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Aprile 2021 ENERGIA VITALE

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Aprile 2021ENERGIAVITALE

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Direttore responsabile: Stefano CuzzillaVice Direttore: Dina GalanoIn redazione: Assunta Passarelli, Antonio SorieroWeb Manager: Federico Romani

Provider e sviluppo grafico: Selda Informatica s.c. a.r.l.

Redazione: Roma – via Ravenna, 14 Telefono: 06-44070236 / 261 [email protected]

Sito web: progettomanager.federmanager.it

Editore: Manager Solutions srl sede legale: Roma - Via Ravenna 14 - 00161

Registrazione Tribunale di Roma n. 297 del 12.12.2013

Tipografia: Artigrafiche Boccia spa

Finito di stamparemaggio 2021

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IN QUESTO NUMERO…

Comunità energetica

Transizione

ProsumerFusione

Energia

H2

Condivisione

Rinnovabili AieeSmart grid

Pnrr

Sardegna

CostiSuperbonus

Ricerca

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LEGGI I NUMERI PRECEDENTIINTERVISTE, APPROFONDIMENTI E ANALISI SUL MONDO DEL MANAGEMENT E NON SOLO

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Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, elabo-rato dal governo Draghi, arriva sui tavoli di Bru-xelles con gli impegni che il nostro Paese intende assumere in relazione alle risorse, tante, erogate dall’Ue per aiutarci a ripartire.Il grande spazio che nel Pnrr è riservato al bino-mio energia-sostenibilità è assolutamente ap-propriato rispetto agli obiettivi che l’Unione si è data per i prossimi decenni. Si intitola infatti “Rivoluzione verde e transizione ecologica” la missione numero 2 del Piano che prevede lo stanziamento economico di maggiore impatto: oltre 59 miliardi di euro, di cui circa 24 destinati alla componente “Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile” e oltre 15 alla componente “Efficienza energetica e riqualifi-cazione degli edifici”. Numeri che danno il senso di una rivoluzione, appunto. E che dovrebbero indurci a cambiare il modo di pensare all’energia nel nostro Paese. I traguardi all’orizzonte sono davvero ambiziosi: puntare sull’energia pulita, come le rinnovabili sperimentali, per tagliare progressivamente le emissioni, promuovere la ricerca sull’idrogeno e il suo impiego, anche grazie alle nuove tecnologie di settore, investire in efficienza energetica. Il cambiamento necessario passa da un’idea nuova: consumare “meglio”. Le aziende hanno bisogno di un notevole apporto energetico per produrre, ma non è più consentito sacrificare il pianeta sull’altare della produzione. L’energia che dà vita alle imprese dovrà arrivare

da risorse pulite e si dovrà puntare sulla compo-nentistica innovativa che consente un aumento dell’efficienza energetica dei processi.C’è il problema dei costi, più alti da noi che al-trove, e c’è quello di un approvvigionamento energetico che ci vede ancora troppo dipendenti dall’estero. Noi, che sole e vento e acqua abbia-mo in abbondanza, viviamo un presente ancora troppo vincolato alle politiche energetiche di al-tri Paesi. Pertanto, volendo guardare al futuro, dobbiamo riconoscere che l’innovazione sarà un elemento chiave della prossima transizione energetica ed ecologica. Ma per innovare è necessario investire. Innanzitutto ponendo l’accento sul tema della formazione e ricerca, a cui l’Italia deve dedica-re maggiore attenzione. Dalla scuola di base fino ai più alti livelli di specializzazione accademica e professionale, per realizzare una rivoluzione cul-turale, ancor prima che “industriale”, servono le competenze.Non è un caso che da tempo stiamo promuo-vendo la figura del manager per la sostenibilità, un profilo che guarda al mercato futuro, alle im-prese che dovranno trasformarsi, ai territori che potranno diventare protagonisti. Ne stiamo par-lando con le istituzioni per stimolare il dialogo tra pubblico e privato, essenziale perché gli obiettivi fissati dal Pnrr vadano in porto. Siamo pronti a rimettere in moto l’Italia per rea-lizzare una crescita davvero sostenibile.

L'EDITORIALE DI STEFANO CUZZILLA

Il Pnrr genererà nuova energia

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INTERVISTE, ANALISI, APPROFONDIMENTISUL MONDO DEL MANAGEMENT E NON SOLO

PER RICEVERLO OGNI MESEISCRIVITI SUL SITOprogettomanager.federmanager.it

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Quando si parla di energia, l’Italia è protagonista per vocazione.Le nostre eccellenze nell’ambito della ricerca e dell’industria di settore sono frutto di una storia consolidata, per cui possiamo proiettarci verso il futuro con un certo ottimismo, consapevoli della tradizione che rappresentiamo.Il tema delle Comunità energetiche è oggi all’at-tenzione della politica e dei media, perché esse potranno costituire un tassello importante nel mosaico della transizione green a cui il Paese sta lavorando. Saranno supportate dal nuovo Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e rappre-sentano un caso paradigmatico di benefica siner-gia tra dimensione local, in cui possono trovare crescente applicazione, e prospettive global di tutela del pianeta.Noi partiamo da esperienze passate che ci han-no già dimostrato i vantaggi di un modello fatto di produzione energetica sostenibile e ricadute socioeconomiche positive per i territori di riferi-mento. Le prime espressioni risalgono all’inizio del secolo scorso e sono note come cooperative elettriche storiche. È questa la denominazione, ad esempio, che Arera ha riconosciuto al Consor-zio elettrico industriale di Stenico (Ceis), costitu-ito nel 1905 a Tavodo in Trentino: oltre 115 anni di attività in cui sono state poste le basi di un pre-sente che parla di energia prodotta interamente da fonti rinnovabili, idroelettrico e fotovoltaico, e distribuita sul territorio con attenzione agli aspet-

ti dell’efficienza e della salvaguardia ambientale.È da best practice come questa che si può partire con fiducia per lo sviluppo di realtà che mettano al centro la condivisione dell’energia, con l’obiet-tivo di soddisfare le esigenze di approvvigiona-mento e di favorire i processi di distribuzione, avvalendosi delle nuove possibilità offerte dalla tecnologia. Naturalmente, per fare in modo che il nuovo mo-dello delle Comunità energetiche si affermi in Italia come in altri paesi esteri, c’è bisogno di ma-nagerialità. Nella visione, nella programmazione e nella gestione delle risorse che serviranno a realizzare gli interventi necessari. L’energia ha bi-sogno di manager, ed è sempre stato così, come dimostrano le tante figure di primo piano nel ma-nagement di settore. È un concetto importante, che ribadiremo il 20 maggio prossimo quando presenteremo alla po-litica e al mondo dell’impresa il rapporto realizza-to insieme all’Associazione italiana economisti dell’energia (Aiee), dedicato proprio al tema delle Comunità energetiche. Uno studio approfondito che ripercorre la normativa di riferimento, nazio-nale ed europee, e le caratteristiche tecnico-or-ganizzative delle Comunità, evidenziando i tanti benefici in termini economici, ambientali e occu-pazionali per i cittadini. Sono loro, siamo tutti noi, gli attori principali di un deciso cambio di rotta che aiuti le nuove generazioni a vivere in un futu-ro sostenibile.

IL PUNTO DI MARIO CARDONI

Comunità energetiche, tra passato e futuro

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SOM

MA

RIO IN PRIMO PIANO

08 La sostenibilità è politica AUTORE ALESSANDRO LANZA

BIANCA E VOLTA11 Chi paga il conto AUTORE DAVIDE TABARELLI

A COLLOQUIO CON14 Più potenza alle rinnovabili AUTORE MONICA DALL'OLIO

STUDI E RICERCHE17 Energia di prossimità AUTORE CARLO DI PRIMIO E SANDRO NERI

STORIE20 Condivisione energetica AUTORE MATTEO CAROLI

24 Comuni fuori dal comune AUTORE ANTONIO SORIERO

DALL'ESTERO26 Tutti i colori dell'idrogeno AUTORE SERGIO MATALUCCI

SCENARI29 L'energia delle stelle AUTORE MARCO RIPANI

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IN PRIMO PIANO

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LA SOSTENIBILITÀÈ POLITICA

AUTORE: ALESSANDRO LANZA - TEMPO DI LETTURA: 4 MINUTI

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Alcune parole stanno perdendo il loro significato per abuso di narrazione. Per porre il giusto accento sui concetti di transizione energetica ed ecologica, è bene intendersi su quali risorse ci conviene investire

Esaurire il tema delle politiche energetiche nello spazio di un articolo è impossibile, ma può esse-re certamente utile definirne meglio alcuni peri-metri concettuali, contribuendo a chiarire una ter-minologia che troppo spesso, per abuso, perde di significato.Parto dalla parola “transizione”, energetica ma in primis ecologica.La transizione ecologica è un concetto che ha ra-dici lontane, i cui prodromi sono riconducibili alla metà del secolo scorso. Il primo rapporto sullo stato dell’ambiente e del mondo è datato 1951, a firma dell’Unione internazionale per la conserva-zione della natura: si affaccia la relazione tra attivi-tà antropiche e impatto ambientale e si avvia uno spazio di riflessione non ancora risolto. A seguire, I limiti dello sviluppo (Club di Roma, 1972) e il Rapporto Burtland (1987) segnano tap-pe fondamentali per la definizione del concetto di sviluppo sostenibile e la conseguente necessità di una “transizione”. Ma evidenziano un’altra faccia della medaglia, quella dei “bisogni”.È bene ricordare la cosiddetta “identità di Kaya”, che identifica l’aumento del tasso di anidride car-bonica nell’atmosfera terrestre con una semplice relazione tra quattro fattori: emissioni di carbonio per unità di energia consumata; energia consuma-ta per unità di Pil; Pil pro capite; popolazione. Detto altrimenti: aumento delle emissioni come diretta conseguenza dell’aumento del Pil mondia-le e della popolazione, mitigazione dell’aumento grazie all’incremento di efficienza energetica e alla riduzione del contenuto di carbonio per unità di energia. Sappiamo che negli ultimi 60 anni il fabbisogno di energia è aumentato di almeno 10 volte, il Gdp di 20 volte, la popolazione mondiale si è quintupli-cata. Nello stesso periodo, la quota di energia di-sponibile da fonte fossile è diminuita solo del 10% e non si sono verificati aumenti di efficientamento tali da bilanciare la relazione. Qual è la possibile causa di questo squilibrio?

Non si è verificata alcuna transizione tecnologi-ca, fatta forse salva l’eccezione dell’utilizzo del petrolio per rispondere a una crescente richiesta di mobilità individuale. Non si sono disvelate nuo-ve tecnologie dirompenti, ma timidi miglioramen-ti incrementali.Anche l’idrogeno, oggi uno dei potenziali protago-nisti della decarbonizzazione dei sistemi energeti-ci - che per inciso ricordo essere un vettore ener-getico, non una fonte di energia - non rappresenta un cambiamento di paradigma nonostante Jules Verne, già nel 1864, scrivesse: l’acqua è il carbone dell’avvenire.

Forse la fusione nucleare, tra 50 anni, potreb-be rappresentare l’inizio di una vera transizio-ne tecnologica. Com’è noto la fusione oggi è economicamente insostenibile poiché la produ-zione di energia è significativamente inferiore alla domanda di energia necessaria per sostenere il processo stesso. È però una via tecnologicamente percorribile, e gli sforzi industriali e finanziari do-vrebbero sempre più orientarsi in questa direzione, superando resistenze, per così dire, politiche.Qui si affaccia un altro doveroso chiarimento ter-minologico, quello di sviluppo sostenibile. La sostenibilità deriva dal campo delle scienze naturali: non riguarda le risorse esauribili, quanto la capacità di rinnovamento di una risorsa, come può essere lo stock di pesce pescato o la gestione attiva di una foresta.La sostenibilità è un fatto eminentemente politico, non tecnologico o ingegneristico. È un

Negli ultimi 60 anni il fabbisogno di energia è aumentato di almeno 10 volte, il Gdp di 20, la popolazione mondiale è quintuplicata

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modo di guardare le cose, di essere come indi-vidui, imprese, nazioni. E la politica - le politiche energetiche - è la dorsale necessaria per orienta-re a livello globale la riduzione di emissioni di gas climalteranti. Oggi i segnali di una reale convergenza politica planetaria sulla mitigazione del cambiamen-to climatico sono discordanti, oltre il velo delle buone intenzioni. Ricordo, ad esempio, l’ultima conferenza mondiale del clima di Madrid come un’occasione in parte mancata. Attendo la pros-sima Cop26 che si terrà tra qualche mese, dove dovranno essere finalmente rivelate le reali stra-tegie dei governi mondiali per la riduzione delle emissioni globali in coerenza con l’Accordo di Parigi del 2015. Gli incontri recentemente pro-mossi dagli Stati Uniti - ed i rinnovati limiti alle emissioni - rappresentano un ottimo punto da cui ripartire. Anche l’Unione europea, con l’European green deal, lancia un piano ambizioso per il clima e l’ambiente, finalizzato a raggiungere emissioni net-zero entro il 2050 per l’intero continente. In questo contesto le imprese, e soprattutto i mercati, non stanno a guardare. I fattori di go-vernance ambientale, sociale e aziendale (Esg) sono criteri di investimento non più “cosmetici”, ma dirimenti. Un’azienda che non vuole perdere competitività deve dare centralità strategica alla

rendicontazione dei propri processi e prodotti in termini di emissioni, dirette o indirette. I mercati apprezzano, o deprezzano, con sempre maggior attenzione ai criteri etici. E le imprese sono d’altra parte oggi protagoniste in una partita cruciale per la sfida della transizione energetica: quella dell’in-novazione tecnologica.I dati del recente studio Istat Ricerca e sviluppo in Italia, anni 2018-2020 mostrano con evidenza il ruolo del privato. Dei 25,2 miliardi di euro spe-si complessivamente in R&S in Italia nel 2018 la quota parte delle aziende è pari a 15,9 miliardi, il 63% del totale, corrispondente allo 0,9% del Pil. E ancora, il 2019 ha segnato un +1,9% di investimen-to per le imprese. Allargando lo spettro, la Europe 2020 strategy pre-sentata nel 2010 dalla Commissione europea au-spicava un aumento degli investimenti nazionali in ricerca e sviluppo pari al 3% del Pil. L’Italia, nel documento poco sopra riportato, si è posta per il 2020 un obiettivo di spesa pari all’1,53% del Pil.Ecco, quindi, che il tema delle politiche energeti-che torna al suo correlato di complessità: è politi-ca, in senso stretto. È la responsabilità di fissare degli obiettivi e avere la forza per onorarli, senza esitare a sostenere chi - questi obiettivi - può con-tribuire a raggiungerli.Ma questa è un’altra storia, è un altro articolo.

IN PRIMO PIANO

LA SOSTENIBILITÀ È POLITICA

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CHI PAGAIL CONTO

AUTORE: DAVIDE TABARELLI - TEMPO DI LETTURA: 2 MINUTI

BIANCA E VOLTA

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BIANCA E VOLTA

CHI PAGA IL CONTO

Il secondo Paese manifatturiero d’Europa, l’Ita-lia, nel 2019, prima della catastrofica pandemia, aveva un Pil che era ancora inferiore a quello del 2008, quando arrivò la pesante recessione cau-sata dalla crisi finanziaria. Siamo l’unico Paese all’interno del G20 che si è impoverito e fra le varie cause, una delle più importanti è la dein-dustrializzazione a cui contribuisce, a sua volta, il prezzo alto dell’energia elettrica, una debolez-za che da sempre caratterizza il nostro sistema energetico. Le riforme verso le liberalizzazioni e privatizza-zioni avviate alla fine degli anni ’90 non hanno risolto il problema, mentre la prossima rivo-luzione energetica annunciata per salvare il pianeta dalla catastrofe ambientale, rischia di peggiorarlo.Attualmente i prezzi dell’elettricità in Italia, per le imprese più rappresentative, oscillano fra i 15 e i 18 centesimi di euro per chilowattora, valori fra i più alti nell’Unione europea, dove la media è di 12 centesimi. Siamo superati dal Re-gno Unito, dove i prezzi stanno salendo per un impegno molto spinto sulla transizione, ma il loro manifatturiero non conta molto.

Più alti dei nostri prezzi sono quelli della Ger-mania dove alla grande industria sono state da tempo ridotte alcune componenti delle bollette, quelle relative agli incentivi alle fonti rinnova-bili. In Germania, la grande industria ha un ruo-

lo maggiore nella struttura economica, a diffe-renza di quanto accade in Italia dove, invece, conta molto la piccola e media.In ritardo, da noi è stato fatto lo stesso per i grandi consumatori, ma gli altri più piccoli con-tinuano a pagare prezzi molto alti. Altrettanto importante è il fatto che in Germania l’econo-mia negli ultimi quindici anni è cresciuta in ma-niera sostenuta, il contrario di quello che è ac-caduto da noi dove anche il sistema produttivo fa più fatica e sente di più il caro bollette. Nel 2021 la rivoluzione energetica attesa al 2030 poggia su un forte incremento delle fon-ti rinnovabili, eolico e solare fotovoltaico, i cui costi alla produzione sono crollati, ma che com-portano difficoltà tecniche dovute alla loro inter-mittenza, perché funzionano solo quando c’è il vento e quanto splende il sole.Per ovviare a ciò, serve tenere accese centrali tra-dizionali, di solito a gas naturale, pronte per par-tire non appena cala la produzione da rinnovabili. Questi impianti, perché siano disponibili, oc-corre pagarli attraverso meccanismi come il mercato dei servizi, o quello della capacità, tut-ti dispositivi che stanno spingendo sui prezzi dell’elettricità. Inoltre, servirebbero enormi ac-cumuli dove stoccare l’energia elettrica.Le batterie di grandi dimensioni, con la stessa tecnologia dei nostri telefonini, non sono an-cora disponibili, mentre si potrebbe ricorrere a laghi artificiali dove pompare l’acqua nei mo-menti di abbondanza per poi lasciarla cadere, e produrre elettricità, quando serve.Ma anche queste soluzioni sono costose, si de-vono scaricare sulle tariffe e nessuno le vuole sui territori. L’Europa vuole guidare la transizione energe-tica ma, come l’esperienza italiana purtroppo dimostra, è un pasto tutt’altro che gratis e a pa-gare il conto più salato sono le imprese.

L’Europa vuole guidare la transizione energetica ma, come l’esperienza italiana purtroppo dimostra, è un pasto tutt’altro che gratis. Soprattutto per la nostra manifattura

I prezzi dell’elettricità in Italia oscillano fra i 15 e i 18 centesimi per chilowattora, valori fra i più alti nell’Unione europea, dove la media è di 12 centesimi

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PIÙ POTENZAALLE RINNOVABILI

AUTORE: MONICA DALL’OLIO - TEMPO DI LETTURA: 4 MINUTI

A COLLOQUIO CON

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I “veterani dell’energia”, come loro stessi si definiscono, hanno scritto direttamente al premier Draghi. Il motivo? Realizzare una corretta transizione energetica, come spiega a Progetto Manager il direttore scientifico di Kyoto Club

Con Gianni Silvestrini parliamo di politiche dell’e-nergia, partendo dalla lettera recentemente invia-ta al Presidente del Consiglio Mario Draghi, della quale è cofirmatario insieme a Gianni Mattioli, Massimo Scalia e Vincenzo Naso.In qualità di esperti che “hanno contribuito a dise-gnare quarant’anni fa l’attuale struttura energetica del nostro Paese”, propongono una riflessione sui prossimi passi da fare in tema di questioni energetiche e sulla quanto mai urgente necessità di far fronte ai cambiamenti climatici e alle loro drammatiche conseguenze.Per Silvestrini, già direttore generale del Servizio inquinamento e rischi industriali del ministero dell’Ambiente e consigliere per le fonti rinnovabili dell’allora ministro dello Sviluppo economico Pier Luigi Bersani, la “rivoluzione energetica” può es-sere il cardine per ogni politica economica, indu-striale e sociale. Il dibattito è entrato in una fase cruciale, resa ancora più evidente dalla necessaria risposta alla crisi pandemica provocata dal Covid-19. Per l’esperto, «la debolezza della Ue sul fronte della produzione dei vaccini deve rappresentare un monito a non farsi trovare impreparati di fronte all’emergenza climatica».Quali sono gli obiettivi che ritiene perseguibili in tema di energia in relazione alla necessità di contrastare i cambiamenti climatici?L’Europa si è impegnata a diventare “climate neu-tral” entro il 2050 accelerando con decisione il processo di decarbonizzazione, che consiste nella drastica riduzione dell’uso di carbone, petro-lio e metano. Un obiettivo che si raggiungerà elet-trificando larga parte del settore dei trasporti e dell’edilizia e facendo crescere in contemporanea il contributo delle rinnovabili. La buona notizia viene dalla drastica riduzione dei prezzi di molte tecnologie, dal solare all’eolico, alle batterie. Oggi un modulo fotovoltaico costa dieci volte di meno rispetto ai valori del 2010.Ma è chiaro che si tratta di una transizione di

enorme portata basata su un consumo più intelli-gente dell’energia e sulla generazione di elettrici-tà green. Per quanto riguarda il solare, ad esem-pio, dovremo decuplicare l’attuale potenza. Nei prossimi decenni la diffusione delle rinnovabili non verrà frenata dai costi, ma si dovrà affronta-re con intelligenza l’integrazione nel territorio. In questa direzione vanno i recenti sviluppi dell’agri-voltaico che consente di abbinare la produzione agricola a quella solare e i progetti dell’eolico off-shore in mare aperto.

Come valuta le politiche energetiche messe in campo dall’attuale Governo?L’elettricità verde ha viaggiato con il freno a mano tirato negli ultimi sette anni, e questa situazione va invertita, considerando che dovremo garantire con le rinnovabili oltre due terzi dei consumi elet-trici al 2030 (oggi siamo al 35%).Il principale motivo del mancato sviluppo del mercato è legato alla lentezza dei procedimenti autorizzativi e andranno valutate le proposte per sciogliere questo nodo.Un altro impegno che spetta al Governo è la ra-pida rivisitazione del Piano nazionale integrato energia e clima, il Pniec, che era stato predispo-sto poco più di un anno fa e prevedeva di ottenere alla fine di questo decennio una riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 37% rispet-to al 1990. Ma nel frattempo l’Europa si è data l’obiettivo di ridurre al 2030 del 55% i gas climal-teranti. Ci aspettiamo quindi un salto deciso del livello delle ambizioni, con importanti ricadute

La buona notizia è la riduzione dei prezzi di molte tecnologie: oggi un modulo fotovoltaico costa 10 volte di meno rispetto al 2010

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sulla crescita delle rinnovabili, della mobilità elet-trica e delle politiche di efficienza. Quali, invece, le impressioni sulle linee del nuo-vo ministero della Transizione ecologica?Accanto a proposte ragionevoli, sono emerse dichiarazioni francamente stonate sul green hy-drogen o sul superamento dell’uso delle batterie. Un punto di vista in controtendenza rispetto alle strategie e ai colossali investimenti delle princi-pali case automobilistiche. Un’altra dichiarazione che ha fatto discutere ri-guarda la fusione nucleare, una fata morgana che continua ad allontanarsi nel tempo. Il proget-to internazionale Iter prevede la generazione di energia elettrica a metà secolo. Sembra del tutto logico investire risorse nelle tecnologie che pos-sono accelerare il processo di decarbonizzazione nel breve e medio termine.Che cosa ritiene andrebbe inserito nel Pnrr?Una parte dei finanziamenti dovrebbe servire alla creazione in Italia, certamente in connessione con altri paesi, di una solida base della capacità produttiva green, dagli elettrolizzatori alle celle a combustibile, dal fotovoltaico all’eolico, dai veico-li elettrici alle batterie.Sul solare va sottolineato che il ricorso all’auto-mazione ha ridotto tanto i costi di produzione da rendere rilevanti le spese di trasporto dall’Oriente nella comparazione con le fabbriche europee.La stessa attenzione dovrebbe essere posta su-gli elettrolizzatori per produrre idrogeno verde, che sul lungo periodo avrà uno spazio decisa-mente maggiore e costi inferiori rispetto all’idro-geno blu.E dovremmo creare un’industria produttrice di batterie al litio (rafforzando le prime esperienze avviate) e di autobus elettrici.Nella vostra lettera parlate dei distretti indu-striali per le fonti rinnovabili. Come possono contribuire alla transizione energetica?Esistono in Italia 150 distretti manifatturieri che si differenziano tra loro per specificità produttive e per localizzazione geografica. In futuro assumerà un ruolo sempre più importante la connessione tra imprese in una logica circolare ed energetica. I rifiuti di un’impresa possono diventare input per un’altra. E si stanno immaginando distretti dell’i-

drogeno, hydrogen valley, per collegare la pro-duzione dalle rinnovabili di idrogeno verde con le possibili utenze e per ottimizzare la realizzazione di infrastrutture. Più in generale si potranno crea-re delle Comunità energetiche con chiari vantag-gi per le aziende che vi parteciperanno.La sfida per arrivare a decarbonizzare l’econo-mia italiana in soli trent’anni ha implicazioni gi-gantesche e obbligherà non solo a ripensare la produzione dell’energia, con un ruolo sempre più spinto delle rinnovabili, ma anche a rivedere i pro-cessi produttivi e a incrementare le sinergie tra i vari comparti.

Ha citato le Comunità energetiche. Quale può essere il loro ruolo?Le nuove regole previste dal recepimento delle direttive sulle rinnovabili e sul mercato elettrico sanciranno il decollo delle Comunità energetiche a partire dal 2022 consentendo la produzione e gli scambi di energia tra produttori e consumatori all’interno di quartieri urbani e aree industriali. I primi interessanti progetti legati al decreto Mil-leproroghe, spesso con una forte caratterizza-zione sociale, iniziano faticosamente a partire, anche se devono scontare il limite ammesso di 200 kW di potenza rinnovabile. In futuro vedre-mo coalizioni ampie di utenti che collaborano con l’obiettivo di produrre, consumare e gestire l’energia attraverso più impianti energetici locali. Potremo vedere anche il coinvolgimento dei cit-tadini di centri urbani in comunità allargate che coinvolgono sistemi solari, parchi eolici, dige-stori anaerobici installati nei territori circostanti. Una soluzione destinata a favorire il consenso e a distribuire i benefici tra le popolazioni.

Si stanno immaginando delle hydrogen valley per collegare la produzione di idrogeno verde alle possibili utenze e per ottimizzare la realizzazione di infrastrutture

A COLLOQUIO CON

PIÙ POTENZA ALLE RINNOVABILI

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ENERGIA DI PROSSIMITÀ AUTORE: CARLO DI PRIMIO E SANDRO NERI - TEMPO DI LETTURA: 4 MINUTI

STUDI E RICERCHE

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Le Comunità energetiche costituiscono aggre-gazioni volontarie di cittadini, imprenditori socia-li, Pmi, autorità locali, enti territoriali, cui la legge riconosce personalità giuridica, che si organizza-no ed investono per produrre e auto consumare energia rinnovabile, diventando attori del mercato (prosumer) e fornitori di energia e di servizi ai pro-pri soci. Tali attività non hanno una mera finalità commerciale, né possono prescindere dal ruolo delle società di distribuzione e dalla connessione alla rete elettrica ma sono svolte nell’interesse dei soci della Comunità per meglio soddisfare le loro esigenze in materia di energia.La normativa che regola le Comunità energeti-che è in fase di assestamento e deve ancora essere recepita la direttiva Ue che regola la ma-teria. Esistono due tipi di Comunità energetiche: le Cer (Comunità energetiche rinnovabili), che esercitano attività aventi ad oggetto esclusiva-mente energia proveniente da Fer (Fonti rinno-vabili), e che sono le sole attualmente regolate in Italia; le Cec (Comunità energetiche del cit-tadino), che impiegano energia prodotta anche con altre modalità (cogenerazione, energy reco-very) e che sono previste esplicitamente nella direttiva 2001 del 2018 che costituisce la prima forma di regolamentazione della materia da parte della Commissione europea.Come già detto, entrambe sono impostate pre-vedendo la partecipazione democratica aperta ai soggetti privati ed istituzionali del territorio di riferimento della Comunità, con l’obiettivo di for-nire loro benefici ambientali, economici e sociali, riducendo i costi in bolletta e gli sprechi di energia ed altri servizi. Nelle Cec, però, grazie ad una visione cittadi-no-centrica in cui quest’ultimo è il protagonista del processo di transizione in un’ottica di “Homo faber fortunae suae”, i membri della Comunità diventano parte integrante del sistema, con una possibilità di moltiplicazione dei servizi resi, ad esempio nell’area dell’efficientamento nell’uso e

nella produzione dell’energia (cogenerazione), nell’energy recovery dai rifiuti, nel superamento della povertà energetica, ecc. Nello scenario italiano lo sviluppo delle Comu-nità energetiche finora ha stentato a partire, anche se non rappresentano una novità. In pas-sato, infatti, fin dagli anni ’20 in Alto Adige e in Friuli sono nati dei consorzi per sfruttare alcune derivazioni idriche o i più recentemente si sono sviluppati consorzi d’acquisto o di gestione di reti di teleriscaldamento. I numeri sono però ancora poco significativi rispetto ad altri paesi, soprattutto del nord Europa.Infatti, secondo il rapporto “Energy communities: an overview of energy and social innovation 2020”, al momento della rilevazione in Italia si avevano solo 41 Comunità energetiche mentre in Europa erano operative 3.500 Comunità energetiche, di cui 1.750 in Germania, 700 in Danimarca, 500 nei Paesi Bassi.

Va detto però che il fenomeno delle Comunità energetiche è relativamente giovane e il Parla-mento europeo ha iniziato a emettere normative solo nel 2018 ma negli ultimi anni ha subito una brusca e rapida accelerazione e sia il Parlamento europeo che anche il Parlamento italiano con i go-verni che si sono succeduti ne hanno favorito la diffusione, con la rimozione di alcuni impedimen-ti all’autoconsumo, con l’adozione per esempio di misure fiscali che hanno previsto la possibilità per

Non abbiamo grandi numeri come nel nord Europa, ma anche qui da noi le Comunità energetiche stanno crescendo: un modello che interessa le fasi di produzione, distribuzionee consumo, responsabilizzando tutti gli attori coinvolti

Solo negli ultimi anni la normativasul tema ha avuto un'accelerazione. Sono state introdotte misurea favore dell'autoconsumo e del superbonus

STUDI E RICERCHE

ENERGIA DI PROSSIMITÀ

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le Comunità energetiche di accedere al superbo-nus per la realizzazione di progetti rinnovabili, con la regolazione economica da parte di Arera dell’e-nergia condivisa nell’ambito delle Cer.In quest’ottica si potranno sviluppare modelli in cui la Comunità potrà identificarsi anche con un condominio, o realtà più vaste come il quar-tiere o distretti industriali. A questo riguardo va citato il progetto Geco che ha come obiettivo la creazione di una Comunità di energia green di quartiere nel distretto di pilastro - Roveri di Bologna. I principi su cui si fonda tale progetto sono il decentramento e la localizzazione della produzione energetica che, tramite il coinvolgi-mento di diverse realtà, intende creare una co-munità di energy citizens in grado di produrre, consumare e scambiare energia in un’ottica di auto-consumo.Il tema delle Comunità energetiche nei suoi di-versi aspetti, giuridici, economici, energetici, è analizzato dal rapporto Aiee - Federmanager “Il ruolo delle Comunità energetiche nel processo di transizione verso la decarbonizzazione”. Il rapporto, che sarà presentato a breve, affronta anche il contributo che queste ultime saranno chiamate a dare nel processo di transizione e l’impatto che una crescita significativa delle Co-munità energetiche è destinata a produrre: sul piano economico, in termini di investimenti, di costi dell’energia e di sistema, di benefici per il territorio; sul piano sociale, in termini di occupa-zione; sul piano sistemico, in termini di genera-zione diffusa, di sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, di innovazione tecnologica.In Italia, secondo uno studio del Politecnico di Milano, il potenziale massimo di diffusione del-le Comunità energetiche al 2030 viene valutato in 100 mila unità, con un volume di investimenti complessivi di 150 miliardi di euro. In una proie-zione al 2025, sempre nell’ipotesi di uno scena-rio di diffusione ambizioso, secondo lo studio, si dovrebbe raggiungere il numero di circa 40 mila Energy communities, con il coinvolgimento di 1,2 milioni di famiglie, oltre 200 mila uffici e poco meno di 10 mila piccole e medie imprese, con una crescita dei posti di lavoro di circa 10.500 unità e una potenza di fotovoltaico installata sti-

mata di circa 5.400 MW. Tutto questo comporte-rebbe una riduzione di perdite di rete di 98 GWh (circa 5 milioni di euro) e una diminuzione di co-sti di distribuzione e di trasmissione per l’utente finale di circa 720 milioni di euro. Non sono numeri di grande rilievo, sebbene tutt’al-tro che trascurabili, ma sono comunque indicativi di un cambiamento anche culturale, con un coin-volgimento e una partecipazione del cittadino alla gestione del territorio e di alcune delle attività eco-nomiche e dei servizi che lo riguardano.

Lo sviluppo delle Comunità energetiche, delle fonti rinnovabili e della generazione distribuita ri-sultano essere, dunque, tre colonne portanti della transizione verso la decarbonizzazione.Si tratta di un processo graduale non solo per sensibilizzare le comunità locali, in un’ottica di superamento del concetto di nimby necessario per un più rapido sviluppo delle fonti rinnovabili, ma anche per renderli consapevoli dei vantaggi dell’essere prosumer e di poter gestire diretta-mente altri servizi d’interesse della comunità e del territorio, con positive ricadute sul piano eco-nomico e ambientale misurabili direttamente dal cittadino - prosumer.Anche per questo, nell’attuale fase di assetto regolatorio, va considerato favorevolmente una estensione del ruolo delle Comunità energeti-che, per renderlo più vicino alla configurazione delle Comunità del cittadino (le Cec), in modo da ampliare le sue opportunità e il suo contributo alla transizione verso un sistema decarbonizza-to nell’ottica di una economia circolare di cui le Comunità energetiche sono parte integrante e sostanziale.

Una proiezione del Politecnico di Milano stima al 2025 circa 40 mila Energy communities, con 1,2 milioni di famiglie, 200 mila uffici, 10 mila Pmi e 10.500 posti di lavoro in più

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CONDIVISIONEENERGETICA

AUTORE: MATTEO CAROLI - TEMPO DI LETTURA: 5 MINUTI

STORIE

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Le esperienze che stanno nascendo sui territori prospettano un futuro in rampa di lancio per le Comunità energetiche:fenomeno emergente di rinnovamento sociale che ambisce a diventare modello

Sono già realtà progetti che ben si innestano nel contesto locale e che sono efficaci ed efficienti anche in relazione all’ottimale funzionamento di tutto il sistema di generazione, trasmissione e di-stribuzione di elettricità su scala nazionale. Le tecnologie per la produzione e la distribuzione di energia su scala locale hanno raggiunto un li-vello di maturità̀ tale da allargare le opportunità di sviluppo delle Comunità energetiche; si tratta di un fenomeno emergente di rinnovamento socia-le, basato su una rilevante innovazione tecnologi-co-organizzativa e di business, che offre l’oppor-tunità agli attori locali di divenire protagonisti del sistema di produzione e consumo di elettricità.

La normativa europea e italianaLa determinazione delle caratteristiche delle or-ganizzazioni che dovranno guidare queste inizia-tive ha avuto un passaggio fondamentale nella normativa europea nell’ambito del Clean Energy for all europeans package - la direttiva Rinnova-bili (Red II) e la direttiva Mercato elettrico (Iem) - in cui sono state formalmente riconosciute e promosse a livello istituzionale. In particolare, la nuova direttiva europea 2018/2001 sulle fonti rinnovabili (Red II) ha infatti introdotto il concetto di renewable energy community (Rec), inquadrate come soggetti giuridici composti da un’aggrega-zione di utenze riconducibili a persone fisiche, Pmi o autorità locali che consumano l’energia prodotta da impianti rinnovabili ubicati negli stes-si luoghi in cui viene consumata.In Italia, il quadro regolativo di riferimento è la leg-ge 8 approvata il 28 febbraio (convertendo il d.l. 162 del 30 dicembre 2019 “decreto Milleproroghe 2020”) che ha introdotto la possibilità di creare Comunità energetiche e attivare progetti di auto-consumo collettivo di energia da fonti rinnovabili (Fer). Integrato dalla delibera di Arera (delibera 4 agosto 2020 318/2020/R/eel) con cui di fatto si realizza la fattibilità normativa delle Comunità energetiche, distinta dall’autoconsumo colletti-

vo e in rapporto al consumatore finale, integrati a loro volta dagli incentivi promulgati dal decreto Mise 16 settembre 2020 per le Comunità energe-tiche rinnovabili e l’autoconsumo.Nel nostro Paese, l’esperienza delle Comunità energetiche è, dunque, in “rampa di lancio”, ma vi sono già alcune evidenze interessanti.

I progetti pilotaLa Rse (Ricerca sul sistema energetico) ha effet-tuato una ricognizione di alcuni progetti pilota di Comunità energetiche e autoconsumo col-lettivo: in particolare, ha rilevato 9 casi pilota di autoconsumo collettivo e 6 progetti di Comunità energetiche. Si evidenzia, tra l’altro, la necessità di individuare dei “modelli” tipici che ben si inne-stino nel contesto locale e al tempo stesso siano efficaci ed efficienti anche in relazione all’ottimale funzionamento di tutto il sistema di generazione, trasmissione e distribuzione di elettricità su scala nazionale.

Un importante benchmark internazionale sul po-tenziale di queste iniziative è oggi visibile nel re-port prodotto dalla rete Rescoop, insieme con la Ngo “Friends of the earth Europe” ed Energy cities. Questo rapporto analizza 27 casi studio situati nel contesto europeo, incentrati sull’analisi delle dinamiche di gestione nella progettazione di part-nership. Ancora, il rapporto di Legambiente 2020 “Comunità sostenibili” ha illustrato un panorama di diverse iniziative di Comunità energetiche. Al-cune sono cooperative “storiche” che continuano

Rse (Ricerca sul sistema energetico) ha rilevato 9 casi pilota di autoconsumo collettivo e 6 progetti di Comunità energetiche

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a investire in innovazione e a trasformarsi con nuovi obiettivi, come E-Werk Prato, nel Comune di Prato allo Stelvio (Bz) che rappresenta una vera e propria multiutility di comunità con servizi che vanno dalla generazione elettrica fino alla rete di fibra ottica per wi-fi. La Acsm, che coinvolge il territorio delle Valli di Primiero e Vanoi in provin-cia di Trento in impianti idroelettrici, di teleriscal-damento a biomassa legnosa con accumulatori termici e fotovoltaici. La Comunità cooperativa di Melpignano che da 10 anni cura l’installazione la gestione di una rete di produzione di energia so-lare tramite pannelli fotovoltaici locati su edifici pubblici e privati, i cui ricavi sono stati utilizzati per investimenti in nuovi servizi locali come la rete di case dell’acqua.Per il suo approccio fortemente sperimentale, è interessante il caso di Geco, progetto di gestio-ne comunitaria delle risorse energetiche locali e scambio di energia per aumentare la sostenibili-tà distrettuale e ridurre la povertà energetica nel quartiere Pilastro di Bologna. Il progetto è stato sostenuto da Caab/Fico e dall’Agenzia locale di sviluppo Pilastro-Distretto Nord-Est, sotto il co-ordinamento di Aess (Agenzia per l’energia e lo sviluppo sostenibile), cofinanziato dal fondo europeo Eit Climate-Kic. Nello stesso progetto Enea sta sperimentando una piattaforma ba-sata sulla blockchain per la gestione dei flussi elettrici, raccogliendo i dati tramite Itc per moni-torare i comportamenti e promuovere una nuova consapevolezza nei consumi. Un altro progetto di grande interesse è quello di Self User, che coin-volge Enel X. Il progetto è situato nel comune di Scandiano su un modello di “sharing” energetico, ovvero un sistema collettivo di autoconsumo di energia in cui tutti nuclei familiari producono e si scambiano energia al loro interno, riducendo in questo modo i costi delle spese energetiche e l’impatto ambientale e climatico. Il progetto Self user rappresenta una sperimentazione partico-larmente interessante perché promuove il mo-dello del contatore condominiale, collegando a un unico punto di prelievo e consegna energetica (Pod) l’intero condominio e sviluppare all’inter-no del complesso una vera e propria collettività energetica che possa soddisfare buona parte

del fabbisogno energetico dentro le mura dome-stiche.  Per garantire, inoltre, l’equa ripartizione dell’energia e dei benefici dello sharing condomi-niale, sono stati già installati dei sistemi di mi-surazione per tutti i punti di prelievo e consegna energetica (Pod) del condominio.

Gli attori chiaveOsservando le Comunità energetiche sperimen-tate nel contesto italiano, le condizioni di fatti-bilità sembrano ineludibilmente dipendenti da un efficace legame con il contesto in cui queste iniziative insistono e gli attori chiave che ne sono parte. Il decreto Milleproroghe ha sottolinea-to come l’obiettivo delle associazioni deputate all’autoconsumo è difatti principalmente quello di fornire benefici ambientali, economici o so-ciali a livello di comunità nei loro territori, e non solo ritorni finanziari agli investitori. Con queste prerogative, le Comunità energetiche dovranno infatti basarsi sulla “partecipazione aperta e vo-lontaria effettivamente controllate da azionisti o membri che sono situati nelle vicinanze degli impianti di produzione detenuti dalla Comunità di energia rinnovabile”. Gli azionisti o membri po-tranno essere persone fisiche, Pmi, enti territoriali o autorità locali, comprese le amministrazioni co-munali, a condizione che, per le imprese private, la partecipazione alla Comunità di energia rinno-vabile non costituisca l’attività commerciale e/o industriale principale.Oltre alle iniziative di generazione elettrica, è utile tenere in considerazione quelle di efficienza ener-getica, di distribuzione intelligente, di teleriscal-

Il progetto Self user rappresenta una sperimentazione particolare: promuove il modello del contatore condominiale, collegando le abitazioni a un unico punto di prelievo e consegna energetica (Pod)

STORIE

CONDIVISIONE ENERGETICA

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damento fino alla gestione di sistemi di accumu-lo destinati alla mobilità elettrica. Una riflessione interessante su possibili modelli di business sca-labili nel mercato della produzione distribuita è quella effettuata dall’Energy&Strategy Group del Politecnico di Milano che ha definito così l’Ener-gy community developer: nuove Energy service company (ESCo) capaci di facilitare i progetti di Comunità energetiche fornendo servizi utili all’in-gresso di queste iniziative nel mercato energeti-co. Si tratta di una figura che ricerca e aggrega i membri della Comunità energetiche, realizzando gli impianti fotovoltaici in partnership con sog-getti specializzati e mettendo a disposizione le infrastrutture di misurazione.Si tratta di un’area di business con notevole po-tenziale che, però, dovrà svilupparsi attraverso modalità che bilancino le criticità connesse alla sua integrazione nella rete del sistema di distri-buzione e trasmissione nazionale.In termini di costi, le Comunità energetiche e i si-stemi di autoconsumo collettivo dovranno tener conto delle implicazioni in termini di oneri di rete che aggreveranno la necessità di adeguare l’at-tuale sistema di distribuzione e trasmissione da passivo ad attivo. Per diventare un attore signifi-cativo, le Comunità energetiche dovranno quindi saper interagire con una moltitudine di sistemi di-

stribuiti realizzati con una “creatività progettuale” tarata su piccole comunità locali che dovrà però anche tener conto delle necessita di un sistema che deve garantire un’offerta efficace ed efficien-te anche a molte altre tipologie di utenti.

Un ulteriore fattore di complessità è la neces-sità di implementare una strategia integrata e adeguata in termini di promozione dei sistemi di accumulo e di controllo utile ad assicurare la tenuta dei sistemi nazionali. Infine, va con-siderato il nodo cruciale della sicurezza del si-stema elettrico, sia a livello di sistema di difesa, sia nella fase di programmazione del servizio di dispacciamento.

L’autore ringrazia Luca Tricarico per l’importante supporto nella predisposizione dell'articolo

Si dovrà tener conto degli oneri di rete che aggreveranno la necessitàdi adeguare il sistema di distribuzionee trasmissione da passivo ad attivo

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COMUNI FUORIDAL COMUNE

AUTORE: ANTONIO SORIERO - TEMPO DI LETTURA: 2 MINUTI

STORIE

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Andiamo alla scoperta di due piccoli centri della Sardegna impegnati in progetti di eccellenza per lo sviluppo di reti intelligenti di distribuzione dell’energia

In Sardegna ci sono due Comuni fuori dal comu-ne, Benetutti e Berchidda, che rappresentano modelli d’avanguardia per la gestione dell’ener-gia, nel segno dell’innovazione e della sostenibi-lità. Grazie al supporto della Regione Sardegna, il Comune di Benetutti, già proprietario della rete di distribuzione dell’energia elettrica del suo centro abitato, è riuscito ad acquisire anche l’infrastrut-tura elettrica presente nell’area rurale del suo ter-ritorio. Oggi è quindi impegnato nel perfeziona-mento di interventi infrastrutturali sull’intera rete comunale, con l’obiettivo ultimo di raggiungere la piena autosufficienza energetica. Nel dettaglio, il Comune intende realizzare una smart grid che permetta la condivisione dell’e-nergia prodotta dagli impianti fotovoltaici presen-ti su tutto il territorio comunale. «Siamo in fase di rifinitura del progetto esecutivo della smart grid, - ci racconta Rosolino Sini, responsabile dell’a-zienda elettrica comunale di Benetutti - i cittadini che vorranno partecipare potranno beneficiare dei gruppi di accumulo della smart community e della distribuzione intelligente dell’energia, con un notevole abbattimento degli oneri di sistema e di trasporto». Il Comune di Berchidda guarda invece al futuro con il progetto “Berchidda 4.0”, pensato per va-lorizzare il ruolo del cittadino prosumer (produt-tore-consumatore) e frutto della collaborazione con l’Università di Cagliari. «Il progetto - spiega Andrea Nieddu, sindaco di Berchidda - mira alla produzione distribuita di energia da fonte rin-novabile, utilizzando anche i tetti degli edifici, con sistemi di accumulo concentrato e distri-buito, gestiti secondo il paradigma smart grid. Sono già in corso lavori di ammodernamento della rete elettrica, grazie a 1,5 milioni di euro di risorse della Regione Sardegna e comunita-rie. Intendiamo proseguire con la creazione di partnership pubblico-private e attuare il nostro piano d’azione utilizzando, al contempo, i canali

di finanziamento europei. L’importo totale per finanziare il progetto Berchidda 4.0 è di circa 4 milioni di euro».I cittadini che vorranno partecipare a questo pro-cesso di trasformazione dovranno dare la dispo-nibilità di utilizzo delle coperture di abitazioni o edifici industriali e commerciali, per la realiz-zazione di impianti fotovoltaici la cui produzio-ne energetica sarà destinata all’autoconsumo. «L’impiego del tetto sarà remunerato dal rispar-mio conseguito dal cittadino – chiarisce il sinda-co Nieddu – e, in funzione dell’autoconsumo, si avranno anche ulteriori benefici economici». I cittadini saranno inoltre protagonisti di un’inte-

razione costante con il sistema di gestione dell’e-nergia: riceveranno infatti sul loro smartphone una serie di informazioni e richieste sulla base del profilo di consumo e di altri criteri. In aggiun-ta, saranno realizzati interventi sulla rete al fine di introdurre, tra gli altri, meccanismi di indivi-duazione da remoto dei guasti, con conseguente ottimizzazione della gestione del sistema elettri-co. L’insieme degli interventi programmati con-sentirà una riduzione complessiva dei consumi del 73% sul fabbisogno energetico. Le esperienze di Benetutti e Berchidda lanciano un messaggio positivo: la transizione energeti-ca ed ecologica del Paese passa dal pieno coin-volgimento delle comunità locali.

Il progetto “Berchidda 4.0” mira alla produzione da fonte rinnovabile, utilizzando anche i tetti degli edifici, con sistemi di accumulo concentrato e distribuito

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TUTTI I COLORI DELL’IDROGENO

AUTORE: SERGIO MATALUCCI - TEMPO DI LETTURA: 4 MINUTI

DALL'ESTERO

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Un viaggio nella nuova frontiera delle politiche verdi.Tra produzione e prezzi, leadership e accordi, paesi e aziende che investono. Ecco dove va il processo di decarbonizzazione

L’idrogeno deve essere prodotto. Questa produzio-ne può avvenire a emissioni zero, a basse emis-sioni o, all’opposto, ad alta intensità carbonica. Nell’opzione a emissioni zero la corrente elettrica prodotta da rinnovabili è fatta passare nell’acqua per separare l’idrogeno dall’ossigeno. Questo idro-geno “verde”, che per ora rappresenta circa il 4% della produzione mondiale, richiede però un’ingen-te quantità d’acqua e di elettricità rinnovabile.L’idrogeno può essere anche prodotto dall’acqua attraverso elettricità non rinnovabile (anche da nucleare). È possibile ottenere idrogeno anche attraverso pirolisi del metano, o dal gas attraver-so steam reforming (reazione di reforming con vapore). Quest’ultimo idrogeno è chiamato “blu” quando le emissioni vengono catturate e stoc-cate nel sottosuolo, viene rinominato “grigio” nel caso le emissioni vengano invece rilasciate nell’atmosfera. A livello ambientale le soluzioni peggiori sono quelle storiche: la produzione dell’i-drogeno attraverso la gassificazione della lignite (“marrone”) o del carbone duro/fossile (“nero”). Per questo prima di tutto è necessario capire come venga prodotto; altrimenti l’idrogeno da strategia di carbonizzazione potrebbe diventare uno sforzo economico deleterio e pericoloso. Al momento si parla quindi di idrogeno “verde” nel medio/lungo periodo e “blu” nel breve/medio.

Prezzi e capacità L’idrogeno è già stato un tema sotto i riflettori. Ne-gli anni ’90 sembrava l’alternativa migliore ai car-buranti fossili. Solo alcune economie, per lo più asiatiche, hanno investito nei 30 anni successivi. Il Giappone e la Corea del Sud hanno prodotto l’i-drogeno per lo più da fonti fossili.Negli ultimi 12 mesi società legate all’idrogeno hanno registrato ottime performance in Borsa. Tra queste le britanniche Ceres e Itm Power, ma anche la canadese Peers Ballard Power e la sta-tunitense Plug Power. Questi boom borsistici coincidono con le nuove regole che stanno cam-

biando il mondo della finanza, sempre più pro-penso ad abbracciare “politiche verdi”. Rimane il fatto che l’adozione dell’idrogeno “verde” dipenderà largamente da considerazioni di carat-tere finanziario e in una certa misura industriale, a seconda delle aree geografiche di riferimento. Per diminuire il prezzo dell’idrogeno “verde” saran-no necessari degli impianti produttivi più grandi e una serie di investimenti in tecnologia. Attualmen-te produrre idrogeno in questo modo costa circa 3,5 dollari al chilogrammo. Per essere competi-tivo con combustibili fossili bisognerà scendere ai 2 dollari. Per l’idrogeno verde questo vuol dire che i prezzi dell’elettricità (e quindi delle rinnovabi-li), come anche degli elettrolizzatori (sistemi che permettono di separare l’idrogeno dall’ossigeno) devono diminuire drasticamente.

L’idrogeno “verde” è al centro delle strategie di decarbonizzazione dell’Unione europea. La Com-missione ha pubblicato la sua strategia nel luglio 2020, in cui sottolinea la centralità dell’idrogeno “verde”. In termini di capacità di elettrolizzatori in Ue al 2030, la Francia mira a 6.5 GW, Italia e Germania a 5 GW, Spagna e Paesi Bassi a 4 GW, Portogallo a 2 GW. All’interno dell’Ue la Germania, la Francia e i Paesi Bassi hanno presentato i piani per ora più coe-renti, dai porti alle fabbriche passando per i centri di ricerca. Anche il piano italiano è solido per il know-how di alcune aziende energetiche italia-

Società legate all’idrogeno hanno registrato un vero boom in Borsa:le nuove regole stanno cambiando il mondo della finanza sempre più orientato al green

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ne e per la possibilità di fungere da trasporto di idrogeno da dove può essere prodotto economi-camente (Africa settentrionale), a dove dovrebbe venire usato (Germania). Al 2050 il prezzo dell’i-drogeno così prodotto e trasportato potrebbe scendere a 1 dollaro al chilogrammo. Queste potenzialità del sistema italiano hanno suscitato l’interesse del Governo americano.

Leadership tedesca: le ragioniLa Germania è leader soprattutto per la sua azio-ne diplomatica tesa a creare un’ambiente per una transizione energetica dove l’idrogeno a basse emissioni possa prendere il posto di combustibili fossili, chiaramente in alcuni settori, come nella produzione di acciaio e cemento. Dato che l’idro-geno verde viene prodotto attraverso l’elettricità, per evitare inefficienze, è infatti meglio usare di-rettamente l’elettricità, quando si può.Il focus tedesco sulla dimensione esterna non è solo per l’acquisto, ma anche per la produzione all’estero. Il governo ha per esempio firmato un accordo sull’idrogeno “verde” con il Marocco nel giugno 2020, sei mesi più tardi ha stanziato 8,2 milioni per l’impianto industriale di produzione d’idrogeno “verde” di Siemens Energy nel sud del Cile, sta parlando con la Russia (il colore dell’i-drogeno non è ancora chiaro), per non parlare dei piani annunciati già a settembre con l’Australia, che si stanno lentamente concretizzando. Ne siano prova gli studi finalizzati a convertire due progetti di terminali Gnl (gas naturale liquefatto) in terminali per l’idrogeno. Uniper sta pensando di investire a Wilhelmshaven; Rwe Supply & Trading considera Brunsbüttel per importare idrogeno.Le società di trasporto gas tedesche Ontras e Oge sono entrambe membri dell’European hydrogen backbone (Ehb) che ad aprile ha proposto una rete di idrogeno di 39.700 chilometri entro il 2040. Que-sta rete dovrebbe collegare 21 paesi europei. L’ita-liana Snam e la francese Teréga ne fanno parte.

Altri piani europeiL’idrogeno “verde” verrà prodotto sia grazie ai ven-ti dell’Europa settentrionale che al sole dell’Eu-ropa meridionale. Come detto il ruolo dei Paesi Bassi è fuori discussione, soprattutto per gli in-

vestimenti in ricerca e infrastrutture: un anno fa il porto di Rotterdam ha iniziato la costruzione di una rete a idrogeno in collaborazione con Shell e Gasunie. Ad aprile 2021 poi il Governo olandese ha annunciato un investimento pubblico da 1,35 miliardi, di cui un quarto circa per l’idrogeno. Le potenzialità della Penisola Iberica non sono trascurabili, come dimostrato dai successi delle aste spagnole per il fotovoltaico. Per quanto ri-guarda la Francia le società che stanno investen-do sono molte, da Michelin ad Alstom e Air Liqui-de, passando per piccole e medie imprese come Hydrogène de France o EODev che, di recente, ha firmato un accordo con Toyota. Da non dimen-ticare poi i programmi di supporto pubblico, sia a livello centrale che a livello local (per esempio Bordeaux e Regione Occitania).

Il supporto di Bruxelles ai progetti europei, diret-tamente attraverso fondi propri o attraverso le due banche multilaterali (Bers e Bei) non man-cheranno nell’Ue (come dimostrato dall’accordo firmato di recente da Portogallo e Bei), nei Balca-ni occidentali, ma non solo. La Gran Bretagna è pronta a creare un sistema ad idrogeno, attraverso collaborazioni con società locali (Cranfield aerospace solutions, Northern gas networks, BP e Linde engineering) e società internazionali (la spagnola Iberdrola, la norvege-se Equinor e diverse società aerospaziali ame-ricane). In questo caso l’idrogeno però sarà per lo più “blu”. Da non dimenticare poi il potenziale della penisola arabica, di Norvegia, Canada, Giap-pone e Cina. Per non parlare della ricerca ameri-cana, dall’Argonne national laboratory al Berkley lab, senza dimenticare la Nasa.

L'European hydrogen backbone ha proposto una rete di trasporto di 39.700 chilometri che, entro il 2040, collegherà 21 paesi europei. L’italiana Snam ne fa parte

DALL'ESTERO

TUTTI I COLORI DELL'IDROGENO

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L'ENERGIADELLE STELLE

AUTORE: MARCO RIPANI - TEMPO DI LETTURA: 3 MINUTI

SCENARI

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Calore e luce dal sole hanno origine nella “fusio-ne di nuclei leggeri”. Alla base di questo proces-so nucleare vi è la formazione di un “plasma” a partire da un gas di idrogeno molto caldo, in cui gli elettroni sono strappati via dai nuclei atomi-ci. A temperature di decine di milioni di gradi, due nuclei possono fondere, liberando energia. Per riprodurre la fusione in laboratorio, è neces-sario usare il deuterio e il trizio, “fratelli” dell’i-drogeno e chimicamente simili ad esso. Anche deuterio e trizio possono fondere, con emis-sione di radiazione (i cosiddetti neutroni) e un notevole rilascio di energia, ma con più facilità.Per realizzare la fusione in laboratorio, il pla-sma dev’essere sufficientemente denso e caldo (a temperature di decine o centinaia di milioni di gradi). Inoltre, il plasma dev’essere “intrap-polato”, per non venire a contatto con le pareti dell’impianto e avere il tempo di produrre la fu-sione e raccoglierne l’energia prodotta. Nella maggior parte degli impianti di ricerca esistenti, questo intrappolamento viene ottenuto median-te potenti campi magnetici. Le pareti dell’im-pianto devono essere inoltre protette da apposi-ti materiali in grado di reggere la radiazione del plasma caldo ed eventuali contatti accidentali plasma-parete dovuti a instabilità.Un impianto a fusione produce energia senza emissioni di anidride carbonica, gas inquinanti o polveri sottili. Inoltre, la reazione nucleare di fu-sione non produce direttamente sostanze radio-attive, ma i neutroni emessi colpiscono i materiali strutturali dell’impianto e così facendo possono creare nuclei radioattivi nei materiali stessi. La produzione di rifiuti nucleari è comunque molto in-feriore a quella di un impianto nucleare a fissione. Da più di dieci anni, l’Europa finanzia e supporta la costruzione dell’impianto Iter (International thermonuclear experimental reactor), il più gran-de progetto al mondo dove testare la fusione nucleare controllata. Il contenitore del plasma ha la forma di un’enorme camera a forma di anello,

circondata da gigantesche bobine magnetiche per l’intrappolamento e dotata di una serie di impianti ausiliari per il suo riscaldamento. Uno di questi sistemi utilizza un fascio intenso e ve-loce di atomi di deuterio da iniettare nel plasma per riscaldarlo, una tecnologia di punta che vie-ne testata in Italia, nel nuovo laboratorio Neutral beam test facility (Nbtf) a Padova. Iter è una macchina sperimentale che punta in-nanzitutto a produrre più energia di quella che viene utilizzata per riscaldare e mantenere la fu-sione nel plasma. Iter punta anche a dimostrare che, utilizzando una diversa reazione nucleare, l’impianto è in grado di autoprodurre il combu-stibile trizio necessario, non disponibile in natu-ra (a differenza del deuterio).Il primo plasma è atteso nel 2025, mentre il raggiungimento di condizioni di fusione con miscela di deuterio-trizio è previsto nel 2035. Il passo successivo sarà la costruzione della prima centrale a fusione: Demo (Demonstra-ting fusion power reactor), in grado di produrre energia elettrica, prevista per gli anni cinquanta.

Vi è anche la necessità di sviluppare materiali in grado di sostenere l’elevato flusso neutronico. Per questo è stato proposto di realizzare Ifmif (International fusion material irradiation facili-ty), un laboratorio dove si possano riprodurre le condizioni gravose determinate dalla fusione. A tale progetto l’Italia dà un importante contri-

La fusione è un traguardo su cui si sta concentrando la ricerca internazionale. Marco Ripani dell'Infn accompagna Progetto Manager all'interno dei laboratori del futuro

Con il programma Iter, l’industria italiana si è aggiudicata commesse europee per circa un miliardo di euro, oltre a 200 milioni di contratti da parte della Iter organization

SCENARI

L'ENERGIA DELLE STELLE

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buto tecnico-scientifico con la realizzazione di un prototipo in corso di assemblaggio e test a Rokkasho (Giappone). L’Europa ha inoltre proposto di costruire una versione intermedia dell’impianto, chiamata Ifmif-Dones, la cui rea-lizzazione dovrebbe avvenire in Spagna. I benefici del programma Iter per l’Italia sono straordinari: circa il 40% del valore delle com-messe europee per la produzione della com-ponentistica ad alto contenuto tecnologico è andato all’industria nazionale, che si è aggiudi-cata, in pochi anni, contratti per circa un miliar-do di euro, oltre a 200 milioni di contratti da parte della Iter organization. Nel caso partico-lare della Nbtf e del futuro analogo impianto per Iter, la percentuale di commesse europee vinte da ditte italiane è pari al 56%, per un totale di oltre 90 milioni di euro.

La costruzione di componenti e sottosistemi di Ifmif è stata quasi interamente svolta nell’am-bito dell’industria italiana, con commesse per lavorazioni di alta precisione, processi speciali e inoltre componenti, sistemi e controlli ad alto contenuto tecnologico. Infine, in Italia, a Frascati, si sta costruendo l’impianto Dtt (Divertor tokamak test), un im-pianto dedicato alla sperimentazione di varie soluzioni per estrarre calore residuo e ceneri, da applicare al futuro Demo.Oltre al notevole successo nell’ottenimento di un finanziamento di 250 milioni di euro dalla Banca europea per gli investimenti (Bei), vanno sotto-lineati anche qui i benefici per l’industria nazio-nale. Infatti, aziende italiane si sono già aggiudi-cate importanti commesse per un totale di circa 55 milioni di euro.

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