa. Anche il liquido sinoviale ha caratte-ristiche chimico-fisiche e citologiche analoghe (aspetto torbido, aumentata cellularità con spiccata leucocitosi neutrofila), salvo poi differenziarsi per la presenza dei cristalli di urato e la negatività delle colture nel caso della gotta. Riconoscere tempestivamente un’artrite set-tica è fondamentale, poiché essa costituisce una vera e propria urgenza medica e necessita di un trattamen-to specifico: se non viene instaurata tempestivamente un’adeguata terapia antibiotica, infatti, già entro le pri-me 48 ore dall’infezione si verificano processi destruen-ti a carico delle strutture articolari che possono esitare in gravi e irreversibili forme di invalidità 1 5.

TERAPIA DELL’ATTACCO ACUTOGli obiettivi dell’intervento medico in corso di attacco acuto di gotta dovrebbero essere:

• impostare una terapia che consenta un rapido sollievo dal dolore e dall’impotenza funzionale, e che sia il più possibile sgravata da effetti col-laterali;

• ricercare le eventuali comorbidità e i fattori di rischio cardiovascolare e, quando possibile, in-tervenire per modificarli;

• approntare strategie di prevenzione delle ricor-renze degli attacchi gottosi.

Per la mancanza di adeguati trials clinici controllati, non esistono linee guida definitive in base a cui orien-tare le scelte terapeutiche; questo genera spesso con-fusione e non uniformità di approccio nella gestione dei pazienti.Di seguito viene fornita, sulla base di una revisione dei recenti dati della letteratura, una sintesi delle opzioni farmacologiche disponibili per un’impostazione il più possibile razionale dei trattamenti.

FANS tradizionali e COX-2 inibitoriI farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) tradi-zionali rappresentano il trattamento di prima scelta nei pazienti con attacco acuto di gotta senza parti-colari controindicazioni 2 4 5. Diversi studi testa-testa hanno dimostrato una sostanziale sovrapponibilità di efficacia tra le varie molecole. Nelle prime 24-48 ore si utilizzeranno i dosaggi più elevati, che andranno poi ridotti nei giorni successivi fino al raggiungimento della dose minima efficace; la maggior parte dei pa-zienti riferisce sollievo dal dolore già dopo le prime 24 ore e nel 90% dei casi l’episodio acuto si risolve entro 5-8 giorni. La durata media del trattamento è di 1-2 settimane 2 5.Purtroppo l’uso dei FANS è limitato da effetti collate-rali e il loro impiego – quando non sia del tutto scon-sigliato – deve essere prudente nei pazienti anziani o con fattori di rischio quali ipertensione, insufficienza renale, insufficienza cardiaca, pregressi eventi vasco-lari, terapia antiaggregante o anticoagulante in atto, storia pregressa di sanguinamento gastrointestinale, gastrite o esofagite attiva 2.Nei pazienti a rischio di sanguinamento del tratto ga-strointestinale si può associare un inibitore di pompa protonica, o preferire direttamente al FANS tradizio-nale un COX-2 inibitore selettivo 7. Uno studio su 150 pazienti ha messo a confronto l’uso di etoricoxib 150 mg/die verso indometacina 50 x 3 mg/die per 8 giorni in 150 pazienti in corso di attacco gottoso. L’efficacia di etoricoxib è risultata sovrapponibile a quella dell’indometacina rispetto ai vari end-pointsterapeutici (sollievo dal dolore, riduzione della flogo-si articolare, recupero funzionale) mentre l’incidenza di effetti avversi gastrointestinali è risultata significati-vamente inferiore tra i pazienti che avevano ricevuto etoricoxib in confronto a quelli che avevano ricevuto indometacina 9.Per quanto riguarda il problema del rischio vasco-lare dei Coxib, esso è perlomeno pari a quello dei FANS tradizionali e, pertanto, si dovrà porre la massima cautela nell’impiego di entrambe le classi di farmaci nei pazienti ipertesi, cardiopatici, ne-fropatici o con storia personale di eventi vascolari maggiori 4 5.Infine, per ottenere una più soddisfacente analge-sia nei casi resistenti alla terapia antinfiammatoria, nella pratica clinica sono largamente utilizzati gli analgesici ad azione centrale, in particolare gli oppiodi, pur mancando studi clinici controllati al riguardo 3.

13L. DI MATTEO, M. DI CICCO, C. LAURITI EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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ColchicinaIl trattamento di seconda scelta è la colchicina, riser-vato soprattutto a quei pazienti in cui FANS e Coxib sono entrambi controindicati o considerati a rischio.La colchicina è un farmaco peculiare, essendo il suo effetto antinfiammatorio relativamente selettivo per la gotta: grazie alla capacità di legare la tubulina, essa interferisce con la dimerizzazione dei microtubuli del fuso mitotico, ostacolando così varie funzioni dei leu-cociti compresa la chemiotassi, la diapedesi, la fago-citosi, l’espressione dei mediatori e delle molecole di adesione 4.L’efficacia del farmaco, al dosaggio iniziale da 1 fino a 3 mg per os in prima giornata, da ridurre gradual-mente nei giorni successivi, è massima se il trattamen-to è intrapreso entro le prime 24 ore dall’esordio della sintomatologia 2 4 5.Nonostante la risposta farmacologica sia in genere brillante e rapida, il trattamento con colchicina è ritenu-to di seconda scelta a causa degli effetti indesiderati: tra i farmaci utilizzati nella terapia dell’attacco acuto di gotta la colchicina è, infatti, quello con il più basso in-dice terapeutico 2 4. Gli effetti collaterali più importanti sono quelli gastrointestinali – nausea, vomito, diarrea – osservati in circa l’80% dei pazienti 7. Altri eventi av-versi, certamente più rari ma particolarmente temibili, sono la citopenia da soppressione midollare e le neu-romiopatie. L’impiego della colchicina dovrà essere perciò particolarmente prudente nei soggetti con insuf-ficienza epatica, renale o midollare e nei trattamenti prolungati 2 5 7.Alla colchicina può essere associato un FANS qualora l’atteso effetto terapeutico risultasse insoddisfacente.

CorticosteroidiNei pazienti in cui sia gli NSAID (Non Steroidal Anti-Inflammatory Drugs) sia la colchicina sono controindi-cati, una strategia efficace è rappresentata dall’impie-go degli steroidi.Nelle forme monoarticolari che impegnano una grande articolazione si può ricorrere all’iniezione intra-articola-re 3 5 7, sebbene le manovre invasive siano da evitare durante la fase acuta per il rischio di artrite settica fa-vorito dall’ipossia locale; negli altri casi si utilizza la te-rapia sistemica con prednisone 30-60 mg/die o equi-valenti per 2 o 3 giorni, con riduzione progressiva dei dosaggi fino alla sospensione in 1-2 settimane. Nella maggior parte dei pazienti si osserva un miglioramento clinico entro le prime 12-24 ore e una risoluzione com-pleta della sintomatologia nell’arco di 7-10 giorni 2.

L’impiego routinario dei corticosteroidi è limitato dal timore pregiudiziale di attacchi rebound dopo la so-spensione del trattamento; i dati su questo aspetto sono però controversi e, ammesso che tale rischio sia reale, potrebbe essere arginato adottando uno sche-ma terapeutico che preveda la riduzione graduale dei dosaggi 6.Il trattamento prolungato con steroidi va comunque evitato per la possibilità che si instauri la cosiddetta “gotta cortisonizzata”, condizione cronica ad anda-mento simil-reumatoide, difficile da trattare e spesso irreversibile.

PROFILASSI DELLE RICORRENZEL’obiettivo del trattamento nei pazienti con attacchi di gotta ricorrenti è quello di ridurre e mantenere l’acido urico a concentrazioni sottosature, mobilizzando in tal modo i preesistenti depositi e prevenendone l’ulteriore formazione; benché il livello target ottimale non sia mai stato definito con esattezza, la maggior parte dei clinici ritiene opportuno mantenere l’uricemia entro un range non superiore ai 5-6 mg/dl 6.Il cambiamento dello stile di vita rappresenta il primo passo per il controllo dell’iperuricemia. Le tradiziona-li diete a basso contenuto purinico sono difficili da praticare e ottengono in genere una scarsa aderenza da parte dei pazienti; meglio, quindi, prescrivere un regime alimentare vario che preveda una moderata riduzione dell’apporto calorico, ottenuta limitando so-prattutto l’introduzione di proteine di origine animale e di alcolici 2 5.La profilassi farmacologica degli attacchi ha senso solo nei pazienti con ricorrenze frequenti – almeno 2 episodi l’anno –, gotta tofacea cronica, erosioni articolari, calcoli di urato o a rischio di sviluppare una nefropatia uratica; nei pazienti con episodi isolati o molto distanziati l’uno dall’altro, del resto, l’espe-rienza clinica dimostra che raramente si osserva una buona compliance a una terapia cronica a scopo pro-filattico 2 5.Una volta stabilito che esiste l’indicazione al trattamento, la scelta è tra un farmaco che ri-duca l’overproduzione epatica di urato (inibi-

Per gentile concessione, dott. Joshua Kaye,

www.joshuakaye.com

14 L’ATTACCO ACUTO DI GOTTA

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tori della xantina-ossidasi come l’allopurinolo) o un farmaco che ne aumenti l’escrezione renale (agenti uricosurici come il probenecid o il sulfipirazone).Una decisione razionale dovrebbe tenere conto di dati clinici oggettivi, ad esempio la quota effettiva di escrezione di urato nelle urine delle 24 ore; nella pra-tica clinica, tuttavia, l’allopurinolo è quasi sempre il farmaco di scelta, sia per la sua comprovata efficacia in tutte le forme di iperuricemia sia perché, a differen-za degli agenti uricosurici, ha un effetto ipouricemiz-zante anche nei pazienti con insufficienza renale e non è controindicato in presenza di litiasi uratica 3 5.Il farmaco viene usualmente iniziato alla dose di 100 mg/die, da aumentare in 3 o 4 settimane fino a rag-giungere il dosaggio di mantenimento che è di 300 mg in monosomministrazione giornaliera; tale poso-logia richiede opportuni aggiustamenti in base agli indici di funzionalità renale 5.L’allopurinolo è generalmente ben tollerato, ed effetti collaterali come rash, prurito, diarrea, citopenia, feb-bre si registrano non comunemente; esiste però anche una grave sindrome da ipersensibilità all’allopurinolo dose-dipendente, che include febbre, eosinofilia, rash,necrolisi epidermo-tossica, disfunzione epatica e renale e vasculiti, con una mortalità stimata intorno al 20% 2.Un’alternativa terapeutica ai pazienti intolleranti all’allopurinolo è offerta dal febuxostat, un nuovo farmaco inibitore non purinico della xantina-ossida-si. Un recente studio randomizzato di fase 3, della durata di un anno, ha confrontato separatamente 2 diverse dosi di febuxostat, l’80 mg e il 120 mg, con allopurinolo 300 mg/die, ed entrambi i dosaggi hanno mostrato maggiore efficacia dell’allopurinolo nel ridurre l’uricemia 10.Un ulteriore vantaggio del febuxostat rispetto all’allo-purinolo potrebbe essere rappresentato dall’impiego relativamente sicuro nei pazienti con insufficienza re-nale, senza particolari necessità di aggiustamento dei dosaggi, essendo il farmaco principalmente metabo-lizzato a livello epatico anziché renale 6.Infine, nella profilassi delle ricorrenze è bene attenersi alle seguenti raccomandazioni generali:

• la terapia ipouricemizzante non andrebbe mai ini-ziata in corso di attacco acuto di gotta, in quanto rischia di peggiorarne il decorso, ma dopo alme-no 3 o 4 settimane dalla sua risoluzione 2 5;

• nelle prime settimane di terapia con farmaci ipouricemizzanti sono frequenti le riacutizzazio-ni degli attacchi, conseguenti alla mobilizzazio-ne del pool dell’urato; perciò è raccomandata

una profilassi con colchicina (circa 1 mg al giorno per almeno 3 e fino a 6 mesi, con buoni risultati di efficacia e tollerabilità) o in alternati-va con brevi cicli di NSAID 2 11;

• se si verifica un episodio acuto in corso di tera-pia ipouricemizzante, il farmaco non andrà so-speso né la posologia variata e l’artrite andrà trattata con le modalità consuete 2 5; sarà inoltre opportuno riconsiderare le ipotesi di diagnosi differenziale, in particolare la condrocalcinosi;

• l’allopurinolo presenta due interazioni farma-cologiche che meritano attenzione: il potenzia-mento dell’effetto immunosoppressivo e citolitico dell’azatioprina, i cui dosaggi dovranno perciò essere opportunamente ridotti, e la comparsa di rush maculopapulare in caso di concomitan-te terapia con ampicillina 2.

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Vol. 2. Padova: Piccin 1999, pp. 1447-51.2 Cannella AC, Mikuls TR. Understanding treatments

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10 Becker MA, Schumacher HR Jr, Wortmann RL, Mac-Donald PA, Eustace D, Palo WA, et al. Febuxostat com-pared with allopurinol in patients with hyperuricemia and gout. N Engl J Med 2005;353:2450-61.

11 Borstad GC, Bryant LR, Abel MP, Scroggie DA, Harris MD, Alloway JA. Colchicine for prophylaxis of acute flares when initiating allopurinol for chronic gouty ar-thritis. J Rheumatol 2004;31:2429-32.

15L. DI MATTEO, M. DI CICCO, C. LAURITI EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

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I Medici di Medicina Generale (MMG) vedono circa 1-2 attacchi/anno (per 1500 assistiti) e hanno circa 70 iperuricemici (> 7 mg/dl), 85% maschi. Può essere utile escludere tiazidici nei gottosi, ma in casi parti-colari è necessario l’uso del diuretico e la furosemide potrebbe rivelarsi eccessivamente potassiodepletiva. Ci sembra eccessiva la sostituzione con losartan e amlodipina. Anche gli ACE-inibitori e i β-bloccanti non sono iperuricemizzanti e costano meno. Per di più la scelta tra losartan e altri anti-ipertensivi non è, per noi MMG, basata sul lieve effetto uricosurico del primo, ma sulla riduzione di end-points forti (mortalità e morbilità cardiovascolare) dimostrati ad esempio per diuretici e ACE-inibitori.Etoricoxib e tutti i Coxib condividono con i FANS tradizionali gli effetti avversi cardiocircolatori e renali. Anzi etoricoxib aumenta, già dopo 15 g, la pressione arteriosa in modo statisticamente significativo rispetto a cele-coxib e naproxene. Quest’ultimo va meglio rispetto a etoricoxib (già a 60 mg) anche per gli eventi trombotici cardiovascolari. Per l’uso limitato a qualche giorno, poi, è ininfluente la minore gastrolesività. Il confronto con la indometacina è fuori luogo: questa, per gli effetti collaterali talora gravi, dovrebbe essere riservata a spondilite anchilosante e sindrome di Bartter’s (Harrison).Tra i MMG è diffuso l’uso di colchicina con scarsi effetti collaterali (qualche scarica di diarrea) e nessun effetto mielotossico.Mantenere l’uricemia tra 5-6 ci sembra dura. Il legame con l’insufficienza renale è per valori > 7 (fattore indipendente); tra l’altro anche l’allopurinolo ha effetti avversi e sarebbe da usare a lungo. Ma soprattutto non vi sono dimostrazioni (come per la glicemia o la pressione arteriosa) che abbassare il livello di uricemia riduca la progressione del danno renale. Non vi sono poi prove che trattare l’iperuricemia riduca il rischio cardiovascolare o altro. Per di più si deve negoziare con la compliance di pazienti politrattati.Il paziente con iperuricemia e/o gotta ha spesso anche ipertensione, diabete, insufficienza cardiaca, ridu-zione della glicemia basale, osteoartrosi, iperlipidemia, cardiopatia ischemica.Come direbbe Catalano: meglio 3 pasticche prese continuativamente che 10 prese saltuariamente.In conclusione è al MMG che si deve affidare il paziente con varie cronicità. Solo in questo setting si potrà garantire l’adesione con la rivalutazione periodica, la definizione delle priorità, la negoziazione e l’accordo con il paziente sui punti forti del percorso terapeutico. Naturalmente utilizzando al meglio (per quel tipo di paziente) le proposte degli specialisti.

PIER LORENZO FRANCESCHIMedico di Medicina Generale, Specialista in Reumatologia, Stiava (LU)

[email protected]

IL PUNTO DI VISTA DEL MEDICO DI MEDICINA GENERALE

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RIASSUNTOLa gonalgia è un sintomo di frequente riscontro in tutte le epoche della vita. Può avere origine nelle strutture articolari, in quelle peri-articolari oppure può essere causata da una patologia che colpisce altre articolazioni (anca, femore, rachide) e in tal caso si parla di dolore riferito. Una lesione delle fibrocartilagini (menischi) e della cartilagine ialina (che riveste i capi ossei), sprovvista di terminazioni nervose, potrà suscitare dolore solo se associata a una patologia di altre strutture.La diagnosi eziologica della gonalgia presuppone un’accurata anamnesi, uno scrupoloso esame obiettivo e molto spesso un’adeguata valutazione laboratoristica e strumentale.Nel bambino e nell’adolescente le cause più frequenti di gonalgia sono le osteocondrosi, le lesioni meniscali, i mal-allineamenti rotulei. Nel giovane adulto la causa più frequente del dolore è rappresentata da un trauma che interessa i menischi o i legamenti o da micro-traumatismi ripetuti, tipici degli atleti. Nell’adulto le lesioni degenerative o trauma-tiche dei menischi o dei capi articolari femoro-tibiali-rotulei, l’artrite reumatoide, le artriti sieronegative e le artriti micro-cristalline sono le cause intra-articolari più frequenti, mentre le cause di dolore peri-articolare sono rappresentate dalle borsiti e dalle tendiniti. Nelle persone di età superiore ai 50 anni sicuramente l’osteoartrosi del ginocchio, dell’anca (dolore riferito), le patologie da microcristalli, le lesioni degenerative dei menischi insieme alle borsiti e alle tendiniti sono le principali cause di gonalgia.La radiologia tradizionale, l’ecografia, la RMN e la TC costituiscono le metodiche strumentali d’elezione per una corretta diagnosi patogenetica di gonalgia.

Il dolore al ginocchio, definito con il termine di go-nalgia, è un sintomo di frequente riscontro in tutte le epoche della vita. La gonalgia può avere origine nelle strutture articolari, in quelle peri-articolari oppure può essere causata da una patologia che colpisce altre articolazioni (anca, femore, rachide) e in tal caso si parla di dolore riferito. Una lesione delle fibrocartila-gini (menischi) e della cartilagine ialina (che riveste i capi ossei), sprovvista di terminazioni nervose, potrà suscitare dolore solo se associata a una patologia di altre strutture 1 2.La diagnosi eziologica della gonalgia presuppone una precisa anamnesi, un corretto esame obiettivo, un’adeguata valutazione laboratoristica e strumentale (Tabb. I-IV).Nel bambino e nell’adolescente (sino ai 18 anni) le cause più frequenti di gonalgia sono le osteocondrosi, la malattia di Perthes dell’anca (cause di dolore riferi-to), l’osteocondrite dissecante, le lesioni di un menisco laterale discoide, i mal-allineamenti rotulei, l’artrite cro-nica giovanile e l’artrite settica. Molto più raramente la genesi del dolore è da riferire alla presenza di una neoplasia o di un’osteomielite femorale o tibiale. Nel giovane adulto (tra i 18 e i 30 anni) la causa più fre-quente del dolore è rappresentata da un trauma che

interessa i menischi o i legamenti o da micro-traumati-smi ripetuti, tipici degli atleti. Nell’adulto (tra i 30 e i 50 anni) le lesioni degenerative o traumatiche dei me-nischi o dei capi articolari femoro-tibiali-rotulei, l’artrite reumatoide, le artriti sieronegative e le artriti micro-cristalline sono le cause intra-articolari più frequenti, mentre le cause di dolore peri-articolare sono rappre-sentate dalle borsiti e dalle tendiniti. Nelle persone di età superiore ai 50 anni sicuramente l’osteoartrosi del ginocchio e dell’anca (dolore riferito), le patologie da microcristalli, le lesioni degenerative dei menischi insieme alle borsiti e alle tendiniti sono le principali cause di gonalgia.In presenza di una gonalgia accompagnata da versa-mento endoarticolare “gonartrite” il primo quesito al qua-le dobbiamo rispondere è se ci si trova di fronte a una forma a genesi meccanica o infiammatoria (Fig. 1).

QUIRICO MELA, LORENZA MONTALDO

Cattedra di Semeiotica MedicaUniversità di [email protected] - [email protected]

LA GONALGIA

Parole chiaveGonalgia • Clinica • Diagnosi strumentale

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17Q. MELA, L. MONTALDO EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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Una conta dei leucociti inferiore a 2000 elementi su un campione di liquido sinoviale estratto mediante ar-trocentesi ci indirizzerà verso una forma traumatica o artrosica. Una conta superiore ai 5000 elementi ci indirizzerà verso un’artrosinovite in corso di artrite reumatoide, di artrite sieronegativa, di artrite infettiva, di artrite da microcristalli.L’aspirazione di liquido siero-ematico o francamente ematico dal cavo articolare indirizza verso una lesio-ne per lo più acuta dei menischi e/o legamenti cro-ciati; la presenza di gocce lipidiche pone il sospetto per fratture articolari, la presenza di liquido sieroso fa supporre una patologia osteoartrosica o un’artrite di recente insorgenza, un liquido di aspetto torbido, per la forte presenza di leucociti, fa sospettare un’artrite settica.L’esordio iperacuto di un quadro artritico è abba-stanza suggestivo per la presenza di una forma da microcristalli, infettiva, o per una forma postrauma-tica recente. L’esordio subdolo e graduale di una sintomatologia dolorosa che dati da più tempo ci indirizza verso un’artrite reattiva, un’artrite reumatoi-de o sieronegativa, un’artrite in corso di connettivite. Quando invece la storia clinica data diversi anni è più probabile che si tratti di una patologia a preva-

lente componente degenerativa come l’artrosi o di una patologia meniscale.L’ispezione sarà orientata a valutare la postura, l’aspetto delle ginocchia, l’aspetto della cute sovra-stante, la deambulazione. Vanno ricercate cicatrici, callosità, lesioni cutanee di tipo psoriasico, altera-zioni del colore, tumefazioni (diffuse in presenza di versamenti liquidi nel cavo articolare, circoscritte nelle borsiti o in presenza di osteofiti), atrofie mu-scolari (quadricipite), angolazione del ginocchio in varismo (l’artrosi o il morbo di Paget) o in val-gismo, atteggiamento in flessione (in presenza di un idrartro importante), la presenza di zoppia, di un’instabilità articolare, di improvvisi cedimenti del ginocchio e di una riduzione dei movimenti di fles-so-estensione.Con la palpazione si valuta la temperatura cutanea del ginocchio, la presenza di punti dolorosi alla digi-topressione, la consistenza delle strutture dolenti (capi ossei, esostosi, osteofiti, tessuti molli iuxta-articolari), la presenza di versamenti endo (ballottamento rotuleo) ed extra-articolari, l’escursione articolare, la stabilità dei legamenti, la presenza di neuropatie sensitivo-mo-torie, la presenza di patologie vascolari a carico del cavo popliteo.

FIGURA 1. Iter diagnostico della gonalgia.

18 LA GONALGIA

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La palpazione della rotula provoca dolore nella con-dromalacia, nelle artriti e nell’artrosi. La compressione dosata della rotula sul femore darà la sensazione di un “ballottamento” in presenza di versamenti di cospicua entità. Le borse del ginocchio, normalmente non palpa-bili, possono essere apprezzate in corso di infiamma-zione (“cisti di Baker” nel cavo popliteo e borsite pre- e infrapatellare). La presenza di una tumefazione e di un dolore le rendono facilmente individuabili.La motilità del ginocchio viene valutata osservandone la flessione, la sua rotazione interna ed esterna, ed effettuando i test di adduzione e quelli di abduzione dell’arto. In alcune circostanze si rende necessario ef-fettuare manovre speciali (manovra di Apley, manovra

di McMurray, cassetto anteriore, cassetto posteriore, test di Smillie, Jerk test, Lachman test).La diagnostica per immagini del ginocchio include la radiologia tradizionale, l’ecografia, la RMN, la TC, e in casi molto particolari la scintigrafia.Con l’esame radiologico standard siamo in grado di evidenziare la presenza di fratture ossee dei condili femorali, della tibia, della rotula e della fibula, la pre-senza di calcificazioni, di corpi liberi endoarticolari, di calcificazioni meniscali o della superficie dei condili (tipiche della condrocalcinosi) o ancora di deposizio-ni multiple di sali di calcio nella membrana sinoviale (tipiche della condromatosi), le alterazioni tipiche del-l’artrosi (riduzione asimmetrica della rima articolare, sclerosi subcondrale, osteofitosi) o delle artriti erosive, neoplasie scheletriche, l’osteoporosi iuxta-articolare. La ricchezza di strutture anatomiche indagabili con gli ultrasuoni (tendini, borse, legamenti, cisti), l’elevata frequenza di processi patologici individuabili, l’inno-cuità della metodica fanno dell’ecografia un’indagine di elezione, che precede talvolta l’esame radiologico convenzionale, nello studio del ginocchio. L’ecografia cede il posto alla RMN e alla TC nello studio della por-zione centrale del ginocchio (pivot centrale: legamenti crociati, menischi) che non può essere studiata con gli ultrasuoni. L’elevata risoluzione spaziale e di contrasto, la multiplanarietà sono le prerogative che esaltano il potere diagnostico di queste metodiche 3-6.

GONALGIE DI PREVALENTE INTERESSE REUMATOLOGICOIl ginocchio è coinvolto frequentemente nelle forme sia primitive sia secondarie di artrosi; sono interessati pre-valentemente il compartimento femoro-tibiale mediale e quello femoro-rotuleo. Nell’artrosi femoro-tibiale (for-temente invalidante nelle fasi più avanzate) il dolore è più spesso anteriore o interno, talora antero-esterno, raramente posteriore. Si irradia più frequentemente al terzo superiore della gamba, molto più raramente verso l’alto. Tende ad attenuarsi con il riposo, mentre si accentua durante la deambulazione o la stazione eretta. Il paziente può avvertire scrosci articolari o cedimenti del ginocchio, espressione di instabilità ar-ticolare. La severità delle lesioni può essere approssi-mativamente desunta dalla “limitazione del perimetro di marcia”. Nell’artrosi femoro-rotulea il quadro clini-co è dominato da dolore anteriore che compare o si accentua durante la deambulazione, in particolare su percorsi con pendenze accentuate (salite, disce-se). È sempre presente una sinovite di grado variabi-

TABELLA I. Principali cause di dolore anteriore del ginoc-chio.

Borsite prepatellare-infrapatellare

Tendinite rotulea (ginocchio del saltatore)

Tendinite prepatellare-infrapatellare

Fibrosi del corpo di Hoffa

Osteocondrosi (malattia di Osgood-Schlatter, malattia di Sinding-Larsen-Johansson)

Dolore anteriore da patologia condrale traumatica

Condromalacia patellare

Patella bipartita, rotula alta

Troclea displasica

Artrosi femoro-rotulea

Instabilità rotulea

Osteonecrosi del ginocchio

Plica sinoviale del ginocchio

Sinovite pigmentata villonodulare

Artrosinoviti

Malattia di Paget

Sindrome da dolore anteriore del ginocchio a eziopatogenesi ignota

Mal-allineamento

Lesione dei menischi e dei legamenti crociati

Fratture

Tumori ossei o sinoviali

Algodistrofia del ginocchio

Dolore riferito (epifisiolisi, coxartrosi)

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le. L’esame radiologico mostra un appuntimento delle eminenze intercondiloidee, una riduzione asimmetrica della rima articolare femoro-tibiale o femoro-rotulea, la presenza di osteofiti, sclerosi subcondrale e cisti subcondrali (geodi).Il coinvolgimento del ginocchio nell’artrite reumatoide è frequente e spesso si verifica nei primi stadi della malattia; è interessato simmetricamente il comparti-mento femoro-tibiale mediale e laterale mentre non viene interessato il compartimento femoro-rotuleo; il valgismo e l’ipotrofia muscolare sono di riscontro frequente. Il liquido sinoviale, estratto mediante artro-centesi, appare torbido e poco viscoso con coagulo mucinico friabile; nel liquido sinoviale è presente un incremento del numero dei globuli bianchi (sino a 50-60.000 elementi) con prevalenza dei granulociti neu-trofili (50-75%) e può essere presente il fattore reuma-toide. L’osteoporosi periarticolare può essere presente già nelle prime fasi della malattia, mentre le erosioni e le cisti subcondrali a livello dei margini mediale e laterale della tibia o dei condili femorali, la riduzione simmetrica della rima articolare femoro tibiale e l’ede-ma dei tessuti molli costituiscono i reperti radiologici più caratteristici della gonartrite reumatoide negli stadi più avanzati.Il ginocchio è frequentemente interessato nelle spondi-loartriti sieronegative. Circa il 30% dei pazienti con spondilite anchilosante presenta un interessamento del ginocchio nelle fasi più tardive. Le lesioni, frequen-temente simmetriche, interessano il compartimento femoro-tibiale mediale e laterale e il compartimento femoro-rotuleo. L’interessamento del ginocchio è ca-ratterizzato da una riduzione dello spazio articolare, dalla presenza di cisti subcondrali ed erosioni ossee ai margini dei condili femorali e tibiali e dalla pro-liferazione ossea in risposta al danno flogistico che si esprime con la comparsa di osteofiti irregolari, se-gni di periostite, sclerosi subcondrale. Sono rilevabili inoltre alterazioni entesopatiche e/o tendinosiche a livello del tendine rotuleo e del quadricipite femorale, borsiti e cisti di Baker.Nell’artrite psoriasica il ginocchio è interessato pre-valentemente nella variante oligo-articolare. Sono presenti una tumefazione dolente da riferire al ver-samento endoarticolare e all’edema dei tessuti pe-riarticolari, la riduzione della rima articolare che si associa a chiare alterazioni erosive inizialmente marginali e che possono estendersi alle porzioni più centrali nelle fasi tardive. I fenomeni di prolife-razione ossea sono particolarmente marcati e carat-

terizzano la malattia. La presenza di lesioni cutanee eritematodesquamanti sulla superficie estensoria dei gomiti, delle ginocchia, sulla piega interglutea, in regione periombelicare, retroauricolare, sternale, sul cuoio capelluto, o ancora la presenza delle classiche lesioni ungueali ci indirizzano facilmente verso la diagnosi.Il ginocchio è frequentemente interessato da agenti infettivi. L’agente patogeno può infettare direttamen-te il cavo articolare, ovvero può innescare un pro-cesso a distanza che colpisce l’articolazione (artrite reattiva).Il coinvolgimento del ginocchio è abbastanza fre-quente in presenza di una patologia da microcri-stalli. L’artrite presenta un esordio acuto e la cute sovrastante è calda e arrossata; i cristalli di urato mo-nosodico (aghiformi) e di pirofosfato di calcio (tozzi, romboidali) possono essere facilmente riscontrati nel liquido sinoviale all’esame con microscopia a luce polarizzata. L’artrite da cristalli di pirofosfato di cal-cio rappresenta la causa più frequente di monoartrite acuta dell’anziano e il ginocchio è l’articolazione più frequentemente colpita. La presenza di cristalli di idrossiapatite invece può essere accertata mediante la colorazione con rosso di alizarina, la microsco-pia elettronica, tecniche radioisotopiche, o mediante l’analisi della diffrazione dei raggi X. Il liquido sino-viale appare frequentemente emorragico.La condromatosi (presenza di cartilagine jalina a li-vello della membrana sinoviale del ginocchio e di corpi mobili cartilaginei), le osteocondrosi dell’apice della rotula (Sinding-Larsen-Johansson) e della tubero-sità tibiale anteriore (Osgood-Schlatter), l’osteocondri-te dissecante (alterazione della cartilagine jalina con successivo interessamento dell’osso subcondrale) del condilo femorale interno o molto più raramente del condilo femorale esterno o della superficie profonda della rotula sono spesso causa di gonalgia. La RMN e la TC sono le tecniche di elezione che documentano con precisione le caratteristiche della lesione cartila-ginea.L’osteonecrosi del ginocchio determina la comparsa di un violento, improvviso e persistente dolore del ginocchio che impedisce al paziente di fletterlo o estenderlo completamente. Spesso è la conseguenza di prolungati trattamenti steroidei, di interventi chirur-gici o artroscopici. Una diagnosi tempestiva (crollo trabecolare, sostituzione fibrosa, rivascolarizzazione) è possibile mediante RMN o TC (focolaio necrotico delimitato dal vallo osteosclerotico).

20 LA GONALGIA

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L’algodistrofia del ginocchio, caratterizzata da dolore intenso, sordo o intermittente protratto, sproporziona-to rispetto ai reperti obiettivi locali o alla gravità del trauma iniziale, può essere diffusa, localizzata all’arti-colazione femoro-rotulea ovvero può essere percepita sul lato mediale del ginocchio. Compare di norma dopo traumi o interventi chirurgici al ginocchio, dopo un’immobilizzazione protratta, dopo un programma riabilitativo troppo aggressivo; è esacerbata dai mo-vimenti attivi e passivi, dal carico, dagli stress psico-fisici, dalla palpazione; la RMN fornisce dati più ca-ratterizzanti e più precocemente in quanto è in grado di dimostrare la presenza di un’iperemia midollare che costituisce il primo momento della sindrome. In alternativa utili indicazioni vengono fornite dall’esame scintigrafico e dalla TC.La sinovite villonodulare pigmentosa è un’affezione rara di tipo flogistico, non neoplastico, della sinovia che appare ispessita, villosa, nodulare con una pig-mentazione emosiderinica. È caratterizzata da dolo-re, tumefazione, versamento.La borsite prepatellare, la borsite infrapatellare, la borsite e la tendinite della zampa d’oca, la tendinite

rotulea (ginocchio del saltatore) sono cause di gonal-gia facilmente diagnosticate mediante tecnica eco-grafica.Nella sindrome da frizione del tratto ileo-tibiale il do-lore è localizzato nel compartimento esterno del gi-nocchio a livello dell’epicondilo femorale laterale; il dolore compare dopo alcuni chilometri di corsa e si può irradiare in basso verso la tibia o lungo la fascia lata; tende a scomparire con il riposo. È una sindro-me da sovraccarico funzionale con flogosi del tratto ileo-tibiale della fascia lata che durante i movimenti ripetuti di flesso-estensione del ginocchio flesso a 30° si sposta da una posizione anteriore a una posteriore rispetto al condilo femorale.Nel cavo popliteo, l’infiammazione delle borse in-terposte tra i tendini dei muscoli gastrocnemio, semi-membranoso e semitendinoso e l’estroflessione della capsula articolare nel cavo popliteo (cisti di Baker) possono determinare la comparsa di una gonalgia, la compressione del nervo ischiatico o dei suoi rami (il nervo tibiale posteriore e il nervo ischiatico popliteo esterno), determinando la comparsa di una sintomato-logia dolorosa irradiata lungo il decorso delle termina-zioni nervose. L’indagine ultrasonografica costituisce la metodologia strumentale diagnostica di elezione.Le cisti intra-articolari (a contenuto liquido) sono in-dividuabili con la RMN e la TC nel contesto della membrana sinoviale ipertrofica per la presenza di processi displasici o infiammatori; si localizzano per lo più a livello del compartimento anteriore e del pivot centrale. Se di piccole dimensioni sono per lo più mute, ma diventano sintomatiche quando tendo-no ad accrescersi 3 6.

GONALGIE DI PREVALENTE INTERESSE ORTOPEDICOLe lesioni del menisco sono tra le cause più frequenti di gonalgia. Le lesioni traumatiche causano la comparsa di una sintomatologia acuta caratterizzata da dolore intenso localizzato e blocco articolare; le lesioni cro-niche secondarie all’inevitabile e fisologico processo di usura dell’articolazione del ginocchio determinano l’insorgenza di una sintomatologia meccanica carat-terizzata dal dolore e frequentemente da idrartro. Il menisco interno è l’elemento più vulnerabile in quanto scarsamente mobile e quindi più soggetto ad andare incontro a lesioni longitudinali soprattutto a livello del corno posteriore; il menisco laterale più mobile va più facilmente incontro a lesioni radiali o su base dege-nerativa. L’anamnesi e un accurato esame obiettivo ci

TABELLA II. Principali cause di dolore mediale del ginocchio.

Borsiti• della borsa interposta tra i fasci superficiali e profon-

di del legamento collaterale mediale o interno• zampa d’oca• semimembranoso

Lesione traumatica del legamento collaterale mediale

Lesione traumatica del menisco

Processo denerativo-cistico del menisco (menisco discoide)

Cisti sinoviale

Plica sinoviale

Apofisite tibiale

Osteocondrite dissecante

Osteonecrosi del ginocchio

Algodistrofia

Artrosi

Condrocalcinosi

Anomalie del meccanismo estensore femoro-rotuleo

Morbo di Pellegrini-Stieda

Tumori ossei o sinoviali

21Q. MELA, L. MONTALDO EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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consentono di guidare le successive indagini strumen-tali. Il sospetto diagnostico di lesione meniscale andrà quindi confermato con la RMN o con la TC in quanto molteplici sono i quadri morbosi in grado di mimare una patologia meniscale 7.Un evento traumatico in grado di determinare una le-sione dell’apparato capsulo-legamentoso associato o meno a una lesione dei legamenti crociati è in grado di determinare una grave instabilità articolare e quindi la comparsa di una gonalgia. L’anamnesi e un accurato esame obiettivo completato da test specifici (Lachman test, Jerk test, test del cassetto anteriore e posteriore) ci consentono di guidare le successive indagini strumen-tali. Il sospetto diagnostico di lesione meniscale andrà quindi confermato con la RM o con la TC 8 9.La presenza di una plica sinoviale del ginocchio (plica latero-patellare) causa frequentemente la comparsa di una gonalgia. La plica sinoviale è un setto che dalla porzione laterale del recesso sottoquadricipitale, attra-versando il polo superiore della rotula, decorre medial-mente alla rotula e contrae rapporti con la sinovia che riveste la porzione mediale del corpo adiposo di Hoffa; quando va incontro a una fibrosi perde la sua elasticità e modifica, interponendosi, la normale escursione femo-ro-patellare, determinando alterazioni di tipo condroma-lacico della faccetta mediale della rotula e della troclea femorale e quindi gonalgia. Il dolore tende a scompari-re quando il ginocchio è esteso. La RMN e la TC sono in grado di individuare con precisione la plica, mentre

l’esame radiologico tradizionale è negativo.La fibrosi del corpo di Hoffa è in grado di determinare la comparsa di una sintomatologia dolorosa anteriore. Il dato anamnestico di un intervento artroscopico o chirurgi-co (intervento di ricostruzione del crociato anteriore) e il successivo esame RM consentono una diagnosi precisa.Una lesione della cartilagine, la condromalacia pa-tellare, le affezioni dell’articolazione patello-femorale, la patella bipartita, la rotula alta, la troclea displasi-ca sono in grado di determinare la comparsa di un quadro clinico caratterizzato da dolore sulla faccia anteriore del ginocchio o sulla faccia interna della ro-tula che compare spontaneamente o durante la deam-bulazione. La RMN è in grado di caratterizzare la gravità delle lesioni cartilaginee evitando l’esecuzione di un’indagine artroscopica.La lussazione abituale, la lussazione e la sublussa-zione recidivante della rotula si associano a dolore localizzato sul margine mediale della rotula, a idrartri recidivanti (sinovite), a blocchi in estensione (i blocchi da lesione meniscale o da corpo mobile si verificano in flessione), a ipotrofia del muscolo quadricipite, a in-stabilità articolare. La diagnosi è posta sulla base del dato anamnestico, confermato dalla positività del test di Smillie. Il potenziamento del quadricipite (in par-ticolare del vasto mediale), lo stretching dei flessori e l’uso di ginocchiere sono in grado di risolvere la maggior parte dei casi.

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TABELLA IV. Principali cause di dolore posteriore del ginocchio.

Tendiniti, entesiti (bicipite femorale, gemelli mediale e laterale, popliteo)

Cisti di Baker

Tromboflebiti

Tumori ossei o sinoviali

TABELLA III. Principali cause di dolore laterale del ginocchio.

Lesione traumatica del legamento collaterale laterale

Lesione traumatica dei menischi

Processo denerativo-cistico del menisco (menisco discoide)

Cisti sinoviale

Borsiti• tratto ileo-tibiale• collaterale fibulare• tendine bicipite femorale

Osteocondrite dissecante

Osteonecrosi

Artrosi (valgismo)

Sindrome da frizione del tratto ileo-tibiale

Algodistrofia

Tumori ossei o sinoviali

22 LA GONALGIA

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EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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23EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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RIASSUNTOLa comunicazione è un importante strumento di interazione medico-paziente, mediante il quale si ricevono e trasmet-tono informazioni. La capacità di comunicare rappresenta un elemento qualificante del comportamento del medico e dei suoi collaboratori poiché una corretta informazione, veicolata da una buona capacità comunicativa, permette di creare interrelazioni ottimali ed evita la trasmissione di messaggi anomali. I parametri della comunicazione e del-l’informazione sono rappresentati dalla presenza, dall’ascolto, dai codici tecnici e comportamentali e dai rapporti interpersonali. La comunicazione rappresenta per il malato un momento di sostegno perché può toglierlo da una posi-zione di non-conoscenza e dargli risposte concrete e adeguate. La comunicazione è parte fondamentale del processo di umanizzazione della medicina che, a sua volta, si fonda anche sull’interconnessione tra assistente e assistito in un contesto umano volto a qualificare e ottimizzare il rapporto tra operatore sanitario e malato.

La comunicazione è un momento fondamentale e com-plesso della vita medica, caratterizzato da scambi re-lazionali, continui o discontinui, che consentono agli individui di entrare in rapporto di reciprocità dialettica tra loro.L’informazione si svolge essenzialmente attraverso la comunicazione, parola di derivazione latina (cum = in-sieme + munus = obbligo), che etimologicamente signi-fica obbligo a dare con diritto di ricevere, a sottolinea-re il carattere bidirezionale e dinamico del rapporto.Ogni professionista dell’arte sanitaria, attraverso la comunicazione, riceve e trasmette informazioni che hanno il potere di provocare nel soggetto informato modifiche dei comportamenti, degli atteggiamenti e delle decisioni, alcune volte di segno contrario rispetto a quello che il soggetto informante avrebbe previsto, sperato o voluto.Altre volte, poi, il tipo di messaggio informativo tra-smesso non è affidato alle parole e da queste veico-lato, ma è bensì trasmesso dai comportamenti e dagli atteggiamenti, essendo ampiamente dimostrato che si può comunicare anche tacendo in virtù dell’impiego, intenzionale o preterintenzionale, di un linguaggio non verbale.

La comunicazione è un processo composito al cui svi-luppo e alla cui realizzazione concorrono molteplici fattori che non sempre possono essere controllati e che comunque “passano”, magari sotto la forma oc-culta di messaggi subliminali.Sono molte le circostanze nelle quali, anche inco-scientemente, si comunicano informazioni che, razio-nalmente, non si volevano trasmettere, mentre altre volte non si è in grado di comunicare un adeguato messaggio informativo per pigrizia a sintonizzarsi sul giusto canale o sulla stessa lunghezza d’onda di chi ascolta; in questi casi è molto probabile che l’infor-mazione giunga o venga percepita distorta, proprio perché trasmessa con un linguaggio non pienamente o affatto compreso dall’interlocutore.Con queste premesse ben si comprende come la co-municazione, in ambito medico, debba essere costan-temente sottoposta al regolare controllo di una saggia autocritica e che tale autocritica debba riguardare in-distintamente quanti, a vario titolo, sono coinvolti lun-go il percorso che l’atto comunicativo deve compiere prima di giungere al destinatario finale.Gli operatori situati lungo l’itinerario devono mettere a disposizione, in rapporto alle specifiche caratteristiche personali, cultura, sensibilità, affabilità, educazione e disponibilità, in un mix che, cumulativamente, deve mi-rare a fornire al soggetto più debole, il paziente o i suoi parenti, un prodotto comprensibile e tranquillizzante.La capacità di comunicare rappresenta un elemento qualificante del comportamento del medico e dei suoi collaboratori poiché una corretta informazione, veico-

GIOVANNI MINISOLA

Direttore Divisione di Reumatologia, Ospedale di Alta Specializzazione “San Camillo”, [email protected]

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LA COMUNICAZIONEE IL SUO RUOLONEL RAPPORTOMEDICO-PAZIENTE Parole chiave

Comunicazione • Informazione • Compliance •Rapporto medico-paziente

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NEL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE

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EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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lata da una buona capacità comunicativa, permette di creare interrelazioni ottimali ed evita la trasmissione di messaggi anomali.La filosofia della corretta comunicazione mira da una parte a evitare di trasmettere o ricevere informazioni contraddittorie, confuse e poco chiare, che rischiano di interrompere un rapporto fiduciario, spesso preca-rio e instabile, dall’altra a far sì che l’interlocutore più debole non percepisca mai, sia pure erroneamente, una situazione di ambiguità o di incongruenza.La comunicazione medico-paziente è una relazione indispensabile per ogni cura efficace di qualsivoglia malattia, non solo reumatica; ciò nonostante il suo si-gnificato e il suo valore vengono molto spesso sotto-valutati e, quindi, il processo comunicativo non viene posto in essere, potendosi così perfino compromettere il buon esito del risultato terapeutico atteso.La comunicazione tra il medico e il suo paziente è un atto consensuale e reciproco di avvicinamento, al fine di meglio trasmettere informazioni e messaggi, rendendo così pronto e facile l’approccio e il trasfe-rimento di conoscenze. Viene così favorita un’evolu-zione di interdipendenza personale tra due individui che finiscono con l’essere cooperanti e mutuamente ricettivi. Ciò è possibile se vi è disponibilità da entram-be le parti a lasciarsi interessare e, eventualmente, modificare, al punto tale da risultare diversi al temine dell’iter conoscitivo.La comunicazione con il malato serve al medico per riconoscere lo stato di disagio da questi avvertito, spe-cie se interessato da una malattia invalidante, per me-glio interpretare i segni e sintomi dichiarati o constata-ti, potendosi per questa via giungere più agevolmente alla diagnosi esatta, e per favorire la realizzazione di quell’alleanza terapeutica che evita la diminuzione della compliance.La comunicazione, quindi, si configura come strumen-to idoneo a favorire la conoscenza privilegiata tra medico, operatori, paziente e suoi familiari, con riper-cussioni sull’andamento della malattia e sull’ambiente globalmente considerato.I parametri della comunicazione e dell’informazione sono rappresentati dalla presenza, dall’ascolto, dai codici tecnici e comportamentali e dai rapporti inter-personali.L’accettazione della presenza e dell’ascolto che la tra-smissione dell’informazione comporta toglie il paziente dalla solitudine e gli operatori dall’isolazionismo opera-tivo purché, però, sia sempre attiva la reciproca accet-tazione e la capacità di sapersi somministrare all’altro.

La comunicazione rappresenta il parametro princi-pale del processo di informazione e avviene per via verbale, attraverso le parole, e per via non verbale, attraverso il corpo, i simboli e i segni. Essa svolge numerose funzioni, tra cui l’abilità a far emergere le informazioni dall’interlocutore (maieutica), a valorizza-re messaggi apparentemente banali e ad adeguarsi ai linguaggi degli altri, stimolandone la progettualità ideativa e verbale.Il silenzio, la timidezza, lo scoraggiamento del malato devono essere sempre pazientemente accettati, anche se il silenzio può essere espressione di un rifiuto, di dif-fidenza o di atteggiamenti potenzialmente aggressivi. Generalmente il silenzio è espressione di rassegna-zione o di diffidenza verso i terzi, espressione della difficoltà di affidare ad altri la propria persona biso-gnosa.Nelle relazioni tra medico e paziente, tra medico e altri operatori dell’assistenza, tra questi ultimi e il ma-lato non si dimentichi mai che il silenzio ha una voce e una dimensione difficili talvolta da catturare ma che, se opportunamente ricercati e raccolti, possono essere più ricchi ed espressivi di qualsivoglia conversazione, salottiera o meno, più o meno protratta e profonda.L’informazione comunicata deve sempre essere perti-nente e riguardare i vari aspetti della malattia: a que-sto proposito, una particolare attenzione deve essere dedicata agli eventuali effetti, più o meno devastanti, che una malattia può aver prodotto o può potenzial-mente provocare sul corpo, inteso nell’accezione più semplice e completa del termine.In questo contesto non può non sottolinearsi la po-tenzialità invalidante di molte affezioni reumatiche, specie quando interessano soggetti ancora giovani e in piena attività lavorativa. Il corpo è fonte di simbo-lismi e di gestualità altrettanto eloquenti della parola. Il corpo ha una frontiera, la cute, talvolta coinvolta in alcune importanti malattie reumatiche che compromet-tono l’aspetto esteriore del paziente. La comunicazio-ne, soprattutto in tali casi, deve mirare a rassicurare e a fare accettare la menomazione o, se possibile, a farla ignorare.Il tempo dedicato è un altro parametro regolatore es-senziale della comunicazione e domina il rapporto reciproco in modo significativo. Strettamente correlati al parametro tempo sono i concetti di superficialità e rapidità da una parte e quelli contrari di precisione e approfondimento dall’altra.Ben sappiamo quanto il tempo passi velocemente e come spesso abbia per gli operatori tutti una caratte-

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rizzazione economica che per molti è prevalente. Ma la velocità del tempo è un elemento che non interessa il paziente, il quale vuole gli operatori tutti per sé e non intende comunicare con loro condizionato dai li-miti cronologici che gli operatori stessi impongono.È appena il caso di ricordare che bastano 5-10 minuti in più per comunicare al paziente informazioni più precise, accurate e soddisfacenti e per fornire agli operatori spunti e dettagli informativi più esatti e com-pleti, in grado eventualmente di influenzare positiva-mente tutte le attività diagnostiche e terapeutiche di loro specifica competenza. Così facendo, conceden-do cioè più spazio al colloquio e alla reciproca infor-mazione, si può ottenere quel risultato meraviglioso di vedere trasformato un incontro informativo in una vera e propria alleanza terapeutica.Se il medico è convinto della necessità, oltre che del-l’opportunità, di dover fare eseguire indagini o trat-tamenti di particolare natura e che possono risultare fastidiosi o addirittura pericolosi e dolorosi, deve infor-mare il paziente anche degli aspetti tecnici, al fine di ottenere il consenso responsabile e informato.In questo ambito si inserisce la più vasta problemati-ca del consenso informato, che può essere concesso solo se alla base vi è un’adeguata informazione che abbia passato in rassegna tutti gli aspetti sanitari, etici e bioetici della vicenda in corso.La prassi del medico e di tutti gli operatori deve avva-lersi contemporaneamente di un codice tecnico e di un codice relazionale.Il primo si basa su reperti obiettivi, su strumenti, su do-cumenti acquisiti dal paziente. Gli operatori, nell’esa-minare una documentazione clinica, devono tenere sempre presente che non è con tale documentazione che si deve intrattenere una relazione, ma con il mala-to, il quale concede la documentazione per informare ed essere informato.Il codice relazionale attiene al rapporto interpersona-le, orientato e ispirato da modelli psicologici ben de-finiti. Si tratta di una relazione centrata sulla persona, e proprio per questa più personalizzata e animata da una partecipazione comunicativa e informativa molto intensa sotto il profilo ideo-emotivo.Il processo comunicativo ha molto spesso come ogget-to principale di discussione la terapia, ovvero il farma-co, che può essere inteso dal malato come elemento, talvolta unico, di transazione informativa.L’informazione sul farmaco è un momento di grande rilievo della relazione medico-operatori sanitari giac-ché è forse la principale struttura portante del rapporto

tridirezionale medico-operatore-paziente, anche se in questo campo è il rapporto medico-paziente a essere prevalente e a dominare la scena.Mediante il farmaco il medico mantiene una forma di comunicazione quasi costante con il malato e instaura con questi un tipo di rapporto del tutto particolare in cui, accanto a elementi verbalmente espressi, viene lasciato ampio spazio a possibili ritualità, simboliz-zazioni e fantasie, che possono assumere anche gli aspetti di atti liturgici.Il farmaco può rappresentare l’unico elemento di scambio informativo tra medico e paziente, ed è pro-prio questo lo scenario in cui maggiormente la comu-nicazione e l’informazione si integrano tra loro e sono l’una dall’altra dipendenti.Il medico deve sempre comunicare al malato che è suo preciso intendimento somministrare il farmaco nel-la minor misura possibile e per il tempo strettamente necessario, e che è consapevole dell’efficacia e degli effetti collaterali che il farmaco in questione può de-terminare.Senza comunicazione adeguata e informazione com-pleta, peraltro, ogni forma di indagine diagnostica o di trattamento si configura come un momento astratto, manipolato e manipolabile. In tal caso l’indagine e il trattamento rischiano di essere accettati passivamente e con rassegnazione, piuttosto che configurarsi come strumenti attivi ed efficaci dell’intervento assistenzia-le, riconosciuti come tali dal paziente nell’ambito di quel processo di coinvolgimento motivato che deve sempre vedere il malato interprete del ruolo di attore principale.Circa le modalità della comunicazione, gli operatori devono fare in modo che questa non sia didattica, né direttiva o impositiva, poiché il malato in tali circostan-ze tende a reagire con resistenza o reticenza.Il personale deve sempre dare l’impressione di esse-re sensibile, evitando atteggiamenti o espressioni che possono nascondere o fare intendere asetticità, enfasi o narcisismo.Quando il malato viene informato osserva e sente su-bito la qualità dell’informazione. È pertanto necessa-rio mantenere sempre aperta la porta del colloquio per dare risposte tempestive alle richieste, specie se queste riguardano l’area della prognosi quoad valetu-dinem e quoad functionem.Il personale di assistenza deve sempre ricordare che le informazioni più vantaggiose sono sempre quelle più convincenti e viceversa, e che la presentazione di qualsiasi progetto, sia esso diagnostico o terapeutico,

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deve essere sempre vista dall’interessato come van-taggiosa quanto a programma e convincente quanto a risultati attesi.In caso di malattia, specie se invalidante, anche la famiglia è esposta a disagio e sofferenza per le ri-percussioni dell’infermità sul fisico e sulla psiche dei suoi cari.È questo uno degli aspetti più rilevanti del più ampio ambito sociale in cui si inseriscono le problematiche delle malattie che causano danni estetici e limitazioni funzionali, come quelle reumatiche. Pertanto, la co-municazione delle informazioni può riguardare non soltanto il malato, ma anche coloro che con il malato stesso intrattengono rapporti ravvicinati, siano essi di tipo familiare, lavorativo o ricreazionale.Per quanto riguarda la dinamica della comunicazione alla famiglia, occorre fare alcune considerazioni.Nel nucleo familiare si svolge una serie di fenomeni dinamici legati alla sofferenza di un membro colpito da malattia, che possono modificare gli atteggiamen-ti degli altri membri attraverso atteggiamenti reattivi e che possono fare emergere situazioni di disagio o disturbi di carattere preesistenti o latenti. Il medico è spesso il primo a percepire tali situazioni, sia sponta-neamente sia a seguito di specifica informazione; in tali casi la preparazione professionale e l’etica com-portamentale sono determinanti nel governarle.Un’alleanza positiva tra la famiglia e il terapeuta ba-sata sull’appropriatezza della comunicazione e sulla correttezza dell’informazione contribuisce all’accetta-zione da parte della famiglia di situazioni precarie e svolge un ruolo di primaria importanza in ambito sociale.Quando vengano offerti adeguati meccanismi di so-stegno e di consenso sociale attraverso mezzi idonei di informazione, la famiglia può riassumere in modo convincente un ruolo forte e positivo soprattutto nelle situazioni cliniche caratterizzate da forte compromis-sione della funzione e dell’estetica.La comunicazione rappresenta per il malato anche un momento di sostegno, perché può toglierlo da una posizione di non-conoscenza e dargli risposte concre-te e adeguate relativamente all’interrogativo che più di altri affligge il paziente: è possibile guarire, e con che tempi?In questo perimetro operativo si colloca il segreto pro-fessionale, requisito essenziale per il mantenimento del rapporto con i caratteri della confidenzialità e del-la fiducia. Un medico che comunica e informa onesta-mente, correttamente, confidenzialmente può essere il

referente del malato per molti anni e la comunicazione e l’informazione costituire la fonte di ogni ulteriore pro-gresso conoscitivo.Il successo di ogni operazione sanitaria è sempre più nelle mani del medico e di quanti con lui collaborano nella gestione del caso clinico. Se si rispettano i cano-ni deontologici ed etici, l’informazione entra nella vita della comunità medica e del paziente con il valore di mezzo terapeutico efficace e appropriato.La comunicazione, in quanto tale, è parte fondamen-tale del processo di umanizzazione della medicina che, a sua volta, si fonda anche sull’interconnessione tra assistente e assistito in un contesto umano volto a qualificare e ottimizzare il rapporto tra operatore sanitario e malato.L’umanizzazione è una risorsa fondamentale della sa-nità che costituisce il baluardo inalienabile cui si deve tendere per dare più rispondenza a qualsiasi attesa, compresa quella derivante dalla terapia. Essa, l’uma-nizzazione, non può offrire il risultato auspicabile se non dovesse riuscire a stabilire con il paziente un con-tatto essenziale, mediato dalla comunicazione, tanto utile all’andamento favorevole di qualsiasi terapia e tanto importante nella relazione con il personale di assistenza.Il processo di umanizzazione, del quale la comuni-cazione rappresenta una componente rilevante, deve riguardare tutto il complesso delle figure che entrano in contatto con il paziente: i medici, il personale che presta la propria opera dietro uno sportello per il pub-blico, servendosi magari di un computer per regolare l’iter burocratico della pratica amministrativa, e quello che svolge il proprio lavoro nelle corsie, negli ambu-latori, nelle apposite sezioni di ricerca e studio, in ausilio del medico con il quale condivide tensioni e responsabilità.Con la parcellizzazione della medicina moderna e delle sue specializzazioni, nonché con l’acquisizione costante delle nuove tecnologie e delle relative attrez-zature, acquisiscono un’importanza sempre maggiore gli istituti della formazione e dell’aggiornamento, non solo di tipo tecnico-operativo, ma anche riferiti alla formazione su come erogare informazione e sull’im-portanza di quest’ultima.È importante ricordare che ogni paziente, a qualsiasi erogatore di assistenza acceda, dopo il primo contatto con il medico ha un successivo impatto con personale non medico, contatto che durante la sua permanenza in ospedale è più stretto e prolungato rispetto a quello che caratterizza la sua relazione con il medico e che

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rappresenta, in molti casi, l’anello di congiunzione tra il mondo interno e quello esterno per qualsiasi esigen-za di ordine sanitario e psico-individuale. Da qui la necessità di formare persone che sappiano comunica-re con criteri di professionalità.La comunicazione deve far migliorare l’assistenza nella sua globalità ma la sua caratterizzazione non può essere lasciata all’inventiva del singolo e deve seguire percorsi concordati tra quanti sono deputati a individuarli. Solo così si evita di trasformare l’infor-mazione in disinformazione, solo così si contribuisce a far uscire il malato dallo stato di frustrazione nel quale la malattia sovente lo riduce e che può essere accentuato proprio dalla mancanza di comunicazioni sulla sua condizione.Poiché molte delle nostre relazioni professionali sono basate sulla comunicazione, in un momento in cui fioriscono, forse in eccesso, linee guida per tutto e per tutti, sono verosimilmente opportune linee guida per una comunicazione efficace; ciò permetterà di far giungere in maniera completa i messaggi anche a coloro con i quali è difficile comunicare e che so-vente, in ragione del loro modo di porsi o dei loro atteggiamenti, provocano reazioni emotive e istintive che impediscono di stabilire e mantenere un rapporto calmo, sereno ed equilibrato.Sulla base di quanto esposto, possono quindi essere identificati e proposti i seguenti dieci punti di riferimen-to, o regole:1. sapere aspettare il momento giusto per comuni-

care;2. sapere ascoltare attentamente e attivamente la

controparte;3. cercare di non trasmettere informazioni “non ver-

bali”;4. essere (o almeno dimostrarsi) sempre disponibili

a comunicare;5. evitare atteggiamenti di superiorità;6. evitare il gergo professionale;7. usare un linguaggio adeguato all’interlocutore;8. fornire dati reali;

9. modulare il contenuto emozionale dell’infor-mazione;

10. se necessario, riformulare pazientemente l’infor-mazione.

Il rispetto di tali regole è alla base della correttezza e dell’efficacia della comunicazione.

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MANIFESTAZIONI CARDIOVASCOLARISintomi cardiovascolari possono presentarsi in qua-si tutte le malattie reumatiche infiammatorie sistemi-che. Ad eccezione del lupus eritematoso sistemico (LES), tali manifestazioni non rappresentano gene-ralmente l’esordio della patologia reumatica.Nella Tabella I sono riportate le principali manife-

stazioni cardiovascolari e la loro relativa frequen-za nelle malattie autoimmuni sistemiche.

Lupus eritematoso sistemicoIl LES può essere associato a impegno di tutte le strut-ture cardiache: pericardio, endocardio, miocardio, arterie coronariche e tessuto di conduzione, con una prevalenza complessiva superiore al 50% 1.

FRANCESCO LOMBARDINI, GIANLUIGI PALOMBI,CLAUDIO VITALI

U.O. Medicina Interna e Sezione di Reumatologia,Ospedale “Villamarina”, Piombino (LI)[email protected]

RIASSUNTO“CONOSCI IL LUPUS, CONOSCI LA MEDICINA INTERNA”Tale aforisma ben descrive il rapporto tra le malattie reumatiche e le patologie di interesse internistico. Si definiscono infatti, malattie reumatiche le condizioni morbose che determinano disturbi dell’apparato locomotore e in generale del tessuto connettivo, struttura onnipresente in tutti gli organi e apparati.Per molti anni è stata opinione comune che i cosiddetti “reumatismi” interessassero quasi esclusivamente le articolazio-ni. Solo negli ultimi anni, grazie anche a una maggiore conoscenza dei meccanismi eziopatogenetici e immunopa-tologici che sono alla base dell’insorgenza e dello sviluppo delle patologie del connettivo, la Reumatologia ha visto riconosciuto un ruolo centrale nell’ambito della Medicina Interna.Esempio paradigmatico è rappresentato dal lupus eritematoso sistemico (LES), il cui quadro anatomopatologico e clinico è contrassegnato dall’impegno di molti organi e apparati, tra i quali spiccano il sistema muscolo-scheletrico, il rene, il sistema nervoso, l’apparato cardiovascolare, il polmone e il sistema ematopoietico, tale da giustificare l’appel-lativo “sistemico”. Tale impegno multiorgano richiede non solo una competenza strettamente specialistica in relazione all’organo interessato, ma soprattutto quella visione di insieme che consenta un più ampio inquadramento diagnostico e terapeutico che è patrimonio soprattutto della Medicina Interna.Considerato il grande numero delle malattie reumatiche con i relativi impegni d’organo e apparato, si è deciso di trattare, in questa sintetica review, solo le manifestazioni internistiche delle malattie autoimmuni sistemiche.

TABELLA I. Principali manifestazioni cardiovascolari in corso di malattie reumatiche autoimmuni.

AR LES ScS SSj PM/DMImpegno pericardico + +++ + +- +

Impegno miocardico +- ++ ++ +- +

Impegno endocardico +- ++ + +- +-

Coronarite + + +- +- +-

Aterosclerosi accelerata ++ ++ +- + +-

Sindrome da aPL + +++ + + +

Parole chiaveManifestazioni extra-articolari • Malattie sistemiche

autoimmuni

ASPETTI INTERNISTICIDELLE MALATTIE REUMATICHE

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La pericardite è una delle manifestazioni di malattia più caratteristiche del LES; compare più frequentemen-te all’esordio della malattia oppure durante le fasi di riacutizzazione, e spesso è accompagnata da una pleurite concomitante.Le alterazioni anatomopatologiche sono quelle di una pericardite acuta sierosa o sierofibrinosa, clinicamen-te indistinguibile da una pericardite acuta virale o idiopatica, mentre nella pericardite cronica prevale l’aspetto fibroso. Le complicazioni della pericardite, come il tamponamento cardiaco o la pericardite co-strittiva, sono eventi rari.Le alterazioni più caratteristiche dell’endotelio valvo-lare cardiaco sono rappresentate da piccole vegeta-zioni presenti esclusivamente sulle valvole mitralica e aortica, che prendono il nome di “endocardite verru-cosa” o endocardite di Libman-Sacks. Sono state fatte due ipotesi patogenetiche per spiegare la loro forma-zione: 1) la presenza di anticorpi anti-fosfolipidi che si legano all’endotelio, con aggregazione piastrinica e formazione di trombi; 2) la deposizione di immu-nocomplessi tra endotelio e membrana basale, con infiltrazione di cellule infiammatorie.Clinicamente l’endocardite verrucosa è generalmente asintomatica, ma può generare insufficienza valvola-re lieve o moderata. Le complicazioni sono rare, ma è possibile che si verifichino eventi embolici, oppure che la patologia valvolare si complichi con un’endo-cardite infettiva.Raramente la miocardite acuta viene diagnosticata clinicamente, anche se è presente in più dell’80% dei pazienti all’autopsia. Usualmente si tratta di forme lievi, che non causano una significativa disfunzione ventricolare, ma probabilmente è molto frequente un interessamento sub-clinico.Le alterazioni istopatologiche sono molto caratteristi-che, con piccoli foci di necrosi fibrinoide accompa-gnati da infiltrati di plasmacellule e linfociti. I segni e i sintomi della miocardite lupica, come del resto la pericardite, sono indistinguibili da miocarditi di altra natura, come quelle virali, e come queste possono progredire verso una cardiopatia dilatativa con insuf-ficienza cardiaca.La frequenza di una coronaropatia nei pazienti con LES è inferiore al 10%. Istologicamente, si riscontra-no due quadri anatomopatologici principali: 1) infarti transmurali legati alla presenza di placche ateroscle-rotiche dei tre principali vasi coronarici extramurali, e più raramente a fenomeni embolici; 2) piccole aree di necrosi adiacenti a piccoli rami coronarici intramurali

il cui lume appare ristretto da un infiltrato di cellule infiammatorie che contraddistinguono una vasculite coronarica.Clinicamente le manifestazioni sono identiche alla cardiopatia ischemica classica, con angina pectoris, infarto miocardico con sopraslivellamento ST (STEMI) o non-STEMI e morte improvvisa. Pertanto la distinzio-ne tra aterosclerosi e vasculite coronarica è difficile, ma molto importante per il trattamento da attuare.Generalmente un’ischemia miocardica dovuta a una vasculite è più frequente in soggetti giovani con ma-lattia attiva, spesso di recente insorgenza, ed è relati-vamente rara. L’ischemia legata a processi ateroscle-rotici, che sono comunque più precoci e severi nei pazienti affetti da LES, piuttosto che nella popolazione normale, colpisce pazienti affetti da malattia di lunga durata.Aritmie e disturbi della conduzione possono verificarsi in pazienti con LES affetti da miocardite o come eventi clinici isolati. Una compromissione del sistema di con-duzione può manifestarsi con blocchi di branca di I, II e III grado, che possono risolversi con l’utilizzo di steroidi ad alte dosi.La sindrome da antifosfolipidi (APS) è una sindrome autoimmune, caratterizzata da uno stato trombofilico che si manifesta con trombosi arteriose e/o venose e aborti spontanei, e si associa alla presenza di anticor-pi anti-fosfolipidi (aPL). L’APS è una condizione spesso associata a LES e più raramente ad altre connettiviti. Si può tuttavia presentare come forma isolata, idio-patica.Le manifestazioni trombotiche arteriose o venose pos-sono colpire qualsiasi distretto, con frequenza diversa e con manifestazioni cliniche differenti. Le trombosi venose degli arti inferiori sono le più frequenti, ma sono state descritte anche trombosi a carico della vena cava inferiore, delle vene renali o delle vene sovraepatiche, con sindrome di Budd-Chiari.Attacco ischemico transitorio (TIA) o stroke sono le manifestazioni più frequenti della trombosi arteriosa, ma possono essere interessati anche i vasi corona-rici, con conseguente sindrome coronarica acuta, e i vasi polmonari, con conseguente ipertensione pol-monare. L’ipertensione polmonare può anche essere conseguente a microembolie ripetute, a partenza da trombosi delle vene profonde.

Sclerosi sistemicaLa sclerosi sistemica (ScS) è una malattia del connettivo caratterizzata da un grado variabile di impegno cuta-

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neo e viscerale. L’impegno cardiaco è considerato attual-mente una delle complicazioni più frequenti e capace di influenzare la prognosi generale di questa malattia 2.Il danno cardiaco deriva dalle alterazioni patogeneti-che generali tipiche della ScS: alterazioni microvasco-lari e iperproduzione di collageno per iperattività dei fibroblasti. Una variabile combinazione di queste al-terazioni porta a lesioni infiammatorie microvascolari di tipo infiammatorio, e successivamente fibrotico, che coinvolgono il pericardio, il miocardio e soprattutto il sistema di conduzione cardiaco.Una pericardite, acuta o cronica, può svilupparsi nei pazienti con ScS, anche se è relativamente poco fre-quente. Le principali manifestazioni cardiache nella ScS sono conseguenza della fibrosi, detta patchy fibro-sis che, nelle forme avanzate, determina una disfunzio-ne diastolica. Di rado diviene clinicamente evidente ma può essere rilevata allo studio ecocardiografico. Altra conseguenza dell’interessamento fibrotico del muscolo cardiaco è rappresentata dai disturbi della conduzione e del ritmo, alterazione tipica della cardiopatia scle-rodermica. Lo spettro delle alterazioni rilevabili da un ECG Holter è molto ampio: alterazioni asintomatiche come un prolungamento del PR e blocchi fascicolari; alterazioni più importanti come blocchi atrio-ventrico-lari di grado elevato. Le aritmie sopraventricolari, e in particolare le tachicardie sopraventricolari, sono le alte-razioni del ritmo riscontrate più frequentemente, mentre aritmie ventricolari, incluse extrasistoli multifocali o run di tachicardia ventricolare, sono riscontrate più rara-mente; la presenza di queste ultime alterazioni è però correlata a un rischio significativo di morte improvvisa.

Artrite reumatoideUna pericardite acuta o cronica, e meno frequente-mente costrittiva, può complicare anche il decorso dell’artrite reumatoide (AR), soprattutto delle forme con impegno articolare erosivo e più grave, positività del fattore reumatoide e presenza di noduli reumatoidi. Un’arterite coronarica può manifestarsi anche nella

AR, ma è un evento raro che si osserva generalmente nei pazienti con malattia più aggressiva.In questi ultimi anni vari studi hanno evidenziato un incremento di morbilità e mortalità cardiovascolare nei pazienti con AR, rispetto alla morbilità e mortalità cardiovascolare da aterosclerosi in pazienti di pari sesso ed età 3. La patogenesi dell’aterosclerosi nella AR, che possiamo definire “accelerata”, è complessa, e ci sono evidenze sempre più numerose che accanto ai tradizionali fattori di rischio cardiovascolare sia-no implicati nuovi fattori. Un abnorme metabolismo dell’omocisteina, favorito dall’utilizzo terapeutico del metotrexato, è stato evocato tra i fattori di rischio di aterosclerosi.Di particolare interesse sono gli effetti che l’infiamma-zione cronica e la disregolazione del sistema immune, associati alla disfunzione endoteliale, esercitano sull’in-stabilità della placca aterosclerotica e che sono i prin-cipali imputati dell’aumento di incidenza degli eventi cardiovascolari acuti osservato in questa malattia.

Polidermatomiosite-dermatomiositeLa manifestazione cardiaca più frequente della polimiosite/dermatomiosite (PM/DM) è la mio-cardite. Sebbene un impegno cardiaco manifesto sia raro nei pazienti con PM/DM, manifestazioni subcliniche sono molto frequenti e secondarie alla miocardite. Queste sono rappresentate da insuffi-cienza cardiaca e anomalie della conduzione e del ritmo che – seppur sottostimate – possono co-stituire una delle maggiori cause di morte in questa malattia.

APPARATO RESPIRATORIOIl sistema respiratorio, in tutte le sue componenti ana-tomiche, è coinvolto frequentemente nelle malattie reumatiche a patogenesi autoimmune. La frequenza, la presentazione clinica, la prognosi e la risposta al trattamento variano in base al tipo di disordine polmo-nare e alla connettivite di base 4 (Tab. II).

TABELLA II. Principali manifestazioni polmonari in corso di malattie reumatiche autoimmuni.

AR LES ScS SSj PM/DMImpegno pleuritico ++ +++ + +- +-

Impegno parenchimale ++ ++ ++ + +-

Impegno interstiziale ++ ++ +++ ++ ++

Ipertensione polmonare ++ ++ +++ + +

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Lupus eritematoso sistemicoLa pleurite interessa circa il 50% dei pazienti, anche se studi autoptici hanno dimostrato presenza di inte-ressamento pleurico nel 93% dei casi di LES. La pleu-rite, non raramente, costituisce la manifestazione di esordio della connettivite. Dal punto di vista clinico, il paziente presenta dolore toracico, dispnea, tosse e febbre. La pleurite può essere mono- o bilaterale, senza versamento o con un essudato, di lieve o media entità, ma raramente massivo. L’essudato è in genere sieroso, con la predominanza di neutrofili o monociti. La pleurite lupica è molto sensibile alla terapia steroi-dea anche a basso dosaggio.La polmonite acuta lupica è una manifestazione piutto-sto rara (1-4%). L’esordio clinico è aspecifico, caratte-rizzato da tosse, dispnea e febbre. Il radiogramma del torace e la TC mostrano infiltrati alveolari aspecifici, mono- o più spesso bilaterali, presenti soprattutto alle basi. La polmonite lupica è una manifestazione po-tenzialmente letale e richiede trattamento aggressivo, utilizzando in genere dosaggi elevati di steroidi e.v. o, in caso risposta insufficiente, immunosoppressori.La polmonite interstiziale cronica, più frequente della forma acuta, è l’interstiziopatia tipica che si riscontra anche in altre connettiviti. È caratterizzata da infiltrati, più addensati alle basi, con l’aspetto alla TC, inizial-mente, a “vetro smerigliato” e, in caso di evoluzione, verso la fibrosi, a “favo di ape”. Il reperto clinico ca-ratteristico è rappresentato da un’insufficienza ventila-toria di tipo restrittivo.Tipico del LES, ma raro, è lo shrinking lung, in cui è presente un’insufficienza respiratoria restrittiva in as-senza di alterazioni parenchimali. Sebbene non sia ancora chiara l’eziopatogenesi, la sindrome è cau-sata da una disfunzione del muscolo diaframma che, in questa manifestazione patologica, è caratteristica-mente sollevato e presenta una ridotta capacità di escursione.L’ipertensione polmonare è una complicanza ben nota in corso di LES. È clinicamente simile all’ipertensione polmonare idiopatica, anche se presenta una mortali-tà più alta. Le cause dell’ipertensione polmonare non sono note, anche se è frequentemente associata alla presenza di anticorpi antifosfolipidi per cui è ipotizza-bile una genesi tromboembolica.

Sclerosi sistemicaIl coinvolgimento polmonare nella sclerosi sistemica è molto comune. Le complicanze polmonari costituiscono la principale causa di morte nella ScS. Un’interstiziopa-

tia con evoluzione verso la fibrosi è caratteristica della ScS e interessa fino al 75% dei pazienti, sia nella va-riante limitata sia nella forma diffusa. La manifestazione è in genere progressiva e ingravescente ed esordisce entro i primi 2 anni di malattia. Dal punto di vista fun-zionale è caratterizzata da una progressiva compro-missione della funzione ventilatoria di tipo restrittivo. La TC del torace ad alta risoluzione rappresenta il gold standard nella diagnosi dell’interstiziopatia in corso di sclerodermia ed è caratterizzata da un tipico aspetto a “vetro smerigliato”, osservabile soprattutto alle basi, che evolve, in fase fibrotica, verso l’aspetto a favo d’ape.L’ipertensione polmonare, che spesso si osserva in cor-so di ScS, può essere conseguenza della fibrosi, ma, in assenza di fibrosi, è imputabile a un fenomeno di Raynaud del circolo polmonare.Nei paziente sclerodermici è stata dimostrata un’in-cidenza 16 volte maggiore del tumore del polmone rispetto a soggetti sani. La neoplasia polmonare inte-ressa circa il 4% degli affetti da sclerosi sistemica e in genere compare in pazienti con fibrosi polmonare e non è in relazione con il fumo di tabacco.

Sindrome di SjögrenNella sindrome di Sjögren (SSJ) sono descritti casi di interstiziopatia polmonare comuni a tutte le connet-tiviti, ma a evoluzione più lenta verso l’insufficienza respiratoria. Inoltre la compromissione esocrina delle ghiandole dell’epitelio bronchiale può determinare quadri di bronchite a carico delle grandi e piccole vie respiratorie con compressione della fase espiratoria, fasi di intrappolamento aereo e possibile evoluzione verso una forma di tipo ostruttivo.

Artrite reumatoideNell’artrite reumatoide può essere presente una pleu-rite che in genere decorre in maniera asintomatica o può manifestarsi con dispnea e dolore toracico.I noduli reumatoidi polmonari sono l’unica lesione spe-cifica osservata nel polmone reumatoide. Dal punto di vista istologico i noduli polmonari sono simili a quelli osservati nel sottocutaneo. Sono presenti più frequen-temente nei lobi medio-superiori e nella zona sub-pleu-rica. Prevalgono nel sesso maschile e nell’artrite reu-matoide con elevati livelli sierici di fattore reumatoide. In genere i noduli reumatoidi sono asintomatici, ma la loro evidenziazione necessita di approfondimento diagnostico per differenziarli da eventuali lesioni tu-morali o focolai infettivi. Raramente vanno incontro a cavitazione o a flogosi acuta.

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Una forma particolare di pneumopatia nodulare è la sindrome di Caplan, caratterizzata da noduli multipli tendenti alla confluenza, associati a pneumoconiosi. La sindrome di Caplan è osservata in pazienti affetti da AR, soggetti a lunga esposizione al carbone, al silice e all’asbesto.Una fibrosi interstiziale polmonare diffusa è osservata in circa 1/4 di pazienti affetti da AR. Dal punto di vista clinico è simile alla fibrosi polmonare idiopatica. Colpisce maggiormente il sesso femminile ed è gene-ralmente correlata alle forme sieropositive a impronta vasculitica. È in genere lieve, tuttavia la rara forma severa è particolarmente temibile in quanto causa di ipertensione polmonare, ed è segno prognostico ne-gativo.

APPARATO GASTROINTESTINALELe manifestazioni gastrointestinali in corso di malattie reumatiche autoimmuni sono variegate e comprendo-no sia il coinvolgimento diretto dei visceri legato alla malattia di base, sia la patologia iatrogena, secon-daria all’assunzione cronica di farmaci antireumatici. In questo secondo caso una trattazione a parte meri-terebbe la patologia gastrointestinale da farmaci an-tinfiammatori non steroidei (FANS), che costituisce da sola una problematica di enorme rilevanza, non solo medica ma anche sociale, per gli alti costi, sia diretti sia indiretti, che gravano sulla collettività.

Lupus eritematoso sistemicoIn circa il 5% dei casi si può osservare disfagia ed esofagite, in analogia a quadri simili descritti in al-tre connettiviti. L’interessamento dell’esofago è spesso associato alla presenza di fenomeno di Raynaud, so-prattutto nelle forme overlap con la sclerosi sistemica.Molti pazienti lamentano una dispepsia e nausea associata all’attività di malattia, senza evidenza di patologia gastrointestinale. Tali manifestazioni posso-no essere espressione di lieve flogosi peritoneale, di vasculite gastrointestinale o secondaria all’assunzione dei farmaci. La gastrite e l’ulcera peptica, così come quadri di enterite e colite, sono in genere di natura iatrogena, molto più raramente espressione di una va-sculite. L’interessamento del pancreas è estremamente raro, ma gravi pancreatiti in corso di malattia lupica sono state descritte in molti report.

Sclerosi sistemicaIl coinvolgimento esofageo interessa fino al 90% dei pazienti sclerodermici. Alla base di tale manifestazio-

ne vi è la sostituzione della muscolatura liscia della parete esofagea con tessuto fibrotico e conseguen-te ipotonia progressiva e ingravescente del viscere e riduzione della peristalsi. Tale quadro patologico si manifesta clinicamente con disfagia, inizialmente solo per cibi solidi e successivamente anche per cibi liqui-di. La porzione distale dell’esofago è la più colpita e spesso tale disordine è associato a un’incontinenza dello sfintere esofageo con conseguente esofagite. La fase più avanzata è caratterizzata da atonia del visce-re con dilatazione e megaesofago.L’interessamento dell’intestino è più raro. Le lesioni descritte sono analoghe a quelle esofagee e sono caratterizzate da fibrosi intestinale che comporta una riduzione della peristalsi, distensione delle anse, pro-liferazione abnorme della flora batterica saprofita e sviluppo di malassorbimento. L’enteropatia scleroder-mia può decorrere in maniera asintomatica, nei casi più lievi, oppure manifestarsi con diarrea, dolore ad-dominale, vomito fino a sintomi più rilevanti, legati a sindromi pseudo-ostruttive croniche. L’atrofia della muscolatura liscia dell’ileo e del colon possono essere responsabili di diverticoli ad ampio accesso, caratteri-stici di questa connettivite. Una disfunzione anorettale può essere causa di problemi di evacuazione anche se, in casi più gravi, può essere responsabile di incon-tinenza e prolasso rettale.

FEGATOUn’ampia varietà di malattie reumatiche può coinvol-gere il fegato con frequenza e modalità diverse 5. È quindi importante per il reumatologo monitorare perio-dicamente gli esami di funzionalità epatica non solo per controllare gli eventuali effetti collaterali della tera-pia sul fegato, ma anche al fine di evidenziare l’even-tuale insorgenza di epatopatia associata alle malattie autoimmuni.

Lupus eritematoso sistemicoIl coinvolgimento epatico nel LES non è molto frequen-te, sebbene epatomegalia sia riscontrabile spesso in questi pazienti, con un’incidenza che varia dal 12 al 55%. Nessuno studio ha specificato le cause che determinano l’epatomegalia nei pazienti affetti da LES. In genere il quadro patologico più comune che si riscontra è una steatosi che può essere legata alla patologia autoimmune di fondo o più frequentemente associata all’uso di farmaci, soprattutto FANS.L’alterazione epatica più frequente nel LES è rappre-sentata dall’innalzamento degli indici enzimi di citolisi

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e di colestasi. Tali alterazioni sono generalmente as-sociate all’attività di malattia o secondarie all’utilizzo di farmaci.L’epatite autoimmune, definita in passato lupoide per la presenza di anticorpi anti-nucleo e di alcuni sinto-mi sistemici che potrebbero evocare il LES, è oggi considerata un’entità nosologica a sé stante e definita epatite autoimmune di tipo I. La sua associazione con il vero LES è evento raro.

Artrite reumatoideAlterazioni degli esami di funzionalità epatica si ri-scontrano in circa il 6% di pazienti affetti da artrite reumatoide e consistono essenzialmente in un innalza-mento degli enzimi epatici, soprattutto fosfatasi alcali-na e gamma GT.Uno studio su reperti autoptici epatici di pazienti affetti da AR, alcuni dei quali con indici della funzione epati-ca nella norma, ha evidenziato alterazioni istologiche nel 65% dei casi, consistenti in un’epatite “reattiva” nel 46% dei casi e una steatosi nel 22%.

RENEIl coinvolgimento renale nelle malattie reumatiche è relativamente comune e può avere importanti implica-zioni sia sul piano clinico sia sul decorso della malattia reumatica 6. È essenziale tener presente che l’interes-samento renale può essere clinicamente silente per cui è necessario monitorare la funzionalità renale periodi-camente, in corso di malattie sistemiche autoimmuni. La malattia sistemica autoimmune che maggiormente coinvolge il rene è il LES. Tuttavia, potenzialmente tutte le malattie reumatiche autoimmuni, compresa la scle-rodermia e l’artrite reumatoide, possono essere asso-ciate a danno d’organo renale (Tab. III).Un capitolo a parte meritano le nefropatie iatrogene che spesso si osservano in corso di trattamento delle malattie reumatiche, in primo luogo secondarie a trattamento con FANS, ma che possiamo osservare, non di rado, anche in corso di terapia con immunosoppressori.

Lupus eritematoso sistemicoLa nefropatia lupica è una delle principali manifesta-zioni cliniche in corso di LES.In una review di circa 1000 pazienti affetti da LES, circa il 16% presentava impegno renale all’esordio, mentre più della metà sviluppava nefropatia durante il corso della malattia 7. Secondo altri report, l’interessa-mento renale varia dal 25 al 65% dei pazienti affetti da LES, con un maggiore interessamento dei pazienti più giovani. Alterazioni renali sarebbero dimostrabili al microscopio elettronico e all’immunofluorescenza in quasi il 100% dei casi.La nefropatia lupica presenta vari quadri clinico-pa-tologici che differiscono tra di loro per tipo e gravità anche se, in linea generale, l’impegno renale rap-presenta un segno prognostico negativo e richiede trattamento tempestivo e il più delle volte aggressivo. L’interessamento nefrologico può coinvolgere il rene in tutte le sue componenti, glomeruli, tubuli, interstizio e vasi, anche se la porzione glomerulare del nefrone è di gran lunga quella più interessata dal processo patologico.L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato la nefropatia lupica in base alle alterazio-ni presenti al microscopio ottico, al microscopio elet-tronico e all’immunofluorescenza. Tale classificazione prevede 4 classi istopatologiche (a depositi mesan-giali, a ipercellularità mesangiale, glomerulonefrite proliferativa focale, glomerulonefrite proliferativa dif-fusa e glomerulonefrite membranosa).Un’altra importante classificazione della nefropatia lupica è quella redatta dall’US National Institutes of Health e misura l’indice di attività/cronicità in base alle lesioni glomerulari e tubulo-interstiziali. Le lesioni croniche sono correlate a una più bassa sopravviven-za, mentre la presenza di una nefropatia attiva sugge-risce l’eventualità di un trattamento aggressivo.Dal punto di vista clinico, l’interessamento renale può presentarsi in forma eterogenea, come sindrome nefri-tica, come sindrome nefrosica, sotto forma di malattie

TABELLA III. Principali manifestazioni renali in corso di malattie reumatiche autoimmuni.

AR LES ScS SSj PM/DMImpegno glomerulare ++ +++ + + -

Impegno tubulointerstiziale + + +- ++ +-

Impegno vascolare + + ++ +- +-

Amiloidosi +++ + +- +- +-

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interstiziali e sindromi vascolari. Il tipo e l’entità delle manifestazioni cliniche sono correlati alla classe isto-logica.In genere l’interessamento renale, soprattutto al-l’esordio, è asintomatico. Per tale motivo è impor-tante, nei pazienti lupici, monitorare periodicamen-te la funzione renale attraverso l’esame standard delle urine, della creatinina sierica e della sua clearance.L’utilizzo della biopsia renale nella diagnosi di nefro-patia lupica è ancora controverso. In linea generale si può affermare che la biopsia non è necessaria tanto per la diagnosi di nefrite lupica quanto per definire la prognosi (nella glomerulonefrite proliferativa diffusa è maggiore il rischio di sviluppo di un’insufficienza renale), e guidare la scelta terapeutica (es. utilizzo dei farmaci immunosoppressori).

Sclerosi sistemicaLa nefropatia sclerodermia interessa circa metà dei pazienti e si manifesta, generalmente, con anomalie del sedimento urinario senza insufficienza renale o con una forma di insufficienza renale di lieve entità che tende a rimanere stabile nel tempo o progredire lentamente.L’evento più temibile, che si presenta in circa il 10% dei soggetti affetti da sclerodermia, è la crisi renale sclerodermica, caratterizzata da insufficienza renale a esordio improvviso e decorso progressivo e un’iper-tensione arteriosa maligna che può portare il paziente al trattamento dialitico in poche settimane.

Sindrome di SjögrenIl coinvolgimento renale costituisce una delle principali manifestazioni extraghiandolari della sindrome di Sjö-gren primaria. La lesione istopatologica più comune è caratterizzata da un infiltrato linfocitario nell’interstizio con atrofia e fibrosi tubulare. L’esordio clinico è in ge-

nere subdolo, e la diagnosi viene di solito posta gra-zie al riscontro accidentale di ipo-isostenuria all’esame delle urine e acidosi metabolica all’emogasanalisi.

Artrite reumatoideLa prevalenza della patologia renale in corso di AR non è ancora ben definita 8. Gli studi autoptici hanno mostrato un danno renale macroscopicamente eviden-te nel 9-27% dei casi. I quadri istopatologici prevalenti comprendono le glomerulonefriti e l’amiloidosi, mentre meno comuni sono quadri di nefrite interstiziale, acuta e cronica. Le più comuni glomerulopatie riscontrate in corso di AR sono la glomerulonefrite mesangiale e la membranosa.Il danno renale nell’AR è in genere dovuto a due fattori principali, l’amiloidosi e l’uso di farmaci ne-frotossici (soprattutto FANS, ma anche immunosop-pressori). Tuttavia esistono delle alterazioni renali, prevalentemente glomerulari, correlate direttamente alla patologia di base, che ne costituiscono una ma-nifestazione extra-articolare e che definiscono la ne-fropatia reumatoide.

MANIFESTAZIONI EMATOLOGICHEAlterazioni ematologiche sono molto frequenti nel-le patologie reumatiche (Tab. IV), ancora una volta soprattutto nel LES, dove praticamente ogni stipite cellulare può essere interessato. Di conseguenza, l’esecuzione di un emocromo completo, inclusa la conta reticolocitaria, è un’indagine essenziale in reumatologia.L’anemia secondaria a malattie infiammatorie cro-niche è senz’altro l’alterazione più frequente, es-sendo presente in tutte le patologie reumatiche in fase di attività, e in particolare nella AR. Trattasi di un’anemia generalmente lieve, normo-microcitica, con sideremia normale o ridotta e ferritina alta.

TABELLA IV. Principali manifestazioni ematologiche in corso di malattie reumatiche autoimmuni.

AR LES ScS SSj PM/DMAnemia da flogosi cronica +++ ++ + ++ +

Anemia emolitica +- +++ - + -

Leuco-linfopenia +- +++ +- + -

Piastrinopenia + +++ - + -

Piastrinosi +++ - - - -

Malattie linfoproliferative + + + ++ +

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Tipicamente tale forma di anemia, essendo legata a un inadeguato rilascio di ferro da parte del siste-ma reticolo-endoteliale, migliora o si accentua in relazione alle fasi di riacutizzazione della patolo-gia reumatica.Un’anemia emolitica autoimmune da anticorpi “caldi” è tipica del LES. Si tratta di un’anemia emolitica extravascolare, indotta da anticorpi IgG anti-emazie e quindi con test di Coombs positivo. Le indagini di laboratorio mostrano una reticoloci-tosi, iperbilirubinemia indiretta, aumento dell’LDH (latticodeidrogenasi), riduzione dell’aptoglobina; clinicamente può essere presente ittero o sub-ittero e splenomegalia.Anemie iporigenerative possono essere presenti, sem-pre nel LES, associate a un’insufficienza renale croni-ca per riduzione o mancata produzione di eritropoie-tina.Altre forme iporigenerative, più frequenti, sono quelle di origine iatrogena. Si tratta di forme da iporigenerazione midollare per effetto citotossico di alcuni farmaci utilizzati nel trattamento di fondo del-le malattie reumatiche (ciclofosfamide, metotrexato, leflunomide, sali d’oro). Sono anemie normocromi-che, con reticolocitosi ridotta, spesso associate a pancitopenia.La leucopenia è una delle alterazioni ematologiche più caratteristiche del LES, essendo presente in circa il 50% dei pazienti. Sebbene la leucopenia sia stata de-scritta come segno di attività sistemica di malattia, esi-stono pazienti con bassa conta di leucociti in assenza di segni di attività di malattia e senza predisposizione a complicanze infettive.Una linfocitopenia è usualmente associata con la pre-senza di anticorpi anti-linfociti ed è segno di riacutiz-zazione del LES.Una piastrinopenia è di frequente riscontro nel LES, generalmente associata alla positività della ricerca degli anticorpi anti-piastrine o antifosfolipidi.Sono stati identificati due sottogruppi distinti di pa-

zienti con tale alterazione: un sottogruppo in cui la piastrinopenia è grave (< 20.000 cellule/mm3)e acuta, con segni di sanguinamento e petecchie, ed è espressione di una severa attività di malattia, e un secondo sottogruppo in cui la piastrinopenia è modesta (50.000-100.000 cellule/mm3), croni-ca e asintomatica, e rappresenta generalmente un reperto isolato.L’alterazione opposta, cioè una piastrinosi, si può osservare generalmente nella AR come segno di notevole attività di malattia, in associazione a un’alterazione degli indici aspecifici di flogosi.Ultima, ma non certo come gravità, la possibilità che in corso di determinate patologie reumatiche si sviluppi un linfoma non Hodgkin (LNH). Si tratta di linfomi a vario grado di malignità, generalmen-te derivati dai linfociti B. Tale evenienza si verifica prevalentemente nella sindrome di Sjögren, ma è stata descritta anche nell’artrite reumatoide e nel LES.

MANIFESTAZIONI NEUROLOGICHELe malattie reumatiche possono interessare il sistema nervoso centrale (SNC) e il sistema nervoso perife-rico (SNP) in differenti condizioni. Ogni struttura – il cervello, le meningi, il midollo spinale, i nervi cranici e periferici, il sistema vascolare – può essere interes-sata, con quadri clinici diversi.

Lupus eritematoso sistemicoManifestazioni neurologiche e psichiatriche possono verificarsi nel 25-70% dei pazienti con LES in ogni momento nel decorso della malattia; interessano sia il SNC sia il SNP e sono responsabili di una signifi-cativa morbilità e mortalità 9 (Tab. V). I meccanismi fisiopatologici alla base di tali alterazioni sono poco conosciuti, ma possono comprendere fenomeni va-sculitici cerebrali, leucoaggregazione e trombosi, e infine disfunzione e danno anticorpo-mediato dei neuroni.

TABELLA V. Principali manifestazioni neurologiche in corso di malattie reumatiche autoimmuni.

AR LES ScS SSj PM/DMImpegno SNC + +++ - + -

Impegno SNP + ++ + ++ -

Impegno autonomico + + ++ ++ -

Impegno vascolare + +++ - + -

36 ASPETTI INTERNISTICI DELLE MALATTIE REUMATICHE

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

La sintomatologia è estremamente variegata. A ca-rico del SNC i quadri più frequenti sono: psicosi, disturbi cognitivi, cefalea intrattabile, sindromi co-miziali, sindromi demielinizzanti e accidenti vasco-lari.Queste manifestazioni si possono verificare come evento isolato e multiplo nel medesimo paziente; inol-tre, i sintomi possono essere concomitanti con riacutiz-zazioni che coinvolgono altri organi o apparati ed es-sere isolati. L’epilessia e psicosi sono tipiche del LES, tanto da essere state incluse tra i criteri classificativi.A carico del sistema nervoso periferico sono stati de-scritti quadri di mono/polinevriti a carico dei nervi cranici o dei nervi periferici.

Artrite reumatoideTre sono i meccanismi fondamentali che determina-no sintomi neurologici nella AR: mielopatia cervicale per lussazione o sub-lussazione dell’epistrofeo a cau-sa della distruzione del legamento traverso, sindromi da compressione dei nervi periferici e vasculiti che si manifestano generalmente con mononevriti multiple, raramente con impegno del SNC.

Sindrome di SjögrenNella sindrome di Sjögren possono verificarsi sindro-mi demielinizzanti e vasculiti, ma con frequenza mol-to più rara rispetto al LES 10. Più frequente l’impegno del SNP, che si manifesta con polineuropatie sensiti-vo-motorie o esclusivamente sensitive prevalenti agli arti inferiori. Infine sono descritti disturbi autonomici che interessano prevalentemente il sistema parasim-patico.

BIBLIOGRAFIA1 Doria A, Iaccarino L, Sarzi-Puttini P, Atzeni F, Turriel

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37EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

Nell’ultimo decennio, nel trattamento del paziente ar-trosico, sono stati introdotti approcci terapeutici con l’obiettivo di modificare l’evoluzione della malattia de-generativa articolare, patologia tra le più diffuse e ad alto impatto sociale.Basandosi sulle recenti acquisizioni sull’eziopatogene-si dell’artrosi, la ricerca farmaceutica ha sviluppato un gruppo di molecole denominate in passato con il termine ormai obsoleto di condroprotettori o con la sigla SYSADOA (Symptomatic Slow Acting Drugs for Osteoarthritis) in base alla loro lenta azione sui sintomi dell’osteoartrosi. Tale gruppo comprende condroitin-solfato, glucosamina solfato, diacereina e acido ia-luronico intrarticolare, chimicamente precursori delle macromolecole della matrice cartilaginea. L’attuale terminologia, proposta nel 1996 dall’Osteoarthritis Research Society International (OARSI) e accettata dalla European Drug Agency (EMEA), li classifica come symptom modifying drugs, cioè farmaci in gra-do di modificare selettivamente i sintomi della malat-tia. Questi composti sono farmaci selettivi per il tratta-mento dell’osteoartrosi e, contrariamente ai sintomatici non specifici come gli antinfiammatori non steroidei (FANS) o gli analgesici puri, hanno il preciso scopo di interagire con alcuni processi patogenetici specifici dell’artrosi e di influire favorevolmente sui sintomi e sulla progressione della malattia 1.Il galattosaminglucuronoglicano solfato (forma depoli-merizzata del condroitinsolfato) appartiene alla classe dei polisaccaridi, più precisamente dei glicosamino-glicani. Essi sono uno dei principali elementi costitutivi della cartilagine articolare dove, legati a proteine,

si ritrovano a formare i cosiddetti proteoglicani, che assicurano le proprietà meccanico-elastiche della car-tilagine stessa. In caso di osteoartrosi l’utilizzo per via orale di 800 mg di condroitinsolfato potrebbe aiutare a incrementare la concentrazione di proteoglicani e aggrecani attraverso la riduzione dell’espressione dei geni delle MMP (metalloproteasi di matrice) e AGG (aggrecanasi) indotta dall’interleuchina (IL)-1 (effet-to S/DMOADs) 2. Esso inoltre è in grado di ridurre l’espressione genica della nitrossido-sintetasi, della cicloossigenasi 2 e della PGE (prostaglandina E) sin-tetasi, contrastando l’attività dell’interleuchina-1 con ri-duzione significativa della sintesi di PGE 2 e di ossido nitrico (NO) 3.Tale “effetto antinfiammatorio e antalgico” potrebbe anche intercedere positivamente nell’evitare le defor-mazioni in senso sinovitico e osteosclerosante a livello intrarticolare, come dimostrato in vitro. In questo sen-so tali molecole potrebbero appunto intervenire come “modificanti” i sintomi (dolore e disfunzione articolare) dell’osteoartrosi e vengono per questo inserite nelle raccomandazioni finali per la gestione dell’artrosi del ginocchio delle linee guida EULAR (European League Against Rheumatism) 2003 (Tab. I) 4 e nelle linee gui-da EULAR 2005 per l’artrosi dell’anca 5.Nelle linee guida EULAR 2003 al condroitinsolfato e alla glucosamina solfato viene assegnata la categoria 1A della cosiddetta “medicina basata sull’evidenza” relativa all’efficacia sui sintomi della malattia osserva-ti dopo studi controllati e randomizzati vs. placebo (Tab. II). Nelle linee guida EULAR 2005 solo al con-droitinsolfato viene assegnato il livello di efficacia 1B per l’artrosi dell’anca (Tab. III).A questo proposito, nella Consensus italiana sulle raccomandazioni dell’EULAR 2003 per il trattamento dell’artrosi del ginocchio, la Società Italiana di Reu-matologia scrive 6:“I farmaci sintomatici ad azione lenta (SYSADOA) (glucosamina solfato, condroitinsolfato, estratti di soia

RAFFAELLA MICHIELI

Medico di Medicina Generale, Mestre (VE)[email protected]

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MARZO 2007 NUMERO 1:37-43

L’ESPERIENZA IN MEDICINA GENERALE

38RUOLO DEGLI STRUCTURE/DISEASE MODIFYING

OSTEOARTHRITIS DRUGS (S/DMOADs)NEL PAZIENTE CON OSTEOARTROSI

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EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

e avocado, diacereina, acido ialuronico) hanno effetti sintomatici e possono avere effetti condrostrutturali. In particolare:

• in linea di massima l’affermazione è stata con-divisa in quanto un riesame della letteratura esi-stente in proposito ne conferma la validità;

• si ritiene opportuno sottolineare il periodo di latenza lungo di questi farmaci prima che si manifesti il loro effetto sintomatico;

• spesso si tratta di alcune settimane di sommini-strazione necessarie prima che quest’ultimo sia apprezzabile;

• tale aspetto li differenzia dai FANS e dagli analgesici;

• inoltre, sulla base dei dati più recenti della lette-ratura, si desidera segnalare che alcune fra le molecole citate, incluso l’acido ialuronico, ne-cessitano di ulteriori conferme relative all’effetto “structure modifying”.

In relazione al tempo di latenza necessario a que-ste molecole per rendere evidente la loro azione, in particolare sul sintomo “dolore”, è stato pubblicato recentemente lo studio GAIT (Glucosamine/Chondroi-tin Arthritis Intervention Trial) 8, da cui non emergono dati particolarmente confortanti poiché in effetti il mec-canismo d’azione di questi farmaci non è di per sé analgesico. Essi agiscono con “effetti favorevoli sui processi degnenerativi delle cartilagini” supplendo alla carenza endogena di glucosamina e in definitiva svolgendo un’“azione trofica” sulle cartilagini stesse. L’efficacia sul dolore di queste sostanze dovrebbe es-sere verificata sul lungo periodo (anni), quindi non era logico in uno studio della durata di sei mesi aspettarsi efficacia antalgica.Tuttavia nel GAIT l’analisi del sottogruppo di pazienti con dolore moderato-severo sembra indicare che la combi-nazione di glucosamina e condroitinsolfato riduca signi-ficativamente il dolore da gonartrosi. Questo lavoro è

TABELLA I. Le 10 raccomandazioni finali dell’EULAR 2003.

1. Il trattamento ottimale dell’OA del ginocchio richiede una combinazione di trattamenti farmacologici e non farmacologici

2. Il trattamento dell’OA del ginocchio deve essere personalizzato tenendo presente:

a) I fattori di rischio del ginocchio (obesità, fattori meccanici dannosi, attività fisica)

b) I fattori di rischio generali (età, comorbidità, polifarmacoterapia)

c) I livelli di intensità del dolore e il grado di disabilità

d) I segni di infiammazione (ad es. il versamento articolare)

e) La localizzazione e il grado del danno strutturale

3. Il trattamento non farmacologico dell’OA del ginocchio deve includere programmi educazionali, esercizio fisico, uso di strumenti accessori (bastoni, solette, tutori del ginocchio) e riduzione del peso quando necessario

4. Il paracetamolo è il farmaco da considerare come prima scelta per il trattamento del dolore nell’OA. Se efficace, può essere continuato nel tempo a dosi di 3 g/die. A queste dosi, il paracetamolo può anche essere adoperato in aggiunta ad altri farmaci per l’OA con un buon profilo di sicurezza

5. Le applicazioni topiche di FANS o capsaicina possono costituire un utile strumento terapeutico se impiegate per brevi periodi, anche in aggiunta ad altri trattamenti per l’OA, soprattutto nei pazienti che rifiutano o non possono assumere farmaci per via sistemica

6. I FANS vanno presi in considerazione nei pazienti che non rispondono al paracetamolo. Nei pazienti con rischio ga-strointestinale, dovranno essere utilizzati i Coxib oppure i FANS non selettivi associati a gastroprotettori di provata utilità

7. Gli analgesici oppioidi, con o senza paracetamolo, rappresentano utili alternative e possono costituire farmaci di suppor-to nei pazienti in cui i FANS o i Coxib sono controindicati, inefficaci e/o scarsamente tollerati

8. I farmaci sintomatici ad azione lenta (SYSADOA) (glucosamina solfato, condroitin solfato, estratti di soia e avocado, diacereina, acido ialuronico) hanno effetti sintomatici e possono avere effetti favorevoli sulla struttura cartilaginea.

9. L’iniezione intra-articolare di cortisonici a lunga durata d’azione è indicata per le crisi di dolore articolare, soprattutto se associate a versamento

10. La sostituzione dell’articolazione deve essere presa in considerazione nei pazienti con evidenza radiografica di OA del ginocchio che presentano dolore persistente e disabilità

39R. MICHIELI EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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TABELLA II. Livello di evidenza basato sulla letteratura e livello di raccomandazione basato sull’evidenza e sull’opinione degli esperti.

INTERVENTO LIVELLODI EVIDENZA

EFFETTO(RANGE)

LIVELLO DIRACCOMANDAZIONE

Acetaminofene/paracetamolo 1B A

Analgesici oppioidi 1B B

NSAID

NSAID convenzionali 1A 0,47-0,96 A

Coxib 1B 0,5 A

Antidepressivi 1B B

NSAID topici 1A -0,05-1,03 A

Capsaicina topica 1A 0,41-0,56 A

Ormoni sessuali 2B C

SYSADOA

Glucosamina 1A 0,43-1,02 A

Condroitina 1A 1,23-2,50 A

Diacereina 1B B

ASU 1B 0,32-1,72 B

Nutrienti 1B 0,65 B

Rimedi naturali 1B 0,23-1,32 B

Minerali/vitamine 1B C

Educazione 1A 0,28-0,35 A

Esercizio 1B 0,57-1,0 A

Telefono 1B 1,09 B

Agopuntura 1B 0,25-1,74 B

Laser 1B 0,87 B

Pulsed EMF 1B B

Spa therapy 1B 1,0 C

TENS 1B 0,76 B

Ultrasuono 1B C

Perdita di peso 1B B

Insales 1B B

Orthotic device (knee brace/ patella tape/elas-tic bondage)

1B B

LA acido ialuronico 1B 0,0-0,9 B

LA corticosteroidi 1B 1,27 A

Lavage/tidal irrigation 1B C

Artroscopia ± debridement 1B C

Osteotomia 3 C

UCKR 3 C

TKR 3 C

Mod. da Extended report. Jordan et al. EULAR Recommendations 2003: an evidence based approach to the management of knee osteoar-thritis: Report of a Task Force of the Standing Committee for International Clinical Studies Including Therapeutic Trials (ESCISIT). Ann Rheum Dis 2003;62:1145-1155. doi: 10.1136/ard.2003.011742.

40RUOLO DEGLI STRUCTURE/DISEASE MODIFYING

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TABELLA III. Management delle OA dell’anca secondo le raccomandazioni EULAR.

INTERVENTION

RESEARCH EVIDENCE SORBASED ONEFFICACY

(A-D)

SOR BASED ONALL EVIDENCEAND CLINICALEXPERTISE (VAS, MEAN (SEM))

EFFICACY SIDE EFFECTS COST EFFEC-TIVENESS

Pharmacological + non-pharmacologi-cal treatment

IV + – – D 86,94 (5,82)

Treatment tailored according to risk factors, severity of hip OA, and patient expectations

III + – – C 92,19 (3,39)

Education Ib + – – A 71,75 (6,42)

Exercise – – – N/A 71,58 (6,30)

Insole/stick IV + – – D 61,72 (6,91)

Weight loss III + – – D 68,28 (5,79)

Paracetamol – Ia –, III ± (GI) Cost saving N/A 79,19 (3,82)

NSAIDs Ia + Ia +, III + (GI) – A 79,36 (4,18)

Coxibs Ia + (GI protection) Ia ± (CV) Higher GI risk population

A 79,44 (3,51)

Misoprostol Ia + (GI protection) Ia + (diarrhoea) Higher GI risk population

A 46,06 (5,62)

H2 Blockers (double dose)

Ia + (GI protection) – High GI risk population

A 31,28 (6,81)

PPIs Ia + (GI protection) – – A 73,86 (3,97)

Opioids Ib + Ia + (any, GI, CNS)

– A 43,97 (4,36)

Glucosamine – – – N/A 37,06 (5,03)

Chondroitin Ib + – – A 34,44 (4,76)

Diacerhein Ib ± Ib + (dyspepsia) Short term Inconclusive 27,83 (5,38)

Avocado soybean unsaponifiable

Ib – – – Notrecommended

31,72 (4,79)

Hyaluronic acid III + – – C 22,83 (4,17)

Intra-articular steroid Ib – – – Notrecommended

41,47 (5,74)

Osteotomy III + – – C 59,64 (5,19)

THR III + – Women with younger age

C 86,86 (2,42)

“–”, not supportive, “+”, supportive; “±”, uncertain. For example, Ia + (GI) means there is category Ia evidence to support the statement that the treatment causes GI side effects.SOR, strength of recommendation; VAS, visual analogue scale (0-100 mm, 0 = not recommended at all, 100 = fully recommended); SEM, standard error; GI, gastrointestinal; CV, cardiovascular; CNS, central nervous system. –, not available; N/A, not applicable owing to absent hip-specific data.Mod. da Zhang et al. 5.

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molto interessante anche perché suggerisce che terapie condotte per periodi troppo brevi potrebbero risultare prive di efficacia, mentre per quelle a lungo termine var-rebbe la pena di verificare l’outcome “dolore”.Inoltre, gruppi di pazienti con cartilagini articolari molto compromesse e quadro algido moderato-gra-ve potrebbero avere beneficio anche da brevi cicli terapeutici.In questo studio il placebo ha dimostrato notevole ef-ficacia nella riduzione del dolore ma anche nel mi-glioramento della funzionalità, contrariamente a tutti gli altri studi clinici controllati, a riprova che la per-cezione del dolore soggiace a meccanismi non solo strettamente biochimici.Ed è il dolore articolare la prima causa di accesso al Medico di Medicina Generale (MMG) per milioni di pazienti, soprattutto di sesso femminile. Nonostante in tutto il mondo le donne abbiano uno stile di vita più sano degli uomini, fumino e bevano meno, siano meno in sovrappeso, svolgano lavori meno pesanti degli uomini, e nel loro lavoro siano meno impegnate fisicamente, paradossalmente esse presentano mal di schiena più spesso rispetto agli uomini, con un mag-gior tasso di prevalenza medio pari a 1,2:1, e molti studi dimostrano che le donne consultano più frequen-temente il medico rispetto agli uomini e assumono in misura maggiore analgesici per lo più da banco. Uno studio tedesco recentemente pubblicato ha dimostrato che senza considerare la maggiore spettanza di vita per le donne, che raggiungono una età più avanzata associata a più alta comorbilità, il loro rischio per il mal di schiena è del 25% più alto di quello degli uomini della stessa età 9. Questo 25% risulta costante anche per quanto riguarda donne impegnate in attivi-tà lavorative pesanti. Fattori biopsicocomportamentali hanno rilevato una maggior somatizzazione per il ses-so femminile correlata al mal di schiena, probabilmen-te da attribuire, tra le altre cose, alle differenze educa-tive e sociali che comportano un’esteriorizzazione del dolore meno frequente da parte degli uomini.Il recente studio IPSE (Italian Pain Search) della Socie-tà Italiana di Medicina Generale (SIMG), di cui sono stati prodotti solo i dati preliminari, ha chiaramente confermato che un italiano su quattro soffre di dolore cronico, con un rapporto M:F di 2:8.Infatti, non solo le diagnosi nelle donne sono più tar-dive, ma una volta trattate esse soffrono di maggiori effetti collaterali dei farmaci e la loro vita media, più lunga di quella maschile, è gravata da una peggiore qualità di vita (Istat 1999).

Un recente studio apparso sul Clinical Journal of Pain 10

dimostra che la prevalenza dei disturbi muscolo-scheletri-ci è sistematicamente maggiore nelle donne, le quali:

• sono più propense a riferire il dolore;• sono più vulnerabili per fattori legati al sesso

(ormonali e fisiologici);• hanno una diversa sensibilità al dolore o a fattori

condizionanti di natura psicologica e sociale;• sono esposte più degli uomini ai fattori di ri-

schio sia durante il lavoro sia nelle occupazioni domestiche.

Il 75% delle cause di accesso al MMG è un proble-ma di dolore articolare che richiede prima di tutto un inquadramento diagnostico e la messa in atto delle strategie non farmacologiche, come la prevenzione dei fattori di rischio locali e generali, la riduzione del peso, l’esercizio regolare e la valutazione clini-ca e radiologica del danno articolare. Ma poiché comunque l’85% dei contatti in Medicina Generale esita con una prescrizione farmacologica e il dolore la merita più di altre, sicuramente verranno prescritti i farmaci analgesici e antinfiammatori non steroidei nel corso dell’acuzie. I farmaci S/DMOAD come il condroitinsolfato e la glucosamina si inseriscono invece nell’ottica del possibile miglioramento sinto-matico e della possibile riduzione della progressione della malattia nel long-term.L’entità della prescrizione di questi farmaci in Medi-cina Generale è stata studiata attraverso la raccolta dei dati da Health Search, il database istituito da SIMG nel 1999 per la rilevazione di dati di qualità relativi alla pratica quotidiana della medicina di fa-miglia. La raccolta dei dati di prescrizione del con-droitinsolfato nel 2005 ha dimostrato che il farmaco è stato prescritto per un totale di 907 volte con una distribuzione per età e sesso come dimostrato nella Figura 1.Si evidenzia una prevalenza dell’uso del farmaco, da parte dei MMG, nelle fasce tra i 50 e gli 80 anni, con una netta predominanza del sesso femmi-nile.Questo profilo è abbastanza in linea con il targetprescrittivo individuato nel corso dello studio con-dotto nel Dipartimento di Reumatologia dello Zurich University Hospital, che ha avuto come obiettivo pri-mario l’esame della progressione dello spazio arti-colare minimo del ginocchio. In particolare l’uso del condroitinsolfato sembrerebbe utile:

• nelle donne, che sono la categoria più affetta da artrosi;

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FIGURA 2. Prescrizioni per patologia 2005.

0,0%

Condroitin solfato 10,0%

20,0%

30,0%

40,0%

34,3%

9,8%

7,8%

7,6%

6,7%

4,1%OSTEOCONDROPATIE

ALTRE CAUSE MALDEFINITE

ALTRE CAUSE NON SPECIFICATE

LESIONI INTERNE GINOCCHIO

ARTROSI

ICD

IX n

on s

peci

ficat

o

732

799

719

717

715

FIGURA 1. Prescrizione condroitinsolfato 2005.

180

160

140

120

100

80

60

40

20

0

10< 10-19

20-29

30-39

40-49

50-59

60-69

70-79

80-89

90>=

0 014 12

25 22

72

125

46

153

109

686560

4013

4235

42

FemmineMaschi

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• nelle persone obese, per il forte rischio di pro-gressione della malattia;

• nelle età giovanili, per la maggior durata della possibile disabilità, e per la possibilità di agi-re prima dell’instaurarsi di danni già gravi;

• dove ci sia una scarsa perdita cartilaginea, nelle artrosi in fase iniziale, per la possibilità di un più precoce intervento.

La patologia per cui tale farmaco è stato particolar-mente prescritto dai MMG è risultata essere generi-camente l’artrosi, come da indicazione d’uso della molecola (Fig. 2).L’osteoartrosi è la più comune tra le artriti e colpisce 20 milioni di persone solo tra la popolazione ameri-cana, un numero destinato a raddoppiare nei pros-simi due decenni. Attualmente le terapie disponibili mirano a ridurre il dolore articolare attraverso anal-gesici e FANS con risultati sub-ottimali e problemi di

sicurezza anche alla luce dell’aumentato rischio car-diovascolare riferito dagli ultimi studi. Una metanalisi degli studi fin qui svolti sull’efficacia e sicurezza di glucosamina e condroitinsolfato suggerisce un poten-ziale effetto benefico da parte di queste molecole. Come sappiamo da diversi lavori, compreso il recen-te IPSE di SIMG, l’artrosi rappresenta la prima causa di dolore cronico moderato severo nel setting della Medicina Generale. I S/DMOAD, intervenendo sul meccanismo patofisiologico e a fronte di una buona tollerabilità nel lungo termine, possono rappresentare un’opzione terapeutica importante.La prescrizione di queste sostanze in Medicina Gene-rale ha bisogno di evidenze maggiori che permettano di consigliare l’uso a lungo termine di un farmaco che è, tra l’altro, a totale carico economico per i pazienti, ma che sarebbe ben accetto visto il profilo di safetydel farmaco.

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

Nel processo fisiopatologico dell’osteoartrosi (OA) un ruolo centrale è attribuito al condrocita, cellula che, in risposta a uno stress meccanico-metabolico, passa da uno stato resting a una fase di esaltata condropoiesi, ma inefficace, si attrezza di survival proteins; modifica il suo citoscheletro; passa dalla forma rotondeggiante a una piatta e vira dalla sintesi di collageno di tipo II a quella di tipo I, I trimerico, III e IV. Si formano così microfissurazioni sulla sua superficie cellulare ed infine il condrocita esplode (necrosi) o va incontro a implo-sione (apoptosi) 1-8.Il condrocita che sopravvive allo “stress meccanico metabolico” è coinvolto nel processo infiammatorio dell’osteoartrosi acquisendo esso stesso il profilo di “cellula infiammatoria”.Indagini condotte a livello dell’RNA (acido ribonu-cleico) messaggero evidenziano, infatti, una poten-zialità infiammatoria dei condrociti. Essi producono un ampio pannello di mediatori infiammatori, tra cui interleuchina 8 (IL-8), Growth regulated protein alpha precursor (GRO-α), Monocyte Chemotactic Protein-1(MCP-1), Macrophage Inflammatory Protein-1β (MIP-1β) ed interleuchina 6 (IL-6). Il sovranatante di coltura d’organo ottenuto da tessuto affetto da OA mostra ele-vati livelli di IL-8 e MCP-1; molte di queste molecole sono geni target della via Nuclear Factor kB (NF-kB) e lo stesso fattore di trascrizione risulta overespresso nei condrociti OA 9-11.La matrice nel contempo va incontro a un processo di deplezione di collageno e aggrecani e gli studi indi-cano il coinvolgimento in questo processo litico della famiglia delle metalloproteasi (MMP) 8.Tra le MMP, la MMP-13 o collagenasi 3 sembra avere il ruolo maggiore (la sua inibizione potrebbe rappresentare la chiave di volta per il blocco della distruzione cartilaginea) 8.L’IL-1β è considerata la principale citokina implicata nella distruzione della matrice della cartilagine (quin-di un ottimo bersaglio terapeutico). Questa citokina infiammatoria determina l’incremento dei prostanoi-

di, del NO, degli enzimi litici e degli inibitori del-la sintesi della matrice 12-14. Nella matrice si attiva un network citokinico ed il Tumor Necrosis Factor (TNF)-αè overespresso. Il TNF-α induce la produzione di pro-staglandina E2 (PGE2); l’IL-8 sinergizza con il TNF-α vs.la PGE2; mentre l’IL-17 induce la produzione di NO in sinergia con il Leukemia Inhibitory Factor (LIF) e con il TNF-α 15 16.

Prima questioneSono capaci i Symptomatic Slow Acting Drugs for Osteoarthritis (SYSADOA) di realizzare un effetto sin-tomatico sul dolore e sulla disfunzione articolare attra-verso l’inibizione della sintesi dei principali mediatori della flogosi cartilaginea (PGE/NO)?Il condroitinsolfato (CS), attraverso l’interferenza sul-l’effetto genico indotto dall’interazione IL-1/recettore, è in grado di ridurre la sintesi di MMP, iNOS (Induci-ble Nitric Oxide Synthase), citokine, ecc.Chan (2005) ha valutato gli effetti del CS sull’espres-sione genica degli enzimi dell’infiammazione (iNOS, COX2 [Inhibitors of Cyclo-Oxygenase-2], mPGEs1) e sui rispettivi mediatori algogeni/flogogeni (NO e PGE2), in cartilagine stimolata, in vitro, con IL-1 (tali effetti sono stati ottenuti solo alle concentrazioni di condroitinsolfato di 20 g/ml, analoghe a quelle raggiunte a livello plasmatico e sinoviale a seguito della somministrazione orale di dosi terapeutiche del farmaco (800-1200 mg/die) e ha dimostrato che il CS riduce significativamen-te l’espressione genica degli enzimi inducibili iNOS, COX2, PGEs, provocando la riduzione significativa dei mediatori di flogosi NO e PGE2

17 18.Lo stesso autore ha inoltre valutato l’espressione geni-

LUIGI DI MATTEO, LUCIANO DI BATTISTA

U.O.C. di Reumatologia, ASL [email protected]

RUOLO DEGLI STRUCTURE/DISEASE MODIFYINGOSTEOARTHRITIS DRUGS (S/DMOADs)NEL PAZIENTE CON OSTEOARTROSI

MARZO 2007 NUMERO 1:44-48

L’ESPERIENZA IN REUMATOLOGIA

45L. DI MATTEO, L. DI BATTISTA EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

MARZO 2007 NUMERO 1

ca degli enzimi proteolitici MMP e aggrecanasi nello stesso modello sperimentale e ha dimostrato una ridu-zione significativa dell’espressione di MMP-3, MMP-13 e Agg-1 e l’incremento dell’espressione dei geni codificanti macromolecole cartilaginee come collage-no II e aggrecani. Anche la glucosamina e l’acido ialuronico posseggono tali proprietà.Letari (2003) ha dimostrato la capacità della glucosamina di inibire la liberazione dai condrociti di PGE2 e NO in-dotti da IL1-β. Numerose evidenze dimostrano che l’acido ialuronico, di cui è nota la proprietà di viscosupplementa-zione, è in grado di inibire MMP-1, MMP-3, MMP-13, la produzione di PGE2 e lo stress ossidativo e di indurre la sintesi e l’aggregazione dei proteoglicani 19.

I SYSADOA, perciò, attraverso l’inibizione di IL-1, NF-kB, iNOS, COX2, PGE e NO documentano la ridu-zione dei principali mediatori responsabili del dolore e dell’algodisfunzione articolare, ma nel contempo inibiscono anche l’IL-1, principale responsabile del-l’espressione dei geni i quali producono enzimi che degradano la cartilagine (metalloproteasi-aggrecana-si), contrastandone, così, l’effetto catabolico.

Seconda questionePer queste proprietà è possibile considerare i SYSA-DOA farmaci sia “symptom modifying” sia “structure modifying” e quindi S/DMOAD?Ci sono evidenze nella letteratura (EBM)?Nel 2003 l’EULAR (European League Against Rheu-matism), stilando le raccomandazioni nel trattamento dell’osteoartrosi del ginocchio, al punto 8 afferma che “i SYSADOA (glucosamina, condroitin solfato, diace-reina, estratti di soia e di avocado, acido ialuronico) hanno dimostrato effetti sui sintomi e possono inoltre modificare la struttura” 20.L’EULAR riconosceva a condroitinsolfato e glucosami-na un livello di evidenza I e attribuiva loro una racco-mandazione di forza A.La SIR (Società Italiana di Reumatologia) ha sostan-zialmente condiviso la raccomandazione, sottolinean-do il lungo periodo di latenza di questa categoria di farmaci prima che si manifesti l’effetto sintomatico, e ha rilevato che tale effetto li differenzia dai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Inoltre ha rite-nuto opportuno che siano comunque prodotte nuove conferme circa l’effetto structure modifying delle stesse molecole.Le evidenze sulle quali l’EULAR ha attribuito tale valenza al condrotinsolfato sono sia storiche, sia recenti.Morreale (1996) aveva dimostrato la capacità del CS rispetto al placebo di migliorare l’indice algo-disfunzionale di Lequesne 21 a 6 mesi; Bucsi e Poor (1998) dimostravano risultati simili sulla misurazione visuo-analogica (VAS) e sull’indice di Lequesne 22 a6 mesi; Uebelhart (1998) in un altro studio dimostra-va l’efficacia, a un anno, del CS sulla riduzione del dolore e sul miglioramento della motilità 23; Pavelka (1998) dimostrava, invece, il risparmio di paraceta-molo nei pazienti che assumevano CS 24; Malaise (1998) e Uebelhart (2004) attraverso un trattamento intermittente, 3 mesi di terapia alternati a 3 mesi di sospensione, confermavano la riduzione dell’indice di Lequesne ad un anno 25 26.

FIGURA 1. Meccanismo d’azione del condroitin-solfato (mod. da Chan et al., 2005 17 18).

FIGURA 2. Attività antalgica/antinfiammatoria. Espressione genica degli enzimi dell’infiammazione inducibili (mod. da Chan et al., 2005 17).

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

Circa l’effetto structure modifiyng del CS, Uebelhart (1998) dimostrava nei pazienti con OA del ginocchio un rallentamento della riduzione del “minimal medial femoro-tibial Joint Space” a dodici mesi e Malaise (1998) e Uebelhart (2004) in uno studio con impiego di CS a cicli di 3 mesi, per la durata di un anno, con-fermavano il rallentamento della riduzione dello stesso parametro radiologico 23 25 26.Richy (2003) attraverso una ricerca metanalitica sui principali studi controllati prodotti fino ad allora con-fermava che mediamente il CS riduceva il dolore e l’algodisfunzione e rallentava la perdita dello spazio articolare (JSN) 27.Come atteso dalle osservazioni della SIR più recente-mente sono apparse nella letteratura nuove evidenze circa l’effetto structure modifying dei CS.Lo Zurich Study (2005) ha previsto l’impiego del “con-droitin solfatus 4 and 6 in osteoarthritis of the knee” 28.

In questo studio randomizzato, in doppio cieco, della durata di due anni sono stati arruolati 300 soggetti, 150 trattati con il CS e 150 con il placebo. In esso si prevedeva la lettura automatica delle radiografie digi-talizzate per la misura di due parametri radiologici del danno osteoartrosico: il “minimum joint space Width” (JSW; mm) e il “mean joint space Width” (mm).Circa il minimum JSW e il mean JSW i risultati dello studio confermavano una differenza statisticamente si-gnificativa tra i soggetti trattati con condroitinsolfato e i non trattati a favore dei trattati che vedono rallenta-re la progressione del danno. In particolare lo studio in sottogruppi di pazienti divisi per peso, sesso, età, durata di malattia e grado di artrosi, dimostrava un risultato migliore, tale da raggiungere la significatività statistica, nei soggetti obesi, nelle femmine, nei sog-getti con età inferiore a 60 anni e nei pazienti con grado di artrosi moderato (grado I e II di Kellgren).I risultati dello Zurich Study erano confermati nel 2006 dallo STOPP Study (Study on Osteoarthritis Progression Prevention). Il trial, strutturato come uno studio prospettico multicentrico randomizzato in gruppi paralleli in doppio cieco in 622 pazienti con osteoartrosi del ginocchio, dimostrava che il CS confermava la capacità del farma-co di ridurre la progressione della perdita dello spazio articolare (JSN), a due anni, rispetto al placebo.Nel 2005, sulla base di queste nuove evidenze l’EULAR estendeva anche all’artrosi dell’anca l’impiego del CS con evidenza 1B e con forza di raccomandazione A.

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FIGURA 3. Zurich Study - differenza dopo 24 mesi sul Mean JSW tra CS e PBO.

FIGURA 4. STOPP Study - riduzione dell’ampiezza dello spazio articolare del ginocchio dopo 24 mesi tra CS e PBO.

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

MARZO 2007 NUMERO 1

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15 Alaaeddine N, Di Battista JA, Pelletier JP, Kiansa K, Cloutier JM, Martel-Pelletier J. Differential effects of IL-8, LIF (pro-inflammatory) and IL-11 (anti-inflammatory) on TNF-alpha-induced PGE(2)release and on signal-

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17 Chan PS, Caron JP, Rosa GJ, Orth MW. Glucosami-ne and chondroitin sulfate regulate gene expression and synthesis of nitric oxide and prostaglandin E(2) in articular cartilage explants. Osteoarthritis Cartilage 2005;13:387-94.

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20 Jordan KM, Arden NK, Doherty M, Bannwarth B, Bi-jlsma JW, Dieppe P, et al. EULAR Recommendations 2003: an evidence based approach to the manage-ment of knee osteoarthritis: Report of a Task Force of the Standing Committee for International Clinical Studies Including Therapeutic Trials (ESCISIT). Ann Rheum Dis 2003;62;1145-55.

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25 Malaise M, Marcolongo R, Uebelhart D, Vignon E.

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OSTEOARTHRITIS DRUGS (S/DMOADs)NEL PAZIENTE CON OSTEOARTROSI

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Efficacy and tolerability of 800 mg oral Chondroitin 4&6 sulfate in the treatment of knee osteoarthritis: a randomised, double-blind, multicentre study versus placebo. Litera Rheumatologica 1998;24:31-42.

26 Uebelhart D, Malaise M, Marcolongo R, DeVathaire F, Piperno M, Mailleux E, et al. Intermittent treatment of knee osteoarthritis with oral chondroitin sulfate: a one-year, randomized, double-blind, multicenter study versus placebo. Osteoarthritis Cartilage 2004;12:269-76.

27 Richy F, Bruyere O, Ethgen O, Cucherat M, Henrotin Y, Reginster JY. Structural and symptomatic efficacy of glucosamine and chondroitin in knee osteoarthri-tis: a comprehensive meta-analysis. Arch Intern Med 2003;163:1514-22.

28 Michel BA, Stucki G, Frey D, De Vathaire F, Vignon E, Bruehlmann P, et al. Chondroitins 4 and 6 sulfate in osteoarthritis of the knee: a randomized, controlled trial. Arthritis Rheum 2005;52:779-86.

EUMATOLOGIAR prat

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TESTIMONIANZA DEL PAZIENTE

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Si stima che oggi in Italia circa 1/10 della popolazione soffra di malattie reumatiche. Il costo sociale di queste malattie è stimato essere molto alto: su 84 milioni di giorni di malattia le statistiche indicano che circa 14,5 milioni siano dovute a patologie reumatiche e che il 27% delle pensioni di invalidità sia de-

terminato dalle malattie reumatiche per una spesa in termini di costi diretti (farmaci, cure, ricoveri ospedalieri) di circa 5000 miliardi l’anno.Per questa rilevanza delle malattie reumatiche, di cui l’artrite reumatoide è un caso particolare, è essenziale aumentare il livello di conoscenza presso l’opinione pubblica e il mondo politico al fine di sensibilizzare la mobilitazione di investimenti maggiori in termini di ricerca fondamentale ma anche in termini di infrastrutture ospedaliere adeguate.Sono per questo tra i soci fondatori di un’Associazione Italiana Malati di Artrite Reumatoide, la AMA, una ONLUS fondata nel 2004 che comprende malati su tutto il territorio italiano. Scopo dell’associazione è quello di promuovere lo sviluppo e la diffusione delle ricerche scientifiche per la prevenzione, cura e riabilitazione dei malati affetti da artrite reumatoide e salvaguardare i diritti dei malati reumatici.Recentemente sono anche stata portavoce per l’AMA insieme a rappresentati di EULOIR (l’associazione eu-ropea) degli interessi di associazioni di malati reumatici in riunioni al Parlamento europeo nel quadro delle discussioni sulla preparazione del “Settimo programma quadro di ricerca dell’Unione Europea” per sostenere la necessità di incrementare i fondi europei di ricerca sull’artrite reumatoide.La mia esperienza personale è un’esperienza che conferma la difficoltà di diagnosi dell’artrite reumatoide. Solo dopo varie settimane mi è stata diagnosticata l’artrite reumatoide nel 2002. Questo fatto conferma la necessità di sensibilizzare i medici di famiglia su questo tema e favorire la possibilità di una diagnosi precoce della malattia.Nella mia storia, che non è stata semplice all’inizio (per quasi un anno non sono riuscita a camminare), ho avuto la fortuna di trovare come riferimento delle infrastrutture ospedaliere adeguate, tra le più professionali in Italia, e un medico di riferimento eccezionale che ha saputo proporre una terapia adeguata, ma anche un supporto psicologico in relazione alla malattia.Gli aspetti psicologici legati all’artrite reumatoide non sono minori rispetto a quelli fisici.Purtroppo in Italia la disomogeneità tra le varie regioni in termini di infrastrutture ospedaliere di accoglienza ai malati di artrite reumatoide è enorme e non tutti hanno accesso a cure avanzate e centri di rieducazione.Uno sforzo coordinato di sensibilizzazione tra malati, medici e aziende farmaceutiche può sperare in una maggiore sensibilizzazione sul tema e investimenti futuri adeguati.L’avvenire è fatto di speranze!

L’ARTRITE REUMATOIDE

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SIMONETTA CHELISocia Fondatrice di AMA (Associazione Malati di Artrite Reumatoide)