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VADA visual arts for the digital age 02...Andrea Barbagallo, Body Ache 2018 Acido polilattico, acqua Courtesy of Dimora Artica Andrea Martinucci, Glory Black Hole 2018 ph. Andrea Cenetiempo

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Un nuovo percorso formativo è, nella maggior parte dei casi, l’incontro con un luogo. Anche quando un giovane decide di intraprendere un nuovo percorso di studi nella stessa città dove è nato e cresciuto, e dove magari ha già svolto un primo ciclo di studi universitari, l’iscrizione a un Triennio, a un Biennio specialistico o, nel nostro caso, un Master di Primo Livello, implica l’incontro con un nuovo tessuto sociale, una nuova rete professionale, un’area della città che si frequentava poco. Specializzarsi, rispetto alla formazione pregressa, significa passare da un insieme a un altro insieme, o da un insieme a un sottoinsieme che quel percorso di specializzazione l’ha già avviato, o che contribuisce a configurare quello specifico settore su quello specifico territorio. L’effetto di questo incontro risulta, ovviamente, ulteriormente amplificato quando è causa, o effetto, di uno spostamento: da un’altra città o regione, da un altro stato o addirittura da un altro continente.Frequentare il Master in Visual Arts for the Digital Age presso lo IED di Milano vuol dire, prima di tutto, frequentare Milano, e quella specifica fetta della città che offre stimoli, o che può accogliere proposte, attinenti al settore disciplinare a cui che quello specifico percorso formativo da accesso. Per quanti meriti o demeriti possiamo attribuirci, come Scuola e come docenti, non dovremmo mai dimenticare che solo una piccola parte di ciò che uno studente diventa alla fine di un percorso di studi dipende da ciò che accade in aula, da ciò che si vede a lezione o che si legge sui libri; il resto è conseguenza di incontri occasionali, relazioni cercate e costruite, cose viste e approfondite dal vivo, opportunità lavorative o di stage scaturite nel tempo trascorso fuori dall’aula: nel nostro caso, partecipando a eventi o opening, visitando mostre, chiacchierando con artisti, galleristi o altri professionisti del settore.Sollecitare gli studenti a costruire relazioni con ciò che esiste “fuori”, dall’aula e dalla scuola, fa dunque parte delle nostre responsabilità di docenti. Per questo, sviluppando la proposta progettuale per il corso di Communication Lab, tenuto dal prof. Fabio Paris per il Master, abbiamo deciso di concentrare l’attenzione sul mondo dell’arte contemporanea di Milano, e nello specifico su quegli spazi, giovani e non commerciali, che hanno dimostrato una attenzione per la media art e le arti visive dell’era digitale. Se nell’anno accademico 2018 – 19, per il primo numero di VADA – Visual Arts for the Digital Age, la rivista-libro che costituisce l’output progettuale di gruppo del corso di Communication Lab – abbiamo sollecitato l’incontro e il dialogo con giovani artisti visivi, invitando gli studenti a confrontarsi

Alla rotonda, prendi la seconda a destra...

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con il ruolo che avrebbe potuto diventare il loro ruolo; quest’anno li abbiamo spinti a esplorare la rete di spazi che potrebbe, in futuro, accogliere e supportare le loro proposte, selezionando, a seconda dei loro interessi e del loro gusto, quelli che trovano più interessanti e sollecitandoli a presentarsi attraverso dichiarazioni e immagini.L’obiettivo dichiarato del progetto è stato lo sviluppo di un progetto editoriale completo, dal design alla preparazione dei testi. L’obiettivo implicito, ma assai più prezioso, è stato forzare gli studenti, seppur nel corso di un percorso formativo denso e impegnativo che concede poco spazio al tempo libero, a uscire, gironzolare per la città, vedere mostre, presentarsi a artisti e curatori, e avere una buona scusa per conoscerli meglio. Il risultato di questo sforzo non è, né può essere, una mappatura obiettiva e completa. I sedici spazi qui presentati – che ringraziamo tutti, di cuore: [.BOX] Videoart Project, Kura, Careof, Current, Erratum, Dimora Artica, ICA Milano, Il Colorificio, Mars, Mega, Marsélleria, Spaziofico, Spazio T(Raum), Vegapunk, Una + Spazio Leonardo, T-Space – selezionati da un bacino più ampio, rispecchiano i gusti e le affinità personali avvertite dagli otto studenti che li hanno visitati e coinvolti: Giorgia Bozzoni, Guido Grignaffini, Olivia Lampati, Claudia Raniolo, Federico Russo, Giovanni Soggiu, Sofia Tassi e Andrea Zini. Ma pur in questa parzialità di scelte, mi sembra di poter dire che il lavoro fatto da questi otto studenti possa offrire un ritratto interessante e efficace di quelli che sono, in questo 2019, gli spazi espositivi indipendenti a Milano, e una guida affidabile per chi, come loro e dopo di loro, voglia intraprendere questo percorso in Italia. “Alla rotonda, prendi la seconda uscita”, ci sentiamo spesso ripetere dal navigatore satellitare, in quest’epoca sempre più ipermediata, eterodiretta, e piena di rotonde e di svincoli. Il più delle volte, questa frase significa semplicemente: vai dritto per la tua strada. Ecco: Connecting Dots è un modesto contributo all’orientamento, e un invito a proseguire per chi abbia deciso di incamminarsi lungo il percorso impervio delle arti visive contemporanee.

Domenico QuarantaCoordinatore, Master in Visual Arts for the Digital Age

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Pier Giorgio De Pinto, Creatures #32014Videoinstallazione interattivaCourtesy of [.BOX] Videoart Project Space

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Marco Mendeni, I’M NOT PLAYING2013Performance audiovisivaCourtesy of [.BOX] Videoart Project Space

U.S.O. Project / SELFISH, InharmoniCity2010Installazione audiovisivaCourtesy of [.BOX] Videoart Project Space

Lino Strangis, Rivelazione AntropoEccentrica2017 Performance multimedialeCourtesy of [.BOX] Videoart Project Space

Pier Giorgio De Pinto, Creatures #32014Videoinstallazione interattivaCourtesy of [.BOX] Videoart Project Space

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Danilo Correale, Diranno che li ho uccisi io, They Will Say I Killed Them,2018Backstage Shoot Courtesy of artist, Mauro e Bianca Baldacci & Careof

Eva & Franco Mattes CINEMODERNO #1: For Internet Use Only2016 Courtesy of artist & Careof

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Diego Marcon, FRANTI, FUORI!Untitled (Head falling 02 & 05), Untitled (All pigs must die) & Untitled (Head falling 04), 2015Courtesy of artist, Edoardo Pasero & Careof

Pilvi Takala, Admirer, An enthusiastic yes2019Installazione audiovisivaCourtesy of Alessandro Nassiri & Careof

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Carlo Miele, Repetita Iuvant2017Courtesy of Current

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PRO

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Bahamut2016Vista dell’installazioneCourtesy of Current

Bob Bicknell-Knight, Zo2017Courtesy of Current

Davide Dicorato, Tania Fiaccadori, Stefano Filipponi, Jacopo Martinotti, Carlo Miele, Salvatore Ricci, Bahamut, 2016, Vista dell’installazione, Courtesy of Current

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Bob Bicknell-Knight, Zo2017Courtesy of Current

Andrea Zucchini, Untitled2018ph. Floriana Giacinti

Bob Bicknell-Knight, Automated Compression2018Cuscini emoji in acrilico, schermo tv 21’’, busta di stoccaggio ad aria compressaCourtesy of Current

Andrea Zucchini, Piedi Freddi2018ph. Floriana Giacinti

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Gioia Di Girolamo, Assisted Service for Miracle Reactions2018ph. Massimiliano Costantini

DIM

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ART

ICA

Gioia Di Girolamo, Assisted Service for Miracle Reactions2018ph. Massimiliano Costantini

Agostino Bergamaschi, Davide Dicorato, Matteo Gatti, Francesco Pacelli, Marco Schiavone, Alan Stefanato, Natália Trejbalová, Screen Tearing2019Vista dell’installazioneph. Michele Fanucci

Andrea Barbagallo, Body Ache2018Vanadio, acido polilattico, semi, spezie, acqua, cenere, terra, piante e fiori, ostia alimentare, sangueCourtesy of Dimora Artica

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Agostino Bergamaschi, Overground from Abnormality2019

ph. Michele Fanucci

Andrea Barbagallo, Body Ache2018Acido polilattico, acquaCourtesy of Dimora Artica

Andrea Martinucci, Glory Black Hole2018ph. Andrea Cenetiempo

Gioia Di Girolamo, Assisted Servicefor Miracle Reactions

2018ph. Massimiliano Costantini

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Walter Prati, L’ordine dei 28 suoni, curato da Erratum2018Stampa su carta cotone, 25x20 cm

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Mila

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sopra, Nana Debois Buhl, Looking for Donkeys, Dual screen video installation, 2009, 16mm film transferred to HD, 14 min.sotto, Ryan Gander, 2000 year collaboration (The Profet)’, 2018

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sopra, Mona Vatamanu & Florin Tudor, Rite of Spring, 2010, film, 7’51”sotto, Javier Téllez, Letter on the Blind, For the Use of Those Who See, 2008, 16mm film transferred to video (black and white, sound). 27:36 min

Vista dell’installazione ‘Apologia della Storia - The Historian’s Craft’ ph. Dario LasagniCourtesy of ICA Milano

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IOCOSE, First viewer television2012Installazione audiovisivaCourtesy of artists, Filippo Gambuti & IL COLORIFICIO

IOCOSE, Moving forward2016InstallazioneCourtesy of artists, Filippo Gambuti & IL COLORIFICIO

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Marco Giordano, Patetic fallacy2017InstallazioneCourtesy of artist, Claudio Giordano & IL COLORIFICIO

Daria Blum, Preludio a: That would be me2018PerformanceCourtesy of artist, Claudio Giordano & IL COLORIFICIO

Tamara MacArthur, If you believed in me2018ExhibitionCourtesy of artist, Claudio Giordano & IL COLORIFICIO

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Than Hussein Clark The Entrepreneur Hannah Philp Poses as the Murdered Signore De Ritten (Weligama Bay Stands in for the Blue Grotto in the Distance), 2019Installazione Courtesy of Kura

Than Hussein Clark, 1974 Alfa Romeo GTV 2000 2019Vinyl wrap, heat coiled wireCourtesy of Kura

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Yves Scherer, Boy2019, Installazione Courtesy of Kura

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Devis Venturelli, Sculpt the Motion2017VideostillCourtesy of MARS Milano

Jiang Li, Incontro2018

Courtesy of MARS Milano

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Andrew Norman Wilson, Ode to Seekers2012

VideostillCourtesy of MARS Milano

Alejandro Almanza Pereda, BelVedere, 2018, Vista dell’installazione, Courtesy of MARS Milano

Alessandra Caccia, Vita2018Vista dell’installazione Courtesy of MARS Milano

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Lorenzo Senni, AAT + Persona II2015Installazione sonora + stampe digitaliCourtesy of Marsèlleria

Zapruder, Speak in Tongues2014Film/installazioneCourtesy of Marsèlleria

Norma Jeane, The Soft Machine2017Installazione video + contributi matericiCourtesy of Marsèlleria

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Brice Dellsperger, Body Double2018Film/installazioneCourtesy of Marsèlleria

Francesco Tenaglia per Marsèlleria, Nine Film Endings2017Film/installazione + colonne sonore originaliCourtesy of Marsèlleria

Matteo Nasini, Sparkling Matter2016Installazione sonora + scultureCourtesy of Marsèlleria

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MEG

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Ramak Fazel, Don’t Forget The Struggle2014Strumenti di fabbrica + fotografiaCourtesy of MEGA

ZAPRUDER filmmakersgroup, BillyClub2018Film/installazioneCourtesy of MEGA

Nicola Martini e Jacopo Menzani, Senza titolo2018FotografiaCourtesy of MEGA

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Gianni Pettena, Spazio Vuoto Riservato a Gianni Pettena2017Opere d’arte, di design e di architetturaCourtesy of MEGA

Invernomuto, Repeater, Fundi, Bass2018Installazione sonora + contributi matericiCourtesy of MEGA

Andrea Sala/Diego Perrone, Unghia2016FotografiaCourtesy of MEGA

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SpazioFico

FIKAFUTURA, IN-FORMATION/CAMPO SANTO 2018InstallazioneCourtesy of Gianmarco Battistini, Giovanni Mazzoleni, O’Dirk & FIKAFUTURA

Francesca Mussi & John Mirabel, INTERMEZZO2019Installazione audiovisivaCourtesy of artists, Fabrizio Stipari & SpazioFico

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Victoria Zart, THE AQUARIUM2018Performance 7hCourtesy of Gianmarco Battistini, Giovanni Mazzoleni, O’Dirk & FIKAFUTURA

Giulia Wetter, ( )2018PerformanceCourtesy of artist, O’Dirk, UHM & SpazioFico

Elisa Diaferia, Pendule2018InstallazioneCourtesy of artist, O’Dirk, UHM & SpazioFico

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Valeria Di Sabato, Frag-mented underwater 2017 Installazione audiovisivaCourtesy of Spazio (T)Raum

Roberta Busechian,Valentina Furian,Giovanni Giaretta, Kensuke Koike, Francesco Maluta, Baia Terra Nova2017Group showCourtesy of Spazio (T)Raum

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Bill Fontana, Shadow Soundings2017-2018, LisbonaInstallazione immersiva audiovisiva Courtesy of Spazio (T)Raum

Andrej Kobal, GRANURIZE2017

Software di sintesi granulare

Aleksandar Koruga2018Live performanceCourtesy of Spazio (T)Raum

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Lea Collet & Marios Stamatis, Anne de Boer,Joey Holder, Anna Mikkola, Eva Papamargariti,NON STANDARD - a cura di Mattia Giussani2017Installazione site-specific Curtesy of t-space

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Filippo Minelli, Across the Border, cur. UNA, 2018, installation view @ Spazio Leonardo, Milano ph. Cosimo Filippini, Courtesy of Manifesta12, Manifesta Foundation

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Irene Fenara, _Supervision. photo from surveillance camera_, 2018, screenshot, stampa su carta baritata, 37,5x50 cmIrene Fenara, _Supervision. photo from surveillance camera_, 2018, screenshot, stampa su carta baritata, 45,5x34,2 cmBlinds and Other Cloundings, Vista dell’installazione a Spazio Leonardo, Milano 2018ph. Cosimo FilippiniCourtesy of UNA

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VEGA

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Alessandra Arnò, EXPERIENCE 2018 Video proiezione+30 mt di stampa digitaleCourtesy of VEGAPUNK

Fay Turner, THE MISSING MILLIONS, 2016Esperienza Video, Installazione site-specificCourtesy of VEGAPUNK

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Alessandra Arnò, EXPERIENCE 2018 Video proiezione+30 mt di stampa digitaleCourtesy of VEGAPUNK

Daniela Da Paulis, Sonar Touch 2014 Esperienza Video, Installazione site-specificCourtesy of VEGAPUNK

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[.BOX] Videoart Project Space

[.BOX] Videoart project space è un piccolo spazio indipendente, a due passi dal “Bosco verticale”, che nasce nel 2010 con l’intento di educare alla videoarte. Ancora oggi, nel suo campo, risulta uno dei punti di riferimento in Italia, grazie soprattutto alle importanti collaborazioni strette con i maggiori festival internazionali, e propone costantemente un vasto programma di proiezioni videoartistiche, italiane ed estere. I fondatori, tra cui Alessandra Arnò, artista, curatrice e insegnante, sono riusciti a creare un vivace e solido circuito internazionale di scambio culturale e artistico. Dall’Inghilterra alla Romania, da Marsiglia fino a Taiwan, [.BOX] si pone come mediatore culturale, diminuisce le distanze grazie alle sue Global Opening e da visibilità agli artisti che decidono di usare il video e i new media come strumenti di comunicazione e indagine. Anche grazie al lavoro pionieristico svolto nel campo della distribuzione con la piattaforma Visualcontainer, [.BOX] risulta davvero uno dei pochi spazi in Italia a trattare questa materia in modo competente e professionale, aperto ad addetti ai lavori e appassionati ma anche a studenti e neofiti, che desiderano avvicinarsi ad una forma artistica ancora nel nostro paese troppo sottovalutata.

Guido Grignaffini

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Guido Grignaffini Quando e con quali obiettivi avete deciso di fondare [.BOX] Videoart Project Space?Alessandra Arnò [.BOX] Videoart Project Space nasce nel 2010 come spazio no-profit a Milano con sede in Via Confalonieri 11, per dare un programma di videoarte fruibile a chiunque, artisti, studenti e neofiti. All’inizio c’era la necessità di far capire al pubblico e a molti degli artisti in Italia cosa fosse la videoarte, bisognava smuovere la massa che ancora non conosceva questa realtà. [.BOX] fa parte di Visualcontainer Italian Videoart Platform, piattaforma che da oltre 10 anni divulga e promuove opere e progetti di videoarte, che comprende, oltre allo spazio espositivo, Visualcontainer distributor, il primo distributore italiano di videoarte e VisualcontainerTV, web channel fondato nel 2009.

GG Entrando più nello specifico, cosa prevede la programmazione del vostro spazio e su quali progetti vi state focalizzando?AA La programmazione classica prevede rassegne di best of dei più importanti festival di videoarte internazionali. Naturalmente ospitiamo anche artisti per eventi site specific, performance live e installazioni. Spesso proponiamo progetti curatoriali speciali, alcuni dedicati ad altre nazioni, in cui invitiamo curatori stranieri a fornirci selezioni delle opere video di artisti che ritengono più significative per restituire il clima artistico e culturale che si respira nel loro paese, altri di vera e propria curatela d’artista, come è successo con il progetto “My name is” di Maria Cristina Ferraiolo.Lavoriamo molto inoltre con musei e università, soprattutto all’estero, portando avanti attività di tutoring e workshop sempre relativi al nostro ambito.Altra iniziativa interessante sono i nostri Global Opening: nello stesso giorno in cui inaugurano i principali festival di videoarte internazionali, come ad esempio “Les Instants Vidéo” di Marsiglia, [.BOX] presenta, sia nella sua sede a Milano che in streaming sulla nostra web tv, un best of curato dal direttore stesso del festival, per chi fosse interessato ma non avesse la possibilità di andare. C’è grande voglia di essere connessi nello stesso momento con altre realtà e cercare di condividere il più possibile.

GG Avete collaborato con artisti che utilizzano i nuovi media nelle loro opere?AA Oltre alla programmazione classica, nei nostri eventi speciali presentiamo spesso anche opere di artisti che lavorano con i new media.Abbiamo ospitato ad esempio Uso Project con una bellissima installazione interattiva ispirata al mondo di Doctor Who, un portale tra due mondi: uno spettatore per volta, armato di stetoscopio, poteva ascoltare e indagare i suoni che provenivano de questo enorme monolito, come se tentasse di decifrare un messaggio proveniente da un’altra dimensione.Altri artisti con cui abbiamo collaborato sono: Lino Strangis con le sue composizioni 3D, che ha proposto una performance live; Marco Mendeni con I’M NOT PLAYING performance audio video costruita tramite game engine; Pier Giorgio De Pinto con Creatures #3 , videoinstallazione interattiva e site-specific, ispirata del mito della caverna, in cui dentro lo spazio espositivo ricostruiva ciò che accadeva al di fuori in caratteri ASCII; e Daniela Di Maro, che ha esposto disegni di piante realizzati con filo di rame che, attraverso dei sensori, interagivano e suonavano grazia alla presenza degli spettatori e al calore della luce solare.

GG Che criterio utilizzate per la scelta degli artisti con cui collaborare?AA Per quanto riguarda i best of contattiamo direttamente il direttore del festival e non naturalmente ogni singolo artista. Per i progetti speciali facciamo le selezioni, se c’è qualche realtà interessante ci vengono spesso proposte delle studio visit per conoscere nuovi artisti; a volte facciamo noi delle call, soprattutto nel periodo estivo.

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Careof

Careof nasce nel 1987 a Cusano Milanino grazie a Mario Gorni e Zefferina Castoldi con l’obiettivo di promuovere la ricerca artistica, archiviare e conservare i materiali d’arte contemporanea. E’ luogo di ispirazione e confronto per artisti, giovani e affermati, incoraggia la ricerca attraverso mostre, screening, workshop, conferenze e progettualità ibride, attraverso lo spazio espositivo, l’Archivio Video e un programma di residenze internazionali. Archiviare, conservare e diffondere i materiali d’arte contemporanea è fra le vocazioni principali di Careof fin dalla sua costituzione. Il patrimonio raccolto - composto da fotografie, video d’artista, video documentazioni, cataloghi, riviste specializzate - rappresenta una memoria importante per comprendere l’evoluzione della ricerca contemporanea degli ultimi 40 anni, in particolare quella italiana. I protagonisti di questo spazio sono:Martina Angelotti (Direzione Artistica); Marta Bianchi (Presidente e Responsabile Progetti);Lia Manzella (Responsabile Sviluppo);Aurora Morelli (Responsabile Segreteria Organizzativa).

Andrea Zini

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Andrea Zini Quando è nato lo spazio e quali sono stati gli scopi sociali?Martina Angelotti Careof è nata nel 1987 a Cusano Milanino con scopi quasi più politici che commerciali e con l’obiettivo di costruire una piattaforma di discussione e di ricerca che mettesse insieme artisti, curatori e operatori culturali di quel momento, con l’obiettivo di adempiere collettivamente ad un’esigenza, attraverso l’arte contemporanea.

AZ Avete o avuto mai artisti che lavorano con i New Media?MA Careof ha, contestualmente alla sua nascita, iniziato la costruzione di un archivio video oggi tra i più riconosciuti in Italia. Per questo l’attenzione al medium è stata sempre oggetto di riflessione. In generale lavoriamo spesso in relazione alle immagini in movimento più che ai new media.

AZ C’è mai stato un artista che ha lavorato con l’interattività digitale?MA Careof esiste dalla fine degli anni 80, per cui ha attraversato diverse epoche di trasformazione tecnologica, dall’analogico al digitale, interagendo inevitabilmente con la mutazione tecnologica. Negli ultimi anni forse, Careof si sta concentrando sulla ricerca di temi oltre che sul linguaggio, che chiaramente resta sempre parte di un discorso centrale, ma diventa funzionale alla trasmissione della ricerca.

AZ Recentemente o in questi ultimi anni avete avuto a che fare con artisti legati al video?MA Tutti direi, per citarne alcuni: Diego Marcon, Danilo Correale, Eva & Franco Mattes, Pilvi Takala, e il festival Cinemoderno che va avanti da due anni.

AZ Come si svolge la realizzazione di queste mostre?MA Come ogni mostra/progetto c’è un lavoro di ricerca e poi di produzione, e a seconda degli artisti si trovano soluzioni diverse. Gli artisti che recentemente sono passati da Careof, sono stati invitati ad hoc e coinvolti su un progetto specifico. Quasi mai facciamo mostre di opere già realizzate, eccetto alcuni casi, ma spesso mostre che nascono da un percorso di ricerca fatto insieme.

AZ Quindi in pratica proponete un progetto o comunque un’idea..MA Si, invitiamo l’artista che pensiamo più pertinente alle riflessioni del momento, e insieme lavoriamo e sviluppiamo il progetto. L’ultimo lavoro con Danilo Correale, che ha realizzato un film con una produzione cinematografica vera e propria, è frutto di questo processo sinergico.

AZ Con quale criterio avviene la scelta degli artisti che coinvolgete?MA Con un criterio curatoriale, che naturalmente si confronta con le esigenze dell’istituzione e il suo percorso. Ovviamente anche le opportunità di finanziamento non sono mai separate dall’aspetto prettamente curatoriale. La maggioranza dei progetti di Careof sono finanziati da bandi nazionali e internazionali a cui quotidianamente applichiamo. Quasi mai possiamo contare su finanziamenti fissi e stabili, quindi ogni volta dobbiamo fare i conti sulle possibilità presenti per poter immaginare dei progetti. Il che è spesso frustrante, ma a volte anche intrigante.

AZ Quindi i finanziamenti li trovate tramite sponsorizzazioni?MA Non sono sempre sponsorizzazioni, direi che la maggioranza sono bandi, concorsi pubblici, fondazioni bancarie o altri simili con una mission precisa: produzione e sviluppo di progetti culturali e/o sociali. In altri casi possiamo contare su fondi e collaborazioni con privati, come nel caso di ArteVisione, un progetto di formazione e produzione nato in collaborazione con Sky Arte, dedicato ai giovani artisti che lavorano con le immagini in movimento.

AZ Questo progetto quante volte è stato già fatto?MA Come dicevo, è alla quinta edizione. Si tratta di un premio di produzione per artisti residenti in Italia, selezionati attraverso un’ open call sulla base di una proposta per un progetto filmico. Ogni anno, 10 finalisti sono selezionati e invitati a seguire un workshop di scambio e formazione critica, con ospiti e visiting professors internazionali. Una volta rielaborate, le proposte vengono sottoposte ad una giuria che nomina un vincitore, al quale viene offerto un premio di produzione per la realizzazione dell’opera.

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CURRENT PROJECT

Current è uno spazio indipendente gestito da artisti e curatori per artisti e curatori. Prima ancora di essere una galleria no profit è un luogo di incontro e di scambio, un hub di persone e personalità che cerca di unire i punti della fitta rete di giovani lavoratori dell’arte che popolano l’ambiente, spalancando le porte alla possibilità di nuove collaborazioni. Spazio fluido con un occhio di riguardo per i New Media, muta da galleria a laboratorio creativo e viceversa. Alessandro Azzoni, Ruben De Sousa, Tania Fiaccadori, Carlo Miele, Francesco Pieraccini, Marcella Toscani sono i nomi delle persone che fanno parte del gruppo che porta avanti questo progetto, per lo più freschi di Accademia. Questo porta a delle decisioni prese senza vincoli nè paletti, cosa che va a caratterizzare lo stile di questo spazio basato sulle sinergie che si formano tra i gusti degli artisti.

FEDERICO RUSSO

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FEDERICO RUSSO Come nasce Current? FRANCESCO PIERACCINI, MARCELLA TOSCANI Current nasce 3 anni fa a marzo su iniziativa di Francesco Pieraccini, Marcella Toscani, Alessandra Azzoni, Carlo Miele e Ruben de Sousa, che però dopo ha lasciato il progetto. Siamo tutti ex studenti del Biennio di Arti Visive e Studi Curatoriali della Naba, finiti gli studi abbiamo deciso di stabilirci in questo spazio, che prima ospitava Studio d’art, perché era un’opportunità per fare esperienze in campo curatoriale e iniziare a dare un senso pratico ai nostri percorsi di studio. Tre anni fa gli spazi indipendenti erano molti di meno, quindi era presente in noi l’esigenza di trovare un posto per i molti artisti emergenti che sviluppavano i progetti prettamente a livello teorico, senza però avere l’opportunità di esporre da nessuna parte, nemmeno nella stessa accademia, sia Naba che Brera. La nostra fortuna è stata avere un incontro positivo con questo posto, già adibito a galleria e con una storia importante alle spalle: anche per questo abbiamo deciso di cambiare nome in Current per dare una nuova identità e iniziare un nuovo corso che fosse più nostro.

FR Con quale criterio vengono scelti gli artisti esposti?MT Il criterio si è definito col tempo e con la pratica, inoltre essendo uno spazio indipendente siamo slegati dalla necessità di vendere le opere, non abbiamo bisogno di rendere conto a nessuno, quindi tante opportunità e situazioni espositive nascono prima di tutto dal rapporto umano con l’artista e dai legami che si creano. Noi sulle mostre siamo abbastanza indirizzati, per via dei nostri gusti, su new media, web e più in generale su pratiche lontane dall’arte classica, nonostante siano già state fatte mostre di scultura e ne arriveranno altre. Nell’ultimo paio di anni ci siamo concentrati sulla mostre personali, provando perlopiù ad ospitare quegli artisti che si trovano a metà tra lo status di artista riconosciuto e di ex studente di Accademia. L’artista, che ancora non è affermato ma che comincia a diventare interessante, in uno spazio indipendente ha la possibilità di sperimentare con meno vincoli rispetto ai lavori esponibili in galleria, che solitamente tendono ad essere più canonici. Abbiamo sempre scelto senza pensare troppo al mezzo o al linguaggio, ma piuttosto agli interessi che ci accomunano agli artisti e ai rapporti di amicizia che si creano con questi, elementi che ci portano spesso a decidere in maniera quasi impulsiva, viscerale di fare una mostra insieme.

FR Quale è il programma, specialmente riguardo gli artisti che sviluppano digital media art?FP Da qui a breve per Miart ospiteremo Shimmer project, che è una mostra che verte sui residui, i rifiuti, i resti, gli scarti che si producono durante l’era digitale. Questo inoltre è un progetto la cui preparazione si svilupperà dalla settimana prossima proprio qui presso Current. Poi per quel che riguarda il futuro, visto che possiamo permetterci di non avere una programmazione, non ce l’abbiamo! Ma soprattutto, come detto prima, ci piace andare a sensazione, quindi appena troviamo un progetto che ci può interessare ci organizziamo di conseguenza. In aggiunta, come hai visto nella programmazione passata, quello che ci interessa non è soltanto curare noi dei progetti, ma anche ospitare dei concept da fuori la nostra cerchia: lo abbiamo fatto con i ragazzi di Tripla, che è uno spazio di Bologna, con Giulia Gelmini e Federica Torgano, con Marco Strappato, che nella fattispecie è un artista ma ha deciso di organizzare un’esposizione come curatore presso di noi. Con Dimora Artica con abbiamo avuto un vero e proprio scambio di spazi. Proprio ora stiamo ospitando Spazio Elastico, un’esposizione di Francesco Pacelli di Dimora Artica. Carlo Miele e Tania Salvadori invece sono due artisti che sono con noi ed espongono sia qui che in altri spazi. Quindi, oltre che a sviluppare i nostri progetti, Current vuole essere uno spazio di scambio. Tra gli altri artisti con cui abbiamo collaborato ci sono Pola Polanski, che ha esposto quest’anno, mentre lo scorso anno abbiamo ospitato una personale di Alessandro Simonini. Per quanto riguarda le collettive invece, una delle ultime è stata Andromeda a Napoli. A Davide Decorato per un periodo abbiamo lasciato lo spazio di Current da usare come laboratorio, come poi a Gabriel Stöckli, nella cui mostra esponevano anche Roberto Casti, Salvatore Ricci e Luca Pozzi.

FR Quale è il vostro visitatore tipo?MT Di solito giovani artisti o studenti d’arte che visitano altri spazi indipendenti, ogni tanto riusciamo ad avere qualche visitatore meno del settore, ma tendenzialmente il pubblico è lo stesso che va a visitare le altre gallerie e spazi indipendenti, ma sarebbe interessante cercare di arrivare anche a un pubblico di non addetti ai lavori. Proprio per questo motivo nell’ultima mostra abbiamo anche cercato di collaborare con una piattaforma che crea degli audio di un minuto esplicativi delle opere, e questo è stato molto interessante perché, proprio grazie a questo supporto, abbiamo visto persone alla mostra di Pola Polanski che hanno interagito in modo molto positivo con la mostra.

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DIMORA ARTICA

Dimora Artica è un project space che ha un’anima bipartita tra progetto curatoriale e galleria no profit. Con uno sguardo rivolto alle nuove correnti dell’arte contemporanea, pur rimanendo sempre fedele a una direzione e un gusto ormai facilmente riconoscibili, si è saputo definire nel tempo come uno spazio propulsivo per giovani artisti. Il progetto, sin dalla sua nascita per mano di Andrea Carpita, affiancato poi da Francesco Pacelli e da Isabella Iozzi, pone le sue fondamenta sull’espressione di una dimensione mitica narrata attraverso la modernità delle nuove tecnologie.

FEDERICO RUSSO

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FEDERICO RUSSO Come nasce Dimora Artica?FRANCESCO PACELLI Dimora Artica è nata nel 2013 dalla volontà di sviluppare liberamente un progetto curatoriale in divenire, impostato in modo da non consumarsi nel breve periodo ma proseguendo nelle diverse mostre come nei capitoli di un libro. Punto di partenza è l’approfondimento del rapporto tra la ricerca artistica contemporanea e gli archetipi dell’immaginario simbolico, con riferimenti e rimandi alla narrativa speculativa (dal mito alla letteratura fantasy) e alla cultura popolare. Questi presupposti formano l’ossatura di Dimora Artica come progetto curatoriale, all’interno del quale ogni mostra ha una propria identità particolare. Negli ultimi due anni diversi progetti presentati da Dimora Artica hanno proposto riflessioni sul progresso tecnologico e la pervasività della comunicazione digitale.

FR Con quale criterio vengono scelti gli artisti esposti?FP Il criterio di base è la convergenza di profondità della ricerca e di efficacia dei risultati estetici, poi si aggiungono valutazioni legate all’empatia personale, alla biografia, al senso generale che si vuole dare alla programmazione.

FR Quale è il programma - specialmente riguardo gli artisti che sviluppano digital media art?FP Il rapporto tra l’uomo e la tecnologia digitale è stato uno dei temi principali delle mostre dell’ultimo periodo di programmazione, ma con una particolare attenzione all’opera come oggetto fisico, spesso realizzata con modalità tradizionali. Più che la realizzazione di opere con mezzi digitali ci interessa il “racconto” della complessità del mondo attuale, con la possibilità di utilizzare liberamente tutti i mezzi espressivi. Esempio peculiare è la mostra collettiva Screen Tearing, che abbiamo presentato a febbraio 2019, in cui partendo da temi come la sovrabbondanza contemporanea del flusso di immagini e la pervasività del progresso tecnologico, si è strutturata una mostra con opere di tipogie differenti, come scuture di ceramica o di sale e resina, dipinti ad olio, fotografie, video digitali, assemblaggi di object trouvé.

FR Mi racconti di alcuni artisti da voi ospitati che lavorano nel campo new media?FC Non abbiamo mai lavorato con artisti specializzati in new media, mentre sono diversi gli artisti da noi coinvolti che nella realizzazione delle proprie opere utilizzano anche le nuove tecnologie, direttamente o come campo d’indagine. Per esempio, Andrea Martinucci sviluppa l’iconografia dei propri dipinti unendo e sovrapponendo più immagini tratte da Instagram, Gioia Di Girolamo realizza installazioni, video, sculture e dipinti ispirandosi ai video di auto-aiuto reperibili su YouTube, e Andrea Barbagallo realizza sculture con la stampa 3D utilizzando materiale biologico che si trasforma nel tempo rendendo il prodotto tecnologico un corpo vivo e perituro.

FR C’è una connessione tra gli artisti che ospitate e i vostri progetti artistici personali?FC La direzione artistica di Dimora Artica è sempre stata condivisa da Andrea Lacarpia, curatore con formazione artistica, e diversi artisti che si sono susseguiti nei diversi periodi accompagnando l’evoluzione del progetto (attualmente Francesco Pacelli) e, ovviamente, con un rapporto di scambio e condivisione che ha portato ad una crescita condivisa tra persone dalle ricerche artistico-curatoriali affini.

FR Quale è il vostro visitatore tipo?FC La maggior parte dei visitatori sono interni al mondo dell’arte, quindi artisti, curatori, critici, giornalisti, collezionisti, galleristi. Ma non mancano visitatori generici, soprattutto da febbraio di quest’anno, da quando ci siamo trasferiti da uno spazio situato in una corte interna ad uno spazio con un’ampia vetrina su strada.

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Erratum

Erratum è uno spazio milanese dedicato al suono, alla poesia e all’arte concettuale. Studio d’artista e spazio di ascolto e sperimentazione curato da Sergio Armaroli e Steve Piccolo, Erratum si presenta al pubblico come un laboratorio di idee dove la contaminazione tra le arti e il loro incontro con la musica porta a risultati inaspettati proponendosi come punto di riferimento per creativi, musicisti, poeti e artisti. L’attività di Erratum, sviluppata in collaborazione con MADE4ART di Milano, si articola attraverso esposizioni, performance artistiche e musicali, incontri tematici e presentazioni di libri, pubblicazioni musicali e video.

Giovanni Soggiu

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Giovanni Soggiu Quando nasce lo spazio e da quale necessità?Sergio Armaroli Lo spazio nasce nel 2017 da un vecchio lavoro fatto con Steve Piccolo. Anni prima avevo curato con lui una mostra dedicata alle partiture grafiche di compositori, musicisti e sound designer. Da quel momento io e Steve abbiamo pensato di collaborare e abbiamo fondato una radio astratta, Listen!, che è ancora la web radio di Erratum. Listen non ha format radiofonico, infatti per esempio la durata delle trasmissioni è sempre diversa, e teniamo questa libertà per poter organizzare del materiale sonoro molto diverso, dalla poesia al paesaggio. L’idea è quella di un ascolto totalizzante. Da questa radio è nata la necessità di creare uno spazio reale che potesse raccogliere queste esperienze legate al suono e alla riflessione sul suono. Il nome Erratum stesso è un nome che nasce da Duchamp: Erratum Musical, e si ricollega a tutta quella ricerca diventata poi Sound Art.

GS Cosa propone Erratum più degli altri spazi?SA Steve Piccolo viene dall’avanguardia Newyorkese di un certo rock-jazz che si era diffuso negli anni ‘70.Io ho una formazione prima da pittore e poi da musicista e quindi mi ritrovo dell’idea di utilizzare il suono come un materiale modellabile, quasi plastico, come se fosse un oggetto. Lavorare sul suono, in una società in cui l’immagine e il visivo sono centrali, ci permette delle libertà in più. Allo stesso tempo però non volevamo cadere in una sorta di formalismo legato al suono o all’esibizione di grande tecnologia. Il nostro interesse è più legato al suono all’interno di un contesto, che può essere un’immagine o anche un qualsiasi altro linguaggio. Questo perché il suono è sempre all’interno di un contesto, e isolarlo significa cadere nel formalismo, nel feticismo.

GS Qual è il formato delle opere che qui dentro accogliete?Steve Piccolo Quasi sempre c’è un elemento visivo, perché molte delle opere esposte partono dall’idea di una partitura esposta che le persone possono interpretare come vogliono. Difficile che organizziamo un evento in cui non ci sia niente di visivo.

GS Qual è il lavoro più sperimentale che avete esposto qui dentro?SP Non si tratta ancora forse di cercare l’estremo. Ormai non c’è più questo bisogno di costruire la ruota ogni volta che parti. In termini di novità il nostro ultimo lavoro è stato produrre, orchestrare e mettere insieme un pezzo di un grande compositore di New York che si chiama Elliott Sharp. Dopo che il lavoro era stato mostrato visivamente abbiamo registrato due versioni: una in studio e una dal vivo.SA Nel nostro spazio spesso avviene l’incubazione delle idee. L’incubazione spesso nasce in un luogo riservato, isolato e protetto dal mercato. Questo è il bello di uno spazio no-profit. Erratum è un luogo in cui vieni a concentrarti.

GS Potete parlare più ampiamente del lavoro che fate?SP Entrambi lavoriamo nel campo dell’arte, che significa anche insegnare, fare progetti per scuole e fondazioni che sono spesso degli esperimenti didattici sul suono trasposti in un contesto diverso. Qui dentro invece possiamo veramente fare quello che ci piace. Milano negli ultimi anni è davvero un posto piacevole e pieno di iniziative. Anni fa c’era proprio un pregiudizio contro il contemporaneo. Più o meno da cinque anni siamo tutti contemporanei, e questa è una situazione che trovo molto più stimolante rispetto al recente passato.

GS Con quale criterio scegliete gli artisti?SA Bisogna fare una differenza tra gli artisti ancora in vita e quelli defunti.SP Per questi ultimi fa la differenza avere accesso a loro eredi, agli archivi o ai materiali inediti. E spesso saltano fuori tanti materiali che non sono magari mai stati resi disponibili in contesti museali.Per quelli ancora in vita l’importante è che non facciano arte solo perché hanno tanti aggeggi e macchinari vari. Alcuni di questi ci si erano anche proposti ma poi alla fine non sono venuti a esporre, perché anche loro hanno capito che Erratum non era il posto giusto per loro.SA È uno spazio che asciuga molto e ti costringe a essere molto essenziale. Noi qua tendiamo a ridurre più che ad aumentare.

GS Avete mai lavorato con artisti di Arte Digitale?SP Walter (Prati, ndr). Lui ha fatto un lavoro che è ancora online. Durante l’esposizione c’era una interazione col pubblico che poteva modificare la composizione. Era un’opera interattiva allestita con un iPad su un leggio e tutti i disegni sul muro. SA Walter ha fatto una patch con Max/MSP con 28 piccole immagini, e a ogni immagine era collegato un gesto sonoro che potevi attivare dall’iPad.

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ICA Milano

ICA Milano non è un museo, ma un istituto, un percorso interdisciplinare e transmediale. ICA si basa su contributo, condivisione e partecipazione. ICA è una fondazione che produce e sviluppa attività, ricerche e studi, ricercando i punti di contatto tra le arti visive e tutto ciò che gira attorno. Posizionata a Milano per sottolineare il pensiero di accoglienza e pluralità, il recupero dello spazio industriale della fabbrica in via Orobia mostra una volontà di dinamismo giocosa, che vuole dare l’occasione alla città di liberare la propria capacità espressiva. La porta d’entrata non divide il dentro dal fuori, ma accoglie il pubblico in uno spazio condiviso da altre attività, assecondando il sogno del SESC Pompeia a Sao Paulo, un luogo restituito al pubblico, basato sulla potenza della partecipazione. ICA Milano si presenta alla città con una mostra curata da Alberto Salvatori, uno dei soci fondatori della fondazione e Luigi Fassi, Apologia della Storia - The Historian’s Craft: tema ripreso dallo storico Marc Bloch, in cui viene introdotta l’idea di utilità pratica della storia come disciplina di conoscenza. Può l’arte essere uno strumento di conoscenza, condividendo con la storia l’idea di continuo cambiamento?

Sofia Tassi

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Sofia Tassi Quale collegamento c’è tra ICA Milano e gli altri spazi ICA nel mondo?Alberto Salvadori Il nome ICA Milano inserisce la nuova istituzione milanese nella costellazione degli Istituti per l’Arte Contemporanea che hanno la loro matrice identitaria nella cultura anglosassone, dove nascono già nella metà degli anni ‘40; il primo a Londra nel 1946 e ancora adesso punto di riferimento per tutti gli altri. Al momento non c’è un legame burocratico o contrattuale con le altre istituzioni sparse per il mondo. Ci sono piuttosto progetti e obiettivi condivisi, sempre a partire dal modello londinese appena citato. Le attività della Fondazione si sviluppano attraverso un programma espositivo che spazia dal ‘900 fino all’attualità e affrontano l’interdisciplinarità dei linguaggi contemporanei senza prediligere categorie artistiche specifiche ma lasciando piuttosto il giusto spazio alla contaminazione di pensieri, pratiche e azioni capaci di coinvolgere ogni tipologia di pubblico.

ST È interessante vedere una nuova zona di Milano fuori dalle solite rotte, soprattutto per la creatività che si mette in gioco negli spazi come quello che ospita ICA. Qual è la sua storia?AS L’edificio che ospita la programmazione di ICA Milano è una vecchia palazzina degli anni ‘30 a cui è stata data una nuova vita dopo molti anni di inutilizzo e abbandono. Non c’è purtroppo una ricostruzione storica precisa delle attività precedenti. La volontà è sicuramente quella di attualizzare uno spazio industriale storico mantenendo tuttavia piuttosto integra l’identità del luogo senza stravolgimenti architettonici. La zona Vigentino-Ripamonti invece è stata scelta per la ricchezza del tessuto urbano e la diversità di iniziative pubbliche e private che in questi ultimi anni stanno favorendo uno sviluppo culturale, artistico e sociale del quartiere.

ST Essere no-profit è perfettamente in linea con la posizione geografica dello spazio e la vostra mission, è stata una direzione presa in partenza?AS Tale decisione nasce dalla volontà di essere un’attività destinata alla sperimentazione e alla ricerca artistica attraverso la creazione di un luogo aperto e multidisciplinare nel quale accogliere diverse tipologie di pubblico e pratiche artistiche differenti.

ST La vostra prima mostra ‘Apologia della storia - The Historian’s Craft’ ospita artisti che provengono da campi diversie lontani tra loro, come vengono scelti gli artisti ospitati? AS Il progetto Apologia della storia - The Historian’s Craft è un percorso che attraversa luoghi, tempi e scenari differenti alla ricerca di testimonianze e di tracce che narrano di cambiamento e di sviluppo, di proiezioni verso il futuro a partire da lezioni del passato. Gli artisti che sono stati selezionati per questo progetto ripercorrono, in maniera del tutto personale, le tracce di questo percorso. La scelta degli artisti risponde principalmente alla linea curatoriale e al programma delineato dalla Direzione e dai curatori e collaboratori coinvolti nei diversi progetti, rispecchia inoltre gli intenti della Fondazione in senso più ampio e globale.

ST La prima mostra è anche il primo imprinting sulla città di Milano, quali sono gli artisti che hanno interessato maggiormente il pubblico?AS Sicuramente la video installazione Letter on the Blind for the Use of Those Who See di Javier Tellez (2007) e Study for Incanator (2018) di Paul Pfeiffer, un’opera divisa in due stanze e composta da tre teste intagliate in legno e una video installazione. Le due opere hanno incuriosito maggiormente il pubblico in parte per la loro specifica fisicità nello spazio e in parte per la contemporaneità dei temi affrontati. La prima mette a confronto momenti culturali e storici molto differenti: le tradizioni religiose presenti nella cultura filippina e il dilagare mondiale della pop music di Justin Bieber. Il secondo invece mette in discussione il ruolo delle istituzioni autoritarie e delle nozioni consolidate legate al concetto di normalità.

ST Tante opere esposte in ‘Apologia della storia - The Historian’s Craft’ appartengono al campo della media art. Puoi raccontarmi i progetti più incisivi?AS L’opera in mostra 2000 year collaboration (The Profet), 2018 di Ryan Gander rappresenta un piccolo robot dalle sembianze di un topolino. L’animale recita un monologo riscritto a partire dall’opera cinematografica Il Grande Dittatore (1940) di Charlie Chaplin. Il topolino sostanzialmente ci racconta la differenza tra animale e umano che ritrova nelle modalità di costruzione di valori condivisi e narrazioni comuni. Mona Vatamanu e Florin Tudor presentano invece un video nel quale alcuni bambini bruciano piccoli cumuli di ‘cottontree’ di pioppo per le strade di Bucarest. Le scintille e i piccoli roghi suggeriscono un possibile cambiamento all’ordine dell’esistente ed evocano le fiamme che hanno bruciato le banlieue francesi o la guerra in Iraq. Infine Nanna Debois Buhl, attraverso l’opera filmica a doppio canale Looking for Donkeys (2009), racconta l’isola di St. John attraverso la sua popolosa colonia di asinelli bianchi, portati in quelle zone nell’ottocento durante il periodo di colonizzazione della Danimarca e utilizzati nelle piantagioni da zucchero come animali da lavoro.

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IL COLORIFICIO

Il Colorificio è un progetto-spazio basato nel quartiere di Giambellino, fondato dai curatori Michele Bertolino, Bernardo Follini, Giulia Gregnanin a cui poi si è unito Sebastiano Pala nel ruolo di project manager. Situato in un negozio di vernici convertito in spazio espositivo, Il Colorificio è dedicato all’arte e alla curatela che mette in discussione la natura della realtà. Il Colorificio nasce dalla necessità di sperimentare, in quanto gruppo curatoriale, e dal tentativo di costruire una identità dello spazio. Nel 2018 la fiera ArtVerona ha conferito aIl Colorificio il premio i9, per il progetto più interessanteproposto da una realtà indipendente.

Giorgia Bozzoni

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Giorgia Bozzoni Quando è nata la galleria e quali sono gli scopi sociali?Giulia Gregnanin Lo spazio progetto Il Colorificio è nato nel 2016 con lo scopo di promuovere l’arte contemporanea.

GB Avete o avete avuto artisti che lavorano con i new media?GG Abbiamo presentato alcuni artisti che lavorano con i new media, anche se la ricerca curatoriale de Il Colorificio non si focalizza sulle nuove tecnologie.

GB Potete parlare più ampiamente del laoro che questi artisti fanno o hanno fatto?GG IOCOSE è un collettivo di quattro artisti nato nel 2006. La loro ricerca si rivolge al ruolo che le tecnologie rivestono nel dare forma al mondo, analizzando le narrazioni connesse. Né ottimista nei confronti delle conquiste dell’innovazione né pessimista per l’uso distopico e disumanizzante delle stesse, lo sguardo di IOCOSE è piuttosto definibile come “post-fail”: evidenzia la divergenza tra le narrazioni entusiastiche e il fallimento intrinseco in queste ultime, lasciando campo a una realtà decisamente più complessa, sfaccettata e spesso contraddittoria. È proprio la loro ricerca “post-fail” ad essere stata presentata a dicembre 2016 al Colorificio. Un’altra artista che parzialmente entra in relazione con i new media e che è stata presentata nello spazio è Daria Blum. Operando all’incrocio tra film e performance, crea e manipola identità fittizie, appropriandosi di idoli della musica e icone stereotipate. La pratica di Blum si compone della messinscena tipica del pop, popolata da personaggi virali dove le soggettività vengono rinegoziate continuamente. Il processo di affermazione di identità

fittizie riflette l’interesse dell’artista per i confini liminali che separano il corpo dalle sue rappresentazioni e sanciscono la differenza tra performance e film. Oltre a una performance, l’artista ha realizzato una serie di video che si distinguono per la loro profonda superficialità, l’attenta costruzione di individualità pre-confezionate e per la semplicità quasi ossessiva dei motivi musicali che vengono proposti allo spettatore. Le canzoni, composte interamente da Blum, talvolta nascondono campionature di pezzi celebri o li ricordano, a dimostrazione di come il pop componga il panorama sonoro, oltre che spesso quello visivo, condiviso. GB Con quale criterio avviene la scelta degli artisti?GG Né circoscrizioni di gruppi generazionali né il disegno di una geografia italiana rappresentano bussole di ricerca del Colorificio. A guidare le scelte è piuttosto la costituzione di un universo di senso temporaneo, contestuale a specifiche urgenze. Il discorso scaturito dal continuo dialogo tra curatore e artista è poi sviluppato attraverso il dispositivo testuale..

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KURA.

KURA. è stato aperto nel luglio 2018 ma già da prima ha un programma di mostre a lungo termine a cura di CURA. nei locali della Fonderia Artistica Battaglia di Milano, concepita come estensione delle programmazioni espositive già svolte presso BASEMENT ROMA.CURA. è una piattaforma curatoriale/editoriale, fondata da Ilaria Marotta e Andrea Baccin nel 2009, composta da una rivista, una casa editrice e un programma espositivo che lavora a livello internazionale in collaborazione con musei, fondazioni, gallerie, istituzioni e indipendenti. La ricerca curatoriale e attività critica sviluppata da CURA. si concentra sia sulla ricerca di nuovi linguaggi contemporanei, sia sullo sviluppo e l’implementazione di nuovi format espositivi.KURA. nasce da un errore di ortografia del nome della rivista. La pronuncia è la stessa, ma rappresenta il glitch, l’elemento di novità che fonda le sue radici nell’idea stessa di “spazio okkupato” (spazio occupato), che è anche associato al K in Kunsthalle, senza necessariamente esserlo.Il movimento, l’alternanza di vuoti e pieni, ma anche le improvvisazioni di ruolo mirano a creare il ritmo dell’esperienza espositiva di KURA. Un’esperienza che, sebbene protratta nelle sue ipotesi, è chiamata a definirsi nel tempo.Il tutto è approfondito dall’assistente curatoriale Leonardo Caldana.

Andrea Zini

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Andrea Zini Quando è nato lo spazio e quali sono stati gli scopi sociali?Leonardo Caldana KURA. ha avviato il suo programma espositivo a luglio dello scorso anno, in seguito a un invito da parte di Fonderia Artistica Battaglia a intraprendere una collaborazione, in una sorta di take over dello spazio, in Via Stilicone prima e in Via Oslavia a Lambrate poi. L’apertura a Milano ha rappresentato una naturale conseguenza della ricerca di CURA., nata nel 2009 come piattaforma editoriale e quindi estesa allo spazio espositivo di BASEMENT ROMA. Lo sguardo curatoriale che ha da sempre caratterizzato le scelte di CURA., anche rispetto ad altre riviste del settore, ha avuto dunque una sua naturale estensione nello spazio espositivo, quale prolungamento della stessa ricerca, rivolta spesso agli stessi artisti. Ora, lo spazio all’interno di una fonderia rappresenta una sfida ulteriore, in quanto non ci troviamo in uno spazio espositivo ma in un luogo di produzione, in cui gli artisti sono chiamati anzitutto a lavorare, a creare, a sporcarsi le mani e ad applicare scelte rispetto al proprio lavoro. Benchè lo spazio di KURA. creato appositamente per noi, sia predisposto all’attività espositiva, la presenza dei forni, dei materiali, del laboratorio del cesello, delle patine o del restauro indicano la natura caratterizzante del luogo. Non è un semplice white cube e ci piace molto questa idea. È uno stimolo eccezionale per gli artisti che invitiamo e che naturalmente si incuriosiscono, testano e talvolta decidono di produrre in bronzo, avvicinandosi ad un materiale antico e alle tecniche di fusione profondamente radicate nella storia dell’arte. KURA. non è una galleria commerciale ma uno spazio no-profit, che nel misspelling del nome originale di CURA. trasformato in KURA. sottintende l’idea stessa di una kunsthalle. La K ha un carattere molto preciso e connotato. Volevamo che il nome dello spazio evocasse quello della rivista ma con un appiglio in più. Grazie a David Reinfurt di Dexter Sinister che ha studiato la brand identity del logo e l’immagine coordinata volevamo emergessero due elementi, la riconoscibilità e la solidità della K ma anche la malleabilità di un progetto capace di permeare piano piano il tessuto sociale e culturale della città.

AZ Avete o avete avuto mai artisti che lavorano con i New Media?LC Gli artisti con cui lavoriamo utilizzano un ampio spettro di media e di linguaggi. Molti di loro partono dall’utilizzo dei new media, pur trovando poi una sintesi in materiali classici. Altri utilizzano i new media anche come espressione formale dell’opera. Se pensiamo a Ed Fornieles, con cui abbiamo lavorato a BASEMENT ROMA, certamente l’aspetto formale era tutto racchiuso nell’esperienza virtuale stessa, che attraverso l’utilizzo di Oculus portava lo spettatore a immergersi nel meraviglioso mondo della realtà aumentata, legata nel caso dell’artista a una esperienza sessuale dettata da algoritmi non controllati dell’utente. Nel 2013 con Ian Cheng abbiamo introdotto per la prima volta in una mostra in Italia le simulazioni virtuali dell’artista, anche lì legate ad algoritmi matematici che rendevano ogni esperienza diversa dalle altre. Con David Douard, invece, internet rappresenta una fonte infinita di testi, immagini, codici, che l’artista assembla in un insieme apparentemente scomposto di oggetti, forme ed elementi trovati, che rivelano il mondo inaccessibile e nascosto della rete, ciò che difficilmente si vede, gli interstizi.

AZ Potete parlare più ampiamente del lavoro che questi artisti fanno o hanno fatto?LC Abbiamo lavorato con moltissimi artisti per cui difficile disquisire su ognuno di loro. A Roma abbiamo un approccio site-specific per cui gli artisti sono chiamati a convertire lo spazio in uno spazio altro, alterandolo o occupandolo, cambiandone destinazione d’uso, senso e natura. A Milano abbiamo esordito con una mostra collettiva, volta a incarnare una sorta di rito d’iniziazione, con una mostra che ampliando i confini della rappresentazione e dello spazio espositivo diventasse anche festa, celebrazione, momentum. Abbiamo continuato con mostre personali, David Douard prima e Than Hussein Clark, attualmente in corso, ovvero artisti di cui seguiamo da sempre la pratica e il lavoro e che hanno avuto approcci diametralmente opposti alla mostra. Ma questo è il bello di lavorare con gli artisti.

AZ Con quale criterio avviene la scelta degli artisti che coinvolgete?LC Il criterio è sempre quello della selezione. Si abbracciano alcuni artisti e non altri, vi è sempre un criterio di inclusione ed esclusione nelle scelte. Complicato dire quale sia l’alchimia di tali scelte, molte legate alla vita, agli incontri, alle esperienze, ai colpi di fulmine, alla visione, alle idee, al pensiero, al dialogo, ma prima di tutte queste cose insieme, alla forza dell’opera d’arte.

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MARS

Milan Artist Run Space (MARS) è uno spazio interamente gestito da artisti, pensato per artisti e rivolto soprattutto a un pubblico composto in larga parte proprio da artisti. Questo è MARS: un luogo di confronto e interazione, ideato da Lorenza Boisi, che dal 2008 mette a disposizione il suo box (12m²) per dare modo alle varie anime creative di incontrarsi e intrecciare relazioni. Oltre che a lei, la direzione artistica è affidata a Yari Miele e Fabio Carnaghi, che si occupano di gestire e curare i progetti. Ad accrescere il fascino di questo spazio, il fatto che sia ospitato in un cortile di via Pasteur al quale si accede esclusivamente tramite squillo sul cellulare di chi sta dentro.

Giovanni So ggiu

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Giovanni So ggiu Quando è nato lo spazio e qual è la vostra visione ?Fabio Carnaghi MARS è nato nel dicembre del 2008 dalla necessità di fornire agli artisti uno spazio in cui confrontarsi e sperimentare al di fuori del circuito commerciale e galleristico. A dieci anni di distanza il progetto si è aggiornato verso una visione curatoriale volta a documentare la fenomenologia dell’arte contemporanea prevalentemente italiana nelle sue esperienze più significative.

GS Con quale criterio vengono selezionati gli artisti ?FC MARS opera nelle scelte di programmazione con l’intento di mostrare al suo pubblico le nuove progettualità degli artisti emergenti e di svelare la dimensione più sperimentale degli artisti già affermati.

GS Nella vostra pro grammazione avete già ospitato o ospiterete degli artisti che lavorano con i new media ?FC MARS è una realtà che valorizza progetti interdisciplinari in cui spesso si evidenzia la contaminazione tra pratiche tradizionali e nuovi media in scenari profondamenti sperimentali. Un’esperienza in tal senso è rappresentata dal progetto site-specific Objets d’Amour di Devis Venturelli, artista che in prevalenza si esprime attraverso il video ma che a MARS ha virato verso un progetto multidisciplinare tra scultura, performance, animazione. Inoltre si stanno affacciando alla nostra programmazione nuove opportunità che vedono e vedranno la videoarte internazionale al centro di un format intitolato BelVedere. Infine, un progetto molto specifico in questi termini risulta Incontro, il primo di una serie di appuntamenti nato da una collaborazione tra MARS e Fuzao, spazio indipendente a Milano specializzato sulla scena artistica emergente cinese, con l’obiettivo di mettere in dialogo artisti italiani ed artisti cinesi di seconda generazione a Milano sul terreno delle nuove tecnologie.

GS Puoi dirmi qualcosa di più del lavoro che hanno fatto o che faranno questi artisti ?FC Il lavoro di Devis Venturelli si esprime normalmente attraverso video e film sperimentali. Per MARS Venturelli ha pensato a una installazione in tessuto che ha preso forma dagli oggetti in essa contenuti. Accanto ad essa un lavoro digitale che ha animato uno ad uno gli oggetti contenuti nelle sculture parte dell’allestimento site-specific. BelVedere, alla sua seconda edizione, nasce dalla necessità di offrire al pubblico una selezione di video sperimentali e basati sulla contaminazione interdisciplinare tra i linguaggi della tecnologia, della performance, dell’animazione di video artisti quali Yoav Admoni, Alejandro Almanza Pereda, Miguel Arzabe, Chameckilerner, Jonathas De Andrade, Sasha Litvintseva, Zhenchen Liu, Oliver Michael, Ursula Palla, Johanna Reich, Devis Venturelli, Andrew Norman Wilson. Incontro invece ha messo in relazione una sonorizzazione di Katja Noppes con web art installation e video in 3D di Hou Keshan e Jiang Li.

GS Vita (Alessandra Caccia) , Non siamo mai andati sulla Luna (Anna Gramaccia , Silvia Mariotti, Ryts Monet, Patrizia Emma Scialpi e Spela Volcic), Mal di montagna (Amedeo Martegani e Francesco Mattuzzi, Walter Niedermayr e Fabrizio Perghiem) e Libera dimensione (Valentina Brenna e Yari Miele), puoi approfondire queste quattro mostre ?FC Vita è un progetto nato dal dialogo tra l’artista, Alessandra Caccia, e me quale curatore della mostra. Il progetto risulta interessante per l’uso trasversale di media come fotografia, suono e video oltre che per le tematiche trattate: la tecnologia si accosta alla documentazione quasi diaristica della malattia in un progetto che si affaccia alla medicina narrativa. Le due collettive Non siamo mai andati sulla Luna e Mal di Montagna hanno coinvolto la fotografia e il video in esperienze espositive multimediali per assecondare la natura poliedrica dello spazio. Libera Dimensione è un duo project che abbina l’uso del video di Valentina Brenna alla luminescenza nei lavori di Yari Miele. A lui MARS nel 2016 ha dedicato una mostra personale intitolata Blue Night Marble in cui l’artista ha utilizzato la lampada di Wood per valorizzare interventi a parete e su venature marmoree con pittura fotosensibile.

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Marsèlleria

Creata nel 2009 da Mirko Rizzi per Marsèll in via Paullo a Milano, Marsèlleria è una piattaforma multidisciplinare che dalla sua apertura ha sempre promosso ogni tipo di espressione creativa attraverso differenti collaborazioni con musicisti, film-maker, performer, artisti, curatori, ricercatori e designer.La volontà di sperimentare coi limiti e con i crossover artistici si esprime in un ambiente in partenza neutro, che ben si adatta e si trasforma a seconda dei progetti che vengono ospitati al suo interno: la performance, la scultura, i reading, le installazioni, la fotografia e la pittura trovano in Marsèlleria un laboratorio ricco di possibilità.Nel gennaio 2016 Marsèlleria ha inaugurato due nuove aperture: la sua nuova sede in via privata Rezia 2 a Milano, che offre una programmazione regolare di mostre ed eventi, e il suo nuovo spazio a New York.L’intervistata Martina Odorici - project manager di Marsèlleria - annuncia infine, a partire da dicembre 2018, una chiusura dell’attività nella forma in cui ha vissuto negli scorsi 10 anni, in funzione di un possibile cambiamento futuro riguardante le modalità espositive della galleria.

Olivia Lampati

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Olivia Lampati Parlami di Marsèlleria:

com’è nato il progetto e quali erano gli

obiettivi?

Martina Odorici Marsèlleria è nata nel 2009 da un progetto di Mirko Rizzi, il quale, da allora, con continuità e passione, ne gestisce la parte creativa nel ruolo di direttore artistico. Inizialmente Marsèlleria aveva soltanto una sede, che si trovava nello spazio di Via Paullo, ancora oggi esistente. Questo spazio costituisce ora lo showroom di Marsèll (azienda di calzature e accessori che ha sempre sostenuto questo impegno culturale). Il progetto nasce con un programma un po’ più libero rispetto a quello che ha poi preso negli anni, e si può considerare come una piattaforma di produzione in cui tante relazioni si sono aperte non solo a Milano ma anche in Italia e all’estero. Tutti gli eventi che sono stati proposti da Marsèlleria sono stati prodotti da Marsèlleria, dunque lo scopo, oltre alla produzione culturale, è anche quello di dare la possibilità agli artisti stessi di produrre il proprio lavoro.

OL Avete o avete mai avuto artisti che

lavorano con i new media?

MO Sì, sin dall’inizio, soprattutto nella modalità video e audio nelle loro diverse sfaccettature. Ricordo che nei primi mesi di apertura abbiamo ospitato tantissimi eventi musicali, per poi spaziare in campi sempre differenti.

OL Mi potresti parlare più ampiamente di

alcuni di questi artisti e del loro lavoro?

MO Abbiamo ad esempio ospitato Riccardo Benassi, artista riconosciuto a livello internazionale per i suoi lavori video e audio; Lorenzo Senni, di base musicista, che però lavora parecchio anche col video; Carlo Zanni è un artista che ama parecchio sperimentare con le nuove tecnologie, e dunque ritengo sia molto calzante per quanto riguarda questo campo; Invernomuto è un duo che lavora a progetti video e audio; o ancora Zapruder, un gruppo di videomaker che abbiamo avuto la fortuna di ospitare nel nostro spazio; Raed Yassin è invece un artista-musicista che ha presentato una performance; i Siliqoon, che hanno creato una piattaforma culturale con base a Milano che lavora nel campo dei new media con artisti di vario genere; Daniel Gonzalez è un artista che si occupa essenzialmente del mondo del video; con Luca Trevisani abbiamo invece coprodotto un film, come insieme a Norma Jeane, una videomaker; Brice Dellsperger,

con cui abbiamo collaborato per la nostra ultima mostra nella sede di Via Paullo, terminata a novembre 2018: nello specifico, i video da lui presentati non erano stati creati appositamente per la mostra, essendo quella la sua prima esposizione personale in Italia, la quale gli ha quindi fornito l’occasione per presentare al pubblico un “ripasso” del suo lavoro video. Di Matteo Nasini abbiamo ospitato uno dei lavori più longevi, consistente nella trasformazione delle onde cerebrali di una persona che dorme in suono, attraverso un programma che ha dato modo di incidere un disco, poi presentato durante i suoi sleep concert; Dafne Boggeri lavora invece in parallelo tra suono, video e fotografia.Marsèlleria ha anche accolto un progetto speciale di una persona che non è un artista, Francesco Tenaglia: Nine film endings, progetto tramite cui Tenaglia ha chiesto a 9 artisti di rimusicare la scena finale del film Blow-Up di Michelangelo Antonioni, il tutto in una serata in cui questo risultato molto interessante è stato capace di aprire una riflessione su come l’audio influisca enormemente su ciò che vediamo e osserviamo. Posso ancora citare Rä di Martino o Chelpa Ferro, che lavora con la tecnologia nelle modalità sonore, o ancora Alessandro Di Pietro, che ha lavorato per il suo progetto da noi presentato - Felix - anche sulla stampa 3D.Scatti è stato invece un progetto fotografico indipendente che rappresentava la visione della città attraverso gli occhi di fotografi che lavorano e vivono a Milano.Molto importanti sono stati per noi anche i Trigger Parties, eventi in cui non erano gli spettatori a recarsi dall’artista per fruire di un’opera, ma al contrario era l’artista a portare i suoi lavori al pubblico, col quale interagiva.

OL Con quale criterio avviene la scelta degli

artisti?

PB Gli artisti sono sempre stati contatti personali di Mirko, persone che in questi anni ha ritenuto valide ed il cui lavoro era a suo parere meritevole di essere esposto e interessante da presentare al pubblico.Ci sono poi stati poi casi in cui gli artisti stessi hanno proposto a Marsèlleria i loro progetti, ma questo è avvenuto più raramente, poichè il tutto è sempre stato parte di un processo di conoscenza personale che negli anni ha portato a una mostra o a un evento che coronasse uno specifico lavoro artistico.

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MEGA

Inaugurato nel 2016, MEGA è uno spazio soppalcato di quindici metri quadrati dotato di una vetrina essenziale e aperta, un micro luogo estremamente versatile che si pone come obiettivo la costante sperimentazione artistica tramite modalità sempre differenti: si spazia dalla fotografia all’editoria di moda, dal design alla musica, senza alcun limite prefissato.Lo spazio nasce da un’ex officina di restauro in Piazza Vetra come progetto di Davide Giannella, insieme a Giovanna Silva, editrice di Humboldt Books - una casa editrice di libri di viaggio d’artista - e Delfino Sisto Legnani, fotografo d’architettura.Un altro obiettivo è ben chiaro a MEGA: il mantenimento della sua indipendenza. I proprietari hanno stabilito un budget annuale necessario alle produzioni e a una pubblicazione, con l’aiuto di alcuni sponsor che sposano la loro visione. Agli artisti ospitati non viene chiesto un affitto, e le loro opere non vengono vendute in questo spazio, il cui lavoro si vuole pertanto distaccare nettamente da quello delle gallerie commerciali.

Olivia Lampati

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Olivia Lampati Quando è nato il vostro spazio e quali sono gli scopi sociali?Davide Giannella MEGA esiste da tre anni. I nostri scopi sociali, se di questo possiamo realmente parlare, sono molto semplici: essi sono volti alla sensibilizzazione del nostro pubblico rispetto a progetti inediti all’interno del panorama dell’arte contemporanea. Ciò che ci auguriamo è che i progetti possano poi avere delle ricadute di riflessione sia in termini individuali che collettivi.

OL Avete mai avuto - o avrete, nella vostra programmazione futura - lavori di artisti che si confrontano coi new media?DG Forse più che con i new media nello specifico, abbiamo spesso e volentieri lavorato con artisti che abbracciano e utilizzano una molteplicità di media. In questo senso potremmo citare Anna Franceschini, Invernomuto, Ramak Fazel, Patrick Tuttofuoco, Zapruder Film Makers Group...

OL Per quale motivo avete selezionato proprio questi lavori?DG Sono tutti lavori di artisti che utilizzano più linguaggi espressivi, spaziando dalla scultura alla fotografia, dall’installazione alle immagini in movimento.

OL Come scegliete gli artisti che esporranno in MEGA?DG Tutti gli artisti invitati a produrre un progetto da MEGA sono persone e professionisti che stimiamo in maniera particolare e coi quali abbiamo instaurato precedentemente un rapporto professionale e umano. In secondo luogo sono principalmente artisti già riconosciuti da pubblico e critica per specifiche caratteristiche di tipo linguistico ed espressivo. Da MEGA, con l’intento di produrre qualcosa di totalmente inedito, invitiamo quindi gli artisti a uscire dalla propria comfort zone espressiva, chiedendo loro di utilizzare linguaggi mai usati. Per esempio, siccome Patrick Tuttofuoco è riconosciuto principalmente come scultore, gli abbiamo chiesto di pensare a qualsiasi genere di progetto purché non concernesse la scultura.Questa richiesta - uscire dalla comfort zone - è utile a noi per rendere MEGA un reale spazio di progettualità e sperimentazione. È un rischio, sano, che cerchiamo di correre insieme e parallelamente agli artisti invitati nel tentativo di offrire sempre qualcosa di nuovo al pubblico.

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SpazioFico

Giulia Wetter e Elisa Diaferia sono due studentesse,rispettivamente di Comunicazione e Didattica dell’Arte e di Arti Visive, che hanno fondato, insieme ad Anna Drago eCesare Cavallini, un collettivo chiamato o’dirk, che a suavolta ha aperto SpazioFico, con lo scopo di proporreprogetti di rivalutazione dello spazio attraverso il lavoro digiovani artisti e nuove forme di arte contemporanea.SpazioFico nasce come officina milanese, diventata poi uno spazio polifunzionale ed espositivo no-profit dal 2018.

Giorgia Bozzoni

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Giorgia Bozzoni Quando è nato lo spazio?Giulia Wetter - Elisa Diaferia Noi come spazio no-profit siamo nati ad ottobre 2018, abbiamo inaugurato in occasione del festival spazi 2018. Siamo un collettivo artistico e curatoriale chiamato o’dirk, prima di tutto noi siamo artiste e portiamo avanti la nostra ricerca sia personale che collettiva e negli ultimi due anni abbiamo lavorato tanto in relazione agli spazi espositivi realizzando lavori specifici. Arrivati qui abbiamo deciso di voler avviare un progetto curatoriale nel momento in cui quello che ci interessava era in quanto artiste poter lavorare con altri artisti e poter portare avanti un confronto che avesse poi un riscontro a livello espositivo. Quindi abbiamo lanciato una “open call” che prevede un’esposizione al mese in 6 mesi: partendo da zero, avevamo bisogno di farci conoscere e inaugurare con il festival spazi ci ha dato la possibilità di creare una rete tra i vari spazi no-profit di Milano, quindi un po’ di visibilità

GB Potete parlare meglio del vostro lavoro?GW - ED Lo spazio di per se è stato una sorpresa anche per noi. Volevamo iniziare ma non pensavamo così in fretta, e dovendo creare un’identità da zero, dobbiamo dare coerenza al progetto, capire cosa vogliamo, chi vogliamo coinvolgere e in che modo. Da lì è partito tutto e in maniera molto ingenua ci siamo buttati in questa cosa, confrontandoci sin da subito con curatori di altri spazi, e a quel punto abbiamo capito cosa volevamo anche noi. La domanda principale per aprire uno spazio no-profit è: come fare a mantenerlo? Noi paghiamo l’affitto, ma l’obiettivo del progetto è la sperimentazione e il confronto a livello artistico. Nel momento in cui andiamo a scegliere gli artisti noi non gli chiediamo niente perché è un confronto, li abbiamo scelti noi o loro si sono candidati, ma è comunque una cosa che noi proponiamo da giovani per giovani. La collaborazione con gli artisti funziona perché nel momento in cui io metto tutto quello che ho nello spazio, economicamente parlando e anche di energie, nel momento in cui decidiamo di far entrare una persona vogliamo che porti il suo lavoro all’estremo, diamo carta bianca agli artisti, e in cambio gli chiediamo di lasciare un multiplo di un lavoro che aggiungiamo all’archivio.

GB In cosa consiste l’Open call?GW - ED Con l’Open Call, gli artisti propongono un progetto e noi, partendo dalla loro proposta, iniziamo a lavorare con loro, aprendo un confronto per vedere come far evolvere il lavoro, reinterpretandolo in rapporto allo spazio. L’obiettivo è per noi scegliere, tra i vari lavori che ci vengono mandati, dei progetti che messi insieme assumono anche un significato diverso: quindi non c’è più un’opera a sè stante ma diventa una comunicazione, una relazione tra tutte le opere e si crea un esposizione, c’è una coerenza di fondo.

GB Perché scegliere determinati artisti? GW - ED No, abbiamo ospitato performance, installazioni, incisioni, noi crediamo molto che l’opera sia autonoma e funzioni da sola e non vogliamo che sia lo storico di un’artista a definire se può entrare o meno a far parte del nostro progetto. Tutto dipende dal lavoro, se ci interessa, se ci piace, soprattutto inserito in questo contesto e in rapporto ai lavori degli altri: quello che facciamo è una selezione, una sorta di montaggio, prendiamo vari elementi, li mettiamo insieme per andare a dire qualcosa in rapporto alla tematica.

GB Nella vostra programmazione avete già esposto artisti di new media art?GW - ED Non ancora, sto cercando di lavorare ad un progetto del genere e vorrei esporlo, perché se parliamo di medium, è difficile pensarlo in una galleria, bisogna capire come lavorarci con un tipo d’arte del genere, però potrebbe essere una sfida interessante, siamo aperte a questo nuovo tipo di cose ma per adesso non ci è ancora capitato.

GB Quali sono i vostri scopi sociali?GW - ED Portando avanti una ricerca che si basa su relazioni e rapporti, mettiamo in discussione sempre quello che si fa, la possibilità di incontrare altre persone, giovani, studenti, piuttosto che artisti, curatori… si trovano a guardare insieme la stessa cosa e a mettere in discussione i lavori. Socialmente parlando, vorremmo che si creasse un polo dove potersi mettere in gioco: sperimentazione e confronto sono le parole fondamentali attorno a SpazioFico.

GB Puntate molto sull’ambiente?GW - ED Come dicevamo prima, SpazioFico non è proprio un white cube, ogni volta riguardiamo lo spazio e lo reinventiamo a secondo delle esposizioni, per questo motivo chiediamo agli artisti di lavorarci dentro, spesso in questo modo vengono fuori opere specifiche. Questo lavorare sullo spazio è determinato dallo spazio stesso, questo ha lo scopo di valorizzare il lavoro, è un motivo per cui un artista dovrebbe venire. Diciamo che rispetto ad altri posti, qui lo scopo è valorizzare il lavoro nello spazio, le due cose vanno insieme e noi come ricerca artistica, collettivo da sempre non possiamo non considerare lo spazio, abbiamo lavorato tanto con questo sistema percettivo per permettere allo spettatore di vivere lo spazio.

GB Potete parlarmi degli a4 che chiedete agli artisti? GW - ED Sono multipli di lavori, loro decidono di fare qualsiasi cosa, può essere un progetto a sè, ed è un lavoro in multipli che possono essere 3 come 2000 in formato A4, che poi noi mettiamo nell’archivio, non ancora esposto poiché è da poco che abbiamo aperto. Una volta che l’artista passa nel nostro spazio non vogliamo che la cosa finisca lì, quindi rimaniamo in contatto in modo da aggiornare l’archivio.

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Spazio (T)Raum

Spazio (T)Raum è una piattaforma di ricerca artistica fondata a Milano nel 2016 da Roberta Busechian, artista, docente e ricercatrice in ambito di sound art. Più che un vero e proprio spazio fisico, Spazio (T)Raum si qualifica come progetto in cui far convogliare ricerche artistiche sia nazionali che internazionali, con un occhio di riguardo al mondo del sound, declinato in tutte le sue manifestazioni artistiche. Lo spazio intende promuovere, attraverso esposizioni e presentazioni anche internazionali, le ricerche di artisti, curatori, collettivi, che attraverso il suono e l’audiovisivo indagano gli ambiti sociali e culturali umani. Fondamentale è anche la teoria: seminari, conferenze, artist talk per aiutare la diffusione del sapere sulla sound art a tutto tondo e aumentare la consapevolezza verso le nuove tecnologie ormai indispensabili anche nel campo della ricerca artistica. Grazie alla collaborazione con numerosi ed eterogenei spazi sparsi sul territorio, come AGON (un centro di produzione musicale/interdisciplinare a Milano) e il Bunker Museum a Dobbiacco (BZ), (T)Raum rende disponibili luoghi per installazioni, live performance, musica elettronica e molte altre attività per artisti già affermati o giovani ed emergenti, proponendo anche numerose open call specifiche durante l’anno.

Guido Grignaffini

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Guido Grignaffini Quando è stato fondato spazio (T)Raum? Roberta Busechian Lo spazio è stato fondato da me nel settembre 2016, con la sede fisica in Via Canzio 8 a Milano. Inizialmente utilizzato come mio atelier e studio di produzione, è man mano diventato uno spazio installativo e performativo nel quale invitare numerosi artisti italiani e stranieri a presentare i propri lavori in progress.

GG Cosa ti ha spinto ad iniziare questo nuovo progetto no-profit?RB L’idea di uno spazio per la sound art era da molti anni nel mio immaginario. L’idea era creare una piattaforma di scambio tra artisti della sound art sul territorio italiano e connetterli con realtà esterne e internazionali. Il mio lavoro personale è incentrato sulla ricerca della storia della sound art e la sua presentazione in diversi formati: workshop, talk, installazioni sonore e performance. Dal mio bagaglio dunque presi spunto per connettere gli artisti che incontrai durante i miei studi e la mia carriera accademica come docente di sound art. Gli scopi principali sono da sempre stati quelli di facilitare la connessione tra vari artisti di qualunque provenienza sociale e senza un limite di età. Ad esempio tra gli artisti della “famiglia” (T)Raum abbiamo sia Bill Fontana (pioniere della sound art, attivo da 50 anni nell’ambito artistico sonoro), sia giovanissimi sound artist, come Nicola Zolin, ex studente dell’università IUAV di Venezia. La connessione con il territorio inoltre giocava e tuttora ha un importantissimo ruolo: le politiche urbane e le loro dinamiche presentate attraverso la ricerca sonora in situ, nonché la sound art connessa all’antropologia culturale e la sociologia, sono i territori su cui ci muoviamo da sempre.

GG Avete lavorato con artisti che utilizzano principalmente i nuovi media?RB Quasi tutti gli artisti che coinvolgiamo lavorano con i nuovi media e le tecnologie digitali, anche se arrivano tutti da background diversi e utilizzano in nuovi media in modalità differenti: Andrej Kobal per esempio ha sviluppato GRANURIZE, un software di sintesi granulare attraverso il quale presenta performance innovative fondendo le registrazioni sonore, il movimento, i gesti performativi e la tecnologia digitale. Nicolás Rupcich d’altro canto lavora solo con la realtà virtuale senza l’utilizzo del suono, nella quale gli ambienti vengono trasformati e le realtà amplificate attraverso la manipolazione video in tempo reale. Valeria Di Sabato aka Alvax, Tatsuru Arai ed Aleksandar Koruga spaziano dalla performance live alle proiezioni audiovisive, spesso con iterazioni audio-video in tempo reale anche nell’ambito installativo. GG Come vengono scelti gli artisti con cui andate a collaborare?RB Gli artisti non vengono scelti. (T)Raum è un organismo fluido, attraverso gli eventi e le iterazioni con il pubblico si ha la possibilità di espandere sempre di più le proprie connessioni,. Tramite il passaparola, le discussioni, l’organizzazione degli eventi stessi la famiglia (T)Raum si amplia, creando una rete sempre più diffusa in Italia ma anche all’estero dove abbiamo differenti organizzazioni con cui collaboriamo: come Iklectik, spazio per la sperimentazione sonora elettronica a Londra, o Errant Sounds, project space per la sound art a Berlino, di cui sono membro, oppure The Kava Lounge, club e spazio per la performance elettronica a San Diego (CA) di cui Steve Carnfield aka Otherr fa parte. Tutti gli artisti che fanno parte di questo network sono possibili collaboratori di (T)Raum o lo sono già stati. Come già menzionato, (T)Raum non seleziona ma apre le porte a uno scambio fluido tra artisti sonori da qualunque background, con una ovvia attenzione alla qualità delle proposte. A questo proposito devo ammettere che non abbiamo mai avuto interventi poco qualitativi a livello tecnico né artistico.

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t-space

t-space nasce nel 2016 dalla volontà di alcuni giovani artisti di dare vita a uno spazio che gli desse la possibilità di condurre in modo sostenibile la loro attività artistica. Sin dall’inizio si configura sia come spazio espositivo che come studio fotografico. t-space è attualmente gestito da Rui Wu e Giulia Spreafico, che uscendo dagli studi accademici, si sono trovati a creare questo spazio per poter continuare a lavorare su ciò che più gli piaceva. Nel corso di questi tre anni, t-space è diventato uno spazio in cui gli artisti si confrontano direttamente con lo spazio, seguendo a tempo pieno il processo creativo, dalla realizzazione alla produzione. É incoraggiante vedere come questi ragazzi, partendo da un loro desiderio, siano stati in grado di riuscire a sostenersi e a rendere, a parer mio, t-space uno spazio unico nel proprio genere. Secondo il loro mission statement: “T è uno spazio incastrato in un altro spazio, uno spazio espositivo entrato in uno studio di fotografia. T è un rapporto simbiotico, arte e lavoro convivono. T è autonomia. T è t-space.”

Claudia Raniolo

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Claudia Raniolo Quando è nato il vostro spazio e qual è la vostra visione?Rui Wu - Giulia Spreafico Il nostro spazio è nato all’inizio del 2016 da un idea di Rui Wu, Giulia Spreafico, Elena D’angelo, Alberta Romano e Gloria Paolini, e la nostra visuale è sempre stata vista come un tentativo, perché quando hai una scelta puoi scegliere, quando non si ha una scelta si prova quel che funziona. Da questa idea è nato il nostro spazio. In questi 3 anni la nostra identità è mutata, ma l’obiettivo è sempre lo stesso. In questo ultimo periodo abbiamo deciso di lavorare a fianco degli artisti per produrre un’opera video che poi metteremo in mostra. L’idea è quella di mettere a disposizione degli artisti invitati, oltre allo spazio espositivo, anche un team di lavoro e di confronto che segua tutto il processo di realizzazione di un’opera, dall’ideazione fino alla produzione.

CR Con quale criterio vengono selezionati gli artisti?RW - GS Nella scelta degli artisti siamo sempre stati molto coerenti, solitamente tendiamo a lavorare con artisti che ci piacciono e che ci interessano dal punto di vista lavorativo. Per noi il lato umano è fondamentale per svolgere un lavoro. Lavoriamo con le persone, non con gli artisti. Anche per questo abbiamo deciso di non selezionare più opere e lavori già esistenti, ma di produrre l’opera insieme all’artista.

CR Nella vostra programmazione avete già avuto o avrete degli artisti che lavorano con i media digitali?RW - GS Se consideriamo il termine “new media” come viene definito in termini accademici, allora la nostra nuova modalità di ricerca è proiettata verso i nuovi media. Con gli artisti abbiamo deciso di lavorare a delle opere video, che poi mettiamo sui nostri canali online. Abbiamo dunque trasformato internet nel nostro spazio espositivo, facendo sì che le opere fossero visibili per più tempo e da più persone.Nel nostro spazio abbiamo avuto due mostre che si servivano dei new media: NON STANDARD e This Will fix you. This Will fix you è un’installazione composta da un video che racconta una storia. L’artista ha utilizzato sia medium digitali che analogici, all’interno dello spazio abbiamo ricreato un cinema, per creare una sorta di illusione per il pubblico. NON STANDARD è un’installazione a cui hanno partecipato diversi artisti internazionali, che lavorano appunto sul digitale e su tematiche legate ai nuovi media.

CR Volete accennare a qualche progetto futuro?RW - GS Stiamo lavorando a un video assieme a Luisa Turuani, intitolato M’ama non m’ama: sarà uno dei nuovi format che lo spazio si è proposto di portare avanti in futuro.

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UNA + Spazio Leonardo

Spazio Leonardo è la vetrina milanese di UNA, galleria piacentina guidata da Marta Barbieri e Paola Bonino, che curano il progetto considerandolo come un organismo fresco, in continua evoluzione. Lo spazio di Leonardo Assicurazioni, intrecciato profondamente con la città, è in grado di comunicare in modo trasversale tra arte e impresa. Un contenitore messo a disposizione del pubblico, mostrando l’importanza culturale di questo fortunato mix. Gli artisti chiamati nello spazio si rispecchiano nell’imprinting fluido dato da UNA. Nella mostra Across the Border, di Filippo Minelli, ad esempio, l’artista ricerca la connessione tra la periferia e il globale, creando un mondo in cui i confini vengono superati e se ne può fare esperienza senza vincoli. Le bandiere vengono usate per mandare messaggi politici e sociali, creano simboli e ‘parole iconiche’, portando alla luce ideali come identità e appartenenza delle comunità, in un meccanismo di associazione che prende grande valenza personale.

Sofia Tassi

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Sofia Tassi La collaborazione tra UNA e Spazio Leonardo è un bellissimo esempio di connessione tra arte e il mondo dell’impresa, nel vostro caso è ancora più interessante per la linea geografica che disegnate tra Piacenza e Milano, com’è iniziato tutto? Paola Bonino Abbiamo iniziato la collaborazione con Spazio Leonardo - il nuovo contenitore di Leonardo Assicurazioni Generali Milano Liberazione - nel 2018, quando ci è stato proposto di prendere in mano la direzione artistica della “gallery”, la lunga parete di 22 metri situata all’ingresso dell’agenzia. Abbiamo da subito pensato ad una programmazione che rispecchiasse la linea di UNA, ovvero il lavoro con artisti emergenti e un’attenzione particolare alla ricerca e al valore del progetto. Per il 2018 è nato quindi un programma di tre mostre personali di “nostri” artisti : Thomas Berra, Simone Monsi e Irene Fenara; ognuno di loro ha realizzato un progetto site-specific, approcciando in modo del tutto personale questa lunga parete e innescando un dialogo con questo luogo “non deputato” all’arte. Anche per il 2019 abbiamo mantenuto una proposta incentrata su mostre personali di giovani artisti: la mostra ora in corso Across the Border di Filippo Minelli, e le future di Elia Cantori (mostra realizzata in collaborazione con la galleria CAR DRDE di Bologna) e Stefano Serretta.

ST Con quale criterio vengono scelti gli artisti esposti nei vostri spazi e come vengono direzionati nei mondi diversi di Spazio Leonardo e UNA?PB Il punto fondamentale e il criterio preponderante di scelta è il focus sugli artisti emergenti che, attraverso la loro ricerca, siano testimoni attenti e sensibili della nostra contemporaneità. Manteniamo un’attenzione particolare agli artisti italiani, nonostante questo stiamo implementando le collaborazioni con gli stranieri: ne sono un esempio la mostra realizzata nel 2018 a Piacenza in collaborazione con la galleria rumena Sabot e l’imminente mostra personale di Vasilis Papageorgiou (nato a Atene nel 1991), artista che presenteremo anche con un solo show a MIART.

ST Nonostante non siate una galleria che tratta solo digitale avete accolto tanti artisti che lavorano nel campo, potrebbe essere una nuova direzione per il futuro? PB Il programma della nostra galleria si articola su due spazi, Piacenza e Milano, dove proponiamo un totale di 6 mostre all’anno. Prevalentemente ci concentriamo su mostre personali, perchè crediamo sia il modo migliore per approfondire la pratica di un artista, ma può succedere di presentare mostre collettive (come la già citata mostra curata da Sabot) o bipersonali (come la mostra ora in corso - finisce il 23 marzo - di Stefano Serretta e Alessandro Sambini). La nostra galleria non è specificamente dedicata al digitale o ai nuovi media, lavorando però nel contemporaneo, è normale coinvolgere artisti che facciano di questi strumenti il loro principale medium espressivo. Irene Fenara, Simone Monsi e Filippo Minelli sono sicuramente gli artisti della nostra scuderia che più si confrontano con le nuove tecnologie. Irene Fenara (nata nel 1991) studia “il modo di vedere delle macchine”, rubando immagini dalle telecamere di sorveglianza che ci circondano e presentandole, tali e quali, nello spazio espositivo. Il lavoro di Simone Monsi (nato nel 1988) indaga invece le dinamiche di comunicazione di massa caratteristiche dei social network e di Internet, la loro influenza sulla creazione dell’identità individuale contemporanea e sulle relazioni interpersonali. Filippo Minelli (nato nel 1983), infine, si muove in una direzione più antropologica e sociologica, indagando le trasformazioni del paesaggio contemporaneo, la globalizzazione, l’estetica della protesta; i suoi canali di lavoro sono spesso Internet e i social media e predilige il video e la fotografia come strumenti di formalizzazione.

ST Qual è la differenza tra i frequentatori di UNA a Piacenza e Spazio Leonardo a Milano?PB Poca, nel senso il pubblico che viene in galleria a Piacenza è per lo più “extra-cittadino” e una buona fetta viene da Milano. Piano piano qualche piacentino in più si sta avvicinando, ma è un processo lento. Detto questo, sicuramente Spazio Leonardo è per noi un’opportunità preziosa per incrementare la nostra visibilità in città e per tessere nuove relazioni e contatti.

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VEGAPUNK

Vegapunk è un artist run space fondato nel 2013 da Simona Da Pozzo artista visiva nata a Caracas diplomata in regiaall’accademia “Civica Scuola di Cinema di Milano e successivamente ha conseguito il diploma in Visual Arts alla Diplôme National Supérieur d’Expression Plastique a Parigi. Nato come studio d’artista, Vegapunk si apre al pubblico con talk, mostre e residenze. Collabora con artisti dall’approccio analitico il cui discorso si estende al di là del frame artistico per includere ricerche impregnate di Social e Cultural Studies. La relazione tra spazio e tempo, sia in senso fisico che estetico, è uno degli elementi conduttori, come rivela la predilezione per progetti time-based e processuali. Claudia Raniolo

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Claudia Raniolo Quando è nato il vostro spazio e qual è la vostra visione?Simona Da Pozzo Vegapunk è nato nel 2013 come mio spazio quotidiano di vita e lavoro dopo anni di nomadismo tra l’Italia e la Francia. Dopo pochissimo mi è stato chiaro che quel che m’interessa dell’avere un luogo di riferimento fisso è la possibilità di interagire continuativamente con la città e le ricerche/progetti di altri artisti e curatori, ma anche di riversare a Milano una serie di legami costruiti altrove. Le aperture al pubblico sono iniziate come una sorta di report delle mie residenze artistiche che ho chiamato AHA (Artist Hosting Artists): piccole collettive, spesso della durata di un solo giorno, con cui ho presentato artisti conosciuti in Francia, Olanda, Germania, Russia. Lo short format segue da un lato la necessità di preservare lo spazio come dimensione quotidiana di lavoro (Vegapunk è anche un atelier condiviso di artisti e curatori), d’altra parte sottolinea la dimensione discorsiva dell’exhibit concependo la mostra come tempo funzionale alle chiacchiere che suscitano le opere durante gli opening. Questo aspetto relazionale è una sorta di sconfinamento della mia pratica artistica. D’altronde, mettere in luce le pratiche artistiche intese come processo intellettuale e fisico in cui il dialogo (tra persone, formati, discipline) non è accessorio ma fondante, è il focus di Vegapunk.

CR Con quale criterio vengono selezionati gli artisti? SDP Vegapunk non è un progetto curatoriale ma un processo volitivo e curioso di condivisione. Gli artisti accolti sono accomunati da un approccio analitico che fa emergere aspetti liminali della visione. Artisti il cui discorso spesso si estende al di là del frame artistico per includere ricerche impregnate di Social e Cultural Studies. La relazione tra spazio e tempo, sia in senso fisico che estetico, è uno degli aspetti che ritorna più frequentemente attraverso la presentazione di opere time-based.

CR Nella vostra programmazione avete già avuto o avrete degli artisti che lavorano con i media digitali?SDP La dimensione digitale è presente nell’archivio VPK, sia dal punto di vista teorico che pratico, data la facilità e leggerezza con cui le opere digitali viaggiano tra un paese e l’altro. Un esempio è The rage of the Drone in the unprepared discoteque: mostra video realizzata con le opere di alcuni degli artisti incontrati alla Kunstlerdorf Shoeppingen nell’inverno del 2014, tra cui Selma Gültoprak, Bankleer, Paul Wiersbinski, Natalia Saurin. Con Sonar Touch abbiamo presentato il lavoro di Daniela De Paulis, artista visiva incontrata alla Nac Foundation di Rotterdam, attualmente ricercatrice presso la Rietveld Academy di Amsterdam con un progetto sulle trasmissioni interstellari.

CR Puoi parlarmi più ampiamente del lavoro che hanno fatto questi artisti? SDP Sonar Touch è stata una riflessione sul ruolo dell’immagine dello spazio profondo. Nel caso dei video presentati a Sonar Touch, Daniela De Paulis ha utilizzato la tecnologia “Visual Moonbounce”, da lei stessa ideata durante la sua residenza artistica presso il radio-telescopio Dwingeloo in Olanda. Le immagini sono state spedite sulla Luna come segnale radio da una stazione in Brasile e, dopo essere state riflesse dalla superficie lunare, sono state ricevute dal radio telescopio Dwingeloo e riconvertite in immagini. L’evidente distorsione delle immagini è causata dalla grande distanza percorsa dai segnali: circa 768.000 kilometri.

CR Camouflage2018, la mostra personale di Alessandra Arnò e Camouflage #3: puoi dirmi qualcosa su queste tre mostre?SDP Con Push the tempo Alessandra Arnò ha esposto in una personale il risultato di un viaggio di esplorazione riportando nello spazio di Vegapunk le tracce della sua ricerca artistica e teorica fatta di vagabondaggi reali e virtuali. Come un’eremita digitale, dal suo desk, l’artista naviga tra le immagini del web e le contraddizioni della visione, tra isole di tempo premeditato, tra gli archivi on-line che ogni giorno moltiplicano il nostro capitale di immagini all’ennesima potenza, per costruire infine un discorso che si appoggia sul visuale e sulla pratica dell’ecologia della produzione. Con questa mostra, Alessandra ha affermato in modo sintetico e tranchant la sua volontà di demandare al found-footage il principio d’autorialità, postulando la “non-necessità di produrre nuove immagini”. L’insieme delle opere presentava una visione puntuale e acuta sul senso del tempo e della visione, sulla fascinazione visiva e la produzione delle immagini oggi. Camouflage è un progetto pluriennale ideato da Marisol Malatesta e dalla sottoscritta nel periodo in cui lavoravamo entrambe a VPK con il supporto video. Desideravamo creare un’occasione di confronto per giovani artisti che volessero cimentarsi con gli strumenti, i contesti e le dinamiche della videoarte.Dall’edizione Camouflage #3 il progetto è curato, oltre che dalle due ideatrici, anche da Visualcontainer, realtà coinvolta fin da subito nel progetto e con cui Camouflage è cresciuto. Ad ogni edizione abbiamo visto l’implementazione delle azioni e delle realtà coinvolte. Quella del 2018 ha visto una particolare crescita del progetto: lo screening a Milano, la mostra online su VisualcontainerTv, la residenza artistica a Viafarini e il workshop di videoarte a Non Riservato. In primavera inizieremo un tour di presentazione del nuovo bando Camouflage partendo da Torino con una selezione dei video che abbraccia tutte le edizioni realizzate ad oggi.

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