Fried Ens Pre Is Magris Nov2009 Italiano

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  • 8/14/2019 Fried Ens Pre Is Magris Nov2009 Italiano

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    Premio della Pace dell Associazione Tedesca dei Librai 2009

    Discorso di ringraziamento di Claudio Magris

    A Trieste, nei grandi capannoni, magazzini e cortili di una vecchia caserma abbandonata, sipossono vedere, affiancati o sparsi in disordine come carcasse di mostri marini lasciati su unaspiaggia dal riflusso di un maremoto, carri armati, sommergibili squarciati, cannoni anticarro,autoblinde, aeroplani dallala fracassata; in altri vani si allineano relitti guerreschi pi piccoli,gavette sfondate, cornette telefoniche da campo strappate, bossoli, elmetti, tonnellate di manifesti diguerra. Un tempo quello era il regno di un personaggio bizzarro, Diego de Henriquez, il quale avevadedicato tutta la sua esistenza sacrificando spietatamente a tale missione se stesso e la propriafamiglia alla raccolta di un immenso e delirante materiale bellico, al sogno di costruire, comeaveva scritto, un Museo Storico di Guerra per la Pace, un Centro per la lettura e modifica delpassato e del futuro; quellesposizione universale della guerra avrebbe dovuto creare un orrore taleper questultima da sradicarla nei cuori, creando cos la pace perpetua.

    Il professore poliglotta, oberato di debiti astronomici come quelli di una grande potenzamilitare, mor in un misterioso, forse doloso incendio nel 1974, che devast il Museo e bruci anchelui nella bara adattata a letto in cui egli dormiva, fra i suoi Sturmgeschtze e le sue littorine blindate.Ci fu anche un processo, che non giunse ad alcuna conclusione, perch pare stesse raccogliendo ericopiando dei graffiti incisi sulle luride pareti di vecchi cessi pubblici vicino alla Risiera, il campodi sterminio lunico in Italia che i nazisti avevano installato - a Trieste; graffiti in cui alcunevittime avrebbero denunciato le complicit di alcuni personaggi dellalta societ triestina di queltempo nella denuncia di ebrei finiti nella camera a gas. Comunque siano andate le cose, le pareti diquei vespasiani sono state imbiancate con la calce. Dopo la guerra, viene la pace, che ha pure ilbianco colore del sepolcro e di tanti cuori ridotti a sepolcri imbiancati.

    Non so se il febbrile collezionismo bellico di de Henriquez nascondesse, nonostante il suo certosincero intento pacifista, una segreta, ossessiva fascinazione per la guerra. Per cercare di saperlo,occorre la letteratura, che diceva Manzoni non accerta i fatti, come la storia, ma cerca diimmaginare come gli uomini li hanno vissuti. E per questo che da tempo convivo con lombra diquestuomo, che le fiamme del suo rogo hanno proiettato anche sulla mia mente e sulla carta su cuicerco di scrivere.

    Quellombra mi interessa forse perch pure una grottesca parabola di uno dei tanti abbagli cheinsidiano la pace gi nelle nostre teste prima ancora che nella realt. Una di queste insidie essereossessionati dalluniversalit della guerra e credere che essa sia inevitabile, inseparabile dalla vita,come nella Grande illusione di Renoir. Non dimenticher mai il discorso di un anziano leader nord-vietnamita, ascoltato per caso molti anni fa alla televisione francese, durante il conflitto nel suopaese. Per gli uomini della sua et, disse parlando con affabile e ferma malinconia, la vita si eraquasi identificata con la guerra, combattuta in quelle terre per tanti decenni e in quel momentoancora in corso; questo, aggiungeva, il pericolo per noi pi insidioso, labitudine a considerare laguerra necessaria come la vita e il respiro, lincapacit di pensare la vita senza la guerra.

    Tutto congiura a farcelo credere e a cedere rassegnati a questa necessit; non a caso laletteratura occidentale inizia con un grande poema di guerra, lIliade, e grandi libri sacri chefondano il mondo, come il Mahbhrata e lAntico Testamento, sono, in parte, pure libri di guerra.Ma il senso della vita consiste nel resistere alle seduzioni idolatriche di ci che si proclama fatale,nello sperare contra spem. Was darf ich hoffen?, si chiede Kant, dinanzi al Male radicale che sipresenta vittorioso, e risponde che proprio la vista della devastazione esige che essa non sia lunicarealt e giustifica la speranza, esperta di disperazione. La speranza la pi grande virt, incalza

    Pguy, proprio perch cos difficile ma appunto perci necessario vedere come vanno le cose esperare che ciononostante domani andranno altrimenti.

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    Talvolta una speranza di luce balena perfino nel cuore di tenebre che sembrano definitive.

    Nel 1943, dal treno che lo sta portando ad Auschwitz, Aron Lieukant il quale, a differenza dialtri, ben consapevole del suo destino trova il modo di inviare una lettera ai figli, Berte e Simon,nella quale raccomanda loro di non bere bevande ghiacciate quando sono sudati. Rispetto a lui e adaltri come lui, a questa forza e a questa umanit indistruttibile, il Terzo Reich, che si proclamava

    millenario appare soltanto una banale Medusa, come scriveva Joseph Roth, destinata allasconfitta; non durata mille anni, ma dodici, meno del mio scaldabagno.

    C unaltra insidia alla pace reale, che si annida nella timorata, progressista convinzione che ilprogresso sia gi realizzato, che la civilt abbia vinto la barbarie e che la guerra, almeno nel nostromondo, sia stata debellata, come la febbre gialla o il vaiolo lo sono stati dai vaccini. La guerra nonsi nomina, neanche quando c; non la si dichiara, neanche quando si gettano le bombe.

    Quando la Nato e dunque pure lItalia bombardava Belgrado e la Serbia, i giornali italiani,annunciando il ritiro dellambasciatore italiano da Belgrado, esprimevano la preoccupazione chetale misura potesse pregiudicare le buone relazioni fra la Serbia e lItalia. Questa paura di guardarein faccia la realt in questo caso la guerra aiuta lorrore, che non si vuol vedere, a diffondersi,come un cancro di cui il malato non voglia accorgersi. Ci si vuole ingannare, in orrida buonafede.C un terribile aneddoto, non so se vero o falso, su Nelson: interrogato perch avesse continuato abombardare per due ore, anche dopo che i danesi si erano arresi, la loro flotta e Copenaghen, egliavrebbe risposto: Im damned if I have seen it! Avevo messo il cannocchiale sullocchio bendato.Vero o falso, laneddoto mostra come non si veda, non si voglia vedere la violenza.

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    La Terza Guerra Mondiale c stata, anche se la maggior parte degli europei hanno avuto lafortuna di non pagarne il prezzo di sangue. Venti milioni di morti dopo il 1945, pi o meno; adifferenza delle vittime della Seconda, pressoch ignorati e dimenticati, esposti all ulterioreviolenza delloblio. Indulgiamo allillusione di vivere senza guerra, perch il Reno non pi unconfine conteso con ecatombi di soldati o perch sul Carso non c pi quella frontiera, vicina a

    Trieste, che era linvalicabile Cortina di Ferro e una miccia accesa.Quella frontiera della mia adolescenza non divideva soltanto due universi politici, ma era anche

    un muro per escludere lEst sempre rifiutato, disprezzato e temuto o, come si diceva, laltraEuropa. Ogni Paese ha il suo Est da respingere. Oggi quella frontiera non stata cancellata, maspostata, per escludere un altro Est ancora pi orientale. Una frontiera, se viene vissuta non qualetransito bens quale muro, quale muraglia contro i barbari, un latente potenziale di guerra.

    Sono altri oggi i confini che minacciano la pace, confini talora invisibili allinterno delle nostrecitt, fra noi e i nuovi arrivati da ogni parte del mondo, che stentiamo perfino a vedere perch, comedice la canzone di Mackie Messer, sono al buio. Non solo sulle coste italiane arrivano clandestini infuga, scambiati per pirati venuti a saccheggiare. Le reazioni a tale esilio scambiato per invasionesono isteriche, sintomatiche nella loro brutalit. Nel 2000 un noto uomo politico italiano, divenutopoi Ministro della Repubblica, si rec a Lodi, in Lombardia, nel luogo in cui si doveva costruireuna moschea, tirandosi dietro al guinzaglio un maiale per offendere gli immigrati musulmani chechiedevano quella moschea. Pure questo un piccolo atto di guerra.

    Spero, da patriota italiano, che il mio peraltro incantevole Paese non sia, ancora una volta,allavanguardia in senso negativo: il fascismo, dopotutto, in Europa lo abbiamo inventato noi, anchese poi altri ci hanno ben superato nello zelo. Il nuovo populismo, oggi serpeggiante un podovunque in Europa, sta creando, ha scritto Massimo Salvadori, democrazie senza democrazia.Esso una minaccia a questultima e alla pace ogni minaccia alla democrazia e qui siamo in untempio, anzi in una culla della democrazia - minaccia alla pace, qualsiasi forma essa assuma enon ha nulla a che vedere col classico fascismo, termine tirato in ballo a sproposito come unostupido ritornello.

    Questo populismo una gelatinosa totalit sociale, che distrugge alcuni valori fondamentali,ogni sentimento del lecito e dellillecito, del rapporto tra il bene dellindividuo e il bene comune.

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    Sentimento che non sufficiente ma necessario avere, per poter almeno sperare di costruiregiustizia e dunque pace.

    Senza la prima, non c la seconda; linsofferenza crescente per la legge che persegue i reati e lalimitazione del potere della magistratura che li persegue esprimono il torvo sogno di una vita senzalegge o con meno legge possibile, ossia di una giungla, di una condizione di bellum omnium contra

    omnes, in cui i forti trovino pochi ostacoli nello schiacciare i deboli. In unintervista televisiva del 3maggio 2003, riportata due giorni dopo sul Corriere della sera, il professore di filosofia ToniNegri delle cui elucubrazioni pseudo rivoluzionarie si sono verosimilmente nutrite le BrigateRosse sotto il cui imbecille piombo reazionario sono caduti molti rappresentanti dellItalia migliore,quella pi aperta e volta ad una societ diversa e pi libera ha dichiarato pubblicamente la propriasolidariet a Berlusconi, in quanto entrambi perseguitati dalla magistratura.

    Ma questi rischiano di essere discorsi soltanto morali, come se le minacce di guerra derivasserosolo dallindegnit di alcune, anche numerose, persone. La guerra nellaria come una minaccia ouna realt oggettiva. Stiamo seduti noi, abbastanza comodamente sullorlo di un vulcano, con lasensazione che da un momento allaltro esso potrebbe eruttare valanghe di lava infuocata e che ilmondo, come dice il detto ebraico, potrebbe essere distrutto fra la sera e il mattino. Lordine del

    mondo, di cui godiamo, poggia in buona parte sul disordine, su una perfidia, come direbbeMichael Kohlhaas. E facile e doveroso criticare la barbarie di chi respinge gli immigrati, mapotrebbe venire il momento in cui il numero di nostri concittadini del mondo giustamente desiderosidi sfuggire a condizioni di vita intollerabili divenisse cos grande da rendere ad essi materialmenteimpossibile trovare posto, generando cos conflitti insostenibili e in forme imprevedibili, anchemolto diverse da ci che tradizionalmente chiamiamo guerra.

    Questultima sta assumendo tanti volti; si insinua e si mimetizza nelle pi diversemanifestazioni; non solo la strage del Biafra, l11 settembre a New York o le tonnellate diisocianato di metile a Bhopal, che hanno fatto tanti pi morti. Guerra il traffico di organi strappatia bambini assassinati a tal fine, lininterrotta catena di assassinati dalla mafia per difendere il suofatturato di grande multinazionale. Oggi la guerra senza limiti, come dice il capolavoro di Qiao

    Liang e Wang Xiangsui, un vero Clausewitz del Duemila. Dinanzi alle dimensioni mondiali di talipossibili catastrofi, lattuale debolezza e sconnessione dellEuropa appaiono doppiamente penose ecolpevoli. Solo unEuropa realmente unita, un vero Stato naturalmente federale, decentrato potrebbe avere la capacit (e avrebbe il dovere) di affrontare problemi che non sono pi nazionali.AllEuropa spetta il grandioso e arduo compito di aprirsi alle nuove culture dei nuovi europeiprovenienti da tutto il mondo, che vengono ad arricchirla con le loro diversit. Si tratter di metterein discussione noi stessi e di aprirsi al massimo dialogo possibile con altri sistemi di valori, matracciando le frontiere di un minimo ma preciso quantum di valori non pi negoziabili, daconsiderare acquisiti per sempre e da rispettare come assoluti che non vengono pi messi indiscussione. Pochi ma netti valori, come ad esempio luguaglianza di diritti fra tutti i cittadini aprescindere da ogni differenza di sesso, di religione o di etnia. Ma finch lEuropa sar ancora

    unAzione Parallela, la nostra realt, come quella musiliana, sar campata in aria.Molte utopie di paradisi in terra sono cadute, ma non certo caduta lesigenza che il mondo

    debba essere non solo amministrato, ma soprattutto cambiato. ndere die Welt: sie braucht es!,esorta un verso di Brecht. Cambialo anche quando tutto ti spinge a credere che ci sia impossibile.Nei primi giorni del novembre 1989, quando era gi in corso la grande protesta a Berlino Est, ungiovane regista tedesco orientale attivamente impegnato in quella protesta disse che il decorso deglieventi era imprevedibile, ma che purtroppo il Muro sarebbe certo durato ancora per anni. Due o tregiorni dopo il Muro non cera pi e lui era uno di quelli che avevano contribuito ad abbatterlo, manemmeno lui laveva creduto possibile, come non lavevo creduto io, perch siamo quasi tutti ciechiconservatori, convinti che lordine o il disordine delle cose in cui viviamo sia immutabile, lo stadiofinale della Storia. Non crediamo nelleterno, ma crediamo che il presente sia eterno.

    *Signore e signori, mi sarebbe difficile accettare con buona coscienza questo premio, le

    generose parole della sua motivazione e quelle altrettanto generose, cos spiritualmente affini

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    dellamico Karl Schlgel, specialmente pensando alla grandezza di molti altri che lo hannoricevuto, se non sapessi che ogni premio va non soltanto a noi, ma anche a tante altre persone concui dovremmo spartirlo, senza le quali non saremmo quello che siamo, cos come ora le mie paroleappartengono anche a Ragni Maria Gschwend che le ha tradotte; persone che hanno condiviso lanostra esistenza o l hanno incrociata magari solo per un attimo, facendoci vedere e capire qualcosa

    di essenziale. Gregorio Magno diceva che, senza i suoi fratelli, non avrebbe compreso certe cosefondamentali della vita e questo vale anche per chi non Papa. Certo, chi non Papa sa bene didovere queste cose fondamentali non solo ai fratelli, ma anche o magari soprattutto alle sorelle.Sono felice di ricevere un simile premio in Germania, perch la Germania per me non un Paesestraniero, bens un po una seconda patria, dove mi sento a casa e a casa, di solito, si vienegiudicati pi severamente che l dove non si conosciuti ed pi facile imbrogliare le carte e farsiprendere per chissachi. Non vorrei soltanto che la giuria, che ha cos generosamente menzionatopure i miei studi sulla Mitteleuropa absburgica, avesse violato un principio basilare di quella civilt,in cui, diceva Musil, succedeva spesso che un genio venisse preso per un babbeo, ma non accadevamai che un babbeo venisse preso per un genio.

    Dunque, anche dopo questa grande giornata, continuer, guardandomi nello specchio al mattino

    quando mi faccio la barba, a ricordarmi di quella storia che mi ha raccontato il mio amico NathanWiesenfeld, un tempo presidente della comunit ebraica di Trieste. Era venuto a Trieste con la suafamiglia ebraico-orientale agli inizi del Fascismo, quando Mussolini esercitava certo la violenzacontro gli avversari politici e soprattutto contro gli slavi, ma non era ancora esplicitamenteantisemita. Cos suo padre era orgoglioso della nera uniforme di Balilla (la giovent diMussolini), di suo figlio ragazzino e lo costringeva ad indossarla il pi spesso possibile e apasseggiare con lui, lui sempre con il suo caffettano, per le vie di Trieste, cercando di incontrare igerarchi fascisti, e quando ne incontrava uno, diceva al figlio, in jiddisch: Hejb die Hand,meschugge!. E cos io, guardandomi nello specchio mentre mi faccio la barba e pensando a tantecantonate che ho preso, anche se meno tragiche, saluto la mia immagine nello specchio dicendo:Hejb die Hand, meschugge!.

    Vi ringrazio e vi abbraccio tutti