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DOMENICA 12 GIUGNO 2011/Numero 330 D omenica La di Repubblica le tendenze Quando ritornano le dive a vita alta LAURA ASNAGHI spettacoli Sangue & spaghetti, l’Italia a Hollywood CLAUDIA MORGOGLIONE e VITTORIO ZUCCONI i sapori San Marzano, patrono dei pomodori LICIA GRANELLO e CARLO PETRINI l’incontro Boy George, “Ho fatto visita al demonio” GIUSEPPE VIDETTI cultura Le spie anti-Hitler nel cuore di San Pietro FILIPPO CECCARELLI ERNEST HEMINGWAY I l mio primo figlio, Bumby, e io passavamo molto tempo in- sieme nei caffè nei quali lavoravo quando lui era molto pic- colo e abitavamo sopra la segheria. Veniva sempre con noi a Schruns nel Vorarlberg in inverno ma quando Hadley e io andavamo in Spagna durante l’estate passava quei mesi con la femme de ménage che lui chiamava Marie Cocotte e suo marito, che lui chiamava Touton, o al 10bis di Avenue des Go- belins dove avevano un appartamento o a Mur de Bretagne dove andavano per le vacanze estive di Monsieur Rohrbach. Monsieur Rohrbach era stato maréchal de logis chef ovvero sergente mag- giore in servizio permanente nell’esercito francese e al momento del pensionamento ricopriva un incarico minore grazie al quale avevano tirato avanti con il salario suo e di Marie e atteso con im- pazienza il suo ritiro a Mur de Bretagne. (segue nelle pagine successive) EMANUELA AUDISIO «N on fare il furbo, racconta». Hemingway per i cronisti di sport è stato Shakespeare. E da ragazzi non si legge solo, si inseguo- no passi, si cerca la stessa strada, si divi- dono respiri. Si vuole arrivare vicino, sco- prire, sentire. Come gli indiani che met- tono l’orecchio a terra per intuire velocità e direzioni. C’era solo da scegliere un territorio: Africa, Spagna, Cuba, Key West, Parigi, in or- dine sparso. Non solo posti, geografie, ma sale parto, concepimen- ti letterari, gestazioni. Hemingway faceva guerre: al mare, ai pesci, ai tori, ai leoni, tutto era un ring dove dare pugni e restare in piedi. Vincitori e vinti, avere e non avere, sparare e spararsi, ma col fucile: Cary Grant era più bravo di lui. Per questo era importante vedere. (segue nelle pagine successive) con gli articoli di MASSIMO NOVELLI e AMBRA SOMASCHINI “Papà, è difficile scrivere? È difficile vivere?” “Bumby, un giorno capirai tutto per conto tuo” A cinquant’anni dalla morte una storia e un dialogo inediti tra l’autore di “Festa mobile” e il suo primo figlio Ernest L’importanza di chiamarsi HEMINGWAY 1899 - 1961 Repubblica Nazionale

D Laomenica - La Repubblica.it - News in tempo reale - Le ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2011/12062011.pdf · un anacronismo ma anche una cosa di ... «Neanche la guerra è

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DOMENICA 12GIUGNO 2011/Numero 330

DomenicaLa

di Repubblica

le tendenze

Quando ritornano le dive a vita altaLAURA ASNAGHI

spettacoli

Sangue & spaghetti, l’Italia a HollywoodCLAUDIA MORGOGLIONE e VITTORIO ZUCCONI

i sapori

San Marzano, patrono dei pomodoriLICIA GRANELLO e CARLO PETRINI

l’incontro

Boy George, “Ho fatto visita al demonio”GIUSEPPE VIDETTI

cultura

Le spie anti-Hitler nel cuore di San PietroFILIPPO CECCARELLI

ERNEST HEMINGWAY

Il mioprimo figlio, Bumby, e io passavamo molto tempo in-sieme nei caffè nei quali lavoravo quando lui era molto pic-colo e abitavamo sopra la segheria. Veniva sempre con noia Schruns nel Vorarlberg in inverno ma quando Hadley e ioandavamo in Spagna durante l’estate passava quei mesicon la femme de ménage che lui chiamava Marie Cocotte e

suo marito, che lui chiamava Touton, o al 10bis di Avenue des Go-belins dove avevano un appartamento o a Mur de Bretagne doveandavano per le vacanze estive di Monsieur Rohrbach. MonsieurRohrbach era stato maréchal de logis chef ovvero sergente mag-giore in servizio permanente nell’esercito francese e al momentodel pensionamento ricopriva un incarico minore grazie al qualeavevano tirato avanti con il salario suo e di Marie e atteso con im-pazienza il suo ritiro a Mur de Bretagne.

(segue nelle pagine successive)

EMANUELA AUDISIO

«Non fare il furbo, racconta». Hemingwayper i cronisti di sport è stato Shakespeare.E da ragazzi non si legge solo, si inseguo-no passi, si cerca la stessa strada, si divi-dono respiri. Si vuole arrivare vicino, sco-prire, sentire. Come gli indiani che met-

tono l’orecchio a terra per intuire velocità e direzioni. C’era solo dascegliere un territorio: Africa, Spagna, Cuba, Key West, Parigi, in or-dine sparso. Non solo posti, geografie, ma sale parto, concepimen-ti letterari, gestazioni. Hemingway faceva guerre: al mare, ai pesci,ai tori, ai leoni, tutto era un ring dove dare pugni e restare in piedi.Vincitori e vinti, avere e non avere, sparare e spararsi, ma col fucile:Cary Grant era più bravo di lui. Per questo era importante vedere.

(segue nelle pagine successive)

con gli articoli di MASSIMO NOVELLI e AMBRA SOMASCHINI

“Papà, è difficile scrivere?È difficile vivere?”“Bumby, un giorno capirai tutto per conto tuo”A cinquant’anni dalla morteuna storia e un dialogo inedititra l’autore di “Festa mobile”e il suo primo figlio

ErnestL’importanzadi chiamarsi

HEMINGWAY1899 - 1961

Repubblica Nazionale

AnniversariCinquant’anni fa, il 2 luglio del 1961, decise di morirecome aveva vissuto, con un eccesso. Nessuno più di lui avevacambiato per sempre la letteratura e nessuno riuscì a costruire

un mito di se stesso così longevo. Oggi, per ricordarlo,Mondadori pubblica una nuova versione di “Festa mobile”

e gli inediti degli anni di Parigi. Ne anticipiamo due

(seguedalla copertina)

Touton ebbe un ruolo impor-tante negli anni formatividella vita di Bumby e quan-do c’era troppa gente allaCloserie des Lilas lo portavoin giro in carrozzina o più

tardi andavamo a piedi al caffè in Place St-Michel dove lui studiava la gente e la vitaindaffarata di quella parte di Parigi doveio scrivevo le mie cose con un café crème.Ciascuno aveva il suo caffè privato dovenon invitava mai nessuno e dove andavaa lavorare, o a leggere o a guardare la po-sta. Bumby cresciuto e diventato un ra-gazzino parlava un eccellente francese e,poiché era stato abituato a starsene asso-lutamente quieto e a non far altro che stu-diare e osservare mentre io lavoravo,quando vedeva che avevo finito mi confi-dava qualcosa che aveva imparato daTouton.

«Tu sais, Papa, que les femmespleurent comme les enfants pissent?»

«Te l’ha detto Touton?»«Dice che un uomo non dovrebbe

mai dimenticarselo».In un’altra occasione mi disse: «Pa-

pa sono passate quattro poulesmen-tre lavoravi che non erano nientemale».

«Che cosa ne sai tu di pou-les?»

«Niente. Le guardo. Uno leguarda».

«Che cosa ne dice Tou-ton?»

«Che non bisogna pren-derle sul serio».

«Che cos’è che bisognaprendere sul serio?»

«Vive la France et les pommesde terre frites».

«Touton è un grand’uomo»dissi.

«E un grande soldato» disseBumby. «Mi ha insegnato mol-to».

«Io lo ammiro moltissimo»dissi.

«Ti ammira anche lui. Diceche fai un métiermolto diffici-le. Dimmi Papa è difficile scri-vere?»

«Qualche volta».«Touton dice che è molto

difficile e che devo sempreaverne rispetto».

«Tu ne hai rispetto».«Possiamo passare dalla li-

breria di Silver Beach andando a casa?»«Passeremo di lì e poi devo portarti a ca-

sa in tempo per il pranzo. Ho promesso diandare a pranzo con della gente».

«Gente interessante?»«Gente» risposi.Era troppo presto perché mettessero

in acqua le barche nei giardini del Luxem-bourg e così non ci fermammo a guarda-re e quando arrivammo a casa Hadley e ioavevamo litigato per qualcosa riguardo laquale lei aveva avuto ragione e io avevoavuto torto sul serio.

ERNEST HEMINGWAY

la copertina

A PESCAHemingwaycon il primogenitoJohn (Bumby)e Patrick (Mousie)con un grosso tonnoa Bimini nel 1935

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12GIUGNO 2011

Caro Bumby, figlio mio,un giorno capirai tutto

HemingwayErnest

Repubblica Nazionale

«La mamma è stata cattiva. Papa l’hasgridata» annunciò Bumby in francesecon grande importanza ancora sotto l’in-fluenza di Touton. Dopo che Scott avevapreso con buona frequenza a capitare lìubriaco Bumby mi chiese molto seria-mente una mattina quando lui e io avem-mo finito di lavorare insieme al caffè diPlace St-Michel: «Monsieur Fitzgerald èammalato Papa?».

«È ammalato perché beve troppo e nonriesce a lavorare».

«Lui non ha rispetto per il suo métier?»

«Madame sua moglie non ne ha rispet-to o ne è invidiosa».

«Lui dovrebbe sgridarla».«Non è così facile».«Ci incontriamo con lui oggi?»«Sì, credo di s컫E andrà avanti a bere tanto?»«Ha detto che non dovremmo bere».«Darò io il buon esempio».Quel pomeriggio quando Scott e io ci

incontrammo con Bumby in un caffèneutrale era un giorno in cui Scott non be-veva e ordinammo una bottiglia d’acqua

minerale ciascuno.«Per me una demi-blonde» disse

Bumby.«Lasci che il bambino beva birra?»

chiese Scott.«Touton dice che un pochino di birra

non fa male a un ragazzo della mia età»disse Bumby. «Ma faccia un ballon».

Un ballon era solo un mezzo bicchieredi birra.

«Chi è questo Touton?» chiese Scott.Gli raccontai di Touton e di come

avrebbe potuto saltar fuori dalle memo-rie di Marbot oppure di Ney, se questiavesse scritto le sue, e che incarnava il vec-chio establishment militare francese cheera stato distrutto più volte ma che anco-ra esisteva. Scott e io parlammo dellecampagne napoleoniche e della guerradel 1870 che lui non aveva studiato e io gliraccontai alcune storie di ammutina-mento nell’esercito francese e di comeuomini dello stampo di Touton fosseroun anacronismo ma anche una cosa diassoluto valore. Scott era appassionata-mente interessato alla guerra 1914-18 edal momento che avevo molti amici chevi avevano combattuto e qualcuno cheaveva visto parecchie cose nei dettagli,queste storie gli fecero una grande im-pressione. Il discorso era ben al di là dellaportata di Bumby ma lui ascoltava atten-tamente e più tardi quando avevamo par-lato di altre cose e Scott se n’era andato,pieno di acqua minerale e del propositodi scrivere bene e sinceramente, chiesi aBumby perché aveva ordinato una birra.

«Touton dice che un uomo deve primadi tutto imparare a controllarsi» disse.«Ho pensato che potevo dare il buonesempio».

«Non è così semplice» gli dissi.«Neanche la guerra è semplice vero Pa-

pa?»«No. Molto complicata. Per adesso cre-

di a quello che dice Touton. Più avantiscoprirai molte cose per conto tuo».

«Monsieur Fitzgerald è stato mental-mente demolito dalla guerra? Touton miha detto che a molta gente è successo».

«No. Lui no».«Sono contento» disse Bumby. «Può

essere qualcosa di passeggero». «Non sarebbe una disgrazia se fosse

stata la guerra a demolirlo mentalmente»dissi. «Molti dei nostri buoni amici lo so-no stati. Poi qualcuno si è ripreso e ha fat-to delle belle cose».

«Touton mi ha spiegato che esserementalmente demolito non è questionedi disgrazia. C’era troppa artiglieria inquest’ultima guerra. E i generali eranotutti bestie».

«È molto complicato» dissi. «Un giornocapirai tutto per conto tuo».

«Intanto è bello che noi non abbiamoproblemi di nostro. Non grossi problemi.Hai lavorato bene oggi?»

«Molto bene».«Sono contento» disse Bumby. «Non ti

posso aiutare in qualcosa?»«Tu mi aiuti molto».«Povero Monsieur Fitzgerald» disse

Bumby. «È stato molto bravo oggi a resta-re sobrio e a non darti fastidio. Andrà a fi-nire tutto bene per lui Papa?»

«Lo spero» dissi. «Ma ha dei problemimolto gravi. A me sembra che abbia deiproblemi quasi insormontabili comescrittore».

«Sono sicuro che li sormonterà» disseBumby. «È stato così gentile oggi e cosìgiudizioso».

Traduzione di Luigi Lunari

Restored edition © 2009 Hemingway Fo-

reing Rights Trust . All rights reserved

© Arnoldo Mondadori Editore Spa, Milano

Pubblicato per concessione dell'editore(segue nelle pagine successive)

(segue dalla copertina)

Chissà forse da qualche parte c’era un trucco nascosto. Ma-gari anche a casa sua, quella da dove se n’era andato, stancodelle lezioni di violoncello che gli imponeva la madre. Oak

Park, ovest di Chicago, sul lago Michigan. Casa vittoriana, ora tra-sformata in un museo, foto e lettere, viale di querce. Niente d’inte-ressante, nostalgia zero. Del resto anche lui scrisse alla sorella:«Vieni via, c’è un mondo là fuori». Poco più in là ha vissuto e pro-

gettato l’architetto Frank Lloyd Wright e lo scrittore EdgarRice Burroughs, creatore di Tarzan. Però a nord c’è il lago,quello misterioso di Campo indiano, dove Nick chiede: «Èdifficile morire, babbo?» e sempre lì c’è Horton Bay doveHemingway scopre le quattro parole per dire basta, quan-do l’amore diventa freddo. «Non è più divertente». Lei è laMarjorie de La fine di qualcosa. A casa Hemingway nessunaccenno al suicidio dello scrittore, come se lo sparo fosse unatto futile e maleducato, di quelli che sporcano la tappezze-ria (si tolse la vita in garage, nell’Idaho, esattamente cin-quant’anni fa, il 2 luglio 1961). Stesso gesto per padre, fratello,sorella, nipote (Margaux).

La sua Africa. A Nairobi si fermava al New Stanley Hotel, al-bergo in centro, nel cui bar nel ’23 era stata servita la prima bir-ra locale. Negli anni Settanta c’era un direttore italiano, che nonsembrava molto affascinato dal premio Nobel, ricordava solo lasua ubriachezza. Per riprendersi meglio scalare il Kilimangiaroper via «della carcassa rinsecchita e congelata di un leopardo». Ilgiovane Holden si chiede dove vadano le anatre d’inverno a Cen-tral Park, è una domanda curiosa e assurda. Salinger è l’anti-He-mingway, forse non sarebbe esistito senza di lui: niente sport, an-zi una schiappa, niente eroismi. Le anatre di Salinger fanno sorri-dere, il leopardo delle nevi del Kilimangiaro inquieta come re Lear.

Hemingway si metteva al centro, s’impossessò del mondo, co-me se non fosse esistito prima di lui: spiegò l’America all’Europa el’Europa all’America. Non era solo uno scrittore, ma un tour ope-rator, faceva, lanciava luoghi, alberghi, bar: l’encierro a San Firmi-no, le soste al Café Iruña, magnifico esempio di liberty, l’hotel LaPerla a Pamplona. Mare, montagne, laghi, fiumi, savane. Fronti etrincee, guerre e liberazioni, tori e toreri, coraggi e paure. Genera-zione perduta e ritrovata. Fiesta, olè. Convinse mezzo mondo cheper scrivere bisognava andare a Parigi. Rese attraente l’Africa pri-ma della baronessa Isak Dinesen, in arte Karen Blixen, che co-

munque in Kenya c’era arrivata già da tempo (e non per turismo).Hemingway sapeva quando era il momento. E quel momento rac-contava e reinventava. Non gli interessava la psicanalisi dal male,ma solo l’arrivo del colpo, la fitta del dolore. «Il vecchio sognava ileoni». Quando a Scott Fitzgerald morì il padre, l’amico Ernest gliscrisse: «Non sprecare materiale così ricco». Non era cinico, vole-va solo che l’altro non si distraesse. Ma Scott non combatteva le fru-strazioni, anzi le corteggiava: «Stare a letto e non dormire. Volerequalcuno che non viene. Cercare di piacere e non riuscirci».

La casa di Hem a Cuba era la Finca Vigia, a San Francisco de Pau-la, nei dintorni della capitale. Scriveva in piedi, a matita. Di matti-na. Poi a macchina sullo scrittoio. Accanto aveva ottomila libri e 57gatti. Aveva bisogno di fisicità: una nuotata in piscina, un po’ diboxe con i ragazzini e poi il baseball. «Se sei innamorato scrivi me-glio». Lo ispirava anche l’hotel Ambos Mundos, dove c’era Espe-rancia, la vestale della chiave 511, camera con vista mare. Mojito edaiquiri sì. E altro consiglio: «Tenetevi lontani da telefoni e secca-tori». Mai disperdersi, come Fitzgerald.

Da Cuba a Key West in Florida, al numero 907 di WhiteheadStreet, la villetta antica, le palme, i banani, il luogo dove scrisse Ad-dio alle armi, i famosi gatti polidattili, a sei dita, Snowball il suo pre-ferito, ma soprattutto la piccola libreria in bagno. Dunque al cessosi legge. E gli occhialetti lasciati sul letto, un po’ come quelli (in-sanguinati) di John Lennon quando gli spararono davanti al Dako-ta. Hemingway aveva disciplina. «Ho riscritto 39 volte l’ultima pa-gina di Addio alle armi prima di essere soddisfatto». Trovare le pa-role giuste: correggersi, non accontentarsi, migliorarsi. Eliminarequello che non serve. La famosa teoria dell’iceberg: è grosso e si ve-de, ma quello che lo tiene in piedi è la parte invisibile che sta sotto.«Le cose esistono, capitano, molte le sai, altre le ignori, ma tramitela tua invenzione prendono una nuova vita. Si scrive per essereimmortali». Allenarsi, essere onesti. Il talento è un padrone feroce,non dà libertà, regala splendida schiavitù. Non conta quello chebevi, come viaggi, cosa cerchi. Non c’è più quell’Africa, gli elefantisono quasi estinti, non c’è più quella Spagna, la corrida in Catalo-gna è bandita, e sulla strada che scende dal passo di Navacerradadove sul Puente de la Cantina, al chilometro 130 della statale, il par-tigiano Robert Jordan piazza la dinamite, non c’è nulla che ricordila guerra civile e che la campana suona anche noi. Però, quando dinotte cammini per il mondo, speri che i baristi abbiano letto Unposto pulito illuminato bene e non spengano presto la luce.

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 12GIUGNO 2011

EMANUELA AUDUSIO

ALBUML’album di famigliaSi riconosconoClarence, Marcellineed Ernest a Windemere nel 1901e lo scrittoreneonato. Sotto, la licenza di pescaspagnola. In copertina,il passaportodello scrittore nel 1921

MEMORIAL DAYA sinistra, i piccoli Hemingwaydurante il Memorial Day nel 1907:il nonno Ansone è in uniforme,Ernest è il terzo da sinistra; sopra,Hemingway nel 1906

Scrittore, soldato e tour operatorle mille vite di Mister Hem

FRANCIA E SPAGNAGli altri documentisono ricordi del periodospagnolo e francese: una guida di Parigi,e un biglietto della corrida

Repubblica Nazionale

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12GIUGNO 2011

Anniversari“Quando sei con una vuoi lei e quella che non è lìQuando sei con l’altra vuoi lei e quella che non è lìQuando sei con tutte e due le vuoi tutte e due e il fatto stranoè che ti senti felice. In fondo è più facile rompersi le gambeche rompersi il cuore anche se dicono che oggi tutto si rompee che dopo molti sono più forti nei punti dove si sono rotti”

la copertina

A FRANCISA destra, Hemingway a quindici anni;a sinistra e nell’altra pagina,passaporti del ’25 e del ’21e la tessera da inviato di guerra del ’44Sotto, un biglietto per Pamplonae il dattiloscritto di Festa mobile

con le parole dedicate a Francis ScottFitzgerald: “Il suo talento era naturalecome i motivi sulle ali di una farfalla”

ERNEST HEMINGWAY

Il primoanno nel Vorarlberg fu unanno innocente. L’ultimo annofu un incubo e un anno assassinomascherato da quello più diver-tente di tutti. Fu in quell’anno chei ricchi si fecero vivi. I ricchi han-

no sempre una sorta di pesce pilota cheli precede, qualche volta è un po’ sordo,qualche volta un po’ cieco, ma è semprelì che annusa con aria affabile e che li pre-cede esitante.[...] A quei tempi io mi fida-vo del pesce pilota come mi sarei fidatodelle Rotte Velistiche Idrografiche Rive-dute e Corrette per il Mediterraneo. Af-fascinato da questi ricchi io ero tanto fi-ducioso e tanto stupido quanto un caneda caccia voglioso di seguire qualunqueuomo con un fucile, o come il maiale am-

ErnestHemingway

Amare due donnenell’invernodel mio rimorso

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 12GIUGNO 2011

che se per il momento lo sta accettandosuo malgrado. Quando sei solo con lei sache l’ami ed è convinta che se qualcunoama qualcuno non può amare nessunaltro e tu non parli mai dell’altra per aiu-tarla e per aiutare te stesso anche se tu or-mai sei al di là di ogni possibile aiuto.

Tu non sai mai e forse neanche lei hasaputo quando ha preso la sua decisionema a un certo punto nel bel mezzo del-l’inverno ha cominciato a puntare sta-bilmente e implacabilmente al matri-monio; senza mai rompere l’amiciziacon tua moglie, senza mai perdere i van-taggi della situazione, sempre preser-vando l’apparenza di una assoluta inno-cenza.[..]

Era necessario che io lasciassi Sch-runs e andassi a New York per chiarirecon chi dovessi pubblicare dopo il primo

I RAGAZZIDa sinistra, Hemingway e Bumby a Parigi nel ’24, i figli John, Patrick e Gregorya Key West nel ’35; lo scrittore ferito all’ospedale della Croce Rossa nel ’18 ;in basso a sinistra, le medaglie al valore (Per tutte le foto © JFK Library, Boston)

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MASSIMO NOVELLI

Le cose della vita andavano male, soprattutto in quello scorcio del1958, per Ernest Hemingway. Assillato da problemi esistenziali, tor-turato da malanni vari, ormai lavorava con estrema, penosa, fatica.

Il 24 ottobre, mentre stava per interrompere la stesura di Festa mobile e larevisione del dattiloscritto-fiume de Il giardino dell’Eden, Alfred Rice, il suorappresentante legale a New York, gli fece avere a Ketchum, nell’Idaho, unalettera ricevuta dall’agente letterario Fabio Coen. Quest’ultimo, rivolgen-dosi al romanziere su invito di Gian Giacomo Feltrinelli,esprimeva il «vivo desiderio del Signor Feltrinelli» di«pubblicare in Italia nella traduzione italiana una raccol-ta dei Suoi articoli sparsi in quotidiani e riviste nel corsodella Sua carriera di scrittore».

A rispondere per primo, per conto dello scrittore, fu l’av-vocato di Manhattan. Poche parole, il 17 novembre, perchiarire che «il Signor Hemingway desidera per mio trami-te informarLa che egli non concederà l’autorizzazione, né aFeltrinelli né ad altri [...] ed anzi proibisce espressamenteogni pubblicazione del genere». Nove giorni dopo toccò al-l’autore di Addio alle armi che, sdegnato, volle informare dipersona Arnoldo Mondadori, il suo editore italiano, della pro-posta fattagli dall’uomo che aveva appena pubblicato Il dottorZivago del Nobel Boris Pasternak.

Conservato con le altre carte nell’archivio della Fondazio-ne Arnoldo e Alberto Mondadori, il biglietto con il«no» a Feltrinelli si spiegherebbe principalmentecon l’amicizia e il consolidato rapporto di lavoroche univa Hemingway ai Mondadori. In particola-re, ricorda Luisa Finocchi, che dirige la Fondazione,«era molto legato ad Alberto». Nella “lettera chiusa”spedita ad Arnoldo, però, risaltano un riferimentopreciso alle supposte convinzioni politiche di Feltri-nelli e di Coen, identificato a quanto sembra comemembro di un partito di sinistra, e persino una battu-ta sul cognome di origine ebraica dell’agente lettera-rio. Hemigway riassunse così la vicenda: «La corri-spondenza parla da sola, e Lei certo saprà che tipo è Fel-trinelli e come proteggere in queste circostanze i Suoi ei miei interessi. Coen, a parte il suo nome o il partito cuiè iscritto, può essere ben definito dal tipo di lettere chescrive: le sue lettere sono sinistre. A lei comunque saràben noto questo genere di uomini se non l’uomo in que-stione». Cosa lo indusse, oltre al rapporto con Mondado-ri, a reagire così? La nevrosi? O forse il fatto che, in quel pe-riodo, lo stesso Hemingway venisse ritenuto un comuni-sta, amico di Castro, spiato dalla Cia e al centro di un pre-sunto complotto orchestrato per ucciderlo?

Nella lettera del 26 novembre, promise anche al grandeeditore di sperare «d’aver presto un nuovo libro da darLe».Commosso per la dimostrazione di lealtà nei suoi confronti,il vecchio Mondadori volle ringraziarlo. Gli scrisse il 12 dicembre: «Sonoestremamente felice, e molto fiero, di questa sua nuova prova di fedele ami-cizia per me, di cui, naturalmente, non ho mai dubitato. Comunque, que-ste sono cose che hanno il potere di commuovermi profondamente ». E ag-giunse: «Niente poteva rendermi più felice di sentirle menzionare il suonuovo libro, e posso solo dirle che la promessa di spedirmelo presto, è ilmiglior regalo per Natale che io possa aver desiderato». Non lo riceverà.

Il gran rifiuto a Feltrinelli“Le sue parole sono sinistre”

Una nuova “Festa mobile”

libro di racconti e quando tornai a Parigiavrei dovuto prendere il primo treno chemi portasse in Austria. Ma la ragazza dicui mi ero innamorato era a Parigi ades-so, sempre a scrivere a mia moglie, e do-ve andammo e quello che facemmo el’incredibile felicità, lancinante, ribelle,l’egoismo e la slealtà di tutto quello chefacemmo, mi diedero una felicità tale euna felicità tanto impossibile da soppri-mere e spaventosa che il nero rimorsoarrivò e l’odio per il peccato e nessunpentimento, solo un terribile rimorso.

Quando rividi mia moglie ferma sullabanchina mentre il treno entrava tra lecataste di tronchi in stazione, desideraidi essere morto senza aver mai amato al-tra donna che lei. Sorrideva, il sole sul suobel volto abbronzato dalla neve e dal so-le, il corpo ben fatto, i capelli d’oro rosso

nel sole, lasciati crescere tutto l’invernooriginali e bellissimi, e Mr Bumby fermoaccanto a lei, biondo e sodo e con le sueguance d’inverno che sembrava un bra-vo ragazzo del Vorarlberg. «Oh, Tatie»disse, mentre la stringevo tra le braccia.«Sei tornato e hai fatto un viaggio mera-vigliosamente riuscito. Ti amo e ci seimancato molto.»

Io l’amavo e non amavo nessun’altrae vivemmo un delizioso momento ma-gico finché restammo soli. Io lavorai be-ne e facemmo delle meravigliose gite, efu solo quando fummo lontani dallamontagna in tarda primavera, e di ritor-no a Parigi che l’altra storia ricominciò. Ilrimorso era una bella e buona cosa e conun po’ di fortuna e se fossi stato un uomomigliore probabilmente avrebbe potutorisparmiarmi per qualcosa di peggio in-vece di essere il mio fedele e costantecompagno per i tre anni successivi. [...]

Il rimorso non mancò mai giorno onotte fino a che mia moglie non ebbesposato un uomo molto migliore diquanto io sia mai stato o potessi essere eio seppi che era felice. Ma quell’invernoprima di sapere che sarei ricaduto nellamalvagità ci divertimmo a Schruns e iomi ricordo tutto di quel momento e l’ar-rivo della primavera tra le montagne equanto mia moglie e io ci amavano e fi-davamo l’uno dell’altra e come eravamofelici che tutti i ricchi se ne fossero anda-ti e come io credevo che fossimo di nuo-vo invulnerabili. Ma non eravamo invul-nerabili e quella fu la fine della primaparte di Parigi, e Parigi non sarebbe mai

più stata la stes-sa anche se erasempre Parigi etu cambiavimentre cam-biava lei. Nont o r n a m m opiù nel Vo-rarlberg enemmeno iricchi lo fe-cero. Credoche nean-che il pe-sce pilotaci sia maitornato.Lui ave-va nuovip o s t id o v epilota-re i ric-chi e

alla fineè diventato un riccoanche lui. [...]

Ora più nessunosale in alto con gli scie quasi tutti si rom-pono le gambe maforse in fondo è piùfacile rompersi legambe che rom-persi il cuore an-che se diconoche oggi tutto sirompe e che avolte, dopo,molti sono piùforti proprio

nei punti dove si so-no rotti. Adesso di questo non so più

niente ma è così che era Parigi nei primianni quando eravamo molto poveri emolto felici.

Traduzione di Luigi LunariRestored edition © 2009 Hemingway

Foreing Rights Trust . All rights reserved© Arnoldo Mondadori Editore Spa,Milano. Pubblicato per concessione

dell'editore

maestrato di un circo che finalmente hatrovato qualcuno che lo ama e lo ap-prezza per quello che è. Che ogni giornodovesse essere una fiesta mi sembravauna splendida scoperta. Leggevo perfi-no ad alta voce la parte del romanzo cheavevo riscritto, il che è più o meno il pun-to più basso a cui uno scrittore possascendere e molto più pericoloso per luicome scrittore che sciare slegato su unghiacciaio prima che le nevicate di pienoinverno coprano i crepacci. [...]

Fu un inverno degli orrori. Prima chequesti ricchi arrivassero si era già infil-trato tra noi un altro ricco che si era ser-vito del più antico trucco probabilmen-te esistente. È quando una giovane don-na non sposata diventa temporanea-mente la migliore amica di un’altra gio-vane donna che è sposata, arriva a vive-

CARTEGGIOSopra, la copertina di Festa

mobile; a destra, le letteretra Feltrinelli, Hemingwaye Mondadori nelle qualilo scrittore declina l’offertadi cambiare editoree ribadisce la sua stimaad Arnoldo

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re con il marito e la moglie e poi incon-sciamente, innocentemente e implaca-bilmente decide di sposare il marito. [...]

Il marito ha due affascinanti ragazzeaccanto a sé quando mette da parte il la-voro. Una è nuova e strana e se lui è sfor-tunato arriva ad amarle entrambe. Allo-ra la più implacabile vince. Suona moltostupido. Ma amare davvero due donneal tempo stesso, amarle sinceramente, èla cosa più distruttiva e terribile che pos-sa succedere a un uomo quando la don-na non sposata decide di sposarsi. [...]

Quando sei con una ami lei e quellache non è lì. Quando sei con l’altra ami leie quella che non è lì. Quando sei con tut-te e due le ami tutte e due e il fatto stranoè che ti senti felice. Ma con il procederedelle cose quella nuova non si sente feli-ce perché vede che le ami tutte e due an-

Aveva rinchiuso tutto lasciato tutto in tre bauli. Era la primavera del1928. Frammenti dimenticati, pagine dattiloscritte, appunti, libri,ritagli di giornale e vecchi vestiti. «Una capsula del tempo» scrisse

Ernest Hemingway, materiale che lo aveva spinto, nell’estate del 1957, a la-vorare a The Paris Sketches tra Cuba, Ketchum, la Spagna e Parigi. È da quiche nasce la nuova edizione di Festa mobile, da cui pubblichiamo in que-ste pagine due racconti inediti. Il libro, pubblicato negli Usa nel 2009, usciràil 28 giugno in Italia negli Oscar Mondadori (224 pagine, 9 euro), con la pre-messa del figlio Patrick e l’introduzione del nipote, Seán. Figlio e nipote ri-propongono una versione «più coerente» a quella dell’autore, diversa daquella che, secondo loro, la moglie Mary aveva «snaturato». Sono otto rac-conti ambientati tra il 1921 e il 1926: la storia dello chaffeur francese dei Fitz-gerald, una palestra di pugilato e poi il più cupo, Nada y pues nada, scrittoin tre giorni, dal primo al 3 aprile 1961, meno di tre mesi prima di suicidar-si. Le foto di quelle memorie, ma anche quelle della Prima guerra mondia-le, di Cuba, della Spagna, dell’Africa e di tutta una vita che illustrano questepagine, sono invece tratte da Hemingway, la vie et ailleurs (di Mariel He-mingway — la nipote dello scrittore — e Boris Vejdovsky, docente di lette-ratura americana a Losanna). Da fine giugno il volume sarà disponibile inEuropa per Michel Lafon Paris, e a settembre in Italia per De Agostini (207pagine, 39 euro). Un album ricostruito attraverso la JFK Library di Boston.

(ambra somaschini)

Repubblica Nazionale

La congiura, la salvezza e for-se la santità: comunquesottoterra. A parziale, masostanziale disdetta dellaneutralità della Santa Sede,tra il 1939 e il 1945 Pio XII

congiurò contro Hitler e in seguito fecemettere in salvo diversi ebrei romani,convertiti e non, in quello stesso fanta-stico e impensabile luogo dell’ipogeodove diciannove secoli prima era statosepolto il primo pontefice della storia,quello che nell’iconografia possiede lechiavi del Paradiso.

Papi, dunque, apostoli, nazisti, ar-cheologia e spionaggio. Che già baste-rebbe. Ma quando le vicende si intrec-ciano nella città eterna, può anche acca-dere che nell’oscurità degli scavi sotto labasilica di San Pietro fioche lampade al-l’acetilene illuminino reliquie dimenti-cate in una cassetta, equivoci e beghe fraepigrafisti, bassi intrighi di curia e strate-gie geopolitiche. Per cui dalle reti dei pe-scatori del lago di Tiberiade, seguendo ilracconto, si finisce per entrare, primacon diffidenza poi con appassionata cu-riosità, nelle grotte vaticane dove Pio XII,appena eletto, intende fare spazio per latomba del suo predecessore. È la vigiliadella Seconda guerra mondiale, ma poi

anche nei palazzi apostolici tutto si fadrammatico e fra ambasciatori inglesi ebenefattori ebrei, cardinaloni fascisti ecoraggiose suorine, si imbastisce unatrama di audacie, delazioni, lacrime, sa-cramenti, bombardamenti, treni blin-dati, silenzi, preghiere e sotterfugi.

Solo a Roma Barbara Frale, studiosadei Templari e della Sindone, ricercatri-ce dell’Archivio Segreto Vaticano, pote-va ambientare questo suo molto, forse

troppo impegnativo Il principe e il pe-scatore (Mondadori, 360 pagine, 20 eu-ro), a proposito del quale con inesorabi-le scetticismo romano si sarebbe addi-rittura portati a dire, ma non lo si dice: senon è vero, è molto ben inventato.

E non suoni come discredito per un la-voro dichiaratamente e quindi onesta-mente, ma pure fin troppo risolutamen-te agiografico rispetto alla discussa figu-ra di Pio XII. È che comunque la storia

che qui è raccontata appare talmentericca e suggestiva che il giornalismo l’ac-coglie d’istinto come una manna dal cie-lo; e più ancora le darà il benvenuto ilmondo dalla fiction televisiva, che per ipapi e i santi in questi momenti frivoli espietati ha un indubbio interesse.

Dunque, il Principe è papa Pacelli, ineffetti il più valoroso e anche il più slan-ciato, ieratico e scenografico tra i patriziromani, categoria invero da prendersi

con le pinze. Mentre il Pescatore è SanPietro, già Simone, il primo degli aposto-li, martire a testa in giù e fondatore diSanta Romana Ecclesia. I cui sacri resti apartire dal 1939 Pio XII ordina di cercarecon personalissimo ardore, come anti-doto all’intellettualismo modernista,nell’immensa necropoli sepolta sotto labasilica apostolica, che poi sono due,quella costantiniana e poi quella rinasci-mentale. E saranno ritrovate in effetti nei

FILIPPO CECCARELLI

Anno 1939, Pio XII ordina di scavare sotto la basilica vaticana per trovarela tomba del primo apostolo. Ben presto il cantiere si trasforma in un covodi congiurati tedeschi e Alleati che vogliono abbattere il Führer e in un rifugio

per ebrei perseguitati. Tra misteri, suggestioni, complotti e ricostruzione storica,un nuovo libro riapre la questione di papa Pacelli e dei suoi rapporti col nazismo

CULTURA*

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12GIUGNO 2011

SANPIETRO

LAGROTTA SEGRETA

Un bunker per fermare Hitler

DI

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 12GIUGNO 2011

primi anni Cinquanta, queste sacre ossaattribuite a San Pietro, sia pure in formeavventurose, grazie soprattutto all’ope-ra di Margherita Guarducci, in competi-zione con altri ragguardevoli personag-gi che in parte seguitavano a cercarle neiposti sbagliati e in parte le avevano giàtrovate senza saperlo. Ma l’irresistibilenovità da fare invidia a Dan Brown è cheattorno ai grandiosi scavi nelle grotte va-ticane, nel misterioso cantiere mante-nuto aperto alla ricerca delle reliquienelle viscere della cristianità finì per ope-rare una vera e propria rete di spionaggioantinazista allestita da Pacelli all’insa-puta della Segreteria di Stato e cioè deicardinali Montini e Tardini, di cui tutto sipuò dire meno che fossero degli allocchi.

Dopo di che, nel medesimo sottosuo-lo, tra pale, carriole, detriti, sarcofagi e imarmi dei magnifici mausolei pagani ecristiani, grazie a un’organizzazione ge-stita più o meno dagli stessi fidatissimiper conto del Papa, riuscirono a salvarsila pelle centinaia e forse migliaia di ebrei,alcuni dei quali anche travestiti da ope-rai scavatori e “sanpietrini”. E a questopunto occorre lealmente precisare: se

sulla figura di Pio XII e sul suo atteggia-mento nei confronti del nazismo e degliebrei non si fossero accumulati decennidi polemiche, controversie, dubbi epreoccupazioni la lettura de Il principe eil pescatore, che tra l’altro inizia con unacitazione da una canzone di De André(«All’ombra dell’ultimo sole, s’era asso-pito un pescatore»), risulterebbe moltopiù serena. E forse anche il raccontoscorrerebbe più leggero, senza iperpro-fusione documentaria e senza destaresospetti di lacune (una fra tutte, pur-troppo: La Resistenza in convento di En-zo Forcella), né occhiute verifiche di fat-ti privi di riferimenti bibliografici o dieventuali forzature, senza soprassalti disconforto perché l’autrice, in un passag-gio un po’ così, ha anche citato i diari fa-sulli di Mussolini, e proprio sulla que-stione degli ebrei, dove il Duce guardacaso risulta particolarmente benigno.

Perché la storia che qui si racconta èper sua natura incerta e contraddittoriae vive di suggestioni, di specchi, di astu-zie che si sdoppiano in un gioco semprepiù rischioso. Tutto ruota attorno a unpaio di monsignori tedeschi, uno è l’uo-

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Tutto ruota attornoa due monsignori:l’economo LudwigKaas e il gesuitaRobert Leiber

PIO XIIIl luogo dove è sepoltoil papa che ha ordinatola ricerca della tombadi San Pietro

IL BALDACCHINORealizzatodal Berninitra il 1624e il 1633sotto Urbano VIII

LE FOTONell’altra pagina, uno dei mausoleisotto il Vaticano con la targa di Pio XII;sotto, la statua di San Pietro nelle grottevaticane e l’interno della Basilica

L’ALTAREConsacratoda Clemente VIInel 1594 è postosulla verticaledel sepolcrodi Pietro

mo a cui papa Pacelli, a lungo nunzioapostolico a Berlino e poi Segretario diStato di Pio XI, ha affidato l’operazione diritrovamento delle sante spoglie nel sot-tosuolo vaticano: Ludwig Kaas, già uo-mo politico del Partito popolare in Ger-mania e ora economo e segretario dellaReverenda fabbrica di San Pietro; l’altroè il coltissimo segretario personale di Pa-celli, padre Robert Leiber, un gesuita cheinsegna all’università Gregoriana.

Sono loro che lontano da sguardi in-discreti, in una Curia che già pullula dispie e delatori al servizio dei fascisti e deinazisti, accolgono le periodiche visite diun agente segreto tedesco, Joseph Mül-ler, a più riprese spedito a Roma da ungruppo di generali «senza svastica» chefin dal 1938 cospirano contro Hitler e cheattraverso questa specialissima reteapostolica e sotterranea, nel senso au-tentico della parola, fanno arrivare aglialleati, attraverso l’ambasciatore britan-nico presso la Santa Sede sir D’ArcyOsborne, addirittura i piani di guerra delFührer, in vista di una possibile pace chesalvaguardi l’integrità della Germania.

Però poi tutto va in altra direzione. Ma

LA BASILICA

LA NECROPOLI

LA TOMBA DI PIETRO

ESPLORATORIIn udienza da Pio XII nel ’43la squadra della “Fabbrica”Nel cerchio, Ludwig Kaas,l’uomo di fiducia del Papa

LE GROTTE Dove sono sepolti:

Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo I

Paolo VI

Bonifacio VIII

IL LIBRO

Sarà in libreria martedì 14 giugno Il principe

e il pescatore. Pio XII, il nazismo

e la tomba di San Pietro di Barbara Frale,storica e ricercatrice presso l’Archivio SegretoVaticano. Il libro è pubblicato da Mondadori(360 pagine, 20 euro)

LA RICOSTRUZIONEUn modello del “trofeo di Gaio”: un’edicola che segnava l'ingressoalla tomba dell'Apostolo. A fianco, un frammento del muro rossosu cui gli archeologi hanno decifrato la scritta “Pietro è qui”

contemporaneamente, anche se attra-verso canali meno personali, direttive,note cifrate, circolari e contatti con be-nefattori la Santa Sede ingaggia unamassiccia opera di assistenza agli ebrei,in un primo momento per farli emigrareattraverso la Società San Vincenzo e l’O-pera San Gabriele; e poi per proteggerli,naturalmente in gran segreto, quando lapersecuzione richiede di pagare riscatti,falsificare documenti e soprattutto na-scondere le persone, anche dietro il can-cello di bronzo, con i suoi intrepidi per-sonaggi e i rischi del caso — vedi il pro-getto delle SS di sequestrare il Papa e tra-sferirlo nel Lichtenstein.

E davvero non si ha alcun titolo peremettere giudizi definitivi su Pio XII: seabbia fatto tutto quel che poteva, e anco-ra meno è il caso di stabilire se meriti omeno la gloria degli altari. L’opinionepiù sensata è parsa di coglierla in una pa-gina molto felice in cui l’autrice ha rite-nuto, e giustamente, di riportare la sem-plice testimonianza di sua nonna, Rena-ta Baldini, che dopo il bombardamentodegli Alleati sullo scalo San Lorenzo si ri-trovò faccia a faccia, per strada, con il Pa-pa giunto quasi in incognito a rendersiconto di persona, ma anche a pregare edare una mano tra i feriti. Ebbene quel-l’uomo, quell’aristocratico, quel ponte-fice, le parve lì per lì «un povero cristosecco come un chiodo che non sapevapiù dove mettersi le mani, con la città oc-cupata dai tedeschi». Là dove la veraMaestà, più che ai principi, appartieneforse ai poveri cristi, ai loro necessariequivoci, alle loro gloriose sofferenze.

IL MAUSOLEOSono tombe romaneche risalgono dal 117al 161 dopo CristoL’area dove sarebbestato sepolto Pietroè contrassegnatacome “Campo P”

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Repubblica Nazionale

Spaghetti e sangue. Tradi-menti e omicidi. Toni accesi,colori forti, passioni esaspe-rate. Un po’ Il Padrino, unpo’ Cleopatra versione LizTaylor. L’epica nostrana, re-

cente o antichissima, la tv e il cinema in-ternazionali la rappresentano così. AHollywood, e non solo: raccontato dafuori i confini, attraverso lo schermogrande o piccolo, il Belpaese diventa unperfetto set di intrighi melò. Dalla Romaclassica, da sempre ambientazione perfilm e serial a base di corna e congiure, alpiù contemporaneo tra i fenomeni tri-colori trapiantati in territorio america-no, quello mafioso: un filo conduttoreattraversa prodotti tra loro differenti,nello stile e nel tempo. Dal titolo di unafamosa pellicola inglese del 1969 (che haavuto un remake nel 2003) potremmodefinirlo The Italian Job: la nostra storiain chiave criminale, con corruzioni, ne-fandezze, eroi cattivi e carismatici. E con

la costante ricerca di epoche passate damettere in scena.

L’ultima novità è la riscoperta del latooscuro del Rinascimento: quest’anno,infatti, due diverse serie tv patinate nar-rano la medesima dinasty familiare, cherisale alla seconda metà del 1400. Unadelle due megaproduzioni è europea, sichiama I Borgia ed è ancora inedita: danoi Sky Cinema 1 trasmette in anteprimale due puntate iniziali il 10 luglio, e tutti edodici gli episodi in novembre. I perso-naggi sono Rodrigo Borgia (che poi di-

L’ultima novità è la riscoperta del lato oscurodel Rinascimento. Ma prima de “I Borgia”,a breve sui nostri schermi direttamente dagli Usa, il Belpaese ha ispirato da sempre HollywoodEcco perché, dall’antica Roma alla mafia,siamo quelli di sangue, corna e intrighi

SPETTACOLI

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12GIUGNO 2011

The

venterà papa Alessandro VI), sua figliaincestuosa Lucrezia, il figlio condottieroCesare: le loro gesta sono rappresentatein modo crudo, sgargiante. Il creatore diquesta superfiction, l’americano di ori-gini italiane Tom Fontana (già papà di unaltro telefilm cult, Oz), ha rivelato i suoimodelli: «I Borgia sono l’equivalentedelle famiglie mafiose: le dinamiche e lemotivazioni sono le stesse. Ma tra le miefonti d’ispirazione c’è anche la saga tele-visiva Dallas». Un incrocio spericolato,dalla Sicilia al Texas. L’altra serie è The

Borgias, porta la firma prestigiosa di NeilJordan e ha come interprete principaleJeremy Irons: la prima stagione si è con-clusa il 22 maggio sul canale Usa Show-time (da noi c’è stata una lunga trattati-va con La7, dagli esiti ancora incerti). Eanche qui l’artefice dell’operazione hamostrato di avere le idee chiare: «Il mioprincipale punto di riferimento è Il Pa-drino — ha detto Jordan — ed è interes-sante notare come Mario Puzo, lo scrit-tore dal cui libro è tratto il film, si sia a suavolta ispirato alle cronache sui Borgia».

Una cerchio che si chiude, perfettoesempio di italian jobche travalica tem-po e spazio.

E non c’è solo il gioco di rimandi tra laCosa Nostra trapiantata negli Usa diFrancis Ford Coppola, e il Quindicesi-mo-Sedicesimo secolo nostrani. C’è an-che la continua fascinazione per l’anticaRoma. L’ultimo esempio tv — contro-verso, per le sue scene di sesso esplicito— è Spartacus: sangue e sabbia: i primitredici episodi sono stati da poco propo-sti in Italia da Sky 1, e dal 25 agosto toc-

cherà al prequel in sei puntate. Un suc-cesso planetario, esportato in ottantapaesi, Iran compreso. Il contesto è lostesso reso immortale dal film omonimodi Stanley Kubrick (1960), ma a base diacrobazie erotiche e momenti macabri.Rob Tapert, che con Sam Raimi ha pro-dotto la serie (trasmessa oltreoceano suStarz), ha citato ancora l’epica mafiosa:«Ho cercato di unire il meglio di due mo-menti di grande televisione, I Soprano eRome». Il primo riferimento è alle sei sta-gioni tv sui criminali italoamericani del

CLAUDIA MORGOGLIONE

JobUn cinemadi padrini, papie gladiatori

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Repubblica Nazionale

Benvenuti, gentili telespettatori, nell’Italia che piace alpubblico americano. L’Italia delle tre «P» che assicura-no successo ai serial televisivi o ai film: «Pasta, Papi e

Padrini». Dalla Roma putrefatta dei Cesari alla Curia depra-vata dei Borgia, dal New Jersey desolato dei Sopranos ai Bra-vi Ragazzi di Scorsese, dai materassi dei Corleone ai diaboliciintrighi del Codice Da Vinci, autori, produttori e sceneggiato-ri che vogliano vendere l’Italia al pubblico sembrano non po-tersi esimersi dal ricorso ai miti e al fascino inquietante di unpopolo di pugnalatori, cortigiane, intriganti, avvelenatori, in-cestuosi, mafiosi e papponi. E, generalmente parlando, ladri.

È un duello di stereotipi. Sulle rotte atlantiche, invisibili airadar ma visibilissimi su schermi e teleschermi, incrociano dadecenni flotte di luoghi comuni che viaggiano in direzioni op-poste per far cassetta. Sono i protagonisti inevitabili di quelliche i tromboni chiamano «scambi culturali», ma che qui di-ventano reali, quotidiani, nazional-popolari, ben lontani dal-le pinacoteche e dai seminari di accademici.

Non c’è ostilità, tuttavia, né disprezzo in questa reciprocacorrente di banalità sontuose e sordide che l’America e l’Ita-lia si scambiano. Anzi. Nella insistenza monotona con la qua-le Hollywood riesuma puntualmente il peggio della storia ita-liana, e che ora ha portato in un serial tv visivamente sontuo-so e carnalmente decomposto il truce regno di Alessandro VIe dei Borgia, c’è il sospetto di una segreta e impronunciabileammirazione per un popolo che in millenni di corruzione, dicaos, di malgoverno, di ipocrisia cattolica ha regalato al mon-do tsunami di arte e di cultura immortali quali il puritanesi-mo dei Padri Fondatori sbarcati dal veliero Mayflower nep-pure avrebbero potuto immaginare. Anche nell’umiltà quo-tidiana del cibo, gli schermi della tv traboccano di show sullacucina italiana, mentre non risultano programmi di succes-so sulle reti europee o italiane sulla preparazione di polpettedi carne fritta.

Se il luogo comune funziona sempre nello show businessdi massa, la stereotipizzazione dell’italiano furbastro e ma-chiavellico, voltagabbana e avvelenatore, familista ed egoistasuggerisce molto più che il titillare dei palati grossi. Dalla Dol-ce vita felliniana, archetipo dell’Italia sconfitta ma risorta infretta alle glorie provinciali del piacere, alla riesumazione del-la Roma prima cesarea e poi rinascimentale, c’è lo stupore diuna cultura calvinista che non riesce a capire come un popo-lo di peccatori spudorati possa non soltanto sopravvivere aipropri vizi ma, almeno in alcuni momenti della propria sto-ria, prosperare.

I Borgia, che pure erano spagnoli, sono dunque soltantol’ultima incarnazione televisiva di un sentimento che si na-sconde dietro l’apparente orrore. L’invidia. «Se rinasco, vo-glio fare il giornalista italiano» mi disse anni addietro JohnnyApple, uno dei grandi del New York Times, scoprendo duran-te un vertice che noi inviati italiani dibattevamo accanita-mente sulla scelta del migliore ristorante nel quale cenare do-po il servizio mentre lui e i colleghi americani viaggiavano apanini e gazzosa da buffet.

C’è chi si indigna, come fanno le lobby italo-americane, da-vanti a questa continua rappresentazione dell’Italia come unnido di vipere o un’incubatrice di padrini e picciotti da espor-tazione. Sbagliano. È sconfinata, paradossale, sdegnata am-mirazione quella che sgocciola nei titoli di testa del serial TheBorgias insieme con il sangue e ci si deve accontentare, vistoche grandi serial o kolossal su mirabili figure di statisti italia-ni defunti o viventi sarebbero difficilmente proponibili. E sulpresente, con un premier che «si è fottuto un’intera nazione»come ha scritto in copertina l’ultimo Economist, «The manwho screwed an entire country», è più caritatevole sorvolare.Rodrigo Borgia, Papa Alessandro VI, fu un orribile esempio disimonia e di debauche nella Curia Romana. Fu eletto dalloSpirito Santo con la collaborazione di cardinali comprati acolpi di carovane di muli carichi d’oro e argento, l’11 agostodel 1492. Ma una settimana prima, dal porto di Los Palos de laFrontera, aveva fatto rotta verso Ovest un certo Cristoforo Co-lombo. Senza di lui, un italiano, gli americani non avrebberomai scoperto quanto ci amino.

Ma quanta invidiadietro quegli stereotipi

VITTORIO ZUCCONI

New Jersey, l’altro è alla fiction creata daBruno Heller, e prodotta da Hbo, Bbc eRai tra il 2005 e il 2007: coi suoi Fori im-periali ricostruiti a Cinecittà, con la suatrama a base di passioni fisiche e intrighi,è un perfetto esempio di Hollywood sulTevere in salsa contemporanea. Più vici-no alla Cleopatra della coppia Liz Taylor-Richard Burton che alla storia.

È chiaro che questo filone antico ro-mano o rinascimentale, con i suoi risvol-ti un po’ trash, non ha nulla a che vedere— sul piano della qualità — con i tre film

su Vito Corleone e famiglia. O col granderacconto della Little Italy newyorcheseportato al cinema da Martin Scorsese, daMean Streets a Quei bravi ragazzi. Ma seproprio il mondo scorsesiano è diventa-to la prima fonte d’ispirazione di una sa-ga di altissimo livello come I Soprano, èindubbio che Il Padrino, con la sua di-mensione eroica e spettacolare, ha in-fluenzato — suo malgrado — tutto l’ita-lian job. Anche quello di puro intratteni-mento. Non a caso The Godfather (que-sto il titolo originale) è diventato perfino

un videogioco, che va ad affiancarsi a unsocial game online come Mafia Warso aprodotti per console come Assassin’sCreed in cui si viaggia nella Roma deiBorgia. E Francis Ford Coppola, in qual-che modo, si sente responsabile di que-sto eccesso di banalizzazione. Tanto dadichiararsi pentito di aver girato un pre-quel e poi un sequel del primo Padrino:«Non dovevo serializzarlo, un’operad’arte non è come la Coca Cola: ve lo im-maginate uno spin-off dell’Amleto?».

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 12GIUGNO 2011

FILM E FICTION

1. I Borgia (2011) la serie prodotta in Europacreata dall’americano Tom Fontana

2. Spartacus: sangue

e rabbia (2010) la miniserie in trediciepisodi prodottada Sam Raimi

3. Rome (2005-2007)fiction di Bruno Hellere girata in studioa Cinecittà

4. Il gladiatore (2000)di Ridley Scott con Russell Crowe

5. I Soprano (1999-2007)la serie di David Chase con James Gandolfini

6. Quei bravi ragazzi (1990) di Martin Scorsesecon Robert De Niro

7. Gli intoccabili (1987) di Brian De Palmacon Kevin Costner

8. Il padrino (1974)di Francis Ford Coppolacon Marlon Brandoe Al Pacino

9. Quo Vadis (1953)di Mervyn LeRoy con Robert Taylor e Deborah Kerr

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Repubblica Nazionale

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12GIUGNO 2011

LAURA ASNAGHI

Bentornatipantaloni ampi. Il massimodello chic nel guardaroba di una don-na sono i pantaloni over. Facili da in-dossare? Tutt’altro. Richiedono clas-se, stile e una andatura studiata neidettagli per esaltare il movimento del

pantalone sulla gamba. Nel mondo del cinema re-stano celebri i pantaloni di taglio maschile indossa-ti magnificamente da Katharine Hepburn o da Dia-ne Keaton in moltissimi film di Woody Allen. Panta-loni maxi ma iperfemminili, da portare con l’attitu-dine di una signora o ragazza snob.

Per questa estate, insieme ai jeans aderentissimi,modello “skinny”, il must have sono dunque i pan-taloni alla garçonne, con cintura in vita, ispirati allamoda fine anni Settanta-primi Ottanta, da abbina-re a top preziosi e camicie di seta. Data l’ampiezza,questo tipo di “braghe” possono dare la sensazionedi mimetizzare bene qualche chilo di troppo. Ma at-

le tendenze

Morbido e over, sfila sulle gambedi modelle e star, dalla Hepburna Marianne FaithfullMa si adatta altrettanto beneanche alla silhouette delle donne“normali”. A patto di seguirealcune accortezze. Ecco quali

&

Lei come lui

SINUOSASeta a go go per i pantalonidi Aigner che si muovonosinuosi. L’accessorio topè la borsa con la tracolla

tenzione a non esagerare. Fianchi troppo generosipossono creare sgradevoli effetti palloncino. Eppu-re, con tutti i rischi del caso, i pantaloni over, con lagamba larga, tornano a dominare la scena estiva. Imodelli lanciati dagli stilisti sono sostanzialmentedi due tipi. Uno ben tagliato e aderente sui fianchi,l’altro morbido e setoso come un prezioso pigiama.Quest’ultimo è quello più amato da Rochas, il mar-chio francese disegnato dall’italiano Marco Zanini,giovane creativo abile nell’esaltare una femminilitàsofisticata e discreta. La donna Rochas ha un’allureromantica ma, nella moda di questa estate, è il pan-talone di taglio maschile che ondeggia sulla gambaad essere il più gettonato. Celine lo propone in ver-sione minimalista, color verde acqua, da abbinare auna blusa T-shirt, di gusto sartoriale. Christian Diorpunta al modello “Vestivamo alla marinara”, indos-sato con sandali dai tacchi alti e top molto sexy conuna fantasia che ricorda i giochi d’acqua. Per Brio-ni quel che conta è l’abbinata camicia di seta, pan-taloni e cintura dello stesso colore (la scelta va dalrosso passione, ai classici evergreen bianco o ta-bacco). Armani, da sempre grande fan del pantalo-ne, realizzato con tessuto maschile, punta, perl’Emporio, ai modelli che si chiudono con la coulis-se in vita. In questi casi la giacca è d’obbligo, purchépiccola e ben sagomata. Tra i pantaloni over chehanno conquistato le pagine delle riviste di moda cisono quelli di Jil Sander con colori fluo irresistibili evolumi spettacolari. Solo chi è altissima e sottile sipuò concedere il lusso di portare questi pantalonicon i sandali rasoterra. Viceversa il tacco 12 rappre-senta la soluzione perfetta per avere un’andatura si-nuosa e rendere il tutto più sexy, con le mani strate-gicamente infilate nelle tasche laterali. Versionisempre molto chic, ma sportive, le offrono Lacoste(con i classici riferimenti al mondo del tennis), Ste-fanel (con proposte che combinano l’eleganza conil comfort dei capi) e Dsquared (che unisce il blazerbianco ai pantaloni kaki, da portare con le scarpestringate).

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NOTTURNASono ampi quanto una gonnai pantaloni da sera Max Marada indossare con una cinturinae una maglia color cipria

ComfortChic

Il pantalone è leggero

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 12GIUGNO 2011

ESSENZIALEEcco la morbida eleganza dei pantaloni Stefanel:da indossare con un cardigane una T-shirt bianca essenziale

LA REGINAKatharine Hepburn ha sempreindossato i pantaloni maschiliin modo impeccabile senzapenalizzare la sua femminilità

DISCRETAInno alla discrezioneper il tailleur pantalone di BossBlack reso romantico dalla blusacon drappeggio di fiori

LA DIVINAGreta Garbo con blusae pantaloni palazzo:contribuivano a darleun’allure ricercata e chic

SOFISTICATAEffetto “sophisticated lady”per il completo Brioni, colortabacco, con camicia in setacoordinata ai pantaloni

LA MUSADiane Keaton in abiti maschilicon gilet nero e pantaloni ampida uomo. La musa di WoodyAllen, qui nel film Io e Annie

L’ILLUSTRAZIONETwo Women in Evening Slacks

with Man di Rene Bouet-Willaumezdel 1936, da Vogue Magazine© Condé Nast Archive/CORBIS

SPORTIVAUn completo Lacosteche si ispira all’eleganzadei giocatori di tennis anni Trenta. Tutto è bi-color

L’ANGELOMarlene Dietrich, Angeloazzurro del cinemain versione garçonne,con giacca e pantaloni

CLASSICAGiacca piccola e pantalonicon la coulisse in vitaIl modello classico propostoda Emporio Armani

“Macché punitivo, semmai esalta il lato B”Maria Mària di Stefanel

Maria Mària è la storica mente creativa di Stefanel, il marchio che calami-ta intorno a sé giovani talenti selezionati dalle scuole di moda di tutto ilmondo. È con loro che Mària studia e mette a punto tutti i capi della col-

lezione, compresi i nuovi pantaloni, morbidi e fluttuanti sulla gamba, ispirati adonne come Bianca Jagger, Marianne Faithfull, Diane Keaton, Lauren Hutton,Katharine Hepburn.

Mària, come si spiega questo revival del pantalone over?«Nella moda niente è casuale. Nell’aria c’è un desiderio di nuova femminilità,

più autorevole e forte, decisamente meno bellona tutta curve. E il pantalone dal-la gamba larga, nella sua classicità ed eleganza, è in grado di esprimere al meglioquesta voglia di tornare a una femminilità dal fascino discreto».

Ma il pantalone over non rischia di essere un po’ punitivo?«No, perché la forza di questi pantaloni è quella di essere tagliati in maniera

tale da esaltare il “lato B”. Sì, perché il focus è tutto concentrato lì, sul sedere. Enon a caso, nella nuova interpretazione che abbiamo fatto noi di questi panta-loni lo studio delle forme è stato determinante».

Quanti tipo di pantaloni ampi avete elaborato?«Siamo arrivati a cinque modelli. C’è quello che noi definiamo “boyfriend”,

ovvero il pantalone largo e sportivo. Poi c’è quello, intramontabile, con la gam-ba a zampa d’elefante. Il genere più “cool” è certamente quello indossato da don-

ne come Marianne Faithfull, con tacco alto e gambe da gazzella. Ma Il modellopiù “democratco” e diffuso è quello “con la gamba dritta” amato dalle donne per-ché perdona qualsiasi difetto fisico. Infine, c’è il modello da jogging, ampio machiuso alla caviglia».

Per esaltare al massimo questi pantaloni quali giacche e accessori scegliere?«Quando i pantaloni sono ampi, sono consentiti piccoli top, camicie bianche

sciancrate, mini bomber e giacchini iper femminili. Il gioco delle proporzioni de-ve essere sempre rispettato altrimenti si rischiano disastri da un punto di vistaestetico».

Tacchi alti o bassi?«Se una donna ha la fortuna di essere alta, per evitare l’effetto giraffa, è meglio

che opti per la scarpa bassa. Viceversa chi ha una statura media può concedersii tacchi, a patto che li sappia portare con naturalezza».

Con pantaloni così chic, qual è la borsa più adatta?«L’abbinata vincente è la borsa tracolla, di taglio classico, da portare a bando-

liera. Questo è il tocco di modernità che rende i pantaloni over in sintonia con itempi che viviamo. Viceversa la borsa con il piccolo manico farebbe troppo si-gnora, vecchia maniera».

(l. a.)

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SEMPLICEUna perfetta mise in biancoe nero di Liviana Conti,bocca e ciglia sulla T-shirt:omaggio alla femminilità

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42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12GIUGNO 2011

i saporiMade in Italy

Protagonista del sugo che trasforma un piattodi spaghetti in un’esperienza da gourmand, non ha nullaa che vedere con le imitazioni estere dal gusto acidoVarietà nata agli inizi del Novecento nel comune campano,ha forma allungata, colore acceso, profumo inebrianteQuesta è la stagione giusta per provarlo. In tutte le salse

PelatoSelezionato e lavatoin vasche, viene sbollentatoa 90 gradi e poi sbucciatoL’inscatolamento viene fatto con il proprio succosottovuoto prima della pastorizzazione

SuccoIl cocktail dei dannati della dieta: limone, pepe,sale, salsa Worchester,tabasco e angosturaTrasgressione alcolicacon aggiunta di vodka nel Bloody Mary

PassataLa più amata dagli Italianiè frutto di una doppialavorazione: dopo aver ricavato la polpa dai pomodori, si procede con la filtrazione e poi la concentrazione

PolpaLa scarsità di semi migliorail risultato della tritaturaGrazie alla pressatura con dischi dai fori di calibrodifferente, si preparanoanche cubettie filetti di pomodoro

«Nellacasa dei Cortellari, dentro lastanzuccia del mago, alla nottedel sabato, Cicho il mago ritor-na a tagliare i suoi maccheroni,(l’angelo) Jovanella di Canziogira la mestola nella salsa del po-

modoro ed il diavolo con una mano gratta il formaggio econ l’altra soffia sotto la caldaia. Ma diabolica o angelicache sia la scoperta di Cicho, essa ha formato la felicità deinapoletani e nulla indica che non continui a farla nei seco-li dei secoli».

Matilde Serao ambienta Il segreto del mago nella Napo-li del 1220, quando la pummarola era conosciuta solo inMessico, Guatemala e Perù. Un artifizio letterario — la ri-cetta che identifica gli italiani nel mondo è stata ideata al-meno quattro secoli più tardi — creato per dare il senso diun legame indissolubile.

“Sugo” è termine generico: pomodoro, carne, pesce,verdure, funghi. Ma ilsugo, quello che può trasformare unsemplice piatto di spaghetti in un’esperienza gastro-mi-stica richiede una varietà sola: il San Marzano.

Forma allungata, colore acceso, consistenza polposa,

profumo inebriante. In mezzo a tonnellate di ibridi spiccaper finezza di gusto, per la buccia sottile, che si stacca in unniente, per i pochissimi semi, per l’acidità inesistente.

Una miscellanea di virtù che si esalta nella passata dalsapore morbido e finemente minerale, poco bisognosa disale e allergica allo zucchero, correttore in molti sughi dipomodoro a rischio di bruciori di stomaco. Una produzio-ne ancora limitata, punta di diamante dell’industria di tra-sformazione che fa capo all’Anicav (Associazione nazio-nale degli industriali delle conserve alimentari), fondata aNapoli nel 1945. Tocca ai San Marzano, infatti, guidare lapattuglia dei pomodori da salsa di qualità, premiati nel2000 con l’iscrizione nell’elenco delle Dop europee.

Ben lo sanno Alfonso e Livia Iaccarino, due stelle Mi-chelin sulle colline di Sorrento, i primi, vent’anni fa, ad ap-poggiare le ricerche sulla fiaschella originaria. Mentre inCostiera andavano di moda le penne salmone e vodka, gliIaccarino trasformarono la campagna di Punta Campa-nella in un vero giardino di San Marzano — le piante di-sposte in file ordinate, sviluppate in verticale, come l’uva,irrigate in modo meticoloso, coltivate senza chimica, rac-colta a scalare da luglio a settembre — per produrre la me-ravigliosa salsa con cui condire gli “spaghetti alla DonAlfonso”, piatto destinato a firmare la storia di uno dei ri-storanti-culto della nuova cucina italiana.

Se volete essere sicuri di non imbattervi in produzioniestere — siamo diventati il Paese d’elezione per la lavora-zione dei concentrati da pomodori cinesi e californiani —cercate le etichette con sopra scritto San Marzano. Il santoprotettore dei pomodori vi benedirà con un piatto di squi-siti maccheroni al sugo o con una pizza Margherita d’au-tore, come dio dei buongustai comanda.

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Il protettoredella pummarola

LICIA GRANELLO

Ingredienti1 litro d’acqua a temperatura ambiente50 gr. sale fino marino2 gr. lievito di birra fresco1,8 kg. farina800 gr. pelati San Marzano500-600 gr. fiordilatte tagliato a fetteUna spolverata di ParmigianoExtravergine q.b.

LA

RIC

ETTA Nelle pizze

del maestroartigianoEnzo Coccia,patron di due localiin zona Vomero,Napoli,solo pomodoriSan Marzanoe olio extravergine

••••••••Sciogliere sale e lievito nell’acqua e infine un cucchiaio d’olioAggiungere la farina gradatamente. Impastare, da sotto in suCoprire con panno umido e far riposare per 12 ore a temperaturaambiente. Stendere l’impasto, schiacciare i San Marzano,amalgamare e disporre sulla pasta. Olio e poco sale Infornaremax 20’. Formaggi e basilico. Cottura per ancora 15’

San MarzanoLa pizza

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 12GIUGNO 2011

Ma nella corsa al low costvincono i pomodori peggiori

CARLO PETRINI

Gliaztechi chiamavano tomatluna piccola bac-ca selvatica, che avevano selezionato e incro-ciato fino a farla diventare più grossa e di buon

sapore. Ma gli europei diffidavano, e apprezzarono iltomate portato dai conquistadores inizialmente so-lo come pianta ornamentale. Il pomodoro entra neiricettari nel Settecento e solo un secolo dopo dilagain tutti i ceti sociali. Protagonista di questa svolta fuFrancesco Cirio, che presentò all’Esposizione Uni-versale del 1867 a Parigi un’invenzione geniale: laconservazione in barattolo. Prima i pomodori si fa-cevano solo essiccare e si mettevano sott’olio, Cirio lifece viaggiare in tutto il mondo, in ogni stagione.

Il pomodoro, pelato e in scatola, diventa il simbo-lo di Napoli e, grazie agli orti fertilissimi ai piedi delVesuvio, l’Italia diventa il primo esportatore mon-diale. La varietà San Marzano — quasi sinonimo dipomodoro — prende il nome dal comune di San Mar-zano dove, agli inizi del 1900, viene segnalata e nel1996 ottiene una meritata Dop come “pelato”. L’areadi produzione è di oltre 16 mila ettari, ma quelli colti-vati sono poco più di cento e producono circa 60 mi-la quintali. Entrare in un campo di San Marzano ma-turo è un’esperienza unica: profumi che salgono dal-la terra e sanno di erba falciata e di spezie. Profumi an-tichi che riportano ai tempi in cui le insalate sapeva-no di pomodoro e di sole e non erano miscugli im-marcescibili. Eppure la quota di questa produzionenel panorama nazionale è irrilevante: il nostro Paese(senza contare quanto arriva dall’estero) producedue milioni di tonnellate di pomodoro da industria

pagato ai contadini 8-10 centesimi al chilo. Un prez-zo insostenibile, se non fosse per gli aiuti pubblici, lealte rese e la meccanizzazione di tutte le fasi produt-tive. Il Consorzio del San Marzano stabilisce ufficial-mente un prezzo di acquisto più alto — 42 centesimial chilo — perché la coltivazione è manuale, dalla se-mina alla raccolta, ma il mercato non lo premia.

Il mercato lo fanno i pomodori di serie B, nella cor-sa al ribasso che travolge i contadini di mezzo mon-do in un baratro di cui non si vede fine. In questo qua-dro generale, nel 2000 Slow Food ha valorizzato conun Presidio il lavoro dei ricercatori del Centro ricer-che Cirio, coordinati da Patrizia Spigno — che aveva-no conservato l’ecotipo storico del San Marzano — edi tre agricoltori che misero nuovamente a dimoral’ecotipo originario chiamato Smec 20: profumatis-simo ma delicato, con la buccia sottile, meno pro-duttivo delle altre varietà selezionate successiva-mente. Il progetto gode di un certo successo: dal pri-mo ettaro si è passati a sei. I produttori sono diventa-ti ventidue e spuntano un buon prezzo. La ragione delsuccesso? La qualità, dovuta anche alla sostenibilitàdella coltivazione integrata, ma la chiave di volta è lafiliera brevissima che salta i passaggi intermedi, do-ve i profitti degli agricoltori si riducono al lumicino.

I coltivatori del presidio, riuniti in associazione, af-fidano la trasformazione a laboratori che garantisco-no la cura artigiana indispensabile per lavorare il SanMarzano. Si occupano direttamente della commer-cializzazione. Un piccolo esempioche fa riflettere.

DOVE DORMIREL’ALLOGGIO DEI VASSALLIVia Donnalbina 56Tel. 081-5515118Camera doppia da 85 eurocolazione inclusa

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DOVE COMPRAREALIMENTARI MARCHETTIVia Arechi 25Tel. 089-231441

itinerari

nasce la pizzanapoletana

1720

Francesco Cirio presentai pomodori in scatola

1867

il tempo per sterilizzarei vasetti di passata

13 minuti

le tonnellate di pelati prodotti ogni anno in Italia

800mila

ConcentratoDopo una primaeliminazioneparziale di acqua e succodalla polpa, si concentra il prodotto grazieall’evaporazione a bassa pressione

SeccoNella tradizioneartigiana, si fannoappassire al soledopo averli aperti e salatiIn alternativa,asciugatura lentaa 65 gradi sulleplacche dei forni

SugoPreparatocon il più classicodei soffritti(cipolla, carota e sedano) o con spicchiod’aglio, è la salsa-madre di tutte le pastasciutte

GazpachoNella zuppafredda andalusa: cipolla,peperone,paprika, paneammollato, olio,aceto, salee pepe. Il tuttofrullato e colato

RagùSoffrittodi pancetta per il macinato di manzo,battezzato con vino rossoPoi polpa e concentratoCottura lenta

AcquaIl liquidotrasparente, riccodi umori vegetali,è ottenuto per colatura dei frutti tagliati e lasciati riposaresu una garza in frigorifero

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San Marzano (Sa) Napoli Salerno

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quello ingarbugliò non poco le cose. Fuun incubo nell’incubo», ammette. «Inrealtà tutti sapevano — gli altri del grup-po, i discografici, il management — mafacevano finta di non vedere. Come unamamma che sa che il proprio figlio è gayma non ne vuole parlare — finché nonne parli è come se non fosse vero. È l’at-teggiamento della società nei confrontidegli omosessuali. La mia storia “segre-ta” con Moss rendeva ogni cosa compli-cata: prenotare gli alberghi, scendere acolazione insieme. Ma c’era anche il la-to divertente, l’entusiasmo di una pas-sione travolgente. Io sono uno chequando finisce l’amore resta legato aisuoi uomini. Credo di amare Jon piùadesso di allora. Si è sposato, ha divor-ziato, è padre. Mi prendo cura di lui piùadesso di allora. Spogliato dalla passio-ne e dai drammi, l’amore che resta è pu-ro, disinteressato. Non voglio farci ses-so, non voglio sposarlo, ma mi piace e citengo a lui. Non è anche questa una spe-cie d’amore?».

Il pensiero vola agli anni d’oro, quan-do il look dei new romantic — la corren-te più edonistica che la storia del pop ri-cordi — diventò la cosa più cool di Lon-dra. «E del mondo», ribatte George. «An-che con l’Italia fu amore a prima vista, al-tro che Take That!». Racconta senza pu-dore (come all’epoca confessò di averavuto un flirt con Elton John) di aver per-so la verginità proprio con un italiano.Aveva sedici anni, era un punk annoiatosu un sedile della metropolitana di Lon-dra. Il signore di fronte, impeccabile nelsuo Burberry, gli fece delle avance. «Ri-schiò grosso», scherza George, «l’età delconsenso per gli omosessuali era diciot-to anni all’epoca. Mi disse che si chia-mava Dany, che era un cantante famo-so. Non ho mai saputo se fosse vero, pro-babilmente no. Ricordo solo che era te-nerissimo, mi baciava le dita e mi canta-va canzoni italiane con una bellissimavoce. Per farla breve: quella stessa nottemi portò a una festa molto trendy. C’eraanche il mimo Lindsay Kemp, che ora vi-ve in Italia. Ho rivisto Lindsay sette annifa, ricordava ogni particolare: “Hey, matu non eri l’amante di Dany?”».

Racconta che l’omosessualità non èmai stata un vero problema. Fece co-ming out in famiglia a quindici anni, enessuno ne fece un dramma. «Mia ma-dre è la mia eroina», mormora. «Anchemio padre, pace all’anima sua, cercò intutti i modi di aiutarmi. Era un uomobrillante, ma anche una contraddizionevivente. Sapeva essere dolcissimo e ter-ribile. Imprevedibile, come me. Non so-no uno imprevedibile io? Era un piacio-ne, aveva una bella voce quando canta-va. Mia madre, poveretta, ne ha dovute

Sopravvissuti

dossa un cappellone verde col teschioglitterato in fronte, eye liner degno diNefertari. Ha perso quasi tutto ma non ilbuonumore. La risata è quella di sem-pre, sguaiata e contagiosa. «Alla fine deldecennio le cose erano completamentecambiate e a un certo punto mi sentiischizzato fuori. Ero disperato. Mi veni-va la voglia di sbattere la testa contro ilmuro in cerca di un’ispirazione che fos-se in linea coi tempi. A quel punto l’acidhouse venne in mio soccorso. Era la mu-sica che aveva ridefinito il paesaggio so-noro di Londra, che aveva cambiato ilritmo di tutti i club della capitale. Era piùdi una moda, era un movimento, ed eraeccitante farvi parte. Anche per me cheero stato una pop star partecipare ai ra-ve clandestini fu una sorta di liberazio-ne. Per la prima volta dopo tanti anni misentivo di nuovo un essere umano».

Boy George (al secolo George AlanO’Dowd, figlio di irlandesi trapiantatinel Regno Unito) non ha mai perso unpollice di popolarità in patria. Nel 2002,secondo un sondaggio della Bbc, era alnumero 46 delle persone più amated’Inghilterra, appena sei posti sottoCharles Dickens. Sulla sua storia hannoscritto un musical, Taboo, che è andatoin scena per due anni nel West End e peroltre tre mesi a Broadway. Ma la vita po-st - Culture Club di George è stata trava-gliatissima: arrestato per possesso dieroina nel 1986; denunciato nel 1995 daKirk Brandon dei Theatre of Hate (Geor-ge rivelò nella sua autobiografia che era-no stati amanti); nel 2005, finite le repli-che di Tabooa Manhattan, viene becca-to con la cocaina in casa dopo che avevachiamato la polizia per denunciare unfurto con scasso (che poi si rivelò falso);due anni fa si becca quindici mesi di car-cere per aggressione e sequestro di per-sona ai danni di Audun Carlsen, unescort che aveva “dimenticato” amma-nettato nel suo appartamento dopo ungioco erotico. Le foto di George, trascu-rato e pingue in divisa da galeotto, fece-ro il giro del mondo. Chiunque ne sa-rebbe uscito a pezzi. Non lui. «Quandosbarcai a New York per Taboo mi diver-tii da matti, ma dopo le cento replicheavrei fatto meglio a ritornare a casa. In-vece indugiai, restai in città senza nien-te da fare e troppo tempo a disposizione.Incominciai a cazzeggiare in giro, tornainei soliti posti… in cerca della solita co-sa, sì insomma, tornai a far visita al de-monio, volevo vedere da vicino se eracosì cattivo come dicevano». Scoppia inuna risata esagerata che gli lascia unabuona dose di rossetto sui denti davan-ti. «Quando fui catapultato nel firma-mento del pop avevo diciannove anni.Non mi rendevo neanche conto di dove

stessi andando e cosa volessero da me.L’altra sera un amico mi ha chiesto: colsenno di poi consiglieresti a qualcuno didiventare famoso? Una domanda scivo-losa. Difficile rispondere. Se allora aves-si avuto la saggezza che ho oggi avrei cer-to affrontato tutto con maggiore equili-brio, mi sarei divertito e non mi sarei fat-to troppe seghe mentali. Da giovane in-vece non riesci ad apprezzare le cose chehai. Tutto quello che ti arriva dalla vita —anche se è un dono enorme — ti sembradovuto. A vent’anni è tutto un fottutodramma. Anche se hai una casa magni-fica e milioni di sterline sul conto cor-rente».

La vita infatti non era facile neancheall’epoca dei Culture Club. George ave-va una tresca con il batterista Jon Moss epretendeva di mantenerla segreta. «Già,

GIUSEPPE VIDETTI

MILANO

Amezzanotte la pista è de-serta. Per il popolo deinottambuli è ancora l’al-ba. I giovani cominciano

a sciamare dentro la discoteca verso l’u-na, una processione nella buia periferiamilanese prima di essere strappati al si-lenzio da quel suono denso sparato daun potente sistema hi-fi, un paradiso in-fernale dove si comunica a gesti e l’uni-co modo per stabilire una sintonia è ab-bandonarsi all’inesorabile unz-unzcheinveste i corpi come un tornado. Ai ra-gazzi non importa che stasera il dj siaun’ex popstar, uno che ha venduto mi-lioni di copie, che oggi può permettersidi dire: «Se non ci fossimo stati Madon-na e io non esisterebbe Lady GaGa». Il ri-to che si celebra in discoteca appartienea un’altra religione, diverso da quellodel concerto (ne ha in programma unoil 10 agosto in Sardegna, al Pata-Pata).Una signora fuori età cerca di farsi stra-da in quella massa di post adolescentibelli, eleganti e vistosi verso il camerinodove Boy George aspetta l’ora di salire inconsolle. «Voglio un autografo, era unidolo ai miei tempi». Ma quel che resta diuna pop star da milioni di copie vendu-te, quando il ciclone Culture Club inva-se le classifiche di mezzo mondo nei pri-mi anni Ottanta, può ancora permetter-si una guardia del corpo, e la signora nonarriverà mai a quella porticina (salvo poiavventarsi su George quando l’artistaattraversa il corridoio per raggiungere ilsuo angusto teatrino).

«Intorno al 1987 ho scoperto il poteredella musica dance e ho cominciato a la-vorare come dj. Il successo dei CultureClub si era affievolito, la musica eracambiata», racconta Boy George, chetra due giorni compie cinquant’anni.Siamo in una stanza insonorizzata al-l’interno del cubo di suono. Dalla salaarrivano solo i bassi, un inquietantestump stump che fa tremare ogni cosa.George, che prima di riciclarsi come djha attraversato l’inferno (depressione,droga, due arresti, galera, foto di lui cal-vo e col doppio mento sbattute in primapagina dai tabloid), ha un make up pe-sante che cancella rughe e dolori. In-

Con i Culture Club negli anni Ottantainvase le classifiche. Poi la depressione,la droga, la galera, fino alle foto di luicalvo e col doppio mento sbattute

in prima sui tabloidChiunque ne sarebbeuscito a pezzi, lui noE ora che ha cinquant’annidice: “Ero solo andatoa far visita al demonio,volevo vedere

se era così cattivo come dicevanoMa non sono finito: io superole tragedie ridendoci su”

“Ho vagato a lungotra buddismoe induismoOra so che esisteun’energia superiore,che ognuno di noiè un pezzetto di DioOgni fottuta cosaè un pezzetto di Dio”

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l’incontro

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Boy George

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ingoiare… Pensi che dopo quarantatréanni di matrimonio la piantò per un’al-tra. Non riuscivo a crederci. Il più grandecrimine che abbia commesso. Io avevoquarant’anni quando vidi mia madre di-strutta per quell’abbandono inaspetta-to. Lei lo amava, quando è morto si è oc-cupata di tutto. Mi disse: l’ho odiato,quando mi ha lasciato ho smesso diamarlo all’istante… ma io sono una per-sona per bene, è pur sempre mio marito,il padre dei miei figli. Mamma ha unamorale di ferro. Ora che è anziana si è to-talmente rifugiata nella religione, non siperde una messa né un battesimo o unacomunione di qualsiasi lontano paren-te. Dopotutto siamo irlandesi e abbiamoanche un prete in famiglia, padre Ri-chard». Si abbandona a un’altra risata.«Vede, quando si parla di equilibrio iovacillo. La mia vita non è propriamenteequilibrata. Ma è la mia vita. Ti accorgidella differenza fra l’io malato e quellosano solo quando esci fuori dal tunnel,dopo i periodi di disintossicazione o didetenzione. Allora pensi: come ho potu-to farlo? come ci sono cascato? Non hoavuto la religione cattolica cui appog-giarmi come mia madre. Ho vagato trabuddismo e induismo, poi mi sono resoconto che c’è un’energia superiore di cuitutti facciamo parte, che ognuno di noi èun pezzetto di Dio. Ogni fottuta cosa aquesto mondo è un frammento di Dio».

Lo chiamano. È l’ora di far scatenarela pista. «Non sono finito. L’anno pros-simo riunirò i Culture Club per il tren-tennale», annuncia. «Anche se i tabloidmi hanno sempre dipinto come un fot-tuto depresso, sono uno che sa soprav-vivere a una tragedia e anche riderci so-pra. Quelli non hanno capito che sbat-tendomi in prima pagina mi hanno fat-to solo la grazia di sopravvivere come ce-lebrità. Ma credete a me, sono più di untitolo a cinque colonne». Alla fine del setuna ragazza gli porge l’invito della sera-ta da autografare. C’è una foto di Geor-ge con il viso avvolto da un telo blu comeun tuareg. In primo piano gli occhi bel-lissimi, viola come quelli di Liz. Gli occhiche allo scrittore Piervittorio Tondelli(che sul mensile Rockstar firmava unarubrica intitolata Culture Club) feceroscrivere (e si riferiva a Boy): «Ogni gene-razione ha la Taylor che si merita».

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Repubblica Nazionale