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Supplemento al n. 11 de “La Rassegna” del 21 marzo 2013 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60 marzo 2013 IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO 9 771826 772006 30002 IL PREMIO I magnifici sette orgoglio dell’enogastronomia CIBI CERTIFICATI Halal, così si conquistano i musulmani L’INTERVISTA «Il fast food può rilanciare i formaggi bergamaschi» IL FENOMENO Bergamo, è boom per i distributori di latte crudo Ristoranti Il riscatto della sala

Affari di Gola - marzo 2013

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in rassegna sapori, gusti e piaceri del territorio bergamasco

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Il premIo

I magnifici sette orgoglio

dell’enogastronomia

CIbI CertIfICatI

Halal, così si conquistano

i musulmani

l’IntervIsta

«Il fast food può rilanciare i formaggi

bergamaschi»

Il fenomeno

Bergamo, è boom per i distributori

di latte crudo

RistorantiIl riscattodella sala

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MARZO 2013

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www.affaridigola.itsommario

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PENNa aLL’arraBBiaTaPasqua, a tavola per dimenticare la crisi e gli scandali alimentari

iL coNgrEsso Cameriere? No, chiamatelo chef de rang

iL ProgETToFirmata da un bergamasco la prima enciclopedia on line dedicata allo champagne

mErcaTiHalal, la “ricetta” per conquistare i musulmani

L’iNTErvisTa“Il fast food? Può dare una mano ai formaggi bergamaschi”

L’EsPErToVino, “il peggior nemico dell’Italia è proprio l’Italia”

TENdENzELatte, il boom dei self-service

iL ricoNoscimENToI magnifici sette orgoglio dell’enogastronomia

L’aziENdaDa Calcio e Torre Pallavicinale trote per il mercato italiano

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in rassegna sapori, gusti e piaceri del territorio

9771826

772006

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Il premIoI magnifici sette orgoglio dell’enogastronomia

CIbI CertIfICatIHalal, così si conquistano i musulmani

l’IntervIsta«Il fast food può rilanciare i formaggi bergamaschi»

Il fenomenoBergamo, è boom per i distributori di latte crudo

RistorantiIl riscattodella sala

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giorgio Paglia, 26 - 24121 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - [email protected] - Direttore responsabile: giuseppe ruggieri - In redazione: anna Facci - Opinionista: Pier carlo capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: ivan rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Paglia, 26 - 24122 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - [email protected] - Abbonamenti: www.larassegna.it - tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara abrati, Leo Bartoli, marco Bergamaschi, Laura Bernardi Loca-telli, michela Brivio, Laura ceresoli, Fulvio Facci, riccardo Lagorio, roberta martinelli, Lelia Parisi, rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi saurgnani, rosanna scardi, giordana Talamona, donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

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Dal 1962 un alleato per ristoranti e privati Dal 1962 un alleato per ristoranti e privati

PROGETTAZIONE, SOPRALLUOGOE PREVENTIVO GRATUITI

La ditta opera nel settore della ristorazione già dalla fine del 1962, con la presenza sul mercato da parte del padre e fondatore della ditta, sig Eugenio Ubbiali. Nel corso degli anni il figlio Pietro apprende e riassume in quella che oggi è la ditta F.lli Ubbiali Snc l’antica tradizione di un mestiere alquanto raro e affascinante tramandandola nel futuro.

Con un’esperienza ormai di 50 anni del padre Eugenio e ventennale dei figlio Pietro, la ditta Ubbiali può vantare un numero di forni-bracieri e

camini realizzati in tutta Europa di oltre 5000 pezzi esclusivamente realizzati a mano, su misura e in muratura.

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Pasqua, a tavola per dimenticare la crisi e gli scandali alimentari

La Pasqua ci salverà e su questo potete dir giuro. Inten-diamo la Pasqua a tavola, in quel mare di ricette tradi-zionali che ogni angolo del nostro straordinario Paese

è in grado di regalarci. Certo, la Pasqua ha un ben altro signi-ficato, oltre alle gozzoviglie enogastronomiche, e ce ne ren-diamo perfettamente conto, soprattutto nel momento in cui confezioniamo queste righe, a un paio d’ore dall’elezione di Papa Francesco , un Pontefice che, alle sue prime parole, ci ha ispirato grande tenerezza e simpatia.Le festività hanno questo rovescio della medaglia, un mi-schiarsi di sacro e profano, di spiri-tuale e materiale, che sono un po’ anche la colonna sonora di questa nostra vita piena di contraddizioni. Ci salverà la tavolata di Pasqua, quindi, e non potrà esimersi dal farlo.Ne abbiamo un bisogno pazzesco. Veniamo da una serie di notizie cata-strofiche che hanno gettato le nostre cucine nella disperazione più nera.Facciamo perfino fatica a decidere da dove partire: dalle Torte al cioccolato Ikea con tracce di colibatteri? Dalle cinque tonnellate di carne bovina avariata sequestrata a Milano? Dalle capesante di Chioggia al cad-mio? Oppure dall’insalata con tracce di topicida?E che ne dite della carne di cavallo, in piccolissime dosi, tro-vata nel Ragù Star, nelle lasagne Findus, nei tortellini Buitoni e in altri prodotti ancora?Leggo un comunicato degli allevatori italiani, preoccupati perché la vendità s’è dimezzata. Già, il consumatore non si fida più: di hamburger, di ragù, di polpette, di bistecche che non si capisce di che bestia siano.E ribattono: i controlli da noi esistono e sono tremendamen-te severi.E poi se mischiano carne di cavallo si tratta di frode commer-ciale e non già di contaminazione. Dicono. Peccato ci siano da fare un paio di elementari osservazioni. Prima di tutto la carne equina costa meno di quella bovina. Poi ricordiamo che portare la carcassa di un cavallo all’ince-neritore costa 500 euro mentre, mandandola all’estero, ma-gari nell’Europa orientale, si riesce invece a ricavare qualco-sina. E qui casca l’asino (equino pure lui) perché la spiega-

zione degli scandali che hanno coinvolto le multinazionali va ricercata proprio nel giro del mondo che quintali di carne so-no costretti a compiere.Per fare il ragù in scatola la carne congelata arrivava da un deposito di stoccaggio in Romania, che era solo una delle tappe del tour. E dovremmo stare sereni?E poi, se la carne di cavallo non presenta problemi, perché non scriverne la presenza sull’etichetta? Il pericolo, ammes-so che in Romania, ma anche in Lussemburgo (ahinoi), le celle frigorifere funzionino e la catena del freddo pure, con-

siste nella vita che ha fatto l’equino. Perché se si tratta di un ex cavallo da corsa, bombardato di estrogeni, or-moni ed anabolizzanti per galoppare più veloce, la questione si fa spessa. Che ne dite?In mezzo a questo caos dove crollano anche le nostre certezze più infantili (alzi la mano chi non ha fatto un giro all’Ikea per mangiarsi le - una volta - mitiche polpette?), chiediamo aiuto

alla Pasqua incombente. Forse nessuna festività, come lei, si identifica, a tavola, col chilometro zero. Noi bergamaschi siamo chiamati a salire in Maresana per uova e radicchio, qualche fetta di salame nostrano, una pagnotta casalinga e un bicchiere di rosso delle nostre valli. Ma possiamo anche chiedere in prestito i Carciofi alla Giudìa, il Capretto al forno con le patate, l’Abbacchio a scottadito, una bella Frittata di spaghetti o il Benedetto pugliese (fette d’arancia, uova sode, salame e ricotta).Oppure una Torta pasqualina o un Erbazzone col tarassaco per finire, nei dolci, con la strepitosa Pastiera napoletana o la Scarcella pugliese (ciambella decorata che abbraccia uo-va sode), giusto per avere un’alternativa alla Colomba, ac-compagnando queste ultime delizie con un Moscato d’Asti o di Scanzo, assecondando i gusti.E dopo esserci alzati dalla tavola, sarà stato come uscire da un incubo.Chissà che non capiti lo stesso con questa carogna di crisi. Che ci si svegli presto come da un brutto sogno. Francesco I è appena arrivato e gli stiamo già chiedendo il miracolo. [email protected]

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di Pier Carlo Capozzi

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marzo 2013

La Scarcella pugliese

Dal 1962 un alleato per ristoranti e privati Dal 1962 un alleato per ristoranti e privati

PROGETTAZIONE, SOPRALLUOGOE PREVENTIVO GRATUITI

La ditta opera nel settore della ristorazione già dalla fine del 1962, con la presenza sul mercato da parte del padre e fondatore della ditta, sig Eugenio Ubbiali. Nel corso degli anni il figlio Pietro apprende e riassume in quella che oggi è la ditta F.lli Ubbiali Snc l’antica tradizione di un mestiere alquanto raro e affascinante tramandandola nel futuro.

Con un’esperienza ormai di 50 anni del padre Eugenio e ventennale dei figlio Pietro, la ditta Ubbiali può vantare un numero di forni-bracieri e

camini realizzati in tutta Europa di oltre 5000 pezzi esclusivamente realizzati a mano, su misura e in muratura.

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di Daniela Nezosi

nche quest’anno “identità Golose”, il congresso di cucina di scena a Milano, ha offerto luci e ribalta al gotha della ristorazione, italiana e straniera. Oltre settanta tra chef e maestri hanno avuto l’opportunità di illustrare la loro filosofia di cuci-na, a perfetto agio tanto dinanzi ai microfoni e al pubblico, quanto da-vanti ai “fuochi”. insomma, tre gior-ni di appuntamenti d’alto livello, di dibattiti e scambi, segnati, tuttavia,

dalla consueta e imperante presen-za dei soliti noti. Forse anche per questo, nel corso di quest’edizione, non sono riusciti a sorprenderci la presenza scenica di Cracco, né il de-lirio della platea al cospetto di sua maestà Massimo Bottura, né l’affa-scinante estro di Davide Scabin (che pure ha presentato un menù desti-nato ad una missione in orbita per la Nasa). Tutto già visto ed apprezzato in passato.

Già, ma allora - vi chiederete - cosa ci ha davvero intrigato? Una novità su tutte ci è piaciuta ed è che per la prima volta il tema della ristora-zione è stato affrontato puntando i riflettori anche sull’altra metà della mela: il servizio in sala. Finalmente, dopo anni, il congresso ha dedicato uno spazio ai protagonisti dell’acco-glienza, a quanti dovrebbero riusci-re nell’intento di far sentire a pro-prio agio i loro clienti.

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Se è vero che un buon servizio salva un piatto mediocre, difficilmente un buon piatto salva un cattivo servizio. Forte di questo assunto, identità Golose ha acceso i riflettori sui protagonisti dell’accoglienza in sala

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Cameriere? No chiamatelo chef de rang

iL CONGReSSO

“Perché i ristoratori insistono nello sprecare 20 watt per illu-minare i loro locali quando con 4 watt non solo ridurrebbero i consumi energetici ma, soprattutto, renderebbero più inti-mo ed esclusivo il ristorante?”. Questa la domanda di aper-tura di Davide Groppi, light designer di locali affermati (su-

a la recente rivisitazione illuminotecnica delle Calandre di Rubano e del Caffè Quadri di Venezia). Secondo Groppi, la luce e l’acustica sono fattori fondamentali in un ristorante, ma non sono ancora sufficientemente considerati. La luce andrebbe indirizzata solo sul tavolo, il resto dell’ambiente

«AbbAssiAmo le luci e rendiAmo il tAvolo uno spAzio unico»

Davide Groppi (light designer)

Page 7: Affari di Gola - marzo 2013

deve scomparire così da rendere il tavolo uno spa-zio unico, intimo, sia per una cena romantica che per un pranzo d’affari. “La luce sul tavolo - dice Groppi - deve poter essere regolata e le luci in un lo-cale si devono muovere come in una scena di teatro”.

marzo 2013

L’esperienza insegna che un buon servizio salva un piatto mediocre, ma difficilmente un buon piatto riesce a salvare un cattivo servizio. Se infatti, in qualità di clienti, sia-mo disposti a dare una seconda chance alla cucina, difficilmente riserviamo lo stesso ri-guardo alla sala. A volte si torna in un risto-rante perché si è stati trattati con gentilezza e si chiude un occhio su eventuali incertezze dello chef; viceversa, se in sala non hanno avuto il giusto garbo, difficilmente varchere-mo di nuovo la soglia di quel ristorante. Del-lo stesso parere è lo chef Massimo Bottura che ha dichiarato: “Per me: sala batte cuci-na 52 a 48”. e, data la sua autorevole posi-zione nella classifica di tutte le guide, non possiamo far altro che dare evidenza al suo pensiero con l’auspicio che anche gli addetti al settore inizino a considerare con maggior riguardo chi lavora in sala.in cattedra sono saliti i più celebri direttori del nostro tempo: Beppe Palmieri, dell’Oste-ria Francescana, Joseph Roca del Celler de Can Roca, Raffaele Alajmo delle Calandre, Umberto Giraudo e Marco Reitano della Per-gola del Rome Cavalieri ed infine, il più ac-clamato, Antonio Santini del ristorante Dal Pescatore di Canneto sull’Oglio. Li ha prece-duti l’intervento di un light designer, Davide Groppi, che ha introdotto l’importanza di cre-are atmosfera nel locale. Una parentesi davvero interessante che ci ha spinti a una considerazione: se tutti sono concordi nell’affermare l’importanza strate-gica del personale di sala - ci siamo chiesti - forse è il caso che si inizi a pensare concre-tamente alla rivalutazione di queste figure professionali, partendo dal presupposto che un bravo cameriere non porta in sala solo i piatti, ma porta con sé l’essenza e l’ener-gia del locale.

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L’arrivo di Antonio Santini sul palco è accompagnato da una calorosa standing ova-tion del pubblico. Se fino ad allora la platea era rimasta sobria e perfino un po’ son-nacchiosa, improvvisamente la comparsa di quest’uomo gentile, elegante e misu-rato, ha generato un consenso collettivo spontaneo.Santini inizia la sua chiacchierata con il pubblico ripercorrendo le tappe che han-no segnato i cambiamenti nella ristorazione e ricordando che il ridimensionamen-to delle grandi brigate di sala è iniziato con l’uscita in sala di Paul Bocuse che per primo ha scelto di far conoscere al cliente la figura dello chef. Dalla platea arriva una provocazione sorridente: “Allora è colpa di Paul Bocuse se gli addetti sala vivo-no all’ombra degli chef” e Santini risponde: “il grande Paul Bocuse ha solo meriti”.Che Santini abbia nel cuore la Francia lo si respira ad ogni parola, tant’è che per evidenziare da subito ciò che pensa del rapporto “sala-cucina” cita un altro chef francese, Michel Guérard, il quale sosteneva che “la sala vale il 48%, quando la cucina è buona; quando la cucina è cattiva la sala vale il 100%”. Ma il vero obiettivo dell’intervento di Santini è il cliente. “Al quale - afferma - non dobbiamo solo gentilezza, ma soprattutto rispetto. Chiunque investa tempo e de-naro per recarsi in un ristorante non può che meritare un atteggiamento rispetto-so”. “Oggi il cliente che decide di scegliere un ristorante piuttosto che un altro è un cliente che si è informato”, dice Santini: “Ha già letto l’inverosimile su di noi, ma tutto ciò che sa si azzera nel momento in cui varca la soglia del ristorante. Da lì inizia la sua reale percezione, la sua unica avventura e da lì noi dobbiamo partire, ogni volta. Con rispetto”.e su questa frase di nuovo il pubblico applaude e si alza in segno di rispetto.

«leggerezzA e rispetto: ecco i modi corretti per Accogliere l’ospite»

Antonio Santini (Dal Pescatore)

Page 8: Affari di Gola - marzo 2013

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iL CONGReSSO

La valorizzazione del ruolo passa anche attraverso il nome. Questo in sintesi uno dei concetti di Raffa-ele Alajmo che, affrontando il tema dell’importanza del servizio in sala, rimarca come il termine “cameriere” sia riduttivo rispetto al ruolo che gli operatori di sala svolgono. “in italia si chiamano camerieri - dice Alajmo - in Francia Chef de Rang”. A sottintende-re che è necessario tornare a dare di-gnità a questa figura professionale, iniziando dagli insegnamenti scola-stici: “il percorso di studi previsto dal Ministero - sostiene Alajmo - non de-ve mirare solo all’acquisizione di tec-niche di sala ma alla cultura genera-

le. La scuola è da rifondare, bisogna dare evidenza alla cultura umanistica

per dare la possibilità ai giovani di am-pliare i propri confini di conoscenza”. Anche per il direttore delle Calandre la sala ha forse più valenza della cucina. Lo dice sottovoce, strizzando l’occhio al fratello Massimiliano, illustre chef seduto in aula, e aggiunge: “Ci sono cucine che non valgono il viaggio e no-nostante questo il servizio e l’atmosfe-ra sono così suggestivi da determina-re il successo del locale”. Alajmo non teme di fare nomi e porta l’esempio di Arrigo Cipriani che ha portato l’Harry’s Bar di Venezia ad essere il locale ita-liano più conosciuto all’estero ma che certo non è un ristorante che si distin-gua per la cucina”.

«ripArtiAmo dAllA culturA. e ridiAmo dignità Al ruolo del cAmeriere»

Raffaele Alajmo (Le Calandre)

Non è certo un caso se Umberto Giraudo è stato insignito da “L’Acadèmie internationale de la Gastronomie” del titolo di miglior maitre del mondo. La serenità e la padronanza con la quale condivide il palco con il brillante sommelier Mar-co Reitano ci danno l’idea di quanto accurato, prezioso ed esclusivo possa essere il servizio a La Pergola di Roma. Un intervento a due, quello sul palco, così come quello in sala, gestito con grande professionalità ma senza i formalismi che ci si aspetta da professionisti di questo livello. Secondo Reitano “il cameriere non deve limitarsi a presentare il piat-to al cliente elencando una serie dettagliata di ingredien-ti: non siamo in sala per fornire una ricetta, noi abbiamo il compito di trasmettere l’intenzione dello chef, spiegare che ci sono stati un’idea, un progetto che si sono materializzati e hanno dato origine a quel piatto”. il servizio della Pergola ha regole ferree e studiate a tavolino, nulla è lasciato al ca-

so. Dice Giraudo: “Da noi non devono trascorrere più di 15 secondi prima che in fase di accoglienza vi sia un contatto visivo con il cliente, meno di due minuti per proporre un ape-ritivo e non più di quattro per servirlo. il cliente non deve mai chiedere, siamo noi che anticipiamo i suoi bisogni”. Detto così sembra che il cliente subisca passivamente un rigido protocollo e diventi vittima di una liturgia standardizzata, in realtà i toni del racconto ci fanno comprendere che per La Pergola è solo una questione di grande attenzione al cliente e alle sue aspettative. Da Giraudo traspare la passione nel voler regalare agli ospiti emozioni esclusive. A chi in sala fa presente che questi metodi non possono essere applicati ovunque, Giraudo risponde: “Forse non tutto può essere re-plicato, ma il sorriso, che è il migliore degli atteggiamenti, deve accogliere il cliente sia in un locale stellato che in una pizzeria”. Non sempre è scontato sia così.

«il sorriso? restA il migliore

degli AtteggiAmenti»

Umberto Giraudo e Marco Reitano

(La Pergola)

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di Rosanna Scardi

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asce Wikichampagne, la prima en-ciclopedia gratuita consultabile sul web, dedicata alle celebri bollicine che prendono il nome dalla regione situata nel nord-est della Francia. Il suo auto-re è Ezio Falconi, 59 anni, imprendito-re gorlese del settore food & beverage, titolare dell’american champagne bar “Arimo” a Treviglio, in via Ariosto. Sono oltre duemila le pagine che

da aprile saranno pubblicate su www.wikichampagne.com contenenti i nomi dei 4.500 produttori che con-centrano i loro 34mila ettari di vigne-ti nell’area di Reims. “Lo spirito della mia opera è informare i neofiti - af-ferma lo scrittore -. Oggi lo champa-gne non è più un vino d’elite, si può acquistare al supermercato e spes-so ha un prezzo inferiore alle nostre bottiglie. Basterà inserire on line il no-me della marca e ottenere informa-zioni, dall’indirizzo del vinificatore al suo numero di telefono, dalla linea di appartenenza a un marchio, alla per-

centuale di uve impiegate”. Ci sono tutte le aziende, da quelle antiche come Gosset, fondata nel 1584, a Ruinart, nel 1729, fino a Moet

et Chandon, nata nel 1743 e oggi prima casa al mondo

per fatturato. L’enciclope-dia sarà in continua evo-luzione, con la possibilità per i produttori di appor-tare modifiche alle vo-ci, crearne di nuove, in-tegrarle con curiosità o

aneddoti. Leggenda vuole quale inventore delle bolli-

cine Dom Pier-re Pér ignon. L’abate avreb-be commesso degli errori nel-la vinificazione delle uve bian-

che. Sbaglio che avrebbe provocato lo scoppio delle bottiglie e portato alla scoperta della presa di schiuma. Altre versioni sostengono che il be-nedettino per rendere più gradevole il vino, aggiungesse fiori di pesco e zucchero, che allo stappare produ-cevano la schiuma. “Ciascun prota-gonista di questa storia ha apportato idee, c’è chi ha azzeccato la giusta quantità di zuccheri e lieviti per spu-mantizzare - afferma Falconi - chi ha inventato le capsule o lamerini so-pra il tappo”. Con alle spalle 65 bar aperti, tra cui nel 1985 il Daisies a Bergamo, l’imprenditore è cresciuto tra bottiglie e banconi. “I miei geni-tori avevano un esercizio a Milano in piazzale Maciachini - spiega -. A tre anni mi hanno scattato la prima foto sul bancone, da quel momento è sta-to il mio mondo”. Autore di pubblica-zioni su vini, distillati, cocktails, in Wi-kichampagne Falconi dà anche sug-gerimenti utili. “La giusta temperatu-ra per assaporare lo champagne è 6 gradi, noi italiani preferiamo 4 - spie-ga - ma più si raffredda e più si perdo-no i profumi”. E curiosità. “La parola sabler indica il bere tutto d’un fiato - svela – mentre sabrer la sciabolata con la quale si fa saltare il collo delle bottiglie”. Lo champagne più raffina-to? “Sono 25mila le cuvèe o miscele - conclude -. La più indovinata, a mio parere, è il Dom Pérignon per il mi-glior rapporto qualità/prezzo”.

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Firmata da un bergamascola prima enciclopedia on line dedicata allo champagne

il progetto

Ezio Falconi

Da aprile consultabile gratuitamente wikichampagne.com, sito creato da Ezio Falconi

Page 10: Affari di Gola - marzo 2013

Per il “Caffè del Caravaggio” - marchio di un sistema di cialde e macchine per il caffè espresso per il settore Hoerca, che fa capo a Tenacta Group, la holding con sede ad Azzano San Paolo che ha tra i suoi brand anche Imetec - certificazione Halal significa prima di tutto accesso a precisi mercati, come Malesia, indonesia e Sin-gapore, in cui è obbligatoria. «Si tratta di un prodotto di fascia alta – spiega il presidente di Tenacta Group Renato Morgandi –, la cer-tificazione è perciò funzionale pressoché esclusivamente alla no-stra presenza all’estero e non al mercato italiano dei consumatori islamici». «il caffè – evidenzia - non presenta particolari rischi per gli standard Halal, non è stato perciò necessario modificare i pro-

cessi di produzione, ma curare semmai la tracciabilità dei passaggi in modo da garantire che non entri in contatto con nessuna sostan-za Haram, ossia non lecita. È più che altro un impegno in termini “burocrazia”. Sulla garanzia dell’origine, in ogni caso, non abbiamo problemi perché è uno dei punti su cui si fonda la filosofia del mar-chio. L’identificazione è infatti agevolata per il fatto che utilizziamo solo Arabica, sia nelle miscele sia nei tre monorigine che proponia-mo. Abbiamo fatto una scelta di qualità senza compromessi, che si fa fatica a far comprendere, ma che non tradisce le aspettative». il progetto “Caffè del Caravaggio” nasce nel 2004 coinvolgendo l’Università di Udine, che ha una specifica esperienza nel mondo

«un pAsso necessArio per entrAre in Alcuni pAesi»

CAFFÈ DEL CARAVAGGIO

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di Anna Facci

MeRCATi

Halal, la “ricetta” per conquistare i musulmani

el campo dei prodotti alimentari e dell’enogastronomia (ma il discorso si estende ad ogni genere di consumo) c’è un mercato ancora tutto da esplo-rare e conquistare. È quello dei prodot-ti Halal, che in arabo significa “lecito”, ossia conforme ai principi della Sharia islamica, la legge che regola i compor-tamenti di un credente musulmano. in italia è un termine che capita di leggere sulla vetrina di qualche macelleria o ne-gozio etnico, la comunità islamica è pe-

rò ben lungi dal riuscire a soddisfare la gamma dei propri bisogni con prodotti e servizi certificati. Si può anzi dire che il percorso verso una garanzia certa è so-lo all’inizio e nasce dalla necessità delle aziende di presentarsi con le credenzia-li in regola nei Paesi che hanno precise disposizioni in materia e dove la popola-zione musulmana è prevalente, più che dall’attenzione al mercato domestico. «La legge islamica riguarda di fatto an-che la scelta dei prodotti da consumare

e dei servizi da utilizzare», ricorda Sha-rif Lorenzini, presidente della Halal in-ternational Authority, l’unico organismo italiano, membro del World Halal Food Council, in grado di certificare i prodot-ti a livello mondiale, che ha partecipato recentemente ad un incontro a Berga-mo con gli imprenditori, promosso dal-la Camera di Commercio. «Parliamo di agroalimentare, ma anche di cosmeti-ca, farmaceutica, pubblici esercizi, ser-vizi assicurativi e bancari, sanità, assi-

N

in arabo significa “lecito”, conforme ai principi della religione islamica, in italia resta però difficile trovare prodotti certificati. Lorenzini (Hia): «Un’opportunità che ha anche un grande valore sul piano dell’integrazione» Per le aziende una scelta più orientata all’export

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del caffè, e l’istituto farmacologico Mario Negri, per non trascurare l’aspetto salutistico, ed approda sul mercato nel 2010 portando avanti un nuovo modo di intendere la tazzina di espresso. «Paradossalmente, in italia, dove si dovrebbe gustare il caffè più buono del mon-do – evidenzia Morgandi – manca la trasparenza su ciò che si consuma. il caffè ha in pratica un prezzo “statale” e ci si affida a ciò che serve il barista. Non si sa che esistono tante varietà di caffè, con caratteristiche e prezzi diversi. i migliori monorgine, ad esempio, costano dal-le 5 alle 7 volte più della Robusta del Vietnam e il Jamaica Blue Mountain, che proponiamo noi, costa dieci volte più di questi. e naturalmente le differenze in termini di qualità, gusto e purezza si avvertono. in italia – tiene a dire - il caffè viene presentato in una maniera vecchia di cento anni, come quando ordinare il vino significava semplicemente scegliere tra bianco e rosso. Oggi per il vino c’è la carta, c’è addirittura la carta delle acque minerali, ma la carta del caffè è una rarità e solo alcuni ristoranti di livello hanno introdotto prodotti selezionati. All’estero un discorso di questo tipo è accolto con maggiore interesse e credo che sia la chia-ve per esprimere nel mondo tutta la potenzialità del caffè espresso».

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stenza, logistica e trasporti – chiarisce -. in tutti questi campi un credente musulmano oggi in italia non ha in pratica nessuna cer-tezza di acquistare prodotti conformi per-ché non hanno una certificazione. L’unica cosa che può fare, restando per semplicità nell’ambito alimentare che è anche il biso-gno essenziale, è leggere l’etichetta e veri-ficare che non siano presenti sostanze no-toriamente Haram, ossia non consentite, ma si tratta, come si può ben capire, di una soluzione di ripiego». il mercato è perciò, in pratica, intatto e ba-stano pochi numeri per comprenderne le potenzialità, ancor più interessanti di fron-te alla generale contrazione dei consumi: in italia la popolazione musulmana si atte-sta sui due milioni circa ed una delle regio-

ni con la più alta presenza è la Lombardia con 820mila persone (delle quali 600mila regolari) con consumi che, secondo l’istat, solo per il settore alimentare superano 1,2 miliardi di euro all’anno. in Bergamasca vivono circa 100mila musulmani per una spesa alimentare di 150 milioni di euro l’anno. Se poi ci si vuole orientare sull’este-ro, basterà ricordare che in europa i poten-ziali consumatori Halal sono il 6,5% della popolazione e che nel mondo sono circa 2 miliardi, con un tasso di crescita più al-to rispetto ad altre comunità. e ancora che gli Stati musulmani o in cui la popolazione musulmana è prevalente importano circa il 40% del loro fabbisogno, opportunità che, per quanto riguarda la carne, uno dei pro-dotti più sensibili alla legge islamica, sta sfruttando soprattutto il Brasile, coprendo circa la metà delle richieste. «In Italia la promozione della certificazione Halal portata avanti dal nostro organismo ha prima di tutto un valore sul piano dell’in-tegrazione – sottolinea Lorenzini –. Non è difficile immaginare la situazione psico-logica in cui si trovano i credenti islamici: la confusione e l’incertezza assolute con-dizionano il loro livello di consumi, vivono male nella società, sono poco integrati. Per soddisfare i loro bisogni si rivolgono per lo più a punti vendita di prodotti esotici, dove il fatto che provengano da Paesi musulma-ni dà loro garanzie, ma non sempre sono di qualità e costano il doppio perché arrivano da lontano. Pensiamo perciò quale interes-se potrebbero suscitare su questi consu-matori i prodotti made in italy, la cui eccel-lenza è riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo, se fossero Halal. È una scelta di

business, ma anche di attenzione ai biso-gni di una comunità». Ma quali caratteristiche hanno i prodotti Halal? «Sono privi di ogni sostanza proibi-ta dal codice alimentare islamico – spiega il presidente di Hia -, che si riassumono in due categorie principali: le sostanze che hanno origine da animali proibiti, vale a di-re tutti gli animali carnivori (non è il caso della tradizione gastronomica occidentale, ma Lorenzini cita per completezza dell’in-formazione ad esempio il falco e il serpente ndr.), il maiale, che è onnivoro, e gli inset-ti, utilizzati anche per produrre coloranti, o parti di animali come il sangue, con i cui de-rivati si producono anche degli addensan-ti. il secondo gruppo è quello delle sostan-ze stupefacenti o inebrianti, primo fra tutti l’alcol. in un prodotto Halal è ammessa la presenza di “tracce” di alcol tali da non pro-curare uno stato di ebbrezza, ovvero una concentrazione al di sotto dello 0,05%, ben inferiore ai limiti posti dalla legge italiana per chi si mette alla guida. Allah vuole infat-ti che l’uomo abbia il completo controllo di se stesso perché dovrà rendere conto delle proprie azioni». Ma anche nel caso di ani-mali concessi – gli erbivori tranne l’asino - esistono prescrizioni, in particolare sulla macellazione. «Poiché Dio è il creatore sia degli uomini sia degli animali, la Sharia tu-tela e garantisce il benessere degli anima-li, che devono essere nutriti con cibo sano ed essere trattati bene – dice ancora Lo-renzini –. Anche nel momento in cui la loro vita cessa, perché sono stati creati al ser-vizio degli uomini, non devono soffrire, non devono esserci fasi di stordimento preven-tivo. Si tratta di un principio religioso, ma

Sharif Lorenzini

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è stato provato anche scientificamente che lo stato di ansia degli animali, la pro-duzione di adrenalina, la contrazione dei muscoli hanno effetti negativi anche sul-la carne e su chi la consuma». Lorenzini ribadisce che la certificazio-ne Halal ha un valore etico-morale, per un’azienda intraprendere un tale per-corso può però anche rappresentare un’implementazione del sistema ge-stionale e di qualità. «La certificazione

Halal può riguardare tutti i settori – spe-cifica -, anche l’acqua minerale in bot-tiglia, perché alcuni filtri organici che utilizzano carbon fossile sono incollati con sostanze di origine animale prove-nienti dal suino. i nostri tecnici effettua-no sia valutazioni a livello documentale, sia visite ai siti produttivi per verificare che non ci siano fonti di contaminazio-ne con sostanze proibite. Le misure da adottare saranno più o meno impegna-

tive a seconda del settore, ma anche un salumificio può arrivare a certificare Halal un proprio prodotto che non entri in nessun modo in contatto con carne e derivati del maiale. in campi meno a ri-schio si tratta invece semplicemente di verificare certi passaggi, di portare a co-noscenza gli operatori coinvolti e di met-tere in atto un preciso sistema di traccia-bilità, prevista dagli standard Halal». Un requisito, quello della tracciabilità, che – sia detto per inciso - in tempi di ragù e polpette con carne di cavallo arrivata da chissà dove, può essere sufficiente per indirizzare verso prodotti certificati Halal anche chi non è di fede musulma-na. «Hia è un organismo di sviluppo del mercato – conclude il presidente – e vuole dare una mano a sbloccare una situazione di disagio per i consumatori musulmani in italia ed offrire opportuni-tà alle aziende su diversi fronti, dalla ve-trina al commercio elettronico, alla cre-azione di format per esercizi pubblici, fi-no al coinvolgimento della Gdo, ancora poco sensibile a questo tipo di esigen-ze. Anche sul fronte turistico le possibi-lità non mancano, basti pensare che in italia non esiste nemmeno una struttu-ra certificata Halal, eppure richieste da parte di tour operator ci sono». Siamo, insomma, all’anno zero, si può solo crescere.

COMPAGNIA LATTIERO CASEARIA

MeRCATi

«Qui c’è Anche lA certificAzione Kosher»La certificazione Halal può riguardare anche gli ingredienti. È quanto accade alla Compagnia Lattiero Casearia di Roccafranca, in provincia di Brescia. L’azienda prepara materie prime a base latte per le industrie dolciarie e gelatiere, soprattutto yogurt intero e magro, latte concentrato e panna e il percorso di certificazione è stato in pratica una richiesta dei clienti. «L’Algida, che vende i suoi prodotti in tutto il mondo – racconta il direttore commerciale Fran-cesco Pergola –, ci ha chiesto il certificato Kosher (conforme cioè alle regole religiose che governano la nutrizione degli ebrei osser-vanti ndr.) per alcune forniture. Dopo aver affrontato questo pas-saggio ci è sembrato naturale attivarci anche sul versante Halal,

che non presenta molte differenze, con la prospettiva di ampliare le possibilità commerciali». Trattando latte e derivati, per l’azien-da non sono stati necessari grandi interventi. «Sono più che altro accorgimenti che riguardano il lavaggio della cisterna – spiega Pergola – e il non recupero delle condense, così da assicurare un processo in linea con la cultura islamica. i costi per l’azienda sono soprattutto quelli dell’audit per il rinnovo, mentre il prodotto non viene pagato di più. Al momento non abbiamo ancora clienti per i prodotti Halal, ma stiamo trattando per la fornitura di panna con-gelata in Arabia Saudita. Anche il mercato nazionale, in ogni caso, si potrebbe sviluppare».

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La Cattaneo Carni & Co.ma.ri di Pon-tida, nata nel 2011 dall’unione delle esperienze della Cattaneo Carni, atti-va da 55 anni, e del Gruppo Co.ma.ri, da 25 anni sul mercato, ha fatto una scelta commerciale netta deciden-do di certificarsi Halal. «Macelliamo e forniamo carni all’ingrosso – spie-ga il direttore commerciale Antonio Cattaneo – e per ottenere la certifica-zione abbiamo rinunciato del tutto a trattare il maiale, perché gestire que-sta referenza sarebbe stato troppo oneroso in termini di organizzazione e strumenti. Questo ci ha fatto per-dere alcuni clienti, supermercati ad esempio, che richiedevano la conse-gna anche di carne suina, ma ci ha aperto alcuni canali nuovi, che spe-riamo ora di aumentare». Prestigiosa è, ad esempio, la fornitura per Servair air chef, che prepara i pasti per le li-nee aeree arabe, su tutte emirates, che ha anche fatto visita agli impianti dell’azienda bergamasca. Ma c’è sta-to anche un campo per i terremotati

dell’emilia che per tre mesi ha dato da mangiare a mille persone di fede isla-mica e più recentemente è comincia-ta la fornitura al carcere di San Vittore a Milano, che vedrà prossimamente l’introduzione di carni Halal. La C& C fornisce inoltre una trentina di macel-lerie islamiche a Bergamo, Milano e Lecco. «Macellavano con rito islamico anche prima della certificazione Hia – prosegue Cattaneo – ma con que-sto passo abbiamo fatto una precisa scelta di specializzazione, abbiamo deciso di presentarci sul mercato con tutte le carte in regola». Poiché la carne è uno dei prodotti su cui la legge islamica pone più atten-zione, le procedure sono stringenti, sin dall’arrivo degli animali. «Una par-te dei bovini proviene da allevamen-ti bergamaschi, bresciani e veronesi, una parte viene importata dalla Slo-venia, che comunque non è molto di-stante. il viaggio dura circa sei ore ed è effettuato di notte. Sono da noi alle sette del mattino ed abbiamo allesti-to delle stalle apposite in cui posso-no riposare ed eliminare lo stress del trasporto – racconta -, fornite anche di docce con cui i capi vengono lava-ti e rinfrescati d’estate. Due imam, approvati dall’organismo di certifica-zione, eseguono la macellazione se-lezionando solo i capi idonei e secon-do il rito. Su ogni capo macellato vie-ne apposto un timbro, conservato in una cassetta di sicurezza di cui solo l’imam ha la chiave. i capi sono tutti identificati e separati dal resto delle carni. Anche per le consegne usiamo un mezzo dedicato». L’azienda riser-va una giornata esclusivamente alla macellazione islamica, «la sera spe-diamo all’Hia tutti i documenti sui ca-pi macellati e riceviamo un certifica-to che consegniamo all’acquirente.

in pratica ogni passaggio è tracciato e garantito». La certificazione com-porta un aggravio dei costi, in ter-mini di personale (sia per la macel-lazione sia per seguire gli aspetti burocratici), attrezzature e spese per il mantenimento del marchio. «La macellazione ha un costo deci-samente superiore rispetto a quella tradizionale, il prodotto finale ha in-vece un prezzo solo leggermente su-periore. Per noi è stata una scelta im-pegnativa – commenta Cattaneo –. Il mercato interno è in flessione an-che sul versante Halal, possiamo pe-rò contare su un biglietto da visita importante nei confronti di clienti in-ternazionali che non possono permet-tersi di non avere la certezza di ciò che acquistano».

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CATTANEO CARNI & CO.MA.RI

«le nostre cArni servite sulle linee Aeree ArAbe»

L’amministratore PierGiorgio Bertuletti e Es-sari Abderrahim, macellatore Halal

Da sinistra il direttore commerciale Antonio Cattaneo, il responsabile delle vendite Paolo Comi e i macellatori Giovanni Alborghetti e Fabrizio Avogadro

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STORiA e FUTURO DeL CiBO RACCONTATi iN SeTTe PRANZi

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NeWS

iL LiBRO

Dal web alla tavola, i Cuochi Disperati

aprono un locale e li ricordate i Cuochi Disperati? Affari di Gola ne aveva par-lato nel settembre scorso raccontando di come due amici appassionati di cucina, Diego Redolfi 35 anni di Seriate e Diego Bonfanti 36 di Palazzago, avessero in poco tempo radunato attorno a sé una community di golosi con il loro blog ed un gruppo Facebook: Cuochi Disperati, appunto. Dal 23 marzo non si limitano più a postare foto e ricette dei loro piatti, ma li servono ai tavoli del loro locale, l’Osteria dei Cuochi Disperati, aperta negli spazi già del ristorante La Sacrestia, a Seriate in via Venezian, nei pressi della Chie-sa parrocchiale. Un po’ come è accaduto con l’avventura sul web, che si è sviluppata sul filo delle idee e delle opportunità nate con i nuovi contatti, anche quella nella ristorazione – di certo più impegnativa – ha preso forma grazie al fortunato alline-amento di una serie di condizioni. «Fino a qualche mese fa – ricorda Redolfi, impegnato nella cucina di una tavola cal-

da a Castelli Calepio prima di lanciarsi in questa attività in proprio – ci sembrava già un bel traguardo lavorare al libro di ricette nostre e degli amici del Gruppo, ormai quasi pron-to. Poi, come spesso capita, alcune occasioni interessanti ci hanno convito a dare concretezza a quello restava il nostro sogno in sottofondo». La spinta più importante è rappresentata dall’aiuto Mar-zia Vallini, chef che a Parma ha gestito per anni insegne di successo, che i due “Dieghi” hanno incontrato in rete e so-no poi andati a conoscere di persona. «È nato un bellissimo rapporto – spiegano – e si è resa disponibile a stare con noi nella fase di avvio, così, quando abbiamo anche trovato l’ambiente giusto, ci siamo lanciati». Marzia e Diego Redolfi sono in cucina, mentre Diego Bon-fanti, che ha lasciato il lavoro nella carrozzeria di famiglia, si occupa della sala, dei vini e dei dolci, settore che già coltiva-va sul web. «Proponiamo una cucina classica – dice Redolfi

Una storia d’italia dall’Unità ad oggi attra-verso l’esperienza universale dell’alimen-tazione, dalla fame atavica alla cyber-nu-trizione, dai nobili deschi alle tavole ope-raie. “A tavola! Gli italiani in 7 pranzi” di emanuela Scarpellini, docente di origini bergamasche di Storia contemporanea alla Statale di Milano, edito da Laterza, racconta la storia del nostro Paese, in-trecciando fonti storiche, letterarie, arti-stiche, dati statistici, media e pubblicità, in un viaggio ideale tra diversi paesaggi del gusto attraverso sette convivi. il libro, presentato dalla libreria Buona Stam-pa al ristorante M1.lle, che ha proposto sette ricette a tema, restituisce un qua-dro storico fedele dei consumi alimenta-ri nel nostro Paese, tra numeri rigorosi e

miti antropologici di ogni epoca e luogo. La prima tavola in cui si viene catapul-tati è in Sicilia a Donnafugata, un invito esclusivo ad un convivio ispirato a “il Gat-topardo”, per poi continuare il viaggio tra le tavole d’élite al castello di Sanvitale a Fontanellato, in provincia di Parma, e con-cedersi un bicchiere di Chianti al Castel-lo Brolio, gentilmente concesso dal suo creatore, il barone Bettino Ricasoli. Dalle stelle alle stalle, si soffre con i mietitori di Mazzarò descritti da Verga per finire a ta-vola in un casot piemontese nel 1898 a Montasso di Robilante accompagnati da Lusiota Giordanengo, una bambina di ori-gini contadine poverissima. Si incontra la pizza ne “il ventre di Napoli” di Matilde Se-rao e il primo cibo di strada e a Milano ec-

V

excursus (fino al 2049!) della docente di Storia contemporanea emanuela Scarpellini

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il premio Arrigoni Ai vini del monte cAnto

STORiA e FUTURO DeL CiBO RACCONTATi iN SeTTe PRANZi

Un vino di qualità che si sposa con il recupero di storia e am-biente. È andata all’Azienda Agricola Magni di Tassodine la se-conda edizione del Premio in Memoria di Francesco Arrigoni, il giornalista e critico enogastronomico bergamasco prema-turamente scomparso nell’estate del 2011. il riconoscimen-to, ideato dall’Associazione Promoisola in collaborazione con l’Ascom, è stato consegnato dalla conduttrice televisiva Tessa Gelisio e dalla moglie di Arrigoni, Antonella, durante una delle serate della Fiera del Libro dell’isola Bergamasca nel centro commerciale Continente di Mapello. Anima dell’azienda premiata, citata tra le 100 migliori a livello nazionale, è Giuseppe Magni, che ha cominciato a strappare all’incuria la località di Tassodine, a 500 metri di altitudine sul Monte Canto, sopra Villa d’Adda, riportando la vite sui grado-ni ormai invasi dai rovi e dal bosco. «È stato un lavoro lungo, coinvolgente ed appassionante – ha ricordato –, portato avan-ti grazie all’aiuto di tanti amici che come me ci hanno messo l’anima, mi hanno consigliato e sostenuto. Francesco Arrigoni era tra questi e a lui si deve l’idea di piantare insieme al Merlot anche del Pinot Nero, vitigno sconosciuto dalle nostre parti».L’azienda può contare su 8mila piante in un ettaro di superfi-cie, allevate a cordone speronato, capaci di dare a pieno regi-ne al massimo 8mila bottiglie di vino. il progetto complessivo prevede la ristrutturazione delle cascine per far rivivere il bor-go come un’autonoma impresa agricola.

Tessa Gelisio consegna il premio a Giuseppe Magni

Antonella, moglie di Arrigoni, con Tessa Gelisio 15

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– con un tocco in più rappresentato dalla tradizione parmen-se portata da Marzia, quindi la pasta fresca, le paste ripiene e piatti che valorizzano il Parmigiano, come gli sformati o le sfi-ziose meringhe. Sappiamo bene che il momento non è dei mi-gliori per la ristorazione, ma crediamo che una cucina buona a pezzi giusti possa sempre essere interessante». Senza dimen-ticare la loro visione dell’accoglienza e dello stare a tavola che, come traspare da quel “disperati” che si sono scelti come mar-chio, è schietta, ironica e godereccia. «il nostro obiettivo è fare in modo che chi viene da noi si senta a casa – sottolineano -. L’ambiente è intimo, al massimo una cinquantina di coperti, e come cifra personale aggiungiamo qualche “coccola”, come uno stuzzichino inatteso o dei dolcetti di pasticceria fresca of-ferti a fine pasto». Anche questo loro nuovo progetto resta, in qualche modo, col-lettivo: «Ci piacerebbe che tutti gli amici on line si sentissero partecipi dell’iniziativa – concludono –. in questi ultimi mesi abbiamo un po’ trascurato la presenza in rete per seguire l’av-vio del locale, ma appena avremo ingranato torneremo in que-sto mondo che ci ha aperto gli orizzonti».il locale è chiuso la domenica e il lunedì. A mezzogiorno propo-ne pranzi di lavoro.

co servito il pranzo operaio preparato da Benvenuta Mariani nel 1911 con grande cura e attenzione, grazie anche al corso di eco-nomia domestica della Società Umanitaria, a 1,76 lire. Dopo le tavole autarchiche tra le due guerre, l’invito a pranzo arriva, sullo sfondo dell’Italia del boom, da Mirafiori, da un’operaia della Fiat originaria di Bitonto, mentre nell’era dei paninari e del mito dei consumi degli anni Ottanta, ci si siede a tavola a Costabissara, in provincia di Vicenza, a casa di piccoli imprenditori. Nell’attuale “era della complessità” ci si ritrova a Patti, di nuovo nella Sicilia de “il Gattopardo”, per gustare i prodotti tipici che ancora sopravvivono tra globalizzazione, cibo etnico, surgelati e prodotti industriali. Da qui al 2049 si aprono due scenari: un pranzo a base di pizza, dim sum e Cyber Cola nel chiosco di pla-stica di una megalopoli ed una tavola imbandita in riva al mare in Sardegna, con bottarga e frutti di mare e is culorgionis innaffiati da un buon Vermentino. Nel prossimo futuro troveremo ciò che la nostra libertà di scelta e il nostro senso di responsabilità avran-no lasciato oggi.

i promotori del blog e del gruppo Facebook approdano alla ristorazione. A Seriate nasce la loro Osteria

Nella foto: Diego Bonfanti, Marzia Vallini e Diego Redolfi

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LeTTeRe

Direttore,sono Matteo Magri e sono un giovane pasticciere di 22 anni, nato e cresciuto a Scanzorosciate. Sono un dipendente, da circa due anni e mezzo, della pastic-ceria Cortinovis di Ranica, che proba-bilmente voi avete già avuto modo di conoscere.Innanzitutto volevo porvi i miei ringra-ziamenti e la mia ammirazione, per il la-voro che costantemente portate avanti nel promuovere e valorizzare una cultu-ra enogastronomica, quale quella ber-gamasca, che da sola racconta la storia di un territorio pieno di ricchezze ed ec-cellenze, ma che troppo spesso sia da noi che la viviamo in prima persona, sia

da chi la osserva da fuori viene poco consi-derata e valorizzata.Devo essere sincero nel dire però, cosa che sicuramente avrete colto anche voi, che ne-gli ultimi anni noto una piacevole crescita di tutto il settore a livello territoriale, grazie alla riscoperta e valorizzazione di alcuni no-stri prodotti, ma soprattutto grazie all’im-pegno di alcuni addetti del settore, come i fratelli Cerea o il mio titolare, e come loro tanti altri, tra cui moltissimi piccoli e medi produttori, che si impegnano ogni giorno per far conoscere e valorizzare le proprie realtà, che non sono altro che più facce di un’unica realtà collettiva; oltre che ad una serie di iniziative e manifestazioni molto in-teressanti che danno risalto ad un settore che crede e lavora per il territorio. È in questo contesto che ho deciso di scri-vervi e presentarvi la mia esperienza.Il 22 di gennaio scorso ho partecipato al campionato italiano seniores di pasticceria, primo concorso per importanza a livello na-zionale, svoltosi nel corso del Sigep di Rimi-ni (Salone internazionale di gelateria, pani-

ficazione e pasticceria) secondo evento, in ordine di importanza a livello europeo, do-po Lione, per gli addetti del settore e primo palcoscenico a livello internazionale per ciò che riguarda la gelateria.Avendo 22 anni compiuti non ho potuto par-tecipare al campionato juniores, ho comun-que deciso ugualmente di provare a parte-cipare al campionato seniores, che come è logico immaginare è rivolto a professionisti affermati e già con un buon grado di espe-rienza. Nonostante questo, sono riuscito ad ottenere un prestigioso secondo posto.Il concorso era così strutturato: ogni concor-rente doveva presentare due degustazioni, un dessert al piatto ed un dessert al bic-chiere ed in infine una scultura in zucchero, nella disciplina dello zucchero artistico, in un tempo massimo di otto ore.Io sono arrivato rispettivamente: primo nel dessert al piatto, con un dessert che al suo interno presentava una preparazione a ba-se di polenta dolce, secondo nel dessert al bicchiere, con un dolce che al suo interno proponeva come elemento caratterizzante

fiduciA nei prodotti tipici e tAnti sAcrifici, Anche noi giovAni possiAmo fArcelA

l’intervento

Egregio direttore,ho letto con molta attenzione l’articolo di Pier Carlo Capoz-zi pubblicato su “Affari di Gola” del febbraio 2013 relativo ai Ristoranti dei Mille… Sapori, avvertendo subito la necessità di ringraziare.E ciò non solo per l’autorevole intervento “ad adiuvandum”, ma anche perché è riuscito ad esprimere in maniera compiu-ta, forse addirittura meglio di quanto abbiamo cercato di fare noi, quello che realmente sta dietro ad uno strumento, appa-rentemente banale, come la Guida. Le confermo poi la nostra ferma intenzione di proseguire nel percorso intrapreso apprezzando la sua disponibilità ad un confronto che certamente terremo in debita considerazione.Con viva cordialità

Emanuele Prati Segretario Generale

Camera di Commercio di Bergamo

Dottor Prati,nel ringraziarla per l’intervento e per l’apprezzamento del nostro lavoro, le sono grato per la notizia che la Camera di Commercio è intenzionata a proseguire nell’iniziativa “Ri-storanti dei Mille… Sapori”. Non avevamo grandi dubbi, in verità, ma il dimezzarsi degli iscritti avrebbe anche potuto condurre ad un ripensamento con conseguente interruzio-ne del progetto.È anche da sottolineare la sua disponibilità ad un confronto, ipotesi non percorribile fin quando non avremo le motivazio-ni delle mancate reiscrizioni alla seconda puntata.ecco, ci sarebbe piaciuto ricevere una mail, da un ristora-tore deluso, che ne spiegasse i perché, tanto da permette-re alla Camera di Commercio di aggiustare eventualmen-te il tiro.e questo silenzio, un pochino, ci preoccupa. Pier Carlo Capozzi

“Ristoranti dei Mille... Sapori”,il percorso prosegue

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Caro Matteo,pubblico volentieri il suo scrit-to nella speranza sia di esem-pio e di stimolo. il territorio ha bisogno di giovani promesse, ancor di più di convinti soste-nitori dei giacimenti locali. Va-lorizzare i prodotti tipici - lo ri-badiamo di frequente - signifi-ca credere nel proprio territo-rio, nelle tradizioni, vuol dire alimentare l’economia locale. Sono concetti che a livello te-orico molti condividono. Sul piano pratico, purtroppo, la musica cambia (il caso dei Ristoranti dei Mille... Sapori è in tal senso un chiaro esem-pio). il fatto che ci siano gio-vani come lei che non dimen-ticano le proprie radici ci fa comunque ben sperare per il futuro. Le auguro tanta fortuna.

GR

fiduciA nei prodotti tipici e tAnti sAcrifici, Anche noi giovAni possiAmo fArcelA

l’intervento

per fAvore, non fAcciAmo diventAre nApoletAni i pomodori pAchino

il Moscato di Scanzo Docg, ed infine ancora primo nella scultura in zucchero.Come avrete notato, ho voluto dare una for-te caratterizzazione territoriale alle mie pre-parazioni. Questo perché sono molto legato al mio territorio (sono nato e cresciuto e vi-vo tutt’ora in mezzo ai filari del Moscato di Scanzo, di cui la mia famiglia è sempre sta-ta produttrice) e credo che la sua valoriz-zazione sia quasi un obbligo per chi come me ama questo territorio, questo mestiere e crede nelle sue eccellenze.Logicamente questo risultato non è arrivato così dal niente, ma è la conclusione di un lun-go impegno, circa sei mesi di preparazione, in cui ogni aspetto secondario rispetto alla mia passione, che è l’arte della pasticceria, è stato accantonato temporaneamente. Sei mesi passati a lavorare la sera e la notte do-po dieci ore di lavoro in laboratorio.Un’esperienza, ed un risultato che non sa-rebbero mai arrivati senza l’aiuto e l’appog-gio del mio titolare, il maestro Giancarlo Cor-tinovis, membro dell’Accademia Maestri Pa-sticceri Italiani, un professionista più che af-

fermato e riconosciuto, una persona piena di umiltà e disponibilità nell’aiutare un suo ap-prendista in questo caso, ma che dimostra di esserlo ogni giorno nel suo lavoro, nel suo negozio e con chiunque gli si rapporti.Penso di essermi già dilungato troppo, quin-di vorrei concludere dicendo che non per egocentrismo o mera pubblicità persona-le, la mia storia sia simbolo di parte di quel-la società che si impegna ogni giorno per raggiungere i propri obbiettivi e si sacrifica perché essi si concretizzino. Quella parte di giovani a cui si chiede di impegnarsi per far crescere e valorizzare questo paese, in cui gran pochi investono e su cui tutti sperano e che meriterebbe spesso una maggiore considerazione dai media.Spero che questa mia storia possa interes-sarvi, non tanto per mirare ad auto-promuo-vermi, ma appunto perché trovo nel vostro mensile la vera volontà di valorizzare la no-stra realtà.

Cordiali salutiMatteo Magri

distintissimo direttore,sono un vostro lettore fedele, grazie anche all’edizio-ne on line.mi è capitato di leggere, altrove, la notizia della pizza dedicata a massimo troisi, idea di un pizzaiolo della nostra provincia, e mi sono un po’ indispettito. l’irritazione non deriva certamente dall’intitolazione al grande attore partenopeo, bensì alla definizione di “pomodori pachino napoletani”, presente in un dise-gno con gli ingredienti a fianco. Mi sono fatto persua-so che detta definizione non proviene certamente dal maestro pizzaiolo autore della ricetta.È però simbolo di una superficialità che non credo me-riti cittadinanza. chiamare “pachino napoletano” un pomodoro la cui zona di produzione comprende l’inte-ro territorio comunale di pachino e portopalo di capo

passero e parte dei territori comunali di noto (sr) ed ispica (rg), ricadenti nella parte sud orientale della si-cilia, equivale a definire un frutto del melo come “Me-la abruzzese della val di non” o “mela rosa sanremese dei monti sibillini”.oppure, per restare nella bella e gloriosa terra orobi-ca, che ne dice di proporre, come dessert, una bella fetta di “turta valtellinese de treì” accompagnata da un bicchiere di “moscato astigiano di scanzo”?caro direttore, mi perdoni l’impudenza, forse ho un’e-sagerata passionalità per la mia Terra e per i frutti preziosi che ci regala.ma qui, o si fa l’italia (scrivendo giusto) oppure è me-glio che si muoia (di fame).

con profondi ossequi Gaetano Taccone

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di Leo Bartoli

L’iNTeRViSTA

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“Il fast food? Può dare una mano ai formaggi bergamaschi”

esigenza di mangiare in fretta, di spendere poco causa crisi, di ac-contentarsi solo di uno spuntino sta cambiando le abitudini alimentari degli italiani, specie per il pranzo di lavoro, con poco tempo a disposi-zione. Sono oltre dieci milioni gli ita-liani che fanno la pausa pranzo fuo-ri casa. Ma chi l’ha detto che il cibo “fast” dev’essere necessariamente “spazzatura” o comunque di qualità scadente? A sfatare un luogo comune che in fu-turo non potrà più essere presentato come un dogma dagli alimentaristi, ci pensa Massimo Barbieri, colui che è riuscito a convincere McDonald’s a inserire nei suoi menù hambur-ger e panini a base di prodotti della tradizione italiana come Parmigia-no Reggiano e Provolone Valpadana per l’ormai famoso Mcitaly. Milane-se, 49 anni, Barbieri ha una solida esperienza in molte aziende del food planetario, da Coca Cola a Burghy, a

Mc Donald’s (dove era responsabile per la gestione di tutta la rete fran-chising in italia) fino all’attuale sfida con Cibiamogroup, società specia-lizzata nella realizzazione di locali ispirati alla ristorazione veloce. Lo scorso 4 marzo è stato ospite alla Casa degli Alti Formaggi di Treviglio dove ha illustrato la nuova frontiera del “Fast Dop”, alimentazione veloce che però si avvale di prodotti dell’ec-cellenza italiana.Barbieri, lei con McItaly hai provato a invertire una tendenza, convincen-do McDonald’s a utilizzare i grandi prodotti made in Italy del territorio: ci racconti come è andata.“È stato uno straordinario lavoro di squadra, io ho fatto solo un pezzo del gioco, chi in primis ha guidato queste scelte strategiche è l’ammi-nistratore delegato. Già da molti an-ni c’erano ricerche che indicavano quanto gli italiani, grazie alla nostra straordinaria storia, amassero - ed

è ancora così - i cibi di alta qualità specialmente se legati al territorio ed alle tradizioni. Le aziende attente ad ascoltare i clienti, e sicuramen-te McDonald’s è tra queste, hanno colto questa domanda e, comincian-do con il panino al Parmigiano Reg-giano Dop, hanno poi creato una serie di prodotti, culminati nel pro-getto Mcitaly, che comprendeva di-versi ingredienti Dop ed igp come, per esempio, tra gli altri, il Provolo-ne Valpadana Dop, lo speck dell’Alto Adige igp o la Bresaola di Valtellina igp. La sfida principale è stata quel-la di coniugare i disciplinari di questi prodotti Dop o igp con l’organizzazio-ne di McDonald’s, le cui cucine sono una straordinaria “macchina” dagli elevatissimi standard ed in cui nul-la è lasciato al caso. Attivando una di queste funzioni aziendali si sono creati progetti e raggiunti risultati di cui si è poi parlato, letteralmente, in tutto il mondo.

L’

Parla Massimo Barbieri, solida esperienza in diversi gruppi del food. “Oggi il consumatore chiede qualità anche nel cibo veloce. Per questo molte catene lanciano offerte con prodotti Dop e igp”.“Far entrare nei grandi circuiti le chicche casearie orobiche potrebbe essere una delle nuove sfide da intraprendere, con una diffusione non solo in italia ma anche all’estero”

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dicembre 2012

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“Il fast food? Può dare una mano ai formaggi bergamaschi”

Le catene si moltiplicano: da Auto-grill a Mychef fino all’ultima Montana Gourmet: ci fa un panorama sulle ulti-me nascite e sui loro target?“È vero, sono numerose le catene che han-no colto la domanda degli italiani per i pro-dotti eccellenti e ci hanno lavorato sopra per creare nuove proposte. Mi viene in men-te il panino con il Grana Padano creato da Burger King; Autogrill sta lavorando in mo-do interessante con Spizzico, proponendo periodicamente pizze con ingredienti Dop o igp. Trovo interessantissimo il lavoro svolto da Rossopomodoro e Rossosapore sia con alcuni Consorzi, come quello della Mozza-rella di Bufala Campana Dop, sia con i Presi-di di Slow Food. Mychef è interessante per-ché alcune sue proposte con prodotti Dop concepite per essere temporanee hanno avuto talmente tanto successo da rimane-re perennemente nella loro offerta. Un’al-tra catena che sta facendo ottime cose, è La Piadineria e andava in questa direzione l’iniziativa di Ristop che ha creato il panino “V.i.P.”, very italian panino”.

Genuinità, freschezza, prodotti salu-tari o a km zero: cosa chiede realmen-te il consumatore del fuori casa? “il mercato della ristorazione fuori ca-sa sta vivendo cambiamenti importan-ti. Si sta andando verso una progressiva “frammentazione” della fruizione, con conseguenti opportunità per proporre nuove modalità di consumo. Basti pen-sare, a titolo di esempio, alla crescita della fascia cosiddetta dell’ “apericena”, o delle offerte “happy hour”. Come sem-pre, le realtà (piccole o grandi) più atten-te ad ascoltare i consumatori saranno quelle che meglio intercetteranno que-ste nuove tendenze. Tenendo sempre a mente che occorre essere “intelligen-

ti” nel senso letterale del ter-mine, cioè occorre saper

“leggere tra le righe”, perché la customer satisfaction non è,

semplicemente, da-re al cliente ciò che

questi chiede, ma ciò che vuole; e non sempre

le due cose coincidono”.Allora cosa chiede in realtà

il consumatore del 2013?“Un ritorno alle origini. Alla semplicità.

A storie, a vissuti che diano affidamento, che facciano stare bene in tutti i sensi. Ul-timamente ho letto diverse ricerche ed ho trovato particolarmente interessante un seminario di eurisko il cui titolo racchiude bene questi concetti, “Buono da pensare, buono da mangiare” e credo che in questa definizione sintetica ci sia tutto. Oggi il con-sumatore desidera essere coinvolto, vive-re da protagonista (magari con il sempli-ce gesto della scelta d’acquisto) una sto-ria che lo faccia in qualche modo sentire bene; bene per se stesso o per la so-cietà (interessanti le cre-scite, pur in un contesto di diminuzione del reddi-to disponibile reale delle famiglie e quindi di un ridimensionamento del-la domanda per consu-mi, dei prodotti bio, dei prodotti equo-solidali: interessante infine il fenomeno dei prodotti nati in terre confisca-te alla malavita orga-nizzata)”.

Bergamo è la capitale italiana dei For-maggi Dop, ben 9, con eccellenze co-me il Taleggio, Formai de Mut, Grana Padano, Provolone Valpadane e via se-guire: finora però pochi se ne sono ac-corti. Non sarebbe opportuno farli en-trare in grandi circuiti e catene, per fa-vorirne promozione e diffusione?“Sono d’accordo. Si tratta di eccellenze che nulla hanno da invidiare ad altri for-maggi più noti ed in effetti con Grana Pa-dano Dop e Provolone Valpadana Dop già alcune grandi catene si sono cimentate. Potrebbe essere una delle nuove sfide da intraprendere con la mia nuova società, Cibiamo, per una diffusione magari non solo in italia ma anche all’estero...”.Per concludere: l’Italia è il Paese forse dove si mangia meglio, ma a parte casi isolati come Eataly o più recentemente Grom per i gelati, ci sono pochi esempi di catene su scala planetaria che si avvi-cinino a McDonald’s: è un bene puntare solo e sempre sul “taglio artigianale”?“È vero, eataly è straordinaria, i ragazzi di Grom sono bravissimi ed hanno creato una storia unica. Forse un punto di equi-librio si potrebbe trovare con processi se-miartigianali, in cui conciliare tradizione, controllo degli standard e replicabilità. L’importante, a mio parere, è accettare l’i-dea che ci sia spazio per diverse soluzio-ni senza demonizzare nessuno e senza creare contrapposizioni che non hanno motivo di esistere. Può capitare di pran-zare velocemente e di cenare lentamen-te, cambiano le occasioni di consumo e ci possono essere terreni comuni. Ce-lentano ha inventato il tormentone “Rock o lento?”. La pizza, per esempio, è rock o lenta? Forse in medio stat virtus”.

Massimo Barbieri

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“Social eating”, la nuova cena anticrisi

una nuova tendenza arrivata, manco a dirlo, dall’estero, che in pochissimo tempo ha trovato terreno fertile anche da noi. Si tratta del social eating, un fenomeno che nell’ul-timo anno è cresciuto al punto che sono nati numerosi siti che ne pubblicizzano la tendenza. Se la crisi, infatti, ha ero-so il potere d’acquisto delle famiglie che rinunciano sem-pre più spesso ad andare al ristorante, il desiderio di uscire per una cena è rimasto, eccome. Lo dimostra questa nuova tendenza, la versione 2.0 di una “cena al buio” che permet-te di passare una serata diversa dal solito. Un certo spirito di adattamento è gradito, questo va detto. Molto spesso,

infatti, non solo non si conoscono i convitati alla cena, i pa-droni di casa e il cuoco, ma talvolta neppure il menù che verrà servito. il meccanismo è piuttosto semplice: ci si iscri-ve a un sito, si decide se essere ospite o cuoco, si organiz-za una cena e, a fine serata, si paga una quota di parteci-pazione già pattuita. il cuoco, in genere, è uno dei padroni di casa, a cui è riservata la facoltà di scegliere il menù per tutti, anche se non esistono regole rigide a riguardo. La li-bertà della rete, infatti, crea situazioni eterogenee e spes-so impreviste. C’è chi pubblica il menù in rete, chi chiede di portare parte degli ingredienti, chi preferisce accontentarsi

È

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il fenomeno si sta espandendo sul web, in italia e anche a Bergamo.Ci si iscrive a un sito e si decide se essere ospiti o cuochi. Chi aderisce all’evento gastronomico, a fine serata, paga una quota di partecipazione già pattuita

iN ReTe

È alla prima esperienza, ma ci crede forte-mente. Heidi iuliano è un ingegnere aero-spaziale prestato alla cucina, che organiz-za serate a tema nella sua casa di Albano Sant’Alessandro. “La passione per la cucina è il primo motore che mi ha spinto - commen-ta - oltre al desiderio di conoscere altre per-sone”. Non nuova in cucina, Heidi iuliano ha già passato molte ore tra i fornelli, frequen-tando dei corsi di cucina e lavorando, per un periodo, in un ristorante. Ma è tra le quattro mura domestiche che dà il meglio di sé, do-ve spesso ospita gruppi di amici, fino a tren-ta persone in un colpo solo, che si giovano di questa sua passione. il tutto in una cucina

non professionale, cosa che metterebbe alla prova l’abilità di uno chef consumato. Questa volta, però, il numero massimo di convitati è ristretto a “sole”, si fa per dire, sette persone. il tema della serata proposto dalla iuliano è quanto di più conviviale possa venire in men-te. “Ci facciamo una birra assieme? È questo che pensiamo quando abbiamo voglia di tra-scorrere un po’ di tempo con un amico - com-menta -. Per rendere il tutto più conviviale e piacevole, ho quindi pensato a un menù cen-trato tutto sulla birra, che credo potrà accon-tentare tutti i gusti. Adesso mancano solo i commensali, nella speranza che a fine cena possano diventare nuovi amici”. Staremo a

AlbAno sAnt’AlessAndro, l’ingegnere AerospAziAle prestAto AllA cucinA

Le serate a tema di Heidi iuLiano

di Giordana Talamona

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i PrEzzi Nessuno si arricchisce, ma tutti ci guadagna-no qualcosa. Gli ospiti partecipano a una ce-na pagando una quota di partecipazione che si aggira mediamente intorno ai 20-30 euro, il cuoco si ripaga dello sforzo e il social net-work prende una percentuale pari a 8-10% della quota.

i siTi E i FoLLowEr

in italia sono numerosi quelli che promuovo-no il social eating, come Gnammo, NewGusto, Kitchen Party, Ploonge, Peoplecooks, solo per citarne alcuni. il primo, Gnammo (http://gnammo.com), nato nel 2012, può già conta-re su oltre settecento follower in quasi tutta Italia. Si può aprire un profilo come Cuoco o Gnammer, scegliendo se mettere a disposi-zione le proprie doti culinarie o il proprio ap-petito. NewGusto (https://newgusto.com) è un sito in lingua inglese, nato dall’idea di un gruppo di abruzzesi, che si rivolge principal-mente a quei turisti che vogliono conoscere, da vicino, la cucina autoctona di un Paese. Kitchen Party (http://www.kitchenparty.org) è nato a Roma dall’omonima associazione no profit. È rivolto innanzitutto ai giovani del pro-gramma universitario erasmus sparsi in tutta europa. Ploonge (http://www.ploonge.com) che dà spazio non solo al social eating, ma an-che ai locali, agli agriturismi e alle associazio-ni, sta attualmente aprendo la propria attività anche all’estero. Peoplecoocks (http://www.peoplecooks.it), piuttosto simile a Gnammo, divide i profili in People o Cook, in base alle proprie predisposizioni in cucina.

di una quota di partecipazione e chi tiene nascosto il luogo dell’incontro sino al giorno prima, confondendo evidente-mente il concetto di “Carboneria” con quello di “carbona-ra”. Facile ironia a parte, il successo del social eating è solo in parte un segnale dei nostri tempi. La crisi sta certamente cambiando le abitudini degli italiani, ma non è la principale ragione del successo di questa tendenza. La rete, semmai, amplifica, crea opportunità e mode, facendo da cassa di ri-sonanza ai bisogni dell’uomo. Prima ci si trovava davanti al fuoco a cuocere della carne di Mammut, oggi ci si siede a tavola con degli estranei per il solo piacere di condividere un pasto. Tutto cambia, muta, diventa veloce, tranne il con-naturato bisogno di convivialità dell’essere umano, non a caso il più sociale tra gli animali.

marzo 2013

vedere come risponderà il territorio bergamasco, spesso poco incli-ne alle novità. “Quando ho pubblicato l’annuncio sul sito Gnammo - spiega - mi sono chiesta come potesse essere accolta un’iniziativa del genere in una zona apparentemente chiusa come la nostra”. Se aprire la propria casa a dei perfetti sconosciuti, infatti, può sembra-re rischioso, all’estero è una pratica consolidata anche per cercare alloggio. È questo il caso del “couch surfing”, un programma on line che mette in contatto persone provenienti da ogni parte del mondo, che permette di ospitare o essere ospitati sul divano di casa. “Ho già provato anche il couch surfing, – conclude – un’esperienza molto po-sitiva perché, dà la possibilità di ammortizzare il prezzo dell’alloggio e anche di entrare in contatto con culture diverse. Un esercizio che apre la propria mente”. il menù? Risotto alla birra, spiedini al miele su letto di spinaci, crostini e spuma al profumo di birra, dolce alla Guin-ness, acqua e birra.

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di Giordana Talamona

L’eSPeRTO

U ltimamente ho riflettuto sul concetto di comunicazione, anche in segui-to all’interessante convegno tecnico scientifico interamente dedicato a

questo tema durante l’ultima edizione del Concorso Enologico Internazionale “Emozioni dal Mondo Merlot e Cabernet Insieme”, e su come a volte un’idea sbagliata di comunicazione possa portare a risultati quanto meno discutibili.Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito, all’interno del mondo dell’enolo-gia italiana, al proliferare di voci e pareri. Tutti, o per lo meno molti, si sentono in dovere di esprimere la propria opinione, generalmente in maniera netta e a volte drastica, circa i prodotti dell’enologia italiana, le scelte attuate dai pro-duttori, le linee guida seguite da Enti e Consorzi eccetera eccetera. Il problema non risiede tanto nel fondamento di tali opinioni, tema sul quale si potrebbe stare a discutere per ore perché, in fondo, ognuno è libero di avere la propria opinione e di trasmetterla a chi meglio ritiene; quanto sull’effetto dele-terio che tale proliferazione di voci ha avuto sul mercato del vino.Nell’eterna lotta per far parlare di sé, nel bene o nel male, produttori, Consorzi e comunicatori hanno intrapreso le strade più impervie, le più strane, le più as-surde e soprattutto le più “gridate” spostando in questo modo l’attenzione dal prodotto “vino” al prodotto “vino strano”.Packaging “creativi”, etichette d’impatto, linee create per eventi importanti, prodotti modificati per rispondere alle esigenze di un mercato ormai saturo,

mA Anche lA comunicAzione più “estremA” può fAr dAnni

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Vino, “il peggior nemico dell’Italia è proprio l’Italia”

i naso ne ha da vendere, Luca Gardi-ni, miglior sommelier del mondo 2010. Dopo aver lasciato i lidi del ristorante di Carlo Cracco, dove ha lavorato per sette anni sino al 2011, Gardini è og-gi un sommelier indipendente, tra i più richiesti del panorama internazionale. Romagnolo, sanguigno e genuino, ha esordito a soli 23 anni nella prestigio-sa, tristellata enoteca Pinchiorri di Fi-renze, dove si è formato alla corte di Giorgio Pinchiorri, suo primo, vero mae-stro. Di fronte a una platea di appassio-nati ed esperti non impone mai il suo giudizio su un vino, lasciando a ognu-no il proprio parere perché, come ama sostenere, «non sei tu che parli al Vino, ma è il Vino che parla a te». Gardini, com’è cambiato il mercato del vino in Italia con la crisi? “il consumatore si è evoluto, appro-fondendo le proprie conoscenze an-che attraverso la rete, proprio per dar maggiore valore al denaro spe-so per una bottiglia di vino. Tuttavia, proprio perché il vino è emozione, non mancano gli acquisti di etichet-te importanti, anche se comprate singolarmente e non più in grosse quantità”.E all’estero? “L’estero, sia il Far east, il sud che il centro America, stanno dando ossi-geno a molte aziende italiane. Gli ac-quisti stanno diventando sempre più consapevoli anche a queste latitudi-

D

il miglior sommelier del mondo 2010, Luca Gardini,è categorico: “Se non ci scrolliamo di dosso la cattiva abitudine di non fare sistema, il settore sarà ancora penalizzato”. “i prodotti che stanno soffrendo di più? Quelli spersonalizzati, che non raccontano, attraverso un vitigno, la loro storia e il loro territorio”. “Sulle vendite cresce l’incidenza della grande distribuzione”

ni, grazie alla promozione di numerosi produttori. Quello che nei prossimi an-ni qualificherà il vino italiano in questi Paesi, infatti, sarà proprio il lavoro di divulgazione dei valori e delle caratte-ristiche del nostro vino. in questa fase è meglio vendere meno, ma creare i presupposti per un successo più du-raturo, basato sulla qualità e non solo sul prezzo”.

Quali sono i vini che in Italia stanno sof-frendo di più la crisi? “Quelli spersonalizzati, che non raccon-tano, attraverso un vitigno, la loro storia e il loro territorio. Senza contare quei vini vecchio stile, con gradazioni alco-liche importanti, se non addirittura ec-cessive”.Oltre alla crisi, crede che i limiti al-colemici abbiano giocato un ruolo

Luca Gardini

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hanno sì avuto l’effetto di attirare l’attenzione sul mon-do dell’enologia italiana ma hanno anche portato l’effet-to collaterale di perdere di vista il vero re della produzio-ne: il vino.Spesso quando alla domanda “Cosa producete?” io ri-spondo “Vino (con tutte le specifiche e le caratteristiche del caso)” mi viene ribattuto “Sì, va bene. Ma cosa fate di strano, di diverso?”.Non dobbiamo dimenticare che l’enologia italiana ha rag-giunto la posizione di rilievo che detiene non tanto per stra-ne creazioni ed estrosi esperimenti ma per la qualità del su-o prodotto principe: il Vino, nelle varie Denominazioni, con le sue caratteristiche e le sue varie sfaccettature che con-sentono, all’interno di una stessa Denominazione di ritrova-re prodotti estremamente diversi uno dall’altro, in grado di esprimere l’anima del territorio e del produttore. Insomma, va bene essere creativi; ma ricordiamoci che ciò che è rilevante comunicare è il nostro vino, quello vero.

Sergio Cantoni

mA Anche lA comunicAzione più “estremA” può fAr dAnni

marzo 2013

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fondamentale nel calo dei consumi? “In parte, ma ancora di più hanno influito i cambiamenti degli stili di vita. Non dimen-tichiamoci che solo alcune generazioni fa, il vino era consumato anche a pranzo, mentre oggi è una cosa rarissima”.Come si è evoluto il gusto dei consuma-tori da dieci anni a questa parte?“Scelgono i vini per la snellezza del sor-so o per l’etichetta. Tuttavia, come detto prima, il processo d’informazione e con-sapevolezza che si è innescato riuscirà a migliorare implicitamente la qualità dei vi-ni di domani”. Trova che con l’inizio della crisi il gusto sia cambiato ulteriormente? “Sono preferiti i vini con una maggiore complessità o, quanto meno, più armonio-si ed equilibrati”. Anche il settore vitivinicolo non è esen-te da mode e tendenze che ne condizio-nano i consumi. Quali sono state quelle degli ultimi anni? “Andavano per la maggiore i vini con molto “frutto”, caratterizzati spesso da uvaggi internazionali e dotati di gra-dazioni alcolometriche piuttosto ele-vate. Spesso il vino, fino a pochi an-ni fa, era uno status symbol, ades-so invece è più un motivo d’incontro, di confronto e di condivisione”.

E oggi? “Oltre alla condivisione, vero messaggio del vino, oggi incontriamo vini più snelli, evidentemente influenzati anche dal dila-gante fenomeno delle bollicine, che non vanno considerati necessariamente come vini semplici”. Nel mare magnum di produttori, vini e viti-gni non è facile per il consumatore orien-tarsi. Cosa conta di più: prezzo, produtto-re o cos’altro? “Contiamo noi, i nostri gusti e, soprattutto, conta l’abbinamento. il vino è fatto per ac-compagnare il cibo, al di là delle tendenze del vino come aperitivo. Un consiglio? Abbi-nate vini regionali a preparazioni regionali. Un esempio? Tajarin con ragù di coniglio piemontesi con un Grignolino o Dolcetto. Oppure le candele spezzate con un sugo di genovese a un bel Fiano di Avellino”. Venendo ai canali di vendita del vino, la parte del leone oggi la fa ancora la grande distribuzione che incide per ol-tre il 45% nelle vendite nazionali. Come influisce questo strapotere sul settore? “Come in tutte le cose, è il cliente che può scegliere dove comprare. Mi pare, tutta-via, che anche all’interno degli ipermer-cati la sezione dedicata ai vini sia stata notevolmente incrementata, per scelta e qualità”.

Esistono, a suo avviso, dei grandi vini italiani che oggi sono sopravalutati, il cui prezzo non è giustificato dalle loro caratteristiche organolettiche? “Sono i giudizi sopravvalutati a rendere i vini altrettanto sopravvalutati, quindi attenzione a dare pareri, se non si è bevuto e compre-so parecchio. Ci sono vini non solo discreti, ma addirittura molto buoni entro i 10 euro”. L’anno scorso lei ha pubblicato il libro “I 100 vini migliori”, mettendo al primo posto un Porto Vintage 2003 e solo al 19esimo un vino italiano, un Barolo ri-serva 2003, dopo una sequela di vini francesi. Sui vini “top”, dunque, i vini stranieri ci battono ancora? “Non ci battono assolutamente, sarebbe giusto sostenerlo confrontando cose simi-li. Lo dimostra il fatto che nella classifica de ‘i 100 vini migliori’ primo è arrivato un vino fortificato e, di seguito, vini realizzati con altre tecniche e altrettanti vitigni. Non definirei il 19esimo posto una posizione di rincalzo, visto che la classifica è di 100 vi-ni, senza contare gli esclusi”. E sui vini di livello medio-alto? “Neppure qui ci battono, ma se vogliamo per forza fare una classifica, diciamo che i francesi ci sopravanzano in alcune tipo-logie di vino perché hanno cominciato a sbagliare da molto tempo prima di noi”. C’è qualcosa che dovremmo invidiare ai francesi? “La reputazione accumulata negli anni e, forse, un po’ meno calore in certi mesi dell’anno”.Quali sono i punti deboli della viticoltu-ra italiana? “Fare poco sistema. Se andiamo in Francia, ma il discorso potrebbe valere per le zone d’elite enologica della Germania, se non è di tuo gusto un produttore, sarà egli stesso a indirizzarti verso un suo collega e non sem-plicemente verso un concorrente”.Quali sono le nazioni emergenti che, a breve, daranno del filo da torcere alla produzione italiana? “L’italia stessa in primis, se non si scrolle-rà di dosso qualche cattiva abitudine, co-me quella di non fare sistema”.Per finire, che scenari immagina da qui a cinque-dieci anni per il mondo del vino?“Più che immaginare ho la speranza che i consumatori e la loro ‘sete’ di conoscen-za possano essere da volano per un incre-mento qualitativo del vino e delle aziende che lo producono”.

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Latte, il boom dei self-service

n tempo, dalle aree urbane e dai piccoli centri abitati, la gente si recava quasi quotidianamente dagli allevatori ad acquistare uova e latte per sfamare la propria famiglia. Complice anche le ricette della cucina tradizionale, con il latte a far da ingrediente in maniera similare al brodo, spesso allo scopo di arricchire pietanze preparate a par-tire da materie prime povere. Al riguardo si possono cita-re diverse ricette o preparazioni. Per esempio, nel periodo quaresimale, il venerdì si consumava il “baccalà”, cucinato con patate e latte. Frequente anche il riso al latte - ovvero un semplice risotto cucinato interamente nel latte invece che nel brodo, che assume una cremosità significativa e caratterizzante - o i poveri “borfadèi”, una polenta morbida messa in una scodella a cui viene aggiunto del latte freddo.

il latte era quindi di grande rilevanza nell’alimentazione e nell’economia rurale delle pianure bergamasche e bre-sciane. Ma anche in montagna, dove in prevalenza veni-va trasformato in formaggio. Pian piano, con l’affermarsi dell’industria, l’economia agricola è stata quasi totalmente abbandonata e i pochi allevamenti rimasti hanno assunto sempre più i caratteri dell’agro-industria, con performance produttive e standardizzazione dei processi. ecco quindi la selezione delle razze, la scelta di privilegiare quelle più produttive in grado di assimilare maggiori prin-cipi nutritivi e produrre più latte, anch’esso caratterizzato da una maggior presenza di sostanze nutritive come le pro-teine. in particolare l’aumento della proteina caseina, re-sponsabile della coagulazione del latte, aumenta via via i

di Lara Abrati

U

in poco tempo, nella Bergamasca, i distributori automatici gestiti dagli allevatori hanno quasi toccato quota 50. il prezzo medio al litro si aggira tra 80 centesimi e 1 euro, il doppio rispetto al prezzo pagato dalle industrie di trasformazione

TeNDeNZe

I DISTRIBuTORI DI LATTE CRuDO

ALBANO S. ALeSSANDRO PALAMiNi BRUNO GiOACHiNO PiAZZALe DeLL’ALPiNOALBiNO GUeRiNi eRMANNO ViA ROMA, 17ALBiNO NORiS MARiA GRAZiA ViA MULiNeLLOALMe’ AZ. AGR. DONGHi MiCHeLe ViA DON iSeNiALMeNNO SAN BARTOLOMeO AZ. AGR. DONGHi MiCHeLe C/O SUPeRMeRCATO PeLLiCANOALZANO LOMBARDO CASCiNA SOLe Di ROSSi GiACOMO ViA AL LUJO, 89ALZANO LOMBARDO GUeRiNi eRMANNO ViA FANTONi, 24ALZANO LOMBARDO PALAMiNi BRUNO GiOACHiNO PiAZZA eUROPAARCeNe AZ. AGR. eReDi FRANCO ViTALi S.S. ViA GRANDi, 19ARZAGO D’ADDA AZ. AGR. PReMOLi MAURiZiO C.NA RAVAiOLABAGNATiCA AGNeLLi CRiSTiAN P.ZZA BeRBORiNiBeRGAMO AZ. AGR. ALiNi LUiGi e GiUSePPe ViA MANGiLLi, 21BeRGAMO AZ. AGR. eR eDi FRANCO ViTALi S.S ViA CODUSSiBeRGAMO AZ. AGR. LOCATeLLi ALFReDO e DOMeNiCO S.S PASSAGGiO CASCiNA ALBeRTABeRGAMO AZ. AGR. MOLeRi PieRiNO ViA S. CROCe, 6BeRGAMO PALAMiNi BRUNO GiOACHiNO C/O GeLATeRiA CUORe Di PANNABOLTieRe AZ. AGR. MAGNi eVANDO ViA DON G. CARMiNATiBONATe SOTTO AZ. AGR. eReDi FRANCO ViTALi S.S ViA XXV APRiLe BOTTANUCO AZ. AGR. FUMAGALLi S.S. C/O PARCHeGGiO SCUOLA MATeRNABReMBATe AZ. AGR. ALiNi LUiGi e GiUSePPe C/O iPeR BReMBATeBReMBATe Di SOPRA MANZONi ViTTORiO e ANTONiO ViA BRUNO LOCATeLLiBReMBATe Di SOPRA MANZONi ViTTORiO e ANTONiO ViA RUGGeRiCALCiNATe LiBORiO GiOVANNi ViA DeGLi OLMiCALUSCO D’ADDA AZ. AGR LA COLOMBeRA ViA VOLMeRANGe LeS MiNeSCARAVAGGiO AZ. AGR. NODARi Di NODARi VALeNTiNO e F.LLi ViA FORNOVO C.NA FORNACeCARAVAGGiO AZ. AGR. PiZZOCCHeRO F.LLi CASCiNA DOSSiCiSANO BeRGAMASCO AZ. AGR. MAGGiONi ViRGiNiO ViA CA’ De VOLPi

COMuNE ALLEVATORE INDIRIZZO

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processi di caseificazione assecon-dando le esigenze dell’industria lat-tiero-casearia a cui molti allevatori conferiscono il latte.Questo potrebbe essere uno degli aspetti - insieme ad esempio alle varie politiche agricole - che hanno contribuito a non valorizzare la pro-duzione di latte, ma a fargli assume-re sempre più i caratteri di una “com-modity”, cioè di un prodotto offerto al mercato indipendentemente da chi lo produce. in questo contesto è nato e permane il malcontento de-gli allevatori, che vedono salire i co-sti gestionali delle proprie aziende a fronte di un prezzo del loro prodotto conferito fermo a 0,40 euro al litro (fonte Clal).ecco spiegata, in parte, la crescita degli ultimi anni dei distributori self - service di latte crudo, gestiti diretta-mente dalle aziende agricole produt-trici. Sono comparse nelle vie e nelle piazze di molti paesi. in provincia di Bergamo sono quasi 50 e fornisco-no latte crudo fresco ad un prezzo medio di 0,80 -1,00 €/l. in molti vi è la possibilità di acquistare anche al-tri prodotti a base di latte realizzati dalle stesse aziende come lo yogurt. il contenitore si può acquistare in lo-co oppure lo si può portare da casa, riutilizzandolo e riducendo così l’im-patto ambientale.il latte messo in commercio è da con-sumare previa bollitura anche se

marzo 2013

I DISTRIBuTORI DI LATTE CRuDO

CiSeRANO AZ. AGR. eReDi FRANCO ViTALi S.S. C/O CeNTRO SPORTiVOCiViDATe AL PiANO AZ. AGR. BiZiOLi iVAN e ROBeRTO G. S.S. ViA MARCONi, 10COLOGNO AL SeRiO AZ. AGR. LOCATeLLi ALFReDO e DOMeNiCO S.S. FR. MURATeLLACOLOGNO AL SeRiO AZ. AGR. LOCATeLLi ALFReDO e DOMeNiCO S.S. PiAZZA MeRCATOCOLOGNO AL SeRiO AZ. AGR. LOCATeLLi ALFReDO e DOMeNiCO S.S STRADA FRANCeSCACOMUN NUOVO FeRRi GiANMARiO ViA De GASPeRiCOMUN NUOVO FeRRi GiANMARiO ViA MANZONiCOSTA MeZZATe PALAMiNi BRUNO GiOACHiNO ViA CARDUCCiCReDARO SAN FeRMO FARM S.S. ViA CADORNACURNO COLOMBO PieRiNO e GiANLUCA ViA PAPA GiOVANNi XXiiiDALMiNe COLOMBO PieRiNO e GiANLUCA VIA KENNEDYGAZZANiGA AZ. AGR. GUeRiNi eRMANNO ViA S. ROCCO, 38 GAZZANiGA GUeRiNi eRMANNO ViA MANZONi, 19LeFFe AZ. AGR. ALBeRTi iOLe ViA MANViT, 2MARTiNeNGO AZ. AGR. SPORCHiA ViA MiLANOMARTiNeNGO AZ. AGR. SPORCHiA S.S. ViA LUOGHi, 2MOZZANiCA FOSSATi eMiLiO e LUiGi S.S. ViA ROMAMOZZO AZ. AGR. MeReLLi S.S. ViA PiATTi (ANGOLO ViA OROBie)NeMBRO AZ. AGR. ALiNi LUiGi e GiUSePPe ViA TORQUATO TASSOOSiO SOTTO AZ. AGR. DALMAGGiONi GiUSePPe PiAZZA PAPA GiOVANNi XXiiiPALAZZAGO AZ. AGR. CASTeLLi MURieL ViA LONGONiPALOSCO AZ. AGR. FONTANA C.NA CA’ FONTANAPALOSCO AZ. AGR. LiBORiO GiOVANNi C.NA TOLANiPeDReNGO PALAMiNi BRUNO GiOACHiNO ViA GiOVANNi PASCOLiPeDReNGO PALAMiNi BRUNO GiOACHiNO VIALE KENNEDY, 8PONTe SAN PieTRO AZ. AGR. MeReLLi S.S. C/O PARCHeGGiO “TASSeRA” – ViA PiAVePONTeRANiCA AZ. AGR. eReDi FRANCO ViTALi S.S ViA VALBONA

COMuNE ALLEVATORE INDIRIZZO

Alioscia e Luca sono due giovani fratelli che, spinti dalla voglia di rinnovare l’azienda cen-tenaria di famiglia e dall’esigenza di tutelare l’ambiente in cui vivono, la zona della Fran-ciacorta, hanno fatto scelte coraggiose. Alla guida dell’azienda con sede a Coccaglio (Bs) e che conta circa 20 capi allevati in lattazione, Alioscia e Luca hanno dal 2006 avvertito l’esigenza di iniziare a commercializzare il loro latte in maniera diversa allestendo alcuni distributori nei comuni limitrofi alla loro sede aziendale. Oltre alla scelta di dotare la loro azienda di un robot di mungitura, nel 2011 danno inizio a un’altra sfida, quella di diven-tare azienda biologica. Pionieri in questo settore, il mese prossimo avranno portato a ter-mine i due anni necessari alla conversione. “in questi due anni - spiega Luca - abbiamo affrontato diverse problematiche relative alla conversione perché, essendo i primi della zona, non avevamo modelli da seguire. Speriamo noi di poter essere utili, con la nostra esperienza, alle realtà che vorranno effettuare scelte simili alla nostra”. L’azienda ha do-vuto limitare anche il numero di capi e predisporre uno spazio esterno adibito al pascolo. Le bovine sono frisone, ma tramite le fecondazioni e la rimonta, Luca e Alioscia, stanno cercando di avere delle razze maggiormente rustiche perché più resistenti. Per quanto ri-guarda l’alimentazione, la razione è composta da fieno di diverse specie: loiessa, erba medica e prato stabile.La loro produzione è orientata alla vendita diretta di latte crudo attraverso un distributo-re posto direttamente in azienda e alla vendita di yogurt attraverso i distributori dislocati nei comuni limitrofi. Gli yogurt sono aromatizzati con confetture biologiche diverse. L’a-zienda conferisce inoltre il latte a un bio caseificio artigianale per la produzione di Gra-na Padano Dop biologico che verrà commercializzato tra almeno due anni per esigenze ovvie di stagionatura. La produzione media dei loro animali è di 23 litri a capo. Sono di-sponibili a visite conoscitive!

«lA sfidA del biologico è impegnAtivA, mA ne vAle lA penA»

Azienda Agricola Mazzotti

via Lumetti, 5 • Coccaglio (Bs) • www.appenamunto.it • cell. 340 4113998

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TeNDeNZe

I DISTRIBuTORI DI LATTE CRuDO

PONTiDA FORMeNTi LeONe e CAMiLLO S.S. Di FRONTe POLARiSPReSeZZO AZ. AGR. CASTeLLi MURieL ViA PAPA GiOVANNi XXiiiROMANO Di LOMBARDiA AZ. AGR. NODARi VALeNTiNO e F.LLi C/O COOP, ViA MARCONi, 32ROMANO Di LOMBARDiA LiBORiO GiOVANNi AReA PUBBLiCA ViA XXV APRiLeSANT’OMOBONO iMAGNA PiZZAGALLi RiCCARDO PiAZZALe TeRMeSCANZOROSCiATe GRiTTi ROSARiO ViA T. TASSO, 4SeRiATe CASAROTTi GiANPieTRO ViA BRUSAPORTO, 41SeRiATe AZ. AGR. LOCATeLLi ALFReDO e DOMeNiCO S.S PiAZZA MATTeOTTiSeRiATe AZ. AGR. LOCATeLLi ALFReDO e DOMeNiCO S.S ViA LOMBARDiASOTTO iL MONTe GiOVANNi XXiii AZ. AGR. LA COLOMBeRA ViA COLOMBeRATALeGGiO AZ. AGR. LOCATeLLi ALFReDO e DOMeNiCO S.S ViA ROMA, 59 – F.Ne OLDATeRNO D’iSOLA AZ. AGR. LA COLOMBeRA ViA CASOLiNiTORRe BOLDONe PALAMiNi BRUNO GiOACHiNO PiAZZA DeL BeRSAGLieReTReSCORe BALNeARiO LiBORiO GiOVANNi PiAZZALe COMiTReViGLiO CASAROTTi GiANPieTRO ViALe PiAVe, 43TReViGLiO AZ. AGR. eReDi FRANCO ViTALi S.S PiAZZA DeL POPOLOTReViGLiO SOC. AGRiCOLA F.LLi ASSANeLLi S.S. ViA CAMiLLO TeRNiTReViOLO COLOMBO PieRiNO e GiANLUCA C/O CeNTRO “BeRGAMO VeRDe”TReViOLO COLOMBO PieRiNO e GiANLUCA ViA AMBROSiONi, 11TReViOLO COLOMBO PieRiNO e GiANLUCA ViA ROMATReViOLO AZ. AGR. ARMANNi ANGeLO ViA DeL PeRO, 24URGNANO AZ. AGR. ALiNi LUiGi e GiUSePPe C.NA BATTAiNA, 4URGNANO AZ. AGR. ALiNi LUiGi e GiUSePPe ViA PAPA GiOVANNi XXiiiURGNANO AZ. AGR. ALiNi LUiGi - C.NA BATTAiNA PiAZZA Di URGNANOViLLA Di SeRiO GUeRiNi eRMANNO C/O F.LLi PAGLiARDi ViA AGAZZiZANiCA AZ. AGR. ALiNi LUiGi e GiUSePPe PiAZZA eUROPA

COMuNE ALLEVATORE INDIRIZZO

questo aspetto non deve fare pensare che non ci si-ano controlli e limiti igienici da rispettare. i parametri qualitativi del latte munto e l’eventuale presenza di microrganismi patogeni, cioè dannosi per la salute, sono sempre controllati. La possibilità degli agricoltori di vendere il proprio lat-te ai prezzi sopracitati, oltre ad essere maggiormente soddisfacente dal punto di vista remunerativo ha un altro vantaggio, quello di garantire un maggiore be-nessere all’animale. infatti, la remunerazione è tale da permettere una minore spinta produttiva delle be-stie che passano da una produzione media giornalie-

ra di circa 30 litri a capo a una produzione di circa 23 - 24 litri. Questo permette alle bovine un migliore stato di salute e una vi-ta mediamente più lunga. inoltre, indirettamente, permette di man-tenere una densità di stalla mino-re, garantendo alle bovine mag-giore spazio individuale.Le aziende visitate, oltre a essere condotte da giovani imprenditori agricoli, hanno fatto delle scelte molto coraggiose, prima fra tutte di affidarsi alla tecnologia per l’o-perazione di mungitura. entram-be hanno dotato la propria stalla

di un robot di mungitura, in cui le bovine entrano a far-si mungere quando vogliono 24 ore su 24, a seconda delle loro esigenze e del loro stadio di lattazione. il si-stema è gestito tramite un software che controlla i di-versi parametri individuali riconoscendole tramite un chip appeso al collo.

“Ho investito acquistando e predisponendo i distributori self - service per valorizzare il mio latte, e oggi ne sono soddisfatto”. Queste le parole con cui Giovanni Liborio descrive il motivo della sua scelta. Contento della strada intrapresa e soddisfatto di essere riuscito a vendere direttamente il suo lat-te. “in questo modo – spiega - sono io che determino il prezzo del mio latte, nonostante sia faticoso e dispendioso gestire gli spostamenti del prodot-to e garantire il servizio senza problemi. Però, se lo fa la grande industria, perché non posso farlo anche io nel mio piccolo?”. La sede aziendale è a Palosco, dove c’è anche lo spaccio e la moglie Debora vende i formaggi che lei stessa produce trasformando in loco settimanalmente circa 3 quintali di latte. Allevano 40 capi in lattazione di razza frisona e la produzione media giornaliera si aggira sui 22 litri a capo. Anche Liborio sottolinea come non spingendo eccessivamente le bovine verso una produzione maggiore, es-se siano in condizioni di salute migliori. Una delle grandi spese di una stalla risulta essere quella dei medicinali. in questo modo, nel bilancio aziendale, questa voce si è ridotta drasticamente. in azienda è stato predisposto un robot di mungitura, quindi le bovine ven-gono munte spontaneamente. Hanno un piccolo caseificio e il laboratorio per la lavorazioni degli insaccati; Giovanni è infatti un norcino. Gestiscono 7 distributori e nello spaccio vendono le mozzarelle, lo stracchino, le for-magelle e lo yogurt (presente anche in alcuni distributori). Allevano alcuni suini di cui lavorano le carni, gli insaccati prodotti vengono venduti nel lo-ro spaccio.ecco l’elenco dei paesi dove sono presenti i distributori: Palosco, Calcinate, Trescore Balneario, Telgate, Romano di Lombardia e Covo.

«produco meno lAtte per fAre stAre meglio in sAlute le mie vAcche»

Azienda Agricola Liborio Giovanni

Cascina Tolari • Palosco (Bg) • cell. 328 9391523

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immagine che vedete qui sotto è emblematica. Quell’uomo dalle mani consumate dal lavoro, il volto riarso dal sole, aggrappato alla vigna per legare i tralci, là dove i mezzi mec-canici non possono arrivare, spiega più di ogni parola la viti-coltura eroica. Siamo sulla Costiera Amalfitana, a Furore, un pugno di case sparse come coriandoli tra pergolati e limo-neti. Un paesaggio sublime, dove le viti, coltivate su terrazze che guardano il mare, prosperano grazie ad Andrea Ferraioli, uomo caparbio che poco più di 30 anni fa ha deciso che da questa terra, dagli splendidi scorci ma dall’agricoltura diffi-cile, avrebbe tirato fuori il meglio possibile. Ha dato così vita alle “Cantine Marisa Cuomo”, gentile pensiero per la moglie nel giorno delle nozze, e a tre decenni di distanza si può di-re che la sfida è stata vinta. I vini di Furore (pochi purtroppo, non si va oltre le 100mila bottiglie all’anno) si sono afferma-ti, in patria e all’estero, tanto da aggiudicarsi col Fiorduva, nel 2006, l’Oscar dell’Ais quale miglior vino bianco d’italia e da posizionare Marisa Cuomo tra le più attive e conosciute produttrici del centro-sud. Un traguardo sudato, è proprio il caso di dirlo, raggiunto anche grazie alla collaborazione av-viata con l’enologo Luigi Moio, che ha portato alla valorizza-zione dei vitigni autoctoni che solo in Costiera attecchisco-no e danno vini inimitabili. Parliamo di Fienile, Piedirosso, Ginestra, Pepella, Ripolo, Sciascinoso, Tintore e Tronto. Tut-

te specie allevate per lo più a pergo-lato e che traggo-

no alimento dal suolo co-stituito da roc-ce dolomitiche calcaree. N e i g i o r n i scorsi, i vini di Marisa Cuomo (rappresentati a Bergamo da An-namaria Belotti) sono stati al cen-tro di una serata promossa dall’Ais

di Bergamo all’albergo-ristorante Settecento di Presezzo. Grazie all’attenta regia della delegata Nives Cesari, sono state degustate quattro annate (2010, 2009, 2008 e 2007) del Fiorduva - uvaggio di Ripoli, Ginestra e Fenile - il cui no-me si rifà al fiordo di Furore. È un vino da 13,5 gradi, color

giallo carico, prodotto con uve surmature che vengono rac-colte nella terza decade di ottobre. Ha sentori che ricordano l’albicocca ed i fiori di ginestra, con richiami di frutta esoti-ca. Al gusto il Furore bianco Fiorduva è morbido, denso e ca-ratterizzato da una importante persistenza aromatica di al-bicocca secca, uva passa e canditi. insomma, un gran vino, come ha sottolineato anche l’esperto Guido invernizzi, che ha guidato la degustazione affiancato da Andrea Ferraioli. Altrettanto convincente l’assaggio del Furore Rosso Riserva (2009 e 2008), taglio di Piedirosso (50%) e Aglianico (50%), invecchiato un anno in barriques, caratterizzato da sentori intensi di frutti di bosco a bacca nera e gusto morbido, ben equilibrato con un finale aromatico di sottobosco e spezie.Gli altri vini bianchi, il Furore e il Ravello sono quelli classici della zona Doc Costa d’Amalfi e provengono da uve Falanghi-na e Biancolella, mentre il Piedirosso e l’Aglianico sono alla base, oltre che del Furore Rosso, anche del Costa d’Amalfi rosato. Per maggiori informazioni: www.marisacuomo.com

g.r.

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“Marisa Cuomo” incanta i sommelier bergamaschiAl Settecento di Presezzo in evidenza i vini “eroici” prodotti a Furore, sulla Costiera Amalfitana. Degustate quattro annate di Fiorduva

lA cAntinA

L’

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Da sinistra: Andrea Ferraioli, Marisa Cuomo, Nives Cesari, Guido Invernizzi e Alessandra Gotti.

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di Laura Bernardi Locatelli

anno iniziato a lavorare poco più che bambini, accompagnando con tratto-rie, negozi di alimentari e gastronomie la crescita e l’evoluzione dei centri sto-rici di città e provincia. Sette Maestri del Commercio, insigniti dell’aquila con torsello di Calimala, onorificenza della Confcommercio che evoca la più antica corporazione di mercanti italiani, rac-contano un pezzo d’italia che non esiste più dalle loro caleidoscopiche vetrine. Dalla trattoria senza orario che ha ser-vito a Mozzanica generazioni di autisti e viaggiatori tra Milano e Brescia oggi diventata wine-bar, alla consegna di da-migiane di vino pugliese con la Vespa ai mezzadri di Scanzorosciate che lavora-vano le vigne dei signorotti ed affogava-

no fatiche e pensieri nel bicchiere, oggi diventata una grande azienda di distri-buzione di vini e bevande. Alessandro Scainelli custodisce gelosamente a Par-re la ricetta degli scarpinocc, piatto tra-dizionale della festa patronale e delle occasioni importanti che altrimenti sa-rebbe stato inghiottito dalla storia. Non mancano insegne rimaste sostanzial-mente le stesse risalendo le due Valli: a Leffe i fratelli Martinelli continuano a servire le nuove generazioni di famiglie già clienti della drogheria di papà Pie-tro, prendendo per la gola anche i turi-sti e chi fa ritorno nel paese d’origine abbandonato in cerca di miglior fortu-na; a Zambla, frazione di Oltre il Colle, Onestina Tiraboschi, 89 anni ed 80 di

lavoro sulle spalle, cinque figli ed otto ni-poti, manda avanti da sola due negozi, una merceria ed una bottega di alimen-tari, ricordando un paese di contadini e allevatori con dieci bocche da sfamare in ogni cascina. Chi ha ormai smesso di lavorare come Paolo Camillo Colom-bi, consulente del Gruppo Gastronomi e Salumieri Ascom, non sta con le mani in mano e cucina per centinaia di fede-li all’Unitalsi di Borghetto Santo Spirito, buen retiro ligure. in città continuano la tradizione inaugurata da papà An-tonio nella commercializzazione di for-maggi all’ingrosso, le sorelle Bettoni in Via Zambonate nella gastronomia salu-meria specializzata tanto nei formaggi quanto nei prodotti senza lattosio.

H

I magnifici sette orgoglio dell’enogastronomia

raTaTouiLLE

iL RiCONOSCiMeNTO

Maestri di tradizioni, sono stati premiati dall’Ascom. Un viaggio nel tempoattraverso sapori, ricette e ricordi della Bergamo che fu

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Le storie...

Alessandro Scainelli, classe 1938, continua ad aggiungere anni ai 51 spesi dietro il ban-cone, affiancando nella gestione del negozio di alimentari di Parre la figlia Paola. Scai-nelli è il vero ambasciatore degli scarpinocc, di cui ancora oggi custodisce i segreti, tentando di depistare chiunque provi a carpirgli qualche informazione nascosta nel ricettario di famiglia. Quarant’anni fa Scainelli decise di dedicare agli scarpinocc - che prendono il nome dalle pantofole che si usavano in Valle - da sempre consi-derati un piatto di festa, tanto da non mancare mai nei pranzi nuziali e per la Fe-sta patronale di San Pietro, una sagra. L’evento, organizzato la terza domenica di agosto per l’intero fine settimana, supera i 100mila coperti, dalle 1.200 presenze della prima edizione all’inizio degli anni Settanta. “La nostra fortuna coincide con la nostra specialità. Senza gli scarpinocc ed altri prodotti tipici, frutto della selezio-ne degli ingredienti e della nostra abilità artigiana, non sarebbe possibile stare sul mercato. il sabato pomeriggio le famiglie si muovono ormai anche dalla Valle per anda-re negli ipermercati e nei centri commerciali”.

iL SeGReTO DeGLi SCARPiNOCC CUSTODiTO NeL RiCeTTARiO Di FAMiGLiA

aLessandro scaineLLi (PARRE)

La scuola di vita per Onestina Tiraboschi, classe 1924, è stata quella di papà Bortolo nel panificio-ristorante di Zambla, frazione di Oltre il Colle, dove ha iniziato a lavorare dopo la terza elementare, frequentando un anno la scuola serale. Sono gli anni del-la seconda guerra e dei beni razionati, trascorsi i quali, molti per dimenticare la fa-me abbandonano il paese in cerca di miglior sorte. Dopo tre anni di matrimonio, nel 1954 apre una merceria che serve generazioni di donne del paese per la confezione di vestiti per tutta la famiglia. Nel 1963 raddoppia l’impresa con il marito affiancando la vendita di alimentari, un punto di riferimento imprescindibile per i turisti che, con il primo benessere, possono permettersi, soprattutto dal milanese, il lusso di una se-conda casa negli anni d’oro in cui la villeggiatura non durava meno di un mese. Oggi il negozio di alimentari è ormai uno degli ultimi baluardi della piccola frazione di Ol-tre il Colle. “Sono anni difficili e quest’inverno è stato disastroso. I turisti sono sempre meno e le seconde case si aprono, se va bene, solo nei fine-settimana e la maggior parte di chi abita qui parte alla volta di ipermercati e centri commerciali” spiega l’in-stancabile nonna di otto nipoti che quando non ci sono clienti ricama e lavora a maglia e con una tempra invidiabile d’inverno fa ancora la legna. e i conti li fa ancora a men-te, mentre pesa salumi e formaggi. “Lavorare mi piace, mi tiene la mente impegnata e mi fa stare in forma. Dico sempre che finché riesco a pagare le tasse e ad avere qual-cosa per me posso ritenermi contenta. Anche per questo la crisi non mi spaventa”.

A QUASi 90 ANNi GeSTiSCe DUe BOTTeGHe,UN ALiMeNTARi e UNA MeRCeRiA

onesta tiraboscHi (Zambla di Oltre il COlle)

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iL RiCONOSCiMeNTO

Nel 1939 il Caffè Roma, oggi enoteca con cucina e lounge bar con musica dal vivo e spettacoli serali, era una trattoria aper-ta a tutte le ore, un vero e proprio punto di riferimento sulla Statale 11 a metà strada tra Milano e Brescia. Per due gene-razioni, con i nonni Alberto Giupponi e Giuseppina Bettani prima e con papà Amilcare e mamma Angela Fabbrica poi, la gestione del locale non ha subito grandi stravolgimenti e si è continuato a servire pasti caldi ad orari impossibili per rispon-dere alle esigenze di camionisti e trasportatori in viaggio. Ad imprimere la prima rivoluzione sono i fratelli ivan e Giuseppe Giupponi che, con le rispettive famiglie, trasformano nel 1981 il locale in birreria con cucina. Negli ultimi dieci anni il loca-le si trasforma in enoteca, con ivan a tenere le redini di una cucina espressa e Giuseppe, sommelier, in sala a guidare la scelta tra 450 etichette. il locale, aperto dalle 6 del mattino alle 3 di notte, risponde ad ogni esigenza, dalla colazione di buon mattino allo spuntino nel cuore della notte, dall’aperiti-

vo al pre-disco con musica dal vivo e spettacoli settimanali. “La crisi ci ha imposto di diversificare la nostra attività e di elevare ulteriormente la qualità della nostra proposta - spie-ga ivan Giupponi, premiato per i 40 anni spesi tra cucina e lo-cale -. Ai piatti tradizionali affianchiamo ricette più ricercate e il locale funziona dalla colazione a tarda notte, abbraccian-do così ogni tipologia d’offerta”.

DA TRATTORiA A LOCALe POLiVALeNTe SeNZA ORARi

ivan Giupponi (MOzzANICA)

La famiglia Bettoni, con le sorelle Celestina e Melania, ha costruito la propria storia

imprenditoriale sui formaggi, inaugu-rando a partire dagli anni Settanta due botteghe, a Seriate nel 1970 e a Bergamo nel 1983, forti dell’e-sperienza di papà Antonio nella commercializzazione all’ingrosso delle migliori forme selezionate nei caseifici. Da quindici anni a questa parte gli sforzi imprenditoriali del-la famiglia si concentrano sul punto

vendita cittadino in via Zambonate, specializzato oltre che nella selezione di salumi e formaggi italiani ed este-

ri, nella gastronomia. Ai migliori salumi (dal culatello di Zibello alla culaccia, dal

Pata Negra alla soppressata) si affiancano formaggi di ogni tipo - dal “pecorino piacentinu” di enna con lo zafferano al-la ricotta calabrese, dal Castelmagno agli stagionati al Ba-rolo - e formaggi senza lattosio. L’attenzione alle intolleranze non manca nei prodotti di gastronomia, che prevedono ogni giorno piatti senza glutine o lattosio a prova di allergia e ce-liachia. “La soddisfazione non manca nel nostro lavoro di tut-ti i giorni perché la qualità, frutto di una costante ricerca dei migliori prodotti alimentari, continua a premiare e ad essere apprezzata - spiega Celestina Bettoni, da 43 anni dietro il ban-cone - . il nostro lavoro è cambiato enormemente negli anni, da quando la gente acquistava intere forme per la famiglia al-la ricerca del prodotto di nicchia o particolare oggi”. evidenti i tagli a grassi e calorie: “Una volta salame, mortadella, lar-do e pancetta, anche per il prezzo più contenuto, andavano per la maggiore. Oggi ci si orienta sempre più verso formaggi magri come i caprini, bresaole e prosciutti magri nei salumi”.

LA GASTRONOMiA CiTTADiNA CON UN OCCHiO ATTeNTO ALLe ALLeRGie

ceLestina bettoni (bergamO)

Le storie...

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Se l’industria appiattisce il gusto, i fratelli Martinelli continuano a riproporre i sapori autentici attraverso ricette tradizionali e ormai quasi dimenticate, come i capù. Per chi ha lasciato il paese in cer-ca di un lavoro migliore in città e in altre province - da Cuneo a Ve-rona - se non addirittura Oltralpe, la storica bottega di Leffe aperta nel 1936 da Pietro Martinelli continua a rappresentare un punto fermo. Ogni ritorno al paese d’origine si trasforma nell’occasione di fare incetta di piatti tipici, dai cazonsei (a Leffe con la “z”) ai co-techini, dalle salsicce alla polenta, fino ai grandi primi e ai secondi delle feste. i fratelli Martinelli - dai 59 ai 73 anni - Franco, Orsola, Luciano e Giovanmaria, si dividono da una vita i compiti in negozio, dalla cucina/gastronomia al servizio al banco, dagli ordini alla cas-sa. in quasi ottant’anni di storia il negozio ha subito più di un’evo-luzione ed ha accompagnato le rivoluzioni dei consumi di ogni fa-miglia di Leffe: fino al secondo Dopoguerra l’insegna era quella di drogheria, negli anni Cinquanta di salumeria, affiancata dal 1968 dalla gastronomia. “Con il lavoro femminile è cresciuta la richie-sta di piatti pronti, che rappresentano ormai il vero e proprio fiore all’occhiello del negozio, assieme a salumi e formaggi selezionati accuratamente - spiega Orsola Martinelli, premiata per i 50 anni di lavoro spesi dietro al bancone -. Si lavora ovviamente poco co-

me mini-market per la concorrenza sempre più spietata sul prezzo di ipermercati e discount, ma non possiamo lamentarci dell’anda-mento di prodotti tipici. in questi anni abbiamo servito generazioni di famiglie in paese ed il rapporto con la nostra clientela è la no-stra vera ricchezza”.

LA STORiCA BOTTeGA TAPPA OBBLiGATA ANCHe PeR CHi È eMiGRATO

orsoLa martineLLi (LEFFE)

Gettato il diploma alle ortiche, ad un passo dalla maturità, Gianfranco Arti-foni si avventura nella commercializ-zazione di vino, trasportando con la Vespa, in mille viaggi, botti e fiaschi, ceduti in conto-vendita da un’azienda di Grumello, a supporto dell’attività di bar, ristorante e bottega inaugura-ta da papà enrico negli anni Trenta al-la Tribulina di Scanzo. Acquisiti i primi clienti, con il fratello Mario, titolare di un’impresa edile, Gianfranco Artifo-ni compra a cambiali il primo camion, che viaggia da mattina a sera diviso tra trasporto di calcinacci e materiale edile di giorno e consegna di vini la se-ra. Da fiaschetteria con consegna a do-micilio, oggi l’attività, mandata avan-

DA FiASCHeTTeRiA A DiSTRiBUTORe Di ViNi e BeVANDe PeR LA RiSTORAZiONe

Gianfranco artifoni (SCANzOROSCIATE)

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iL RiCONOSCiMeNTO

Le storie...

Del primo giorno di lavoro, a 14 anni, all’istituto di Consumo, supermercato d’antan di fron-te al Cinema Nuovo, Colombi ha ancora bene in mente il calcio che gli tirarono per aver get-tato un tortellino. La stessa “vecchia scuola” che pur gli insegnò le buone maniere, l’ordi-ne, il rispetto e la pulizia spedendolo l’anno dopo alla scuola enac. L’apprendistato continua da Ghisalberti in via XX Settembre e da Balduzzi, nella rosticceria di viale Roma, prima di diventare uno specialista nel lanciare l’avvio di gestione dei nuovi market per il Gruppo Lombardini. Colombi, tra i primi dieci mae-stri assaggiatori Onaf e con la qualifica di pizzaiolo in tasca, si trasferisce per amore a Dorga-Castione della Presolana, dove aiuta Maria Teresa Viscardi, terza generazione di salumieri, nella gestione del supermer-cato di famiglia. Nel 1993 insieme impongono una svolta al negozio: “Abbiamo eliminato i carrelli della spesa e ridimensionato i prodotti in-dustriali, stravolgendo le scaffalature, per puntare sui prodotti tipici e artigianali, accuratamente selezionati. All’inizio è stata dura, ma è stata la nostra via di sopravvivenza al-la concorrenza della grande distribuzione, oltre che una scelta che ci ha portato ad avere clienti da fuori provin-cia”. La chiusura del negozio nel 2011 non ha comunque fermato Colombi, che continua a mettere la sua esperienza a disposizione del Gruppo Salumieri e Gastronomi Ascom e a far felici con ricette i bambini e i ragazzi dell’Unitalsi (Unio-ne nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e Santua-ri internazionali) di Borghetto Santo Spirito, in Liguria, di cui è cuoco ufficiale.

DA GASTRONOMO CON DiPLOMA Di PiZZAiOLO A CHeF ALL’UNiTALSi

paoLo coLombi (CASTIONE DELLA PRESOLANA)

ti con l’aiuto dei figli Marzio e Silvia, è un’azienda strutturata che importa direttamente birre dalla Germania e distribuisce etichette selezionate attraverso il canale Ho.re.ca. “Un tempo vendevamo damigiane con 500 lire di acconto ed altrettante a saldo quando arrivava lo stipendio ai mezzadri che lavorava-no le terre e le vigne a Scanzo per nobili e signori. Se l’annata era buona vendevano il vino frutto del loro lavoro al miglior offe-rente e compravano per sé i vini forti del sud, i primi ad arrivare nella nostra piazza, dallo Squinzano al Manduria al Tarantino”. Con il primo benessere fu la volta delle acque minerali: “Operai

e mezzadri compravano a luglio e ad agosto acqua minerale in bottiglia, primo lusso da esibire, solo d’estate, a tavola”. Con uno sguardo al passato e a quel mondo che non esiste più, Arti-foni, premiato per i 50 anni di lavoro, sottolinea il cambiamento nel mondo dei consumi: “Dalla quantità si è passati alla qualità. Si beve meno ma meglio: se il consumo di vino è calato, non tra-monta il rituale di accompagnare i pasti con un buon bicchiere di rosso, bianco o bollicine. Cresce il consumo di birra soprattut-to alla spina. Un trend confermato dal successo delle oltre tren-ta feste estive che organizziamo nel territorio”.

Gianfranco artifoni (SCANzOROSCIATE)

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na scommessa vinta. Dopo cinque me-si di attività, Massimiliano Pezzotta, 39 anni, è molto soddisfatto dell’atti-vità che ha intrapreso. «Non mi aspet-tavo andasse così bene – dice – in un periodo di crisi. Stiamo lavorando benissimo a mezzogiorno, anche alla domenica, e qualcosa si sta muoven-do pure alla sera. Sì, è una scelta che rifarei». Siamo alla trattoria caffetteria

“Al Ritrovo” in via Borgo Palazzo al numero 57/a, a due passi da piazza Sant’Anna. Un’insegna che non vuo-le stupire con effetti speciali e dove a fare la differenza è, evidentemente, la conduzione. «Siamo una piccola squa-dra: io, la moglie di mio fratello Cristi-na Currò e lo chef Umberto Benaglia – spiega Massimiliano –. Qualche vol-ta ci dà una mano anche mio fratel-lo Omar ma per il momento continua con un lavoro diverso. io ho gestito per vent’anni un bar caffetteria a Dalmine, non avevo esperienza di ristorazione ma un po’ di occhio nel contatto col pubblico nel tempo l’ho sviluppato».Passato attraverso diverse gestioni, il locale è “storico” nella zona, si può dire ci sia sempre stato, proponendo, accanto al bar, anche cucina. «Lo chef ha 23 anni - prosegue Pezzotta -, ha frequentato l’Alberghiero e fatto espe-rienza in alcuni locali storici come La Caprese e la Taverna del Colleoni in Città alta. La nostra è una cucina tradi-zionale con qualche rivisitazione. il fat-to di avere clienti abituali per il pranzo di mezzogiorno, in pratica, ci obbliga a variare frequentemente, ma la linea rimane quella della semplicità e della qualità delle materie prime».La semplicità si riscontra anche nell’ar-redamento, senza eccessi e di buon gu-sto. L’ambiente si sviluppa in lunghezza e non è molto grande: poco più di una quarantina i posti a disposizione. «Ab-biamo introdotto la novità del pranzo festivo a 16 euro – racconta ancora il titolare - nel quale offriamo tagliere di verdure con polenta e affettati, un primo piatto a scelta tra risotto ai funghi, taglia-telle al ragù di selvaggina e casoncelli e un secondo a scelta tra la zingara (carne al bastone), il coniglio alla bergamasca e la tagliata di manzo con rucola e gra-na. Acqua e caffè sono compresi, il vino

è escluso. Stiamo facendo un buon la-voro soprattutto con le famiglie. Su pre-notazione apriamo anche al venerdì e sabato sera. Anche in queste occasioni abbiamo menù semplici: grigliate di car-ne o di pesce. La spesa? Ventidue euro per la carne, venticinque per il pesce».Per la sua collocazione, ma se voglia-mo anche per la sua storia, Al Ritrovo sembra rivolgersi prevalentemente al-la clientela del quartiere e Massimi-liano Pezzotta non trascura nessuna iniziativa su base locale per farsi co-noscere ed apprezzare come merita.

di Fulvio Facci

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Il prezzo giusto, al momento giustoin Borgo Palazzo la caffetteria-trattoria Al Ritrovo ha una nuova gestione che sta sviluppando i menù fissi. «Piace il pranzo della domenica a 16 euro»

lA novità

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La Prova

Menù non molto ampio - tre primi e tre secondi -, ma con un pizzico di ricerca-tezza. Il pranzo a prezzo fisso, da lunedì a sabato, Al Ritrovo di via Borgo Palazzo comprende, per dieci euro, un primo, un secondo, il contorno di verdure in un va-sto buffet, vino, acqua, dolce e caffè. il costo rimane sul valore più basso per que-sto tipo di proposta, in un momento in cui si sta sviluppando una certa tendenza al rialzo, ed ha in più la gratificazione finale del dolcetto.Risotto al vino rosso e salsiccia, lasagnet-te vegetariane e casoncelli alla crema di tartufo le proposte per i primi piatti nel giorno della nostra visita. Spezzatino di manzo con polenta, orata al forno e lonza a portafoglio con formaggio i secondi piat-ti. Verdure cotte e crude con abbondanza di scelta per il contorno.Qualche incertezza per la scelta del pri-mo, stimolata da qualche tocco di fanta-sia che lo chef ci ha messo, poi abbiamo puntato sui casoncelli alla crema di tartu-fo, mentre per il secondo la lonza a porta-foglio con formaggio ha subito catturato la nostra attenzione.Bene, decisamente bene entrambi i piat-ti, per un ottimo rapporto qualità-prezzo. Puntuale e attento il servizio.

marzo 2013

trattoria caffetteria Al ritrovo via borgo palazzo, 57/a

bergamo tel. 345 0558888

aperto tutti i giorni dalle 6 alle 22 la cucina funziona solo a mezzogiorno tutta

la settimana, la sera su prenotazione

Massimiliano Pezzotta, Cristina Currò e Umberto Benaglia

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Da Calcio e Torre Pallavicinale trote per il mercato italiano

di Riccardo Lagorio

a nostra regione possiede un ricchissimo patrimonio gastronomico legato alla cucina del pesce d’acqua dol-ce originale e radicato su buona parte del territorio. Ta-le patrimonio è talmente importante da resistere anche in assenza di materia prima selvaggia. infatti parte dei pesci, la quasi totalità delle rane e dei crostacei provie-ne ormai solo da allevamenti, talvolta situati anche fuori dall’Unione europea. il consumo di questi pesci è però molto spesso relegato ai menù della ristorazione, men-tre il consumo più generale di pesce si rivolge soprattut-to alla pesca marittima con un processo indotto di de-sertificazione dei mari. Buona norma quindi è di tornare al consumo quotidiano del pesce di acqua dolce, anche di allevamento. La provincia di Bergamo possiede nume-rosi laghetti per la pesca sportiva, che garantiscono agli appassionati pesce fresco e di buon livello di salubrità. Anche le qualità nutrizionali dei pesci d’acqua dolce non ci possono lasciare indifferenti. La trota, ad esempio, è uno dei prodotti ittici migliori sotto il profilo dietetico, mediamente grasso, che garantisce un apporto energe-

tico di alto profilo e con altrettanto buon apporto di aci-di grassi Omega3, che rivestono un ruolo di spicco nel-la prevenzione delle malattie cardiovascolari. Queste ragioni rendono la trota adatta a tute le fasce d’età. Di conseguenza gli allevamenti di trota non mancano nep-pure nella nostra terra. Ci ha pensato in verità uno dei gruppi italiani più importanti a dotare la provincia ber-gamasca di centri di schiusa e di allevamento, la erede Rossi con sede nelle Marche. “La presenza della nostra azienda - afferma Roberto Rossi dal suo ufficio di Sefro (Mc) - è diffusa in 15 province italiane perché abbiamo la necessità di lavorare con acque sempre limpide e pu-lite e quindi siamo costretti a frammentare i centri di al-levamento. La trota infatti vive bene soltanto in acque pulite e prive di inquinamento. È quindi lo stesso alleva-tore il più interessato a vigilare sulla qualità delle acque e sull’ambiente da cui provengono: ogni eventuale con-dizione che può indurre a fiaccare gli animali o portarli alla malattia potrebbe compromettere la produzione”. Si può di conseguenza anche affermare che, benché un

L

L’AZieNDA

L’allevamento di Calcio e quello di Torre Pallavicina

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allevamento intensivo di trote non possa essere conside-rato benefico per un bacino imbrifero, è altrettanto vero che l’ammoniaca presente allo scarico di un impianto di troticoltura cade intorno a 0,7 milligrammi per litro, men-tre la normativa vigente sugli scarichi idrici stabilisce un valore massimo di 15 mg per litro. Non si può quindi affer-mare che impianti di troticoltura influenzino negativamen-te l’ambiente circostante. “È ormai da oltre 15 anni che abbiamo questi impianti nella parte meridionale della pro-vincia di Bergamo, a Calcio e a Torre Pallavicina, un’area ricca di sorgive naturali da cui esce acqua perfetta per gli allevamenti di trota iridea. Si capisce intuitivamente che, ad esempio, la portata del fiume Po sarebbe ideale, ma le qualità delle sue acque, certo non pure e cristalline, non ci permettono di stabilire impianti su di esso”. Pochi sanno inoltre che la trota si considera anche una sentinella delle acque: alcuni esemplari possono veni-re inseriti negli acquedotti, contribuendo con la even-tuale modifica delle proprie condizioni di salute a segna-lare accidentali modifiche nella qualità dell’ambiente. “A Torre Pallavicina, sotto il nome Salmontrutta, allevia-mo circa 20mila quintali di pesce all’anno. Svezziamo gli avannotti sino al raggiungimento di un peso variabile tra 300 e 700 grammi, quando il pesce si considera adulto. Quando il pesce ha raggiunto la maturità – aggiunge Rossi - si aprono due strade: o viene ceduto ai laghetti di pesca sportiva, oppure viene portato a Sefro. Nella sede azien-dale, il pesce è eviscerato e lavorato. Se ne ottengono pe-sci puliti per la vendita, ma anche filetti, hamburger, filetti preimpanati pronti per la cottura. i filetti possono anche essere affumicati con essenze odorose come il ginepro, la quercia o l’alloro e messi sotto vuoto per la vendita. Dal no-stro osservatorio posso affermare che il mercato italiano è ancora ricettivo ed il consumatore preferisce il prodotto allevato in italia”. Nel centro di allevamento di Calcio vengono svezzati altri 10mila quintali all’anno di pesce, prevalentemente trota iridea. Anche in questo caso l’allevamento termina con la cessione alle pesche sportive o con il viaggio di rientro a Macerata. Lì le trote “bergamasche” verranno lavorate ac-curatamente e spedite in tutta italia. “Non esiste una vera e propria concorrenza delle trote con il pesce di mare, che possiede caratteristiche organolettiche molto diverse. Per il momento il mercato ci sta dando ragione, anche grazie agli allevamenti di Bergamo, molto interessanti grazie alla qualità delle loro acque. La troticoltura è un Made in italy più accessibile di tanti altri e noi siamo orgogliosi di potervi contribuire”, conclude Rossi.

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È una azienda marchigiana, la “erede Rossi”, a gestire i due impianti dove ogni anno vengono allevati oltre 30mila quintali di pesce

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FUORi PORTA

LA PROPOSTA

Il “calzone” al kebab spopola anche a Treviglio

il fascino di un piatto arabo millenario incontra il palato occidentale. Nasce

a Treviglio il calzone al kebab. Ad aver avuto l’idea è l’egiziano Hesham el Sa-yed, titolare della pizzeria d’asporto Le Piramidi in piazza Mentana. “innovar-si è necessario se si vuole continuare l’attività in tempo di crisi - afferma il piz-zaiolo -. Fino al 2009 mi occorrevano quaranta chili di carne al giorno per far fronte alle richieste, oggi meno di quin-

dici. Ma per battere la concorrenza pun-to a diversificare l’offerta e alla qualità, come quando ho inventato per primo la piadina con pasta fresca e kebab”. La parola deriva dall’arabo kabab, termine che indica la carne arrostita. A compor-la vitello e tacchino, cucinato nel doner, lo spiedone verticale, che facendo scio-gliere il grasso dall’alto al basso, rende la carne più magra e morbida. il kebab finisce nell’impasto del calzone insieme

a cipolle, peperoni, quattro formaggi e peperoncino. “A differenza della prepa-razione occidentale, mischio tutti gli in-gredienti - spiega -. Poi arrotolo la pasta e la metto in forno per cinque minuti. il risultato è una sorta di panzerotto molto più allungato e farcito che viene condito con salsa a base di yougurt, maionese e origano”. Considerato un piatto etni-co, riservato alla popolazione immigra-ta, il kebab oggi è apprezzato da tutti.

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utto ha inizio da un viaggio, come volontari al Salone del Gusto edizione 2008. Qui Marco Locatelli e Giulia Battafarano risco-prono il vero artigianato enogastronomico. È un ciclone di co-lori, profumi, sapori ed incontri che li coinvolgono e motivano alla svolta, anche se nel dna scorre già un’eredità di famiglia fatta di tradizioni e semplicità del cibo. Una vera e propria sfi-da, per una pizzeria d’asporto all’interno di un vecchio centro commerciale nella periferia vimercatese, che oggi ripaga di tutti i sacrifici e le ore trascorse a sperimentare da autodidatti. Dal 2010 “il Paradiso della pizza” è presente sulla guida del Gambero Rosso Low Cost e segnalata tra le migliori pizzerie dal Gastronauta, diventando meta di viaggiatori gourmet che arrivano anche da lontano, di affezionati clienti che ormai fan-no tappa fissa ogni settimana e di chi ne è semplicemente in-curiosito dal passaparola, perché qui non si passa per caso.il segreto? L’aver recuperato gusti e sapori naturali e senza tempo, puntando sulla sostanza e facendo di ogni singola pizza un dipinto che permetta la divulgazione della ricchezza gastronomica italiana.

La tela è stata la rivoluzione più difficile, sia da fare che da far capire. Anche loro partono da un impasto con farina, ac-qua, sale e lievito ma l’attenzione alla scelta degli ingredienti e il tempo dedicato alla lavorazione fanno la differenza: un mix di 3 lieviti madre, farine biologiche e biodinamiche maci-nate a pietra dei Mulini Sobrino e Marino, sale naturale del-la Riserva Marina di Trapani, un’idratazione fino al 90% e tre fasi di lievitazione scandite in circa 48 ore. il risultato? 270 grammi d’impasto per ciascuna pizza, un di-sco un poco più picco-lo del convenzionale che in cottura cresce notevolmente, mantie-ne un’alveolatura im-portante, una super-ficie estremamente croccante e garantisce una leggerezza e dige-

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Il vero “Paradiso della pizza”?È d’asporto e al centro commerciale

Giulia Battafarano e Marco Locatellidi Michela Brivio

di Rosanna Scardi

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“il 60% dei miei clienti è italiano - precisa l’egiziano -. il 90% di loro mi chiede la piz-za al kebab che propongo con rucola, po-modorini e grana”. Oltre a essere un piat-to ricco di gusto e apporto calorico, veloce da consumare, al pari dell’hamburger nel fastfood, il rotolone con carne grigliata è anche economico. Costa, infatti, solo 5 euro. Hesham, 39 anni, vive a Treviglio dal 1999. “Gestivo un ristorante a Sharkia, vi-cino al Cairo - racconta -. Quando sono ar-rivato in italia, ho fatto la gavetta, comin-ciando come lavapiatti in un ristorante a Fara Gera d’ Adda, poi per cinque anni ho appreso i segreti della vostra cucina tra-dizionale. Finché nel 2004 ho avviato la

mia attività”. Oggi offre quaranta tipi di pizza, oltre a panini, focacce e piadine. La storia di Hesham è simile a quella di molti altri suoi connazionali che stanno spode-stando i colleghi italiani in materia di piz-za. “Ma oggi la situazione è cambiata - af-ferma -. Senza possibilità di lavoro, molti scappano dall’italia, per le spese troppo elevate. io stesso ho lasciato che mia mo-glie e i miei tre figli tornassero nel mio paese”. C’è anche chi sostiene che la pizza non sia nata a Napo-li, ma in egitto. “Nien-te affatto - puntualizza -. Cinquemila anni fa noi abbia-

mo inventato il pane, ma senza il vostro pomodoro e la vostra mozzarella la pizza non esiste-rebbe”.

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ribilità che solo questo tipo di lavorazione può dare. Marco propo-ne tre tipologie d’impasti, frutto di un lungo lavoro di ricerca: base, con un blend di tre farine diverse, integrale, che è diverso dai co-muni per l’utilizzo di solo farro e trebbie, un’idea unica e di riciclo, ottenuto con cereali estratti dalla lavorazione della birra.Su questa tela i due pennelli a 10 dita dipingono con altrettan-ti colori ricercati, sostituendo la grande distribuzione con picco-li produttori e materie prime selezionate personalmente, giorno dopo giorno e nei limiti del possibile per l’attuale realtà. Ogni in-grediente è il racconto di un viaggio, un incontro o un’esperienza e trasmette una grande passione che va ben oltre la logica di ven-dita ed incasso.Sul sito tutti i riferimenti, ma già dal tricolore s’istruisce la qualità: pomodoro San Marzano Dop Agrigenus, fior di latte fresco e taglia-to a mano e l’olio dell’Azienda Agricola Timpa dei Lupi. Da questa premessa c’è solo l’imbarazzo della scelta. Tra le classiche è d’ob-bligo iniziare con la tradizionale margherita a 4€ per poi dirottarsi su una siciliana a base rossa con acciughe di Cetara, capperi di Selargius, olive taggiasche e origano a €5,50. Tra le invenzioni della casa, la Genuina a € 6,50, una golosità con-sigliata con impasto trebbie, dipinta con il trittico base, pancetta di Morris Micheli, caprino di capra dell’Azienda Capriccio e cipolle o l’Alpina a 6€, consigliata a base integrale, per assaporare le no-te di montagna con la bresaola punta d’anca della macelleria Del Curto condita con olio a crudo e pepe, su una base bianca resa sfi-ziosa dalla cremosità del caprino.La “Consiglio” invece, che varia ogni settimana, è l’opera pri-ma imperdibile da 7€ con vere e proprie eccellenze. Qualche esempio? “Una delle esperienze più belle che abbiamo mai fatto: impasto al 30% di farina di mais, mozzarella, porri dell’A-zienda il Gelso e salame di eugenio Barbieri (produttore ec-cezionale dell’Oltrepò, ma soprattutto una persona incredibi-le)”. Oppure “il nuovo consiglio ci riporta in Sicilia: impasto con grano duro siciliano Tumminia, mozzarella, cavoletti di Bru-

xelles e salame di suino nero dei Nebrodi”. L’abbinamento pizza-birra? Risponde alla stessa filosofia e quindi solo microbirrifici ar-tigianali della zona: Menaresta, Carrobio-lo e Orso Verde, in ordine di conoscenza, con un piano del frigorifero riservato ad un ospite che cambia periodica-mente. Bibite? Solo quelle vere, marcate Baladin e Lurisia. A disposizione una piccola bi-blioteca enogastronomica e al banco volantini con eventi e biglietti da visita di luoghi del gusto da non perdere, oltre ad una selezione di pasticceria sec-ca Aveja in vendita. Per accontentare i clienti che rivendicava-no il piacere di poter consumare sul posto que-ste creazioni, hanno allestito 5 tavoli all’interno e altri nel loro “giardino” esterno, il corridoio del centro commercia-le. Ma la legge non ammette altro e quindi è tutto fai da te: si apparecchia alla buona e con stoviglie di plastica, tranne per la birra dov’è ammesso il bicchiere di vetro, ci si serve dal fri-gor per le bevande, si ordina e si aspetta al tavolo, per poi fa-re la differenziata alla fine. Ma anche questo in fondo è il bello e il folclore di un luogo dove tutto diventa possibile, grazie alla pas-sione dei due pittori e collaboratori che coinvolge i clienti in un’at-mosfera davvero paradisiaca. Un caso davvero unico per una piz-zeria d’asporto, provare per credere!

Il Paradiso della pizzavia Passirano, 20Vimercate (Mb) centro commerciale Megatel. 039 6085894

Hesham El Sayed

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APPUNTAMeNTi

DAL 7 AL 10 APRILE

DAL 15 AL 19 APRiLe FINO AL 30 APRILE

Anche quest’anno i gelatieri ber-gamaschi fanno un omaggio ai più piccoli. Torna infatti “La me-renda non si paga”, l’iniziativa del Co.gel, il Comitato dei gelatieri dell’Ascom di Bergamo, che pre-vede la distribuzione da parte di ciascun gelatiere aderente, nel-le scuole e negli asili del proprio territorio, di coupon che offrono ai bambini un cono a scelta da ri-tirare in gelateria nel periodo dal 15 al 19 aprile. La manifestazio-ne sarà accompagnata dalla con-segna di gelato artigianale al re-parto pediatrico del nuovo Ospe-dale Giovanni XXiii per i bambini ricoverati, che potranno così par-tecipare alla festa. L’appuntamento è organizzato

nell’ambito della campagna “Ge-lateria di Fiducia” che offre agli operatori una serie di opportuni-tà per farsi conoscere e ai con-sumatori alcuni momenti golosi. Lo slogan scelto quest’anno è “Fai una pausa col gelato artigia-nale!” che ricorda come anche un semplice cono possa regala-re un momento di sano piacere e di relax.

Fino al 30 aprile, i Cuochi dell’Alleanza - la rete dei cuochi italiani impegnati a promuovere i prodotti e i produttori dei Presìdi Slow Food - offrono ai giovani la possibilità di gustare menù che sposa-no questa filosofia ad un prezzo con-tenuto: al massimo 30 euro, bevande comprese. il menù, che cambia ogni mese e comprende due Presìdi, viene proposto nelle serate scelte dai singoli Cuochi su prenotazione ed è riservato ai giovani fino a 30 anni, soci o non so-ci Slow Food.Partecipano: Ristorante Frosio (Almè - menù Giovani: lunedì, martedì e giove-dì sera), Ristorante Collina (Almenno San Bartolomeo - menù Giovani: mer-coledì, giovedì e venerdì), Trattoria Vi-sconti (Ambivere - menù Giovani: lu-nedì, giovedì e venerdì), Ristorante Da Mimmo (Bergamo Alta - menù Giovani: lunedì, mercoledì e giovedì), Beccofino Trattoria (Albino - menù Giovani: tutti i giorni di apertura).

uattro giorni di eventi, rassegne, degustazioni e workshop che fanno incontrare le cantine espositrici con gli operatori del settore e un ricco programma di convegni sul mercato in ita-lia, europa e nel resto del mondo. Vinitaly torna a Veronafiere da domenica 7 a mercoledì 10 aprile. Tra le aree espositive speciali l’edizione 2013 prevede: “Taste italy”, evento-degustazione che presenta alla stampa e agli operatori esteri una selezione di 100 tra le più impor-tanti e rappresentative aziende vitivinicole italiane; “Trendy oggi, Big domani”, osservatorio dei più performanti produtto-ri nazionali esordienti; “ViViT - Vigne Vignaioli Terroir”, salone del vino artigianale che esprime il sapore della terra in cui na-sce. Le degustazioni spaziano dai vini vincitori del Concorso enologico internazionale di Vinitaly al giro del mondo “Tasting

ex… press”, in collaborazione con le testate più importanti a livello internazionale, da quelle de “i Tre Bicchieri” del Gambe-ro Rosso al seminario sul primo Balkan Wine Tasting con set-te vini di sette nazioni dei Balcani. Al “Ristorante d’autore”, i piatti porteranno la firma di Piero Bertinotti, Massimo Spiga-roli, enrico Bartolini e Fabio Baldassarre, mentre al “Self ser-vice d’autore” gli chef italiani dell’associazione Jeunes Re-staurateurs d’Europe lanciano la sfida a coniugare qualità ed innovazione con le modalità proprie del self-service. L’ingresso è riservato ad operatori del settore, maggiorenni: biglietto giornaliero 50 euro (acquisto on line 45 euro); abbo-namento 4 giornate 90 euro (on line 80). in contemporanea si svolgono Sol&Agrifood ed enolitech. info: www.vinitaly.com

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Vinitaly, area speciale per i big di domani

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“LA MeReNDA NON Si PAGA”

MeNù A PReZZi“GiOVANi” CON i PReSìDi SLOW FOOD

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