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Elogio dell’ambivalenza: le lettere ascetiche di Sidonio Apollinare tra abbandono e abbracciodel mondovan Waarden, J.A.

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Joop van Waarden (Università di Amsterdam)

Elogio dell’ambivalenza: le lettere ascetiche di Sidonio Apollinare tra

abbandono e abbraccio del mondo

Prof. Pricoco

Quello che segue è un piccolo tributo di ammirazione e di gratitudine al Professor

Pricoco da parte di uno che era ancora studente quando lui cominciò a svolgere il suo

percorso di pubblicazioni nei cinquant’anni tra gli Studi su Sidonio Apollinare e

Eucherii de laude eremi, edizione critica (1965) e Eucherio. Elogio dell’eremo (2014), un

percorso che ha profondamente cambiato la nostra disciplina e cui personalmente

devo moltissimo.

Il quadro

Cominciamo con Eucherio e Lerino. Al dire dello stesso Prof. Pricoco, nella Gallia del

quinto secolo in tempi molto irrequieti ‘Eucherio celebra Lerino che apre le sue

braccia piissime ai naufraghi e li ristora nella sua frescura dalle fiamme del secolo.

Ma il monastero non assicurava solo la pace della coscienza; esso proponeva anche

nuove opportunità alle energie, al talento, all’esperienza dell’aristocrazia.’1

In effetti, la solidarietà aristocratica sotto pressione rimane la caratteristica più

distintiva della mentalità leriniana e si riflette nel concetto del monastero come un

rifugio sicuro. Discendenze di sangue blu sono facilmente dimostrabili, fosse solo per

l'alto livello culturale dei monaci. L'efficacia iniziale di Lérins era dovuta meno alla

sua originalità che allo sforzo concordato di un gruppo di compagni di talento e

fortemente motivati. Il talento organizzativo e le ambizioni carrieriste, che a volte

hanno suscitato avversione e opposizione (particolarmente manifeste nel conflitto di

Ilario, vescovo di Arles, con Leone, vescovo di Roma), hanno condotto Ralph

Mathisen2 a parlare della ‘fazione di Lerino’ e Marc Heijmans e Luce Pietri3 a

Questo intervento fu presentato al seminario ‘Eucherio Elogio dell’eremo. A partire da un libro di

Salvatore Pricoco’, il 13 aprile 2015 al Dipartimento di Scienze Umanistische dell’Università di

Catania. Ripercorre essenzialmente le idee esposte più a lungo nel mio nuovo libro Writing to Survive.

A Commentary on Sidonius Apollinaris, Letters Book 7. Volume 2: The Ascetic Letters 12-18, Lovanio (in

corso di stampa). In quel che segue le traduzioni dei passi citati sono mie. Vorrei ringraziare la

Prof.ssa Rossana Barcellona per aver corretto il mio italiano. 1 S. Pricoco, L’isola dei santi. Il cenobio di Lerino e le origini del monachesimo gallico, Roma, 1978, 64. 2 R. Mathisen, Ecclesiastical Factionalism and Religious Controversy in Fifth-Century Gaul, Washington,

DC, 1989, 69-140.

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rimandare alla ‘“lobby” lerinese’. Molti di coloro che furono addestrati a Lérins

divennero vescovi e per generazioni furono dei vescovi-monaci, con legami diretti o

indiretti con Lerino, a dominare la Gallia sud-orientale: tra i più importanti Onorato,

Ilario e più tardi Cesario ad Arles, Massimo e Fausto a Riez, Eucherio a Lione e Lupo

a Troyes.

Però, il monachesimo vero e proprio, quello istituzionale, non è stato l’elemento più

caratterizzante della vita cristiana nella Gallia del quarto e quinto secolo, che si

distinse, piuttosto, per una grande varietà di iniziative ascetiche personali. Come

Hendrik Dey4 ha osservato per l’Occidente latino in generale: ‘Tra il quarto e il nono

secolo, il monachesimo comunitario governato dai precetti di una regola monastica

era una opzione tra tante e talvolta neanche la più popolare o prevalente’. O, come

Roberto Alciati5 ha commentato, citando Philip Rousseau6: ‘Mentre “alcune famiglie

cristiane si sono gradualmente tramutate in monasteri e conventi di fatto”, non ci

troviamo di fronte a due categorie statiche di organizzazione’. Basta ricordare le

iniziative famose (e talvolta clamorose) di Paolino, di Sulpicio Severo, di Dardano.

Si tratta di un ampio, profondo e duraturo cambiamento di mentalità nei ceti

dirigenti, fondamentale per capire il passaggio dal Mediterraneo tardoantico

all’Europa medievale. Per concettualizzare questa ’esplosione di ascesi’ dal quarto

secolo in poi e quindi inquadrare le lettere ‘ascetiche’ di Sidonio (di cui parlo più

avanti), è utile l’analisi di Robert Markus in The End of Ancient Christianity7, che

sostiene che ’l’ascesi diventava la caratteristica dell’autentico cristianesimo in una

società in cui essere cristiani non faceva ormai molta differenza visibile nella vita di

un uomo' (p. 36). L'ideale evangelico primordiale del 'Siate perfetti', perseguito nel

deserto dal monachesimo primitivo, ora pervadeva la città, grazie a ciò la nozione di

‘monaco’ assunse una precisa connotazione socio-politica (67). Per Markus, ‘la

fusione di deserto e città è uno dei più importanti cambiamenti nel paesaggio

3 M. Heijmans e L. Pietri, ‘Le “lobby” lérinien: Le rayonnement du monastère insulaire du Ve siècle au

début du VIIe siècle’, in Y. Codou e M. Lauwers (a cura di), Lérins, une île sainte de l’Antiquité au Moyen

Âge, Turnhout, 2009, 35–61. 4 H. Dey, ‘Bringing Chaos out of Order. New Approaches to the Study of Early Western Monasticism’,

in H. Dey e E. Fentress (a cura di), Western Monasticism ante litteram. The Spaces of Monastic Observance

in Late Antiquity and the Early Middle Ages, Disciplina monastica 7, Turnhout, 2011, 19-40, p. 23. 5 R. Alciati, ‘And the Villa Became a Monastery. Sulpicius Severus’ Community of Primuliacum’, in H.

Dey e E. Fentress (a cura di), Western Monasticism ante litteram. The Spaces of Monastic Observance in Late

Antiquity and the Early Middle Ages, Disciplina monastica 7, Turnhout, 2011, 85-98, pp. 95-96. 6 P. Rousseau, ‘The Pious Household and the Virgin Chorus: Reflections on Gregory of Nyssa’s Life of

Macrina’, JECS 13 (2005) 165-86, p. 166. 7 R.A. Markus, The End of Ancient Christianity, Cambridge, 1990.

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spirituale della tarda antichità’ e ‘il reclutamento di una gran parte dell'episcopato

gallico dal circolo monastico di Lerino ne è solo un aspetto’ (181). L’affermazione di

Philip Rousseau ‘che gli ideali opportunamente etichettati come “ascetici” furono

iniettati nel mainstream pastorale della chiesa’8 come anche la legittimazione ascetica

dei vescovi studiata da Claudia Rapp9 tendono verso le stesse conclusioni. Rapp10

considera il ‘deserto’ come uno stato mentale di distacco dal mondo, colma così il

divario percepito tra monaci e vescovi – e aggiungo: laici.

Anche i concetti rivali della ‘disciplina del sé’, proposto da Michel Foucault11, e

dell’’interiorizzazione della fede’, avanzato da Charles Taylor12, possono fare luce su

questa nuova mentalità. Per Foucault, l'autodisciplina degli asceti cristiani derivava

da un concetto di sé radicalmente mutato. Da quel momento in poi, ritrovare se stessi

paradossalmente significava rinunciare al sé peccaminoso in favore di un’obbedienza

assoluta. Taylor, al contrario, pone una maggiore enfasi sulla vita interiore

dell'individuo come tratto distintivo della trasformazione culturale e religiosa della

tarda antichità.

Tra i nobili, i conversi – come si dice – aumentano sempre più, sviluppando uno stile

di vita più continente, meno prepotente, meno vistoso, più umile. Il digiuno si

congiunge con la lettura sacra, e si sceglie il ritiro nella solitudine dell’otium rurale.

Non pochi fanno di più: dalla conversio laica e privata accedono a una carriera

ecclesiastica al servizio delle loro città. Il nec plus ultra di questo movimento che si

ritira dalla cultura nell’anticultura, per poi tornare dal ‘deserto’ nella città è, per

Sidonio e il suo ambiente, il monastero di Lerino. Egli e i suoi ‘amici’ furono

affascinati dalla magica modernità dell’isola. Questo aspetto religioso, intimo,

perfino mistico di Lerino non ha mai trovato espressione più lirica che nell’Elogio

dell’eremo, la cui bellissima edizione, nuova di zecca, festeggiamo oggi. È probabile

che Sidonio l’abbia già letto13, quando fa menzione elogiativa del futuro vescovo

della sua città natale Lione nel carme 1614. Non mancano neanche gli altri lerinesi

nell’opera, che parla con profondo rispetto delle desudatas militiae Lirinensis excubias e

8 P. Rousseau, Ascetics, Authority, and the Church in the Age of Jerome and Cassian, Notre Dame, IN, 2010,

xxiv. 9 C. Rapp, Holy Bishops in Late Antiquity. The Nature of Christian Leadership in an Age of Transition,

Berkeley, CA, 2005, pp. 100-52. 10 C. Rapp, ‘Desert, City, and Countryside in the Early Christian Imagination’, CHRC 86 (2006) 93-112. 11 In M. Foucault, Le souci de soi, Parigi, 1984; trad. it. di L. Guarino, La cura di sé, Milano, 1985. 12 In C. Taylor, Sources of the Self. The Making of the Modern Identity, Cambridge, Mass., 1989; trad. it. di

R. Rini, Radici dell’io. La costruzione dell’identità moderna, Milano, 1993. 13 Salvatore Pricoco, Eucherio. Elogio dell’eremo, Bologna, 2014, pp. 78-79 e 102. 14 Carm. 16.115.

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della palaestra congregationis heremitidis, e dipinge quantos illa insula plana / miserit in

caelum montes.15 Avremo occasione di parlarne più a lungo tra poco. I suoi contatti

con i lerinesi come il venerabile Lupo e, prima di tutti, il suo precettore intimo

Fausto, destinatario del carme 16, che l’ha anche battezzato, l’hanno profondamente

condizionato.

Analisi

Per sottoporre alla prova il quadro, che ho qui delineato e che trova più o meno il

consenso degli studiosi contemporanei, vi presento adesso alcuni pensieri che mi

sono venuti mentre stavo elaborando il secondo volume del mio commento al

settimo Libro delle Lettere di Sidonio Apollinare, che sta per uscire fra qualche mese.

Mi concentro sui problemi piuttosto affascinanti che vengono alla luce ad una lettura

paziente.

I Libri VI e VII costituiscono il ‘grande finale’ del corpo originale della

corrispondenza raccolta in sette libri, messo in giro nel 476/77, subito dopo il ritorno

di Sidonio dall’esilio impostogli dal nuovo sovrano dell’Alvernia, il re Visigotico

Eurico. L’intero Libro VI e le prime undici epistole del VII Libro sono indirizzate a

vescovi, mentre le lettere dalla 12 alla 18 del VII si rivolgono a laici continenti, a chi si

trova ai primi gradini della scala gerarchica della chiesa, e a due monaci. Nel mio

commento ho chiamato la prima parte del Libro VII: le Lettere episcopali 1-11, la

seconda Lettere ascetiche: 12-18. Vi do un breve riassunto di queste lettere ascetiche:

12 Il libro ricomincia con una decorosa salutatio publica a Ferreolo, l'ex prefetto

pretoriano della Gallia. È ovvio, Sidonio scrive, che i chierici meritino la precedenza

sui dignitari temporali. Nel caso contrario al suo destinatario sarebbe stata accordata

la prima lettera del libro. Il titolo di gloria di Ferreolo, per quanto si tratti di merito

mondano, si trova nell’aver efficacemente resistito ai sovrani barbarici. Ora, però,

invece di quello di prefetto, il suo titolo di gloria è essere annoverato tra i perfetti di

Cristo.

13 Sidonio elogia un padre per suo figlio, un sacerdote promettente che unisce

eccellenza mondana e zelo religioso: l'ideale del nobiluomo cattolico.

14 Dopo questa celebrazione del valore militare e della prontezza mondana esaltate e

superate da eccellenza religiosa, questa lettera è un virtuoso saggio sul potere dello

spirito di comunicare a grande distanza e di legare insieme gli intellettuali. La mente

umana supera tutto il resto. Il suo potenziale è pienamente realizzato nell’élite

15 Ep. 6.1.3, 7.17.3, 8.14.2, 9.3.4; Carm. 16.109-10.

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ascetica degli intellettuali cristiani. Sidonio, da parte sua, si sforza di imitare il suo

destinatario in uno stile di vita che è intellettualmente gratificante e religiosamente

corretto.

15 Sidonio invita due membri dell’aristocrazia terriera ad unirsi a lui nella città di

Vienne, perché la Chiesa ha bisogno di loro. L'interiorizzazione della fede, pur

essenziale, deve essere adattata alle esigenze dell'istituzione ecclesiastica.

16 Questa lettera è indirizzata ad un abate durante l'ultima fase dell'esilio di Sidonio.

Sidonio gli regala un cappuccio pesante, l'abito del monaco. Questo dono allude sia

all'importanza della vita ascetica che al bisogno di sostegno di Sidonio per

raggiungere la libertà.

17 Questa lettera contiene un epitaffio in versi per l'abate Abramo, un tipico esempio

di 'uomo santo' venerato in Gallia, per dirla con Peter Brown. I versi sono una sintesi

della spiritualità monastica, particolarmente quella che si incontra nella letteratura

leriniana. In questo modo, le lettere 16 e 17 si concentrano sulla spiritualità e la

rinuncia: soprattutto nelle ultime parole prima della fine del libro e dell’intera

corrispondenza scelta.

18 La lettera conclusiva è indirizzata a Costanzo che è anche il destinatario della

prima lettera del I Libro : A te principium, tibi desinet, 'Con te ha cominciato, per te

finirà'. La lettera offre una visione d’insieme della varietà della collezione, rende

conto degli stati d'animo diversi in cui è stata scritta, e include la massima sidoniana:

Numquam me toleraturum animi servitutem, 'Mai tollererò il servilismo mentale'.

Il leitmotiv di queste lettere è il fenomeno dei conversi, che forniscono una sorta di

garanzia che, più le cose cambiano, più esse rimarranno le stesse – almeno fino a un

certo punto. La profonda trasformazione culturale determinata dall'interiorizzazione

da parte dell’aristocrazia galloromana della fede cristiana e la concomitante

conversione allo stile di vita continente spingono Sidonio a rappresentare la nobiltà

come un'élite ancora più magnifica e animata, destinata a funzionare da avanguardia

nel nuovo paesaggio politico: grazie all’ortodossia cattolica sul versante istituzionale

e alla più raffinata Romanitas su quello culturale. La nobiltà è la fucina per la

leadership morale e sociale ed un contrappeso potente contro l’egemonia politica

visigotica.

Però, un quadro di sintesi così – diciamo – lineare e idealizzato nasconde profondi

strappi ed incoerenze. È di questo squilibrio che vi vorrei parlare stamattina.

Prendiamo in rivista una seconda volta le stesse lettere.

Lettera 12

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Questa lettera segna una svolta inaspettata e significativa nel libro VII. Dopo undici

lettere indirizzate a nove vescovi, essa si rivolge ad un laico che è tra gli

amministratori di maggior successo della Gallia, Tonanzio Ferreolo. Il protocollo

epistolare prescrive che dovrebbe trovarsi al primo posto del libro, ma

sorprendentemente egli viene trattato come se fosse il vescovo di rango più basso. La

lettera suggerisce che egli è giunto alla conversio, forse addirittura è stato ordinato

sacerdote. Il messaggio è chiaro ed espressamente dichiarato: 'anche il più umile

chierico viene prima del più alto dignitario'. Perché sente il bisogno di dare questa

lezione Sidonio? Ad un uomo come Ferreolo si sarebbe potuta risparmiare questa

lezione imbarazzante e molto pubblica sulla gerarchia?

Ebbene, Sidonio si rivolge a Ferreolo a questo punto cruciale del libro non a dispetto,

ma a causa del suo grado eminente. Sidonio gli riserva questo posto per farne un

modello del ruolo per eccellenza di una nobiltà che deve adattarsi alla nuova realtà

sociale, ma può trarre un guadagno dal processo storico, aggiungendo l'aura del

rango ecclesiastico alle sue precedenti prerogative. Fondamentalmente, Sidonio

sostiene, è un vantaggio per un nobile essere classificato fra i vescovi, perché questo

significa partecipare – per usare la metafora della sezione 4 della lettera – allo stesso

'banchetto festivo' (cum epulum festivitas publica facit). Siccome la priorità del sacro è

indiscutibile, non c’è vergogna nel cenare ‘come l'ospite più basso’ (conviva postremus)

al primo tavolo. Anzi, Tonanzio pienamente merita il suo posto (iustius fieri) perché si

è convertito ad una vita più religiosa (inter perfectos Christi).

Riteniamo che la conversione all’ascesi e al servizio della Chiesa, l’avere deposto

l’abito mondano, non muta per nulla l’atteggiamento discriminante di chi è sensibile

alle posizioni gerarchiche e al raggiungimento di status. Tonanzio non conta per

essere inter pauperes Christi, ma perché si trova inter perfectos Christi per il solo fatto di

avere mutato atteggiamento spirituale. Già nel 1965 Friedrich Prinz ha segnalato

questo fenomeno, difinendolo ‘Selbstheiligung’ (auto-santificazione)

dell’aristocrazia.16

Lettera 13

A confermarlo è la lettera 13. Dopo aver introdotto il tema del nobile cristiano che

unisce il meglio dei due mondi, laico ed ecclesiastico, nella lettera 12, Sidonio

fornisce un esempio di come questo funzioni in pratica nella lettera 13. Lo parola

chiave è ‘equilibrio’, un attraente equilibrio tra distanza e coinvolgimento, fiducia in

16 Friedrich Prinz, Frühes Mönchtum im Frankenreich. Kultur und Gesellschaft in Gallien, den Rheinlanden

und Bayern am Beispiel der monastischen Entwicklung (4. bis 8. Jahrhundert) (prima edizione 1965, seconda

edizione con ‘Nachtrag’ 1988), Darmstadt, 19882, pp. 489-93 e 656-57.

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se stessi e umiltà. Il suo esempio, un giovane prete, Imerio, è sia un vero gentiluomo

che un vero cristiano. È efficace nelle riunioni ma mai fastidioso, è un appassionato

lettore, ma principalmente di libri religiosi, dà precedenza agli altri senza chiedere

nulla in cambio ed è in sintonia con le esigenze dei suoi interlocutori. Segue un

regime di digiuno senza ostentazione o fanatismo. Si può dire che Cristo lo guidi in

ogni azione.

Questo esemplare ritratto è incorporato in un'epistola al padre di Imerio, Sulpicio,

che così riceve i complimenti del Nostro per il figlio meraviglioso. Il nuovo nobile

cristiano è saldamente ancorato nella tradizione di famiglia. Le famiglie cristiane

incarnano la speranza per il futuro. Sulpicio conduce una vita appartata da conversus

nella sua tenuta di campagna. Però, pur ammirando questo secessus, Sidonio cerca

sempre il contrappeso di una vita attiva. Scrivendo da Lione, è soprattutto contento

di potere sostituire Sulpicio con Imerio nelle attività ecclesiastiche della città.

Nondimeno, in questo ritratto aristocratico i tratti ascetici hanno un forte rilievo

accentuato dai rimandi al Sermone della Montagna, agli Statuta ecclesiae antiqua di

Gennadio di Marsiglia, alle regole monastiche -inclusa quella di Basilio

(probabilmente nella traduzione di Rufino)-, come neanche nel profilo monastico di

Fausto che lo stesso Sidonio aveva delineato nel carme 16. Il fascino ascetico, il

fascino lerinese, si è impadronito delle menti della gente.

Lettera 14

La lettera 14 è tra le più lunghe e più ambiziose dell’Alverniate. Si appropria della

filosofia neoplatonica, tramite il trattato De statu animae dell’amico Claudiano

Mamerto, per fondare la priorità della mente umana, a cui corrisponde

un’elaborazione del topos della miseria del corpo umano accentuata dal confronto

con il mondo vegetale ed animale. Poi l’autore distingue la parte superiore e più

raffinata della mente umana che, a suo dire, appartiene agli intellettuali cristiani del

ceto più elevato, cioè a lui stesso e ai suoi amici, che si capiscono l’un l’altro oculo

cordis.

Però anche qui c’è dell’attrito tra ideali diversi. Come si sa, l’emanazione in senso

neoplatonico culmina in Dio. Anche Claudiano, da cristiano, pensava così. Ma nel

servirsi del De statu animae Sidonio fa tutt’altra cosa: il suo mondo apparentemente

culmina nell’intellettuale aristocratico. Finché non arriviamo all’epilogo della lettera

in cui l’autore si dichiara ammiratore ed imitatore dello stile di vita e delle

aspirazioni spirituali del destinatario. Dalla mia analisi puntuale risulta una

somiglianza sorprendente con i vizi e le virtù nominati nella Psychomachia di

Prudenzio e negli Instituta monachorum di Cassiano: pax, concordia, heresis, discordia,

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fides, avaritia, luxus, humilitas, superbia, simplicitas, patientia, ira, sobrietas, luxuria in

Prudenzio, acedia, avaritia, tristitia, superbia, ira, gula in Cassiano. Alla fin fine il nobile

orgoglioso inchina il capo davanti alla disciplina monastica. Certo, ma c’è un’ultima

sorpresa. Quando Sidonio elenca i tratti in cui assomiglia al destinatario Filagrio o

per i quali gareggia con lui, il confronto raggiunge proporzioni comiche: mentre a

Filagrio piace gente tranquilla, Sidonio ama perfino i pigri; Filagrio odia i barbari

malvagi, Sidonio anche quelli buoni; Filagrio assomiglia a un ecclesiastico, Sidonio è

un ecclesiastico in carne e ossa, e così via. La serietà è mascherata da autoironia,

l'intellettuale aristocratico, pur serio, non vuole essere catturato in nessuna

definizione limitativa.

Lettera 15

Più intima e più sottile è la lettera seguente. Si rivolge a due fratelli, dei quali almeno

uno – il destinatario Salonio - è chierico come Sidonio. Essi si occupano moltissimo

delle loro case e della tenute di campagna. Il Nostro lamenta che non si dedicano

abbastanza alla chiesa urbana. Tranne che nei riferimenti alla politica e ai danni che

le loro proprietà hanno subito da parte dei Burgundi, nel resto della lettera c’è un

innegabile livello allegorico, evocato dal vocabolario (recepta possessio, tum vere

propriam terram fecundabitis), che rapporta il podere al secessus proto-monastico e la

cura delle terre dei due fratelli a quella della ‘terra’ dell’anima, cura propria del

monaco intento a perfezionarsi.

Inoltre ho trovato modo di supporre che Salonio appartenga alla famiglia degli

Eucherii in cui il nome Salonio era comune. Come membri della generazione più

giovane, lui e suo fratello sarebbero ammoniti da Sidonio a continuare la tradizione

familiare di coinvolgimento sia con la spiritualità di stile lerinese sia con l'episcopato

della regione del Rodano. Ad un certo punto tra il 411 e il 423, Eucherio si era ritirato

con la sua famiglia a Lerino per poi diventare vescovo di Lione negli anni 430. Con

Onorato è il dedicatario delle Conlationes di Cassiano. I figli Salonio e Verano erano

anche stati – o erano ancora – vescovi. Il primo vescovo di Ginevra dal 439, dove il

suo successore Teoplasto è attestato nel 470/77; questo Salonio è il dedicatario del De

gubernatione Dei di Salviano. Verano fu vescovo di Vence dal 450 (e potrebbe essere il

Verianus [sic], che è tra i destinatari della lettera di Lucido al Concilio di Arles nei

primi anni ’70 del V secolo). Si vede che il coinvolgimento della famiglia con Lerino è

profondissimo. Suppongo che qui nella Lettera 14 incontriamo due membri della

terza generazione.

Lettera 16

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Indirizzata ad un abbate che si può immaginare fosse influente presso il re

Visigotico, questa lettera richiede il suo sostegno per realizzare finalmente la piena

riabilitazione del vescovo Alverniate. Il cappuccio pesante invernale che

l’accompagna è un pio tributo al chierico importante e, allo stesso tempo, sottolinea il

fatto che l’’inverno’ dell’esilio non è ancora finito. Mette dunque semplicemente in

rilievo sia il prestigio della condizione monastisca sia l’importanza di un vescovato

autonomo. Ma nulla è semplice in Sidonio. Se il vescovo esiliato regala un

nocturnalem cucullum – così la formulazione – allude a qualcosa tutt’altro che pia, cioè

all’imperatrice adultera di Giovenale 6.118 che prende due cuculli per la notte, sumere

nocturnos meretrix Augusta cucullos, e all’altro adultero di 8.144-45 che, anche lui, si

nasconde sotto un cappuccio, si nocturnus adulter / tempora Santonico velas adoperta

cucullo. La condizione monastica, pur santa, e la dignità vescovile, pur essenziale,

non escludono tra intellettuali una battuta spinta con una strizzata d’occhio alla

letteratura pagana.

Lettera 17

E, infine, -poiché la Lettera 18 che è la sphragis della collezione non entra nella nostra

discussione- la Lettera 17 contiene il bellissimo e cristianissimo epitaffio per l’abate

alverniate Abramo. È stracolmo di espressioni e motivi cari all’ascesi, quali

martyrium, sudori corona, peregrinus, patria, e ancora la rappresentazione del corpo

umano come tempio di Dio e l'annullamento dovuto alla caduta di Adamo. Vi si

sottolineano, inoltre, i valori dell'umiltà e della povertà (il poeta non trascura

l’occasione per inserire anche una mini-Laus urbium sulla scia di Ausonio). Lascio da

parte la lotta con il comes visigotico Vittorio, che inquadra questo componimento,

dentro il conflitto sulla precedenza nella gestione della sepoltura (comes o vescovo?).

Ma vorrei fare riferimento esplicito alla chiusa della lettera, in cui Sidonio incarica il

destinatario Volusiano di assumere la leadership della comunità vacillante e di

riformarla secundum statuta Lirinensium patrum vel Grinincensium, ‘secondo la regola

dei patri di Lerino e di Grigny [tra Lione e Vienna]’. Il libro VII e l’intera collezione si

chiudono sotto l’egida di Lerino. Il vescovo Sidonio, nel riformare la sua diocesi dopo

l’esilio, per rilanciare un futuro a lui caro, si orienta verso i principi lerinesi.

Ambivalenza

Tocchiamo il problema centrale che mi sono posto per questa conferenza, per capire

il quale vorrei, a conclusione, suggerire una soluzione alternativa.

Il problema è la natura sfuggente dell’atteggiamento di Sidonio nei confronti

dell’ascesi: talvolta sembra serio e devoto, talvolta pure serio ma pagano, una terza

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volta prende in giro cose sacre che gli stanno comunque a cuore; aristocratico altero e

cristiano umile allo stesso tempo. Sembrano troppe sfumature per costruire una

coerente persona auctoris. Più in generale, per il suo milieu, il problema è spesso

definito così: come mai un movimento anticulturale, quello dell’ascetismo, si è

trasformato – o così sembra – nel suo opposto, cioè in un ulteriore vantaggio per

l’aristocrazia? Da sempre c’è uno stallo: la ricerca rimane allo stesso punto perché in

Sidonio non vede altro che mezz’uomo: cristiano mancato e pagano mancato, e nel

ceto aristocratico un consorzio di abili manipolatori del zeitgeist a propri scopi.

La verità è che non progrediremo mai in questo punto essenziale se non rovesciamo

il ragionamento. Vorrei postulare la tesi che l’ascetismo è un fenomeno di per sé

ambivalente. Ed è il fenomeno fondamentale della cultura gallica dal quarto al sesto

secolo: una cultura pioniera che nella crisi sperimenta un modello inedito della vita

umana, in bilico tra politica e religione, terra e cielo. Già nel 1979 Franca Ela

Consolino in Ascesi e mondanità l’ha definito in modo esemplare: ‘un nuovo ideale

dell’uomo, né interamente clericale né interamente secolare’.17 Purtroppo questa

premessa finora non è mai stata valutata fino in fondo.

Per togliersi dall’imbarazzo, si è creata una falsa opposizione tra vescovi-monaci,

come Eucherio e Fausto, che sarebbero spiritualmente motivati, e vescovi-senatori,

come Sidonio e Ruricio, motivati politicamente. Questa opposizione, proposta da

Prinz nel 196518 e sviluppata dalla stessa Consolino19, a torto -mi sembra- trasforma

un fenomeno storico contingente in una caratteristica strutturale di un'età

presumibilmente polarizzata. Io invece vorrei sottolineare l'osmosi tra sfere politiche

e religiose in ambedue le categorie e, oltre, nella società, cioè la nascita di un modo di

pensare e di vivere per cui l’ambivalenza non è un vizio ma una qualità. ‘Questa

visione conciliante’ di Sidonio e la sua cerchia non è per niente aliena dallo spirito di

Lerino, come si è sostenuto20, ma si nutre dalle stesse radici, quelle dell’ambivalenza

ascetica. L’intellettuale non sfrutta la situazione. Se ne è parte integrante, in quanto

figlio del suo tempo, come potrebbe manipolarla arbitrariamente? Peraltro, anche

Lerino è un cenobio pieno di intellettuali e di nobili. E ciononostante, in tutti i

contemporanei c’è il desiderio profondo di essere diversi, di essere puri, di essere

asceti.

17 Franca Ela Consolino, Ascesi e mondanità nella Gallia tardoantica. Studi sulla figura del Vescovo nei secoli

IV-VI, Napoli, 1979, p. 96. 18 Prinz, Frühes Mönchtum, pp. 59-60. 19 Consolino, Ascesi e mondanità, pp. 10-11. 20 Ancora Consolino, Ascesi e mondanità, p. 98.

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È dunque indispensabile una migliore comprensione del fenomeno dell'ascetismo.

Vorrei chiarire la sua natura fondamentalmente ambivalente e il suo ruolo vitale, più

che tecnicamente religioso, nella cultura umana. Mi riferisco alla monografia The

Ascetic Imperative in Culture and Criticism di Geoffrey Harpham.21 Harpham dimostra

che l’ascetismo è una cosa fondamentalmente ambivalente: nega il corpo,

concentrandosi su di esso, si ritira nel deserto, introducendovi la cultura. Nel suo

libro collega l'ambivalenza dell’ascetismo alla più ampia questione della cultura

umana. Una citazione:

Ma questo anticulturalismo apparente [dell’ascetismo cristiano tardoantico]

non deve oscurare il fatto che i padri del deserto hanno portato il Libro nel

deserto e servirono da apostoli di una cultura testuale nel dominio del

naturale. L’ascetismo non condanna semplicemente la cultura né l’approva

semplicemente. L’ascetismo, potremmo dire, pone il problema della cultura

proprio per il fatto che crea un'opposizione tra cultura e il suo contrario.22

Io direi che questa è la stessa ambivalenza di quella segnalata da Max Weber, quando

distingue tra ascesi intramondana (‘innerweltlich’) ed extramondana

(‘außerweltlich’): da un lato la forza che spinge l'uomo a fuggire il mondo, perché

rappresenta una tentazione mortale, dall’altro la spinta ad abbracciarlo, perché è un

dono di Dio e una responsabilità dell’uomo – entrambe le scelte sono pensate per

condurre alla salvezza23. La diversità della scelta può corrispondere a persone diverse

oppure essere un dilemma per uno stesso individuo. Come ha dimostrato Sigmund

Freud, ‘siamo ambivalenti nei confronti di ognuno e di tutto ciò che conta per noi;

ambivalenza è infatti il modo in cui prendiamo coscienza che qualcuno, o qualcosa, è

diventato importante per noi’.24 Direi che nel periodo che studiamo questa

ambivalenza tra intra- ed extramondano si è singolarmente concentrata in una stessa

cultura fino ad esserne il marchio inconfondibile e unico.

E cito ancora Harpham per definire ciò che egli chiama ‘l'imperativo ascetico’ come

forza culturale profondamente umana:

21 Geoffrey G. Harpham, The Ascetic Imperative in Culture and Criticism, Chicago, 1987. 22 Harpham, The Ascetic Imperative, xii. 23 Vedi, e.g., Daniela Triggiano, Introduzione a Max Weber. Da Economia e società a Sociologia della

religione, Roma 2008, 123. 24 Vedi A. Phillips, ‘Against Self-Criticism’, London Review of Books 37.5 (2015) 13-16.

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Considerando la base ascetica della cultura [...] scopriamo che parte integrante

dell'esperienza culturale è un'inquietudine, un desiderio ambivalente per il

pre-culturale, il post-culturale, l’anti-culturale o l’extraculturale.25

Nessuna meraviglia, quindi, che la posizione di Sidonio sia ambivalente. Non

sarebbe potuto essere altrimenti. L’etica tradizionale (cinismo, stoicismo) e quella del

cristianesimo, si incontrano mettendo in discussione la società così com'è e toccando

la posizione morale di tutti, dando vita a un equilibrio nuovo, sempre temporaneo e

sempre ambivalente, personale, variamente determinato dalle circostanze di ogni

individuo. Questa nuova mentalità pervasiva si esprime dunque in un continuum di

modalità, tra cui sono non solo la spiritualità ascetica e l’ambizione clericale, ma

anche il culto delle reliquie, la credenza nei miracoli, la venerazione dell’uomo santo,

il fiorire della liturgia allo scopo di struttuare le comunità, la cura dei poveri, la

scoperta dell’umiltà – per citarne solo alcune. Qui concentrandoci sull’ascetismo e

particolarmente su quello di Lerino, potremmo collocare Eucherio ad una estremità

di questa gamma, con la sua celebrazione lirica del deserto (De laude eremi) e il suo

appello ispiratore a convertirsi (De contemptu mundi), e Sidonio, con il suo ricorso

mondano all’ascetismo, all’altra. Però, respirano la stessa aria, certamente non da

persone opposte l’una all’altra, ma differenziate a secondo della generazione, del

posto nella società, degli scopi, dei gusti e della personalità. Inoltre, non

dimentichiamo mai quanto la nostra conoscenza rimanga parziale e mutila sia di

Lerino sia di Sidonio. Per quanto riguarda il vescovo alverniate, è particolarmente

grave la perdita della sua produzione di liturgista, agiografo e poeta religioso.26 Il

percorso tracciato da Philip Rousseau, ‘in cerca di Sidonio vescovo’,27 e ulteriormente

mappato da Françoise Prévot28 è ancora molto rilevante.

25 Harpham, ibid. 26 Joop van Waarden, ‘Sidonio Apollinare, poeta e vescovo’, VetChr 48 (2011) 99-113. 27 Philip Rousseau, ‘In Search of Sidonius the Bishop’, Historia 25 (1976) 356-77. 28 Françoise Prévot, ‘Origène, Lactance, Jérôme et les autres: la culture chrétienne de Sidoine

Apollinaire’, Bulletin de la Société nationale des antiquaires de France 1995, 215-28, e ‘Sidoine Apollinaire

pasteur d’âmes’, AnTard 5 (1997) 223-30.