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SAPEREE IDENTITÀDI GENERE
Un networkdi universitàfemminiliL'educazione femminile nei cinque continenti
Testimonianze di ga podfhpGenis asperum, es alit pori ad est quide si ipicitatur? Qui culparum nonse assimil expeditatur mossum as ea destiatius aute simporest velianist hicae santis samet m
di Tiziana Cavallo
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dossier
Oltre cinquanta atenei e college in rete per promuovere, in cinque continenti, l’i-struzione al femminile. È questa la real-tà di Women’s Education Wordwide, un network internazionale che promuove la donna attraverso l’educazione
Educazione femminile e uguaglianza di genere ri-
entrano fra gli otto Obiettivi del Millennio definiti
dall’Onu, il cui raggiungimento è fissato per il 2015.
Obiettivi ancora lontani, se si guardano i dati di
Save the Children Italia: nel mondo 69 milioni
di bambini non hanno accesso alla scuola pri-
maria, il 54% sono bambine; dei 759 mi-
lioni di adulti analfabeti, due terzi sono
donne.
È oramai risaputo che garantire l’i-
struzione femminile rappresenta
un fattore strategico per lo svi-
luppo. «Un bambino che nasce da
una donna istruita ha il 50% di pos-
sibilità in più di sopravvivere - spiega
Elena Avenati, coordinatrice della Coalizione italiana
della Campagna globale per l’Educazione -, garantire
un’istruzione alle bambine, a partire dai cinque anni,
aumenterebbe i tassi di sopravvivenza infantile fino
al 40%. Inoltre, secondo uno studio condotto in 100
Paesi, educare le ragazze e favorire la riduzione del di-
vario di genere promuove la democrazia».
Le conferme arrivano dai rapporti Onu: se una don-
na, in Kenya, riceve la stessa educazione di un uomo, i
campi da lei coltivati frutteranno il 22% in più; nei Pa-
esi latino-americani l’abbandono scolastico da parte
di figli di madri scolarizzate è molto minore rispetto
al dato dei bambini con mamme non istruite.
Di questo è consapevole Women’s Education
Worldwide, una rete internazionale che raggruppa
sessanta tra college e atenei sparsi in cinque continen-
ti, oltre a esperti che si occupano del tema dell’educa-
zione femminile. Una realtà, quella del network Wew,
che nasce nel 2003 da due antiche istituzioni america-
ne, il Mount Holyoke e lo Smith College, e che ogni
anno organizza conferenze, scambi e confronti per ap-
profondire e porre al centro dell’agenda politica pub-
blica tematiche e problematiche afferenti le donne e
l’istruzione.
Non solo scolarizzazione
«Inizialmente, gli istituti dediti all’educazione fem-
minile nascono da un’esigenza precisa», spiega Lynn
Pasquarella, preside del Mount Holyoke (college fon-
dato nel 1837 in Massachusetts, che, in quest’anno ac-
cademico 2012-2013, celebra 175 anni di educazione
al femminile). «Qui negli Usa, ad esempio, perché le
ragazze non avevano accesso alla Ivy League (l’insie-
me delle più prestigiose università americane, ndr).
Oggi, grazie all’accesso libero, in Paesi come il nostro
l’attenzione si è spostata sul come le donne possono
essere rese più forti grazie a un’educazione focalizzata
sull’identità di genere».
Lo scenario ovviamente cambia da Paese a Paese, ma
UNIVERSITÀ FEMMINILI / Women’s Education Worldwide
L’istruzione che fa rete
bilitàExerum sum dis eatis quos solut quaepelles volupta icacaan parunt omnis quiOdis pror
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il crescente prolifera-
re di istituzioni edu-
cative aperte solo alle
donne è un dato di
fatto, come conferma
Carol Christ presi-
dente dello Smith College (nato nel 1871): «Negli ulti-
mi dieci anni, sono nate istituzioni femminili in Asia
del Sud, nel Medio Oriente e in Africa e, a giudicare
dal numero delle iscrizioni, sembra che anche negli
Stati Uniti ci sia una “rinascita” degli atenei femmi-
nili».
Scambi internazionali
Pasquarella e Christ sono tra le fondatrici del net-
work Wew le cui aderenti si sono incontrate lo scor-
so giugno a Nanchino, antica capitale della Cina, per
l’annuale conferenza in cui si è discusso di diritti, glo-
balizzazione e internazionalizzazione, e si incontre-
ranno ora, a gennaio, a Dubai.
«Wew vuole diffondere, attraverso la collaborazione e
lo scambio tra le realtà già esistenti - prosegue Pasqua-
rella -, le migliori pratiche in questo campo ed essere
di stimolo per la promozione all’accesso all’istruzione
universitaria per le donne in tutto il mondo». Alle due
presidenti non sembra anacronistico, nel 2013, nell’era
del web e della democrazia virtuale, parlare ancora di
parità in ambito educativo. È ovvio che il tema si de-
clina in modo differente a seconda che si sia in India
o negli Usa, in Bangladesh e Pakistan o in Canada, in
Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti o in Au-
stralia, in Bahrein, Cina, Corea o Sudan, Zimbabwe,
Filippine, Giappone o Europa (per citare le realtà in
cui la rete è presente).
«A qualsiasi latitudine l’educazione femminile gioca
un ruolo strategico ancora oggi, sia nei Paesi in cui oc-
corre investire nell’istruzione delle bambine come in
quelli in cui le donne non sono ancora rappresentate
adeguatamente nelle posizioni di potere - sottolinea
Christ -. I dati dimostrano che le donne laureate in uni-
versità femminili scardinano molte logiche maschili-
ste, proprio perché vengono educate alla leadership e
sono consapevoli delle loro capacità».
Le fa eco Lynn Pasquarella, affermando che «no-
Per una nuovaleadership africana
TRA LE UNIVERSITÀ FEMMINILI ADERENTI ALLA
RETE INTERNAZIONALE WEW C’È QUELLA
DI OMDURMAN IN SUDAN. UNA REALTÀ
IMPORTANTE, CHE SI COLLOCA COME CROCEVIA
TRA LA CULTURA ARABA E AFRICANA. NATA
PER VOLONTÀ DI UN UOMO CHE CREDEVA NEL
PROTAGONISMO FEMMINILE, OGGI L’UNIVERSITÀ DI
AL-AHFAD CONTA 7.300 STUDENTESSE
di JORGE NARANJO*
Entrando nel campus universitario di Al-Ahfad un uomo si sente
un po’ in imbarazzo, avverte subito la sensazione di invadere
un territorio esclusivamente femminile. Qui, tra i corridoi,
s’incrociano studentesse vestite con il niqab, che a malapena fa
intravedere i loro occhi, e altre che sembrano appena uscite dal
parrucchiere, pettinate secondo i canoni della moda più giovane,
con occhiali da sole e altri accessori femminili. Alcune, quelle
di pelle più oscura, provengono dal Sud Sudan, altre dai Monti
Nuba, dallo Stato del Nilo Azzurro o dal Darfur; quelle di pelle un
po’ più chiara sono originarie degli Stati del Nord Sudan.
Un altro aspetto del femminile di quest’università è dato
dall’esistenza di una scuola materna e una primaria, sorte
UNIVERSITÀ FEMMINILI / Omdurman (Sudan)
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dossier
nostante ci siano ancora forti lacune in discipline
come quelle scientifiche, le donne stanno inizian-
do a ricoprire, in diversi Stati, ruoli strategici». E,
dando uno sguardo al futuro, «una delle principali
sfide sarà spiegare il valore dell’educazione femmi-
nile alle giovani che ritengono che studiare in un’u-
niversità di sole donne non sia un’esperienza valida
e stimolante - conclude la preside -. Oggi, grazie alle
nuove tecnologie, la collaborazione tra istituzioni
nel mondo è migliorata e possiamo aiutare le col-
leghe in luoghi dove ancora le norme culturali sva-
lutano l’educazione femminile. Dobbiamo lavorare
unite perché alle bambine non sia negata l’istruzio-
ne, con la scusa che spetta a loro raccogliere l’acqua
o la legna, per sei ore al giorno, o perché mancano i
soldi per l’uniforme scolastica». Per Carol Christ le
sfide sono principalmente due: «creare un migliore
equilibrio tra lavoro e famiglia, per rendere più sem-
plice alle donne (e agli uomini) il crescere insieme i
figli e seguire i sogni della carriera, e aumentare la
proporzione di donne in campo scientifico».
UNIVERSITÀ FEMMINILI / Women’s Education Worldwide
Nell’università Al-Ahfad sono presenti le facoltà di Scienze della Salute,
Psicologia, Pedagogia, Management, Promozione rurale, educazione e
sviluppo, Medicina e Farmacia. La prospettiva di genere è presente in
tutte le facoltà, ma è di certo presso l’Istituto di Genere, diversità, pace
e diritti umani che si approfondiscono maggiormente le tematiche al
femminile. Oltre ai corsi di laurea, si tengono master in Business admini-
stration, Microfinanza e sviluppo, Relazioni di migrazione e intercultura;
Genere e sviluppo, Genere, multiculturalità e movimenti migratori, Ge-
nere e governo, Genere e studi
sulla Pace.
L’Università collabora con altri
centri simili, come gli atenei di
Addis Abeba (Etiopia) o Make-
rere (Uganda), così come altre
università africane, europee e
americane. Al-Ahfad è un esempio di istituzione femminile che prepara
agenti per il cambiamento nei loro gruppi e comunità e che dà una forte
spinta all’enorme potenziale della donna africana per assumere la lea-
dership nella trasformazione del continente attraverso percorsi di pace.
Entrare in un collegio femminile per me-rito e rimanervi solo se i voti conferma-no di essere davvero all’“altezza”. Perché si viene istruite per fare la diffe-renza
A Pavia, dire Collegio Nuovo è sinonimo di grande
attenzione all’esperienza formativa delle giovani don-
ne. Sorto nel 1978 per volontà di un’imprenditrice
industriale, Sandra Bruni Mattei, il Collegio sin dal-
la nascita persegue come finalità quella di favorire la
promozione socio-culturale di studentesse universi-
tarie vivaci e brillanti. Consapevole del ruolo sempre
crescente della donna nella società, la fondatrice pose
le basi per la realizzazione di una comunità interna-
zionale ricca e stimolante, che oggi ospita 115 ragazze,
Collegio Nuovo di PaviaFormare eccellenze
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italiane e no, in cui
motivazione, diversi-
tà, creatività, dialogo
costante e trasversa-
lità permettono una
formazione completa
nel segno della qua-
lità e dell’eccellen-
za, utile e apprezzata
anche nel mondo del lavoro. Per conoscere da vicino
questo collegio femminile di merito, inserito tra le 14
istituzioni universitarie riconosciute dal nostro mini-
stero dell’Istruzione come «enti di alta qualificazione
culturale», abbiamo incontrato la rettrice, Paola Ber-
nardi (nella foto).
Si dice che educare una donna equivalga a educa-re un villaggio. Cosa ne pensa e qual è la specifica missione del vostro Collegio in quest’ottica?Sono perfettamente d’accordo. Quest’affermazione ri-
guarda però soprattutto i Paesi cosiddetti emergenti.
Il nostro Collegio, che si situa in un contesto italiano
e occidentale ovviamente differente, anche dal punto
di vista del livello culturale complessivo, si rivolge a
selezionate donne di talento (per accedere occorre su-
perare un rigoroso concorso pubblico per merito, che
dà la possibilità alle meno abbienti di usufruire di bor-
se di studio; la frequenza dei corsi è determinata dai
risultati, ndr).
Com’è cambiata secondo lei nell’ultimo decennio l’educazione per le donne e delle donne in Italia e nel mondo?Non so se è cambiata, certo c’è maggiore consape-
volezza dell’importanza di fornire anche alle donne
un’educazione di alto livello per arricchire il mercato
del lavoro e in generale tutta la società di persone di
valore, al fine di far crescere il benessere collettivo.
L’ho constatato anche nel meeting della rete Wew a
Nanchino: le donne, in diverse parti del mondo, sono
portatrici di comportamenti e valori che non possono
che fare bene a uno sviluppo più armonico ed equili-
brato della società, che ponga al centro non solo il gua-
dagno e la soddisfazione personale ma anche appunto
il benessere collettivo, inteso naturalmente non solo
dal punto di vista economico.
UNIVERSITÀ FEMMINILI / Omdurman (Sudan)
per ospitare i figli delle studentesse e delle docenti e per
permettere alle mamme di svolgere il loro lavoro accademico
senza trascurare la cura dei figli, che in Sudan è un compito
esclusivamente femminile. In questo Paese, come in altre
realtà arabe e africane, è normale essere madri tra i 18 e i
20 anni, ragione spesso sufficiente per impedire alle giovani di
proseguire gli studi.
Intuito maschileL’Università Al-Ahfad è l’incarnazione del sogno di un uomo
di cultura araba, Babikir Badri (1860-1954), padre di 13
figlie e alcuni figli, che propose un’idea, per il tempo (primi del
Novecento) e il contesto culturale, rivoluzionaria: una scuola per
sole ragazze, che permettesse alle donne di essere qualcosa
di più di semplici compagne dei loro mariti, un istituto che fosse
indipendente dalle religioni e dai governi.
Nei primi anni del periodo coloniale, gli unici centri educativi
esistenti in Sudan erano le scuole coraniche (le khalwas), luoghi
in cui i bambini imparavano la lingua araba e memorizzavano
il Corano. A queste si aggiunsero poi le scuole volute dal
governo coloniale e quelle aperte dai missionari, sia cattolici
che protestanti. Babikir Badri lamentava come le khalwas non
aiutassero a sviluppare il potenziale del popolo sudanese né a
promuovere un progresso che permettesse di raggiungere i
livelli di sviluppo di altri popoli.
L’insegnamento dei principi coranici non era secondo lui
sufficiente, doveva essere completato con un programma laico.
Inoltre, a suo parere, le scuole dei missionari, dove si potevano
studiare le scienze, come geografia, matematica o biologia, non
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dossier
Nel 2012 un collegio femminile potrebbe essere considerato “fuori tempo”: come vi confrontate con chi la pensa in questo modo?Intanto l’esperienza internazionale ci conferma che
non è vero. Hillary Clinton, Nancy Pelosi, Madelei-
ne Albright hanno studiato in istituti femminili, per
questo cerchiamo di convincere chi la pensa diversa-
mente, sottolineando come in questi college le donne
abbiano più possibilità di crescere, di confrontarsi e
di rafforzare la propria autostima, piuttosto che in un
ambiente misto. Ciò non significa naturalmente che
non si creino per le studentesse dei momenti di con-
fronto con i loro colleghi maschi di altre università.
Da subito, dal 2003, fate parte del Wew: cosa signi-fica per voi questa partnership? E per le vostre stu-dentesse/ospiti?Per il Collegio ha significato allargare i contatti inter-
nazionali, sino ad allora limitati al contesto europeo,
in Asia e negli Usa soprattutto; per le nostre studen-
tesse, la possibilità di soggiorni di studio negli Stati
Uniti, al Barnard College di New York per frequenza
di un semestre o più brevi soggiorni estivi, ad esem-
pio, e al Dubai Women’s College con partecipazione
all’annuale Insight Dubai, settimana di confronto tra
studentesse occidentali e islamiche. Non solo, tre ra-
gazze sono venute con me a Tokyo a febbraio dello
scorso anno, per tre giorni di confronto sul tema della
leadership femminile con studentesse e docenti della
Ochanomizu University. Altre tre nel 2010 sono state
a Sydney per il meeting Wew. Inoltre nel giugno 2011
abbiamo promosso al Collegio Nuovo una Wew Stu-
dent Conference, cui hanno partecipato una quaranti-
na di studentesse provenienti da tutto il mondo, molte
orientali, che si sono confrontate e hanno interagito
con le nostre. Abbiamo in cantiere anche alcuni accor-
di con altri college orientali, soprattutto cinesi.
Una sua personale definizione della donna.La donna costituisce oltre la metà dell’umanità e ha
sempre dato il proprio contributo alla crescita, in tutti
gli ambiti, a partire dall’educazione dei figli. Ha ca-
ratteristiche analoghe a quelle maschili, ma anche al-
tre sue, più proprie, soprattutto una maggiore capacità
relazionale e di ascolto, una maggiore sensibilità e
attenzione al prossimo, un maggiore spirito di sacri-
ficio. Ha sempre esercitato queste sue caratteristiche
nell’ambito familiare. Ora è sempre più necessario che
le possa esercitare anche nel mondo del lavoro. Per il
bene di tutti.
UNIVERSITÀ FEMMINILI / Women’s Education Worldwide
Qual è lo scopo dell’educazione al femminile? Conseguire la parità tra uomo e donna in tutto il mon-do o dar vita a nuove alleanze, forze e risorse per il raggiungi-mento di obiettivi comuni? Il parere di una docente italia-na di uno dei più prestigiosi college femminili statuni-tensi
Flavia Laviosa è una delle do-
centi del Dipartimento di Ita-
lian Studies presso il Wellesley College, negli Stati
Uniti. Il motto di questo college femminile, fondato
nel 1870 a pochi chilometri da Boston e che vanta tra
le sue ex-allieve anche l’attuale Segretario di Stato
americano, Hilary Rodham Clinton, è Non ministrari
sed ministrare (Non essere serviti ma servire).
Un motto che però non racchiude in sé alcun tipo di
sottomissione, è sufficiente fare quattro chiacchiere
con questa professoressa italiana di Pedagogia del-
le lingue straniere per rendersene conto. A partire da
un concetto continuamente discusso in Italia, la parità
tra uomo e donna, che si declina in modo decisamente
differente in questo college americano.
Obiettivo: Oltre la parità
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combonicombonifemfemUNIVERSITÀ FEMMINILI / Omdurman (Sudan)
rispettavano la cultura locale. Secondo Babikir Badri
le scuole dovevano essere indipendenti e in grado di
integrare i progressi delle scienze con la cultura locale.
Fu così che nel 1904 chiese alle autorità britanniche
l’autorizzazione per aprire una scuola elementare per
bambine. Ma - racconta sua nipote, Balghis Badri,
attuale direttrice dell’Istituto di Genere, diversità, pace e
diritti umani di Al-Ahfad - «il dipartimento dell’Educazione
dell’amministrazione britannica in Sudan, temendo una
reazione popolare negativa e lo scandalo che un’iniziativa
di questo genere avrebbe potuto suscitare, rifiutò
la proposta. Tuttavia mio nonno, che era un uomo
molto testardo, ci riprovò nel 1906. La sua proposta
fu inizialmente respinta, poi James Currie, direttore
del dipartimento, autorizzò l’apertura di una scuola
femminile a Rufu’a. Era il 1907, le prime alunne furono
nove sue figlie e otto figlie dei vicini. In questa scuola, mio
nonno insegnava tutte le materie».
Babikir aveva viaggiato molto per il Sudan, trasformando
varie khalwas in scuole primarie. Quei viaggi l’aiutarono
a capire meglio la cultura autoctona, a raccogliere
proverbi locali e a studiare vari gruppi etnici sudanesi.
Ma il suo rispetto e il suo amore per la cultura locale
non gli impedì di sfidarla. «Nelle sue scuole le donne non
dovevano coprirsi il volto con il tipico tub sudanese, un
tessuto che si arrotolava intorno al corpo di modo che
si vedessero solo gli occhi - ricorda Balghis Badri -. Le
studentesse dovevano portarlo in modo tale da lasciare
scoperto il volto».
Babikir Badri morì nel 1954, dopo aver lasciato le sue
memorie, punto di riferimento per tutti gli studiosi della
storia sudanese dei periodi mahdista e coloniale. Suo
figlio, Yousif Badri (1912-1995), ha continuato il lavoro
del padre, diventando il primo sudanese ad aprire una
scuola secondaria per ragazze e, nel 1966, un collegio
universitario per la formazione di insegnanti. In questo
modo avverò il sogno del padre che le sudanesi fossero
protagoniste dell’educazione nel Paese. Nel 1995 questo
collegio universitario si è trasformato in università e il
rettore è un nipote di Babikir, Gasim Badri.
Nipoti per il cambiamentoLa parola araba ahfad significa “nipoti”. Questo è il nome
che Yousif Badri volle dare a quest’università in cui si
sono laureate oltre 14mila donne. Oggi Al-Ahfad conta
7.300 studentesse nei corsi di laurea e 256 in quelli
post-laurea. Il 30% delle ragazze proviene da famiglie
povere e riceve borse di studio che coprono la totalità
delle spese. Un’équipe dell’università visita le case delle
candidate per assicurare che le borse di studio siano
concesse a coloro che realmente ne hanno più bisogno.
C’è poi un ulteriore 40% delle frequentanti che riceve
borse di studio parziali.
Iscriversi all’Al-Ahfad non significa solo entrare in un
centro accademico: ogni studentessa deve partecipare
al programma di “estensione rurale”. Nuria Brufau Alvira,
insegnante di spagnolo che lavora nell’Istituto di Genere,
diversità, pace e diritti umani, spiega che «le studentesse
e gli insegnanti ciclicamente lasciano le aule per un paio
di settimane e partono in autobus per diverse zone rurali
del Paese. Lì organizzano seminari insieme alle donne,
su temi come il matrimonio prematuro, il cancro al seno,
le mutilazioni genitali femminili, la riproduzione sessuale,
l’igiene personale... In questo modo, le studentesse
vengono educate a essere agenti di cambiamento sociale
nella realtà che le circonda».
Questo programma è cominciato nel 1973 e coinvolge
ogni anno 75 villaggi, 1.200 studentesse e 150 membri
del personale dell’università.
A ciò si aggiunge il servizio che 120 studentesse di
medicina prestano ogni anno a sessanta famiglie con
scarse risorse economiche.
La dimensione sociale di questa università, che mira a
generare un cambiamento nell’influenza dell’ambiente,
è evidente nei corsi di “leadership africana” rivolti ai
membri di associazioni civiche, partiti politici e aziende,
così come nelle conferenze e seminari sulla diversità,
pace, sessualità, cittadinanza e costruzione dello Stato. •
8 gennario 2014 gennario 2014combonicombonifemfem
dossier
«Perseguire, o spesso inseguire, la “parità” in senso
generale e quindi anche nello specifico del rapporto
uomo/donna, dal privato al pubblico, dal professionale
al globale, predefinisce e delimita di per sé gli obiet-
tivi che si vogliono raggiungere - spiega Laviosa -. Il
concetto di parità è già intrinsecamente legato a un
privilegio, un diritto, uno status che si riferisce all’au-
torità di “un altro”, definito come superiore e quindi
oggetto di emulazione. Il principio di parità, proprio
per questo, è controllato e definito dall’arbitrariamen-
te prescelto “altro”». «Il consu-
mato dibattito sulla parità uomo/
donna oramai suona riduttivo,
miope e anacronistico, sia come
progetto individuale che come
“ambizione” globale per le donne.
Chi sceglie “l’altro”? E secondo
quali parametri, valori, obiettivi
viene pre-scelto questo “altro” po-
litico con il quale vogliono met-
terci alla pari?».
Secondo la docente italiana, pen-
sare a una parità della donna con
l’uomo è un «traguardo piutto-
sto mortificante». Le donne del
XXI secolo dovrebbero scardina-
re i parametri vigenti e pensare al di là della parità,
esplorare spazi molto più ampi, prefiggersi obiettivi di
scala mondiale impegnativi, affrontando sfide etiche
e stabilendo piattaforme di diritti e valori superiori a
quelli circoscritti e autoreferenziali, prestabiliti dagli
uomini per sé stessi».
Lavorando da anni con le ragazze, Flavia Laviosa è
convinta che «aspirare a una parità disegnata sui valo-
ri di un club maschile non può essere ciò che una don-
na veramente vuole. Le donne sono capaci di definire
i parametri e di delineare le definizioni del loro status
trascendendo i confini di una fortunatamente utopica,
inutile e limitante parità con l’altro genere».
Da questo la sfida di educare le donne ad altre leader-
ship, che non ricalchino per forza modelli maschili,
già mostratisi perdenti. «L’impegno mondiale dovreb-
be essere di educare le donne a una leadership capa-
ce di valorizzare le qualità intrinseche del femminile
e di potenziare il loro capitale di energie innovative,
necessarie per diventare delle pensatrici strategiche
che sappiano interpretare il mondo, affrontare le sfi-
de, ispirare con il loro esempio e impegno e guidare
con il loro intelletto. Piuttosto che dominare, le donne
devono creare alleanze e unione di forze e risorse, e
quindi operare come leader pragmatiche per raggiun-
gere obiettivi comuni».
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