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Network economy e crescita Implicazioni per il Mezzogiorno Gennaro Zezza Università di Napoli

Network economy e crescita - gennaro.zezza.itgennaro.zezza.it/papers/seminario2maggio.pdf · Barro – Sala-i-Martin (1991) che mostrava come le implicazioni del modello neoclassico

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Network economy e crescita Implicazioni per il Mezzogiorno

Gennaro Zezza

Università di Napoli

Abstract

The diffusion of ICT, and of the Internet in particular, has the potential to change the characteristics of the productive structure of a region: some specific features of ICT generate centripetal forces pushing towards increasing returns and economies of agglomeration – leading therefore to potential divergence of regions specialized in sectors where such forces are predominant, while other features of ICT imply centrifugal forces leading to an increasing dispersion of economic activity in space. The aim of this paper is to outline the major theoretical contributions in the new literature on network economies, along with recent findings in the literature on regional convergence, and provide some preliminary evidence on Italian less developed regions in Mezzogiorno.

First draft: April 2002. Not to be quoted without the author’s permission. Gennaro Zezza – Dipartimento di Teoria Economica e Applicazioni – Via Rodinò, 22, 80100 Napoli . Tel. +39-081-2537447 Fax +39-081-2537454 Email: [email protected] This document is accessible from http://www.scpol.unina.it/docenti/zezza/papers/mezzogiorno.pdf

1

Network economy e crescita: Implicazioni per il Mezzogiorno

1. Introduzione. ICT e crescita.

La crescita della produzione e della produttività negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni

’90 è associata, in un’ ampia letteratura1, alla diffusione delle tecnologie dell’ informazione e della

comunicazione (Information and Communication Technologies, ICT). Alcuni contributi2

evidenziano anche per l’Europa il ruolo trainante che l’ ICT sta avendo, o potrebbe avere, in termini

di crescita del prodotto, dell’occupazione, della produttività.

Queste interpretazioni, che possono essere ricondotte a modelli neoclassici di crescita basati su

spostamenti verso l’alto della frontiera della produzione dovuti all’adozione di nuove tecnologie,

hanno avuto una smentita almeno parziale dalla fine del ciclo di forte crescita negli US, nell’ ultimo

trimestre del 2000. Se infatti si ritiene che il tasso di crescita sia riconducibile interamente a effetti

dal lato dell’offerta, come implicitamente si deriva dalle interpretazioni citate, una conclusione

avanzata da alcuni interventi in letteratura ipotizzava la fine del ciclo economico, per l’adozione di

tecnologie produttive che esibivano rendimenti crescenti e promettevano un tasso di crescita della

produttività sostenuto.

Chi scrive condivide invece interpretazioni di stampo più prettamente keynesiano per

interpretare la recente fase ciclica nell’economia americana, e di conseguenza nell’economia del

resto del mondo. La crescita straordinaria della fine degli anni ’90 può essere ricondotta ad un

aumento senza precedenti nell’ indebitamento del settore privato americano, anche collegato alla

creazione di una bolla speculativa sui mercati azionari, che ha finanziato un aumento della spesa per

consumi e investimenti superiore al reddito disponibile, pur in presenza di una politica fiscale

restrittiva ed una politica monetaria non espansiva3. L’esplodere della bolla speculativa ha compor-

tato una potenziale inversione di tendenza nella spesa del settore privato, che negli Stati Uniti è sta-

ta efficacemente contrastata da una politica monetaria progressivamente espansiva, che riducendo

in modo sensibile i tassi di interesse ha continuato a rendere conveniente un livello crescente di

indebitamento, e da un potenziale cambio di regime nella politica fiscale4.

Il ciclo economico statunitense ha quindi confermato la rilevanza della dinamica della domanda

aggregata per determinare i sentieri di crescita effettivi dei sistemi economici, laddove i modelli

1 Si veda Jentzsch (2001) per una rassegna recente. 2 Si vedano tra gli altri Andersson (2000), Daveri (2000). 3 Si vedano Brenner (2000), Godley (2000), Godley – Izurieta (2001). 4 Godley – Izurieta (2002).

2

neoclassici di crescita attualmente prevalenti fanno riferimento ai sentieri di crescita potenziali che,

se individuano i vincoli dal lato dell’offerta all’espansione della domanda aggregata, possono

risultare inadeguati per interpretare l’evoluzione dei sistemi economici.

Se la crescita nella produzione non può, a nostro avviso, essere ricondotta a tassi di crescita

della produttività più elevati, grazie all’ ICT, non vi è dubbio sul fatto che l’ introduzione delle

nuove tecnologie ha avuto, e continuerà ad avere nei prossimi anni, un effetto di grande rili evo sulla

struttura produttiva dei sistemi economici, ed in particolare sulla capacità di singole regioni di

attrarre quote di domanda sufficienti a stimolare la crescita nella produzione e nell’occupazione.

Da questo punto di vista la diffusione dell’ ICT può influenzare in varie direzioni i processi di

crescita regionali, contribuendo a modificare il tasso di crescita potenziale di lungo periodo o i

sentieri di crescita di breve periodo. Questi ultimi aspetti sono particolarmente rilevanti per le

regioni in ritardo di sviluppo, come il Mezzogiorno d’ Italia, e appare dunque interessante tentare di

analizzare quali delle diverse forze collegate alla diffusione dell’ ICT possano prevalere in queste

regioni, data la loro specializzazione produttiva di partenza.

2. Modelli di crescita: convergenza, convergenza condizionata, divergenza.

In anni recenti si è sviluppata una vasta letteratura, teorica ed empirica, che ha proposto

numerosi modelli per l’analisi dei processi di crescita regionali, a partire ad esempio dal lavoro di

Barro – Sala-i-Martin (1991) che mostrava come le implicazioni del modello neoclassico di

crescita, associato al nome di Solow, implicasse la convergenza nei livelli di reddito pro-capite tra

regioni diverse, e stimava la velocità di tale processo di convergenza per le regioni europee e quelle

degli Stati Uniti.

Sembra esistere oggi un relativo consenso5 sulla possibili tà di classificare i diversi modelli

teorici, sia di natura neoclassica con crescita esogena nella produttività dei fattori, sia quelli basati

sull’ ipotesi di rendimenti crescenti o su altri meccanismi che rendono endogena la crescita nella

produttività, in tre categorie:

A. (convergenza) modelli che prevedono convergenza nei livelli del PIL per occupato, e quindi

che prevedono tassi di crescita della produttività più elevati per le regioni in ritardo,

indipendentemente dalla loro integrazione con le regioni più avanzate e dalle condizioni di

partenza delle singole regioni;

5 Si vedano tra gli altri de la Fuente (2000), Pigliaru (2001).

3

B. (convergenza condizionata) modelli che prevedono convergenza nei tassi di crescita del PIL

per occupato, con differenze stabili nei livelli della produttività di steady-state attribuibili ad

un insieme di variabili specifiche della regione, e diverse tra le regioni;

C. (divergenza) modelli che non prevedono convergenza, neanche condizionata, e sono di

solito caratterizzati dalla presenza di esternalità di varia natura che portano una regione più

avanzata ad accelerare il proprio tasso di crescita, aumentando il gap con le regioni in

ritardo.

La convergenza nei livelli del PIL per occupato è prevista dai modelli di tipo neoclassico, in

base alla validità dell’ ipotesi di rendimenti decrescenti e mobili tà dei fattori: regioni più avanzate,

caratterizzate dunque da una relativa abbondanza di capitale, dovrebbero esibire una minor

produttività marginale del capitale rispetto alle regioni in ritardo: la fonte della convergenza è

dunque nel fatto che le risorse tendono a spostarsi verso le regioni dove i fattori sono remunerati in

modo relativamente favorevole. L’ evidenza empirica non sembra, in generale, fornire riscontri a

questa tipologia di modelli .

La convergenza condizionata è un risultato comune sia a versioni modificate dei modelli

neoclassici di crescita, sia a diversi modelli di crescita endogena: in questa classe di modelli il gap

stazionario tra i livelli di produttività è riconducibile a differenze nei fondamentali che

caratterizzano le diverse regioni. In particolare, sono state proposte diverse fonti possibili di

convergenza:

1. il capital deepening di tipo neoclassico, già discusso in precedenza, ossia l’aumento nei

servizi del capitale per unità di lavoro, che si ipotizza più rapido nelle economie in ritardo;

2. la modifica nella composizione della struttura produttiva;

3. la presenza di spill -over di tipo tecnologico.

Il punto (2) è relativo alla presenza, nelle regioni in ritardo di sviluppo, di un peso relativamente

elevato del settore agricolo, e di una quota corrispondentemente ampia di occupazione in tale

settore: in tali situazioni la crescita del reddito del sistema economico regionale si accompagna

tipicamente con una razionalizzazione della produzione nel comparto agricolo, che espelle risorse –

in particolare lavoro – che vengono assorbite da altri settori caratterizzati da livelli più elevati di

produttività. Anche in assenza di capital deepening o di progresso tecnico, questo spostamento

nella composizione dell’ offerta comporta un aumento nel livello medio di produttività dell’area.

Poichè questo processo si ritiene sostanzialmente concluso, o comunque meno rapido, nelle regioni

sviluppate, è fonte di convergenza nei tassi di crescita della produttività tra regioni diverse.

4

Il punto (3), e più in generale il ruolo del progresso tecnologico nella crescita, è al centro di

numerosi modelli , in particolare di quanti ipotizzano una relazione tra produzione e capacità

innovativa che rende almeno parzialmente endogeno il progresso tecnico, e crea opportunità per

rendimenti crescenti. Infatti, se è vera l’ ipotesi per cui aumenti nel livello di produzione si

rispecchiano in salti nella produttività dei fattori, questa è una potenziale fonte di divergenza tra le

economie che partono da livelli elevati del prodotto per occupato rispetto alle regioni in ritardo6.

Tuttavia, si fa notare come i processi innovativi siano costosi, ed in gran parte si rispecchino in

beni – come la conoscenza – aventi alcune caratteristiche tipiche dei beni pubblici: in particolare la

non appropriabili tà. Questo può dar luogo a spill -over di conoscenza di cui si avvantaggiano le

regioni in ritardo, qualora possano usufruire delle conoscenze accumulate dalle regioni alla frontiera

delle possibili tà produttive, senza dover sostenere i costi connessi all’ innovazione. In questa

categoria di modelli, la capacità di innovare dei sistemi economici leader influenza il tasso di

crescita della frontiera delle possibili tà produttive, e le economie follower possono crescere a tassi

superiori se riescono ad appropriarsi degli spill -over di conoscenza.

Le condizioni necessarie per cui le regioni follower possano utilmente beneficiare di spill -over

tecnologici sono in genere ricondotte alla disponibili tà di capitale umano da un lato, e dall’altro

all’esistenza di appropriati canali che integrino le economie arretrate con le economie leader, di

norma associati al grado di apertura commerciale, all’utili zzo di prodotti intermedi importati, alla

presenza di investimenti diretti esteri, etc.

Qualora si sia in presenza di rendimenti di scala, o di altre esternalità che potenziano la crescita

delle regioni più forti e dinamiche, l’ assenza di spill -over significativi comporterà un processo di

divergenza tra regioni diverse, con gaps nei livelli di prodotto per occupato che aumentano senza

limiti. Il prevalere degli effetti legati ai rendimenti crescenti di scala genera path-dependence, ossia

situazioni in cui il li vello di produttività di steady-state dipende dalle condizioni di partenza e dal

percorso di aggiustamento.

Il prevalere di processi di convergenza condizionata o di divergenza è dunque in parte di natura

empirica, posto che si sono individuate forze che operano in direzioni opposte.

6 La compresenza di progresso tecnico e rendimenti crescenti può inoltre generare lock-in tecnologico, ossia situazioni in cui una data tecnologia che presenta vantaggi iniziali , veri o presunti, tende a diffondersi rapidamente e a prevalere anche in presenza di tecnologie superiori. Si veda ad esempio Quah (2001b).

5

3. ICT, spillover tecnologici, specializzazione regionale.

A nostro avviso, la relazione tra diffusione dell’ ICT e la crescita del prodotto per occupato nei

sistemi economici regionali può essere utilmente analizzata nel contesto del dibattito sulla

convergenza legata al progresso tecnologico, con alcune importanti puntualizzazioni.

Gran parte dei processi innovativi legati all’ ICT possono essere analizzati con modalità

“tradizionali” , ossia in termini di:

- modifiche nella struttura del sistema produttivo. Gran parte dei settori legati all’ ICT sono

caratterizzati da tassi di crescita della produttività molto elevati. Un rapido spostamento di

risorse verso questi settori, ed in uscita da settori a minor produttività, comporta un

aumento nella produttività media del sistema economico. Ciò dovrebbe dar luogo a

processi di divergenza fin tanto che le regioni avanzate non raggiungono una quota stabile

di produzione di beni e servizi legati all’ ICT sul totale della produzione, e in seguito lo

stesso fenomeno, se viene seguito nelle regioni follower, andrà a favore della

convergenza. Se le regioni follower non sposteranno parte delle risorse verso la

produzione di nuovi beni e servizi caratterizzati da produttività elevata, le forze che

puntano verso la divergenza resteranno preponderanti, perlomeno per quanto riguarda

questo aspetto;

- ICT come strumento di produzione, (come bene capitale specifico). In linea di principio,

l’utili zzo dell’ ICT, in particolare dei computers, come fattore produttivo dovrebbe

comportare un aumento nella produttività totale dei fattori. Esiste un’ampia letteratura, in

particolare per gli Stati Uniti, tesa ad analizzare i motivi per cui all’ investimento

massiccio in capitale ICT non sia corrisposto, fino alla seconda metà degli anni ’90, un

percepibile aumento di produttività. Il dibattito non si è ancora esaurito, ma alcune ipotesi

convincenti sembrano mostrare che (a) l’ introduzione dell’ ICT comporta la produzione di

beni, e soprattutto servizi, qualitativamente diversi: l’aumento di produttività non è

facilmente misurabile in termini statistici in quanto prende la forma prevalente di un

miglioramento nella qualità dell’output; (b) l’ introduzione dell’ ICT richiede investimenti

complementari in capitale umano, e l’assenza di una combinazione adeguata di capitale

umano e ICT limita e ritarda la capacità di conseguire aumenti di produttività. Da questo

punto di vista, è plausibile un lungo lag temporale tra adozione delle tecnologie (e

contemporaneo investimento in capitale umano) e crescita dell’output. Rispetto alla

convergenza, la lentezza dei processi di apprendimento delle economie leader potrebbe

comportare una sensibile riduzione nei costi di adozione delle nuove tecnologie per i

6

sistemi follower, a condizione che esistano meccanismi di trasmissione delle conoscenze

sui processi di apprendimento delle economie leader;

- la concentrazione geografica della produzione è favorita dalla presenza relativamente

ampia di forza lavoro qualificata: concentrazione delle imprese e concentrazione del

capitale umano sono due fenomeni che si stimolano a vicenda, e ciò è di particolare

rili evo per il settore dell’ ICT, che dipende più che altri settori dalla disponibili tà di

capitale umano.

Inoltre, alcune caratteristiche specifiche dell’ ICT implicano ulteriori effetti rilevanti per i

processi di crescita e di convergenza. In particolare:

- la possibili tà di trasmettere informazioni a costi prossimi allo zero indipendentemente

dalla distanza modifica gli ambiti di mercato di produzioni tradizionalmente non-tradable,

in particolare nei servizi destinabili alla vendita. La capacità di tali settori di assorbire

forza lavoro a fronte di aumenti di produttività nulli o modesti tende a ridursi o

scomparire. L’aumento nella dimensione dei mercati non è irrilevante rispetto ai processi

di convergenza, e va analizzata congiuntamente all’esistenza di economie di scala e di

localizzazione: qualora la struttura produttiva di una regione abbia una quota consistente

di occupati in un settore tradizionalmente protetto e inefficiente, con tecnologie

caratterizzate da rendimenti crescenti di scala, e si trovi esposta alla concorrenza di altre

regioni, può subire un forte calo di domanda, con espulsione di risorse dal settore

inefficiente, che possono trovare solo lentamente la strada verso altre specializzazioni.

L’adozione di tecnologie di trasmissione delle informazioni ai consumatori (e alle

imprese, nel loro ruolo di acquirenti di materie prime e semilavorati) può quindi generare

processi di divergenza nei livelli del prodotto pro-capite, anche se solo temporanei;

- la capacità di trasmettere informazioni a basso costo indipendentemente dalla distanza ha

anche altri effetti sulla concentrazione produttiva nello spazio. Tradizionalmente si ritiene

che una fonte di economie di agglomerazione derivi dagli spill -over di conoscenza, che

sono teoricamente più intensi a livello locale, per la possibili tà di lavoratori, ricercatori

etc. di trasmettersi informazioni visu-a-visu. Se l’ ICT rende meno costoso trasmettere

informazioni al di fuori degli ambiti locali, questo effetto di agglomerazione potrebbe

perdere di rili evo;

- ancora, Internet modifica la prospettiva sulla distanza del consumatore finale

dall’ impresa. La dispersione geografica dei consumatori è un elemento che spinge verso il

decentramento della produzione, e una minor concentrazione spaziale dei processi

7

produttivi. Se i consumatori possono essere raggiunti tramite Internet, e parallelamente i

costi di trasporto tendono a ridursi come si è registrato negli ultimi anni, una forza che

spinge verso il decentramento produttivo viene a mancare;

- svariate tipologie di beni e servizi dell’ ICT sono caratterizzati da rendimenti di scala.

L’esempio tipico è la produzione di software, che richiede elevati costi non recuperabili

per la produzione della prima copia, e costi marginali prossimi allo zero per le copie

successive. Questi aspetti dovrebbero spingere verso la concentrazione dei mercati, ma

non necessariamente verso la concentrazione delle produzioni in senso geografico;

- molti beni e servizi connessi all’ ICT sono caratterizzati da economie di rete7, che sono

una fonte potenziale di rendimenti crescenti di scala. Ad esempio, la possibili tà di

utili zzare Internet per creare servizi collaterali alla vendita di beni tradizionali, o per

operazioni di bundling, etc. estende la rilevanza delle esternalità di rete anche a molti beni

e servizi non direttamente legati all’ ICT. Le economie follower possono quindi incontrare

maggiori diff icoltà ad entrare in ritardo su mercati di questo genere.

4. Un modello formale.

[…]

5. ICT e processi di convergenza nelle regioni italiane.

Analisi recenti dei processi di convergenza tra le regioni europee mostrano come nessuno dei

modelli discussi in precedenza sembri valido in assoluto. Infatti, se pure un’analisi di lungo periodo

mostra un significativo processo di convergenza condizionata, tale processo ha vissuto fasi alterne,

in cui ai processi di rapida convergenza degli anni ’60 sono seguiti periodi di divergenza, non

interpretabili correttamente ricorrendo ad un unico modello.

[figura 1]

I dati8 riportati in figura 1 confermano tale andamento: ad un periodo di convergenza nel livello

del PIL pro-capite delle regioni meridionali, negli anni ’60 e nei primi anni ’70, ha fatto seguito un

7 Con il termine “economie di rete” ci riferiamo alla caratteristica per cui il valore di un bene per il singolo consumatore è funzione crescente (di solito in modo più che proporzionale) del numero di consumatori che posseggono lo stesso bene. Per una discussione sulle fonti delle economie di rete si veda ad esempio Economides (1996). Valutazioni criti che della rilevanza delle economie di rete sono in Liebowitz – Margolis (1996) e Krugman (2000). 8 I dati utili zzati nei grafici delle figure 1, 2 e 3 sono costruiti a partire dalla banca dati del CRENOS per il periodo 1960-1994, e in base alla nuova contabilit à regionale dell ’I stat per il periodo 1995-1999. Le due banche dati si sovrappongono per alcuni anni, e hanno consentito piccoli aggiustamenti per rendere le serie comparabili .

8

lento riaprirsi del divario, che fa registrare una battuta di arresto nell’ultimo quinquennio, anche se

non si hanno ancora informazioni sufficienti per inferire se tale inversione di tendenza ha natura

congiunturale o strutturale. Il grafico mostra anche come il processo di convergenza nel reddito pro-

capite sia dovuto più a variazioni nella popolazione relativa delle due aree che alla crescita relativa

del reddito. La convergenza del primo periodo è infatti accompagnata da una riduzione relativa

nella popolazione del Mezzogiorno, anche legata ai movimenti migratori. Tale fenomeno si arresta

negli anni ’70, e sembra riprendere negli ultimi anni del campione.

[figura 2]

Un dato sensibilmente diverso emerge dall’analisi del PIL per occupato, riportato in figura 2.

Questo indicatore di produttività relativa sembra convergere verso un gap stazionario, dopo un

periodo di convergenza fino alla metà degli anni ’70. Nel grafico è riportato anche un indicatore

dell’occupazione relativa nel Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno, che mostra come la

convergenza nell’ indicatore di produttività, nella prima parte del campione, sia dovuta in gran parte

ad una riduzione relativa dell’occupazione meridionale, dovuta presumibilmente all’espulsione di

manodopera dal settore agricolo a bassa produttività, che si stabili zza già negli anni ’70. E’

interessante notare come l’occupazione relativa nel Centro Nord abbia ripreso a crescere negli anni

‘90, e l’occupazione meridionale a ridursi. Il confronto tra le due curve in figura 2 suggerisce quindi

che la stabili tà nella produttività relativa tra le due regioni cela una caduta relativa nell’

occupazione meridionale, e un proporzionale aumento nell’efficienza produttiva media in tale

regione.

[figura 3]

In figura 3 abbiamo infine riportato l’andamento di un indicatore del tasso di occupazione nel

Mezzogiorno, relativamente al Centro-Nord. Tale indicatore ha un marcato trend decrescente per

tutto il periodo in esame, e segnala l’ incapacità della struttura produttiva meridionale nel garantire

un tasso di crescita dell’occupazione in linea con le dinamiche demografiche.

Spostiamo ora l’attenzione sul periodo successivo al 1995, nel quale – secondo la letteratura

esaminata – dovrebbero iniziare a manifestarsi gli effetti dell’ introduzione dell’ ICT sui tassi di

crescita del prodotto e della produttività.

[figura 4]

9

In figura 4 abbiamo riportato, nel grafico superiore, l’andamento delle diverse componenti della

domanda finale in Italia e, nel riquadro inferiore, i valori analoghi per il Mezzogiorno. Come si

nota, a fronte di una politica fiscale sostanzialmente recessiva la crescita è stata trainata

dall’aumento negli investimenti e nelle esportazioni9.

[Tabella 1]

Un’analisi della tipologia di investimenti nel Mezzogiorno, per branca proprietaria, è riportata

in tabella 1. Come si nota, l’aumento negli investimenti è più marcato nel settore delle costruzioni e

del commercio, rispetto al settore industriale, segnalando che la crescita negli investimenti è poco

legata all’ ICT. Una prima analisi della composizione delle esportazioni svolta su dati aggregati

mostra come la maggior parte della crescita sia legata ai settori in cui l’ Italia è da tempo

specializzata: i dati provvisori relativi al 2002 mostrano come i tassi di crescita maggiori nell’export

siano legati ai settori del tessile, dell’abbigliamento, delle calzature.

[tabella 2]

Un ulteriore indicatore della rilevanza ancora modesta della diffusione dell’ ICT in Italia, ed in

particolare nel Mezzogiorno, è fornita dai dati sulla penetrazione di Internet riportati in tabella 2.

Anche per l’ Italia si conferma la rapidità nella diffusione di questa tecnologia, in termini di

percentuali della popolazione potenzialmente in grado di utili zzarla. Tuttavia, anche se la

percentuale di utenti raddoppia ogni anno dal 1997 al 2000, la penetrazione in Italia nel 2001 risulta

prossima a quella degli Stati Uniti nel 1998. Inoltre, le stime sulla crescita degli utenti nell’ultimo

anno segnalano per gli Stati Uniti un deciso rallentamento con il 50% della popolazione collegata,

ed anche per l’ Italia le stime relative al 2001 mostrano un rallentamento nel tasso di diffusione, per

una percentuale ben inferiore della popolazione10. Se la diffusione delle nuove tecnologie presso i

consumatori costituisce condizione necessaria per la crescita dell’offerta11, una crescita ritardata e

poco rapida può da sola spiegare la relativa arretratezza dell’ Italia, e delle regioni meridionali in

particolare, nella loro capacità di sfruttare le nuove tecnologie per innovazioni di prodotto e per

9 Anche i consumi delle famiglie crescono a tassi superiori a quelli del PIL : una corretta interpretazione di questo dato richiede la disponibilit à di informazioni per aree territoriali sull ’andamento del reddito disponibile e della ricchezza. E’ lecito ipotizzare che l’effetto ricchezza sui consumi delle famiglie legato all ’andamento del mercato azionario sia stato analogo, sia pur su scala più modesta, di quanto registrato negli Stati Uniti . 10 Indagini sulla tipologia di utenti di Internet negli Stati Uniti mostrano come al rallentamento nel tasso di diffusione complessiva della tecnologia corrisponda una convergenza tra le diverse classi sociali che la utili zzano. Se Internet era prevalentemente diffusa tra bianchi a reddito medio-alto, il tasso di diffusione presso questa categoria tende ora a rimanere stabile, mentre aumenta sensibilmente il tasso di diffusione presso altri gruppi sociali . 11 Il ruolo dell ’I CT dal lato della domanda è stato analizzato da vari punti di vista da Quah. Si veda ad esempio Quah (2001a).

10

modificare la struttura produttiva del sistema economico in direzioni più promettenti per la crescita

e l’occupazione.

[figura 5]

Prime analisi sulla modifica nella specializzazione produttiva delle regioni italiane in questo

periodo mostrano una forte persistenza dei profili di specializzazione. In figura 5 abbiamo riportato

gli indici di specializzazione produttiva calcolati in base alle unità di lavoro dei diversi settori nelle

regioni italiane al 1995 e al 199912. Per migliorare la leggibili tà del grafico abbiamo eliminato le

osservazioni relative ai settori e alle regioni che non presentano specializzazione. Come si nota, nel

periodo in esame la specializzazione produttiva non si è modificata in modo significativo.

Risultati analoghi sono ottenibili da un’analisi shift-share condotta sempre a partire dalle unità

di lavoro occupate nei diversi settori delle regioni italiane nel 1995 e nel 1999.

[tabella 3]

In tabella 3 abbiamo riassunto i risultati di tale analisi. L’analisi ha calcolato i tassi di crescita

nell’occupazione in ciascun settore e ciascuna regione, separando il contributo all’aumento

(riduzione) nell’occupazione comune all’ intera economia, da quello specifico di ciascun settore, da

quello specifico della regione. Abbiamo classificato i settori in tre categorie, in base al loro tasso di

crescita, relativamente al tasso di crescita del sistema economico. Ciò consente di analizzare il

comportamento relativo delle regioni, ad esempio ottenendo crescite dell’occupazione nei settori in

crescita e viceversa13. Non si riscontrano differenze sostanziali tra le due aree nella classificazione

proposta, con l’eccezione di una maggiore dinamicità del Mezzogiorno rispetto al Centro Nord

nell’aumentare l’occupazione nei settori dinamici, e ridurla in quelli stagnanti.

Abbiamo effettuato alcune analisi del grado di relazione tra specializzazione produttiva di

partenza e tasso di crescita, che non sembrano fornire risultati statisticamente significativi, e non

vengono dunque riportate.

Infine, molte indagini hanno sottolineato la relazione tra capacità di diffusione delle

innovazioni, e dell’ ICT in particolare, con la propensione dell’area alla ricerca, che può essere

sintetizzata dalla spesa in R&S o nella percentuale di forza lavoro occupata nel settore della ricerca.

12 Gli i ndici sono dati per ogni anno da ../.

./

UUi

rUUirIir = dove Uir sono le unità di lavoro totali nel settore j-simo

della regione r-sima. 13 La tabella non tiene conto del peso relativo del settore in termini occupazionali . Su questo si intendono effettuare ulteriori indagini.

11

Nel grafico di figura 6 abbiamo riportato i dati relativi alla spesa in R&S delle regioni italiane

rispetto al PIL. Il grafico è normalizzato in modo da avere il valore medio dell’ Italia all’origine

degli assi; i punti posizionati al di sopra della retta crescente corrispondono a regioni che hanno

aumentato la spesa in R&S.

[figura 6]

Come si nota, l’ Italia ha ridotto in modo sensibile la spesa complessiva in ricerca e sviluppo, e

le regioni del Mezzogiorno sono tuttora caratterizzate da una quota della spesa molto bassa.

Indagini recenti14 hanno fornito alcune prime indicazioni sui processi di concentrazione

territoriale legati all’ introduzione dell’ ICT, analizzando la distribuzione spaziale delle imprese del

settore. I risultati ottenuti per le regioni europee mostrano una forte concentrazione territoriale nella

produzione di ICT, localizzata in prevalenza in un’area centrale dei Paesi europei (a forma di

“banana”) che parte da Londra, passando per l’Olanda e la Germania, per terminare nell’ Italia del

Nord. Esistono altri centri di forte concentrazione, in particolare per la produzione di beni e servizi

di telecomunicazione nei paesi baltici, e nell’ ICT nella zona di Parigi. Le regioni dell’ Italia centro-

meridionale (con l’eccezione delle zone di Roma, Napoli e Salerno), risultano prive di insediamenti

legati all’ ICT, come anche la Spagna, la Grecia e il Portogallo15.

La mancanza di indagini simili per altri comparti produttivi, tuttavia, non consente di stabili re

con certezza se l’ intensità della concentrazione spaziale nella produzione di ICT sia particolarmente

elevata16.

[…]

14 Koski et al. (2001), Quah (2001). 15 L’ indagine di Koski et al. (2001) si basa sul codice postale di 11.000 imprese classificate in Europages. La corretta locali zzazione dell ’ impresa dipende dunque dall ’ ipotesi che il codice postale utili zzato dall ’azienda per essere contattata coincida con la locali zzazione effettiva dell ’attività produttiva: è noto che tale criterio di locali zzazione spaziale delle imprese tende a sovrarappresentare i grandi centri (Milano, Londra, Parigi etc.) se le imprese con attività produttiva dispersa sul territorio locali zzano in tali centri la sede legale o di rappresentanza. 16 Quah (2001).

12

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Tabella 1. Investimenti Fissi Lordi per branca proprietaria Variazioni percentuali su dati a prezzi costanti 1996 1997 1998 1999 Agr icoltura, silvicoltura e pesca 10,7% -5,4% 2,6% -8,4% Industr ia in senso stretto -1,3% 17,2% 3,3% 0,3% Estrazione di minerali 50,8% 68,6% 21,3% … Industria manifatturiera -5,4% 25,3% 8,6% … - Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 2,4% 13,0% 23,6% … - Industrie tessil i e dell'abbigliamento -14,9% 55,3% 51,2% … - Industrie conciarie, fab. di prodotti in cuoio, pelle e similari 100,8% -30,7% 3,5% … - Fab. pasta-carta, carta e dei pr. di carta; stampa ed editoria -3,4% 54,8% 2,1% … - Cokerie, raff inerie, chimiche, farmaceutiche 54,3% 31,3% 7,5% … - Fab. di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi 3,0% 102,9% -1,4% … - Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo 8,7% 5,7% 20,0% … - F. macchine ed app. meccanici, eletttrici ed ottici; mezzi di tr. -36,1% -0,6% 1,7% … - Industria del legno, della gomma, della plastica e altre manif. 8,8% 80,1% -16,5% … Pr. e distr. di energia elettrica, di gas, di vapore e acqua 3,4% -7,4% -16,5% … Costr uzioni -13,3% 27,2% 16,2% 2,6% Commercio, r iparazioni, alberghi e ristoranti, traspor ti e com. 0,1% 22,2% 6,8% -2,0% Commercio; riparazioni, motocicli e di beni pers. e per la casa -5,2% 8,3% -4,7% … Alberghi e ristoranti 5,9% 0,0% 17,8% … Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni 2,9% 35,7% 11,4% … Intermed. monetar ia e fin.; att. immobil . ed imprenditor iali 1,5% -2,0% 1,6% 2,7% Intermediazione monetaria e finanziaria 1,7% -6,0% -18,6% … Att. immobili ari, noleggio, informatica, ricerca, altre attività prof. 1,5% -1,8% 2,4% … Altre attività di servizi 12,1% 2,7% 4,3% 6,5% Pubblica amm. e difesa; assicurazione sociale obbligatoria 6,3% -2,7% 3,3% … Istruzione 30,1% 13,4% 15,2% … Sanità e altri servizi sociali 28,2% 14,2% 9,0% … Altri servizi pubblici, sociali e personali 22,8% 15,2% -6,5% … Totale 2,6% 6,8% 3,8% 1,3%

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Tabella 2. Penetrazione di Internet nelle regioni italiane Percentuale di famiglie che dichiarano di avere accesso ad Internet 1997 1998 1999 2000 2001 Piemonte 2,5 3,7 8,6 16,9 … Valle D'Aosta 2,0 3,6 7,5 14,8 … Lombardia 2,8 3,9 8,4 18,7 … Trentino - Alto Adige 2,1 4,0 8,5 17,4 … Veneto 1,8 3,6 8,6 15,5 … Friuli - Venezia Giulia 2,1 4,6 7,8 16,2 … Liguria 2,5 3,4 7,7 13,3 … Emil ia - Romagna 3,5 5,0 8,4 18,3 … Toscana 3,0 4,2 9,8 16,5 … Umbria 1,7 4,0 9,5 17,3 … Marche 2,1 2,6 8,9 16,1 … Lazio 3,9 4,7 11,2 19,4 … Abruzzo 2,4 1,5 5,7 15,5 … Molise 1,7 1,6 3,3 11,7 … Campania 1,4 2,5 4,9 12,9 … Puglia 1,6 2,5 5,1 9,4 … Basili cata 1,0 2,4 2,9 11,4 … Calabria 1,6 2,1 3,6 7,2 … Sicil ia 0,9 2,1 4,7 9,8 … Sardegna 1,2 2,7 7,6 14,7 … - Nord-ovest 2,7 3,8 8,4 17,5 … - Nord-est 2,5 4,3 8,4 16,9 … - Centro 3,3 4,2 10,3 17,9 … - Centro-Nord 2,8 4,1 9,0 17,4 … - Mezzogiorno 1,4 2,3 4,9 11,1 … Italia 2,3 3,5 7,6 15,4 … Italia (1) … … 14,3 23,0 27,6 Stati Uniti (1) (2) 18,6 26,2 37,4 45,1 50,0 Fonte: Istat, indagine multi scopo (1) Fonte: ITU per gli anni 1999-2001. Percentuale di utenti sulla popolazione (2) Fonte: US Dept. Of Commerce per gli anni 1997-98

Tabella 3. Modifiche nella specializzazione produttiva delle regioni italiane 1995-1999 (% di settori/regioni che ricadono in ciascuna categoria) Settori/regioni Mezzogiorno Centro-Nord Settore in arretramento - la regione accelera la despecializzazione 24,5% 20,6% - la regione resiste alla despeciali zzazione 24,9% 29,7% Settore in debole crescita - la regione riduce l’occupazione 8,9% 9,4% - la regione accelera l’occupazione 11,4% 10,6% Settore in forte crescita - la regione riduce l’occupazione 10,5% 17,2% - la regione accelera la specializzazione 19,8% 12,5% TOTALE 100,0% 100,0%

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