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VII Congresso Nazionale IGIIC – Lo Stato dell’Arte – Napoli, 8-10 Ottobre 2009 LA PLASTICA COME NUOVO MATERIALE DELL’ARTE CONTEMPORANEA, STORIA, PROPRIETA’ CHIMICO-FISICHE, DEGRADO, CONSERVAZIONE E RESTAURO. Antonella Russo* *Dipl. di I e II livello in Conservazione e restauro delle opere d’arte moderne e contemporanee, Accademia di Belle Arti di Napoli; Via Amedeo 21, 80070, Monte di Procida (NA), 3807071790, [email protected] Abstract Uno dei caratteri principali dell’arte del XX secolo ed in particolare di quella del secondo dopoguerra è stato lo straordinario sperimentalismo, non soltanto nelle forme, ma soprattutto nella molteplicità delle tecniche e dei materiali espressivi utilizzati. Per le opere d’arte contemporanea il materiale è il significante che porta i significati. La materia è arte in sé stessa, trasmette un messaggio. L’uso dei polimeri di sintesi rientra a pieno titolo nei materiali scelti dagli artisti e dai designer sia per la realizzazione di opere uniche che per la progettazione di opere seriali. La ragione di tale preferenza sta nella loro relativa economicità, dovuta alla facilità di produzione e alla duttilità di applicazione, che ne ha modellato l’uso nei più disparati aspetti della vita contemporanea. Inoltre essi sono stati anche simbolo della modernità, dello sviluppo e del progresso. In un primo momento furono usati per realizzare oggetti frivoli, di gioco, di ornamento, poi vennero impiegati per sostituire materiali e prodotti di prima necessità; ed è così che manufatti in plastica che non rientrano nella categoria di Beni Artistici, ma possiedono interesse storico- culturale, trovano ampia collocazione nei musei, perché essi sono testimonianza di tappe fondamentali della storia dell’uomo, dell’evoluzione della scienza, dell’industria e della tecnologia, e hanno spesso determinato importanti trasformazioni di natura socio-economica. Alla luce delle problematiche del restauro dell’arte contemporanea, ritenendo opportuno, che la conservazione passi attraverso la profonda conoscenza del materiale di cui è costituita l’opera d’arte, ho dedicato il mio elaborato di tesi di II livello all’Accademia di Belle Arti di Napoli, allo studio dei materiali di sintesi. Tale ricerca prende in esame le caratteristiche chimico-fisiche dei polimeri naturali, artificiali e sintetici; la storia e la composizione dei polimeri più utilizzati nell’arte o nell’artigianato. Nella tesi, vengono quindi analizzati nello specifico problemi relativi al degrado e alla conservazione, viene sottolineato come le plastiche siano dei materiali compositi, costituiti da sostanze differenti (additivi, riempitivi, pigmenti, ecc.) che spesso inducono e sono causa essi stessi del deterioramento. Infine, in collaborazione con l’Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri del CNR di Pozzuoli e alla Fondazione PLART, si sono presi in esame quattro tipi di polimeri “Case History”, uno naturale “corno”, uno semi-sintetico “celluloide”, e due sintetici “poliuretano e colore acrilico” e sono stati analizzati con varie tecniche diagnostiche come la Spettroscopia FTIR e Raman, la Termogravimetria e la Calorimetria differenziale a Scansione. Quest’ultima parte è l’oggetto della presente comunicazione. Introduzione A Napoli esiste una realtà del contemporaneo che risale ad alcuni decenni fa quando la lungimirante attività di Lucio Amelio portò l’avanguardia americana in un rapporto proficuo e continuo con la città partenopea. Questa peculiarità è continuata nel tempo e si è sviluppata negli ultimi anni con l’apertura di numerosi e importanti spazi dedicati all’esposizione dell’arte del secondo Novecento, come ad esempio l’ultima sala del Museo di Capodimonte, la galleria dell’Accademia di Belle Arti, il Madre, il Pan, le non-convenzionali Stazioni dell’Arte della linea 1 di Metronapoli, le installazioni natalizie a Piazza del Plebiscito, ma del tutto particolare e unica nel suo genere è stata la nascita del Plart, il primo centro d’eccellenza in Italia dove plastica, arte, ricerca e tecnologia si fondono insieme. Questo Museo nasce come spazio polifunzionale dedicato alla ricerca scientifica e all’innovazione tecnologica per il recupero, restauro e conservazione delle opere d’arte e di design in materiale plastico. Il progetto è un’idea di Maria Pia Incutti, che dopo un’attenta riflessione e un percorso lungo e minuzioso, ha unito cultura d’impresa, passione per l’arte contemporanea e il collezionismo di oggetti ed opere d’arte in plastica. È proprio la visita in questo museo che mi ha appassionato e indotto sempre di più verso lo studio dei materiali sintetici, e mi ha spinto ad intraprendere questo lavoro di tesi. Grazie alla Fondazione Plart ho avuto l’opportunità di frequentare, come vincitrice di borsa di studio, un corso di formazione per “Tecnici per la caratterizzazione chimico fisica dei materiali polimerici”, tenutosi nel museo e nei laboratori del CNR di Pozzuoli; e di partecipare alle “Due Giornate Tecnologiche dedicate

La plastica come nuovo materiale dell'arte contemporanea IGIIC plastica come nuovo... · l’arte contemporanea e il collezionismo di oggetti ed opere d ... meccanici come l’uso

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VII Congresso Nazionale IGIIC – Lo Stato dell’Arte – Napoli, 8-10 Ottobre 2009

LA PLASTICA COME NUOVO MATERIALE DELL’ARTE CONTEMPORANEA, STORIA, PROPRIETA’ CHIMICO-FISICHE, DEGRADO, CONSERVAZIONE E

RESTAURO.

Antonella Russo*

*Dipl. di I e II livello in Conservazione e restauro delle opere d’arte moderne e contemporanee, Accademia di Belle Arti di Napoli; Via Amedeo 21, 80070, Monte di Procida (NA), 3807071790, [email protected]

Abstract

Uno dei caratteri principali dell’arte del XX secolo ed in particolare di quella del secondo dopoguerra è stato lo straordinario sperimentalismo, non soltanto nelle forme, ma soprattutto nella molteplicità delle tecniche e dei materiali espressivi utilizzati. Per le opere d’arte contemporanea il materiale è il significante che porta i significati. La materia è arte in sé stessa, trasmette un messaggio. L’uso dei polimeri di sintesi rientra a pieno titolo nei materiali scelti dagli artisti e dai designer sia per la realizzazione di opere uniche che per la progettazione di opere seriali. La ragione di tale preferenza sta nella loro relativa economicità, dovuta alla facilità di produzione e alla duttilità di applicazione, che ne ha modellato l’uso nei più disparati aspetti della vita contemporanea. Inoltre essi sono stati anche simbolo della modernità, dello sviluppo e del progresso. In un primo momento furono usati per realizzare oggetti frivoli, di gioco, di ornamento, poi vennero impiegati per sostituire materiali e prodotti di prima necessità; ed è così che manufatti in plastica che non rientrano nella categoria di Beni Artistici, ma possiedono interesse storico-culturale, trovano ampia collocazione nei musei, perché essi sono testimonianza di tappe fondamentali della storia dell’uomo, dell’evoluzione della scienza, dell’industria e della tecnologia, e hanno spesso determinato importanti trasformazioni di natura socio-economica. Alla luce delle problematiche del restauro dell’arte contemporanea, ritenendo opportuno, che la conservazione passi attraverso la profonda conoscenza del materiale di cui è costituita l’opera d’arte, ho dedicato il mio elaborato di tesi di II livello all’Accademia di Belle Arti di Napoli, allo studio dei materiali di sintesi. Tale ricerca prende in esame le caratteristiche chimico-fisiche dei polimeri naturali, artificiali e sintetici; la storia e la composizione dei polimeri più utilizzati nell’arte o nell’artigianato. Nella tesi, vengono quindi analizzati nello specifico problemi relativi al degrado e alla conservazione, viene sottolineato come le plastiche siano dei materiali compositi, costituiti da sostanze differenti (additivi, riempitivi, pigmenti, ecc.) che spesso inducono e sono causa essi stessi del deterioramento. Infine, in collaborazione con l’Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri del CNR di Pozzuoli e alla Fondazione PLART, si sono presi in esame quattro tipi di polimeri “Case History”, uno naturale “corno”, uno semi-sintetico “celluloide”, e due sintetici “poliuretano e colore acrilico” e sono stati analizzati con varie tecniche diagnostiche come la Spettroscopia FTIR e Raman, la Termogravimetria e la Calorimetria differenziale a Scansione. Quest’ultima parte è l’oggetto della presente comunicazione.

Introduzione

A Napoli esiste una realtà del contemporaneo che risale ad alcuni decenni fa quando la lungimirante attività di Lucio Amelio portò l’avanguardia americana in un rapporto proficuo e continuo con la città partenopea. Questa peculiarità è continuata nel tempo e si è sviluppata negli ultimi anni con l’apertura di numerosi e importanti spazi dedicati all’esposizione dell’arte del secondo Novecento, come ad esempio l’ultima sala del Museo di Capodimonte, la galleria dell’Accademia di Belle Arti, il Madre, il Pan, le non-convenzionali Stazioni dell’Arte della linea 1 di Metronapoli, le installazioni natalizie a Piazza del Plebiscito, ma del tutto particolare e unica nel suo genere è stata la nascita del Plart, il primo centro d’eccellenza in Italia dove plastica, arte, ricerca e tecnologia si fondono insieme. Questo Museo nasce come spazio polifunzionale dedicato alla ricerca scientifica e all’innovazione tecnologica per il recupero, restauro e conservazione delle opere d’arte e di design in materiale plastico. Il progetto è un’idea di Maria Pia Incutti, che dopo un’attenta riflessione e un percorso lungo e minuzioso, ha unito cultura d’impresa, passione per l’arte contemporanea e il collezionismo di oggetti ed opere d’arte in plastica. È proprio la visita in questo museo che mi ha appassionato e indotto sempre di più verso lo studio dei materiali sintetici, e mi ha spinto ad intraprendere questo lavoro di tesi. Grazie alla Fondazione Plart ho avuto l’opportunità di frequentare, come vincitrice di borsa di studio, un corso di formazione per “Tecnici per la caratterizzazione chimico fisica dei materiali polimerici”, tenutosi nel museo e nei laboratori del CNR di Pozzuoli; e di partecipare alle “Due Giornate Tecnologiche dedicate

all’Ecodesign e al Restauro della plastica” del 30-31 ottobre 2008. In questo modo mi è stato possibile studiare e approfondire l’argomento e conoscere i maggiori esperti sia italiani che stranieri che svolgono attività di ricerca scientifica e restauro sulle opere d’arte e di design in plastica. Come tutti i materiali tradizionali presenti nell’arte anche i polimeri di sintesi invecchiano e si degradano, persino dopo pochi anni dalla loro produzione, nonostante siano erroneamente considerati indistruttibili. Le cause possono essere molteplici, si và da fattori chimici come l’ossigeno, l’acqua, la luce, il calore, l’inquinamento; a fattori biologici come i microrganismi e a fattori fisici o meccanici come l’uso improprio o le scorrette modalità di utilizzo da parte degli artisti, che spesso non si preoccupano della durata delle loro creazioni oppure non conoscono a fondo le caratteristiche chimiche dei materiali che scelgono. A causa dell’estrema varietà dei materiali polimerici, ogni oggetto è un unicum, e può reagire in maniera differente agli stress ambientali. L’estrema variabilità di comportamento delle materie plastiche dipende anche dal fatto che in molti casi le molecole costitutive sono dei copolimeri. Inoltre bisogna tener presente che nella maggior parte dei casi, un materiale sintetico è un sistema costituito da componenti diversi, in cui sono presenti numerosi additivi e spesso si trova in contatto con i substrati più diversi. L’invecchiamento può dipendere dalla stabilità di queste sostanze prima ancora che da quella dei polimeri. Il degrado può essere influenzato anche dalle impurità o dalle anomalie strutturali formatesi durante i processi di produzione del polimero. Una volta innescato, il deterioramento non è reversibile e può essere solo rallentato o attenuato; quindi per evitare interventi conservativi che possono risultare dannosi, rischiosi e invasivi per l’opera, è indispensabile progettare una conservazione preventiva e una manutenzione ordinaria, che comportino un monitoraggio delle condizioni delle opere e le operazioni basilari per proteggerne e allungarne la vita. Ma delle giuste strategie conservative sono possibili solo se i materiali vengono esattamente identificati con opportune tecniche diagnostiche basate sull’analisi chimica strumentale, utili per la caratterizzazione chimico-fisica e per individuare il loro grado di invecchiamento. Quindi per dare un risvolto pratico al mio lavoro sono stati scelti quattro Case history ovvero: un polimero naturale “corno”, uno semi-sintetico “celluloide”, e due sintetici “poliuretano e colore acrilico” e sono stati identificati con spettroscopia ‘Spectrum 110 ATR FT-IR’ [1] e ‘RamanFlex 400F’ [2] della Perkin Elmer nel laboratorio del Plart, e poi sono stati sottoposti ad analisi termica in Calorimetria differenziale a scansione [3] ‘DSC Mettler Toledo 30’ e termogravimetra [4] ‘Perkin Elmer Pyris Diamond’nei laboratori del ICTP del CNR di Pozzuoli.

1° Case history: Coppia di posate anni Settanta in Corno

Figura 1. Spettroscopia in ATR FT-IR conferma che si tratta di corno (cheratina) e non di un’imitazione.

Figura 2. Spettroscopia Raman della cheratina effettuata direttamente sull’oggetto.

Figura 3. DSC: sono stati prelevati 3 campioni nelle zone dell’oggetto aventi diversa pigmentazione,

Figura 4. TGA evidenzia che la prima perdita di peso

dalle tre analisi effettuate con gli stessi parametri di temperatura e tempo, non sono state evidenziate

transizioni termiche.

del 10 % si ha a ca 240 °C, la reazione di massima velocità misurata sul picco della DTGA avviene a ca 320 °C con una perdita di 430,7 ug/min, alla fine del processo a ca 700 °C si ha l’ultima perdita di peso con un residuo

del 20% ca.

2° Case history: Frammento di una scatola in Celluloide (degradata) della collezione Plart.

Figura 5. Spettroscopia in ATR FT-IR della Celluloide (nitrato di cellulosa e canfora)

Figura 6. Spettroscopia Raman

Nel DSC non sono emerse temperature di transizione vetrosa quindi non è stata riportata.

Figura 7. Dalla TGA emerge che dopo un calo iniziale di peso del 6% a 62,7 °C, si ha un salto con una perdita

dell’84,4%, visibile nella DTGA con una velocità di reazione di 38,84 mg/min a 208,6 °C, la causa è

l’infiammabilità del nitrato di cellulosa.

3° Case history: Campione di una pellicola pittorica di colore Acrilico (Maimeri)

Figura 8. Spettroscopia ATR-FT-IR

Figura 9. Spettroscopia Raman

Figura 10. DSC: la temperatura di transizione vetrosa ha un Onset di 3.19 °C e un Midpoint di 13,42 °C.

Figura 11. TGA: La prima perdita di peso del 7% si ha tra i 65,4 °C e i 216,9 °C con un picco di reazione

massima DTGA a 111, 2 °C (presenza di acqua), poi tra i 216,9 °C e i 389,3 °C si ha un ulteriore calo del 13,6%; infine tra i 389,3 °C e i 794,3 °C si ha una perdita del 31,6 % con un residuo di 39,6 %, il picco di velocità

massima di reazione DTGA si ha a 750, 9°C con 528,1 ug/min.

4° Case history: Campione di Poliuretano a base di policarbonato, IDROCAP 994 –ICAPSIRA, dell’ICTP Pozzuoli

Figura 12. Spettroscopia ATR-FT-IR

Figura 13. Spettroscopia Raman

Figura 14. Nel DSC si legge che la temperatura di transizione vetrosa ha un Onset a -50°C e un

Midpoint a -42,20 °C.

Figura 15. Nella TGA è emerso che tra i 70,7 Cel e i 258,3 Cel, e tra 4,1 min e 22,8 min si ha una perdita di

peso del 26 %, con un picco di velocità massima a 348,9 Cel con 1,836 mg/min, e la perdita di peso finale avviene

a 693,2 Cel a 63,97 min, con un residuo dello 0,1 %

Quindi, una volta individuati esattamente i polimeri e gli additivi costituenti il supporto scultoreo o il medium pittorico di un’opera d’arte, si può innanzitutto svolgere una catalogazione non soltanto storico-artistica ma anche

scientifica correlata dalle tecniche analitiche sopra menzionate, in modo da poter elaborare una corretta conservazione attraverso un’opportuna esposizione che tenga conto anche della composizione e delle caratteristiche chimiche dell’oggetto, una costante manutenzione e se necessario un intervento di restauro che sia il più possibile compatibile con il materiale costituente il Bene Culturale. Attualmente non ci sono delle linee-guida accettate, che definiscono l’appropriato microclima in cui dovrebbero essere conservate le plastiche in un museo. Le regole tradizionalmente applicate ad altri fragili materiali organici, sono state utilizzate anche per questi oggetti. Esse includono il mantenimento ad una stabile umidità relativa, solitamente intorno al 55%, una temperatura di circa 18 °C, un’illuminazione massima compresa tra i 50 e i 300 lux, l’eliminazione dei raggi UV, una buona ventilazione, l’utilizzo di custodie o vetrine che non assorbano additivi che tendono a migrare e l’uso di scavengers [5]. Purtroppo lo studio delle materie plastiche nell’ambito della conservazione è una disciplina ancora molto giovane, nata solo negli anni Novanta, infatti meno di venti musei europei hanno degli specialisti che si occupano a tempo pieno di questo settore. Di conseguenza la mancanza di esperti in relazione all’aumento del numero di plastiche degradate, rallenta molto il progresso in questo campo. Inoltre anche lo sviluppo di tecniche di intervento è impedito a causa delle scarse informazioni sul reale tempo di degrado delle plastiche sintetiche, della difficoltà di applicare i principi etici e tradizionali del restauro a materiali così moderni, e dagli insufficienti corsi di formazione.

NOTE

[1] La spettroscopia di assorbimento infrarosso - il cui acronimo FTIR deriva dall’inglese Fourier Transform Infrared Spectroscopy e misura l’intervallo di lunghezze d’onda facenti parte della regione dello spettro infrarosso che viene assorbito dal materiale. L’assorbimento della radiazione infrarossa produce nelle molecole dei moti vibrazionali caratteristici definiti come stretching (stiramento) e bending (piegamento). L’apporto di energia necessario per produrre ciascun tipo di moto vibrazionale dipende direttamente dalla forza e dalla polarità dei legami tra gli atomi della molecola analizzata. La principale applicazione della spettroscopia FTIR riguarda l’analisi qualitativa di composti organici. Ogni composto organico, infatti, presenta uno spettro infrarosso caratteristico che dipende dalla corrispondente struttura molecolare. Un comune metodo di interpretazione di spettri FTIR consiste nel considerare due regioni spettrali del medio infrarosso: la zona dei gruppi funzionali (4000-1250 cm-1) e la zona caratteristica detta impronta digitale (1250-700 cm-1). La combinazione tra l’interpretazione della regione dei gruppi funzionali e il confronto della regione caratteristica con quelle contenute in librerie spettrali fornisce, nella maggior parte dei casi, l’evidenza sperimentale sufficiente ad identificare un composto.

[2] Nella spettroscopia Raman i livelli energetici della molecola sono “esplorati” analizzando le frequenze presenti nella radiazione scatterata (diffusa) dalla molecola. In un tipico esperimento Raman, un fascio di luce monocromatica viene fatto incidere sul campione per poi rilevarne la radiazione diffusa ad un angolo ortogonale rispetto alla direzione del fascio incidente. Quando i fotoni incidenti urtano la molecola, essi possono perdere o guadagnare energia: se la molecola assorbe parte dell’energia del fotone per passare ad uno stato eccitato, il fotone riemergerà con un’energia (frequenza) minore di quella d’incidenza andando a formare le cosiddette righe Stokes dello spettro Raman; se invece la molecola si trova già in uno stato eccitato (l’energia termica a temperatura ambiente eccita alcuni stati rotazionali) può cedere energia al fotone incidente che riemergerà dall’urto con un’energia maggiore andando a formare le righe anti-Stokes. La componente della radiazione diffusa nella stessa direzione d’origine senza cambiamenti di frequenza è chiamata radiazione Rayleigh. Gli spostamenti in frequenza della radiazione diffusa dalla radiazione incidente sono molto piccoli e di conseguenza la radiazione incidente deve essere “molto monocromatica” per poterli osservare. Inoltre l’intensità della radiazione diffusa è molto bassa quindi è necessario che il fascio incidente sia anche molto intenso.

[3] La calorimetria differenziale a scansione, nota anche con l’acronimo DSC (dall’inglese differential scanning calorimetry) è, insieme all'analisi termica differenziale (DTA) la principale tecnica di analisi termica utilizzabile su un ampio range di materiali: dai polimeri ai metalli alle ceramiche. Il principio di base di queste tecniche è di ricavare informazioni sul materiale riscaldandolo o raffreddandolo in maniera controllata. In particolare il DSC si basa sulla misura della differenza di flusso termico tra il campione in esame e uno di riferimento mentre i due sono vincolati ad una temperatura variabile definita da un programma prestabilito. La calorimetria a scansione differenziale consente l’analisi delle transizioni termiche di fase di un campione sia in maniera qualitativa (dall’analisi della temperatura alla quale avviene la transizione) si quantitativa (dall’analisi dell'area del picco di transizione). Le curve DSC riflettono le variazioni energetiche del polimero esaminato. Le variazioni strutturali subite dal polimero sono accompagnate da effetti energetici in modo da avere grafici caratteristici per transizioni

vetrose, fusioni e cristallizzazioni. Con questo metodo possono essere studiati: Tg (temperatura di transizione vetrosa) di materiali amorfi e semicristallini; Tm, (temperatura di fusione); la cristallizzazione di polimeri semicristallini, stabilità ossidativa; purezza del materiale e identificazione di materiali incogniti; capacità termica Cp .

[4] In un’analisi termogravimetrica, nota anche con l’acronimo TGA, si effettua la registrazione continua delle variazioni di massa di un campione, in atmosfera controllata e in funzione della temperatura o del tempo. Il risultato dell’analisi viene espresso solitamente con un termogravigramma che riporta in ascissa la temperatura o il tempo e sulle ordinate la variazione di massa come valore assoluto o percentuale; tale grafico viene anche definito curva di decomposizione termica. Questo tipo di analisi è perciò limitato allo studio dei fenomeni di decomposizione, di ossidazione, di perdita del solvente di cristallizzazione, di sostanze polimorfe. I termogravigrammi forniscono informazioni sui meccanismi e sulle cinetiche di decomposizione delle molecole, tanto che possono essere utilizzati per il riconoscimento delle sostanze.

[5] Gli scavengers, conosciuti anche come trappole molecolari, possono essere installati come un sistema di filtri attivi nelle vetrine espositive o nelle sale, posti semplicemente in capsule Petri o in sacchetti di polietilene. Sono il carbone attivo, gli zeoliti, il silicagel e gli assorbitori di ossigeno.

BIBLIOGRAFIA

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