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DOC 4 CROWD SAGGIO IN MARKETING EVOLUTION OPEN INNOVATION: UN DRIVER STRATEGICO PER CREARE VALORE NELLE PMI Autore: dr. Nicola Campese Anno 2012

OPEN INNOVATION: UN DRIVER STRATEGICO … INBOUND OPEN INNOVATION: CREARE VALORE NELLE PMI 2.1 L’Open Innovation e le PMI La teoria dell’Open Innovation e il modello di business

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DOC 4 CROWD

SAGGIO IN

MARKETING EVOLUTION

OPEN INNOVATION: UN DRIVER STRATEGICO PER CREARE VALORE

NELLE PMI Autore: dr. Nicola Campese

Anno 2012

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INDICE

Introduzione ............................................................................................ 3

CAPITOLO I.

Le origini e l’evoluzione dell’Open Innovation

1.1 Il modello dell’innovazione chiusa ................................................... 6

1.2 L’Open Innovation: il nuovo paradigma ........................................... 9

1.3 I vantaggi delle idee e delle tecnologie esterne ............................. 17

CAPITOLO II.

Inbound Open Innovation: creare valore nelle PMI

2.1 L’Open Innovation e le PMI ........................................................... 19

2.2 Inbound Open Innovation e le scelte strategiche nelle PMI ........... 22

Conclusioni ........................................................................................... 29

Bibliografia e Sitografia ....................................................................... 31

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INTRODUZIONE

Negli ultimi anni si è assistito ad una crescita significativa del modo in cui le persone partecipano allo sviluppo economico: si collegano in rete per richiedere, acquistare e, in molti casi, produrre beni, servizi e idee, collaborando sinergicamente alla realizzazione di un obiettivo comune. Wikipedia, Facebook, YouTube, Amazon rappresentano alcuni esempi di collaborazione di massa.

Questo cambiamento è avvenuto parallelemente all’evoluzione del marketing. Le origini del marketing, infatti, risalgono ai primi anni del secolo scorso, quando negli Stati Uniti iniziarono a svilupparsi grandi imprese produttrici di beni di consumo durevoli e non durevoli, con strategie orientate alla realizzazione di un mercato di massa. In questo senso, il marketing è stato una rappresentazione della società fordista. In seguito, il marketing ha mutato la propria “fisionomia”, divenendo strumento interpretativo della società e dell’economia post-fordista o post-industriale. Come risultato si è avuto il passaggio da un modello di business, fondato sulla fornitura di un prodotto standardizzato (si pensi alla Ford T), ad uno completamente nuovo, basato sulla personalizzazione dell’offerta e sul ruolo “attivo” del consumatore nell’indirizzare le scelte produttive1.

L’affermazione della figura del prosumer2 e la frammentazione dei mercati, hanno dato origine ai concetti di long tail3 e di “mercato di nicchia”. Quest’ultimo presuppone forme di produzione talmente adattabili ai bisogni del consumatore, da determinare l’affermazione del marketing one-to-one e dell’offerta personalizzata. Quindi, ricerca, sviluppo, produzione, commercializzazione e gestione del personale, che durante il periodo fordista erano attività controllate dalle aziende, ora cominciano ad assumere caratteri che le rendono co-gestibili da forze esterne alla compagine societaria.

1 Cfr. A. Lepore, Lineamenti di storia del marketing in Nuovi percorsi della storia

economica, Milano, Vita&Pensiero, 2008, pp. 215-225. 2 Il prosumer fa riferimento al mutamento delle funzioni e delle attività del consumatore,

attraverso l’unificazione di due ruoli: quello del producer e quello del consumer. Il consumatore,

nel corso degli anni caratterizzati dalla segmentazione dei mercati, ha preso la distanza dai prodotti

realizzati in serie, rivolgendo la sua attenzione verso prodotti o servizi adeguati alle sue esigenze.

Il prosumer, infatti, è una persona proattiva, in grado di vedere in anticipo le trasformazioni,

interpretando nuovi comportamenti, nuove abitudini, nuove relazioni tra mercato e produzione

(cfr. A. Toffler, The third wave, New York-NY, William Morrow & Company, 1980, pp. 25-34). 3 La long tail è la rappresentazione di una curva di domanda secondo cui forme di

produzione assai ristrette, considerate come insieme, possono generare un modello di successo,

perfettamente adattabile all’avvento della rete telematica e alla figura del prosumer. Questo

modello si basa sulle preferenze diversificate degli utenti, sulla varietà e personalizzazione

dell’offerta, che permettono la creazione di valore per tutti i partecipanti al modello considerato

(cfr. C. Anderson, La coda lunga. Da un mercato di massa ad una massa di mercati, Torino,

Codice Edizioni, 2007).

4

In particolare, grazie all’avvento di nuove tecnologie e alla globalizzazione, il cliente può divenire parte integrante dell’impresa. In passato, il cliente era ritenuto una rilevante fonte di conoscenza, dal momento che, con le sue informazioni, permetteva di testare i prodotti immaginati dall’industria, prima del loro lancio sul mercato, e di adeguarli alle esigenze del target, a seconda degli spunti forniti; oggi le competenze del cliente, nonché la possibilità di impiegarle nella realizzazione di innovazioni tecnologiche, divengono gli elementi fondanti di un processo produttivo, che colloca marketing e innovazione sullo stesso piano di importanza4. Su queste basi si sviluppa l’Open Innovation.

L’Open Innovation non si limita a coinvolgere nella collaborazione di massa le aziende, ma invita le persone comuni, gli scienziati, i professionisti e gli appassionati di qualsiasi disciplina, ad entrare a far parte di un reparto “Ricerca e Sviluppo” (d’ora in poi R&S) globale, che opera al di fuori dei perimetri fisici dell'azienda.

L’Open Innovation è sempre più considerata un elemento propulsore di prim’ordine, per la crescita di qualunque azienda. Questo fenomeno ha inevitabilmente condotto a ripensare e a ridefinire le attività dell’area R&S tradizionale, provocando un vero e proprio “cambiamento di rotta”, incoraggiando le imprese ad ottenere i migliori risultati con il minimo investimento, a sviluppare nuove tecnologie e a risolvere problemi cruciali in tempi brevi.

Insomma, nell’era della globalizzazione, delle comunicazioni in tempo reale e dei trasporti intercontinentali “giornalieri”, i protagonisti sono i singoli individui.

L’essenza dell’Open Innovation è rappresentata dalla possibilità di avvalersi della “conoscenza diffusa” per inventare, ovvero, per accrescere il valore di ogni persona, migliorando la situazione attuale.

Il punto da cui partire è la necessità di risolvere “insieme” un problema di qualsiasi tipo. Se per ogni quesito o argomento da affrontare esiste la disponibilità di una sufficiente mole di informazioni, si potrà scomporlo e, così facendo, selezionare i passaggi più utili e proficui per giungere alla soluzione. Tuttavia, sono due le condizioni perché ciò possa accadere: iniziare a pensare in modo diverso, mutando i punti di vista ed acquisendo maggiore flessibilità mentale; in secondo luogo, riuscire ad individuare le fonti della creatività, rintracciando nuove idee all’interno della crowd, cioè della folla5.

Con questo lavoro si sono voluti seguire i percorsi evolutivi dell’innovazione, nel corso degli ultimi anni, evidenziando i modelli e le inevitabili influenze sulla gestione delle aziende, con una particolare attenzione alle piccole e medie imprese (d’ora in poi, PMI).

Il marketing, nel corso della sua storia, ha mutato i propri orientamenti, inducendo gli operatori di mercato a soffermarsi su diversi elementi di interesse strategico. Nel periodo che va della Rivoluzione

4 Cfr. E. Prandelli, G. Verona, Collaborative innovation, marketing e organizzazione per i

nuovi prodotti, Roma, Carocci, 2006, p. 34. 5 Cfr. A.A.V.V., L’Open Innovation come occasione di crescita e di incontro per i talenti

del Mezzogiorno, Napoli, Denaro Libri, 2009, pp. 33-39.

5

Industriale fino ai primi anni del Novecento, si affermò l’orientamento alla produzione, secondo cui il successo di mercato dipendeva dalla capacità dell’impresa di massimizzare la produttività. Fino agli anni Venti del XX secolo, l’orientamento al prodotto spinse molte realtà imprenditoriali ad istituire reparti di R&S, con il compito di migliorare le funzionalità dell’output, facendo leva sulla tecnologia. Nel corso degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, gli squilibri causati da un’eccedenza dell’offerta rispetto alla domanda, determinarono una forte propensione alla vendita, accompagnata da strategie commerciali di tipo push (ovvero, di spinta del prodotto sul mercato). Con l’orientamento al mercato, diffusosi negli anni Cinquanta e Sessanta, gli imprenditori compresero l’importanza, ai fini produttivi e non solo, delle esigenze e, soprattutto, dei desideri del consumatore6.

Negli ultimi anni, la possibilità di confrontarsi direttamente con i clienti ha avviato una vera e propria rivoluzione, cominciata all’interno delle imprese (con i cambiamenti a livello di cultura aziendale e di processo decisionale) ed estesasi, poi, all’ambiente esterno (con il “ruolo” nuovo del cliente). Questa rivoluzione, sconvolgendo le precedenti logiche di marketing, che consideravano la domanda e l’offerta come “mondi” separati, ha teorizzato l’esistenza di un unico “mondo” in cui sia chi chiede sia chi offre, traggono, grazie all’innovazione e alla diffusione della conoscenza, enormi benefici.

6 Cfr. P. Kotler, K. L. Keller, K. Lane, Marketing management, Milano, Paravia Bruno

Mondadori Editori, 2007, pp. 16-19.

6

.

7

INBOUND OPEN INNOVATION: CREARE VALORE

NELLE PMI

2.1 L’Open Innovation e le PMI La teoria dell’Open Innovation e il modello di business che ne

deriva, risultano essere particolarmente adattabili alla configurazione gestionale delle PMI. Molte aziende di ridotte dimensioni riescono ad essere innovative solo nel momento in cui sono in grado di definire, sostenere e dare continuità al proprio vantaggio competitivo. Ciononostante, la probabilità che si verifichino tali ottimali condizioni è ridotta dell’alto livello di rischio connesso all’attività innovativa, dell’elevato grado di incertezza circa i possibili ritorni economici, della mancanza di un coerente modello di gestione dell’innovazione7.

Bisogna, però, sottolineare che le circostanze economiche stanno costringendo anche le realtà imprenditoriali più “chiuse” a prendere in considerazione la possibilità di oltrepassare i propri confini e di esplorare il mondo esterno. In alcuni casi, le attività di scounting e di sourcing possono risultare determinanti per la sopravvivenza stessa delle aziende.

A fronte di questa situazione, recenti studi in tema di innovazione e di technology management, hanno esposto i potenziali benefici riconducibili ad un processo innovativo di apertura verso l’esterno8, normalmente caratterizzato da ridotta burocrazia, maggiore inclinazione all’assunzione dei rischi da parte degli amministratori, possesso di conoscenze altamente specializzate, maggiore capacità di reagire di fronte a rapidi cambiamenti di mercato9.

Attraverso il contatto con le risorse provenienti dai partners esterni, le PMI possono sviluppare nuove combinazioni tecnologiche e, conseguentemente, accedere alle opportunità del mercato “allargato”10. In alternativa, dette aziende potrebbero impiegare soluzioni sviluppate esternamente, per ridurre il gap tecnologico – determinato, il più delle

7 Cfr. R. G. Cooper, S. J. Edgett, E. J. Kleinschmind, Best practices in product

innovation: What distinguishes top performers, Ancaster-ON, Product development Institute Inc.,

2005, pp. 122,123. 8 Cfr. O. Gassman, Opening up the innovation process: Towards an agenda, in “R&D

Management” n. 36 (3), Oxford, 2006, pp. 22-228 e U. Lichtenthaler, Open Innovation in

practice: An analysis of strategic approaches to technology transaction, in “IEEE Transaction” n.

55 (1), Fayetteville-AR, 2008, pp. 148-157. 9 Cfr. J. F. Christensen, M. H. Olesen, J. S. Kjær, The industrial dynamics of open

innovation: Evidence from the transformation of consumers electronics, in “Research Policy” n.

34 (10), New York-NY, 2005, pp. 1549. 10

Cfr. J. A. Baum, T. Calabrese, B. S. Silverman, Don’t go alone: Alliance network

composition and startups’ performance in Canadian biotechnology, in “Strategic Management

Journal” n. 21 (3), Toronto-ON, 2000, pp. 267-294.

8

volte, da una asfittica focalizzazione sui processi interni –, e incrementare sia la velocità che la qualità delle attività innovative11.

Nelle PMI, ancor più che nelle grandi corporates, essere innovativi significa saper gestire al meglio la propria “forza” competitiva. Da questo punto di vista, i repentini mutamenti della tecnologia non sono certamente d’aiuto, in quanto inducono le piccole realtà ad attivare processi di product development in modo sempre più rapido ed efficiente. Ciò, per certi versi, potrebbe comportare enormi sacrifici ma, arrivando prima dei diretti competitors, si riescono a ottenere immediati vantaggi innovativi ed economici12.

Un modo per stimolare questo nuovo processo evolutivo consiste nell’enfatizzare i legami con gli attori operanti nel micro e macro ambiente aziendale. Non è un caso se, i primi studi sull’implementazione del processo di Open Innovation, si focalizzino sulle positive ripercussioni che una scelta strategica di questa portata può generare nelle PMI13.

Bianchi ed altri studiosi hanno riscontrato una maggiore diffusione delle pratiche di Open Innovation nelle PMI. Tuttavia, se da un lato, sia i prodotti sia le tecnologie, stanno divenendo sempre più complessi, dall’altro lato, questi fenomeni risultano sempre meno sostenibili. Di conseguenza, assume rilevanza ricercare le competenze mancati in altri ambiti (privati o pubblici), incrementando, così, le reti relazionali esterne14.

In linea con queste prime deduzioni, Van de Vrande ha sottolineato che le iniziative di Open Innovation semplificano l’accesso a conoscenze completamente nuove, comportando una decisa riduzione dei costi di ricerca, definendo l’adozione di politiche di risk sharing e migliorando il processo di sviluppo dei prodotti15. In più, è stato osservato che se le PMI riuscissero ad impiegare le logiche del nuovo paradigma, i problemi della c.d. “liability of smallness”16 e della mancanza di risorse per la ricerca e lo sviluppo verrebbero facilmente risolti.

11 Cfr. J. Grӧnlund, D. Rӧnnberg-Sjӧdin, J. Frishammar, Open innovation and the Stage-

gate process: A revised model for new product development, in “California Management Review”

n. 52 (3), Barkeley-CA, JSTOR-University of California Press, 2010, pp. 106-131. 12

Cfr. R. G. Cooper, S. J. Edgett, E. J. Kleinschmind, Best practices in product

innovation: What distinguishes top performers, cit., pp. 122,123. 13

Cfr. H. W. Chesbrough, A. K. Crowther, Beyond high tech: Early adopters of open

innovation in other industries, in “R&D Management” n. 36 (3), Malden-MA, 2006, pp. 229-236,

e H. W. Chesbrough, W. Vanhaverbeke, J. West, Open Innovation: Researching a new

paradigm, cit., pp. 234-240. 14

Cfr. J. Frishammar, U. Lichtenthaler, The impact of aligning product development and

technology licensing: A contingency perspective, in “Journal of Product Innovation Management”

n. 28 (s1) , Hoboken-NY, 2011, pp. 89-103. 15

Cfr. V. Van de Vrande, J. P. J. De Jong, W. Vanhaverbeke, M. De Rochemont, Open

innovation in SMEs: Trends, motives and management challenges, in “Technovation” n. 26 (6-7),

Amsterdam, Elsevier, 2009, pp. 423-437. 16

Per capire questo concetto, bisogna partire dalla definizione di “liability of newness”

intesa come un rischio tipico delle nuove organizzazioni, scaturente dalla dipendenza di queste

ultime da rapporti di cooperazione con partners esterni – il più delle volte grandi imprese –, dalla

mancanza di forza contrattuale e della impossibilità di competere con le organizzazioni

precostituite (cfr. A. L. Stinchcombe, Social structure and organizations, in J. G. March,

Handbook of organizations, Chicago-IL, Randy McNaily, 1965, pp. 93-153). È stato, quindi,

osservato che: “(…) the liability of newness may be a liability of smallness. It may be that the

9

Sebbene il dibattito sugli effetti benefici dei sistemi Open Innovation nelle PMI sia molto acceso, risulta ristretto il numero di studi inerenti l’effettiva adozione di tali sistemi. Inoltre, tali approfondimenti, seppur fondamentali dal punto di vista teorico, sono privi di valutazioni empiriche circa la possibile relazione tra le attività di Open Innovation e le performances innovative.

Christiansen, Olesen e Kjaer, hanno esaminato il ruolo delle piccole imprese nel “ciclo di vita” della tecnologia, fornendo delle basi grazie alle quali è possibile comprendere come le PMI traggono benefici dalla collaborazione con gli attori esterni17.

Lecocq e Demil, hanno, invece, focalizzato la loro attenzione sulle opzioni strategiche, adottabili dalle piccole imprese, valutando gli effetti che i processi di Open Innovation producono, rispettivamente, nelle realtà già esistenti e in quelle di recente formazione (i c.d. “nuovi entranti”)18.

Henkel ha rilevato che le PMI possono trarre enormi vantaggi da una strategia di sviluppo vertente su sofware open source e che, muovendosi in tale direzione, la protezione dei codici programma può risultare, nel lungo termine, assai deleteria19.

Laursen e Selter, hanno suggerito che l’apertura delle imprese ai flussi esterni e la ricerca di nuovi canali di commercializzazione, possono avere positive ripercussioni sulle performances aziendali, ammonendo gli amministratori delle PMI ad evitare strategie di “ricerca” aggressive in quanto controproducenti20.

Lo studio di Lichtenthaler risulta in controtendenza rispetto a quelli precedenti in quanto la conclusione a cui giunge è che solo le imprese in grado di rivelare i “trovati” interni in maniera del tutto naturale e caratterizzati dell’innata esigenza di diversificare la base cognitiva endogena e di investire risorse nella creazione di unità di business dedicate all’Open Innovation, vedono migliorate le proprie attività innovative21 (lasciando, in questo modo, intendere che solo le grandi imprese possono vincere la “scommessa” dell’Open Innovation).

Le ricerche successive sembrano cavalcare la stessa onda di Lichtenthaler, poiché confermano la sussistenza di maggiori ritorni nei casi

smallest organizations have the highest death rates and that the overall death rate in a cohort

declines with the age as small organizations are screened from the population. The failure rates in

the population would then appear to depend on age even though the rate does not decline with age

within any particular size class” (J. Freeman, G. R. Carroll, M. T. Hannan, The liability of

newness: Age dependence in organizational death rates, in “American Sociological Review” vol.

8 n. 5, Barkeley-CA, JSTOR-University of California Press, 1983, p. 692). 17

Cft. J. F. Christensen, M. H. Olesen, J. S. Kjær, The industrial dynamics of Open

Innovation: Evidence from the transformation of consumers electronics, cit., pp. 1549-1553. 18

Cfr. X. Lecocq, B. Demil, Strategizing industry structure: The case of open system in a

low-tech industry, in “Strategic Management Journal” n. 27 (2), London, 2006, pp. 891-898. 19

Cfr. J. Henkel, Selective revealing in open innovation process: The case of embedded

Linux, in “Research Policy” n. 35 (7), New York-NY, 2006, pp. 953-956. 20

Cfr. K. Laursen, A. Salter, Open innovation: The role of openness in explaining

innovation performance among U.K. manufacturing firms, in “Strategic Management Journal” n.

27 (2), London, 2006, pp. 131-150. 21

Cfr. U. Lichtenthaler, Open Innovation in practice: An analysis of strategic approaches

to technology transaction, in “IEEE Transaction” n. 55 (1), cit., pp. 148-157.

10

di implementazione del nuovo business model da parte di medie e grandi imprese, sottolineando, però, che le collaborazioni verticali sembrano produrre effetti positivi, a prescindere delle dimensioni aziendali22. Un recentissimo studio ha, poi, individuato una semplice metodologia per valutare i potenziali benefici, determinati da strategie di concessione in licenza delle applicazioni tecnologiche di proprietà23 - attività difficilmente riscontrabile nelle piccole e medie imprese –. Infine, Lee ed altri, propongono differenti modelli di implementazione dei sistemi Open Innovation nelle PMI, enfatizzando, però, l’importanza e il ruolo delle organizzazioni intermedie (soprattutto, quelle pubbliche) nel percorso di crescita innovativa ed economica delle imprese24. 2.2 Inbound Open Innovation e le scelte strategiche nelle PMI

Nella letteratura, il concetto di Open Innovation viene associato ad un ampio insieme di attività. Generalmente, tali attività fanno capo a due specifiche categorie: Inbound Open Innovation e Outbound Open Innovation25. Con il primo termine, si fa riferimento alla pratica di esplorare ed integrare le conoscenze esogene per lo sviluppo e lo sfruttamento di tecnologie, mentre, con il secondo termine, s’identifica la pratica di sfruttare le capacità tecnologiche, utilizzando le vie di commercializzazione interne ed esterne26. Quindi, da una parte, la Inbound Open Innovation si sostanzia nel networking o in patti collaborativi con altre imprese o università, finalizzati allo sviluppo o al miglioramento di prodotti e processi, e all’acquisizione, tramite licenza, di

22

Cfr. V. Van de Vrande, J. P. J. De Jong, W. Vanhaverbeke, M. De Rochemont, Open

innovation in SMEs: Trends, motives and management challenges, cit., pp. 432-437. 23

Cfr. M. Bianchi, S. C. Orto, F. Frattini, P. Vercesi, Enabling open innovation in small

and medium sized enterprise: How to find alternative applications for your technologies, in

“R&D Management” n. 40 (4), Oxford, Blackwell Publishing Ltd., 2010, pp. 414-431. 24

Cfr. S. Lee, G. Park, B. Yoon, J. Park, Open innovation in SMEs: An intermediary

network model, in “Research Policy” n. 39 (2), New York-NY, 2010, pp. 290-300. 25

Cfr. H. W. Chesbrough, A. K. Crowther, Beyond high tech: Early adopters of open

innovation in other industries, cit., pp. 229-230. 26

Come è stato osservato: “In the case of inbound open innovation, companies monitor

the environment of the firm to in-source technology and knowledge in addition to in house R&D.

In the case of outbound open innovation, companies do not rely on internal paths to market, but

also look for external organization that are better suited to commercialize a given technology” (A.

Spithoven, B. Clarisse, M. Knockaert, Building absorptive capacity to organize inbound open

innovation in low tech industries, in “Technovation” n. 30 (2), Amsterdam, Elsevier, 2010, pp.

130-141). Secondo Gassman ed Enkel, è possibile individuare tre core process dell’open

innovation: “The outside-in process: Enriching the company’s own knowledge base through the

integration of suppliers, customers, and external knowledge can increase a company’s

innovativeness; The inside-out process: Earning profits by bringing ideas to market, selling IP and

multiplying technology by transferring ideas to the outside environment; The coupled process:

coupling the outside-in and the inside-out processes by working in alliances with complementary

partners in which give and take is crucial for success” (O. Gassman, E. Enkel, Towards a theory of

open innovation: Three core process archetypes, in “Proceedings of the R&D Management

Conference”, Lisbon, 2004, p. 5).

11

proprietà intellettuale, rinveniente da organizzazioni esterne, con il coinvolgimento attivo di clienti e di consumatori finali (i prosumers); dall’altra parte, la Outbound Open Innovation comprende le attività di spin-off con venture capital o business angels, orientati allo sviluppo di un nuovo “trovato”, la ricerca di attori/finanziatori esterni, da coinvolgere nel processo innovativo, e la concessione in licenza di tecnologie sviluppate internamente27.

Per quanto attiene alle PMI, la maggior parte degli studi rilevano una forte propensione all’impiego delle attività di Inbound Open Innovation, il che accade a causa di doti manageriali insufficienti per governare le repentine ed imprevedibili variazioni dei mercati e, conseguentemente, per allineare i processi innovativi interni a tali cambiamenti28.

A fronte di tali premesse, analizzeremo, ora, le ultime implicazioni scientifiche sul fronte delle scelte strategiche per la migliore gestione dell’innovazione da parte delle piccole e medie realtà imprenditoriali. In particolare, si vedrà che, alla base di ogni scelta, esiste una specifica ragione29. Nella fattispecie delle PMI, la ragione può sostanziarsi in una innovazione radicale o in una innovazione incrementale.

Di conseguenza, andremo a valutare in quale relazione si pongono le quattro tipiche attività di Inbound Open Innovation (technology scouting, collaborazione tecnologica verticale, collaborazione tecnologica orizzontale e technology sourcing) rispetto alle innovazioni radicali o incrementali.

La gestione strategica dell’innovazione

L’attività di technology scouting rappresenta una funzione interna alle aziende, avente lo scopo di osservare i trends tecnologici e di realizzare una valutazione dei rischi e delle opportunità. Il fine ultimo non è l’analisi di ampio set di dettagliate informazioni, ma l’acquisizione di consapevolezza circa le istanze di cambiamento dell’ambiente esterno30. Recenti studi hanno mostrato l’incidenza dell’analisi esterna sulla raccolta di idee, informazioni e conoscenze utili nei processi innovativi endogeni. In più, imprese con avanzati meccanismi di scouting, sono in grado di individuare più velocemente le opportunità del contesto in cui

27

Cfr. A. Lasagni, How can external relationships enhance innovation in SMEs? New

evidence for Europe, in “Journal of Small Business Management” n. 50 (2), Hoboken-NY, 2012,

p. 313. 28

Cfr. U. Lichtenthaler, E. Lichtenthaler, J. Frishammar, Technology commercialization

intelligence: Organizational antecedents and performance consequences, in “Technological

Forecasting and Social Change” n. 76 (3), London, Elsevier, 2009, pp. 301-315. 29

Cfr. P. J. Sher, P. Y. Yang, The effects of innovative capabilities and R&D clustering

on firm performance: The evidence of Taiwan’s semiconductor industry, in “Technovation” n. 25

(1), Amsterdam, Elsevier, 2005, pp. 33-43. 30

Cfr. R. J. Van Wyk, Strategic technology scanning, in “Technological Forecasting and

Social Change” n. 55 (1), London, Elsevier, 1997, pp. 21-38.

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operano e di semplificare le decisioni sui prodotti da sviluppare31. Lanciando sul mercato prodotti innovativi, le aziende sono nelle condizioni per acquisire il c.d. “first mover advantage”. Ciò può risultare una strategia ideale nelle organizzazioni con ridotte risorse interne ma con idee molto chiare sulla direzione da imprimere al product development32. La technology scounting può, comunque, avere effetti negativi, quando si sostanzia in una mera ed estenuante ricerca di potenziali idee o nell’impiego di risorse interne in attività di valutazione di tali idee33.

In generale, questa “forza” di Inbound Open Innovation è determinante nell’orientare le performances innovative delle imprese34.

Sebbene compatibile con le operazioni di ricerca di innovazioni radicali, in quanto mezzo per scoprire nuove idee che generano prodotti breakthrough, la technology scouting sembra adattarsi maggiormente alla ricerca di innovazioni incrementali e, in tal senso, risultano decisive le conoscenze specialistiche, insite nelle piccole imprese35. Inoltre, quest’ultime, per la loro stessa “cultura”, sono orientate a condurre attività di ricerca localizzate piuttosto che attività di scoperta di nuove ed eterogenee fonti di conoscenza36.

La scarsità delle risorse, quindi, svolge un doppio “ruolo”: da un lato, può divenire una valida motivazione per adottare strategie di ampia e profonda scannerizzazione dell’ambiente esterno; dall’altro lato, può, compatibilmente con le dotazioni finanziarie dell’aziende, dar vita ad operazioni di recruting di impiegati altamente specializzati37.

Per quanto detto, risulta che la technology scouting è maggiormente correlata con le attività di innovazione incrementale piuttosto che con quelle di innovazione radicale38.

La collaborazione tecnologica verticale si sostanzia nell’insieme delle relazioni con i clienti o con i fornitori. Molti studi di Open Innovation si sono soffermati, in particolare, sulle relazioni collaborative con i

31 Cfr. U Lichtenthaler, E. Lichtenthaler, J. Frishammar, Technology commercialization

intelligence: Organizational antecedents and performance consequences, cit., pp. 303. 32

Cfr. W. M. Cohen, D. A. Levinthal, Absorptive capacity: A new perspective on

learning and innovation, cit., pp. 128-152. 33

Cfr. J. Frishammar, A. S. Hӧrte, Managing external information in manufacturing

firms: The impact on innovation performance, in “Journal of Product Management” n. 22 (3),

Hoboken-NY, 2005, pp. 251-266. 34

Cfr. C. T. Street, A. F. Cameron, External Relationships and the small business: A

review of small business alliances and network research, in “Journal of Small Business

Management” n. 45 (2), Hoboken-NY, 2007, p. 243. 35

Cfr. J. S. Gans, S. Stern, The product market and the market for ‘ideas’:

Commercialization strategies for technology entrepreneurs, in “Research Policy” n. 32 (2), New

York-NY, 2003, pp. 333-350. 36

Cfr. M. Bianchi, S. C. Orto, F. Frattini, P. Vercesi, Enabling open innovation in small

and medium sized enterprise: How to find alternative applications for your technologies, cit., pp.

414-420. 37

Cfr. R. Rothwell, M. Dodgson, External linkages and innovation in small and medium

sized enterprises, in “R&D Management” n. 21 (2), Oxford, Blackwell Publishing Ltd., 1991, pp.

125-138. 38

Cfr. V. Parida, M. Westerberg, J. Frishammar, Inbound open innovation activities in

high-tech SMEs: The impact on innovation performance, in “Journal of Small Business

Management” n. 50 (2), Hoboken-NY, 2012, p. 291.

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consumatori finali, poiché queste costituiscono un “embrione” di strategia realmente improntata ad un’apertura verso l’esterno39.

Sebbene la maggioranza delle aziende opti, con una certa convinzione, per il coinvolgimento dei clienti nei processi creativi, l’intensità e la frequenza di tale scelta sono abbastanza variabili. In un “contesto” propenso al paradigma dell’Open Innovation, la collaborazione verticale risulta decisiva per l’efficiente ed efficace gestione dei prosumers che, in questo modo, diventano i principali stakeholders del ciclo di R&S e, nelle ipotesi più ottimistiche, veri e propri co-sviluppatori di tecnologie40. È stato osservato che questa seconda tipologia di Inbound Open Innovation incrementa le abilità delle aziende di innovare e creare valore, perché comprendono i bisogni e le aspettative del propri utenti. Il che si tramuta in una riduzione dei rischi durante le fasi iniziali di sviluppo (generazione dell’idea, sviluppo del concept, prototipazione) e in un aumento delle probabilità che il nuovo prodotto o servizio venga apprezzato dal mercato41.

Tra le tante tipologie di clienti bisogna prestare particolare attenzione ai lead users o opinion leaders. Trattasi di soggetti caratterizzati dalla volontà di sperimentare nuovi prodotti e che, pertanto, possono fornire indicazioni uniche ai reparti di R&S42. Addirittura si riscontano casi in cui gli utenti hanno sviluppato prodotti successivamente imitati dai produttori. In generale, assicurandosi l’appoggio dei consumatori e avvalendosi degli inputs dei lead users, le PMI sviluppano outputs customizzati e facilmente commercializzabili43.

Possiamo, quindi, affermare che le collaborazioni verticali incidono positivamente sull’attività innovativa delle imprese44.

Il coinvolgimento dei lead users risulta più incisivo nel produrre innovazioni radicali. Quello dei consumatori appare, invece, più legato alle innovazioni incrementali45. Ciononostante, buona parte dei feedbacks ottenuti dagli utenti perdono la propria valenza informativa durante la fase di integrazione nel ciclo creativo, con il rischio per le imprese di non comprendere appieno i bisogni espressi dal mercato, di limitare l’innovazione e, infine, di generare tanti prodotti di nicchia. Al contrario, un più intenso e duraturo coinvolgimento degli utenti – con un livello di

39

Cfr. S. Gronum, M. L. Verreyenne, T. Kastelle, The role of networks in small and

medium sized enterprise innovation and firm performance, in “Journal of Small Business

Management” n. 50 (2), Hoboken-NY, 2012, p. 261. 40

Cfr. H. W. Chesbrough, Open Innovation: The new imperative for creating and

profiting from technology, cit., pp. 215-217. 41

Cfr. G. L. Ragatz, R. B. Handfield, K. J. Petersen, Benefits associated with supplier

integration into new product development under conditions of technology uncertainty, in “Journal

of Business Research” n. 55 (5), New York-NY, 2002, pp. 389-400. 42

Cfr. E. Von Hippel, The sources of innovation, cit., pp. 80-85. 43

Cfr. J. Henkel, Selective revealing in open innovation process: The case of embedded

Linux, cit., pp. 953-956. 44

C. T. Street, A. F. Cameron, External Relationships and the small business: A review of

small business alliances and network research, cit., p. 244. 45

Cfr. R. Balderos, M. Carree, B. Lokshin, Cooperative R&D and firm performance, in

“Research Policy” n. 33 (10), New York-NY, 2004, pp. 1477-1492.

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conoscenza medio –, risulta decisivo nel costante miglioramento dei prodotti esistenti46.

Dette considerazioni ci portano a desumere che la collaborazione tecnologica verticale è correlata positivamente con le innovazioni incrementali47.

La terza attività di Inbound Open Innovation, cioè la collaborazione tecnologica orizzontale, riguarda l’insieme delle partnerships con attori che non rientrano nella value chain dell’azienda: imprenditori operanti in altri ambiti produttivi o competitors diretti, di grandi e piccole dimensioni48.

Pattuire collaborazioni con aziende non concorrenti è abbastanza semplice, in quanto si generano relazioni win-win, ovvero partnerships in cui tutti i soggetti traggono vantaggio dalla condivisione di risorse e competenze49. Solitamente, ciò si verifica mediante un accordo vertente sulla chiara distribuzione dei rischi e dei futuri ritorni, e su cui ha notevole incidenza la “forza” negoziale degli attori coinvolti50. Al contrario, gli accordi collaborativi con concorrenti diretti, risultano, in genere, molto rischiosi e complicati; tuttavia, individuando obiettivi comuni e distribuendo meticolosamente i compiti da svolgere, la probabilità di far leva sui supporti esterni per le attività di R&S crescono in maniera significativa51. Ciò è confermato dal fatto che, se il partner ha la medesima “estrazione” economica, l’accesso e l’interpretazione di nuove fonti di conoscenza risulta più facile52.

Le piccole realtà produttive potrebbero trarre benefici dagli sviluppi innovativi e dalle opportunità commerciali, derivanti da accordi con altre PMI, in quanto è stata osservata una netta crescita competitiva di queste ultime rispetto al leader di mercato53.

La collaborazione orizzontale può, poi, generare degli effetti spillovers per le aziende che, entrando in contatto con altre realtà,

46

Cfr. E. Enkel, C. Kausch, O. Gassmann, Managing the risk of customer integration, in

“European Management Journal” n. 23 (2), London, Elsevier Ltd., 2005, pp. 203-213. 47

Cfr. V. Parida, M. Westerberg, J. Frishammar, Inbound open innovation activities in

high-tech SMEs: The impact on innovation performance, cit., p. 293. 48

Cfr. Organisation for Economic Co-operation and Development, Open innovation in

global networks, Paris, 2010, p. 24. 49

Cfr. L. Pittaway, M. Robertson, K. Munir, D. Denyer, A. Neely, Networking and

innovation: A systematic review of the evidence, in “International Journal of Management

Reviews” n. 5-6 (3,4), Oxford, Blackwell Publishing Ltd., 2004, pp. 137-150. 50

Cfr. J. A. Baum, T. Calabrese, B. S. Silverman, Don’t go alone: Alliance network

composition and startups’ performance in Canadian biotechnology, cit., pp. 270-275. 51

Cfr. S. Lee, G. Park, B. Yoon, J. Park, Open innovation in SMEs: An intermediary

network model, cit., pp. 290-294. 52

Cfr. J. P. Liebeskind, A. L. Oliver, L. Zucker, M. Brewer, Social networks, learning

and flexibility: Sourcing scientific knowledge in new biotechnology firms, in “Working Paper in

Social Science” n. 6 (4), Los Angeles-CA, 1994, pp. 1-4. 53

Cfr. S. Lee, G. Park, B. Yoon, J. Park, Open innovation in SMEs: An intermediary

network model, cit., pp. 290, 291.

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maturano notevoli esperienze sulla corretta gestione della collaborative innovation54.

In virtù di quanto detto, anche la terza attività di Inbound Open Innovation risulta positivamente associata alla performance innovativa delle PMI55.

Da tale assunto derivano una serie di conseguenze. Se le imprese riuscissero ad estendere le relazioni con i partners esterni, avrebbero l’opportunità di disegnare una rete non ridondante, ovvero un network che facilita e moltiplica l’accesso alle informazioni e alle risorse migliori56. In più, per effetto del social networking, le aziende accedono a fonti di conoscenza inesplorate ed inusuali da cui, generalmente, scaturiscono innovazioni radicali57. E infine, il fermento radical-innovativo che ne deriva, consente alle PMI di oscurare gli eventuali punti di debolezza e di calcolare con un alto livello di attendibilità gli effetti delle politiche commerciali e delle operazioni di marketing58.

Risulta chiaro che la collaborazione tecnologica orizzontale è maggiormente correlata con le innovazioni radicali piuttosto che con quelle incrementali59.

La technology sourcing è un’attività di Open Innovation consistente nell’acquistare o nell’usare – mediante contratti ad hoc – la proprietà intellettuale esterna. E, in effetti, molte PMI stanno trovando conveniente tale alternativa strategica, a causa della riduzione del ciclo di vita dei prodotti, per i rapidi cambiamenti di mercato e per la mancanza di investimenti60. Ciò è ancora più evidente nelle industrie high-tech, in cui la richiesta di innovazioni tecnologiche risulta continua61.

Molte PMI valorizzano la conoscenza esterna, facente capo a differenti attori (in particolare, imprese, centri di ricerca e università) per diverse ragioni: la focalizzazione sulle sole risorse interne comporta investimenti di capitali, di persone e di tempo; un’eccessiva concentrazione sui processi interni limita la tipica flessibilità delle PMI, che, al contrario, viene valorizzata quando, tramite le attività di technology sourcing, le risorse conoscitive esterne ottimizzano il processo innovativo

54

Cfr. L. Argote, P. Ingram, Knowledge transfer: A basis for competitive advantage in

firms, in “Organizational Behaviour and Human Decision Processes” n. 82 (1), London, Elsevier,

2000, p. 155. 55

Cfr. C. T. Street, A. F. Cameron, External Relationships and the small business: A

review of small business alliances and network research, cit., p. 244. 56

Cfr. R. S. Burt, Structural holes and good ideas, in “The American Journal of

Sociology” n. 110 (2), Chicago-IL, ABI/INFORM Global, 2004, p. 367. 57

Cfr. Ibidem, pp. 370-375. 58

Cfr. L. Pittaway, M. Robertson, K. Munir, D. Denyer, A. Neely, Networking and

innovation: A systematic review of the evidence, cit., pp. 138-142. 59

Cfr. V. Parida, M. Westerberg, J. Frishammar, Inbound open innovation activities in

high-tech SMEs: The impact on innovation performance, cit., p. 294. 60

Cfr. A. Larson, Partner networks: Leveraging external ties to improve entrepreneurial

performance, in “Journal of Business Venturing” n. 63, London, Elsevier, 1991, pp. 173-188. 61

Cfr. D. Cyr, M. Re, High tech, high impact: Creating Canada’s competitive advantage

through technology alliances/executive commentary, in “Academy of Management Executive” n.

13 (2), Briarcliff Manor-NY, Academy of Management, 1999, pp. 17,18.

16

interno, riducendo, così, i gaps di mercato62; infine, l’implementazione di questa attività di Inbound Open Innovation permette alle aziende di elaborare prodotti innovativi ed appetibili, per effetto dell’integrazione di tecnologie già testate63. Potrebbero, tuttavia, verificarsi effetti indesiderati, determinati da una strategia di tale portata: facendo esclusivamente leva sulla technology sourcing, si “reprime” la generazione di conoscenza interna (si pensi alle possibili invenzioni degli impiegati) e si riduce la possibilità di creare nuove core competencies tecnologiche64; in secondo luogo, le imprese possono aver problemi con la sindrome not invented here, che rende difficoltosa la ricerca di innovazioni sviluppate altrove65.

In generale, è possibile affermare che la technology scouting è positivamente associata con le perfomances innovative delle aziende.

Abbiamo già accennato al fatto che sempre maggiori imprese operano sui mercati di nicchia (espressione della teoria della long tail) e che, per questo, sono ben informate circa i bisogni e le necessità dei clienti66. Combinando le conoscenze di mercato con l’attività di sourcing, le PMI riescono a generare innovazioni incrementali e ad ottenere profitti67.

È stato notato, ancora, che questa quarta forza di Inbound Open Innovation gioca un ruolo determinante nelle generazione di innovazioni radicali, in quanto lo sviluppo di prodotti assolutamente inediti spinge le imprese ad indirizzarsi verso fonti di conoscenza esogene e, normalmente, ad accedere a competenze specifiche, tramite operazioni di concessione in licenza di “trovati” sviluppati altrove68. Da questo punto di vista, le università e gli istituti di ricerca, data la loro influenza sul mondo scientifico, possono diventare per le PMI un “perno” indispensabile per la generazione di innovazioni69. Alla luce di queste considerazioni è possibile concludere che la technology sourcing è maggiormente correlata con le innovazioni radicali rispetto a quelle incrementali70.

62

Cfr. S. Anokhin, J. Wincent, J. Frishammar, A conceptual framework for misfit

technology commercialization, in “Technological Forecasting and Social Change” n. 78 (6),

London, Elsevier, 2011, pp. 1060-1071. 63

Cfr. J. Teo, V. Magnotta, How air products and chemicals ‘identifies and accelerates’,

in “Research Technology Management” n. 49 (5), Arlington-VA, 2006, pp. 12-18. 64

Cfr. E. Lichtenthaler, Open innovation: Potential risks and managerial

countermeasures, in “Proceedings of the R&D Management Conference”, Manchester, 2010, p. 5. 65

Cfr. R. Katz, T. J. Allen, Organizational issue in the introduction of new technology,

cit., pp. 8-11. 66

Cfr. L. Pittaway, M. Robertson, K. Munir, D. Denyer, A. Neely, Networking and

innovation: A systematic review of the evidence, cit., pp. 142-146. 67

Cfr. K. Atuahene-Gima, Inward technology licensing as an alternative to internal R&D

in new product development: A conceptual framework, in “Journal of Product Innovation

Management” n. 9 (2), New York-NY, 1992, pp. 160,161. 68

Cfr. Ibidem, p. 162. 69

Cfr. R. Fontana, A. Geuna, M. Matt, Factors affecting University – industry R&D

projects: The importance of searching, screening and signaling, in “Research Policy” n. 35 (2),

New York-NY, 2006, pp. 309-323. 70

Cfr. V. Parida, M. Westerberg, J. Frishammar, Inbound open innovation activities in

high-tech SMEs: The impact on innovation performance, cit., p. 295.