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R E G I O N E P U G L I A ASSESSORATO PUBBLICA ISTRUZIONE
Centro Regionale Servizi Educativi Culturali
VOCABOLARIO DIALETTALE
PANNESE
a cura di
Giovanna PROCACCINI
Palmira VOLPE
Distretto FG/33
ACCADIA
REGIONE PUGLIA
ASSESSORATO PUBBLICA ISTRUZIONE
C.R.S.E.C. FG/33 ACCADIA
PROGETTO E ORGANIZZAZIONE : Gruppo operativo CRSEC FG/33
COORDINAMENTO EDITORIALE : Rachele MARINACCIO
Giovanna PROCACCINI
Palmira VOLPE
RICERCHE, CATALOGAZIONE,
REPERIMENTI VOCABOLI : Giovanna PROCACCINI
COMPOSIZIONE E IMPAGINAZIONE
ELETTRONICA DI TESTO : Palmira VOLPE
REDAZIONE E COLLABORAZIONE
AMMINISTRATIVA : Giovanni ANZIVINO
Antonio DE VITTO
Maria Donata GIOIA
Giuseppina PATRONE
Lucia Marta RUSSO
CONSULENZA (revisione) DIALETTALE : Prof. Pasquale CARATÚ
COLLABORATORI ESTERNI AL CENTRO
COTOIA Orazio
FRANZA Gennaro
LOCURCIO Gerardo
® REGIONE PUGLIA 1999
Presentazione
Il vocabolario potrebbe essere considerato una “enciclopedica” del parlato umano, del quale
comprende le parole, la fraseologia, i proverbi e i modi di dire, che esprimono la cultura dei
parlanti una lingua. Per la sua realizzazione occorrono molta dedizione, impegno, tempo e,
innanzitutto, amore per il proprio paese e la propria cultura.
Il Vocabolario Dialettale Pannese, nato da un‟idea di Giovanna Procaccini, viene
pubblicato dopo un laborioso cammino iniziato nel 1986, che all‟apparenza è lungo, ma
che, a ben guardare, è breve, se si considera il lavoro compiuto.
Frutto di un impegno certosino e instancabile nella trascrizione e nello studio delle parole,
esso è stato sempre animato dall‟entusiasmo e dalla curiosità di conoscere ogni aspetto
della di Panni.
La Regione Puglia promuove attività e manifestazioni volte alla conoscenza, alla tutela e
alla valorizzazione del suo vasto patrimonio culturale, che abbraccia i beni materiali e le
espressioni spirituali del suo popolo, con la realizzazione di studi, manifestazioni ed opere
che, come questo Vocabolario Dialettale, ne consentono la conoscenza.
Per lungo tempo, con la diffusione della lingua italiana e per effetto dei mass-media, il
dialetto è stato trascurato; ma recentemente sono stati compiuti numerosi studi rivolti al
recupero di un importante patrimonio che investe tutti gli aspetti della vita e della cultura
del popolo ed è un mezzo linguistico di grande valore espressivo, comunicativo e culturale.
Quale mezzo espressivo specifico della sfera familiare il dialetto rappresenta gli aspetti di
vita più dimessi, ma non certo meno importanti e trascurabili, registra la vita nel suo fluire
quotidiano e nell‟alternarsi delle stagioni, nello svolgimento delle attività e delle
manifestazioni varie, nelle espressioni culturali e spirituali ed è testimonianza dei
sentimenti, delle attese e del pensiero del popolo.
Le parole, la fraseologia, i proverbi e i modi di dire sono tratti dal parlato e dal vivere
quotidiano, ogni momento della giornata e ogni situazione sono stati utili allo studio del
dialetto; la registrazione è avvenuta fra i parlanti, colti nella loro immediatezza, a volte
partecipi inconsapevoli della ricerca.
E‟ stato scandagliato il mondo lavorativo, spirituale, culturale e sentimentale di un paese
piccolo territorialmente, ma grande spiritualmente; molte energie sono state profuse in
questo lavoro che dona il dialetto di Panni alla cultura e a tutti coloro che, Pannesi e non,
amano la cultura e la propria terra.
In questo Vocabolario molti ritroveranno parole, espressioni e modi di dire appartenenti al
proprio paese e ad altre regioni d‟Italia e sentiranno una certa familiarità con il dialetto
pannese, tanto che esso sarà sentito come un‟opera di tutti, perché ognuno vi potrà ritrovare
qualcosa del proprio mondo.
Certamente il Vocabolario non può rappresentare la gestualità del corpo, l‟intonazione e il
timbro della voce, gli atteggiamenti del volto che esprimono i vari sentimenti e che
accompagnano e integrano il linguaggio, ma consente di affidare alla memoria, al cuore e
alla cultura un patrimonio linguistico che con il tempo, se trascurato, rischia di essere
perduto irrimediabilmente.
Oltre che opera di tutela e di valorizzazione del patrimonio dialettale, questo vocabolario è
un dono fatto a quanti hanno dovuto lasciare la loro terra per necessità e che con esso hanno
la possibilità di vedere salvaguardato un bene, la propria lingua, che hanno portato sempre
nel cuore e che non hanno mai dimenticato.
Il dialetto pannese ha molti tratti in comune con i dialetti dei paesi vicini e presenta delle
peculiarità che lo caratterizzano e lo contraddistinguono da loro; ha delle espressioni, una
coloritura, un‟intonazione e una musicalità prettamente pannesi, per le quali un Pannese,
ovunque si trovi, riconosce un Pannese nel sentirlo parlare, anche senza conoscerlo.
Ci si auspica che quest‟opera susciti un interesse non solo campanilistico e sentimentale,
ma anche culturale e che sia di incentivo a proseguire lo studio del variegato mondo dei
nostri paesi che hanno un pregevole patrimonio che va salvaguardato, fatto conoscere e
valorizzato.
Un doveroso ringraziamento va al defunto Antonio Procaccini, che ha donato il materiale
primo da cui è nata l‟idea di realizzare questo Vocabolario; al signor Orazio Cotoia, che si è
rivelato un prezioso informatore; a tutti i Pannesi che, ognuno nel proprio piccolo, hanno
dato un valido contributo; al prof. Pasquale Caratù, che ha dato dei preziosi suggerimenti e
delle importanti indicazioni scientifiche; al personale del Centro Regionale Servizi
Educativi e Culturali FG/33 di Accadia, in particolar modo a Giovanna Procaccini, che ha
curato l‟opera, a Palmira Volpe e a Giovanni Anzivino, suoi preziosi collaboratori; a
Gaetano Cristino, che ha dato l‟avvio all‟opera; ad Antonio De Vitto e a Giovanni Altrui,
che, per alcuni anni Responsabili del Centro Regionale Servizi Educativi e Culturali di
Accadia, ne hanno consentito la realizzazione con il loro sostegno e le loro direttive.
La Responsabile del CRSEC
Rachele Marinaccio
…La Lingua è uno de’ più forti vincoli che stringa alla Patria
“G. Napione”
I L V O C A B O L A R I O Lungi dal pretendere che il lavoro svolto sia scevro di difetti o imperfezioni, comunque
inevitabili di questo genere, ma nel convincimento tuttavia di nulla aver trascurato per
renderlo il più possibile rispondente alle aspettative della gente, è oggi motivo di profonda
soddisfazione, licenziare alle stampe questo complesso e laborioso “Vocabolario Dialettale
Pannese”.
Un ricco apparato di voci, proverbi ed espressioni in vernacolo che, al di là dei suoi chiari
limiti, non avendo esso la presunzione di essere esaustivo, ha tuttavia il merito, a mio
avviso non trascurabile, di colmare un vuoto imperdonabile nella bibliografia locale, non
essendoci precedenti di tale natura. Un piccolo ma prezioso “scrigno della memoria” che
racchiude tutto ciò che è stato possibile raccogliere, nel corso degli anni, del vasto e
sterminato patrimonio dialettale, attraverso una lunga e paziente attività di ricerca, ma
soprattutto con amore filiale e operosa perseveranza. Un lavoro che nasce principalmente
dall’esigenza di un recupero urgente e inderogabile di una lingua che è e rimane una
preziosa eredità lasciataci da chi ci ha preceduto e abbisognevole, oggi più che mai, di
riappropriarsi di quella “identità culturale” e di quegli spazi che la moderna civiltà le ha
tolto.
“Il Vocabolario, scrive Nicola Zingarelli, altro non è se non una di quelle forme con cui
l’uomo tende sempre a volgere in proprietà comune quello che è gesto e anima e
sentimento dei singoli uomini. In questo è la necessità di un vocabolario”.
Ed è in tale ottica che va inquadrato questo lavoro, nella convinzione cioè che un siffatto
vocabolario, destinato in particolar modo alla gente comune e alle tante famiglie dei nostri
emigranti, inteso a rappresentare e rispecchiare quanto più fedelmente possibile la realtà
di una umile e laboriosa Comunità, con le sue tradizioni, la sua cultura, i suoi modi di
espressione, senza alcun intendimento di natura didattica, non debba servirsi di un
linguaggio letterario, ma piuttosto esprimere la semplicità e l’autenticità del sentimento
popolare.
Sono stati pertanto selezionati e riportati in chiave dialettale tutti quei vocaboli che non si
discostano da quelli normalmente in uso nella lingua italiana, omettendo volontariamente
quei termini, per lo più tecnici e scientifici o di origine straniera, che sono frutto ed
espressione della odierna società e non si identificano o non possono collocarsi nel nostro
passato, cercando di coniugare, al tempo stesso, l’antico dialetto con quello più
propriamente “attuale”, al fine di richiamare il passato senza rischiare, però, di
allontanarsi dal presente.
Non nascondo le molteplici e naturali difficoltà che il lavoro ha comportato, ma il sostegno
e soprattutto la valida e impagabile opera di quelle persone che hanno apportato, in
differente misura, il loro contributo, sono stati lievito e incoraggiamento a proseguire nel
delicato compito.
Un pensiero commosso va a mio padre, autore di una inedita e significativa “raccolta” di
vocaboli e detti pannesi, (che sono parte integrante di questa ricerca) il quale per primo mi
insegnò a conoscere ed amare la lingua nativa, la sua ricchezza e la sua spontaneità, e con
il costante apporto dei suoi preziosi appunti e dei suoi paterni consigli mi fu guida sicura e
chiaro punto di riferimento fino all’ultimo dei suoi giorni.
Un pensiero che estendo, unitamente al più sincero ringraziamento, al Sig. Cotoia Orazio
che, nel revisionare i vocaboli, mi ha sostenuto sempre con la saggezza della sua
esperienza, nonché ai tanti compaesani pannesi, che qui non elenco per evitare spiacevoli e
imperdonabili dimenticanze, i quali pur se con il conforto di un solo consiglio, di una sola
ma necessaria parola, hanno dato efficacia e contenuto al “nostro” lavoro.
Mi sia concesso, infine, esprimere un doveroso e obbligato sentimento di riconoscenza e di
gratitudine personale alla collega di Sant’Agata di Puglia, Palmira Volpe, per lo
straordinario e instancabile impegno, quotidianamente profuso, in fase di copiatura,
correzione bozze, realizzazione e, soprattutto elaborazione informatica del testo. Un
sostegno qualificato e determinante per la realizzazione dell’opera, alimentato e sostenuto
da quella ricchezza di entusiasmo e di grande disponibilità che esaltano un lavoro
intelligente e puntiglioso (che le ha permesso di appropriarsi con buona proprietà di
linguaggio del nostro dialetto).
Detto ciò, confido che questo vocabolario possa incontrare se non piena accoglienza,
comprensione almeno per lo sforzo che ha richiesto, alla luce solo di un preciso impegno
culturale e di una testimonianza sensibile da parte di chi lo completò, amica della sua
terra, dei suoi cieli e dei suoi monti, delle sue strade e dei suoi vicoli ma soprattutto della
sua gente.
Giovanna Procaccini
Presentazione del Vocabolario di Panni
Presentare un‟opera significa evidenziarne le caratteristiche, ma anche inquadrarla
da un punto di vista della specificità del settore interessato.
Pertanto si vuol parlare della struttura del Vocabolario, ma anche di quanto viene
aggiunto (proverbi e modi di dire, racconti), che costituisce come una fonte, anche se non è
la principale, dalla quale si attinge il patrimonio lessicale.
Inoltre, per capire un pò di più anche la natura delle voci riportate è opportuno
avere un quadro, sia pur orientativo, nel quale è collocata la parlata di Panni. Quadro che
sarà disegnato su di uno sfondo storico e geolinguistico.
La struttura
Vediamo della presente pubblicazione prima di tutto la struttura.
La parte fondamentale è costituita dalla elencazione delle voci organizzate in
lemmi. A questa poi segue la parte italiano-dialetto. Vengono aggiunte quelle che
contengono i Proverbi e Modi di dire, i Nomi e Soprannomi e, infine, i Racconti.
Il Vocabolario vero e proprio è la parte più importante. È fatta da una serie di
lemmi, che aperti dalla voce segnata in grassetto, sono disposti in ordine alfabetico.
Nel lemma voci e frasi dialettali sono riportate in trascrizione semplificata,
accessibile al gran pubblico, sostanzialmente modellata sulla grafia dell‟italiano, con pochi
ed essenziali segni diacritici, per segnare particolarità di suoni, che in italiano scritto non
vengono segnate o che sono indicate diversamente (v. le norme di trascrizione).
A quanto pare, l‟uso di questo tipo di trascrizione agevola di molto la
caratterizzazione anche “esterna” del dialetto.
Questa operazione è stata condotta con fedeltà e con sistematicità, salvo omissioni
involontarie, che ci si sforza di ridurre al minimo e che, comunque, nulla tolgono alla
efficacia della resa.
Il lemma riporta oltre la voce, la sua definizione grammaticale (sostantivo, verbo,
locuzione, congiunzione, ecc.), la frase o le frasi dialettali che ne precisano il contesto.
Particolare importante.
Si sa che la traduzione della voce che segue immediatamente la parola capolemma
rappresenta una condizione astratta che assume la sua valenza, il suo significato pregnante
solo nel contesto del discorso, del quale la frase rappresenta un elemento minimo, e di
questo ci si deve accontentare. Per necessità e per concretezza.
Certamente la condizione ideale, ma anche difficile da realizzare, sarebbe quella di
produrre una serie di testi e anche di una certa ampiezza su determinati argomenti, i diversi
aspetti della vita della comunità dai quali trarre o meglio astrarre le singole voci. E qui c‟è
solo un augurio da fare: che questi testi vengano, in seguito, prodotti.
La seconda parte, quella “italiano-dialetto”, è importante perché serve ad orientare
la ricerca, tramite la voce italiana, della corrispondente dialettale.
Mi pare interessante, in questa parte, la presenza di schedoni, nei quali vengono
riportate le voci che interessano un determinato campo semantico.
Ad es., nello schedone Alimenti sono citate tutte le voci che interessano
l‟argomento: dai nomi (acquasale, cumbòste, ścagliuózze, ecc.), ai verbi (arrahanà, mbanà,
trumbà, ecc.), ai sintagmi (a ppònde re curtjélle, nd’a l’uóglie, ecc.), così da avere voci ed
espressioni, direi comode, per mettere insieme un certo discorso, che abbia in certo qual
senso un contesto.
I Proverbi e i Modi di dire, insieme con i Racconti, costituiscono come le fonti
(direi solo in parte) dal cui contesto si ricavano le diverse parole.
È chiaro che le particolarità delle fonti si oscurano in quello che è un sentire più
generalizzato, che produce, in definitiva, come una specie di voci “cristallizzate”, che caso
mai una volta erano vive anche nella parlata comune e che poi gradualmente si sono
ecclissate o ridotte sulla bocca dei più anziani. Ma anche questo contribuisce ad un‟opera di
scavo, utile per la storia linguistica.
L‟utilizzo di questi testi dev‟essere accompagnato dalla prudenza. È sufficiente
ricordare le possibili forzature dovute ad esigenze di rime o di ritmo. È chiaro che ci si
riferisce ai proverbi soprattutto ma anche ai modi di dire, che possono, con le dovute
precauzioni, essere utilizzati a scopi più propriamente linguistici.
Infine, i Nomi e i Soprannomi. Interessano perché nascondono parole, forme,
costrutti propri del dialetto.
In definitiva, anche le appendici fanno corona, e danno il loro contributo alla
conoscenza della parlata.
Va sottolineato che l‟Autore o meglio gli Autori hanno utilizzato in maniera
intelligente le esperienze dei Dizionari dialettali precedenti, specialmente di quelli
pubblicati nell‟ultimo decennio. Dicevo in maniera intelligente perché hanno selezionato
quello che di nuovo e di positivo veniva apportato.
E, come si sa, è il metodo, nella varietà dei suoi aspetti quello che fa la differenza
rispetto alle altre opere simili.
Collocazione storico-geolinguistica di Panni
Prima di definire la posizione linguistica della parlata di Panni, è opportuno
considerare quella geografica che spiega e giustifica, fondamentalmente la prima.
Il nostro centro fa parte amministrativamente della provincia di Foggia, ma
saremmo più precisi se usassimo l‟espressione “Daunia subappenninica”, per i motivi che
citerò in seguito.
Collocato, insieme a pochi altri centri dauni (Monteleone, Anzano, Accadia e
Sant‟Agata) nella Campania o meglio nell‟Irpinia, risente, com‟è ovvio, (non è mica
un‟isola linguistica!) di questa sua posizione.
Si tratta di individuare e di leggere, con gli strumenti appropriati, le peculiarità che
si richiamano alla sua posizione geografica, ma che giustificano anche la sua storia, in
genere.
Passando dalla geografia alla storia, quella più propriamente linguistica, e
utilizzando degli schemi che sono capaci di comunicare con chiarezza le caratteristiche, si
possono individuare nella parlata di Panni, le principali correnti che fanno capo alle diverse
varietà linguistiche, che testimoniano chi più e chi meno la loro presenza.
Prima di tutto quella di tipo campano-irpino. È questa, a quanto pare, il modello
principale, che nella storia ha assunto come il ruolo-guida, accanto, però, all‟altro modello,
di tipo appenninico. Traspare, inoltre, sia pur in posizione secondaria, minoritariamente
rappresentata, anche la corrente di tipo pugliese. Sullo sfondo, infine, s‟intravedono, con
molta chiarezza e con nutrita rappresentatività, fatti di lingua antica che accomunano e che
una volta, nel Medio Evo (in particolare nei secc. X-XIII) accomunavano ancor di più le
diverse contrade di questo vasto ambiente, allora fortemente unitario, almeno da un punto
di vista linguistico.
La varietà campano-irpina.
La spiegheremo con i fatti che sono propri della Campania e dell‟Irpinia e con
quelli che sono, invece, più diffusi nell‟Irpinia, la subregione che è a diretto contatto con
Panni, anzi nella quale il centro dauno è immerso.
Certamente è un fatto comunemente campano o meglio napoletano il
dittongamento delle E o delle O brevi latine in metafonesi (tardarjédde „tarderello, che
viene tardi‟ Pr. 151, scurdarjédde „scordarello, che dimentica‟ Pr. 151, e ppjénże „e pensaci‟ Pr. 154, cuórpë „corpo‟ Pr. 150, figlie gruósse „figli grandi‟ Pr. 161), come anche
la rotacizzazione dell‟alveodentale sonora in posizione sia iniziale (rjéce „dieci‟ Pr. 120),
sia intervocalica (accerime „uccidiamo‟ Pr. 15, la core „la coda‟ Pr. 42), la riduzione alla
laterale schiacciata e rafforzata del nesso LJ (uóglie „olio‟ Pr. 16, mugliere „moglie‟ Pr.
269) e di altri nessi che si manifestano in maniera simile (GL- → gli [l’l’] : gliótte veléne
„ingoia veleno‟ Pr. 78, né te la gliutte „né te la inghiotti‟ Pr. 269), lo schiacciamento della
sibilante davanti a velare (šcupètte „scopetta, spazzola‟, šcurdá „dimenticare‟), forme
verbali del tipo songo „sono‟ di I pers. sing. e di III pl. (songhe fatte vjécchie „sono
diventato vecchio‟ Racc. 2, r.20, quisse songhe li cunde „questi sono i conti‟ Pr. 342), l‟uso
del suffisso -ELLUS (-ille se in metafonesi) come diminutivo (Peccerille „piccoli‟ Pr. 14),
il rafforzamento della consonante iniziale dei femminili plurali e dei “neutrali” al singolare
(re ffjéste „le feste‟ Pr. 146, re nnèspele e rre canaglie „le nespole e le canaglie‟ Pr. 147; ru
ggrane „il grano‟ Pr. 171, ru mméle „il miele‟ Pr. 276, lu llarde „il lardo‟ Pr. 276), un
lessico che segna le diverse condizioni della vita (šcurnuse „timido‟, šcuórne „timidezza‟,
sfaccimme „persona dalla faccia tosta‟, spandecá „aspettare con ansia, penare‟, sciusciá
„spirare, soffiare‟, ṡburdeglióne „pipistrello‟ Modi 415, nap. spurtiglione „id.‟ in VNIIN,
šcarrafóne „scarafaggio’ strúmmele „trottola‟ nfósse, nfusse agg. „bagnata, -o‟ Pr. 306, 138,
ecc. prevalentemente di tipo irpino: scatédde „scintilla‟, irp. scatélla „id.‟ in DDSM, cautate
agg. e part. pass. „bucata‟ Pr. 291, irp. cautá „scavare‟ DDSM.
Il tipo appenninico.
Con testimonianze che si riscontrano prevalentemente sull‟Appennino abruzzese-
molisano, ma anche lucano e talvolta sul Gargano.
Si ricorderanno in particolare i fatti che seguono: l‟epentesi di u semivocale in
vicinanza di suoni velari (figlie píccquele „figli piccoli‟ Pr. 161, pèquara „pecora‟), la
riduzione laterale ad u semivocale nei nessi -LD-, -LTJ- (lu caurare „il caldaio‟ Pr. 206, li
prime càure „i primi caldi‟ Pr. 215, àuzete „àlzati!‟ Pr. 400), l‟esito in semivocale j del
nesso -DJ- (óje „oggi‟ Pr. 262, appujá „appoggiare‟), del nesso FL- (face….juccá
„fa…fioccare‟ Pr. 328, jate míje „fiato mio‟ Pr. 51) e della mediopalatale sonora -ğğ- (lu
ciucce carreja la paglie „l‟asino trasporta la paglia‟ Pr. 230); la riduzione all‟aspirata h di
velare sonora G- iniziale (huste „gusto‟ Pr.31, accanto all‟esito zero: ògne addine „ogni
gallina‟ Pr. 13, tanda adde „tanti galli‟ Pr. 32), di -G- intervocalica (chi nehòzzje camba
„chi commercia vive bene‟ Pr. 83, chi paha apprime „chi paga prima…‟ Pr.90, la chiaha
„la piaga‟ Pr. 266) e di -V- (fahugne „favonio‟ Modi 356); l‟esito in -vet- di -LT- (accòvete
s.f. „accolta, adunata di persone‟); l‟esito in nasale schiacciata e rafforzata del nesso NG +
voc. palatile (njénde strénge „nulla ottiene‟ Pr. 123); le preposizioni del tipo andó, ndó „da,
presso, al‟ (mèglie a ire nd’a lu patute ca ndó lu sapute „meglio andare da chi ha patito che
dal saputo‟ Pr. 259); un lessico abbondante (la còcce „la testa‟ Pr.196; sparre „cercine‟ -
abr. spara in VUA, irp. sparra in DDSM -; ràghene „ramarro Modi 422 - abr. ràchene in
VUA, garg. ràteche² „id.‟ DDMM; frajá „abortire‟; supale „siepe‟ -avigl. [PZ] supala „id.‟
NB; pescóne s.m. „macigno‟ Racc.1, r.13; musére „stasera Pr. 388; na nzénghe avv. „un
poco‟ Racc.1 rr.21, 45, 49 -avigl. nzénga [sul testo nzénca] „id.‟ NB; allucá „dare, collocare
in matrimonio‟ (chi téne rjéce figlie l’allóche „chi ha dieci figli li sistema‟ - abr. [Chieti e
Pescara città] allucá „id.‟ DAM, garg. alluqué „id.‟ DDMM-).
È presente il tipo pugliese.
Con i fatti che seguono: la riduzione a sibilante schiacciata delle mediopalatali
sorda e sonora + vocale palatile (vrasce „brace‟ Modi 440, la bbuscíje „la bugia‟ Pr. 191 e
192) e talvolta anche di J- (jé sciuta fóre „è andata fuori‟ Pr. 193, di contro però a nu nge
jénne a la córte „non andare alla corte‟ Pr. 377, jéttele „gettala‟ Pr. 198, a li junge „ai
giunchi‟ Modi 139); le forme verbali del tipo stache „sto‟ (nu stache r’areje „non sto di
genio‟ Modi 292) face „fa‟ (l’àbbete nun face lu mòneche „l‟abito non fa il monaco‟ Pr.
176.
Si rilevano fatti antichi centromeridionali.
I seguenti: l‟esito nella bilabiale sonora -b- della fricativa sonora V sia in nesso
con la sibilante sonora (ṡbeletézze „sveltezza‟ Pr. 367), sia in posizione sintattica (acque e
bbjénde „acqua e vento‟ Pr. 386); le forme del pronome personale éo „io‟ (me treménde éo
„mi guardo io‟ Pr. 347, pàtreme e éo tenime la stessa facce „mio padre ed io abbiamo lo
stesso viso‟) e édde „essa, lei‟ ([la róte] ..édde velóce jarrá „[la ruota] …essa andrà veloce‟
Pr. 399, va da édde „va da lei‟); il metaplasmo di genere (dal femminile al maschile: nu
mile a lu juórne „una mela al giorno‟ Pr. 279, …pire cuóvete „…pera raccolta‟ Pr. 319 -sal
piru s.m. „pera‟, oltre che pira, in VDS); l‟uso del prefisso AD con le voci verbali (abbulá,
„volare‟, abbuóle „volo‟, accalemá „calmare, placare‟, acculematúre s.f. „colmatura‟); i
plurali in -ORA (re fíquara „i fichi‟ Pr. 158, sjérpere „serpi‟ Pr. 409, angínere „uncini‟ Pr.
409); un lessico peculiare (témbe „zolla‟ Modi 158 - abr. id in DAM, sal. id. in VDS, cal.
timpa in DDMM; allumá „accendere‟ - abr. allumä’ „vedere, accendere la luce elettrica‟
DAM, sal. allumare „accendere‟ VDS -; tremendá „guardare‟ –garg. id. in DDMM, sal.
trimèntere „id.‟ VDS-; fucagne „camino, cucina‟ Pr. 194 -abr. id. „caldana, vampa isterica‟
DAM, sal. fucagna „stufa‟ VDS, cal id. „piccolo vano per il focolare‟ NDDC-; tumbagne
„spianatoia‟ Pr. 344- manfr. id. „id.‟ VM, avigl. id. „id.‟ NB, garg. „coperchio della botte‟
DDMM, sal. tumpagnu „coperchio‟ VDS, nap. „fondo della botte‟ VNIIN; -tèste „vaso di
fiori‟, urtalizzeje „ortaggio‟ [anticamente era aggettivo]; vascijédde „botte per aceto‟ - V.
SM-; zénżele „brandello, straccio‟, zenżuluse „cencioso‟ –sal. zínzulu „straccio‟ VDS).
Infine delle particolarità sulle quali indagare.
Le seguenti: abbòcche 3° pers. sing. pres. indic. „abbaia‟ (lu cane c’abbòcche, nu
mmózzeche „il cane che abbaia non morde‟ Pr. 225), mazzàcchere „pasta fatta a mano, in
casa‟ Pr. 257, àmmele „brocca‟, schernúzzele „lucciola‟, a la pruffine „alla fine‟ Racc. 2,
r.13.
Sono queste solo delle indicazioni. Altre possono venire dalla registrazione di testi
liberamente recitati che si affida a coloro che vorranno continuare l‟opera meritoria che gli
Autori del presente Vocabolario hanno inaugurato.
Pasquale Caratù
Università degli Studi di Bari
Nota bibliografica e abbreviazioni
Sigle bibliografiche
DAM = E.Giammarco, Dizionario abruzzese e molisano, voll. 4, Roma, 1979;
DDMM = F: Granatiero, Dizionario del Dialetto di Mattinata-Monte Sant’Angelo,
Foggia, 1993;
DDSM = L.De Blasi, Dizionario dialettale di San Mango sul Calore, Atripalda
(AV), 1991;
NB = F.Galasso, Nel Belvedere, Lavello, 1989;
NDDC = G.Rohlfs, Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria, Ravenna, 1977;
SM = P.Caratù, “I Dazi e le pene” negli Statuti di Molfetta, in “Lingua e Storia in
Puglia”, 3, 1976, pp. 5-64; “I dazi ecc. Prospetto grammaticale e lessico, ib., 4, 1977,
pp.33-48;
VDS = G.Rohlfs, Vocabolario dei Dialetti salentini (Terra d’Otranto), voll.3,
Galatina, 1976;
VM = P.Caratù – G.Grasso – M.Rinaldi, Vocabolario manfredoniano, in corso di
stampa;
VNIIN = A.Salzano, Vocabolario napoletano – italiano, italiano – Napoletano,
Napoli, 1979;
VUA = G.Finamore, Vocabolario dell’uso abruzzese, Città di Castello, 1893,
rist.anast., Bologna, 1967.
Altre abbreviazioni:
abr. = abruzzese; abr. – mol. = abruzzese – molisano; avigl. = aviglianese (di
Avigliano, prov. Di Potenza); garg. = garganico (Mattinata, Monte Sant‟Angelo); irp. =
irpino (di San Mango sul Calore); manfr. = manfredoniano.
Riferimenti alle parti contenute nel Vocabolario di Panni:
Modi = Modi di dire; Pr. = Proverbi; Racc. = Racconti.
Trascrizione del dialetto
Sulla base della grafia italiana sono stati aggiunti pochi segni:
Il puntino soprascritto alle consonanti s e z per indicare le sonore (ṡbabbàcule
„persona con poco senno‟, zanżarróne „tipula‟); un apicetto per la sibillante schiacciata (quella di tipo napoletano: šcuórne „timidezza, vergogna‟), la semivocale j nel dittongo jé
(nel tipo re ffjéste „le feste‟).
AVVERTENZE
La “é” con accento acuto è chiusa come in pera, si pronuncia come vocale quando è accentata e quando è congiunzione.
La “è” con accento grave è aperta come in meglio.
La “e” non accentata è muta alla francese sia nel corpo che alla fine della parola.
L‟accento tonico va segnato sulle parole sdrucciole e sulle parole tronche (azzemá=azzimare).
14
Tavola delle abbreviazioni
accr.= accrescitivo
agg. dim.= aggettivo dimostrativo
agg. f.= aggettivo femminile
agg. indef. = aggettivo indefinito
agg. m.= aggettivo maschile
agg.n.card.= aggettivo numerale cardinale
agg. n.ord.= aggettivo numerale ordinale
agg. poss.= aggettivo possessivo
avv.= avverbio
cong.= congiunzione
dim.= diminutivo
dispr.= dispregiativo
esclam.= esclamativo
estens.= estensivamente
fam.= familiare
fig.= figurato
fras.= fraseologia
interiez.= interiezione
interr.= interrogativo
lett.= letteralmente
loc. avv.= locuzione avverbiale
loc. lat.= locuzione latina
med.= medicina
N.= nomenclatura
non com.= non comune
part. pron.= particella pronominale
particol.= particolarmente
p.est.= per estensione
p.pr.= participio presente
p.p.= participio passato
pl.= plurale
prep.= preposizione
pron.= pronome
pron. dim.= pronome dimostrativo
pron. indef.= pronome indefinito
pron.indef.invar.= pronome indefinito invariabile
pron.m.pl.= pronome maschile plurale
pron.pl.= pronome plurale
sing..= singolare
s.f.= sostantino femminile
s.f.inv.= sostantivo femminile invariabile
s.f.pl.= sostantivo femminile plurale
s.m.= sostantivo maschile
s.m.cuc.= sostantivo maschile cucina
s.m. dial.= sostantivo maschile dialettale
s.m.fig.= sostantivo maschile figurato
s.m.inv.= sostantivo maschile invarialbile
s.m.pl.= sostantivo maschile plurale
s.m.sing.= sostantivo maschile singolare
t.agr.= termine agricolo
t.arch.= termine architettonico
t.mac.= termine macellaio
term.med.= termine medicina
trasl.= traslato
v.fig.= verbo figurato
v.impers.= verbo impersonale
v.intr.= verbo intransitivo
v.intr.pron. = verbo intransitivo pronominale
v.medio trans.rifl.=verbo medio transitivo riflessivo
v.rifl.= verbo riflessivo
v.tr.= verbo transitivo
v.tr.estens.= verbo transitivo estensivo
v.tr.fig.= verbo transitivo figurato
v.tr.iter.= verbo transitivo iterativo
v.tr.iter.intens.= verbo transitivo iterativo intensivo
v.tr.lett =verbo transitivo letterario
v.tr.non com.= verbo transitivo non comune
v.tr.rar.= verbo transitivo raro
v.tr.volg.= verbo transitivo volgare
vezz.= vezzeggiativo
voce onom.= voce onomatopeica
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& Co.”, Napoli, 1829.
ZINGARELLI Nicola, Vocabolario della Lingua Italiana, settima Edizione, Zanichelli
Editore,. Bologna, 1957.
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bbafáte agg. "afoso,
canicolare":ché àrje abbafáte,
nun me véne re fá njénde,
rumàne se ne parle r'arrecettá.
"che aria afosa non mi viene da fare niente,
domani se ne parla di rassettare".
abbagná v.tr. "bagnare, umettare".
abbalí v.tr. "avvilire, infiacchire,
sfinire"; p.p. abbalúte: l'abbalíje cu nu
refjúte e puverjédde se ne íje. "l'avvilì con
un rifiuto e poveretto se ne andò". Andò, si
abbalúte a ffá la strare pe re mmèrse re
Sàrje, ngità sì abbetuáte a lu nghiane.
"Antonio sei infiacchito a fare la strada per
la salita di Sario, in città sei abituato alla
parte pianeggiante".
abballá v.tr. "ballare": abballàrene
nżin’a le qquatte e ss'arreterárene a re ccàsere muórte re suónne. "ballarono fino
alle quattro e si ritirarono alle loro case
morti di sonno".
abbambá v.intr. "avvampare": lu lenżùle l'aje misse tròppe vucíne a ru ffuóche e
s'éja abbambáte. "il lenzuolo l‟hai messo
troppo vicino al fuoco e si è bruciato".
abbanduná v.tr. "abbandonare":
penżárene ca ère na cóse bbóna abbanduná la pusezzjóne. "pensarono che
era una cosa buona abbandonare la
posizione".
abbannuná v.tr. "non reggersi bene in
piedi".
abbará v.intr. "badare": feglió, tu àja
sèmbe stá nd'a la case c'àja abbará a la
crjatùre. "ragazza, tu devi sempre stare in
casa che devi badare alla bambina".
abbarrucá v.tr. "dare il più senza
pagamento, vendere a vil prezzo".
abbasate agg. "serio".
abbasce avv. "abbasso, giù": nun me
facènne nghianá tutte sse ścale, scinne tu abbàsce ca te piglie ròje ceràse nd'a lu
panare. "non mi far salire tutte codeste
scale, scendi tu giù che ti prendi due
ciliege nel paniere".
abbastá v.intr. "bastare".
abbaste interiez. "basta".
abbatte v.tr. "accasciare, bacchiare,
deprimere": lu vjénde abbattíje quatte,
cinghe àrbele ndr'aulíve, píre e mmíle. "il
vento abbattè quattro cinque alberi tra
ulivi, peri e meli"; abbatte na famiglie
sane cu na nutízzje fauze, nunn’éja na cóse
bbóne. "accasciare una famiglia intera con
una notizia falsa, non è una cosa buona";
craje àuzete prjéste c'avíma ìre a abbatte
re nnuce. "domani alzati presto che
dobbiamo andare a bacchiare le noci";
bbéne míje stá pròpje abbattúte ròppe tutte
quédde c’à passate. "poveretto, sta proprio
depresso dopo tutto quello che ha passato".
abbecená v.tr. "avvicinare".
abbécete loc.avv. "a vicenda".
àbbele agg. "abile": jé assaje àbbele a
ausá lu ścrujàte. "è assai abile ad usare la frusta".
abbelená v.tr. "avvelenare".
abbeletà s.f. abilità": quiddu cristjàne
tène l'abbeletà a mbrugliá la ggènde ca jé
na maravíglie. "quella persona ha l'abilità
a imbrogliare la gente che è una
meraviglia".
abbendá v.tr.iter. "riposare": abbjéndete
na nżénghe, ma spisse no. "riposati un poco, ma spesso no".
abbendurá v.tr. "avventurare": nu
nd’abbendurá pe ssa strare ca puó truvá
malecristjàne, pó sònghe fatte tuje. "non ti
avventurare per codesta strada che puoi
trovare persone cattive, poi sono fatti tuoi".
abbenghiárse v.medio tr. rifl.
"abbuffarsi, rimpinzarsi, saziarsi": Funżì, nu nd'abbenghiá cúm'a nu purceddúzze, se
no te faje trugne trugne. "Alfonso, non ti
abbuffare come un porcellino se no diventi
grassone". Ciccandònje s’éja abbenghiáte
re péttele ca nu nge la face manghe a
auzárse ra la sègge. "Francescoantonio si
è saziato di zeppole che non ce la fa
neanche ad alzarsi dalla sedia".
abbenghjáte s.f. "scorpacciata": m'agghi
fatte n'abbenghjáte re cerase sótte a
l'àrbele ca stache bbóne chine. "mi sono
fatto una scorpacciata di ciliege sotto
l'albero che sto ben pieno".
abbení v.intr. "avvenire": cúm'èja
abbenúte ssu fatte, remmìlle ca se te
pòzz’ajutá nu nge pèrde njénde. "come è
A
avvenuto questo fatto, dimmelo che se ti
posso aiutare non ci perdo niente".
abbènje agg. "mutevole": "nu nde la
peglianne cu Ggiuuánne ca jé abbènje, jé
cúme lu truóve. "non te la prendere con
Giovanni che è mutevole, è come lo trovi".
abbeníre s.m. "avvenire": l'abbeníre jé
nd'a re mmane re lu Segnóre. "l‟avvenire è
nelle mani del Signore".
abberá v.rifl. "avverare": s'éja abberáte
quédde ca m'àje ritte re tèrze, nu nge
vuléve crére, ma jé accussì. "si è avverato
quello che mi hai detto avantieri, non ci
volevo credere, ma è così".
abbertènże s.f. "avvertenza". abbesá v.tr. "avvisare": Angiulìne à
dditte ca pe putè menì a fatjá accàta tè
l'àja abbesá nu pare re juórne prime.
"Angelo ha detto che per poter venire a
lavorare da te lo devi avvisare un paio di
giorni prima".
abbesugná v.intr. "bisognare":
puórtatínne na nżénghe re cchiù re pane,
nżine a musére te póte abbesugná. "pòrtatene un pò di più di pane, fino a
stasera ti può bisognare".
abbesugnùse agg. "bisognoso": jé
abbesugnùse re tutte, nu nżaje tu stésse ra
ndó accumenżá. "è bisognoso di tutto, non sai tu stesso da dove cominciare".
abbesuógne s.m. "bisogno": n'agghi
abbesuógne re njénde, te ne puó ìre
spenżeràte. "non ho bisogno di niente, te ne puoi andare spensierato".
abbetá v.intr.tr. "abitare, avvitare":
Mariùcce jé jute a abbetá a li Tuòppele.
"Maria è andata ad abitare ai Toppoli". re
bbite r'àja abbetá bbóne se no la pòrte nu
nże chiùre. "le viti le devi avvitare bene altrimenti la porta non si chiude".
àbbete s.m. "abito"; dim. àbbetecjédde; -
a ggiacche: "tailleur".
abbetuá v.tr. "abituare": s'ànna abbetuá
a stá sule nd'a la case, nu mbuónne tené
sèmbe la cumbagníje. "si devono abituare
a stare soli nella casa, non possono tenere
sempre la compagnia".
abbiá v.tr. "avviare": Frangiśche abbjàje
a ffá nu reścurse e nun funéve maje. "Francesco avviò a fare un discorso e non
finiva mai".
abbíje s.m. "avvìo": àje rate l'abbíje pe
quiddu lavóre, mó nu nde ne ngarecànne
cchiù, se la vìrene lóre. "hai dato l'avvio
per quel lavoro adesso non te ne incaricare
più, se la vedono loro".
abbjénde, a l' loc.avv. "a riposo".
abbìse s.m. "avviso".
abbrachí v.tr. "arrochire"; p.p.
abbracùte.
abbracutìzze agg. "rauco".
abbrazzá v.tr. "abbracciare": prime re
parte pe Bunżàgre lu jérne a salutá tutte li parjénde, chi l'abbrazzàve ra qquà e chi ra
ddà. "prima di partire per Buenos Aires lo
andarono a salutare tutti i parenti, chi
l'abbracciava di qua e chi di là".
abbràzze s.m. "abbraccio": quanne
arruvàje ra lu Canedà, mammarànne me
rìje tanda abbràzze e vase. "quando arrivai
dal Canada, mia nonna mi diede tanti
abbracci e baci".
abbré v.tr. "vedere".
abbrile s.m. "aprile".
abbruścá v.tr. "abbrustolire": tatarànne mettíje lu tréppete e sópe a ru ffuóche ce
appuiàje la tjèdde p'abbruścá re ffave. "nonno mise il treppiede e sul fuoco ci
appoggiò la pentola per abbrustolire le
fave".
abbrusciá v.tr. "bruciare".
abbrustulatúre s.m.inv. "tostacaffè".
abbuccá v.intr. "abbaiare": quiddu cane
nun spèzze maje r'abbuccá tutte la nuttate.
"quel cane non smette mai di abbaiare tutta
la nottata".
abbufunáte "carbonchioso".
abbulá v.intr. "volare": chiure la
caggióle se no se n’abbóle lu canàreje.
"chiudi la gabbia altrimenti se ne vola il
canarino".
abbulí v.tr. "abolire": Runatù, pe stá
bbuóne àja abbulí lu fùme, cúme te
l'agghia rice, candànne e sunànne?.
"Donato, per stare bene devi abolire il
fumo, come te lo devo dire, cantando e
suonando?".
abbuóle s.m. "volo": se nu nde ne vaje ra
nande a l’uócchie míje te fazze pegliá
n'abbuóle c'arrìve abbasce a lu chiane. "se
non te ne vai davanti agli occhi miei, ti
faccio prendere un volo che arrivi giù al
piano".
abburracciáte p.p. e agg. "avvinazzato":
s'éja abburracciáte bbuóne bbuóne e mó
va candanne pe re strare. "è avvinazzato
bene bene e ora va cantando per le strade".
abbusá v.intr. "abusare": Custà, nunn'àja
abbusá tande re la setuazzjóne, àja pure
capí re ccóse cúme vanne. "Costanzo, non
devi abusare tanto della situazione, devi
pure capire le cose come vanno".
abbuścá v.tr. "buscare, guadagnare,
ricavare, prendere botte": che à abbuścàte ra tand'anne re stùrje? Njénde, ca passéje
angóre pe la chiazze. "che ha guadagnato
da tanti anni di studio? Niente, che
passeggia ancora per la piazza".
abbúse s.m. "abuso": jé n'abbúse ca faje.
"è un abuso che fai".
abbussaccháte agg. "gonfio".
abbuttá v.tr. "gonfiare, mangiare troppo,
rimpinzare, saziare": abbúttece lu pallóne
a lu criature e attjénde a nu lu fá ścattá. "gonfiaci il pallone al bambino e attento a
non farlo schiattare"; -re male paróle
v.tr."offendere".
abbuttárse v.rifl. "gonfiarsi come una
botte".
abbuvurá v.tr. "abbeverare": penżate r'abbuvurá l'anemàlje, nuje ce abbjàme
nnanże. "pensate di abbeverare gli animali, noi ci avviamo avanti".
abbuvuratúre 1.s.m. "abbeveratoio":
abbecínete a l'abbuvuratúre e fá abbuvurá
lu mule. "avvicinati all'abbeveratoio e fai
abbeverare il mulo"; 2 s.m. "Abbeveratoio
(contrada sulla strada per Crispignano al di
sopra di San Marco)".
accafuddá v.tr. "accostare oggetti
diversi".
accafuddáte agg. "ben coperto".
accagnacché loc.avv. "a che scopo".
accalecá v.tr.intr. "calcare, premere":
tataránne accalecáve sèmbe lu tabbacche
nd'a la pippe appríme re l'appecciá.
"nonno calcava sempre il tabacco nella
pipa prima di accenderla".
accalemá v.tr. "calmare, placare": tutte
tendàrene r'accalemárle ma nu nge
arrjascjérne. "tutti tentarono di calmarla,
ma non ci riuscirono".
accalurá v.tr. "accalorare": séja
accaluráte pe la reścussjóne, nun l'àje viste cúme jéva fatte rùsse rùsse nfacce. "si
è accalorato per la discussione, non l‟hai
visto come era fatto rosso rosso in viso".
accaluramènde s.f. "febbricola": sònghe
numunne re sére ca téne n’accaluramènde,
mó avima sule chiamá lu mjéreche. "sono
troppe sere che tiene la febbricola, adesso
dobbiamo solo chiamare il medico".
Accannelóre s.f. "Candelora": jé arruváte
ra Bbònżagre lu juórne re l'Accannelóre. "è arrivato da Buenos Aires il giorno della
Candelora".
accape a la pòrte loc. avv. sull‟uscio".
accapezzá v.tr. "attestare, raccapezzare":
l'àja accapezzá ssa trave, statte attjénde.
"la devi attestare codesta trave, stai
attento". nunn'arrjèśche a accapezzá cchiù nnjénde, stache tròppe ammujnáte re cape.
"non riesco a raccapezzare più niente, sto
troppo ammoinato di testa".
accapputtá v.intr.tr. "cappottare,
intabarrare": s’éja accapputtàte ra sótte a
lu murètte e ménu male ca s’éja fatte sule
còcche ràngeche. "si è cappottato da sotto
al muretto e meno male che si è fatto solo
qualche graffio". nu nd'accapputtá se no
sure. "non ti intabarrare altrimenti sudi".
accapuzzá v.tr. "avvicinare la bocca ad
un recipiente, bere dal recipiente".
accarè v.(fig) "calzare, far figura".
accarènde agg. "calzante": àje rate a
quédda fémmene na respòste accarènde,
m’éja piaciúte. "hai dato a quella donna
una risposta calzante, mi è piaciuta".
accarrá v.tr. "travolgere": mmjézze a lu
córse la chiéme accarráje tutte pe nnande.
"in mezzo al corso la piena travolse tutto
ciò che stava davanti". -nnande v.tr.
"spingere le persone in avanti".
accasá v.tr. "ammogliare".
accasjóne s.f. "occasione": ògne
accasjóne jé bbóne pe gghì a mmangiá mó
qquá e mmó ddá. "ogni occasione è buona
per andare a mangiare ora qui e ora là".
accáta prep. "da, presso": accáta mé ce
puó ìre a cambjá. "da me ci puoi andare a
pascolare".
accattá v.tr. "acquistare, comprare,
partorire": óje agghi accattáte na cammíse
a mmaríteme ma ròppe ce sònghe jute
penżánne, l'avragghi pahate numunne. "oggi ho comprato una camicia a mio
marito ma dopo ci sono andata pensando,
l'avrò pagata troppo"; -a ffriśch’a ffriśche v.tr. "comprare alimenti poco per volta".
accàttete s.m. "acquisto": àje fatte nu
bbèll'accàttete a spusárte a quiddu
speranżóne e accussì te re funísce tutte quiste juórne!. "hai fatto un bell'acquisto a
sposarti quello che non vuole fare niente e
così te li finisci tutti questi giorni!".
accauzá v.tr. "rincalzare".
acce s.m. "sedano"; - re mundagne s.m.
"levistico"; - salvagge s.m. "ammi".
accènde s.m. "accento": Vetù, mó ca faje
lu rettate statte attiénde re métte l'accènde
andó ce vóle. "Vito, ora che fai il dettato
stai attento di mettere l'accento dove ci
vuole".
acceretòrje s.f. "strage".
accèsse s.m. "ascesso": Culurínde téne
n'accèsse a lu rènde e se sènde
ammalamènde. "Clorinda tiene un ascesso
al dente e si sente malamente".
accètta gròsse s.f. "scure": Custànże facéve ìre ndèrre l'àrbele cu l’accètta
gròsse cúme se manghe fusse. "Costanzo
faceva andare a terra l'albero con la scure
come se niente fosse".
accètte s.f. "accetta"; dim. accettùdde .
accezzjóne s.f. "eccezione": che ssònghe
ss’accezzjóne avíma èsse tutte r'accòrde.
"che sono codeste eccezioni dobbiamo
essere tutti d‟accordo".
acchiále s.m.pl. "occhiali": Mecalíne
s’éja luvate l’acchiále e s'éja ścurdate
andó l’à mmisse. "Michelina si è tolta gli
occhiali e si è dimenticata dove li ha
messi".
acchianá v.tr. "appianare, spianare":
acchiáne la tèrre appríme re ìre a ará a lu
Cummènde. "spiana il terreno prima di
andare ad arare al Convento".
acchiáne-acchiáne super. ass.
"pianissimo".
acchiangáte s.f. "basolato": a lu murcate
appríme ce stéve na bbèlle acchiangáte.
"al mercato prima ci stava un bel
basolato".
acchiarí v.tr. "chiarire, risciacquare":
Austì, vjene qquá ca m’àja acchiarí li fatte
cúme stanne, n’agghia a chi crére.
"Agostino, vieni qua che mi devi chiarire i
fatti come stanno, non ho a chi credere";
àja acchiarí na cónghe re panne, àuzete ca
jé tarde. "devi risciacquare una tinozza di
metallo di panni, alzati che è tardi".
acchiètte s.f. "asola": la sarte me facíje
quatte acchiètte a lu còtte. "la sarta mi fece
quattro asole al cappotto".
acchítte s.m. "acchito": Maríje ce
mangave ra Panne ra numunne re tjémbe,
ma cúme la verjétte, la canuscjétte a
pprime acchítte. "Maria ci mancava da
Panni da molto tempo, ma come la vidi, la
conobbi a prima acchito".
acchiuccá v.tr. "capitozzare": Necóle
acchiuccàje l'àrbele re cjéuze pe lu fá
repegliá, ma nd'a la staggióne seccàje.
"Nicola capitozzò l'albero di gelso per
farlo riprendere, ma in estate seccò".
acciaccá v.tr. "masticare, pigiare,
schiacciare": la pale jé jute sótte a ddu
chiangóne e jé tutte acciaccáte. "la pala è
andata a finire sotto a quel pietrone ed è
tutta schiacciata".
acciaccáte agg. "diventare malaticcio".
acciaccatóre s.m. "pigiatore": cúm’jéva
bbèlle a veré l'acciaccatóre ca traséve
nd'a la tenédde e se mettéve a acciaccá
l'uve pe óre e óre. "come era bello a vedere
il pigiatore che entrava nel tino e si
metteva a pigiare l'uva per ore e ore".
acciaccóne s.m. "pasticcione".
acciaffá v.tr. "acciuffare, afferrare":
l'acciaffàje attjémbe attjémbe pe na
màneche re la ggiacchètte pe nu lu fá trasí
ra ddá. "l'afferrai in tempo in tempo per
una manica della giacca per non farlo
entrare di là".
acciaòme s.m. "ecce homo".
acciàppe s.f. "gancio per gonna"; dim.
acciappètte.
acciappóne s.m. "acciarpone": nu nge
jènne ra quiddu ddá ca jé n’acciappóne,
vire abbré andó puó ìre. "non ci andare da
quello là che è un acciarpone, vedi dove
puoi andare".
acciapputtá v.tr. "fare rozzamente".
accíre v.tr. "macellare, uccidere": pe
Pasque ànna accíre numunne r'àjne,
fàttele stepá une. "per Pasqua devono
macellare molti agnelli, fattelo conservare
uno"; p.p. accíse.
accíse s.f. "uccisione".
acciungá v.tr. "paralizzare": jé
acciungáte ra quatt'anne e dda pòvra
mugliére nu nge la face cchiù pe l'assíste.
"è paralizzato da quattro anni e quella
povera moglie non ce la fa più per
assisterlo".
acciuppejá v.tr. "azzuffare, bisticciarsi":
s’acciuppejàrne nnande a tutte quande. "si
azzuffarono davanti a tutti quanti".
acciuppjá v.intr. "litigare": nun
v'acciuppjáte ca nun vale pròpje la péne.
"non litigate che non vale proprio la pena".
acciuppjatòrje s.f. "bisticcio, zuffa":
ndra tutte quidde cristjàne c’éja state
n'acciuppjatòrje ca nu nże capéve cchiù nnjénde. "tra tutte quelle persone c'è stata
una zuffa che non si capiva più niente".
acciuprèute s.m. "arciprete": agghia rice
a l'acciuprèute ca peścràje m'adda rice na mésse pe la bbònáneme re maríteme.
"devo dire all'arciprete che dopodomani mi
deve dire la messa per la buonanima di
mio marito".
acciuttá v.rifl.intr. "ingrassare":
Rucchíne s'éja acciuttáte tande ca agguàje
agguàje camíne. "Rocco si è ingrassato
tanto che appena appena cammina".
acciuuí v.intr. "non arrivare a finire o
completare un lavoro".
acclísse s.f. "eclissi".
accòglie v.tr. "accogliere": nu l'ànne
vulute accòglie ndra lóre e àja rice ca
quidde stá sule e abbandunáte. "non
l'hanno voluto accogliere tra loro e devi
dire che quello sta solo e abbandonato";
p.p. accuóvete.
accòrde, nunn’éja r’- agg. "discorde".
accòvete s.f. "accolta": ra cumma Maríje
ce stéve n’accòvete re cristjàne, chisà che
jé succjésse. "da comare Maria ci stava
un'accolta di persone, chissà che è
successo".
accquácce s.f. "rugiada": adda ascí lu
sóle p’assucá tutta st’accquácce, nunn’àje
andó métte nu pére. "deve uscire il sole per
asciugare tutta questa rugiada, non hai
dove mettere un piede".
accquaquagliá v.tr. "combinare".
accquáte s.m. "vinello": lu vine lu
bbevíme cchiù addá, mó bevímece
l’accquáte, sparagnáme na nżénghe. "il vino lo beviamo più in là, ora beviamoci il
vinello, risparmiamo un pò".
accrésce v.tr. "accrescere": Angiulì àja
accrésce re mmaglie, statte attjénde.
"Angela devi accrescere le maglie, stai
attenta".
accrjanżáte agg. "che ha buona
creanza": jé accussì accrjanżáte nepúteme ca n'asseméglie pe nnjénde a ffráteme. "ha
così buona creanza mio nipote che non
assomiglia per niente a mio fratello".
accrjése agg. "accadiese"; pl. accríjse,
"abitanti di Accadia".
accucchjá v.tr. "abbinare, accoppiare,
accumulare, appaiare": lu cavadde tuje
accúcchile cu lu míje na vòta aráme ndó tè
e na vòta ndó mé. "il cavallo tuo appaialo
con il mio e una volta ariamo da te e una
volta da me".
accucciulí v.tr. "accucciare,
rannicchiarsi": vire vì quiddu cane cúme
s’accucciulísce a li pjére re lu padróne.
"vedi vedi quel cane come si accuccia ai
piedi del padrone".
accugliènże s.f. "accoglienza": cumbà, nun me lu creréve, m’ànne fatte na bbóna
accugliènże, nu nżapévene lóre stésse chè ffá e ché rrà. "compare, non lo credevo, mi
hanno fatto una buona accoglienza non
sapevano loro stessi che fare e che dare".
accujàtá v.tr. "acquietare": p'accujàtá
quissu crjature racce lu pupídde. "per
acquietare codesto bambino dacci il
ciucciotto di stoffa ripieno di zucchero".
acculemá v.tr. "colmare": lu piatte re li
maccarúne me l'àja acculemá nżine a l'urle. "il piatto dei maccheroni me lo devi
colmare fino all'orlo".
acculematúre s.f. "colmatura": sóp’a lu
mezzètte re grane famme na bbóna
acculematúre cúme saje fà tu. "sullo staio
di grano fammi una buona colmatura come
sai fare tu".
accúleme agg. "colmo": vire ca li
bbucchjére re lèhuóre sònghe accúleme,
mó ca re ppuórte sóp’a la uandjére nu re
facènne scegliá. "vedi che i bicchieri di
liquore sono colmi, ora che li porti sul
vassoio non farli versare".
accullá v.tr. "accollare": me vuónne
accullá tutte re spése, nu nżònghe manghe fésse! Tanda figli, tanda parte. "mi
vogliono accollare tutte le spese, non sono
mica scemo! Tanti figli, tante parti".
accullacciáte agg. "accollacciato":
Ggiuuà, staje tutte accullacciáte, chisà ché
ffridde àdda fá ra fóre!. "Giovanni, stai
tutto accollacciato, chissà che freddo deve
fare fuori!".
accumbagnamènde s.m
"accompagnamento": na mùseche nu
nż'apprèzze se nu nge stá nu bbuóne
accumbagnamènde. "una musica non si
apprezza se non c‟è un buon
accompagnamento".
accumegliá v.tr. "coprire".
accumenżá v.tr. "cominciare, incominciare".
accumetá v.tr. "accomodare in casa".
accundá v.tr. "raccontare, riferire":
Tresúcce m’à dditte ca t'accundáte tutte pe
ffile e pe sségne, mó t’àja recíre tu
cúm’àja fá. "Teresa mi ha detto che ti ha
raccontato tutto per filo e per segno, ora ti
devi decidere tu come devi fare":
accundarjédde s.m. "persona che non sa
mantenere un segreto"; s.f. accundarèdde.
accùnde s.m. "acconto": s’affettàrene na
casarèdde abbasce a lu pajése e avjérna rá
appríme n’accúnde. "si affittarono una
casetta giù al paese e dovettero dare prima
un acconto".
accundendá v.tr. "accontentare": o
t'accundjénde o se no nunn’àje ché ffá. "o
ti accontenti o altrimenti non hai che fare".
accunnescénne v.intr."accondiscendere".
accunżá v.tr. "accomodare, aggiustare, conciare": se te faje veré angóre qquá
nnande t'accónże pe re ffjéste, àje capíte?. "se ti fai vedere ancora qui davanti ti
aggiusto per le feste, hai capito?":
accunżatúre s.f. "acconciatura": a la zìte
ànne fatte na bbèlle accunżatúre, m’éja piaciúte pròpje. "hanno fatto una bella
acconciatura alla sposa, mi è proprio
piaciuta".
accuóste avv. e agg. "accanto, accosto,
attiguo": uagliò, viéne qquá, nun stènne
sèmbe accuóste a lu mure, n'avènne paùre
ca nu nże ne care. "ragazzo, vieni qua, non stare sempre accanto al muro, non aver
paura che non se ne cade"; la casa sója jé
accuóste a la nòste e se truóvene a li
Tuóppele. "la sua casa è attigua alla nostra
e si trovano ai Toppoli".
accupá v.tr. "occupare".
accuppá v.tr. "sopraffare": nu nde
facènne accuppá ra quidde ca nunn'éja
manghe l’ógne re lu rite tuje. "non ti far
sopraffare da quello che non è neanche
l'unghia del tuo dito".
accurdàrse v.rifl. "accordarsi": mméce re
fá cause penżàrne bbuóne re s’accurdá. "invece di fare causa pensarono bene di
accordarsi".
accurí v.intr. "accudire": la màmme
mbaràje bbòne la figlie a accurí a tutte li
suvrízzje re la case. "la mamma insegnò
bene la figlia ad accudire tutti i servizi
della casa".
accurrènde agg. "occorrente": me
manghe l’accurrènde pe ścrive, nu nde
pòzze ścrive la cartullíne. "mi manca l'occorrente per scrivere, non ti posso
scrivere la cartolina".
accurtá v.tr. "accorciare".
accurtatóre s.f. "scorciatoia": p’arruuá
cchiù prjéste a la massaríje, pegliàmme
l’accurtatóre sótte Sand’Ulíje. "per
arrivare più presto alla masseria,
prendemmo la scorciatoia sotto Sant'Elia".
accùrte agg. "a corto, vicino".
accusciá v.tr. "assecondare".
accussessíje avv. "così sia".
accussì avv. "così"; - e accuddì: "così e
cosà"; -accussì avv. "discretamente".
accustá v.tr. "accostare".
accustumá v.tr. "accostumare": Peppíne
avéve bbuóne accustumáte lu figlie,
avastáve na paróle e quidde capéve tutte.
"Giuseppe aveva ben accostumato il figlio,
bastava una parola e quello capiva tutto".
accustumí v.tr. "addomesticare":
Peppúcce tenéve nu cane furèsteche, ma
riascíje a accustumírle cúme recéve idde.
"Giuseppe teneva un cane foresto, ma
riuscì ad addomesticarlo come diceva lui".
accuzzá v.tr. "battere con il dorso
dell‟occhio dell‟accetta".
àcene s.m. "acino, chicco"; dim.
acenjédde; - re case s.m. "cantuccio di
cacio"; - re grane s.m.pl. "semini (pasta
alimentare)"; - re pépe s.m.pl. "peperini
(pasta alimentare)".
acetá v.tr.rifl. "agitare": jé nu cristjàne
ca se àcete pe nnjénde. "è una persona che
si agita per niente".
ácete agg. "acido".
ache s.m. "ago"; pl. àquare.
acíte s.m. "aceto"; acíte, a l'- loc.avv.
"sottaceto": musére m'agghia fá na nżaláte r'aulíve nèure e re pupàjne a l'acíte.
"stasera mi devo fare un‟insalata di olive
nere e di peperoni sottaceto".
acízze agg. "acido": ajérematíne nu
mbutjétte véve ru llatte pecchè se n’ére
jute r’acízze. "ieri mattina non potei bere il
latte perché era diventato acido".
Acqua Sàuze s.f. "Acqua Salsa (contrada
sulla strada per Panni-Scalo vicino alla
fontana)".
acquajuóle s.m. "acquaiolo, fontaniere":
appríme sendíve re passá ògne mmatíne
l'acquajuóle ca alluccáve pe re strare
"acque fréśche, acque fréśche". "prima
sentivi di passare ogni mattina l'acquaiolo
che urlava per le strade "acqua fresca,
acqua fresca".
acquarágge s.f. "acquaragia".
acquarèdde s.f.dim. "acquerella,
pioggerellina": quédd’acquarèdde ca à
ffatte jé póche, à lluvate sule la pólve.
"quella pioggerellina che ha fatto è poca,
ha tolto solo la polvere".
acquasále s.f. "fette di pane bagnate e
condite con olio e sale".
acquasandère s.f. "acquasantiera": li
cristjàne se nfunnévene re ddéte nd’a
l’acquasandère a la trasute e a l'asciute re
la chjésje. "le persone si bagnavano le dita
nell'acquasantiera all'entrata e all'uscita
della chiesa".
acquasciòscie s.f. "brodaglia".
acque s f. "pioggia"; - a llavíne s.f.
"pioggia continua"; - furjóse s.f. "pioggia
violenta".
acre agg. "agro"; dim. agrulílle.
addà avv. "in là".
addàje s.m. "lezzo".
addáte s.m. "appuntamento".
adde s.m. "gallo": lu adde jé lu rré re lu
addenáre. "il gallo è il re del pollaio". -re
nòtte s.m. "upupa": cúme face la squríje,
lu adde re nòtte accummènże a ccandá. "come abbuia, l‟upupa incomincia a
cantare".
addecrjá v.tr. "ricreare".
addenáre s m. "pollaio".
addettá v.tr. "dettare": m’àja addettá na
léttere pecché éo nun la sacce ścrive ra sóle. "mi devi dettare una lettera perché io
non la so scrivere da sola".
addezziuná v.tr. "addizionare":
addezzjúne tutte li nnùmmere e famme
sapé lu tutale, pe me rjulá. "addiziona tutti
i numeri e fammi sapere il totale per
regolarmi".
addíne s.f. "gallina"; dim. addenèlle.
addjá v.intr. "emergere, gallare": vóle
sèmbe addjá, nunn’avasce pe nnjénde la
cape. "vuole sempre emergere, non
abbassa per niente la testa".
addòbbje s.m. "anestesia": nu lu sapíme,
mó ca òperene a mmaríteme a l’uócchie, si
ce fanne l’addòbbje pe tutte la persóne o
no. "non lo sappiamo, ora che operano a
mio marito all'occhio, se ci fanno
l'anestesia totale o no".
addòrme v.tr.intr. "addormentare,
indolenzire": adduórme appríme lu
criatúre e pó ce mettíme a mmangiá.
"addormenta prima il bambino e poi ci
mettiamo a mangiare". p.p. addurmúte:
m'agghie fatte na ścapezzatóre sóp’a la sègge e s’éja addurmúte lu vrazze. "mi
sono fatto un pisolino sulla sedia e si è
indolenzito il braccio".
addréte avv. "addietro, dietro, indietro":
addréte a tutte se mettíje idde, pecchè
tenéve ścuórne re se fá veré. "dietro a tutti si mise lui, perché aveva vergogna di farsi
vedere".
addubbjá v.tr. "anestetizzare".
addúcce s.m. "galletto": m’ànne purtate
nu addúcce, l'agghia còce cu ddòje patane
a lu furne. "mi hanno portato un galletto,
lo devo cuocere con le patate al forno".
addùce v.tr. "addurre, portare": stache
aspettánne a mmaríteme e ffìglime, ca se
addúcene ra fóre ròje jéte, re vvòglie còce
sùbbete cu re ppezzòtte. "sto aspettando
mio marito e mio figlio, che se portano
dalla campagna le bietole, le voglio
cuocere subito con i quadrucci"; p.p.
addútte.
adduluráte agg. "addolorato".
addummanná v.tr. "domandare": a
l’isáme lu prufussóre m’addummannáje
tanda cóse. "all'esame il professore mi
domandò tante cose".
addummurá v.tr. "ritardare, tardare":
crajmatíne n'addummurá a auzàrte se no
pjérde lu tréne. "domattina non tardare ad
alzarti altrimenti perdi il treno".
addunárse v.rifl. "accorgersi": s'addunáje
ca lu vulévene vatte e si ne fuíje. "si
accorse che lo volevano battere e se ne
scappò".
adduóre s.m. "odore, profumo": ché
adduóre ca se sènde ra fóre, cummà ché
staje cucènne?. "che odore che si sente da
fuori, comare che stai cucinando?".
addurá v.tr. "odorare".
addurènde agg. "odoroso": stu mazzètte
re vjóle jé assáje addurènde. "questo
mazzetto di viole è molto odoroso".
adduríne s.m. "profumo (miscela)".
aduprá v.tr. "adoperare": figlie míje,
avíte aduprá la mazze ògne tande cu li
uagliúne vuóste pe ce rá na nżénghe re rucazzjóne. "figli miei, dovete adoperare il
bastone ogni tanto con i vostri ragazzi per
darci un pò di educazione".
adurazzjóne s.f. "adorazione".
aèreje loc.avv. "a vanvera": nu
mbarlànne aèreje, li fatte stanne re n'ata
manére e peqquésse statte citte. "non
parlare a vanvera, i fatti stanno in un'altra
maniera e perciò stai zitto".
affàbbele agg. "affabile".
affacciá v.tr. "affacciare": attjénde
angóre lu criature s’affàcce a la funèste e
care abbasce. "attenta ancora il bambino si
affaccia alla finestra e cade giù".
affacennáte p.p. e agg. "affaccendato":
jé tutte affacennáte a ammassá ru ppane,
pecché la furnáre à ddate l’óre pe lu purtá
a ccòce. "è tutta affaccendata a panificare,
perché la fornaia ha dato l'ora per portarlo
a cuocere".
affameljá v.rifl. "familiarizzare": làssule
appríme affameljá cu ffràtete e pó vire ca
cange aspètte. "lascialo prima
familiarizzare con tuo fratello e poi vedi
che cambia aspetto".
affannúse agg. "affannoso": Runà, staje
affannúse, ché nu nde sjénde bbuóne?
Camíne vá nd’a lu mjéreche!. "Donato,
stai affannoso, che non ti senti bene?
Cammina vai dal medico!".
affaráte p.p. e agg. "affaccendato".
affasciá v.tr. "affastellare": specciámece
a affasciá ru ffiéne e a trasírle rinde ca mó
véne a cchióve. "sbrighiamoci ad
affastellare il fieno e ad entrarlo che ora
viene a piovere".
affauttá v.tr. "affagottare": nu lu vire
cúme stá tutte affauttáte nd’a l'àbbete
nuóve ca nu nże póte manghe mòve. "non lo vedi come sta tutto affagottato nel
vestito nuovo che non si può neanche
muovere".
afferrá pe li ciurle v.tr. "accapigliare":
quédde e ddòje fémmene letecánne,
s’afferrárne pe li ciurle. "quelle due donne
litigando, si accapigliarono".
àffete s.f. "afta".
affettíve agg. "effettivo": mó Ndenjúcce
jé passate affettíve póte ròrme sóp’a
qquatte cuscéne. "ora Antonio è passato
effettivo può dormire su quattro cuscini".
affezzjuná v.tr. "affezionare": nu
nd’affezzjuná tròppe a qquissu criature, ca
craje la màmme se lu pòrte e tu rjéste sóle.
"non ti affezionare troppo a codesto
bambino, che domani la mamma se lo
porta e tu resti sola".
affihurá v.tr. "figurare, raffigurare": me
l'affihuráve cchiù cciuótte, ma nunn’éja
alluuére. "me lo figuravo più grasso, ma
non è vero".
affíle loc.avv. "in fila, in ordine"; -affíle
avv. "integralmente".
afflusciá v.intr. "afflosciare": me sènde
tutte afflusciáte, sarrá lu càure. "mi sento
tutto afflosciato, sarà il caldo".
affòrge loc.avv. "tirare per il naso i
buoi".
affòrze loc.avv. "per forza".
affrangá v.tr. "affrancare, risparmiare".
affrónde loc.avv. "in confronto".
affrundá v.tr. "affrontare, indovinare":
cumbà quéssa setuazzjóne o óje o craje
l’àja affrundá, fatte capace. "compare,
codesta situazione o oggi o domani la devi
affrontare, fatti capace".
affrúnde s.m. "affronto": agghi avute
n’affrúnde ra Tummasíne, ra chi manghe
te crire àje li ścarpíne. "ho avuto un affronto da Tommaso, da chi neanche ti
credi hai gli sgambetti".
affucá v.tr.fig. "affogare, soffocare nel
togliere il respiro": affucàje lu respiacére
nd’a na buttíglie re vine. "affogò il
dispiacere in una bottiglia di vino".
affullá v.tr. "affollare".
affumá v.tr. "affumicare": s’éja affumáte
assàje la cucíne, auànne l'agghia fá
janghiá. "si è molto affumicata la cucina,
quest'anno la devo far imbiancare".
affunná v.tr. "affondare".
affurtunáte agg. "fortunato": quanne
jóche vénge sèmbe, jé pròpje affurtunáte.
"quando gioca vince sempre, è proprio
fortunato".
affussá v.tr. "affossare".
aggarbá v.intr. "garbare": nun
m’aggárbene ste pparóle tóje. "non mi
garbano queste tue parole".
aggarbáte agg. "ondulato": ché bbèlle
capídde aggarbáte ca tjéne, re vvulésse
tené pure éo. "che bei capelli ondulati che
tieni, li vorrei tenere anch'io".
aggevulá v.tr. "agevolare": a l'isame
Peppenjélle jé state assàje aggevuláte ra li
prufussúre, ngrazjarDdíje jé state
pròmòsse. "agli esami Giuseppe è stato
molto agevolato dai professori, grazie a
Dio è stato promosso".
agghiaurá v.tr. "bruciacchiare": Cungè,
nu mmettènne assàje caravúne nd’a lu
ścalefaljétte se no s’agghiàurene re
lenżóle. "Concetta, non mettere molti carboni nello scaldaletto altrimenti si
bruciacchiano le lenzuola".
agghiazzá v.intr. "andare a letto, mettere
l'animale nello stabbiolo".
agghiónge v.tr. "aggiungere": àja
agghiónge l'ate uóglie a lu sùche, ce n'àje
misse póche jé pròpje sciaccquáte. "devi
aggiungere altro olio al sugo, ne hai messo
poco è proprio sciacquato". p.p.
agghiúnde; -li vuóve v.tr. "aggiogare i
buoi": agghiúnge li vuóve ca mó me métte
a ará ssa pónde re tèrre. "aggioga i buoi
che ora mi metto ad arare codesta punta di
terra".
agghiurdárse v.rifl. "ammalarsi delle
ginocchia dei cavalli".
agghiurecá v.tr. "aggiudicare": a la fèste
re San Custànże s’éja agghiurecáte lu prime prèmje a lu pàleje. "alla festa di San
Costanzo si è aggiudicato il primo premio
alla cuccagna".
aggí v.intr. "agire", p.p. aggíte.
aggíre s.m. " comportamento".
aggradí v.tr. "gradire"; p.p. aggradíte.
aggrangá v.intr. "aggranchiare": pe lu
fridde se sònghe aggrangáte re mmane,
m’agghia métte li uande. "per il freddo si
sono aggranchiate le mani, mi devo
mettere i guanti".
aggranfá v.tr. "avvinghiare": la èrre jé
na chiande ca s'aggrànfe a l'àrbele.
"l'edera è una pianta che si avvinghia
all'albero".
aggratísse avv. "gratis": trasíte ggènde,
ca óje jé tutte aggratísse. "entrate gente,
che oggi è tutto gratis".
aggroppá v.tr. "spostare animali di lato".
agguàje-agguàje avv. "appena-appena".
agguàjtepéne avv. "appena".
agguardá v.tr. "aspettare".
agguattárse v.rifl. "accovacciarsi,
acquattarsi, infilarsi sotto le coperte": me
sònghe agguattáte addréte a na ròcchie e
ddá sònghe state citte citte pe nun me fá
ścòrge. "mi sono accovacciato dietro a un cespuglio e lì sono stato zitto zitto per non
farmi scorgere"; s'agguattáje a nu zinne e
ddá rumàníje pe tutte la serate. "si
acquattò a un canto e là rimase per tutta la
serata".
aggubbá v.tr. "aggobbire": àje viste
cúme s'éja aggubbàte? Na nżénghe jé la
ità e na nżénghe ca jé state sèmbe calate sóp’a la fatíje. "hai visto come si è
aggobbito? Un pò è l'età e un pò che è
stato sempre chinato sul lavoro".
agliaccá v.tr. "masticare pigramente".
agliàneche s.m. "aleatico".
agliàteche agg. "lugliatico".
aglicèdde s.f. "piccolo aglio".
aglistrjédde agg. "ben pasciuto".
agnúne pron.indef. "ognuno": agnúne se
facésse li fatte suje. "ognuno si facesse i
fatti suoi".
ahucáte s.m. "avvocato".
ahurá v.tr. "augurare": t’ahúrje tutte lu
bbéne ca vuó, figlia míje, cu tutte lu córe.
"ti auguro tutto il bene che vuoi, figlia mia,
con tutto il cuore".
ahúrje s.m. "augurio": ahúrje tatarà,
cjénde e ccjénde re quisti juórne. "auguri
nonno, cento e cento di questi giorni".
ajére avv. "ieri".
ajérematíne avv. "ieri mattina":
ajérematíne jémme a lu Cummènde pe ffá
na vìsete a la Marònne. "ieri mattina
andammo al Convento per fare una visita
alla Madonna".
ajéressére avv. "ieri sera".
àjme agg. "azzimo": ru ppane jéve àjme
e l'avjémme jttá, jé state nu peccate ma ché
avévema fá?. "il pane era azzimo e lo
dovemmo buttare, è stato un peccato, ma
che dovevamo fare?".
ajutá v.tr. "aiutare": quanne puó ajutá la
pòvra ggènde fàlle, Ddíje te lu rrènne.
"quando puoi aiutare la povera gente fallo,
che Dio te lo rende".
àjne s.m. "agnello"; dim. ajnecjédde;
accr. àjne gruósse.
ajníce s.f. "cenerina": nd'a lu vrascjére
ce stá angóre na nżénghe r'ajníce, ma ché te vuó nfucá, t'àja sule ìre a culecá. "nel
braciere c'è ancora un po‟ di cenerina, ma
che ti vuoi riscaldare, ti devi solo andare a
coricare".
ajstecá v.tr. "istigare": làssule ìre nu lu
ajstecá se no jé pègge. "lascialo andare
non lo istigare altrimenti è peggio".
alá v.intr. "sbadigliare": "quanne àle,
mitte la mane nnande a la vócche pe
rrucazzjóne. "quando sbadigli metti la
mano davanti alla bocca per educazione".
alabbunáte agg. "bonaccione,
semplicione".
alalundáne loc.avv. "alla lontana".
alamáne loc.avv. "alla mano".
alammèrse loc.avv. "all'inverso".
alandrasátte loc.avv. "improvvisamente":
sembràve na fineremúmme, alandrasátte
se luvàje la luce mèndre ra fóre juccave.
"sembrava un finimondo, improvvisamente
si tolse la luce mentre fuori nevicava".
alangarrére loc.avv. "di gran carriera":
lu verjétte arruvá alangarrére ra lu
Castjédde e me recíje c'avéve viste lu
ścazzematjédde. "lo vidi arrivare di gran carriera dal castello e mi disse che aveva
visto il folletto".
alanúre loc.avv. "ignudo": nun stènne
alanúre se no t'abbùśche nu ciamuórje. "non stare ignudo altrimenti ti buschi un
raffreddore".
alappjére loc.avv. "a piedi".
alaspásse loc.avv. "a spasso
(disoccupato)".
alasquríje loc.avv. "all'oscuro": appícce
la luce, nun stènne alasquríje, àje vòglie a
stá alasquríje sótta tèrre. "accendi la luce,
non stare all'oscuro, hai voglia a stare
all'oscuro sotto terra".
alassacrése loc.avv. "improvvisamente".
ale s.m "sbadiglio"; ale suje, a l'-
loc.avv. "dalla sua parte".
àleme re vjénde loc.avv. "alito di vento".
alérte loc.avv. "in piedi".
alíce s.f. "acciuga": nu nde piàcene li
felatjélle cu l'alíce? Nu nżaje ché te pjérde!. "non ti piacciono gli spaghetti con
le alici? Non sai che ti perdi!".
alíme s.m "fiato debole".
allaccanúte agg. "desideroso,
insaziabile": nu nż'éja putute accattá re pprime cerase ca custávene assaje e jé
rumaste allaccanúte. "non si è potuto
comprare le prime ciliegie che costavano
molto ed è rimasto desideroso"; jé
allaccanúte, cchiù tténe e cchiù vvóle. "è
insaziabile, più ha e più vuole".
allahá v.tr. "allagare".
allahamènde s.m. "allagamento": cu
tutte quédd’acque ce fóje n’allahamènde
nd’a lu juse dabbasce. "con tutta quella
pioggia ci fu un allagamento nei sottani
laggiù".
allamá v.intr. "franare": a qquiddu
punde àja fá nu canale pe ffá śculá l'acque, se no faje allamá tutte la tèrre. "a
quel punto devi far un canale per far
scolare la pioggia altrimenti fai allagare
tutto il terreno".
allarehá v.tr. "allargare": t'àja allerehá
ssa vèste ca te vá strétte. "ti devi allargare
codesto vestito che ti va stretto".
allaścá v.tr. "allentare": jé bbèlle a tené
li nepute, ma àja pùre allaścá li curdune re la bbórze. "è bello a tenere i nipoti, ma
devi pure allentare i cordoni della borsa".
allattànde agg. "lattante": pe Pasque
agghi urdenáte a lu chianghiére n'àjne
allattánde. "per Pasqua ho ordinato al
macellaio un agnello lattante".
allazzá v.tr. "allacciare": uaglió, allázzete
re ścarpe cúme s’ànne allazzá, vòglie veré quanne t’àja mbará. "ragazzo, allacciati le
scarpe come si devono allacciare, voglio
vedere quando devi imparare". -nu pùjne
v.tr. "tirare un pugno".
alleccá v.tr. "leccare": nu nd’alleccá
sèmbe sse ddéte ca faje śchife. "non ti leccare sempre codeste dita che fai schifo".
alléccapjátte s.m. "leccapiatti".
allecciá v.rifl. "andarsi a fare benedire".
allecurdá v.tr. "ricordare".
alleggerí v.tr. "digerire": ròppe mangiáte
p’alleggerí, t’àja fá na passjàte. "dopo
mangiato per digerire, devi fare una
passeggiata".p.p. alleggerúte; -, nu nże póte- loc.avv. "indigesto": nu mbòzze
mangiá assaje pìzze cu re cepódde pecché
nu nże póte alleggerí. "non posso mangiare molta pizza con le cipolle perché
è indigesta".
allegrézze s.f. "allegria": ché allegrézze
stéve nd’a sta case! E mmó andó jé jute a
ffuní?. "che allegria stava in questa casa!"
E ora dove è andata a finire?".
allehá v.tr. "allegare": tatarà, a qquédda
léttere àja allehá lu certefecáte, nu nde ne
ścurdá. "nonno, a quella lettera devi allegare il certificato, non te ne scordare".
allemá v.tr. "limare": pe gghí bbuóne àja
appríme allemá quissu fjérre. "per andare
bene devi prima limare codesto ferro".
allendá v.tr. "allentare"; -nu pùjne v.tr.
"tirare un pugno"; -nu ścaffe v.tr. "dare uno schiaffo".
allenjá v.tr. "allineare".
allesciá v.tr. "accarezzare, lisciare":
sòreme nazzecáve lu criature e pe lu fá
addòrme, chiane chiane l'allesciáve la
facce. "mia sorella cullava il bambino e per
farlo addormentare, piano piano gli
accarezzava la faccia".
allesciárse li capídde v.tr. "ravviarsi i
capelli": allíscete ssi capídde c’assemíglie
na janare. "ravviati codesti capelli che
assomigli una strega".
allesciàte s.f. "lisciata"; dim. allesciatèlle.
allessá v.tr. "lessare".
allésse agg. "lesso".
alletetóreje s.f. "baruffa, litigio": facjérne
n’alletetóreje, sacce pe ché ccóse e nu nże salútene cchiù. " fecero una baruffa, non
so per che cosa e non si salutano più".
alletteráte agg. "letterato".
allíte avv. "lite": agghi fatte allíte, nu lu
vòglie cchiù veré. "ho litigato, non lo
voglio più vedere"; dim. letechètte.
allucá v.tr. "affittare, allogare": Prícete à
allucáte quédda case ca tène a qquarte re
vòrje a la màmme re Aitàne. "Brigida ha
affittato quella casa che tiene dalla parte
della borea alla mamma di Gaetano".
alluccá v.intr. "gridare, sgridare,
strillare, urlare".
allúcche s.m. "grido, strillo, urlo": agghi
sendute n'allúcche ra dammónde, sacce
chi vóle èsse. "ho sentito un urlo da là
sopra, non so chi vuole essere". Lisètte
facíje n’allúcche quanne veríje nu
surecídde, ca ce féce zumbá ra sópe a la
sègge. "Luisa fece un urlo quando vide un
topolino, che ci fece saltare dalla sedia". ce
luvámme la ciuculáte ra mmane a lu
criature e l’allúcche arruvárene a nu
miglie. "togliemmo al bambino la
cioccolata dalle mani e gli strilli arrivarono
a un miglio".
allucetá v.tr. "lucidare": quanne vuó àja
allucetá lu pavemènde ra fóre. "quando
vuoi devi lucidare il pavimento fuori".
alluggiá v.tr. "alloggiare": lu alluggiàje
pe ddùje mise, ròppe s’avía truvá na
casarèdde, pecchè arruvàje fìglime ra
l'Amèreche. "lo alloggiai per due mesi,
dopo si dovette trovare una casetta, perché
arrivò mio figlio dall'America".
allumá la segarètte v.tr. "accendere la
sigaretta".
allumacannéle s.m. "accenditoio": lu
sagrestáne appríme ausave
l'allumacannéle. "il sagrestano prima
usava l'accenditoio".
alluméne avv. "almeno".
allumínje s.m. "alluminio": Dorù,
làssele pèrde re ttjèdde r’allumínje, mó
t'àja accattá quédde r’azzáre. "Dora,
lasciale perdere le pentole d'alluminio, ora
ti devi comprare quelle d'acciaio".
allundaná v.tr. "allontanare".
alluónghe agg. " a lungo, lontano".
allupá v.tr. "avere molta fame".
allusciá v.tr. "vedere".
allustrá v.tr. "lustrare le scarpe".
allustrí v.tr. "lustrare i mobili".
alúteme agg. "in ultimo".
alluére agg. "vero": jé alluére ca
Peppíne jé state ddà andó rice tu, ma idde
nu ru vvóle ammétte e sacce pecché. "è
vero che Giuseppe è stato là dove dici tu,
ma lui non lo vuole ammettere e non so
perché".
Alvanjédde s.m. "Alvaniello (contrada
sulla strada per Accadia, prima di arrivare
al Bosco)".
amábbele agg. "amabile": jé accussì
amábbele ca te face mení la vòglie re lu
sènde sèmbe re parlá. "è così amabile che
ti fa venire la voglia di sentirlo sempre
parlare".
amaruósteche agg.m. "amarognolo"; f.
amaròsteche. ambjèndá v.tr. "ambientare": àja avé
paciénże ce vóle tjémbe pe t'ambjèndá, ché vuó fá jé tutta ggènde nóve. "devi
avere pazienza ci vuole tempo per
ambientarti, che vuoi fare è tutta gente
nuova".
Amèreca Bbóne "Stati Uniti".
amiche s.m. "amico"; pl. amice; -stritte
s.m "amico intimo"; f. amica strétte.
ammaccá rusàreje v.tr. "recitare un
rosaio dietro l'altro".
ammagliá v.tr "biascicare, masticare
lentamente": ché jé c’ammáglie, musére nu
ndjéne fame?. "che cos‟è che mastichi
lentamente, stasera non hai fame?.
ammahagná v.tr. "ammaccare,
magagnare".