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1 INTERLIBERTARIANS 2013 Together in freedom www.interlibertarians.org WHICH DEMOCRACY? Lugano-Paradiso (Switzerland) 30 novembre 2013 LA DEMOCRAZIA NELLA REPUBBLICA DI SIENA Relatore: Prof. Cosimo Loré Premetto che quanto qui dirò è frutto di una stretta collaborazione con l’amico Mauro Aurigi cui ci unisce una lunga appassionata dedizione alla città e alla storia di Siena vissuta all’interno della istituzione universitaria e dell’istituto bancario, scandita da iniziative politiche e pubblicazioni scientifiche in volumi, riviste, giornali, atti, cd, dvd, blog, video fino a questa odierna relazione.

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INTERLIBERTARIANS 2013 Together in freedom

www.interl ibertar ians.org

WHICH DEMOCRACY? Lugano-Paradiso (Switzerland) 30 novembre 2013

LA DEMOCRAZIA NELLA REPUBBLICA DI SIENA Relatore: Prof. Cosimo Loré

Premetto che quanto qui dirò è frutto di una stretta collaborazione con l’amico Mauro Aurigi

cui ci unisce una lunga appassionata dedizione alla città e alla storia di Siena vissuta all’interno della istituzione universitaria e dell’istituto bancario, scandita da iniziative polit iche e pubblicazioni scientif iche in volumi, riviste, giornali, atti, cd, dvd, blog, video f ino a questa odierna relazione.

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Immagino che siamo qui a parlare di democrazia non tanto per motivi estetici o etici quali la parità di diritti e doveri, la dignità, la giustizia o la libertà, ma perché democrazia signif ica soprattutto successo economico, sociale e culturale. Perché la democrazia produce ricchezza (i sistemi autoritari, anche se mascherati da democratici, no) e la ricchezza produce cultura (la povertà produce ignoranza) e la cultura produce arti e scienze. Questo ha signif icato la democrazia là dove si è manifestata più vistosamente: nella Grecia 2500 anni fa, nel centro-nord d’Italia quasi 1000 anni fa, e da circa 300 anni nell’Occidente in generale e nei paesi protestanti in particolare, dove la democrazia dei nostri tempi ha raggiunto i livelli più alt i. E già che siamo in Svizzera, diciamocelo: questo è il territorio più povero di risorse naturali dell’intera Europa, ma è anche il territorio dove vive il popolo più civile e prospero del mondo. E ciò per un unico, preciso motivo: qui da 750 anni ininterrottamente si applica la democrazia, ed oggi nella forma più evoluta dell’intero pianeta… tanto che si potrebbe ben sottotitolare questa relazione come uno studio su una piccola orgogliosa capitale campionessa nel “fare da sé”! Un modello ancora attuale?

Et neuna cosa, quanto sia minima, può averecominciamento o fine senza queste tre cose, cioè:senza potere et senza sapereetsenzacon amore volere.

antico statuto della Repubblica di Siena

Ma veniamo a noi. Dopo l’anno Mille, assorbite e assimilate definitivamente le invasioni

barbariche, le città in Europa, già abbandonate perché i nuovi padroni dopo averle devastate preferivano i loro castelli nelle campagne, cominciarono a ripopolarsi e a darsi forme di governo comunitarie su base popolare (orizzontale), fatalmente in contrapposizione col sistema feudale (verticale) esistente fuori dalle mura del “borgo” (da cui “borghesi”). Era la democrazia, nella sua forma più elementare, che dopo 1500 anni, si riaffacciava nel continente. Nell’Italia del centro-nord (e direi anche in Svizzera) a differenza per esempio della Germania, i borghi non si limitarono ad affermare la loro autonomia e la loro diversità dal sistema feudale fuori delle mura, ma lo combatterono, sconfiggendolo, annettendosene i territori e liberando i servi della gleba. Si crearono le città-stato, i liberi comuni o repubbliche. È da qui o, meglio, è dall’Umanesimo nato nelle università dei liber i comuni, e dal Rinascimento che ne deriverà, che vede la luce e f iorisce il pensiero polit ico occidentale o, se si vuole, l’Occidente, sic et simpliciter. È da qui che a partire dal Duecento l’Occidente riesce prima a raggiungere e poi a superare definitivamente i tre Orienti, arabo, indiano e cinese, che da secoli avevano costruito civiltà assai più evolute (quando i Crociati piombarono nel Vicino Oriente furono giustamente considerati barbari).

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È sulla base di tutto ciò che cercheremo di illustrare un caso storico, quello della nostra città, dove la sperimentazione democratica in epoca medievale fu così profonda e condivisa da produrre effetti benéfici ancora oggi ben visibili e pienamente fruibili, come successivamente vedremo.

Siena, già etrusca, fu poi colonia romana col nome di Saena Julia. La mitologia cittadina vuole la città fondata da Senio, f iglio di Remo, ucciso dal gemello Romolo fondatore di Roma. Senio e il fratello Aschio, avrebbero infatti lasciato Roma perché perseguitati dallo zio Romolo, trovando rifugio nella nuova città. Ma la prima notizia storica che se ne ha è dell’anno 70 d. C., quando Tacito riporta la notizia del senatore romano Manlio Patruito che, in visita uff iciale a Siena, fu malmenato e sbeffeggiato con un pubblico funerale. Avremo occasione di tornare su questo carattere irascibile e caustico dei Senesi, probabilmente retaggio, come per tutta la Toscana, degli Etruschi, assai diversi per stirpe e per costumi dai Romani (che non perdonarono mai loro, per esempio, di ammettere le donne alla propria tavola). Oggi Siena è una piccola città del sud della Toscana, la più piccola della regione con poco più di 50.000 abitanti, tanti quanti ne aveva nella prima metà del Trecento, epoca del suo massimo rigoglio sia economico che polit ico, ma quando già città come Firenze, Venezia e Milano di abitanti ne avevano più del doppio. Ma grazie al suo passato è ancora una piccola capitale autosuff iciente ed è oggi – riconosciamolo – anche la più bella provincia della bellissima Toscana, quindi una delle province più belle del “belpaese” Italia!

Come la Svizzera il suo territorio non ha pianure, è collinare e montano, per giunta è arido... E come la Svizzera da sempre schiacciata tra Francia, Germania, Austria e Italia, Siena è da sempre schiacciata tra due potenze, Firenze e la Roma dei Papi, contro le quali dovette difendere con le armi la propria indipendenza, spesso vittoriosamente. Sono esperienze queste che possono formare il carattere di un popolo: successe anche a Venezia, schiacciata tra il Sacro Romano Impero, anche asburgico, e quello ottomano. Di più: avendo il confine settentrionale con la potente e prepotente Firenze a soli 10 chilometri dalle proprie mura, Siena fu costretta a una rischiosa espansione armata verso sud, ossia contro i feudatari del Papa: le terre che conquistò f ino a riunire tutta la Toscana meridionale arrivando a prendere possesso del Monte A miata, del Monte Argentario e di Orbetello, furono quindi molto temerariamente sottratte allo Stato della Chiesa…

Leonardo Benevolo, autorevole storico dell’urbanistica, scrive (Le città nella storia d’Europa):

La cosa straordinaria è che quella sfida paradossale di settecento-ottocento anni fa, frutto

della “pazzia” dei Senesi, ha prodotto effetti ben evidenti e sempre tangibili f ino ai giorni nostri: l’Università, datata nella prima metà del Duecento e quindi tra le più antiche del mondo,

arrivata ad ospitare oltre 25.000 studenti (su 55.000 abitanti); l’Ospedale, il più antico del mondo, documentato da pr ima dell’anno 1000, tra i primi tre della

Toscana, pur essendo sorto nella città più piccola della regione; il Monte dei Paschi di Siena, banca fondata nel 1472, la più antica del pianeta, diventata la

terza banca italiana con ben 30.000 dipendenti e 3000 sportelli in Italia; il turismo con un milione e mezzo di presenze annue) per il richiamo esercitato dall’arte,

anch’essa a carattere pubblico, f iorita nel periodo repubblicano (f ino al 1559); le 17 contrade in cui si divide la città, eredi dirette delle compagnie militari popolari dell’antica

repubblica, gestite direttamente dai loro abitanti in totale autonomia e all’interno delle quali si svolge gran parte della vita sociale e culturale dei Senesi ed è per loro esclusivo merito se il Palio delle Contrade di Siena ha raggiunto così alt i livelli di notorietà internazionale e se nella Città di Siena si godono livelli di civismo e sicurezza insoliti per un paese come l’Italia;

le quattro accademie di origine rinascimentale… e questo elenco potrebbe continuare.

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Ma ancora più straordinario è che da tutto ciò dipenda ancora oggi l’80-90% della vita sociale ed economica, art istica e culturale di una Città che è rimasta tra le più prospere sotto ogni aspetto (da sempre galleggia ai vertici italiani della classif ica italiana delle città con migliore qualità di vita). Da notare ulteriormente che quelle a cui abbiamo accennato rappresentano esclusivamente att ività o istituzioni pubbliche, che però, si badi bene, hanno tutte tre particolari caratteristiche: la prima è che, fatto eccezionale in un Paese dove ciò che è pubblico è nelle condizioni che si conoscono, hanno magnif icamente funzionato come straordinari produttori di cultura e r icchezza almeno fino a una trentina di anni fa; la seconda è che sono stati generati dalla Città stessa; la terza è che hanno tutti origine nel periodo repubblicano di Siena dal 1000 al 1559, anno della f ine della Repubblica.

Questo fenomeno, forse unico al mondo, di una comunità che vive quasi esclusivamente di istituzioni pubbliche fondate dalla comunità stessa, tuttora prestigiose, non parassitarie come invece è normale in Italia per il settore pubblico, ma produttrici di cultura e benessere economico e che per giunta sono state create tra 1000 e 500 anni fa, avrebbe dovuto incuriosire gli studiosi, inducendoli a indagare sulle ragioni di un tale fenomeno. Non l’hanno fatto e allora ci proviamo noi.

Ma prima dobbiamo aggiungere un ulteriore particolare. La storia spesso tormentata di questa Città, costretta sempre a risolvere da sola i suoi problemi, ha talmente condizionato i Senesi sia sul piano culturale che su quello antropologico anche nei secoli successivi, che ancora oggi si può dire che Siena, per tutto ciò di cui vive, non deve ringraziare nessuno, né un papa né un re, né un politico, né un capitano d’industria, né, dopo la perdita dell’indipendenza, lo Stato, prima mediceo, poi lorenese, infine italiano. Vero è che i Senesi devono ringraziare solo se stessi!

E questo vale per esempio per la costruzione dell’acquedotto che porta a Siena l’acqua dal Monte Amiata, lontano circa un centinaio di chilometri. Vi provvide nel 1904 direttamente il Comune, senza una lira di f inanziamento dello Stato, senza una legge speciale, senza una gara internazionale, ma utilizzando esclusivamente i propri tecnici e i propri denari (fu costruito così bene che quando nel 1944 le truppe naziste in ritirata cercarono di farlo saltare, non ci r iuscirono). Da notare che f ino ad allora la Città, totalmente priva di acque superficiali e di acque di falda, aveva utilizzato l’acqua dei cosiddetti “bottini” ossia di una stupefacente opera idraulica medievale consistente in un reticolo di cunicoli che si sviluppano per una trentina di chilometri nel sottosuolo della Città, nei quali si raccoglie goccia dopo goccia l’acqua che geme dalle pareti di tufo vulcanico e che alla f ine ancora oggi ruscella copiosa in decine di fonti che costellano l’abitato, molte delle quali monumentali, quasi dei templi pagani eretti dai Senesi alla dea Acqua.

Lo stesso si può dire per le tre ferrovie che la collegano a Firenze, a Roma e alla Maremma, che i Senesi, visto l’isolamento in cui lo Stato li ha sempre lasciati dalla perdita della libertà in poi, si sono costruiti da soli nella seconda metà dell’800. Questa è una storia che merita un commento. Tutto cominciò con la decisione del principe Leopoldo di Lorena, Granduca di Toscana, di costruire la prima ferrovia dello Stato toscano da Firenze a Livorno, il porto più importante della piccola nazione. A Siena si innervosirono parecchio. Poi se ne fecero una ragione e si rimboccarono le maniche. Presero il mare ed andarono in Inghilterra a vedere come si faceva. Così una strada ferrata che li collegasse alla stazione di Empoli sulla Firenze-Livorno se la fecero da soli tra il 1844 e il 1849. Poi toccò ai Savoia, succeduti nel 1860 ai Lorena dopo l’adesione dei Toscani all’unità d’Italia, a innervosire i Senesi. Questi erano stati i primi con un referendum ad aderire allo Stato unitario (speravano così di liberarsi dal giogo f iorentino che gravava loro sul collo dal 1559, ma non sapevano che quello romano sarebbe stato anche peggiore). I Savoia decisero di fare passare la ferrovia Firenze-Roma da Arezzo invece che da Siena. Sarebbe stato l’isolamento della Città. Cos ì i Senesi, assai indispettiti, si rimboccarono di nuovo le maniche e si costruirono da soli il tratto di ferrovia Siena-Chiusi per collegarsi a sud con la Firenze-Roma. Anzi pensavano di arrivare a Roma direttamente ma furono bloccati a Orte, ben oltre Chiusi a meno di 100 chilometr i dalla Capitale. La società per azioni costituita ad hoc piazzò le obbligazioni anche in Svizzera. E già che c’erano costruirono, sempre da soli, anche un terzo tronco ferroviario, quello che da Siena porta all’antico possedimento senese delle Maremme e al mare. Ma non si fermarono qui. Dal viaggio in Inghilterra si erano portati anche il sapere necessario per costruire le locomotive a vapore per uso proprio e per il mercato. Un successo per l’epoca, come se oggi a Siena si costruisse lo Shuttle. Anche le due grandi fabbriche moderne dell’inglese Whirlpool e della svizzera Novartis sono qui perché impiantate la prima su una antica fabbrica senese di frigoriferi e la seconda sulla preesistente Sclavo, una prestigiosa azienda farmaceutica per la produzione di sieri e vaccini (la migliore secondo Albert Sabin, padre del vaccino antipolio).

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Cercheremo ora di spiegare quali sono i presupposti storici di questo stupefacente e abbastanza raro fenomeno (in Italia molto probabilmente unico, a quanto finora ci risulta).

Cominciamo dalle priorità “ideologiche”, della cultura senese medievale che il massimo conoscitore della storia cittadina, Mario Ascheri, ordinario di Storia del Diritto all’Università Roma 3, ha così elencato per ordine di importanza: Libertas, honor civitatis, iustitia et aequalitas …

Non ci vuole molto per capire che fu anticipato di mezzo millennio il grido transalpino Liberté, fraternité, égalité, ancorché con l’onore della città al posto della fraternità (quest’ult ima, se si può esprimere il nostro personalissimo parere, piuttosto diff icilmente imponibile per legge). Un altro storico, William Bowsky, che ha dedicato buona parte dei suoi studi alla Siena del Trecento, ha individuato un altro motto con il quale si condizionò la cultura politica della Città: prima la patria e poi la famiglia, motto tradotto in pratica f ino a mezzo secolo fa da molti popolani nei confronti della propria contrada, legittima e vegeta erede dell’antica repubblica medievale …

Forse è opportuno spiegare cosa sono le Contrade. Quando Siena capitolò nel 1559, il primo atto dei Medici, che avevano ricevuto dall’imperatore Carlo V in feudo tutto lo Stato senese, fu quello di abolire il Parlamento e le compagnie militari popolari (i tiranni ci tengono al potere ed anche alla pelle, per cui nutrono un istintivo terrore per il popoli in armi). I Senesi sopravvissuti alla tragedia, in parte fuggirono all’estero, in Francia e perfino in Polonia e non tornarono mai più (anche il vescovo della Città, un nobile Piccolomini). Il Medici li tormentò anche all’estero spedendo sicari ad ucciderli. I superstiti rimasti in Città, non potendo più gestirla come una repubblica indipendente, si rifugiarono nelle ormai inermi compagnie militar i trasformandole in piccole autentiche repubbliche autonome che hanno conservato f ino ad oggi la struttura della libertas-democrazia senese e che sono in metaforica guerra tra di loro. Ma torniamo alle origini…

Dall’XI al XVI secolo i Senesi realizzarono un sistema di governo che, pur sostanzialmente omogeneo a quello delle altre città italiane del centro-nord, si distinse per alcune “esagerazioni”.

Cominciamo dalla preoccupazione quasi ossessiva che quei buoni borghesi avevano di controllare, emarginare e possibilmente eliminare le fazioni (e quindi i loro capi) in funzione del mantenimento della concordia tra i cittadini e della libertas di tutti. Allora si sapeva quello che oggi non riusciamo più a percepire: il prevalere di uno o di pochi (il partito) su tutti gli altri e la conseguente occupazione delle istituzioni repubblicane (questo fecero i Medici a Firenze, i Gonzaga a Mantova, etc.) da parte del vincitore e della sua clientela, mira esclusivamente, quali che siano le loro promesse, all’accrescimento del loro potere e delle loro ricchezze personali, non alla promozione dell’interesse generale, del bene comune, mentre invece la repubblica va in rovina. A Siena cominciarono quindi (1285) col privare dei dir itti polit ici sia attivi che passivi la “gente di casato”, ossia i nobili sempre rissosi e pericolosi a tale riguardo. Si trattava di quasi un centinaio di famiglie per lo più di origine feudale e rurale, sconfitte e obbligate a trasferirsi in città. Piuttosto che tagliare loro la testa come avverrà 500 anni dopo in Francia, fu loro vietato di eleggere e di essere eletti a cariche pubbliche, ma potevano però continuare a godere le loro ricchezze ed aumentarle (erano tutt i banchieri e mercanti sui mercati italiani e europei tanto che le due vie principali della Città dove avevano – e qualcuno ancora ha – i loro palazzi-fortezza si chiamano tuttora Banchi di Sopra e Banchi di Sotto), purché pagassero salatissime tasse. Proibirono loro per legge anche l’esibizione di ricchezza e prodigalità, potenziali inquinanti del consenso popolare (si pensi al Berlusconi di oggi: allora sapevano cosa voleva dire, oggi non più). Per la stessa ragione ai “popolari” era fatto divieto di indossare colori e insegne di famiglie nobiliari.

Esclusero dalle cariche anche quelli che le tasse non le pagavano ossia quei nullatenenti da taluno definiti i proletari dell’epoca, che in realtà erano sottoproletari (di cui diff idava anche Marx), fascia sociale non numerosissima vista la preponderanza numerica di quelli che una proprietà o una impresa, grande, piccola o pur piccolissima, ce l’avevano (la città comunale del medioevo era un unico grande insieme di fabbriche e botteghe di manufatti). Tale fascia plebea era guardata con sospetto per la sua tendenza a schierarsi con l’aristocrazia. Eliminati dal potere i due estremi pericolosi (l’aristocrazia e la plebe, spesso alleati) per la “mezzana gente”, ossia per i borghesi grandi, piccoli e piccolissimi, tutt i obbligator iamente iscritti a una corporazione di mestiere o professione, il compito si semplif icava: per il buon governo non restava che distribuire il potere quanto più possibile tra i cittadini in forte rotazione, ricorrendo più al sorteggio che all’elezione. E per neutralizzare ogni iniziativa personale tesa ad accattivarsi il consenso popolare – e quindi anche a creare un partito di sodali, clientes e famigli f inalizzato alla conquista del dominio o della signoria sulla Città – il potere era suddiviso in una miriade di cariche, competenze, uff ici, poteri, pesi e contrappesi intrecciati tra di loro in maniera che nessuno prevalesse del tutto sugli altri.

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La burocrazia era ridotta al minimo perché il grande numero di cittadini cui le cariche venivano aff idate provvedeva personalmente alla bisogna. Inoltre fu limitata drasticamente la durata degli incarichi che andava da un minimo di pochi mesi ad un massimo di un anno e con la prassi che più importante era la carica più breve era la durata e senza possibilità di rinomina …

Un sistema poco eff iciente forse, ma che sapevano poter essere l’unica garanzia per il mantenimento della libertas (ancora il termine democrazia non era stato varato), quella libertas che era considerata il bene primar io, l’unico e solo che poteva garantire alla comunità, in successione, la ricchezza, la cultura e l’arte. Dominava l’opinione che quanto più numerosi erano i cittadini coinvolti nel governo della città e quanto più breve era la permanenza nella carica tanto minore era il rischio che la Repubblica perdesse la libertas trasformandosi in Signoria…

Cos ì, a cominciare dal 1285 e f ino alla caduta della Repubblica nel 1559, al Governo (o Balìa), organo sempre collegiale, si arrivava per sorteggio e si restava in carica per soli due mesi, chiusi a chiave in Palazzo Comunale con il divieto assoluto di avere contatti con qualsiasi privato (moglie inclusa). E trascorsi quei due mesi dovevano passare tre o quattro anni prima che il nome fosse nuovamente messo nella borsa del sorteggio rientrando quindi tra i cittadini eleggibili.

Ma l’anima vera della politica cittadina era il Parlamento o Consiglio Generale o Consiglio della Campana (erano i rintocchi di una particolare campana che chiamavano i consiglier i in assemblea) dove di norma sedevano 300-400 cittadini, anch’essi sorteggiati ma non più di uno per famiglia, che restavano in carica un anno senza rinnovo alla scadenza. La nomina nel Consiglio Generale comportava l’abbandono di ogni carica pubblica eventualmente ricoperta da parenti stretti. Il numero dei consiglieri veniva spesso superato in relazione agli affari trattati. Il Consiglio era infatti l’unico organismo legislativo, e se c’erano decisioni importanti da prendere (una guerra, per esempio) il numero dei consiglier i poteva superare gli 800 e anche arrivare ai 1500. Considerato che Siena al suo massimo raggiunse i 50.000 abitanti ma che di norma non ne aveva più di 20-30.000, è come se l’Italia oggi, con i suoi 60 milioni di abitanti avesse normalmente da 600.000 a 3.000.000 parlamentari, invece degli attuali 1000. Con turnazione mensile veniva sorteggiata tra i consiglieri una commissione che aveva l’esclusivo incarico di ricevere istanze, proposte e suppliche di ogni t ipo, individuali o collegiali che fossero, provenienti dalla Città, da discutere e deliberare poi nel Consiglio generale.

Particolare attenzione veniva prestata alla scelta del Podestà, ossia del capo del potere esecutivo e in parte di quello giudiziario. Un’apposita commissione nominata dal Consiglio generale veniva incaricata di scegliere uno straniero (estraneo quindi alle fazioni cittadine), nobile (doveva avere pratica di comando e di armi), di famiglia non troppo potente (per limitare il rischio che diventasse signore della città come già stava succedendo in altr i comuni), proveniente da una città non troppo grande e comunque non nemica di Siena (capitò che arruolassero perfino un tirolese). Ad ogni buon conto la carica era limitata a sei mesi sempre non rinnovabili alla scadenza. Il Podestà si insediava con la sua familia, ossia con alcuni notai e avvocati e qualche decina di sbirri e servi. Un’ulteriore precauzione al f ine di assicurarsi le migliori prestazioni da questo burocrate mercenario era quella di pagare subito la metà del compenso pattuito, mentre l’altra metà veniva liquidata alla scadenza se e nella misura ritenuta adeguata alla prestazione erogata (gente particolarmente accorta i Senesi di allora!).

A questa che era l’ossatura della struttura politica cittadina si aggiungeva una complicata articolazione di cariche, funzioni, magistrature, uff ici e organismi collegiali (corporazioni, compagnie militari, religiose, laiche e mercantili) che rendono diff icile comprendere come l’intera macchina potesse funzionare. Capitano di Giustizia e Capitano del Popolo aff iancavano il Podestà.

C’era il grande Spedale S. Maria della Scala, potente e ricchissimo, la vera anima finanziaria della Repubblica con f iliali a Firenze, Perugia e Roma. L’edif icio che lo ospitava è tutt’ora il più grande della città, più del Duomo e dello stesso Palazzo Comunale. Aveva già 500 anni quando una commissione venne dalla grande Milano per vedere come funzionava la struttura sanitaria senese, visto che avevano deciso, nel mille e cinquecento, di costruire il loro ospedale milanese.

C’era una magistratura f inanziaria, detta la Biccherna, aff idata a 4 provveditori e un camarlengo (cassiere) scelto tra frati che avessero fatto voto di povertà (ma che vispi i Senesi!).

Poi la Mercanzia, la potentissima corporazione del mercanti e dei banchieri che aveva anche compiti di amministrazione della giustizia. La stessa banca cittadina, fondata dal Comune nel 1472, aveva potestà giudiziaria sui dipendenti, f ino alla condanna a morte, come almeno una volta è successo ancorché in contumacia, contro un cassiere che, si dice, era scappato con la moglie di un collega (tutte le condanne a morte dovevano però essere approvate dal Consiglio generale).

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E c’era poi anche la divisione della città in Terzi che dovevano essere paritariamente rappresentati in tutte le cariche, di qui il governo dei Nove, dei Dodici, dei Ventiquattro e così via.

Inoltre, per evitare concentrazioni di potere, sempre nell’ott ica del mantenimento della libertà repubblicana, nessuno aveva la potestà di nominare altri negli incarichi che quindi venivano aff idati solo per elezione da parte di organismi collegiali o per sorteggio. E ciò valeva anche per il Vescovo nel Duomo (la Cattedrale era di proprietà del Comune) e per i preti delle chiese rionali, pure queste di proprietà del popolo senese.

Se a ciò si aggiunge la veloce rotazione degli incarichi senza rinnovo alla scadenza si capisce come la gran parte dei cittadini fossero nel corso della loro vita coinvolt i personalmente nella gestione della res publica.

Una cosa complicatissima, dunque, spesso nei secoli successivi, ed ancora oggi, criticata e derisa, perché giudicata mancante di eff icacia e eff icienza. A torto ovviamente se si sta agli esiti di quel sistema sia allora che oggi.

Cos ì come è ancora criticato il distacco che la città volle conservare con le comunità del suo dominio. Il paragone ovviamente è con Firenze, modello positivo, che invece impose la sua legge a tutto il dominio (in realtà soffocò le autonomie locali) i cui abitanti, almeno formalmente, diventarono cittadini f iorentini. Siena non impose la propria legge, ma lasciò a ogni comunello, ad ogni comunità la libertà di farsi le proprie leggi e, in sostanza, di governarsi in autonomia. Tanto che tutti i comuni del contado avevano un consiglio generale dove per dirit to sedeva “un homo per chasa”, ossia un uomo per ogni famiglia anche se di umile o umilissima estrazione, come quella del mezzadro, il quale quindi sedeva con pari diritto nel consiglio dove sedeva anche il suo padrone (tradizione questa che durò poco, una volta caduta la Repubblica). Insomma Siena in realtà aveva creato una federazione dove le comunità del dominio avevano spesso livelli di democrazia superiori alla istituzione dominante. …ma quale delle due fu la strategia vincente? Quella f iorentina diranno subito i critici. Invece no. Quando nel 1529 gli Spagnoli di Carlo V assediarono Firenze per restituirla ai Medici, la città resistette eroicamente per dieci mesi, ma tutte le città del dominio le si rivoltarono contro. Nel 1552 la Repubblica di Siena fu investita dallo stesso esercito con l’aggiunta dei Fiorentini. Siena, piccola e solitaria, resistette invece sette anni. Alla f ine cadde, ma dei quasi trentamila abitanti solo seimila erano sopravvissuti: tutti gli altri avevano preferito morire a causa delle tre “f”, fuoco, ferro e fame, piuttosto che perdere l’amata libertà. Nessuno dei comuni e dei borghi del dominio disertò o tradì, nonostante che in quei sette anni tutto il territorio dello Stato fosse stato messo a ferro e fuoco (e i danni erano ancora visibili nell’800). …e cosa si può dire, visto che siamo in Svizzera? Potenza della democrazia e del federalismo!

Per la storia: nel 1527 assediata dagli stessi Imperiali Roma resistette solo due ore! A questo punto pare necessaria una breve nota sull’organizzazione militare della

Repubblica, che si basava sulla milizia popolare. Tutt i soldati dai 16 ai 65 anni (più o meno come in Svizzera oggi), obbligo esteso anche ai religiosi. Tuttavia nei secoli centrali tra Duecento e Cinquecento, i buoni borghesi pensarono di essere ricchi abbastanza per pagarselo un esercito invece di farne parte (fare il soldato faceva perdere affari e metteva a rischio la vita). Si rivolsero così alle compagnie di ventura, ossia ai mercenari. Una scelta che costò cara, in termini di denaro e di eff icienza (le compagnie di ventura erano inaff idabili per definizione) e quando la patria nel 1552 fu pesantemente minacciata dall’Impero dovettero ridare vita alle compagnie militari popolari. Non fu suff iciente, come abbiamo visto, se non a far durare la resistenza per 7 terribili anni.

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Per la cronaca combatterono pure le donne, il che fece dire al guascone Blaise de Montluc, rappresentante dei re di Francia a Siena e certo uno dei condottier i più famosi del Cinquecento: «…vorrei difendere Roma con le donne senesi, invece che con i soldati che là stanno…».

Montluc ricorda, tanto per capire che la “pazzia” di Senesi era nota in Europa (anche Dante non fu tenero: “gente vana” !), che la fazione a lui avversa alla corte parigina cercò di impedirne l’incarico esclamando: “…una testa calda di guascone in una città di teste calde come Siena?!”.

Aff inché la legge fosse nota a tutti, nel 1309 fu tradotto dal latino in lingua volgare, per la prima volta in Italia, il Costituto comunale, una voluminosa raccolta di leggi e decreti (per quantità linguistica faceva concorrenza alla Comedia di Dante, per qualità linguistica non sapremmo). Una copia fu incatenata all’ingresso del Palazzo Pubblico aff inché la “povara gente che non sa di gramatica” potesse leggerlo e se necessario copiarlo. Ciò signif ica che la gran parte della popolazione era certamente in grado di leggere e scrivere e sappiamo anche perché: i dottori della Sapienza, come si chiamava lo “studio” universitario, erano obbligati a prestare gratuitamente la loro opera per l’alfabetizzazione della popolazione (potenza della democrazia…: quando 500 anni dopo, nel 1870, i bersaglieri da Porta Pia entrarono a Roma ponendo fine allo Stato assolutista e oscurantista del Vaticano, il 90% della popolazione risultò analfabeta…) …

L’attenzione verso i più indigenti era comune a tutte le città-stato medievali del centro nord, ma a Siena assumeva carattere di particolare rilievo. Tra le tante organizzazioni e associazioni umanitarie, alcune giunte sino ai giorni nostri come la duecentesca Misericordia, primeggiava il grande Spedale S. Maria della Scala, che si occupava anche dei bambini abbandonati in maniera anonima e che curava utilizzando centinaia di balie dei suoi poderi. I fanciulli ottenevano nome e cognome (quest’ult imo era per tutti Scali, che quindi è tuttora uno dei cognomi più diffusi in terra di Siena) e venivano istruiti e avviati a un mestiere a 15-16 anni (le ragazze munite di una dote) …

E dagli archivi, alla cui cura il Comune prestava particolare attenzione, sappiamo come nelle discussioni del Consiglio fosse normale che si accogliessero suppliche dei più poveri e indigenti, come la donna rimasta vedova con molta prole o la casa del piccolo artigiano distrutta dal fuoco.

A testimonianza della modernità di quel regime polit ico e di quella realtà sociale si ricorda che il Comune assicurava a chi non ne avesse i mezzi il patrocinio legale gratuito in tribunale …

Un altro aspetto che sconvolgeva e scandalizzava i nobili dignitari e i diplomatici delle monarchie europee quando entravano in contatto con la realtà comunale era che a Siena, come negli altri comuni, l’offesa di un plebeo a un nobile fosse punita come l’offesa di un nobile a un plebeo (…almeno in punta di diritto: di fatto neanche oggi ciò è sempre vero, almeno in Italia…).

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“Mas locos que los comuneros de Toledo”: più matti dei popolani di Toledo (che si erano rivoltati contro la nobiltà), disse un dignitario della corte dell’imperatore Carlo V a proposito dei Senesi e della loro allergia ai nobili, mentre a uno che nel 1530 aveva osservato sprezzante che il governo della Città era in mano solo a plebei e non a nobili, Francesco Vannini, altr imenti anonimo diplomatico senese, rispose piccatissimo: “…ma son tutti nobili quelli nati dentro a quelle mura!”.

Vogliamo finire col ricordare una cosa a cui teniamo particolarmente, perché sintetizza bene l’intreccio tra politica e arte che caratterizzò quel periodo come nessun altro: honor civitatis affidato più all’arte che alle armi… Nel primo ventennio del Trecento il Comune di Siena commissionò a A mbrogio Lorenzetti la raff igurazione della la propria visione della politica giusto sulle pareti della sala del governo nel Palazzo Comunale, aff inché servisse da monito e guida proprio alle più alte cariche dello stato. Gli effetti del buono e del cattivo governo è l’affresco che rappresenta ancora l’opera f igurativa a soggetto civile più celebrata della storia dell’umanità.

Sulle due pareti maggiori sono raff igurate città e campagna in due situazioni diverse.

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Nella parete ovest sia la città che la campagna sono raff igurate completamente in rovina perché devastate dal tiranno la cui f igura mostruosa domina l’angosciante scena (in gran parte danneggiata anche dall’umidità: sotto quella parete c’era il deposito cittadino del sale comunale).

Nella parete di fronte invece la città e la campagna appaiono vive e f iorenti sotto il buongoverno dei cittadini, tutti intenti alle loro att ività… lavorative, scolastiche, voluttuarie…

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Poiché la res publica è gestita dai cittadini collettivamente, qui manca anche il minimo

segno di personalizzazione o rappresentazione del potere politico (ed anche religioso, a parte la raffigurazione in un angolo estremo del duomo si Siena, che però apparteneva al Comune, non alla Curia). Nella parete minore, centrale rispetto alle altre due, è raffigurata l’allegoria del Buon Governo con tutte le diverse pubbliche virtù che ad esso presiedono.

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Di assoluto rilievo è il part icolare che f igura in basso al centro dove sono dipinti i cittadini tutt i

di identica altezza e dominati dal maestoso personaggio femminile che impersona la Concordia.

Sulle ginocchia di quest’ultima giace un’enorme pialla da falegname, minaccioso

monito a chiunque avesse osato alzare la propria testa al di sopra degli altri cittadini.

Questa e l’essenza più alta della democrazia/libertas che all’epoca veniva così definita:

“arte di gestire una società di uomini liberi soggetti solo alle leggi che essi stessi si danno”. Una società quindi senza capi istituzionali, senza “leader” (termine, si badi bene, che è la traduzione letterale di fuehrer e duce). Proprio in quegli anni gli umanisti delle università comunali italiane coniano i termini populus sibi princeps, popolo principe di se stesso, e sovranità popolare.

E quel sistema della libertas ha certamente funzionato: Siena e la sua provincia, 270.000 abitanti in totale, contano ben quattro sit i Unesco, una densità che probabilmente non è solo un primato in Italia, ma anche nel mondo. Ci sono intere nazioni anche grandi che non ci arrivano.

Eppure ancora oggi, dall’alto del nostro moderno bagaglio culturale democratico, si tende a definire oligarchica e in mano ai grandi banchieri e mercanti quel t ipo di architettura politica. Non so quanto si tratti di malafede o di manifesta ottusità. Allora erano molte migliaia i cittadini prima o poi chiamati a governare ai vari livelli di competenza ancorché per brevi periodi, alla f ine dei quali dovevano lasciare il posto ad altri. Oggi a Siena quelli che hanno il potere reale non sono più di una decina; il resto dei polit icanti è fatto solo di vassalli, non di liber i cittadini, che invece sono esclusi dalla gestione del potere. Sono proprio quella decina di “potenti” che rappresentano un’oligarchia, peggio, una casta, visto che restano al potere non due mesi, ma tutta la vita.

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Quel complicato sistema un po’ ossessivo del comune medievale che escludeva il capo e lo sostituiva con la volontà collettiva dei buoni cittadini, fece di Siena, pur piccola com’era e con tutti gli obiett ivi svantaggi della sua collocazione geografica (sostanzialmente isolata, premuta da presso da Firenze e Roma, era il comune italiano più meridionale: ai suoi confini meridionali incominciava allora e comincia ancora oggi il Meridione d’Italia), un faro di civiltà e cultura che è arrivato ad illuminare anche l’attualità, almeno fino a tre decenni fa. Dagli anni ’80 dello scorso secolo infatti il regime, già modestamente democratico, è degenerato in una sorta di tirannia, dove il potere si è concentrato in poche mani, spesso in due sole, con i cittadini, ormai immemori dell’orgoglioso passato, che si sono lasciati ridurre al ruolo di suddit i: Siena è ormai precipitata nel Meridione (e ci sta precipitando tutta la Toscana e anche il resto della Nazione). La logica conseguenza è che in soli venti-trenta anni è stata smantellata quella splendida, ricchissima costruzione sociale e culturale: l’Università, la grande Banca, l’Ospedale, il Comune stesso stanno soffocando sotto i debit i accumulati dai nuovi despoti! Tiranno di Ambrogio Lorenzetti docet.

E non è un problema di destra o sinistra (a Siena da sempre governano i comunisti o gli ex-comunisti): governata dalla destra le cose forse sarebbero andate anche peggio, come la realtà italiana chiaramente dimostra. No, il problema è se governano i cittadini o se governano le élite. Allora governavano i cittadini, tanto che quel per iodo storico non ci ha tramandato il nome di un solo polit ico e neanche di un ideologo, come è ancora qui da voi. Oggi le cose si sono rovesciate!

E consentiteci un altro parallelo con la terra che oggi ci ospita. A Siena mezzo millennio di gloriosa storia repubblicana senese ci ha tramandato centinaia di nomi di studiosi, scienziati, letterati e artisti, ma neanche il nome di un solo politico, così come i nomi dei politici svizzeri, oggi come ieri, sono assolutamente ignoti al resto del mondo e probabilmente anche a molti Svizzeri. Più di un’indagine sociologica ha confermato che quello svizzero è il popolo più felice del mondo, proprio come era felice il popolo senese se si sta alla realtà raff igurata da Ambrogio Lorenzetti nel suo affresco degli Effetti del buongoverno. Dunque un popolo quanto meno ha bisogno di capi che lo guidino, tanto più è felice oltre che ricco, colto e moralmente onesto. Solo la costituzione USA parla del diritto alla felicità, ma a quanto pare solo gli Svizzeri quel diritto lo godono. E ciò perché, come ebbe a dire il f ilosofo, scrittore, musicista svizzero Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), …non abbiamo bisogno di buoni politici, abbiamo solo bisogno di buoni cittadini!!!

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Concludiamo con questo appello agli Svizzeri: fermate il processo strisciante di centralizzazione del potere federale, ma soprattutto tenetevi alla larga dal paventato processo di integrazione con la UE (tutti e due i processi allontanano il popolo dai governi e dalla polit ica: più potere al “principe” e meno al popolo). E conservatelo il sistema militare che avete: nonostante le guerre degli ultimi secoli, soprattutto quello trascorso, vi ha salvato da ogni possibile invasione…

Se anche gli Svizzeri si scordano che sono il popolo più ricco e civile del mondo, abitando il territorio più avaro di risorse e più montuoso dell’intera Europa, solo perché hanno i massimi livelli di democrazia di tutto il pianeta (tallonati da un altro paese felicissimo, la Nuova Zelanda), vuol dire che l’Occidente è perduto. Pare che nessuno sia più consapevole del fatto che il primato generale dell’Occidente e quello più particolare della Svizzera sul resto del mondo si basano esclusivamente sui maggiori livelli di democrazia goduti: ridurli, come sta succedendo in tutto l’Occidente, invece di espanderli, ci porterà alla rovina. L’Italia non ha speranza: è quasi in coma per gli ultimi 30 anni – da Craxi in poi – di riduzione dei già modesti livelli di democrazia e, con l’ingresso nel sistema Euro, di riduzione anche della sua sovranità. Nessun intellettuale o politologo ha notato che quanto più alto è il livello della democrazia praticata tanto più un popolo è ricco, tanto meno entra nelle crisi e tanto più ne esce facilmente. Il termine democrazia è addirittura scomparso da una trentina di anni dal lessico polit ico italiano. Cos ì ora l’Italia corre giuliva e ignara in direzione opposta, verso il baratro, il presidenzialismo e l’aumento del potere dell’esecutivo: sempre più potere al vertice (sindaci, presidenti di provincia, governatori di regioni e capi del governo nazionale) e meno potere alle assemblee elettive, e meno che mai al popolo!!!

Ciò che è successo all’Italia in generale e a Siena in particolare non serve più da lezione né all’Italia né a Siena perché indietro non si torna, ma serva alla Svizzera, che è ancora in tempo!

Nota bene: non che a Siena nel periodo repubblicano fossero tutte rose e f iori. Anzi ci furono guerre, rivolte popolari, conflitti sanguinosi, faide tra famiglie nobiliari, pestilenze e carestie, scomuniche papali, scontri tra le fazioni (prima i Ghibellini cacciarono dalla Città i Guelf i e poi i Guelf i cacciarono i Ghibellini, anche se poi, col tempo, tutt i gli esiliati furono riammessi dentro le mura). A ciò non abbiamo accennato perché non da questo male discesero i mille anni di grandezza di questa piccola Città, ma esclusivamente da ciò che abbiamo raccontato prima:

libertas, honor civitatis, iustitia et aequalitas...