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Pastiche versicontroversi n. 43 | 05/2015 mensile gratuito

Pastiche 43 - maggio 2015

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E se a gridare fossimo noi, talmente forte, da farci esplodere l’ugola? Grida, finchè ne hai la forza, l’arte ha bisogno delle tue urla; così come c’è bisogno di ascoltarle e metabolizzarle, farle proprie. Per farti sentire, a volte, c’è bisogno di GRIDARE. Per capire, a volte, c’è bisogno di ASCOLTARE. Preparati a cantare, appizza le tue orecchie!!! Vivi come fanno i monti e gli alberi!!!

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Pasticheversicontroversi n. 43 | 05/2015

mensile gratuito

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Pensata e redatta da Paolo Battista

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Grafica e impaginazione a cura di Eugenio Pozzilli

www.eugeniopozzilli.it www.behance.net/pozzilli www.linkedin.com/in/pozzilli

CollaboratoriChiara Fornesi

I e IV di copertinadi Simona Florindi

Chi collabora con Pastiche lo fa senza ricevere compensi. La proprietà intellettuale resta agli autori.

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Pastiche

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E se a gridare fossimo noi, talmente forte, da farci esplodere l’ugola?

Grida, finché ne hai la forza, l’arte ha bisogno delle tue urla;

così come c’è bisogno di ascoltarle e metabolizzarle, farle proprie.

Per farti sentire, a volte, c’è bisogno di GRIDARE.

Per capire, a volte, c’è bisogno di ASCOLTARE.

Preparati a cantare, appizza le tue orecchie!!!

Vivi come fanno i monti e gli alberi!!!

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Un mostro, come me di Paolo Battista

Ho ucciso un uomo.Sono un mostro. La gente dirà che sono un mostro. Uno squilibrato. Mi dirà che non si risolvono così i problemi. Che ci sono modi migliori per affrontare quello che devi affrontare: demoni, fogne, preoccupazioni, gioie, felicitazioni, o quello che sia. Ho ucciso un uomo. Quest’uomo puzzava di alcol, sempre, e aveva due figli, una moglie, degli amici, una famiglia. Aveva un lavoro, un bar di quartiere rozzo e puzzolente, dove passava tutte le sue giornate, dove sottobanco insieme alle bottiglie annacquate ci faceva anche i suoi traffici. Ho ucciso un uomo.Un uomo che non riuscivo più a guardare negli occhi. Un uomo senza sentimenti. Un uomo disordinato, pieno di vecchie camicie nere, sempre le stesse: che non cambiava mai. Un uomo calvo e scorbutico, grasso e insensibile, con la faccia schiacciata e una cicatrice rosa sulle labbra, la barba malcurata e orecchini d’oro alle orecchie, un Padre Pio al petto e la voce roca e oppressiva. Ho ucciso un uomo.Un uomo dal passato losco e compromesso. Un uomo dalla brutta reputazione. Un uomo che metteva paura. Un mostro, come me. Una volta ho sentito mia nonna blaterare uno dei suoi vecchi proverbi: la mela marcia non cade mai lontano dall’albero, e mentre lo diceva mia madre annuiva fissandomi e quasi implorandomi di non diventare come lui. Ho ucciso un uomo.Un uomo che non rispetta le donne, che le picchia e le maltratta. Un uomo violento e ignorante, capace di sbarrare le finistre dei suoi figli per una piccola incomprensione. Un uomo religioso che esce dal suo bar solo per andare in chiesa la domenica mattina ma che in realtà se ne frega della gente. Un uomo cresciuto a pane e acqua, quando la periferia era veramente periferia e la città si apprestava a inghiottire tutto come un lupo famelico. Ho ucciso un uomo.Un uomo con gravi disturbi della personalità. Un uomo che alla morte di suo padre era in galera, e a quella di sua madre le ha negato degna sepoltura. Un uomo che ha sposato la sua donna col ricatto, minacciando di farle perdere il figlio che aveva in grembo.Ho tredici anni, ed ho ucciso un uomo. Quell’uomo era mio padre. Un bastardo alcolizzato. Un mostro, come me.

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Il giorno della candelora quando l’inverno gioca a dadi e a Parigi mesdames sbocconcellano una crêpe suzette, me ne vado nella serra tropicale a respirare un po’ di vapore.

Vorrei cogliere le stelle una a una, quelle mature, e metterle nel paniere di vimini. A casa ci farei una marmellata di luce da spalmare sul pane sciapo le sere d'inverno davanti alla TV.

Poesie di Flavio Scaloni

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Illustrazione di Mario Lucio Falcone

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Biografia, di Nakai Spiana

Nakai Spiana fuoriesce dalla vagina di sua madre il 6 Dicembre 1983 in quel dell'ospedale S. Croce di Cuneo. Appena il piccolo vede la luce si guarda intorno e decide di fare un tentativo disperato al fine di tornare indietro ma viene acchiappato per i piedi dall'ostetrica, che oltre a fargli fallire il tentativo costringendolo ad una vita che non vuole vivere, lo riempe di sberle e lo lancia in braccio a mamma Maddalena. Nakai colpevolizzerà Maddalena per tutto ciò che andrà male nella propria esistenza da quel punto in poi, anche quando la povera disgraziata non c'entrerà assolutamente nulla.

Nakai cresce senza un padre a causa di un incidente stradale. Josh lascia questa terra schiantandosi con la sua auto mentre una ragazzina gli sta praticando del sesso orale. Quest' ultima si salva, ma passerà il resto della vita con gli occhi per metà fuori dalle orbite. Il piccolo Nakai incolperà, manco a dirlo Maddalena dell' accaduto, rea di accettare i tradimenti senza obiettare nulla. A nulla vale la sua giustificazione: “…ogni volta che parlavo di infedeltà a tuo padre, mi ricevevo cinghiate come se non ci fosse stato un domani...”. Il ragazzino cresce così senza punti di riferimento forti, in grado di indirizzarlo sulla giusta strada.

I due si separano dopo mesi intensi di convivenza senza rancore alcuno; arrivando alla conclusione che sì, vorrebbero svegliarsi ogni mattina insieme per il resto della vita, ma addormentandosi la notte precedente con altre persone... Non riuscendo a venirne a capo si salutano con affettuosi schiaffoni in faccia augurandosi il meglio. Rimasto orfano dell' ispirazione data dalle droghe e da Lei, Nakai promette di malmenare mamma Maddalena ogni giorno sino a quando quest'ultima non ammetterà di essere la prima responsabile dei fallimenti del figlio.

Solo nel periodo adolescenziale ritroverà nella figura di Charles Bukowski un esempio da seguire in ogni momento problematico. Come lui tenterà ancora di tornare al sicuro dentro una vagina riuscendoci parzialmente solo all' età di diciott'anni. Da quel giorno Nakai scopre di saperci fare alla grande con il gentil sesso come dimostra il suo racconto “ Io e le donne”, che riscuote un grande successo guadagnando addirittura una ventina di LIKE su FaceBook. Dopo una vita sregolata, fatta di eccessi di ogni tipo decide di darsi alla scrittura ispirato dalla fantomatica “Lei”, alla quale dedica buona parte delle sue opere. Grazie a Lei, Nakai abbraccia la filosofia “straight edge” abbandonando ogni vizio “imposto dalla società”, se escludiamo i ghiaccioli all'anice ed il succo di frutta mela e kiwi.

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La fame nel letto, di Sonia Secchi

Questa notte lo sai mi sveglieròe ti chiederò se hai fame.Pssst.Psssssst.Hey. Hey tu.Sveglia. Hai fame?Lo vuoi un panino?Hey.Hey...

Tu allora ti appallottoleraitirandoti le coperte fin sotto al mentoe mugolerai un nodove le N sono più delle O.

Ed io mi girerò dall'altra partesì, ti darò la schienaperchè avrò bisogno di pensaresenza distrazionie di prendere le emozioni,i desideri.Impastarli insiemee farne del panedi cui cibarmi.

Mangerò un po’ di mementre dormie mi farò piccola piccola nel mio stomacodove proverò a dormire.Sognare, se capita,col mio zigomo appoggiatoalla tua terza vertebra che sporge.

Cerco modi di pensarmi sola al buioe immaginodislivelli nei marciapiediminuscole fessuredentro cui non m’invitoe mi sento un po’ giùe un po’ su a seconda dei passi nella mia testamentre decido cosa fare.

Nella mia testanon ho bisogno degli occhiali,adoro la miopia che c'è là dentro.

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Not any sunny tone-from any fervent zone-finds entrance theredi Silvana Maragliulo

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Ciò non toglie nessun merito all’alcool di Alessio Minandri

“Avete presente quella possibilità, quella fantastica possibilità, di poter stare fermo e non aver bisogno di fare niente, non avere nessun bisogno, nessun desiderio, non fareste niente di buono ma neanche niente di sbagliato, ma solo perché in uno stato di perfezione come questo non esiste il qualcosa, non fai niente e ti rendi conto che non è un problema perché è proprio il niente quello che ti fa rimanere calmo, è la soddisfazione più totale, non esisterebbe il pianto, l’insoddisfazione, l’agitazione, le ansie, l’amore, niente di tutto ciò, niente turbamenti, la faccia riposata per l’incapacità di esprimere qualsiasi emozione, non essere niente. Una continua routine a basso consumo, vivere con il minimo indispensabile, muoversi il minimo indispensabile, nessun rapporto esterno, ma non per la vergogna di sembrare un nulla facente agli occhi degli altri, in uno stato di quiete così perfetto ti disabitui anche a parlare, a pensare ad altre persone, perché far entrare un elemento di disturbo nel vostro paradiso? Dio ha creato Eva per paura che Adamo si suicidasse per la solitudine, ma aveva torto, Adamo stava benissimo, in due si fanno solo disastri. La solitudine non è un male. Tutti però credono che Dio avesse ragione, e tutti si circondano di altri tutti, anche nei cimiteri i morti vengono seppelliti vicini ad altri morti “così non si sentono soli”, è tutto sbagliato come ragionamento. Sei te che sei più solo ma sei ancora troppo spaventato, il morto solo ora sta capendo quanto sia in realtà perfetta la solitudine. Lasciate in pace i morti, invidiarli non serve a niente”

“…..””…..” Menenio e Luigi stanno zitti “oh! Allora?” chiede Alessandro “allora che? ” chiedono all’unisono “che ne pensate di quello che ho detto?” “ma perché che hai detto?” chiede Luigi “ho fatto tutto un discorso contorto, che cazzo state a dì oh?” “te giuro che sei stato zitto mezz’ora zì, a ‘na certa hai sorriso e poi sei tornato serio a fissà il vuoto” Menenio vuota il sacco “ma davvero dite?” “sì” di nuovo all’unisono “Cazzo, me sa che sto veramente ubriaco.”

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Tra sogno e inquieto di Gianguido Oggeri

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“Giovanna D’arco” F. De Gregori` 12

Lettera

Mi sento triste amico mioOgni sera torno a casae trovo sempre la sediaad aspettare con indifferenzale mie naticheMi sento poco bene:ammalato di una malattiadi cui non mi capacitoIl rossore della luce mi disturbae il buio mi atterrisce le ossaHo scordato mio caro amicoil vento che ha soffiatosui nostri capellie ho dimenticato i nostri voltisu una pietra di cui non ricordopiù il nomeMi giungono notiziee sono sempre notizie allegremeravigliose, eppurese anche non tace il gozzovigliodelle risail mio orecchio si inchiodasu un tremore mono notaUn suonoassordanteche ricorda a trattil’abbraccio di una madree sempre più spessola fine gloriosadi un addio.

Paralyzed

Come è finita maleLa verde sposa calpesta i suoi gigliMentre all’angolo siamo fermi tuttiDietro un taglio isolato dal mondoin quei giorni sospesi nei piedi.Lì ora: il sole ai capelli, la volieranegli occhi[una gabbia che scuotegiunchi d’ossa e ferro]Poche ore da ospitare nelle scarpe ancora.Un colonnato ci attende a seraimmobile come pergolo sul trionfodi piazze – anch’esse deluseDisorientatedal baccano delle ciarleE dalla perfetta illusionedi libertàCome è finita maleNoi che abbiamo trascuratoCon lacci su braccia e gomitinel cuore.Accovacciati e racchiusiDella luce figli tenebriBraccia paralizzateParola di madre mancatanulla più

Poesie di Enzo Lomanno

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Millworker di J. Taylor` 1313

Un tanto al mese

Morire un tanto al mese…[È così sadico il disegno]che ho tuttoraun pugno di ghiaiache scivola lungo il lastricoE la raccolta nel fruttetosi rinvia ogni domenicaper lunghe soste in carreggiataQuesta vitanon perfeziona alcunchéE mi chiedo il significato del borgonelle cisterne imbrunite d’acqua piovanaantiche; come il desideriolevigato tra lacrime e sangue amaroin un battuto di ossa e dentiQuesta strada:non la si dipingeCi si pone davanticome intralcio alla salvezzaLasciando il giusto spazioal lento mattatoioMentre la noiaci allunga le lenzuolasu mattine prive d’oroe bocconi di velenoMorire …un tanto al meseÈ così sadicoil disegno

Throw Up

Quante volte, ancoracompletamente inariditoa centrare il bersaglioAppoggiatocon flusso caldovomitando l’infernoE ricordare e barcollarenella medesima torsionesorretto dal braccioLo scivolaredi acque torbideresidenti sconfittatra mortee incapacitàquel piaceresenza luce

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Tra sogno e inquieto di Gianguido Oggeri

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Racconto di una fine di Andrea Borrelli

Mi sentivo fuori posto, sentivo ogni maledetto pezzo di me fuori posto. L'apertura di una scatola di un puzzle da mille, diecimila pezzi. Come se fossi entrato in una stanza piena di gente, con indosso un cappello e la visiera bassa. Il puzzo di marcio e pelle sudata e liquidi vitali in decomposizione. Gli occhi nudi di tutti, trasparenti, i respiri che trapassano i corpi da parte a parte. E io che mi accorgo di tutte le loro fragilità e debolezze, disperazione. Vorrei disprezzo, verso me e il mio piccolo scudo. Disapprovazione, sconcerto perché non toglierò il mio cappello ma continuerò a guardarvi, a trapassarvi, innocui ora e deboli. Diventerò la bestia feroce che siete voi quando vi scorderete di tutto questo. Quando la paura sarà seppellita per sempre. La questione è come sarebbe morire, senza aspettarselo, senza che tu stesso te ne accorga e lasciando fare, senza sapere che te ne stai andando oppure avere il dolore a portata di mano con la consapevolezza di dover morire e avere così l'occasione di dirsi: sto morendo ora, lo so, potete sparire. Più che della morte si ha paura del dopo, ma credo che quello venga fuori in fondo, proprio in quel dolore, quello nell'attimo prima di morire, necessario, per sentire l'ultimo fiato di vita che se ne sta andando e conoscerlo. Senza averlo provato non si può avere paura del dopo, e non valgono le ossessioni fatte in vita vaneggiando sul giorno della propria morte, non si può aver paura di qualcosa cui non si ha certezza. Ho paura degli zombie. È morto ma non ha sentito nulla, no, almeno sul punto di morte ho bisogno di avere quella sicurezza, saper di morire, aver paura, solo in quell’attimo del dopo, quella Vera. Invece senza sarebbe come rubare il finale che poi diventa inevitabile parte della vita di qualcun altro, magari l'ultimo rimasto vicino, facendone sogno di vita dopo la morte, compagnia serena e arrendevole che scorti la perdita del proprio caro. Non è il mio sogno però, è solo quello che si aspettano da me. Una frase mozzata o senza punto, non priva di significato ma un altro, una battuta sul copione che non è mai stata detta.

Più che della morte si ha paura del dopo.

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