148
Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea in Fisica INTRODUZIONE ALLA FISICA MODERNA ROSARIO ANTONIO LEO Anno Accademico 2010/2011

Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

  • Upload
    vocong

  • View
    220

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

Università del Salento

FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALICorso di Laurea in Fisica

I N T R O D U Z I O N E A L L A F I S I C A M O D E R N A

R O S A R I O A N T O N I O L E O

Anno Accademico 2010/2011

Page 2: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

I N D I C E

nozioni elementari . richiami v1 Punto materiale v

1.1 Esempio: pendolo semplice vi2 Sistemi di particelle ix

i meccanica analitica 1

1 principio di d’alembert ed equazioni di lagrange 2

1.1 Vincoli 2

1.1.1 Definizioni 2

1.1.2 Classificazione dei vincoli 2

1.2 Gradi di libertà e coordinate lagrangiane 3

1.3 Principio di d’Alembert ed equazioni di Lagrange 3

1.3.1 Esempi nel caso statico 7

1.3.2 Esempio nel caso dinamico 8

1.4 Potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione 9

1.4.1 Potenziali generalizzati 9

1.4.2 Equazioni di Lagrange in presenza di forze non derivabilida un potenziale 10

1.4.3 Trasformazioni di gauge e lagrangiana di una particella im-mersa in un campo elettromagnetico 11

2 principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagran-ge 15

2.1 Principio di Hamilton 15

2.2 Applicazioni del calcolo delle variazioni 19

2.2.1 Cammino più breve fra due punti in un piano 19

2.2.2 Il problema della brachistòcrona 21

2.3 Leggi di conservazione 24

2.3.1 Coordinate cicliche 24

2.3.2 Funzione energia 26

3 applicazioni delle equazioni di lagrange 28

3.1 Problema dei due corpi 28

3.1.1 Movimento in un campo centrale 29

3.1.2 Il problema di Keplero 33

3.2 Piccole oscillazioni 37

3.2.1 Impostazione del problema 37

3.2.2 Riepilogo 41

3.2.3 Osservazioni 41

3.2.4 Un particolare problema 42

4 formalismo hamiltoniano 47

4.1 Equazioni di Hamilton 47

4.1.1 Un esempio 52

ii

Page 3: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

Indice

4.2 Notazione simplettica 53

4.3 Coordinate cicliche e metodo di Routh 54

4.4 Principio variazionale di Hamilton modificato 57

4.5 Parentesi di Poisson 58

4.6 Trasformazioni canoniche 60

4.7 Equazioni di Hamilton-Jacobi 69

4.8 Variabili angolo-azione nel caso unidimensionale 72

4.8.1 Esempio: l’oscillatore armonico unidimensionale 72

Riferimenti bibliografici della parte i 75

ii relatività ristretta e introduzione alla meccanica quan-tistica 76

5 relatività speciale 77

5.1 Trasformazioni di Lorentz 77

5.1.1 Premessa 77

5.1.2 Concetto di evento 77

5.1.3 Principio di inerzia 78

5.1.4 Postulati della Relatività Ristretta e trasformazioni di Loren-tz 78

5.2 Alcune conseguenze delle trasformazioni di Lorentz 84

5.2.1 Legge di trasformazione delle velocità 84

5.2.2 Contrazione delle lunghezze 86

5.2.3 Dilatazione dei tempi 87

5.3 Lo spazio di Minkowski 88

5.4 Quadrivelocità e quadriaccelerazione 92

5.5 Dinamica relativistica 94

5.6 Energia cinetica e momenti 95

5.7 Quadrimomento, tensore momento angolare 97

5.8 Equazioni del moto 98

5.9 Meccanica analitica relativistica (cenni) 99

5.9.1 Carica in moto in un campo elettromagnetico 102

5.10 *L’interferometro di Michelson e Morley 104

6 introduzione alla meccanica quantistica 107

6.1 *Il corpo nero 107

6.2 Effetto fotoelettrico 110

6.3 Effetto Compton 112

6.4 Onde di materia di de Broglie 113

Riferimenti bibliografici della parte ii 116

iii appendici 117

a la successione di fibonacci 118

b la trasformata di legendre 120

b.1 Definizione 120

c simbolo di levi-civita 124

iii

Page 4: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

Indice

d calcolo della costante di radiazione 126

e note sulle unità di misura 128

f costanti fisiche fondamentali 129

Riferimenti bibliografici delle appendici 131

Indice analitico 132

iv

Page 5: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

N O Z I O N I E L E M E N TA R I . R I C H I A M I

1 punto materiale

L’idea di punto materiale è uno dei concetti di base della meccanica analitica. Ilpunto materiale è caratterizzato dalla sua massa. La posizione di un punto mate-riale in un sistema di riferimento Oxyz, supposto inerziale salvo avviso contrario,è determinata dal raggio vettore r = xx + yy + zz. Definiamo velocità

v =drdt

= xx + yy + zz,

quantità di moto

p = mv,

e accelerazione

a =dvdt

=d2rdt2 .

Sappiamo che, in un sistema di riferimento inerziale, valgono i principi delladinamica. Se F è la forza risultante agente sulla particella di massa m si ha che,per il secondo principio della dinamica,

F =dpdt

= mdvdt

= ma, (1)

con m supposta costante rispetto al tempo.Supponiamo che la particella sia libera. Allora x(t), y(t), z(t) sono tra loro

indipendenti. Se F = F (r, v, t) = F (x, y, z; x, y, z; t) dalle (1) otteniamo:

mx(t) = Fx (x, y, z; x, y, z; t) ,

my(t) = Fy (x, y, z; x, y, z; t) ,

mz(t) = Fz (x, y, z; x, y, z; t) .

(2)

Assegnate le condizioni iniziali r(0) = r0 e v(0) = v0, se in un intorno di (r0, v0, 0)le funzioni Fx, Fy e Fz sono “buone” (per esempio sono lisce, cioè sono di classeC∞), allora il sistema di equazioni (2) per t > 0 ammette, almeno in un intornodi (r0, v0, 0), un’unica soluzione. Viene così soddisfatto, almeno localmente, ilprincipio deterministico newtoniano. Le equazioni (2) sono dette equazioni delmoto.

Osservazione. La quantità di moto si conserva, cioè p è costante, se F = 0 identica-mente.

v

Page 6: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

nozioni elementari . richiami

Definiamo momento angolare della particella rispetto a O

LO = r× p = mr× v. (3)

Definiamo momento della forza F (o momento torcente) rispetto al punto O

dLO

dt= r× dp

dt= r× F ≡ NO. (4)

Dalla (4) si vede che il momento angolare si conserva, cioè LO è costante, seNO = 0 identicamente. Per esempio se consideriamo F forza centrale tale cheil centro della forza è O, allora NO = 0 e quindi LO è costante. Il momentoangolare della particella rispetto a un punto O′ individuato rispetto a O dal vettoreposizione rO′ è dato da

LO′ = (r− rO′)× p.

Si vede facilmente che

dLO′

dt= (r− rO′)× F − drO′

dt× p = NO′ −

drO′

dt× p ,

dove NO′ è il momento delle forze rispetto a O′.Se F è una forza conservativa allora F = −∇U (r), dove U (r) è l’energia

potenziale.Indichiamo con T = mv2/2 l’energia cinetica della particella. Sappiamo che se F è

una forza conservativa vale il principio di conservazione dell’energia meccanica:

T + U = costante.

Ricordiamo che vale, anche se la forza non è conservativa, il teorema dell’energiacinetica:

L =∫ B

AF · dr =

12

mv2B −

12

mv2A = TB − TA.

1.1 Esempio: pendolo semplice

Studiamo il moto del pendolo in figura 1. Le forze agenti su m sono

T + P = ma.

La componente radiale della risultante è uguale a

T −mg cos θ = mv2

l,

mentre la componente trasversa è

−mg sin θ = maT

vi

Page 7: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

1 punto materiale

x

y

U = 0m

θl

P

T

Figura 1: Il pendolo semplice.

dove aT è la componente trasversa dell’accelerazione. In generale, per un motonel piano abbiamo, in coordinate polari:

r = rr,

v =drdt

= rr + rdrdt

= rr + rθn,

a =dvdt

=ddt

(rr + rθn) = rr + rθn + rθn + rθn− rθ2r =

= (r− rθ2)r + (rθ + 2rθ)n.

Nel caso particolare del pendolo semplice r = l = costante, quindi l’accelerazionetrasversa è data da:

aT = lθn = −g sin θn,

da cui ricaviamo

θ +gl

sin θ = 0. (5)

Questa è una equazione differenziale non lineare e la soluzione è una funzione el-littica. L’equazione diventa lineare se supponiamo che le oscillazioni siano piccolein modo da poter porre sin θ ≈ θ. In questo caso risulta:

θ +gl

θ = 0.

La soluzione di questa equazione è

θ = θ0 cos(ωt− ϕ0)

dove θ0 e ϕ0 sono determinati dalle condizioni iniziali, mentre ω =√

g/l. Ilpendolo oscilla con periodo

T =2π

ω= 2π

√lg

.

vii

Page 8: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

nozioni elementari . richiami

Nel caso in cui le oscillazioni non siano piccole, si dimostra che il periodo delpendolo è dato da

T = 2π

√lg

(1 +

122 sin2 θm

2+

32

2242 sin4 θm

2+ · · ·

),

dove θm è l’ampiezza angolare delle oscillazioni.L’equazione del moto del pendolo può essere ricavata anche nel modo seguente:

{x = l cos θ

y = l sin θ=⇒

{x(t) = −lθ sin θ

y(t) = lθ cos θ. (6)

Allora v2(t) = x2(t) + y2(t) = l2θ2. Applicando il principio di conservazionedell’energia abbiamo:

E =12

mv2(t) + mgl(1− cos θ(t)) =12

ml2θ2 + mgl(1− cos θ(t)).

Poiché E = costante deve risultare

dEdt

= ml2θθ + mglθ sin θ = ml2θ(

θ +gl

sin θ)= 0

da cui

θ +gl

sin θ = 0,

cioè la (5). In generale θ 6= 0.Il moto del pendolo può ancora essere dedotto in questo modo. Abbiamo

LO = r×mv = m(l cos θx + l sin θy)× (−lθ sin θx + lθ cos θy) =

= ml2θz.

L’unico contributo al momento torcente è quello della forza peso, quindi

NO = r× P = (l cos θx + l sin θy)× (mgx) = −lmg sin θz.

Dunque, ricordando la (4), abbiamo:

dLO

dt=

dL0

dtz =

dml2θ

dtz = ml2θz = −lmg sin θz

da cui

θ +gl

sin θ = 0,

cioè di nuovo la (5).

viii

Page 9: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

2 sistemi di particelle

Esercizi

1. Studiare il moto di una particella di massa m soggetta alla forza

F = −kr− αv (k, α > 0)

dove r vettore posizione della particella e v velocità, con le condizioni inizialir(0) = r0 6= 0 e v(0) = v0 ‖ r0.

2. Studiare il moto di una particella di massa m e carica q in un campo magne-tico B uniforme e costante. Siano r(0) = r0 e v(0) = v0 6= 0.

3. Studiare il moto di una particella di massa m e carica q in un campo elettricoE e in un campo magnetico B, uniformi e costanti e tra loro ortogonali.

2 sistemi di particelle

Supponiamo di avere un sistema di N particelle puntiformi. Sia Oxyz il sistema diriferimento (inerziale). Siano mi e ri rispettivamente la massa e il vettore posizionedell’i-esima particella. Definiamo centro di massa

rCM =∑N

i=1 miri

M,

con M = ∑Ni=1 mi. Detta inoltre vi = dri/dt la velocità dell’i-esima particella, la

velocità del centro di massa sarà:

vCM =∑N

i=1 mivi

M.

Definiamo infine la quantità di moto

pCM =N

∑i=1

mivi = MvCM.

Osserviamo che la quantità di moto è una grandezza additiva. Ogni particella delsistema interagisce con le altre particelle e con il mondo esterno. Sia Fji la forzache la j-esima particella (j 6= i) esercita sulla i-esima. Se vale la forma debole delprincipio di azione e reazione allora

Fij + Fji = 0.

Per la seconda legge della dinamica

dpi

dt= Fi = F(e)

i +N

∑j=1j 6=i

Fji ,

ix

Page 10: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

nozioni elementari . richiami

dove Fi è la forza totale agente sulla i-esima particella, F(e)i è la forza totale esterna

agente sulla i-esima particella e ∑Nj=1,j 6=i Fji è la forza totale interna agente sulla

i-esima particella. Poiché ∑Ni=1 ∑N

j=1,j 6=i Fji = 0 allora

dpCM

dt=

N

∑i=1

dpi

dt=

N

∑i=1

F(e)i = F(e),

dove F(e) è la risultante delle forze esterne. Se F(e) = 0 allora pCM è costante equindi il centro di massa si muove di moto rettilineo uniforme, assumendo che lamassa M sia costante. Definiamo momento angolare del sistema di N particellepuntiformi rispetto a O

LO =N

∑i=1

ri × pi.

Si ricava banalmente che

dLO

dt=

N

∑i=1

ri × Fi = NO.

Osserviamo che se vale la forma forte del principio di azione e reazione, cioè se(ri − rj

)× Fji = 0 ∀i, j 6= i, allora

NO =N

∑i=1

ri × F(e)i = N(e)

O .

Se N(e)O = 0 allora LO è costante.

Sia r′i il vettore posizione dell’i-esima particella rispetto al centro di massa, cioèsi ha r′i = ri − rCM. Allora

LO =N

∑i=1

(rCM + ri − rCM)× pi = rCM × pCM + LCM.

Definiamo energia cinetica del sistema di N particelle

T =N

∑i=1

12

miv2i .

Vale ancora il teorema dell’energia cinetica:

L =N

∑i=1

∫ 2

1Fi · dri = T2 − T1,

dove 1 e 2 sono rispettivamente le configurazioni iniziale e finale del sistema.Osserviamo che

N

∑i=1

∫ 2

1Fi · dri =

N

∑i=1

∫ 2

1F(e)

i · dri +N

∑i=1

N

∑j=1j 6=i

∫ 2

1Fji · dri

x

Page 11: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

2 sistemi di particelle

e inoltre

Fji · dri + Fij · drj = Fji ·(dri − drj

)= Fji · drji

con Fji · drji 6= 0 in generale.Se tutte le forze sono conservative allora

L =N

∑i=1

(U(e)

i (1) −U(e)i (2)

)+

12

N

∑i,j=1j 6=i

(Uij(1) −Uij(2)

).

Vale il principio di conservazione dell’energia meccanica:

T + U = T +N

∑i=1

U(e)i +

12

N

∑i,j=1i 6=j

Uji = costante.

Esercizi

1. Dimostrare che

dLCM

dt= NCM,

con LCM = ∑Ni=1(ri − rCM)× pi e NCM = ∑N

i=1(ri − rCM)× Fi.

2. Dimostrare che

LCM =N

∑i=1

(ri − rCM)× p′i,

con p′i = mi (vi − vCM).

xi

Page 12: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea
Page 13: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

Parte I

M E C C A N I C A A N A L I T I C A

Page 14: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

1P R I N C I P I O D I D ’ A L E M B E RT E D E Q U A Z I O N I D I L A G R A N G E

1.1 vincoli

1.1.1 Definizioni

Fissato un sistema di riferimento inerziale, la posizione di una particella punti-forme è, a ogni istante, individuata dal vettore r(t). La particella è libera se nonè soggetta ad alcuna condizione che ne limiti la traiettoria; in caso contrario sidice che essa è vincolata. Allo stesso modo per un sistema di N particelle, setutte le particelle che costituiscono il sistema sono libere, il sistema è detto libero;altrimenti si dice che è vincolato.

La presenza di vincoli comporta l’introduzione di forze che agiscono sulle par-ticelle limitandone la mobilità. Queste forze sono dette forze vincolari o reazionivincolari. Chiameremo attive le forze che non sono dovute a vincoli.

1.1.2 Classificazione dei vincoli

Classifichiamo i vincoli:

• In base alla forma delle relazioni che legano le coordinate delle particelle:

– vincoli olònomi: possono essere espressi da relazioni del tipo

f (r1, r2, . . . , rN , t) = 0. (1.1)

Il sistema si dirà, in tal caso, olonomo. Per esempio:

∗ una particella che si muove nel piano xy lungo la retta y = mx + q;

∗ il corpo rigido: le reazioni vincolari sono del tipo ‖ri− rj‖2− c2ij = 0

(la distanza tra due punti generici del corpo rigido è costante);

– vincoli anolònomi: non possono essere espressi da relazioni del ti-po (1.1). Tali vincoli possono essere espressi da vincoli di disegua-glianza o equivalentemente da vincoli di uguaglianza in cui compaionoanche le velocità. Esempio:

∗ particella vincolata a stare all’interno di una sfera di centro O eraggio a. In tal caso il vincolo si esprime con ‖r‖2 − a2 < 0.

• In base alla dipendenza dal tempo:

– vincoli scleronomi: non dipendono dal tempo;

– vincoli reonomi: dipendono dal tempo. Per esempio:

2

Page 15: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

1.2 gradi di libertà e coordinate lagrangiane

∗ una particella che si muove su una retta che ruota con velocitàangolare ω avrà un’equazione del tipo y = tan(ωt)x + q.

• In base al tipo di reazione vincolare

– vincoli lisci: la reazione vincolare è sempre normale al vincolo. Peresempio:

∗ se il vincolo olonomo è una superficie di equazione f (r, t), la rea-zione vincolare ϕ sarà parallela al gradiente di f : ϕ = µ(t)∇ f ;

– vincoli scabri: la reazione vincolare ha una componente tangenziale alvincolo (sono presenti forze di attrito).

1.2 gradi di libertà e coordinate lagrangiane

La configurazione di un sistema libero formato da N particelle è definita dagli Nvettori posizione ri(t), con i = 1, . . . , N, ed è quindi individuata, in uno spaziotridimensionale, da 3N quantità scalari o coordinate indipendenti.

Definiamo numero di gradi di libertà del sistema il minimo numero di coor-dinate indipendenti in grado di individuare la configurazione. Secondo questadefinizione un sistema libero di N particelle in uno spazio tridimensionale ha 3Ngradi di libertà. In un sistema vincolato le coordinate non sono tra loro indipen-denti. Se i vincoli sono olonomi e sono espressi mediante k equazioni del tipo (1.1),allora il numero di coordinate indipendenti sarà n = 3N − k e quindi si avrannon gradi di libertà. Possiamo pertanto introdurre n coordinate indipendenti chetengano conto dei vincoli. Siano q1, q2, . . . , qn tali coordinate. Esse non hanno ingenerale le dimensioni di una lunghezza e non possono essere raggruppate performare le tre componenti di un vettore.

Per esempio, si consideri un pendolo nel piano. Il sistema avrebbe due gradidi libertà se non fosse vincolato; dato che la distanza tra la particella e l’origine èfissata uguale a l si ha invece un solo grado di libertà. Si può allora individuarelo stato del sistema in ogni istante utilizzando una sola coordinata quale, peresempio, l’angolo θ.

È possibile esprimere i vettori posizione mediante le nuove coordinate tramitele trasformazioni

ri = ri (q1, q2, . . . , qn, t) (i = 1, . . . , N).

Le coordinate qi, con i = 1, . . . , n, sono dette coordinate lagrangiane o generalizzatedel sistema. Esse, ovviamente, non sono uniche.

1.3 principio di d’alembert ed equazioni di lagrange

Definiamo spostamento virtuale infinitesimo di un sistema un cambiamento di confi-gurazione relativo a una variazione δri delle coordinate, compatibile con le forze

3

Page 16: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

principio di d’alembert ed equazioni di lagrange

e i vincoli a cui il sistema è sottoposto a un dato istante t. Chiamiamo tale sposta-mento virtuale per distinguerlo da uno spostamento reale dri in cui si consideraun intervallo dt nel quale variano forze e vincoli.

Consideriamo un sistema di N particelle. Supponiamo che il sistema sia inequilibrio, cioè che ogni particella del sistema è in equilibrio. Allora

Fi = 0 =⇒ Fi · δri = 0 =⇒

δL =N

∑i=1

Fi · δri = 0, (1.2)

con i = 1, . . . , N, dove δL è il lavoro virtuale infinitesimo. Le Fi sono le risultantidi tutte le forze agenti sull’i-esima particella (interazione con l’Universo, con lealtre particelle, forza vincolare). Se poniamo Fi = F(a)

i + Φi, dove F(a)i e Φi so-

no rispettivamente la forza attiva totale e la forza vincolare agenti sulla i-esimaparticella, la (1.2) diventa:

δL =N

∑i=1

F(a)i · δri +

N

∑i=1

Φi · δri = 0. (1.3)

Assumeremo d’ora in avanti che il lavoro virtuale delle forze vincolari sia nul-lo, cioè ∑N

i=1 Φi · δri = 0, e che i vincoli siano olonomi bilaterali e lisci. Allorapossiamo scrivere la (1.3) come

N

∑i=1

F(a)i · δri = 0, (1.4)

che è il principio dei lavori virtuali. Osserviamo che i δri, con i = 1, . . . , N, non sonoin generale linearmente indipendenti e quindi i F(a)

i non sono automaticamentenulli.

Siano q1, q2, . . . , qn le coordinate lagrangiane del sistema scelte. Allora

ri = ri (q1, q2, . . . , qn, t) , (1.5a)

δri =n

∑k=1

∂ri

∂qkδqk , (1.5b)

con i = 1, . . . , N. Supponendo che il lavoro virtuale delle forze vincolari sia nullosi ha

δL =N

∑i=1

F(a)i · δri =

N

∑i=1

F(a)i ·

n

∑k=1

∂ri

∂qkδqk =

n

∑k=1

(N

∑i=1

F(a)i · ∂ri

∂qk

)δqk =

=n

∑k=1

Q(a)k δqk,

dove

Q(a)k =

N

∑i=1

F(a)i · ∂ri

∂qk(k = 1, . . . , n) (1.6)

4

Page 17: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

1.3 principio di d’alembert ed equazioni di lagrange

sono dette forze generalizzate (attive). Poiché le δqk sono indipendenti si ha

δL = 0 =⇒ Q(a)k = 0 (k = 1, . . . , n).

Si può dimostrare che Q(a)k = 0 con k = 1, . . . , n è condizione necessaria e

sufficiente per l’equilibrio, in presenza di vincoli olonomi bilaterali lisci.La relazione (1.4) è applicabile solo al caso statico. Se si vuole applicare il

principio dei lavori virtuali anche al caso di moto del sistema, bisogna partiredalle N equazioni del moto dpi/dt = Fi ⇐⇒ Fi − dpi/dt = 0 per i = 1, . . . , N.Se continuiamo ad assumere che le forze vincolari non compiono lavoro virtuale,la (1.4) diventa:

N

∑i=1

(F(a)

i − dpi

dt

)· δri = 0. (Principio di d’Alembert) (1.7)

Osserviamo che le forze vincolari non compaiono esplicitamente.Indichiamo d’ora in poi con Fi la forza attiva totale agente sull’i-esima particella,

togliendo l’apice (a). Come nel caso statico occorre ottenere un’espressione checontenga solo gli spostamenti virtuali delle coordinate generalizzate (che sonoindipendenti). Partiamo, come nel caso statico, dalle trasformazioni

ri = ri (q1, . . . , qn, t) (i = 1, . . . , N)

δri =n

∑k=1

∂ri

∂qkδqk

vi =dri

dt=

n

∑k=1

∂ri

∂qkqk +

∂ri

∂t. (1.8)

Come prima abbiamo

N

∑i=1

Fi · δri =n

∑k=1

Qkδqk,

dove Qk = ∑Ni=1 Fi · ∂ri/∂qk . Osserviamo che le qk non hanno necessariamen-

te le dimensioni di una lunghezza, così come le Qk non hanno in generale ledimensioni di una forza. Consideriamo ora

N

∑i=1

dpi

dt· δri =

n

∑k=1

(N

∑i=1

midvi

dt· ∂ri

∂qk

)δqk =

=n

∑k=1

{N

∑i=1

[ddt

(mivi ·

∂ri

∂qk

)−mivi ·

ddt

∂ri

∂qk

]}δqk.

(1.9)

Osserviamo che dalla (1.8) si ricava

∂vi

∂qk=

∂qk

dri

dt=

∂ri

∂qk. (1.10)

5

Page 18: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

principio di d’alembert ed equazioni di lagrange

Inoltre, in analogia con la (1.8) si ha

∂vi

∂qk=

n

∑j=1

∂2ri

∂qk ∂qjqj +

∂2ri

∂qk ∂t=

n

∑j=1

∂qj

(∂ri

∂qk

)qj +

∂t

(∂ri

∂qk

)=

=ddt

(∂ri

∂qk

).

(1.11)

In base a queste osservazioni possiamo scrivere:

N

∑i=1

dpi

dt· δri =

n

∑k=1

{N

∑i=1

[ddt

(mivi ·

∂vi

∂qk

)−mivi ·

∂vi

∂qk

]}δqk =

=n

∑k=1

{ddt

[∂

∂qk

N

∑i=1

(12

miv2i

)]− ∂

∂qk

N

∑i=1

(12

miv2i

)}δqk =

=n

∑k=1

[ddt

(∂T∂qk

)− ∂T

∂qk

]δqk,

dove T = ∑Ni=1 miv2

i /2. Allora il principio di d’Alembert è nel nostro caso equiva-lente alla relazione

n

∑k=1

{[ddt

(∂T∂qk

)− ∂T

∂qk

]−Qk

}δqk = 0.

Dato che gli spostamenti virtuali infinitesimi δqk, con k = 1, . . . , n, sono indipen-denti, possiamo scrivere n equazioni del moto

ddt

(∂T∂qk

)− ∂T

∂qk= Qk. (1.12)

Se supponiamo che le forze attive siano tutte conservative e derivino da un unicopotenziale U, si ha Fi = −∇iU (con ∇i = (∂/∂xi , ∂/∂yi , ∂/∂zi)) e quindi

Qk =N

∑i=1

Fi ·∂ri

∂qk= −

N

∑i=1∇iU ·

∂ri

∂qk= − ∂U

∂qk.

Tenendo presente che U dipende solo da q e non da q (cioè ∂U/∂qk = 0; k =

1, . . . , n), le n equazioni del moto (1.12) possono essere scritte nel modo seguente:

ddt

[∂

∂qk(T −U)

]− ∂

∂qk(T −U) = 0.

Definendo

L = T −U (1.13)

lagrangiana del sistema, possiamo scrivere le equazioni di Lagrange:

ddt

(∂

∂qkL

)− ∂L

∂qk= 0. (1.14)

6

Page 19: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

1.3 principio di d’alembert ed equazioni di lagrange

Osservazione. Se consideriamo F = F(q, t) funzione di classe opportuna, si puòdimostrare che L′(q, q, t) = L(q, q, t) + dF/dt è un’altra funzione lagrangiana cheporta alle stesse equazioni del moto.1

Osservazione. Le equazioni di Lagrange possono essere ancora scritte nella formausuale se U = U(q, q, t) e

Qk = −∂U∂qk

+ddt

(∂U∂qk

). (1.15)

La funzione U è detta potenziale generalizzato, o potenziale dipendente anchedalle velocità e dal tempo. La funzione lagrangiana può ancora essere definitacome L = T −U.

1.3.1 Esempi nel caso statico

Determiniamo le condizioni di equilibrio del pendolo semplice (vedi figura 1 apagina vii). Il sistema ha un solo grado di libertà e l’unica forza attiva è la forzapeso P, quindi

r = l cos θx + l sin θy,

δL = P · δr = P ·(

∂θ(l cos θ)x +

∂θ(l sin θ)y

)δθ =

= mgx · (−l sin θx + l cos θy)δθ = −mgl sin θδθ

Q = −mgl sin θ = 0 =⇒ sin θ = 0 =⇒ θ = 0 oppure θ = π.

Consideriamo ora il punto materiale P di massa m in figura 1.1 vincolato senzaattrito su una circonferenza di raggio R e centro O, posto in un piano verticale.La particella è connessa al punto più alto mediante una molla di costante elasticak e lunghezza a riposo nulla. Anche questo sistema ha un solo grado di libertà.Abbiamo{

xP = R sin θ

yP = R cos θ,

δrP =

(∂xp

∂θx +

∂yp

∂θy)

δθ = R(cos θx− sin θy).

La forza peso è data da P = mgy. Inoltre rA = −Ry, quindi rP − rA = R sin θx +

R(1 + cos θ)y. Pertanto la forza elastica agente sulla particella è Fel = −k(rP −rA) = −kR[sin θx + (1 + cos θ)y]. Dunque:

P · δrP = −mgR sin θδθ,

Fel · δrP = −kR2[sin θ cos θ − sin θ(1 + cos θ)]δθ = kR2 sin θδθ.

1 Si è qui utilizzata la notazione, che ricorrerà per brevità in seguito, q = (q1, q2, . . . , qn) per indicarel’ennupla delle coordinate generalizzate; tuttavia bisogna tenere sempre presente che tale ennuplanon è, in generale, un vettore (basti pensare che, come già osservato, le qi possono avere anchedimensioni diverse).

7

Page 20: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

principio di d’alembert ed equazioni di lagrange

y

x

θ

R

A

P

O

k

Figura 1.1: Pendolo collegato a una molla.

La forza generalizzata attiva è:

Q = −mgR sin θ + kR2 sin θ = R sin θ(kR−mg).

La condizione di equilibrio si ha per Q = 0 cioè:

1. sin θ = 0, vale a dire θ = 0 oppure θ = π;

2. ∀θ ∈ [0, 2π] se mg = kR.

1.3.2 Esempio nel caso dinamico

Riprendiamo in considerazione il pendolo semplice (vedi figura 1 a pagina vii). Ilsistema ha un grado di libertà, quindi sarà sufficiente scrivere una sola equazionedi Lagrange. Valgono sempre le (6), dunque l’energia cinetica è data da

T =12

mv2 =12

m(x2 + y2) =12

ml2θ2 ,

mentre l’energia potenziale è (fissando come punto a potenziale gravitazionalenullo il punto più basso del pendolo, come mostrato in figura)

U = mgl(1− cos θ).

Pertanto la lagrangiana del sistema è

L = T −U =12

ml2θ2 −mgl(1− cos θ)

e l’equazione di Lagrange

ml2θ + mgl sin θ = 0

che è equivalente alla (5).

8

Page 21: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

1.4 potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

1.4 potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

1.4.1 Potenziali generalizzati

Consideriamo una particella puntiforme di massa m e carica q in un campoelettromagnetico E, B. Su di essa agisce la forza di Lorentz:

F = q(

E +vc× B

). (1.16)

Le equazioni del moto sono perciò

mdvdt

= md2rdt2 = q

(E +

vc× B

).

Siano ora ϕ = ϕ(x, y, z, t) e A = A(x, y, z, t) i potenziali scalare e vettorialerispettivamente in modo che

E = −∇ϕ− 1c

∂A∂t

, (1.17)

B = ∇× A. (1.18)

Riscriviamo la forza di Lorentz mediante le precedenti:

F = q[−∇ϕ− 1

c∂A∂t

+vc× (∇× A)

]=

= q[−∇ϕ− 1

c∂A∂t

+1c∇(A · v)− 1

c(v · ∇)A

] (1.19)

dove si è tenuto conto del fatto che ∇ · v = 0 e quindi v × (∇ × A) = ∇(A ·v) − (v · ∇)A. Osserviamo ora che dA/dt = ∂A/∂t + (v · ∇)A; inoltre da-to che A non dipende da v, d∇v(A·v)

dt = dA/dt; infine ∇v ϕ = 0 (dove ∇v =

(∂/∂xi, ∂/∂yi, ∂/∂zi)). Allora

F = q[−∇

(ϕ− 1

cA · v

)− 1

cdAdt

]=

= q{−∇

(ϕ− 1

cA · v

)+

ddt

[∇v

(ϕ− 1

cA · v

)]}=

= −∇U +d∇vU

dt,

(1.20)

dove U = qϕ− qA · v/c è un esempio di potenziale generalizzato, ovvero potenzialedipendente dalle derivate rispetto al tempo delle coordinate generalizzate (chequi corrispondono con le solite coordinate cartesiane). La funzione lagrangiana è,allora, la seguente:

L = T −U =12

mv2 − qϕ +qc

A · v =

=12

m(x2 + y2 + z2)− qϕ(x, y, z, t)+

+qc(xAx(x, y, z, t) + yAy(x, y, z, t) + zAz(x, y, z, t)).

9

Page 22: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

principio di d’alembert ed equazioni di lagrange

Esercizi

1. Scrivere le equazioni di Lagrange di una carica puntiforme in un campoelettromagnetico. Dimostrare che esse coincidono con le equazioni del motodi partenza.

2. Scrivere la lagrangiana e le equazioni di Lagrange per i seguenti sistemi:

a) pendolo piano semplice;

b) pendolo piano doppio;

c) pendolo piano il cui punto di sospensione è libero di muoversi orizzon-talmente su una retta liscia .

3. Due punti materiali, uno di massa m1 e l’altro di massa m2, sono collegatida una fune (inestensibile e di massa trascurabile) che passa attraverso unforo in un tavolo perfettamente liscio, in modo che m1, per t = 0, abbia unmoto circolare uniforme sulla superficie del tavolo ed m2 rimanga sospesa.Nell’ipotesi che m2 possa muoversi solo in direzione verticale, si scriva lalagrangiana e si ricavino le equazioni di Lagrange. Discutere la presenza diintegrali primi del moto .

Figura 1.2: Da sinistra: problema 2b, problema 2c, problema 3.

1.4.2 Equazioni di Lagrange in presenza di forze non derivabili da un potenziale

Supponiamo che su una particella puntiforme agisca anche la seguente forzaviscosa:

Fa = −(αxvx ı + αyvy + αzvzk)

dove i coefficienti αx, αy, αz sono caratteristici del mezzo2 e ı, , k sono i versoridegli assi coordinati. Osserviamo che, se introduciamo la cosiddetta funzione didissipazione di Rayleigh

F =12(αxv2

x + αyv2y + αzv2

z),

2 In realtà questi coefficienti dipendono oltre che dal mezzo anche dalla forma e dalle dimensioni delcorpo immerso nel fluido.

10

Page 23: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

1.4 potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

abbiamo che Fa = −∇vF. Più in generale se il sistema è formato da N particelle,la forza viscosa totale è data da:

Fa = −N

∑k=1

(αxvkx ı + αyvky + αzvkzk),

dove si intende vk = (vkx, vky, vkz) è la velocità della k-esima particella. La funzio-ne di dissipazione in questo caso è data da:

F =12

N

∑k=1

(αxv2kx + αyv2

ky + αzv2kz).

La forza viscosa agente sulla k-esima particella può ovviamente essere scritta co-me Fa,k = −∇vkF. Se il sistema ha n gradi di libertà e qj con j = 1, . . . , n sono lecoordinate generalizzate, le equazioni di Lagrange sono le seguenti:

ddt

(∂L

∂qj

)− ∂L

∂qj= Qj (1.21)

dove le Qj sono le forze generalizzate associate alle forze viscose e non derivabilida un potenziale, e L è la lagrangiana, scritta tenendo conto di tutte le forzeconservative. Sappiamo che:

Qj =N

∑k=1

Fa,k ·∂rk

∂qj= −

N

∑k=1∇vkF ·

∂rk

∂qj=

= −N

∑k=1∇vkF ·

∂vk

∂qj= − ∂F

∂qj.

Allora in conclusione possiamo scrivere le equazioni di Lagrange (1.21) nel modoseguente:

ddt

(∂L

∂qj

)− ∂L

∂qj+

∂F

∂qj= 0.

Evidentemente siamo in grado di scrivere esplicitamente le equazioni del motoconoscendo le due funzioni scalari L e F.

1.4.3 Trasformazioni di gauge e lagrangiana di una particella immersa in un campoelettromagnetico

Siano ϕ e A i potenziali scalare e vettoriale nel campo elettromagnetico. Sappiamoche la lagrangiana assume la forma: L = mv2/2− qϕ + qA · v/c. Il sistema ha tregradi di libertà. Operiamo le seguenti trasformazioni di gauge:

ϕ→ϕ′ = ϕ− 1c

∂χ(r, t)∂t

;

A→A′ = A +∇χ(r, t).

11

Page 24: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

principio di d’alembert ed equazioni di lagrange

Il campo elettromagnetico è invariante per trasformazioni di gauge. Sia ora L′ =mv2/2− qϕ′ + qA′ · v/c la nuova lagrangiana. Allora:

L′ =mv2

2− qϕ +

qc

∂χ

∂t+

qc

A · v +qc∇χ · v =

= L+qc

∂χ

∂t+

qc∇χ · v =

= L+qc

dt.

Concludendo, L′ ed L differiscono per la derivata totale rispetto al tempo di unafunzione scalare di r e di t. Le equazioni di Lagrange sono, di conseguenza,invarianti per trasformazioni di gauge.

Problemi

1. Se L = L(q, q, t) è una lagrangiana per un sistema a n gradi di libertà cheverifica le equazioni di Lagrange, dimostrare che L′ = L+ dF(q, t)/dt, conF funzione arbitraria di classe opportuna, verifica anch’essa le equazioni diLagrange.

Dimostrazione. Osserviamo che

dF(q, t)dt

=n

∑k=1

∂F(q, t)∂qk

qk +∂F(q, t)

∂t.

Allora per j = 1, . . . , n

∂L′(q, q, t)∂qj

=∂L(q, q, t)

∂qj+

∂F(q, t)∂qj

∂L′(q, q, t)∂qj

=∂L(q, q, t)

∂qj+

∂qj

dF(q, t)dt

.

Supponendo che

∂qj

dF(q, t)dt

=ddt

∂F(q, t)∂qj

abbiamo dunque, sempre per j = 1, . . . , n, che

ddt

(∂L

∂qj

)− ∂L

∂qj= 0 ⇐⇒

ddt

(∂L′

∂qj

)− d

dt∂F(q, t)

∂qj− ∂L′

∂qj+

∂qj

dF(q, t)dt

= 0 ⇐⇒

ddt

(∂L′

∂qj

)− ∂L′

∂qj= 0.

12

Page 25: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

1.4 potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

2. Siano q1, . . . , qn un insieme di coordinate generalizzate indipendenti di unsistema a n gradi di libertà con lagrangiana L(q, q, t), dove q = (q1, . . . , qn)

e q = (q1, . . . , qn). Si supponga di passare a un altro sistema di coordinategeneralizzate indipendenti s1, . . . , sn per mezzo di una trasformazione pun-tuale qk = qk(s, t) con k = 1, . . . , n ed s = (s1, . . . , sn). Dimostrare che laforma delle equazioni di Lagrange è invariante rispetto alle trasformazionipuntuali.

Dimostrazione. Per j, k = 1, . . . , n abbiamo

qj =n

∑i=1

∂qj

∂sisi +

∂qj

∂t=⇒ ∂qj

∂si=

∂qj

∂si

Ora, L = L(q(s, t), q(s, s, t), t), dunque

∂L

∂sk=

n

∑j=1

∂L

∂qj

∂qj

∂sk+

n

∑j=1

∂L

∂qj

∂qj

∂sk

∂L

∂sk=

n

∑j=1

∂L

∂qj

∂qj

∂sk=

n

∑j=1

∂L

∂qj

∂qj

∂sk

ddt

(∂L

∂sk

)=

n

∑j=1

(ddt

∂L

∂qj

)∂qj

∂sk+

n

∑j=1

∂L

∂qj

(ddt

∂qj

∂sk

)=

=n

∑j=1

(ddt

∂L

∂qj

)∂qj

∂sk+

n

∑j=1

∂L

∂qj

∂qj

∂sk.

In conclusione, per k = 1, . . . , n, ricordando che

ddt

(∂L

∂qj

)− ∂L

∂qj= 0

per j = 1, . . . , n,

ddt

(∂L

∂sk

)− ∂L

∂sk=

=n

∑j=1

(ddt

∂L

∂qj

)∂qj

∂sk+

n

∑j=1

∂L

∂qj

∂qj

∂sk−

n

∑j=1

∂L

∂qj

∂qj

∂sk+

−n

∑j=1

∂L

∂qj

∂qj

∂sk=

n

∑j=1

[ddt

∂L

∂qj− ∂L

∂qj

]∂qj

∂sk= 0.

3. Dimostrare che vale la seguente forma di Nielsen delle equazioni di Lagrange:

∂T∂qj− 2

∂T∂qj

= Qj (j = 1, . . . , n)

dove T = T(q, q, t) è l’energia cinetica, T ≡ dT/dt e Qj è la j-esima forzageneralizzata.

13

Page 26: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

principio di d’alembert ed equazioni di lagrange

Dimostrazione. Partiamo dalle equazioni di Lagrange (1.12), valide anche inpresenza di forze attive generalizzate non conservative. Osserviamo che:

dT(q, q, t)dt

=n

∑j=1

(∂T∂qj

qj +∂T∂qj

qj

)+

∂T∂t

=⇒

∂T∂qk

=∂T∂qk

+n

∑j=1

[∂2T

∂qk ∂qjqj +

∂2T∂qk ∂qj

qj

]+

∂2T∂qk ∂t

=

=∂T∂qk

+n

∑j=1

[∂

∂qj

(∂T∂qk

)qj +

∂qj

(∂T∂qk

)qj

]+

∂t

(∂T∂qk

)=

=∂T∂qk

+ddt

(∂T∂qk

).

Allora

∂T∂qk− 2

∂T∂qk

= Qk ⇐⇒

∂T∂qk

+ddt

(∂T∂qk

)− 2

∂T∂qk

= Qk ⇐⇒

ddt

(∂T∂qk

)− ∂T

∂qk= Qk.

14

Page 27: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

2P R I N C I P I O VA R I A Z I O N A L E D I H A M I LT O N E D E Q U A Z I O N ID I L A G R A N G E

2.1 principio di hamilton

Prenderemo ora in considerazione solo quei sistemi di N particelle puntiformi,con vincoli olonomi lisci, per i quali tutte le forze attive sono derivabili da unsolo potenziale scalare generalizzato (questa richiesta è fatta solo per semplicità esenza perdere in generalità), funzione cioè delle coordinate e delle velocità delleparticelle e del tempo. Questi sistemi sono detti monogenici. In particolare, se ilpotenziale è funzione esplicita solo delle coordinate di posizione delle particelleil sistema è detto conservativo. Vedremo fra poco, come sia possibile ottenere leequazioni di Lagrange relative a un sistema monogenico a partire da un principiointegrale (il principio variazionale di Hamilton), il quale prende in considerazionel’intero moto del sistema tra due istanti t0 e t1 e le “piccole” variazioni di questomoto rispetto a quello reale. Per fare questo avremo bisogno di elementi di calcolodelle variazioni, che cercheremo di esporre nel modo più elementare possibile,utilizzando soltanto le tecniche familiari del calcolo differenziale.

La configurazione del sistema (olonomo e monogenico), oggetto di studio, èsupposta descritta dai valori di n coordinate generalizzate q1, q2, . . . , qn e corri-sponde alla posizione di un punto q = (q1, . . . , qn) in uno spazio n-dimensionaleche, come sappiamo, è detto spazio delle configurazioni. Al variare del tempo ilpunto q(t), che rappresenta il sistema, si muove nello spazio delle configurazionidescrivendo una curva che è, ovviamente, la traiettoria del moto del sistema. Co-me abbiamo già accennato, il principio variazionale prende in considerazione soloquelle traiettorie che costituiscono un insieme di traiettorie variate sincrone. In al-tre parole, si considerano tutti quei movimenti q = q(t) del sistema con t ∈ [t0, t1],intervallo base, tali che q(t0) = q(0) e q(t1) = q(1). Chiameremo ammissibile unmovimento q(t) che gode di questa proprietà. Noi supporremo sempre, salvoavviso contrario, che le funzioni siano di classe C∞.

In figura 2.1 sono riportate, in uno spazio delle configurazioni bidimensionale,alcune traiettorie ammissibili, che partono dalla configurazione iniziale q(0) altempo t0 e arrivano alla configurazione finale q(1) al tempo t1. Sappiamo che èpossibile introdurre per il nostro sistema (olonomo e monogenico) la funzionelagrangiana

L = T −V, (2.1)

dove T è l’energia cinetica del sistema e V è il potenziale generalizzato. Natural-mente si avrà

L = L (q, q, t) . (2.2)

15

Page 28: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagrange

q2

q(1)2

q(0)2

q(0)1 q(0)1q1

Figura 2.1: Alcune traiettorie ammissibili in uno spazio delle configurazioni bidimensio-nale

Consideriamo il funzionale azione

S [q(t)] =∫ t1

t0

L (q(t), q(t), t)dt, (2.3)

dove q(t) è un moto ammissibile (cioè q(t0) = q(0) e q(t1) = q(1)). Osserviamoche S [q(t)] ha valori in R e non è una funzione di funzione (non è una funzionedel tempo), ma un integrale di linea che dipende dal moto q(t). Il valore cheS [q(t)] assume dipende ovviamente dal moto ammissibile q(t) scelto.

Introduciamo il

Principio (variazionale di Hamilton) - Tra i moti ammissibili del sistema compresitra gli istanti t0 e t1, il moto reale è quello che rende stazionaria l’azione.

Ricordiamo cosa si intende per punto stazionario di una funzione f : R→ R diclasse opportuna. Si dice che x0 ∈ R è un punto stazionario di f se f ′(x0) = 0.Un punto stazionario (o critico) di una funzione può allora essere un estremanterelativo (di massimo o di minimo) o di flesso orizzontale oppure né estremanterelativo né flesso orizzontale. Inoltre se x0 è un punto stazionario si ha

f (x0 + ε)− f (x0) = f ′(x0)ε +O(ε2) = O(ε2).

In modo analogo diremo che l’azione è stazionaria lungo una certa traiettoriase su di essa assume, a meno di infinitesimi di ordine superiore al primo, lostesso valore corrispondente a traiettorie che differiscono da quella considerataper uno spostamento infinitesimo. Più precisamente se indichiamo con q(t) unmoto ammissibile che rende stazionaria l’azione e con q(t, ε) = q(t) + εh(t) unatraiettoria diversa, dipendente dal parametro ε ∈ R (assumiamo |ε| � 1) e dallafunzione vettoriale h(t) = (h1(t), . . . , hn(t)) soggetta alla condizione

h(t0) = h(t1) = 0 (2.4)

16

Page 29: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

2.1 principio di hamilton

(infatti q(t, ε) deve essere un moto ammissibile e pertanto q(t0, ε) = q(0) e q(t1, ε) =

q(1)), abbiamo che

S [q(t, ε)]− S [q(t)] = O(ε2). (2.5)

Vogliamo ora provare che una traiettoria ammissibile q(t) che rende stazionarial’azione soddisfa le equazioni di Lagrange

ddt

(∂L(q, q, t)

∂qk

)− ∂L(q, q, t)

∂qk= 0 (k = 1, . . . , n). (2.6)

Abbiamo infatti:

S [q(t, ε)]− S [q(t)] =

=∫ t1

t0

[L(q(t) + εh(t), q(t) + εh(t), t

)− L (q(t), q(t), t)

]dt =

=∫ t1

t0

n

∑i=1

(∂L (q(t), q(t), t)

∂qihi(t) +

∂L (q(t), q(t), t)∂qi

hi(t))

ε dt +O(ε2).

(2.7)

Osserviamo che∂L

∂qihi(t) =

ddt

(∂L

∂qihi(t)

)−(

ddt

∂L

∂qi

)hi(t);∫ t1

t0

ddt

(∂L

∂qihi(t)

)dt =

[∂L

∂qihi(t)

]t1

t0

= 0

perché valgono le (2.4). Allora la (2.7) può essere riscritta come

S [q(t, ε)]− S [q(t)] =

=n

∑i=1

∫ t1

t0

(∂L (q(t), q(t), t)

∂qi− d

dt∂L (q(t), q(t), t)

∂qi

)hi(t)ε dt +O(ε2).

(2.8)

Se imponiamo la condizione che l’azione sia stazionaria lungo q(t), valga cioèla (2.5), e teniamo presente che hi(t), con i = 1, . . . , n, sono funzioni di classe C∞

arbitrarie, soggette soltanto alla condizione hi(t0) = hi(t1) = 0, abbiamo∫ t1

t0

(∂L (q(t), q(t), t)

∂qi− d

dt∂L (q(t), q(t), t)

∂qi

)hi(t)dt = 0 (i = 1, . . . , n). (2.9)

Vogliamo ora provare che queste equazioni implicano che

∂L (q(t), q(t), t)∂qi

− ddt

(∂L (q(t), q(t), t)

∂qi

)= 0 (i = 1, . . . , n),

cioè sono soddisfatte le equazioni di Lagrange. Vale il seguente

Lemma (fondamentale del calcolo variazionale) - Se una funzione liscia f : [t0, t1]→R verifica la proprietà∫ t1

t0

f (t)g(t)dt = 0 (2.10)

per ogni funzione liscia g : [t0, t1] → R, soggetta alla condizione g(t0) = g(t1) = 0,allora f (t) = 0 ∀t ∈ [t0, t1].

17

Page 30: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagrange

Dimostrazione. Ragioniamo per assurdo e supponiamo che ∃t∗ ∈ (t0, t1) in cuif non si annulli. Senza perdere in generalità possiamo supporre f (t∗) > 0.Per continuità ∃I(t∗) ⊂ (t0, t1), intorno di t∗, in cui f è sempre positiva, aven-do indicato con I(t∗) un intorno aperto di t∗. Possiamo sempre prendere unafunzione liscia g, stante la sua arbitrarietà, che sia positiva in I1(t∗) ⊂ I(t∗) enulla altrove.1 Ne consegue che

∫ t1t0

f (t)g(t)dt > 0. Questo è assurdo. Alloraf (t) = 0 ∀t ∈ (t0, t1) =⇒ f (t) = 0 ∀t ∈ [t0, t1].

Se chiamiamo δqi(t) = εhi(t) la variazione dell’i-esima componente di q(t) econ δS la corrispondente variazione dell’azione, relativa all’infinitesimo δq, larelazione (2.8) può essere scritta nella forma:

δS =n

∑i=1

∫ t1

t0

(∂L

∂qi− d

dt∂L

∂qi

)δqi(t)dt.

Questo risultato ci dice, anche per il lemma precedente, che se l’azione è staziona-ria lungo q(t), cioè se δS = 0, allora valgono le equazioni di Lagrange. In modosintetico possiamo scrivere:

δS = 0 ⇐⇒ ∂L(q, q, t)∂qi

− ddt

(∂L(q, q, t)

∂qi

)= 0 (i = 1, . . . , n).

Osservazione. Abbiamo visto che le equazioni di Lagrange (o di Eulero-Lagrange)nelle ipotesi fatte (sistemi, cioè, olonomi e monogenici) discendono da una leggegenerale, il principio variazionale di Hamilton. Non possiamo stabilire, a priori,se il moto reale q(t), che soddisfa le equazioni di Lagrange, ha la proprietà diminimizzare l’azione, anche se il principio di Hamilton è spesso detto principiodella minima azione.

Osservazione. Nel Capitolo 1 abbiamo visto che le equazioni di Lagrange sonoinvarianti per la trasformazione

L′ = L+dFdt

.

Anche il principio variazionale di Hamilton è ancora valido se alla lagrangianaaggiungiamo la derivata totale rispetto al tempo di un’arbitraria funzione scalareF(q(t), t) di classe opportuna, infatti:

S′[q(t)] =∫ t1

t0

(L(q(t), q(t), t) +

dF(q(t), t)dt

)dt =

= S + F(q(t), t)∣∣t1

t0= S + F(q(t1), t1)− F(q(t0), t0),

cioè S ed S′ differiscono per un termine supplementare che si annulla quandovaria l’azione. Dunque la condizione δS′ = 0 coincide con la condizione δS = 0 ela forma delle equazioni del moto resta immutata.

1 Osserviamo che la funzione g scelta si annulla, ovviamente, in t0 e t1.

18

Page 31: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

2.2 applicazioni del calcolo delle variazioni

2.2 applicazioni del calcolo delle variazioni

Possiamo utilizzare il principio variazionale per studiare le proprietà di staziona-rietà o estremali di funzionali diversi dall’azione.

Supponiamo in particolare di avere una famiglia di curve in uno spazio n-dimensionale, ognuna descritta da una funzione vettoriale liscia y(x) con x ∈[x0, x1], tutte soggette alle condizioni y(x0) = y(0) e y(x1) = y(1), e una fun-zione scalare liscia U = U (y(x), y(x), x). Vogliamo determinare y(x) che rendestazionario il funzionale

J[y(x)] =∫ x1

x0

u (y(x), y(x), x)dx.

Notiamo che possono esserci casi più complessi, in cui per esempio U è fun-zione anche di derivate di ordine superiore al primo di y(x), oppure x ∈ Rm conm ≥ 2. La trattazione del problema può anche essere portata avanti esattamentecome nel caso dell’azione: si ricerca y(x) che rende stazionario il funzionale J.Non sempre è semplice stabilire poi se la funzione trovata abbia la proprietà diminimizzare o di massimizzare J. Ricordiamo che condizione necessaria perchéy(x) sia un minimo o un massimo locale per J è che esso sia un punto staziona-rio. Si arriverà ovviamente a n equazioni scalari che continueremo a chiamare diLagrange o di Eulero-Lagrange:

ddx

(∂u∂yk

)− ∂u

∂yk= 0 (k = 1, . . . , n).

2.2.1 Cammino più breve fra due punti in un piano

Siano dati A(x0, y0) e B(x1, y1) in un piano (vedi figura 2.2). Supponiamo chex0 < x1. Se indichiamo2 una generica curva regolare3 con y = y(x) di estremi Ae B e con s l’ascissa curvilinea, abbiamo che:

ds =√(dx)2 + (dy)2 =

√1 + y2(x)dx.

In questo caso allora

J[y(x)] =∫ x1

x0

√1 + y2(x)dx.

Ovviamente u = u(y) =√

1 + y2(x) e y(x) è nel nostro caso una funzione scalare.Adoperando le equazioni di Eulero-Lagrange:

ddx

(∂u∂y

)− ∂u

∂y= 0.

2 Se x0 = x1 possiamo considerare funzioni del tipo x = x(y).3 In realtà possiamo sempre supporre che y sia liscia.

19

Page 32: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagrange

y

y1

y0

x0 x1 x

A

B

Figura 2.2: Cammini ammessi tra due punti nel piano.

Essendo ∂u/∂y = 0 risulta

∂u∂y

=y√

1 + y2= c,

dove c è una costante rispetto a x. Di conseguenza y(x) = a, con a costantelegata a c da a = c/

√1− c2. Quindi y(x) = ax + b, cioè la curva che minimizza

il funzionale J è il segmento di estremi A e B. Imponendo in particolare chey(x0) = y0 e y(x1) = y1 otteniamo le costanti di integrazione

a =y1 − y0

x1 − x0

b =x1y0 − x0y1

x1 − x0.

Si prova facilmente, in questo caso, che y(x), che rende stazionario J, minimizza ilfunzionale. In altre parole possiamo dire che la curva che nel piano xy congiungeA e B e ha lunghezza minima è il segmento di estremi A e B.

J[y(x) + εh(x)]− J[y(x)] =ε2

2

∫ x1

x0

uyy(y(x))h2(x)dx +O(ε3).

Nel nostro caso uyy(y(x)) = 1/√(1 + y2(x))3 > 0. Perciò, per |ε| � 1, J[y(x) +

εh(x)] ≥ J[y(x)], cioè la funzione trovata minimizza il funzionale (se h(x) non èidenticamente nulla).

Esercizi

1. Verificare che il moto reale di una particella libera e isolata rende minimal’azione.

2. Una particella è soggetta al potenziale U(x) = Fx, con F costante. La par-ticella si muove dal punto x = 0 al punto x = a nell’intervallo di tempo[t0, t1]. Si assuma che il moto della particella si possa esprimere nella formax(t) = A+ Bt+Ct2. Trovare i valori di A, B, C che rendono minima l’azione.

20

Page 33: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

2.2 applicazioni del calcolo delle variazioni

A

y1

y

B

x1 x U = 0

Figura 2.3: Schema del problema della brachistocrona.

2.2.2 Il problema della brachistòcrona

Il problema della brachistòcrona può essere espresso nel modo seguente:

Problema (della brachistòcrona) - Dati due punti A e B in un piano verticale, conA ad altezza maggiore di B, trovare tra tutti gli archi di curva che li congiungono, latraiettoria che una particella puntiforme di massa m, con velocità iniziale nulla, devepercorrere per andare da A a B in modo che il tempo di percorrenza sia il minimo possibile.

Per risolvere il problema poniamo l’origine degli assi in A ≡ (0, 0) e orientiamol’asse delle ordinate verso il basso (vedi figura 2.3). Supponiamo B ≡ (x1, y1)

con x1 > 0 e y1 > 0 (se x1 = 0, cioè se B appartiene all’asse delle y il problemaè banale: la soluzione è data dal segmento AB). Le equazioni della traiettoria(passante per i punti assegnati):

y = y(x)

y(0) = 0 (x ∈ [0, x1])

y(x1) = y1

Consideriamo la solita ascissa curvilinea s a partire da A:

ds =√(dx)2 + (dy)2 =

√1 + y2(x)dx.

Supponiamo i vincoli olonomi e lisci. Fissiamo in y = 0 il livello 0 dell’energiapotenziale (relativa alla forza peso). Allora:

12

mv2 −mgy = 0 =⇒ v =√

2gy,

dove g è l’accelerazione di gravità e v la velocità in y (notare che y > 0, v > 0 sex ∈ (0, x1]).

dt =dsv

=

√1 + y2(x)

2gy(x)dx (x ∈ (0, x1]).

Poniamo

u(y(x), y(x)) =

√1 + y2(x)

y(x)

21

Page 34: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagrange

quindi

√2g∫ T

0dt ≡ J[y(x)] =

∫ x1

0u(y(x), y(x))dx.

Fra tutte le traiettorie, passanti per A e B, quella che rende stazionario il funziona-le J (condizione necessaria per il minimo) soddisfa le equazioni di Lagrange conx ∈ (0, x1]:

ddx

(∂u(y, y)

∂y

)− ∂u(y, y)

∂y= 0. (2.11)

Ora,

∂u∂y

=y

√y√

1 + y2

e dunque

ddx

(∂u(y, y)

∂y

)= − y2

2y√

y√

1 + y2+

y√

y√(1 + y2)3

(2.12)

∂u∂y

= −√

1 + y2

2y√

y. (2.13)

L’equazione (2.11), per le relazioni (2.12) e (2.13), diventa, ∀x ∈ (0, x1]:

− y2

2y√

y√

1 + y2+

y√

y√(1 + y2)3

+

√1 + y2

2y√

y= 0 ⇐⇒

y(x)1 + y2(x)

+1

2y(x)= 0

Moltiplicando ambo i membri per y(x) abbiamo

y(x)y(x)1 + y2(x)

+y(x)

2y(x)= 0 ⇐⇒ 1

2d

dxln(1 + y2(x)

)+

12

ddx

ln y(x) = 0 ⇐⇒

12

ddx

(ln(1 + y2(x)) + ln y(x)) = 0 ⇐⇒ (1 + y2(x))y(x) = c ⇐⇒√y(x)

c− y(x)y(x) = 1 =⇒

∫ √ y(x)c− y(x)

dy =∫

dx. (2.14)

Posto

y =c2(1− cos τ) =⇒ dy =

c2

sin τ dτ

22

Page 35: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

2.2 applicazioni del calcolo delle variazioni

dove τ è un parametro (con y(τ = 0) = 0), dalla (2.14) abbiamo

x =∫ τ

0

√c2 (1− cos τ′)

c− c2 (1− cos τ′)

c2

sin τ′ dτ′ =∫ τ

0

√c sin2 τ′

2c2 (1 + cos τ′)

c2

sin τ′ dτ′ =

=∫ τ

0

√√√√ c sin2 τ′2

c cos2 τ′2

c2

sin τ′ dτ′ =∫ τ

0

sin τ′2

cos τ′2

c2

sin τ′ dτ′ =

=∫ τ

0c sin2 τ′

2dτ′ =

∫ τ

0

c2(1− cos τ′)dτ′ =

=c2(τ − sin τ).

Nota che x(0) = 0. Concludendo, le equazioni parametriche della traiettoria sonodate da:

x(τ) =c2(τ − sin τ)

y(τ) =c2(1− cos τ)

con τ ∈ [0, τ1]. Le equazioni trovate sono quelle di una cicloide. Sostituendo ivalori delle coordinate di B si trovano dalle precedenti c e τ1. Il sistema siffattoammette sempre soluzione. Rimane da provare (cosa non banale) che la soluzionetrovata minimizza il funzionale.

Possiamo tentare una soluzione del problema cambiando semplicemente puntodi vista e cercando un’espressione del tipo x = x(y). In tal caso

dt =dsv

=

√1 + x2

2gydy.

Posto

ϕ =

√1 + x2

y

risulta√2g∫ T

0dt = F[x(y)] =

∫ y1

0ϕ(x(y), x(y), y)dy.

Le equazioni di Lagrange sono

ddy

(∂ϕ

∂x

)− ∂ϕ

∂x= 0.

Poiché ∂ϕ/∂x = 0, ∂ϕ/∂x = costante, abbiamo

x√

y√

1 + x2=

1√a⇐⇒

x2

1 + x2 =ya

=⇒(

dxdy

)2 a− yy

= 1

23

Page 36: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagrange

da cui si prosegue come in precedenza. Osserviamo però che in questo caso ϕxx =

ϕxx = 0 e che ϕxx = 1/√

y(1 + x2(y))3 > 0. Allora, se x(y) rende stazionario ilfunzionale, abbiamo che

F[x(y) + εh(y)]− F[x(y)] =ε2

2

∫ y1

0ϕxx h2(y)dy +O(ε3) ≥ 0

ovvero F[x(y) + εh(y)] ≥ F[x(y)], se h(y) non identicamente nulla, cioè x(y) è unminimo.

2.3 leggi di conservazione

2.3.1 Coordinate cicliche

Abbiamo visto che il moto di un sistema di particelle olonomo e monogenico conn gradi di libertà è governato dalle equazioni di Lagrange

ddt

∂L (q, q, t)∂q

− ∂L (q, q, t)∂qk

= 0 (k = 1, . . . , n)

dove L = T − U e qk sono le coordinate generalizzate. Apriamo una piccolaparentesi. Introdotto un sistema di assi cartesiani solidale con un sistema di riferi-mento inerziale, nel caso di un punto materiale soggetto a una forza conservativaabbiamo:

L =12

m(

x2 + y2 + z2)−U(x, y, z).

Si vede che

∂L

∂x= mx ≡ px ,

∂L

∂y= my ≡ py ,

∂L

∂z= mz ≡ pz ,

dove px, py e pz sono le componenti rispettivamente lungo x, y e z della quantitàdi moto. In analogia nel caso più generale possiamo chiamare

pk =∂L (q, q, t)

∂qk

il momento canonico o momento coniugato alla coordinata generalizzata qk. Osservia-mo che se ∂L/∂qk = 0, cioè se la lagrangiana non dipende esplicitamente da qk, siha

ddt

∂L

∂qk=

dpk

dt= 0.

Allora pk è costante rispetto al tempo. Diamo allora la seguente

24

Page 37: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

2.3 leggi di conservazione

Definizione - Una coordinata generalizzata si dice ciclica o ignorabile se la la-grangiana L, pur essendo funzione esplicita di qk, non dipende esplicitamente daqk.

Possiamo pertanto enunciare la seguente proprietà: il momento coniugato a unacoordinata generalizzata ciclica si conserva. In modo equivalente possiamo dire cheil momento coniugato a una coordinata ciclica è un integrale primo del moto, inquanto si traduce in una relazione del tipo f (q1, . . . , qn, q1, . . . , qn, t) = costante.Se qk è una coordinata ciclica, allora L è invariante rispetto a una trasformazioneqk → qk + α, con α costante. Ora, se qk, coordinata ciclica, è uno spostamento, siha che una traslazione rigida lungo tale direzione non ha effetto alcuno sul motodel sistema e il corrispondente momento coniugato, che è una quantità di moto,si conserva. Se invece la coordinata ciclica qk è un angolo il sistema è invarianteper rotazioni intorno all’asse corrispondente e il relativo momento coniugato, cheè un momento angolare, si conserva.

Troviamo per esempio i momenti generalizzati nel caso di una particella inmoto in un campo elettromagnetico. Abbiamo visto che la lagrangiana di unaparticella di massa m e carica4 q in un campo elettromagnetico è data da:

L =12

m(x2 + y2 + z2)− qϕ +qc

A · v

dove v = xx + yy + zz è la velocità della particella, c è la velocità della luce nelvuoto, ϕ, A sono il potenziale scalare e vettoriale rispettivamente. Il momentoconiugato a x è dato da

Px = mx +qc

Ax = px +qc

Ax

dove px = mx è la componente lungo x dell’usuale quantità di moto della parti-cella. In maniera analoga i momenti coniugati a y e z sono rispettivamente:

Py = py +qc

Ay ,

Pz = pz +qc

Az .

Possiamo scrivere allora in forma vettoriale il momento generalizzato come

P = p +qc

A.

Ora, se per ipotesi ϕ, A non dipendono esplicitamente da x, cioè x è una variabileciclica, allora il momento coniugato rispetto a x, cioè Px, è una costante del moto.

Esercizi

• Verificare l’esistenza di una coordinata ciclica nell’esercizio 2c di pagina 10.Dare un’interpretazione fisica del corrispondente momento coniugato.

4 Qui con il simbolo q non indichiamo una coordinata generalizzata!

25

Page 38: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagrange

• Verificare l’esistenza di una coordinata ciclica nell’esercizio 3 di pagina 10.Dare un’interpretazione fisica del corrispondente momento coniugato.

• Si scriva in coordinate cilindriche la lagrangiana di una particella di massam e carica q in un campo magnetico (costante) generato da un filo rettilineopercorso da corrente stazionaria I. Esistono coordinate cicliche? (Piccolosuggerimento: scrivere il potenziale vettore A imponendo che valga la gauge diCoulomb, div A = 0.)

2.3.2 Funzione energia

Sia L = L (q, q, t) la lagrangiana di un sistema con n gradi di libertà, dove q =

(q1, . . . , qn). Si ha che

dLdt

=n

∑k=1

(∂L

∂qkqk +

∂L

∂qkqk

)+

∂L

∂t.

Poiché per k = 1, . . . , n si ha, dalle equazioni di Lagrange,

∂L

∂qk=

ddt

∂L

∂qk

allora:

dLdt

=n

∑k=1

[(ddt

∂L

∂qk

)qk +

∂L

∂qkqk

]+

∂L

∂t=

n

∑k=1

ddt

(∂L

∂qkqk

)+

∂L

∂t⇐⇒

⇐⇒ ddt

[n

∑k=1

∂L

∂qkqk − L

]+

∂L

∂t= 0. (2.15)

Chiamiamo funzione energia la quantità

h (q, q, t) =n

∑k=1

∂L

∂qkqk − L.

Allora la relazione (2.15) si scrive anche:

dhdt

= −∂L

∂t.

Se L = L(q, q), cioè se ∂L/∂t = 0, h è una costante del moto. Sotto opportuneipotesi h è proprio l’energia totale del sistema. Se l’energia cinetica è una funzioneomogenea di secondo grado delle qk, cioè

T =n

∑k,j=1

Ajk(q, t)qk qj

con Akj = Ajk, e se il potenziale V non dipende da q, allora

∂L

∂qi= 2

n

∑k=1

Aik qk

26

Page 39: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

2.3 leggi di conservazione

e quindi

n

∑i=1

∂L

∂qiqi = 2T.

Allora

h =n

∑i=1

∂L

∂qiqi − L = 2T − T + V = T + V

che è l’energia totale del sistema. Se la lagrangiana non dipende esplicitamentedal tempo abbiamo allora che l’energia del sistema è una costante del moto.

27

Page 40: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

3A P P L I C A Z I O N I D E L L E E Q U A Z I O N I D I L A G R A N G E

3.1 problema dei due corpi

Supponiamo di avere un sistema isolato di due particelle di massa m1 ed m2,soggette alla mutua interazione di natura conservativa. Rispetto a un osservatoreO inerziale indichiamo con r1 ed r2 i vettori posizione delle due particelle. Ilvettore posizione del centro di massa è:

R =m1r1 + m2r2

m1 + m2, (3.1)

mentre il vettore posizione relativa è dato da

r = r2 − r1. (3.2)

Possiamo esprimere r1 ed r2 mediante i vettori appena introdotti:

r1 = R− m2

m1 + m2r,

r2 = R +m1

m1 + m2r.

(3.3)

Assumiamo che l’energia potenziale (relativa alla mutua interazione) abbia laseguente proprietà:

U = U(r). (3.4)

La forza agente sulla particella 2 è data da F2 = −∇r2U(r) = −∇rU(r), mentrela forza agente sulla particella 1 è F1 = −∇r1U(r) = ∇rU(r). Abbiamo pertantoF1 + F2 = 0 (forma debole del principio di azione e reazione). Notiamo che seU = U(r) allora F2 = −dU/dr r = −F1 (forma forte del principio di azione ereazione). La lagrangiana del sistema delle due particelle è

L =12

m1‖r1‖2 +12

m2‖r2‖2 −U(r). (3.5)

Sulla base delle relazioni (3.3), la (3.5) si può scrivere come

L =m1 + m2

2‖R‖2 +

12

m1m2

m1 + m2‖r‖2 −U(r) (3.6)

La quantità µ = m1m2/(m1 + m2) è detta massa ridotta (si noti che 1/µ = 1/m1 +

1/m2 e che se m2 � m1, allora r1 ≈ R e µ ≈ m2).Dall’espressione (3.6) si deduce che R = V è costante, essendo R ciclica. Il cen-

tro di massa perciò è in quiete o si muove di moto rettilineo uniforme. Possiamo

28

Page 41: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

3.1 problema dei due corpi

prendere in ogni caso come sistema di riferimento proprio quello del centro dimassa e avremo:

m1r1 + m2r2 = 0

r1 = − m2

m1 + m2r

r2 =m1

m1 + m2r.

Dunque la lagrangiana sarà nella forma:

L =12

µ‖r‖2 −U(r).

È interessante notare come il problema dei due corpi si riconduca al problema diuna particella di massa pari alla massa ridotta immersa in un campo esterno.

3.1.1 Movimento in un campo centrale

Si abbia una particella P di massa m (che possiamo riguardare anche come lamassa ridotta di due particelle puntiformi) in un campo esterno. Assumiamo chetale campo sia conservativo e che l’energia potenziale (o potenziale) dipenda solodalla distanza della particella P da un punto O, fisso rispetto a un sistema diriferimento inerziale. Chiamiamo come al solito vettore posizione della particellar =−→OP e v = r il vettore velocità. Abbiamo allora:

L =12

mv2 −U(r),

dove r = ‖r‖, v2 = v · v e U(r) è l’energia potenziale. La forza agente sullaparticella è

F = −∇U(r) = −dUdr

r.

Essa è centrale e il centro della forza è il punto O.Notiamo che l’energia potenziale ha simmetria sferica, dunque ogni soluzione

delle equazioni del moto deve essere invariante per rotazioni attorno a un assearbitrario passante per O. Il momento angolare della particella P rispetto a O,cioè l = mr × v = r × p (con p quantità di moto della particella), si conserva. Sidimostra facilmente che il moto si svolge in un piano (piano dell’orbita) ortogo-nale alla direzione (costante) di l, sempre che l 6= 0. Se l = 0, r è parallelo a p e ilmoto è unidimensionale.

Supponiamo che l = l0 6= 0 (l0 costante). Il sistema ha due gradi di libertà,considerato che il moto avviene in un piano. Possiamo, pertanto, esprimere lalagrangiana in coordinate polari:

L =12

m(r2 + r2θ2)−U(r). (3.7)

29

Page 42: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

applicazioni delle equazioni di lagrange

Si vede subito che θ è ciclica e dunque il suo momento coniugato pθ = ∂L/∂θ =

mr2θ è costante. Osserviamo che

pθ = mr2θ = l0 (3.8)

che è costante. Notiamo, per inciso, che

12

l0m

=12

r2θ

è la cosiddetta velocità areolare ed è una costante del moto. Abbiamo così ottenuto,in modo semplice, la

Legge (Seconda legge di Keplero) - Il vettore posizione della particella (o di un pianetaconsiderato puntiforme) rispetto al centro dell’orbita (o centro della forza) spazza areeuguali in intervalli di tempo uguali.

Osservazione. Questa legge è stata ottenuta semplicemente supponendo che la for-za agente sulle particelle sia centrale (senza assegnare la dipendenza esplicita dar di U).

Utilizzando le equazioni di Lagrange

ddt

(∂L

∂r

)− ∂L

∂r= 0 ⇐⇒

mr−mrθ2 +∂U(r)

∂r= 0.

(3.9)

Per la (3.8) abbiamo

mrθ2 =l20

mr3 .

Allora la (3.9) può essere riscritta nel modo seguente:

mr− l20

mr3 +∂U(r)

∂r= 0.

Osserviamo che nel nostro caso la lagrangiana non dipende esplicitamente daltempo e che l’energia cinetica è una funzione omogenea di secondo grado rispettoa r e θ. Ne consegue che la funzione energia h è una costante del moto ed è propriol’energia totale della particella E. Possiamo, allora, scrivere:

E =∂L

∂rr +

∂L

∂θθ − L =

=12

m(r2 + r2θ2) + U(r) =12

mr2 +12

l20

mr2 + U(r)(3.10)

dove abbiamo tenuto conto della (3.8).

30

Page 43: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

3.1 problema dei due corpi

Osservazione. Grazie alla conservazione del momento angolare, il moto è comeunidimensionale con un potenziale efficace

Ueff(r) =12

l20

mr2 + U(r). (3.11)

Se r(0) = r0, supposto che nell’intervallo di tempo considerato r = r(t) ècrescente,

drdt

=

√2m(E−Ueff(r))

e, quindi,

t =∫ r(t)

r0

dr′√2m (E−Ueff(r′))

. (3.12)

Si può ricavare anche l’anomalia θ in funzione di r. Infatti dalla (3.8) otteniamo:

dθ =l0m

1r2 dt =

l0m

1r2

dr√2m (E−Ueff(r))

(abbiamo qui considerato un intervallo di tempo in cui r = r(t) è crescente) e, diconseguenza,

θ(r)− θ(r0) =l0m

∫ r(t)

r0

1r′2

dr′√2m (E−Ueff(r′))

.

Se il dominio di variazione di r ha due limiti, rmin ed rmax, il movimento è limitatoe tutta l’orbita è contenuta nella corona circolare centrata in O, con raggio internormin e raggio esterno rmax. Questo discorso non vuol dire affatto che l’orbita, nelcaso di moto limitato, è chiusa. Perché ciò accada, è necessario e sufficiente che

∆θ =2l0m

∫ rmax

rmin

1r′2

dr′√2m (E−Ueff(r′))

= 2πjn

(3.13)

con j, n ∈ N. Ricordiamo, per inciso, che l’anomalia θ è definita sempre a meno dimultipli di 2π. Ora, se indichiamo con

T0 = 2∫ rmax

rmin

dr′√2m (E−Ueff(r′))

(3.14)

il periodo della funzione r = r(t) (stiamo supponendo che il moto sia limitato eche r ∈ [rmin, rmax]), dopo un tempo pari a nT0, si avrà una variazione di θ paria 2π j (multiplo di 2π) e, pertanto, il vettore posizione ritornerà a essere quelloiniziale, cioè r(nT0) = r(0).

In generale, per un potenziale generico U(r), supponendo l’esistenza di motilimitati, la traiettoria non è un’orbita chiusa.

31

Page 44: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

applicazioni delle equazioni di lagrange

rmin r0 rmaxO

E0

E1

E2

Ueff

r

Figura 3.1: Andamento del potenziale efficace nel problema dei due corpi.

Teorema (di Bertrand) - Le uniche forze centrali che danno luogo a orbite chiuse perogni condizione iniziale corrispondente a moti limitati sono:

• quella proporzionale all’inverso del quadrato di r (come la forza gravitazionale);

• quella corrispondente alla legge di Hooke (dipendenza lineare da r).

Supponiamo ora che F = −k/r2r o, in modo equivalente, U(r) = −k/r, conk > 0. Per il teorema di Bertrand, le orbite relative a moti limitati sono chiuse. Ilpotenziale efficace, in questo caso, è:

Ueff =12

l20

mr2 −kr

.

Per r = r0 = l20/(mk), Ueff ha il valore minimo, esattamente pari a −mk2/

(2l2

0).

Dal grafico di Ueff (vedi figura 3.1) possiamo ricavare le seguenti informazioni:

• E = E0 = −mk2/(2l2

0), r(t) = 0 =⇒ r(t) = r0 costante. In questo

caso l’orbita della particella è circolare. Il moto è circolare uniforme confrequenza ω = l0/(mr2

0) (questa espressione discende in modo immediatodalla (3.8)).

• Se E = E1 ∈(−mk2/

(2l2

0)

, 0), il moto è limitato con r ∈ [rmin, rmax]. Si può

dimostrare che la traiettoria è un’ellisse.

• Se E = E2 ≥ 0, r(t) è inferiormente limitato e superiormente non limitato.Si può dimostrare che la traiettoria è per E2 = 0 una parabola e per E2 > 0un’iperbole.

32

Page 45: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

3.1 problema dei due corpi

y

b

a xcF1F2

O

θa a

Q(x, y)

y

b

a xcF1F2

O

θa a

Q(x, y)

Figura 3.2: Ellisse in coordinate cartesiane.

Esercizio

1. Nell’ipotesi che la forza centrale sia F = −k/r2r dimostrare che il vettore

A = p× l −mkr

è una costante del moto. A è detto vettore di Laplace-Runge-Lenz. Calcolareinoltre A · l.

3.1.2 Il problema di Keplero

Ricordiamo l’espressione dell’ellisse in coordinate polari e alcune sue proprietà.Detti a il semiasse maggiore e b il semiasse minore, l’equazione dell’ellisse incoordinate cartesiane è

x2

a2 +y2

b2 = 1.

Siano F1 = (c, 0) e F2 = (−c, 0) (con c ≥ 0) i due fuochi e Q = (x, y) un puntogenerico dell’ellisse (vedi figura 3.2). Allora, per definizione di ellisse abbiamoche

QF1 + QF2 = 2a.

Inoltre vale la relazione

c2 = a2 − b2.

Il quadrato della distanza del punto Q dal fuoco F1 è dato da:

QF12= (x− c)2 + y2 = x2 − 2xc + c2 + y2 = x2 − 2xc + a2 − b2 + b2

(1− x2

a2

)=

= x2 − 2xc + a2 − b2

a2 x2 =

(1− b2

a2

)x2 − 2xc + a2.

33

Page 46: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

applicazioni delle equazioni di lagrange

F1F2

O

Q(x, y)

θ

r

F1F2

O

Q(x, y)

θ

r

Figura 3.3: Ellisse in coordinate polari.

Introduciamo l’eccentricità e = c/a. Notiamo che e ∈ (0, 1) e che per e = 0 l’ellissediventa una circonferenza. Inoltre c = ea. Abbiamo quindi

QF12=

a2 − b2

a2 x2 − 2xc + a2 =c2

a2 x2 − 2xc + a2 = e2x2 − 2eax + a2 =

= (a− ex)2

da cui

QF1 = a− ex.

Analogamente si trova che

QF22= (a + ex)2 =⇒ QF2 = a + ex

ed è quindi soddisfatta la condizione QF1 + QF2 = 2a. In coordinate polari fissia-mo come polo uno dei fuochi, per esempio F1 (vedi figura 3.3), quindi QF1 = r.Le coordinate (x, y) di Q sono date da{

x = ea + r cos θ

y = r sin θ

pertanto

QF1 = r = a− e(ea + r cos θ) = a(1− e2)− er cos θ =⇒

r(1 + e cos θ) = a(1− e2) =⇒ r(θ) =a(1− e2)

1 + e cos θ.

Ponendo P = a(1− e2), detto parametro dell’ellisse, otteniamo l’equazione dell’el-lisse in coordinate polari:

r(θ) =P

1 + e cos θ.

34

Page 47: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

3.1 problema dei due corpi

Inoltre

b2 = a2 − c2 = a2 − e2a2 = a2(1− e2) =⇒ b = a√

1− e2 =P√

1− e2.

Il perielio si ha per θ = 0 quindi

rmin =P

1 + e= a(1− e)

mentre l’afelio è raggiunto in θ = π:

rmax =P

1− e= a(1 + e).

Osserviamo infine che r(π/2) = P.Ci proponiamo di dimostrare la

Legge (Prima legge di Keplero) - I pianeti (considerati puntiformi) descrivono orbiteellittiche di cui il Sole occupa uno dei fuoci.

A tal fine, consideriamo un corpo puntiforme di massa m in moto in un campocentrale F = −k/r2r e soggetto al potenziale

U(r) = − kr

k > 0

Ueff(r) =12

l20

mr2 −kr

.

Come visto precedentemente, dalla (3.8) si ottiene

dθ =l0m

1r2

dr√2m

(E− 1

2l20

mr2 +kr

) .

Introducendo la variabile

w =1r

=⇒ dw = − 1r2 dr

abbiamo

dθ = − dw√2mE

l20

+ 2kml20

w− w2= − dw√

2mEl20

+ k2m2

l40−(

w− kml20

)2

con E ∈ (−mk2/(2l20), 0). Notiamo che

A2 =2mE

l20

+k2m2

l40≥ 0

35

Page 48: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

applicazioni delle equazioni di lagrange

con il segno di uguaglianza che vale quando E assume il valore minimo. Ponendox = w− km/l2

0 e integrando abbiamo

θ = −∫ dx√

A2 − x2= arccos

xA

+ costante = arccosw− km

l20√

2mEl20

+ k2m2

l40

+ costante =

= arccosl20

km w− 1√1 + 2El2

0mk2

+ costante.

Quindi risulta

l20

mk1r− 1 =

√1 +

2El20

mk2 cos(θ + θ0)

dove θ0 è la costante di integrazione. Senza perdita di generalità possiamo ruotareil sistema di riferimento in modo che θ0 = 0 per cui

1r=

mkl20

1 +

√1 +

2El20

mk2 cos θ

.

Ponendo inoltre

e =

√1 +

2El20

mk2 ∈ (0, 1)

abbiamo

r =l20

mk1 + e cos θ

=P

1 + e cos θ

con P = l20/(mk). Questa è l’equazione polare di una conica con eccentricità

e ∈ (0, 1), pertanto la prima legge di Keplero è stata dimostrata.Infine ricaviamo la

Legge (Terza legge di Keplero) - Il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta èproporzionale al cubo del semiasse maggiore dell’orbita.

Ricordiamo che la velocità areolare è data da

S =12

l0m

=⇒ dS =12

l0m

dt =⇒ l0 dt = 2m dS.

L’area di un’ellisse vale πab, quindi integrando abbiamo:∫ T

0l0 dt = l0T = 2πmab

dove T è il periodo di rivoluzione del corpo. Ora osserviamo che

a =P

1− e2 =l20

mk2|E|l2

0mk2

=k

2|E| ,

36

Page 49: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

3.2 piccole oscillazioni

quindi

T =2πmab

l0=

2πml0

a2√

1− e2 =2πm

l0a2

√2|E|l2

0mk2 = 2πa2

√2m|E|

k2 =

= 2πa3/2√

mk

.

3.2 piccole oscillazioni

3.2.1 Impostazione del problema

Supponiamo di avere un sistema di N particelle con vincoli olonomi e scleronomicon n gradi di libertà, soggette a forze conservative. Indichiamo con q1, q2, . . . , qn

le coordinate generalizzate e con V = V(q1, . . . , qn) l’energia potenziale. Il sistemasi dice in equilibrio nella configurazione q0 = (q01, . . . , q0n) se le forze generalizzateche agiscono su di esso sono nulle, ossia:

Qj = −∂V(q)

∂qj

∣∣∣∣q=q0

= 0 (∀j = 1, . . . , n).

L’energia potenziale nella configurazione di equilibrio q0 ha un valore estremaleo in generale stazionario. Se tutte le velocità generalizzate nella configurazione diequilibrio sono nulle, il sistema rimarrà nella posizione di equilibrio per un tempoindefinito. Una configurazione di equilibrio si dice stabile se una piccola perturba-zione del sistema provoca un moto che raggiunge configurazioni vicine; al contra-rio si dirà instabile se una perturbazione infinitesima provoca un allontanamentoindefinito da tale configurazione.

Noi intendiamo studiare il moto del sistema nelle immediate vicinanze di unaconfigurazione di equilibrio stabile, dove l’energia potenziale ha un minimo. In-dichiamo con ηi gli spostamenti delle coordinate generalizzate dall’equilibrio;ovvero:

qi = q0i + ηi ∀i = 1, . . . , n.

Consideriamo lo sviluppo dell’energia potenziale1 attorno alla configurazione diequilibrio stabile q0:

V(q1, . . . , qn) = V(q01, . . . , q0n) +n

∑j=1

∂V∂qj

∣∣∣∣q=q0

ηj +12

n

∑j,k=1

∂2V∂qj ∂qk

∣∣∣∣q=q0

ηjηk + · · · .

Poiché per ipotesi

∂V(q)∂qj

∣∣∣∣q=q0

= 0 ∀j = 1, . . . , n

1 Supponiamo sempre le funzioni che trattiamo di grado opportuno.

37

Page 50: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

applicazioni delle equazioni di lagrange

e V(q01, . . . , q0n) è una costante che può essere posta uguale a zero senza perde-re in generalità,2 abbiamo in definitiva, fermandoci al termine quadratico dellosviluppo:

V(q1, . . . , qn) =12

n

∑j,k=1

∂2V∂qj ∂qk

∣∣∣∣q=q0

ηjηk =12

n

∑j,k=1

Vjkηjηk. (3.15)

La matrice n× n V = (Vjk) è una matrice simmetrica e reale. La condizione cheq0 sia una configurazione di minimo implica che ∀η = (η1, . . . , ηn) ∈ Rn si abbia

ηTVη =n

∑j,k=1

Vjkηjηk ≥ 0,

ovvero V è semidefinita positiva.Anche l’energia cinetica può essere sviluppata in modo simile. Mostriamo pri-

ma che in presenza di vincoli olonomi e scleronomi l’energia cinetica è una formaquadratica omogenea delle velocità generalizzate. Infatti, detta mk la massa dellak-esima particella e vk la sua velocità:3

T =12

N

∑k=1

mkv2k =

12

N

∑k=1

mkvk · vk =12

N

∑k=1

mk

(n

∑i=1

n

∑j=1

∂rk

∂qi· ∂rk

∂qjqi qj

)

dove si è ricordato che

vk =n

∑j=1

∂rk

∂qjqj =⇒ v2

k =n

∑i=1

n

∑j=1

∂rk

∂qi· ∂rk

∂qjqi qj.

Ne consegue:

T =12

n

∑i=1

n

∑j=1

(N

∑k=1

mk∂rk

∂qi· ∂rk

∂qj

)qi qj

che è quanto era nostra intenzione dimostrare.Considerando ora spostamenti ηi rispetto alla configurazione di equilibrio e

fermandoci al primo termine (quadratico) nelle ηi, abbiamo:

T =12

n

∑i,j=1

[N

∑k=1

mk

(∂rk

∂qi· ∂rk

∂qj

)∣∣∣∣q=q0

]ηiηj =

12

n

∑i,j=1

Tijηiηj. (3.16)

La matrice (costante) T = (Tij) è simmetrica, reale ed è definita positiva in sensostretto, cioè

n

∑i,j=1

Tijaiaj > 0 ∀a = (a1, . . . , an) ∈ Rn \ {0}.

2 Ricordiamo infatti che l’energia potenziale è definita a meno di una costante additiva.3 Indichiamo con rk il vettore posizione della k-esima particella rispetto a un punto O solidale con un

sistema di riferimento inerziale

38

Page 51: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

3.2 piccole oscillazioni

Pertanto i suoi autovalori sono reali e strettamente positivi e quindi T è senz’altrodiagonalizzabile.

La lagrangiana del sistema nelle approssimazioni fatte può scriversi:

L =12

n

∑k,j=1

Tkjηkηj −12

n

∑k,j=1

Vkjηkηj. (3.17)

Si vede che le ηi assumono de facto il ruolo di nuove coordinate generalizzate. Lak-esima equazione di Lagrange assume la forma:

ddt

(∂L

∂ηk

)− ∂L

∂ηk= 0

e cioè

12

n

∑j=1

Tkjηj +12

n

∑j=1

Vkjηj = 0. (3.18)

Posto η(t) = (η1(t), . . . , ηn(t)), l’insieme delle equazioni può essere sintetizzatonella scrittura

T η(t) +Vη(t) = 0. (3.19)

Le equazioni (3.18) (o l’equazione matriciale (3.19)) sono equazioni differenzialidel secondo ordine lineari a coefficienti costanti omogenee. Vedremo, ora, comesia possibile scrivere un sistema di n equazioni differenziali del secondo ordinelineari disaccoppiate perfettamente equivalente al sistema trovato.

Cerchiamo soluzioni delle (3.19) del tipo:

η = a eiωt (3.20)

con ω ∈ R e a ∈ Rn \ {0} costante.4 Richiedendo che la (3.20) sia soluzionedella (3.19) otteniamo:

(−ω2T +V)a eiωt = 0 ⇐⇒ (V −ω2T )a = 0

dove ω2 = λ ha il significato di autovalore e a 6= 0 di autovettore corrispondente.Non si tratta però di un classico problema agli autovalori: infatti si tratta qui

di determinare gli autovalori della matrice V rispetto alla matrice T .5 Sarà im-portante far vedere che tutti i nostri autovalori sono maggiori o uguali a zero,perché altrimenti ω non sarebbe reale.6 Gli autovalori di V rispetto a T sono datidall’equazione:

det(V − λT ) = 0. (3.21)

4 Una soluzione fisicamente accettabile deve essere reale; naturalmente è la parte reale della (3.20)che descrive il sistema.

5 Avremmo ancora il classico problema agli autovalori se T fosse proporzionale alla matrice identitàIn.

6 Se ciò avvenisse avremmo un moto con andamento esponenziale (crescente o decrescente) conconseguente allontanamento dalla posizione di equilibrio.

39

Page 52: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

applicazioni delle equazioni di lagrange

Osservazione. Un autovalore λ deve rendere non invertibile V − λT ; inoltre lasomma delle molteplicità delle radici della (3.21) è uguale a n.

Ora, come detto T è diagonalizzabile, ovvero detta M = Diag(µ1, . . . , µn), doveµk > 0 ∀k = 1, . . . , n sono gli autovalori di T non tutti necessariamente distinti,esiste una trasformazione di similitudine U matrice ortogonale a valori reali, cioèU−1 = UT, tale che:

T = UT MU. (3.22)

Ovviamente se T è già diagonale, allora T = M e U = In. Definiamo inoltreM1 = Diag(

õ1, . . . ,

√µn). Si vede immediatamente che M1 è simmetrica a valori

reali positivi e che M = M21 . La (3.22) può essere riscritta:

T = UT M1M1U = (M1U)T M1U. (3.23)

Sia V la matrice simmetrica a valori reali definita positiva non in senso stretto,che soddisfa la seguente relazione:

V = (M1U)TVM1U. (3.24)

Pertanto V e V sono legate da una trasformazione di congruenza. In base al-le (3.23) e alle (3.24), l’equazione (3.21) diventa

det[(M1U)TVM1U − λ(M1U)T M1U] = 0 ⇐⇒det[(M1U)T]det[V − λI]det[M1U] = 0 ⇐⇒det[V − λI] = 0.

ovvero trovare gli autovalori di V rispetto a T vuol dire trovare gli autovalori(nel senso usuale) di V . I suoi autovalori saranno necessariamente, in virtù delleproprietà già citate, maggiori o uguali a zero.

Ritorniamo ora all’equazione di Lagrange (3.19), che può essere riscritta perla (3.23) e la (3.24):

(M1U)T M1U η(t) + (M1U)TVM1Uη(t) = 0 =⇒(M1U)T[M1U η(t) + VM1Uη(t)] = 0 =⇒M1U η(t) + VM1Uη(t) = 0

Se poniamo M1Uη(t) = Ψ(t), otteniamo (ricordando che M1U è una matricecostante)

Ψ(t) + VΨ(t) = 0. (3.25)

Sappiamo che la matrice V , simmetrica e a valori reali, definita positiva non insenso stretto, è diagonalizzabile. I suoi autovalori λi ≥ 0 non sono tutti necessa-riamente distinti. Sia Λ = Diag(λ1, . . . , λn) la matrice diagonale degli autovaloridi V . Esiste (essendo V diagonalizzabile) una matrice ortogonale S tale che

V = STΛS.

40

Page 53: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

3.2 piccole oscillazioni

L’equazione (3.25) diventa perciò:

Ψ(t) + STΛSΨ(t) = 0 ⇐⇒ SΨ(t) + ΛSΨ(t) = 0.

Posto SΨ(t) = Q(t) = (Q1(t), . . . , Qn(t)) (ricordiamo che S è una matrice costan-te) abbiamo in definitiva

Q(t) + ΛQ(t) = 0 (3.26)

ovvero ∀k, ricordando che λk = ω2k :

Qk(t) + ω2k Qk(t) = 0 (k = 1, . . . , n) (3.27)

cioè n oscillatori armonici disaccoppiati; ciascuno di essi vibra con una propria fre-quenza (modo normale). Le Qk vengono dette coordinate normali o principali. Osser-viamo che le ω2

k non sono tutte necessariamente distinte e che se λk = 0, la k-esimaequazione è del tipo Qk = 0, quindi non si tratta di un oscillatore armonico.

3.2.2 Riepilogo

Q(t) = SΨ(t) = (SM1U)η(t). (3.28)

Osserviamo che se T = αIn, con α > 0, allora M1 =√

αIn, U = In e Q(t) =√αSη(t).Se sono noti η(0), η(0), stato iniziale, si ha:

Q(0) = (SM1U)η(0),

Q(0) = (SM1U)η(0).

Possiamo allora risolvere il sistema (3.26) con queste condizioni iniziali. Determi-nato Q = Q(t), abbiamo poi:

η(t) = SΨ(t) = (SM1U)−1Q(t).

3.2.3 Osservazioni

Abbiamo ottenuto, in concreto, nelle pagine precedenti il seguente risultato, notoin algebra lineare:

Teorema - Siano date due matrici n× n simmetriche a valori reali, la prima T definitapositiva e la seconda V semidefinita positiva. Allora esiste una matrice invertibile a valorireali C tale che

CTT C = I (3.29)

CTVC = Diag(λ1, . . . λn) = Λ (3.30)

dove i λj ≥ 0 sono le radici dell’equazione caratteristica det(V − λT ) = 0.

41

Page 54: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

applicazioni delle equazioni di lagrange

Possiamo ovviamente scrivere λj = ω2j , con ωj ≥ 0. È facile far vedere, usando

le notazioni precedenti, che C−1 = SM1U. In base alle relazioni (3.29) e (3.30) siottengono in modo agevolo e immediato i modi normali di vibrazione. Infatti:

T η(t) +Vη(t) = 0 =⇒CTT η(t) + CTVη(t) = 0 =⇒CTT CC−1η(t) + CTVCC−1η(t) = 0 =⇒

C−1η(t) + ΛC−1η(t) = 0Q=C−1η=⇒

Q(t) + ΛQ(t) = 0.

(3.31)

3.2.4 Un particolare problema

Siano dati N + 1 oscillatori di costante k vincolati agli estremi come in figura 3.4.Siano gli N oggetti a essi vincolati di massa m. La lunghezza a riposo di ciascunamolla sia l0 cosicché la distanza tra le pareti sia (N + 1)l0. Indichiamo con xj(t) laposizione della j-esima particella all’istante t e con la x0,j la sua posizione iniziale.A riposo risulta x0,j − x0,j−1 = l0. L’energia potenziale elastica associata al sistemaè

V =12

kN+1

∑j=1

(xj − xj−1 − l0)2.

Se ora indichiamo con qj la deviazione dalla posizione di equilibrio della j-esimaparticella, cioè qj = xj − x0,j, posto q0 = qN+1 = 0, l’energia diventa

V =12

kN+1

∑j=1

(qj + x0,j − qj−1 − x0,j−1 − l0)2 =12

kN+1

∑j=1

(qj − qj−1)2.

Osservando che qj = xj possiamo scrivere la lagrangiana del sistema:

L =12

mN

∑j=1

q2j −

12

kN+1

∑j=1

(qj − qj−1)2.

L’equazione del moto della j-esima particella è:

mqj + k(2qj − qj−1 − qj+1) = 0.

Figura 3.4: Schema del problema.

42

Page 55: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

3.2 piccole oscillazioni

D’ora in poi poniamo per semplicità nella trattazione m = 1. Indichiamo ora:

q =

q1

q2

. . .qN

V = k

2 −1 0 · · · 0 0

−1 2 −1. . . 0 0

0 −1 2. . . 0 0

.... . . . . . . . . . . .

...

0 0 0. . . 2 −1

0 0 0 · · · −1 2

= kV0 = ω2

0V0.

La matrice V0 (e quindi anche V ) è simmetrica definita positiva. Infatti siaassegnato un vettore x di dimensioni opportune,

xTV0x = ∑i,j

V0,ijxixj = x21 +

N−1

∑i=1

(xi − xi+1)2 + x2

N ≥ 0.

La quantità sopra è nulla solo se x è il vettore nullo. Le equazioni del motopossono sintetizzarsi nella relazione:

q +Vq = 0.

Per risolvere il nostro problema occorre trovare gli autovalori della matrice V0.Essendo la matrice simmetrica definita positiva gli autovalori saranno tutti reali epositivi. Abbiamo visto che l’energia potenziale è data da

V(q) =12(q,Vq) =

12

kq21 +

12

kN

∑j=2

(qj − qj−1)2 +

12

kq2N . (3.32)

Se x = (x1, x2, . . . , xN) è un autovettore associato all’autovalore λ abbiamo

(x,V0x) = (x, λx) = λ(x, x) = λN

∑j=1

x2j = λ‖x‖2. (3.33)

D’altra parte dalla (3.32) risulta

(x,V0x) = x21 +

N

∑j=2

(xj − xj−1)2 + x2

N .

Inoltre

(xj − xj−1)2 = x2

j − 2xjxj−1 + x2j−1 ≤ 2x2

j + 2x2j−1

e

N

∑j=2

x2j =

N−1

∑j=2

x2j + x2

N ,

N

∑j=2

x2j−1 =

N−1

∑i=1

x2i = x2

1 +N−1

∑j=2

x2j

43

Page 56: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

applicazioni delle equazioni di lagrange

quindi

N

∑j=2

(xj − xj−1)2 ≤ 2

N

∑j=2

x2j + 2

N

∑j=2

x2j−1 =

= 2x2N + 2

N−1

∑j=2

x2j + 2

N−1

∑j=2

x2j + 2x2

1 =

= 2x21 + 2x2

N + 4N−1

∑j=2

x2j .

Pertanto

(x,V0x) ≤ 3x21 + 3x2

N + 4N−1

∑j=2

x2j < 4

N

∑j=1

x2j = 4‖x‖2. (3.34)

L’ultima maggiorazione è stretta perché, dovendo essere x 6= 0 in quanto autovet-tore deve risultare necessariamente x1, xN 6= 0. Infatti, partendo dall’equazione(V0 − λI)x = 0 abbiamo che la prima componente è

(2− λ)x1 − x2 = 0.

Ma se x1 = 0 allora x2 = 0. La seconda componente del vettore è

−x1 + (2− λ)x2 − x3 = 0

che implica x3 = 0. Procedendo in questo modo si troverebbe quindi che x = 0.Confrontando la (3.33) con la (3.34) ricaviamo che 0 < λ < 4.

Per trovare gli autovalori procediamo ora nel modo solito. Indichiamo conDN(λ) = det(V0 − λIN). Osserviamo che

D1 = 2− λ,

D2 =

∣∣∣∣2− λ −1−1 2− λ

∣∣∣∣ = (2− λ)2 − 1.

In generale, vista la struttura della matrice si vede che DN(λ) = (2−λ)DN−1(λ)−DN−2(λ). Per risolvere questo problema alle differenze finite adottiamo un si-stema simile a quello che si può utilizzare per trovare la forma chiusa dellasuccessione di Fibonacci (vedi l’appendice A), cerchiamo cioè soluzioni del tipoDN(λ) = µN , con µ 6= 0. L’equazione diventa:

µN − (2− λ)µN−1 + µN−2 = 0 ⇐⇒ µ2 − (2− λ)µ + 1 = 0 =⇒

µ1,2 =2− λ±

√(2− λ)2 − 42

= cos θ ± i sin θ = e± i θ

dove si è effettuata l’opportuna sostituzione 2 cos θ = 2 − λ (in virtù del fattoche λ ∈ ]0, 4[) e si è tenuto conto delle relazioni di Eulero. Ora occorre trovarea, a ∈ C tali che DN(λ) = a(λ) ei Nθ +a(λ) e− i Nθ e affinché la soluzione sia reale a

44

Page 57: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

3.2 piccole oscillazioni

deve essere il complesso coniugato di a. Imponiamo come “condizioni iniziali” idue determinanti già noti:{

D2(λ) = a e2 i θ +a e−2 i θ = (2− λ)2 − 1 = 4 cos2 θ − 1 = e2 i θ + e−2 i θ +1D1(λ) = a ei θ +a e− i θ = 2− λ = 2 cos θ = ei θ + e− i θ{(a− 1) e2 i θ +(a− 1) e2 i θ = 1(a− 1) ei θ +(a− 1) e−iθ = 0

⇐⇒{

b e2 i θ +b e2 i θ = 1b ei θ +b e− i θ = 0

ove si è posto b = a− 1. Risolvendo il sistema si ha

b(λ) =e− i θ

ei θ − e− i θ=⇒ a =

ei θ

ei θ − e− i θ, a = − e− i θ

ei θ − e− i θ.

Perciò:

DN(λ) =ei(N+1)θ − e− i(N+1)θ

ei θ − e− i θ=

2 i sin [(N + 1)θ]2 i sin θ

=sin [(N + 1)θ]

sin θ

Poiché siamo alla ricerca degli zeri della funzione, occorre che sia

sin[θ(N + 1)] = 0,

cioè

θm =mπ

N + 1m = 1, . . . , N.

Ricordando la relazione che lega θ a λ, è necessario che

λm = 4 sin2 mπ

2(N + 1).

Gli autovalori sono tutti distinti. Le frequenze del sistema sono

ω2m = ω2

0λm = 4ω20 sin2 mπ

2(N + 1).

Sia ora Λ = (δijλi)i,j=1,...,N . Cerchiamo la matrice S tale che V0 = STΛS. È notoche per costruire la matrice S occorre disporre degli autovettori. Perciò in generale,per m = 1, . . . , N, da (V0− λm I)xm = 0, ponendo come al solito 2− λm = 2 cos θm

e xm,1 = γm sin θm(2− λm)xm,1 − xm,2 = 0−xm,1 + (2− λm)xm,2 − xm,3 = 0. . .−xm,N−1 + (2− λm)xm,N = 0

=⇒

xm,1 = γm sin θm

xm,2 = 2γm sin θm cos θm = γm sin(2θm)

. . .xm,N = γm sin(Nθm)

.

Possiamo perciò scrivere:

xm = γm

sinmπ

N + 1

sin2mπ

N + 1. . .

sinNmπ

N + 1

45

Page 58: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

applicazioni delle equazioni di lagrange

dove γm è una costante da scegliere opportunamente. Per esempio, volendonormalizzare l’autovettore:

1 = ‖xm‖2 = γ2m

N

∑j=1

sin2(jθm) = γ2m

N

∑j=1

1− cos(2jθm)

2=

=γ2

m2

(N −

N

∑j=1

cos(2jθm)

)=

γ2m

2(N + 1).

L’ultima uguaglianza deriva dal fatto che

N

∑j=1

cos(2jθm) =N

∑j=1

Re ei 2jθm = ReN

∑j=1

ei 2jθm .

Questa è una progressione geometrica di ragione ei 2θm quindi:

N

∑j=1

cos(2jθm) = ReN

∑j=1

ei 2jθm = Reei 2(N+1)θm − e2 i θm

e2 i θm −1= −1.

Perciò γm =√

2/(N + 1) (osserviamo che γm non dipende da m) e l’m-esimoautovettore è

xm =

√2

N + 1

sinmπ

N + 1

sin2mπ

N + 1. . .

sinNmπ

N + 1

.

La matrice S ha per righe gli autovettori xm ed è quindi definita da

Smj = xm,j =

√2

N + 1sin

mjπN + 1

.

Poiché xm,j = xj,m la matrice S è simmetrica, cioè S = ST. Inoltre, avendo norma-lizzato gli autovettori xm, risulta (xm, xn) = δmn pertanto si ha anche S = S−1 dacui S2 = IN . Ricordando poi che

Qm =N

∑j=1

Smjqj

è possibile individuare mediante queste trasformazioni come stimolare il sistema(ovvero come agire sulle qj) per ottenere il modo normale associato alla coordinataQm.

46

Page 59: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

4F O R M A L I S M O H A M I LT O N I A N O

4.1 equazioni di hamilton

Vedremo ora una formulazione diversa della meccanica, nota come formulazionehamiltoniana. La sua rilevanza risiede nel fatto che è in grado di fornire un’impo-stazione teorica adatta a essere estesa ad altre aree della fisica. Così, per esempiol’approccio hamiltoniano costituisce il linguaggio con cui è formulata la meccanicaquantistica.

Nella formulazione hamiltoniana della meccanica si descrive il moto di un siste-ma di particelle con un insieme di equazioni differenziali del primo ordine (ricor-diamo che le equazioni di Lagrange, tipiche della formulazione lagrangiana, sonoequazioni differenziali del secondo ordine). Il numero complessivo di condizio-ni iniziali in grado di determinare in modo univoco il moto dovrà sempre essereuguale a 2n, dove n è il numero di gradi di libertà del sistema di particelle. Di con-seguenza nell’approccio hamiltoniano dovranno esserci 2n equazioni differenzialidel primo ordine, le quali descriveranno l’evoluzione del punto rappresentativodel sistema in uno spazio 2n-dimensionale, detto spazio delle fasi. Avremo allora2n coordinate indipendenti in grado di definire lo stato del sistema. Un modonaturale, anche se non unico, per introdurle è, nota la lagrangiana del sistema,associare a ogni coordinata generalizzata qk, con k = 1, . . . , n, un’altra coordinatadata dal momento coniugato a essa, cioè pk = ∂L/∂qk. Le variabili (q, p) sonodette canoniche. Si passa, in ultima analisi, dal sistema di variabili (q, q, t), pro-prio della formulazione lagrangiana, al sistema di nuove variabili (q, p, t), con ilquale possiamo formulare la meccanica hamiltoniana. Il metodo che ci permettedi passare da un sistema all’altro è fornito dalle trasformazioni di Legendre (perun approfondimento sulle trasformazioni di Legendre vedi l’appendice B). Stu-dieremo prima un caso semplice, cioè un sistema a un solo grado di libertà. SiaL = L(q, q, t) la lagrangiana del sistema. Abbiamo:

dL =∂L

∂qdq +

∂L

∂qdq +

∂L

∂tdt = p dq + p dq +

∂L

∂tdt (4.1)

dove abbiamo utilizzato la definizione di momento coniugato p = ∂L/∂q e l’e-quazione di Lagrange ∂L/∂q = d

dt∂L∂q = p. L’hamiltoniana del sistema H(q, p, t) è

definita mediante la seguente trasformazione detta di Legendre:

H(q, p, t) = qp− L(q, q, t). (4.2)

Notiamo che l’hamiltoniana risulta in realtà funzione di (q, p, t) solo dopo aver

47

Page 60: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

formalismo hamiltoniano

espresso q in funzione di (q, p, t) utilizzando la relazione p = ∂L(q, q, t)/∂q. Val-gono le seguenti relazioni:

dH =∂H

∂qdq +

∂H

∂pdp +

∂H

∂tdt (4.3)

Inoltre, per la (4.1) e la (4.2), si ha

dH = q dp + p dq− p dq− p dq− ∂L

∂tdt = q dp− p dq− ∂L

∂tdt (4.4)

Dal confronto tra la (4.3) e la (4.4) emerge che∂H(q, p, t)

∂p= q

∂H(q, p, t)∂q

= − p(4.5)

e

∂H

∂t= −∂L

∂t. (4.6)

Le relazioni (4.5) sono dette equazioni di Hamilton e costituiscono un sistema di dueequazioni differenziali del primo ordine nelle due variabili indipendenti (coordi-nate canoniche) q e p. Queste nuove variabili definiscono lo stato del sistema nelcosiddetto spazio delle fasi, che è ovviamente di dimensione 2.

La procedura precedente si può generalizzare al caso di un sistema avente ngradi di libertà. Sia L = L (q, q, t) la lagrangiana del sistema, con q = (q1, . . . , qn)e q = (q1, . . . , qn). Si ha:

dL =n

∑j=1

∂L

∂qjdqj +

n

∑j=1

∂L

∂qjdqj +

∂L

∂tdt =

=n

∑j=1

(pj dqj + pj dqj

)+

∂L

∂tdt

(4.7)

(si è utilizzato ∂L/∂qj = pj e ∂L/∂qj = ddt

∂L∂qj

= pj). Posto p = (p1, . . . , pn),possiamo come prima definire l’hamiltoniana del sistema in funzione di (q, p, t)mediante la trasformazione di Legendre

H(q, p, t) =n

∑j=1

qj pj − L(q, q, t). (4.8)

Avremo allora

dH =n

∑j=1

(∂H

∂qjdqj +

∂H

∂pjdpj

)+

∂H

∂tdt (4.9)

48

Page 61: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

4.1 equazioni di hamilton

e, per la (4.7) e la (4.8),

dH =n

∑j=1

(qj dpj + pj dqj)−n

∑j=1

( pj dqj + pj dqj)−∂L

∂tdt =

=n

∑j=1

(qj dpj − pj dqj)−∂L

∂tdt.

(4.10)

Dalla (4.9) e dalla (4.10) si deduce che per i = 1, . . . , n∂H(q, p, t)

∂pi= qi

∂H(q, p, t)∂qi

= − pi

(4.11)

e

∂H

∂t= −∂L

∂t. (4.12)

Le equazioni (4.11) vengono chiamate, come nel caso di un solo grado di libertà,equazioni di Hamilton e costituiscono 2n equazioni differenziali nelle variabilicanoniche q e p.

In conclusione, la costruzione dell’hamiltoniana avviene attraverso i seguentipassaggi:

• si costruisce la lagrangiana L in funzione delle coordinate generalizzate q,delle velocità generalizzate q ed eventualmente del tempo t attraverso larelazione L = T −V (supponendo le forze derivanti da un unico potenzialeo potenziale generalizzato);

• si definiscono i momenti coniugati pi attraverso la relazione

pi =∂L(q, q, t)

∂qi(i = 1, . . . , n); (4.13)

• si scrive l’hamiltoniana del sistema utilizzando la trasformazione di Legen-dre (4.8) (ovviamente in questa scrittura intervengono q, q, p e t);

• a partire dalle (4.13) si cerca di ottenere q in funzione di q, p e t;

• con l’ausilio del risultato precedente si può, infine, esprimere l’hamiltonianaH in funzione di q, p e t.

Esercizi

1. Si consideri una particella di massa m in un campo conservativo. Sia U =

U(r) l’energia potenziale. Scrivere l’hamiltoniana del sistema

a) in coordinate cartesiane;

b) in coordinate sferiche;

49

Page 62: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

formalismo hamiltoniano

c) in coordinate cilindriche.

Soluzione. In coordinate cartesiane x, y, z la lagrangiana della particella è

L =12

m(x2 + y2 + z2)−U(x, y, z).

Abbiamo:

px =∂L

∂x= mx =⇒ x =

px

m

py =∂L

∂y= my =⇒ y =

py

m

pz =∂L

∂z= mz =⇒ z =

pz

m.

Quindi, per la (4.8) e tenendo presenti le relazioni fra le velocità generaliz-zate e i momenti coniugati appena determinate, l’hamiltoniana è

H = xpx + ypy + zpz − L =

=1m(p2

x + p2y + p2

z)−1

2m(p2

x + p2y + p2

z) + U(x, y, z) =

=1

2m(p2

x + p2y + p2

z) + U(x, y, z).

In coordinate sferiche r, θ, ϕ la lagrangiana della particella è

L =12

m(r2 + r2θ2 + r2 sin2 θϕ2)−U(r, θ, ϕ).

Calcoliamo i momenti coniugati e le relazioni fra le velocità generalizzate equesti:

pr =∂L

∂r= mr =⇒ r =

pr

m

pθ =∂L

∂θ= mr2θ =⇒ θ =

mr2

pϕ =∂L

∂ϕ= mr2 sin2 θϕ =⇒ ϕ =

mr2 sin2 θ.

Dunque l’hamiltoniana è

H = rpr + θpθ + ϕpϕ − L =

=1m

(p2

r +p2

θ

r2 +p2

ϕ

r2 sin2 θ

)− 1

2m

(p2

r +p2

θ

r2 +p2

ϕ

r2 sin2 θ

)+ U(r, θ, ϕ) =

=1

2m

(p2

r +p2

θ

r2 +p2

ϕ

r2 sin2 θ

)+ U(r, θ, ϕ).

Infine, nelle coordinate cilindriche r, ϕ, z la lagrangiana della particella siscrive:

L =12

m(r2 + r2 ϕ2 + z2)−U(r, ϕ, z).

50

Page 63: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

4.1 equazioni di hamilton

Come al solito troviamo i momenti coniugati e poi esprimiamo le velocitàgeneralizzate in funzione dei momenti:

pr =∂L

∂r= mr =⇒ r =

pr

m

pϕ =∂L

∂ϕ= mr2 ϕ =⇒ ϕ =

mr2

pz =∂L

∂z= mz =⇒ z =

pz

m.

Abbiamo che l’hamiltoniana è data da:

H = rpr + ϕpϕ + zpz − L =

=1m

(p2

r +p2

ϕ

r2 + p2z

)− 1

2m

(p2

r +p2

ϕ

r2 + p2z

)+ U(r, ϕ, z) =

=1

2m

(p2

r +p2

ϕ

r2 + p2z

)+ U(r, ϕ, z).

2. Scrivere l’hamiltoniana di una particella di massa m e carica q in un campoelettromagnetico, i cui potenziali sono rispettivamente ϕ e A.

Soluzione. Nel capitolo 1 abbiamo visto che la lagrangiana della particellacarica nel campo elettromagnetico è data da

L =12

mv2 − qϕ +qc

A · v.

I momenti coniugati sono allora

p = ∇vL = mv +qc

A.

Da qui ricaviamo la velocità in funzione dei momenti coniugati:

v =1m

(p− q

cA)

.

Allora l’hamiltoniana è:

H = v · p− L =

=1m

(p2 − q

cA · p

)− 1

2m

1m2

(p− q

cA)2

+ qϕ− qmc

A ·(

p− qc

A)=

=1m

(p2 − 2

qc

A · p +q2

c2 A2)− 1

2m

(p− q

cA)2

+ qϕ =

=1

2m

(p− q

cA)2

+ qϕ.

51

Page 64: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

formalismo hamiltoniano

Possiamo anche scrivere le sei equazioni di Hamilton che descrivono il motodella particella:

x =∂H

∂px=

1m

(px −

qc

Ax

)+ q

∂ϕ

∂px

y =∂H

∂py=

1m

(py −

qc

Ay

)+ q

∂ϕ

∂py

z =∂H

∂pz=

1m

(pz −

qc

Az

)+ q

∂ϕ

∂pz

px = −∂H

∂x=

1m

(px −

qc

Ax

) qc

∂Ax

∂x− q

∂ϕ

∂x

py = −∂H

∂y=

1m

(py −

qc

Ay

) qc

∂Ay

∂y− q

∂ϕ

∂y

pz = −∂H

∂z=

1m

(pz −

qc

Az

) qc

∂Az

∂z− q

∂ϕ

∂z.

Se i potenziali ϕ e A non dipendono esplicitamente dalle coordinate allorail momento coniugato p risulta costante.

4.1.1 Un esempio

Supponiamo che le equazioni che definiscono le coordinate generalizzate nondipendano esplicitamente dal tempo e che le forze in gioco derivino da un po-tenziale V funzione solo delle coordinate generalizzate. Vogliamo vedere comepossiamo scrivere l’hamiltoniana del sistema. Siano n i gradi di libertà e sianoq1, . . . , qn le coordinate generalizzate. È semplice dimostrare che l’energia cineticasi può scrivere

T =12

n

∑i,j=1

τij(q)qi qj

dove q = (q1, . . . , qn). La lagrangiana è data da

L = T −V(q).

Il momento coniugato a qi è

pi =∂L

∂qi=

n

∑j=1

τij(q)qj.

La matrice simmetrica τ =(τij)

è definita positiva ed è quindi invertibile. Allora

qj =n

∑i=1

(τ−1

)ij

pi.

Si può dimostrare che nel nostro caso l’hamiltoniana è uguale all’energia totale,cioè

H =n

∑i=1

qi pi − L(q, q) = T + V.

52

Page 65: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

4.2 notazione simplettica

Osserviamo che

T =12

n

∑i,j=1

τij(q)n

∑k,l=1

(τ−1

)ik

(τ−1

)jl

pk pl =

=12

n

∑i,k,l=1

(τ−1

)ik

δil pk pl =

=12

n

∑i,k=1

(τ−1

)ik

pi pk.

In definitiva otteniamo che:

H =12

n

∑i,k=1

(τ−1

)ik

pi pk + V(q).

Se τ è diagonale, lo sarà anche la sua inversa e dunque

H =12

n

∑i=1

(τ−1

)ii

pi2 + V(q).

4.2 notazione simplettica

Le equazioni di Hamilton non trattano le coordinate generalizzate e i momenticoniugati in modo simmetrico, come si evince immediatamente dalle (4.5). Accen-niamo qui brevemente a un modo elegante di scrivere queste equazioni in formaunitaria attraverso la cosiddetta notazione simplettica.Se il sistema ha n gradi di libertà, possiamo costruire un vettore colonna formatoda 2n elementi (righe), e cioè:

ηi = qi,

ηi+n = pi(i = 1, . . . , n).

Il vettore colonna così costruito è dato da

η =

q1...

qn

p1...

pn

.

Si ha ovviamente

∂H

∂ηi=

∂H

∂qi,

∂H

∂ηi+n=

∂H

∂pi

(i = 1, . . . , n).

53

Page 66: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

formalismo hamiltoniano

Definiamo la seguente matrice 2n× 2n formata da quattro matrici n× n:

J =

(0n In

−In 0n

)dove In è la matrice identità n× n e 0n è la matrice nulla n× n. Notiamo che

JT = J−1 =

(0n −In

In 0n

).

Si vede che J−1 = −J. Allora J2 = −I2n e det J = 1. La matrice J è dettamatrice simplettica standard. Possiamo scrivere le equazioni di Hamilton nel modoseguente

ηk =2n

∑j=1

Jkj∂H

∂ηj(k = 1, . . . , 2n)

o in maniera sintetica

η = J∂H

∂η.

Per maggiore chiarezza esplicitiamo il caso bidimensionale:q1

q2

p1

p2

=

0 0 1 00 0 0 1−1 0 0 00 −1 0 0

− p1

− p2

q1

q2

.

Questa notazione è detta simplettica.

4.3 coordinate cicliche e metodo di routh

Sia H = H(q, p, t) l’hamiltoniana del sistema di particelle con n gradi di libertà, do-ve q = (q1, . . . , qn) e p = (p1, . . . , pn) sono le coordinate canoniche (indipendenti).Si ha:

dHdt

=n

∑j=1

∂H

∂qjqj +

n

∑j=1

∂H

∂pjpj +

∂H

∂t. (4.14)

Per le equazioni di Hamilton (4.5) e per la (4.12), la (4.14) diventa:

dHdt

= −n

∑j=1

pjqj +n

∑j=1

qj pj +∂H

∂t=

∂H

∂t= −∂L

∂t(4.15)

dove L è la lagrangiana del nostro sistema. Si vede, allora, che l’hamiltoniana èuna costante del moto se non dipende in modo esplicito dal tempo (o, in manieraequivalente, se la lagrangiana non dipende esplicitamente dal tempo).

54

Page 67: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

4.3 coordinate cicliche e metodo di routh

Abbiamo avuto già modo di osservare che, se le equazioni di trasformazio-ne che definiscono le coordinate generalizzate non dipendono esplicitamente daltempo e se il potenziale dipende solo dalle coordinate generalizzate, allora H coin-cide con l’energia totale ed è una costante del moto. Il fatto che H coincida conl’energia totale e sia una costante del moto sono due risultati in qualche modo in-dipendenti. Possono cioè verificarsi situazioni in cui l’hamiltoniana è una costantedel moto ma non è uguale all’energia totale, e viceversa.1

Se qn è una coordinata ciclica, allora pn = ∂L/∂qn è una costante del moto. Inquesto caso l’hamiltoniana del sistema sarà funzione della costante pn e non, ov-viamente, di qn. Ponendo pn = α, abbiamo H = H(q1, . . . , qn−1; p1, . . . , pn−1; α; t),cioè l’hamiltoniana è di fatto funzione di sole 2(n − 1) coordinate, essendo α

costante. Possiamo poi studiare l’evoluzione temporale delle coordinate genera-lizzate qn attraverso l’equazione canonica qn = ∂H/∂α.

Si possono combinare i vantaggi della formulazione hamiltoniana nel trattare lecoordinate cicliche con quelli della formulazione lagrangiana per lo studio dellecoordinate non cicliche con un metodo dovuto a Routh. In sostanza si effettuauna trasformazione di Legendre per passare dal sistema (q, q) al sistema (q, p)solo per le coordinate cicliche, ricavando per esse le equazioni del moto in for-ma hamiltoniana mentre le rimanenti equazioni del moto rimangono espresse informa lagrangiana.

Supponiamo che qs+1, . . . , qn siano coordinate cicliche. Introduciamo la seguen-te funzione di Routh (o routhiana):

R(q1, . . . , qn; q1, . . . , qs; ps+1, . . . , pn; t) =n

∑j=s+1

qj pj−L(q1, . . . , qn; q1, . . . , qn; t) (4.16)

dove L è, ovviamente, la lagrangiana del sistema (notare che nella (4.16) non èstata ancora inserita l’informazione che qs+1, . . . , qn sono cicliche). Dalla (4.16)otteniamo:

dR =n

∑j=s+1

(dqj pj + qj dpj)−s

∑j=1

(∂L

∂qjdqj +

∂L

∂qjdqj

)+

−n

∑j=s+1

(∂L

∂qjdqj +

∂L

∂qjdqj

)− ∂L

∂tdt.

(4.17)

Tenendo presente che per j = s + 1, . . . , n

∂L

∂qj= pj

∂L

∂qj= 0

la (4.17) diventa:

dR =n

∑j=s+1

qj dpj −s

∑j=1

(∂L

∂qjdqj +

∂L

∂qjdqj

)− ∂L

∂tdt. (4.18)

1 Per una discussione articolata, arricchita da esempi, rimandiamo alla lettura di Goldstein, Poole eSafko [7, pagine 328–332].

55

Page 68: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

formalismo hamiltoniano

Dalla (4.18) si deduce che

per j = 1, . . . , s

∂R

∂qj= − ∂L

∂qj

∂R

∂qj= − ∂L

∂qj

per j = s + 1, . . . , n

∂R

∂qj= 0

∂R

∂pj= qj

Allora le equazioni di Lagrange per j = 1, . . . , s si possono scrivere mediante lafunzione di Routh:

ddt

(∂R

∂qj

)− ∂R

∂qj= 0.

In conclusione la funzione di Routh è una funzione di Hamilton in rapporto al-le coordinate cicliche qs+1, . . . , qn e una funzione di Lagrange in rapporto allecoordinate non cicliche q1, . . . , qs. Osserviamo ad abundantiam che le coordinatecicliche non compaiono esplicitamente nella lagrangiana e, quindi, nella funzionedi Routh, cioè:

R = R(q1, . . . , qs; q1, . . . , qs; ps+1, . . . , pn; t)

dove, per j = s + 1, . . . , n, i pj sono integrali primi del moto.Vediamo un piccolo esempio. Una particella di massa m si muove in un campo

di forze centrali il cui potenziale è U = U(r) con r distanza della particella dalcentro di forza. Sappiamo che il moto avviene in un piano (sempre che il momentoangolare rispetto al centro di forza, che è costante, sia diverso da zero). Possiamoesprimere la lagrangiana della particella in tale piano in coordinate polari. Si ha:

L =12

m(r2 + r2θ2)−U(r).

Chiaramente θ è una coordinata ciclica. La funzione di Routh è definita nel modoseguente:

R = θpθ − L,

dove pθ = ∂L/∂θ = mr2θ è il momento coniugato a θ. Con semplici calcoli siricava che:

R =1

2mp2

θ

r2 −12

mr2 + U(r).

Osserviamo che ∂R/∂θ = 0 (e dunque pθ è una costante del moto), mentre∂R/∂pθ = θ = pθ/(mr2). Inoltre

ddt

(∂R

∂r

)− ∂R

∂r= 0,

56

Page 69: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

4.4 principio variazionale di hamilton modificato

cioè

mr− p2θ

mr3 + U′(r) = 0

(ricordiamo che −U′(r)r è la forza centrale agente sulla particella).Il metodo di Routh, che, in certi casi, può tornare utile ai fini del calcolo, non

è, in definitiva, altro che un ibrido concettuale tra la formulazione lagrangiana equella hamiltoniana, senza nulla aggiungere di sostanziale all’analisi e allo studiodi un sistema meccanico.

4.4 principio variazionale di hamilton modificato

Abbiamo visto che le equazioni di Lagrange possono essere ottenute dal principiodi Hamilton imponendo δS = δ

∫ t1t0L(q, q, t)dt = 0, richiedendo cioè che il moto

reale, fra tutti i moti ammissibili nello spazio delle configurazioni, sia quello cherende stazionaria l’azione. Se vogliamo dedurre le equazioni di Hamilton da unprincipio variazionale occorre, in qualche modo, modificare il precedente princi-pio, perché l’integrale possa essere valutato su percorsi del punto rappresentativodel sistema nello spazio delle fasi. Nell’approccio hamiltoniano le coordinatecanoniche q e p sono considerate indipendenti nello spazio delle fasi; di conse-guenza devono essere considerate indipendenti anche le loro variazioni. L’idea èdi considerare l’azione scritta nel modo seguente:

S[q(t), p(t)] =∫ t1

t0

(n

∑j=1

pjqj −H(q, p, t)

)dt (4.19)

con (q(t0) = q0, p(t0) = p0) e (q(t1) = q1, p(t1) = p1). Un moto nello spazio dellefasi (q(t), p(t)) è ammissibile se (q(t0) = q0, p(t0) = p0) e (q(t1) = q1, p(t1) =

p1). Il moto reale nello spazio delle fasi è quello tra i moti ammissibili che rendestazionaria l’azione (4.19), cioè

δS = δ∫ t1

t0

(n

∑j=1

pjqj −H(q, p, t)

)dt = 0.

Questo principio variazionale di Hamilton modificato ha esattamente la stessa for-ma variazionale tipica in uno spazio delle configurazioni di dimensione 2n. Ripe-tendo i ragionamenti fatti nel capitolo 2, otteniamo 2n equazioni di tipo Lagrange(o di Eulero-Lagrange), cioè

ddt

{∂

∂qk

[n

∑j=1

pjqj −H(q, p, t)

]}− ∂

∂qk

[n

∑j=1

pjqj −H(q, p, t)

]= 0 ⇐⇒

⇐⇒ pk +∂H

∂qk= 0 ,

ddt

{∂

∂ pk

[n

∑j=1

pjqj −H(q, p, t)

]}− ∂

∂pk

[n

∑j=1

pjqj −H(q, p, t)

]= 0 ⇐⇒

57

Page 70: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

formalismo hamiltoniano

⇐⇒ qk −∂H

∂pk= 0

che sono nell’ordine la seconda e la prima equazione di Hamilton. Osserviamoinfine che il principio variazionale di Hamilton modificato è formulato in modotale che agli estremi per i = 1, . . . , n non solo δqi = 0 ma anche δpi = 0. Una con-seguenza immediata di questa considerazione è che, se F(q, p, t) è una funzionedi classe opportuna (liscia), allora

n

∑j=1

pjqj −H(q, p, t) +dF(q, p, t)

dt(4.20)

dà luogo alle stesse equazioni di Hamilton.

4.5 parentesi di poisson

Supponiamo di avere un sistema lagrangiano con n gradi di libertà. Indichia-mo come al solito con q = (q1, . . . , qn) le coordinate generalizzate e con p =

(p1, . . . , pn) i momenti coniugati individuando così il nostro sistema (q, p) di coor-dinate canoniche. Sia H(q, p, t) l’hamiltoniana del sistema. Supponiamo di avereuna funzione f (q, p, t) : F ×R→ R di classe opportuna, indicato con F lo spaziodelle fasi. Una funzione siffatta è detta anche variabile dinamica. Tenendo contodelle equazioni di Hamilton si ha:

d fdt

=n

∑j=1

(∂ f∂qj

qj +∂ f∂pj

pj

)+

∂ f∂t

=

=n

∑j=1

(∂ f∂qj

∂H

∂pj− ∂ f

∂pj

∂H

∂qj

)+

∂ f∂t

= { f ,H}q,p +∂ f∂t

dove

{ f ,H}q,p =n

∑j=1

(∂ f∂qj

∂H

∂pj− ∂ f

∂pj

∂H

∂qj

)è detta parentesi di Poisson2 di f e H rispetto al sistema di coordinate canoniche(q, p). Si noti che l’ordine delle variabili (q, p) non è indifferente. Si vede subitoche f è una costante del moto se { f ,H}q,p + ∂ f /∂t = 0. In particolare se lavariabile dinamica f non dipende esplicitamente dal tempo,

d fdt

= 0 ⇐⇒ { f ,H}q,p = 0.

Più in generale, se abbiamo due variabili dinamiche f (q, p, t) e g(q, p, t), si defi-nisce parentesi di Poisson di f e g rispetto alle coordinate canoniche (q, p) la quantità:

{ f , g} =n

∑j=1

(∂ f∂qj

∂g∂pj− ∂ f

∂pj

∂g∂qj

). (4.21)

2 Talvolta per semplicità di notazione quando ciò non comporta equivoci il pedice alle parentesi èomesso. Inoltre la parentesi di Poisson è talvolta indicata in letteratura con il simbolo [·, ·] o [·, ·]PB.

58

Page 71: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

4.5 parentesi di poisson

Le parentesi di Poisson godono delle seguenti proprietà (siano f , g, f1, f2, g1, g2

variabili dinamiche arbitrarie):

1. { f , g} = −{g, f }, da cui ovviamente { f , f } = 0;

2. se c è costante rispetto alle coordinate canoniche, allora { f , c} = 0;

3. { f1 + f2, g} = { f1, g}+ { f2, g} e { f , g1 + g2} = { f , g1}+ { f , g2}, ovvero leparentesi sono operatori lineari;

4. { f1 · f2, g} = f1{ f2, g}+ f2{ f1, g};

5. si dimostra la seguente identità, per nulla banale, detta di Jacobi:

{ f , {g, h}}+ {g, {h, f }}+ {h, { f , g}} = 0

Valgono inoltre le seguenti relazioni:

• ∂

∂t{ f , g} =

{∂ f∂t

, g}+

{f ,

∂g∂t

};

• { f , qj} = −∂ f∂pj

e { f , pj} =∂ f∂qj

• {qi, qj} = 0, {pi, pj} = 0, {qi, pj} = δij (parentesi di Poisson fondamentali).

Notiamo per inciso che le equazioni di Hamilton possono essere scritte anche nelmodo seguente:

qk =∂H

∂pk= {qk,H},

pk = −∂H

∂qk= {pk,H}.

(4.22)

Osserviamo come l’asimmetria delle equazioni di Hamilton “scompaia” utilizzan-do le parentesi di Poisson.

Esercizi

1. Dimostrare l’identità di Jacobi nel caso in cui n = 1.

2. Dimostrare che se due variabili dinamiche f e g, che non dipendono espli-citamente dal tempo, sono entrambe integrali primi del moto, allora anche{ f , g} è un integrale primo del moto (Suggerimento: utilizzare l’identità diJacobi e il fatto che d f /dt = 0 ⇐⇒ { f ,H} = 0, dove H è l’hamiltoniana).

3. Dimostrare che, se due variabili dinamiche f e g (in generale dipendentidal tempo) sono entrambe integrali primi del moto, allora anche { f , g} è unintegrale primo del moto (questo è il teorema di Poisson).

59

Page 72: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

formalismo hamiltoniano

4. Sia dato un punto materiale di massa m e sia l’hamiltoniana del nostro si-stema H(x1, x2, x3, p1, p2, p3, t), in coordinate cartesiane. Dimostrare, utiliz-zando le parentesi di Poisson fondamentali, che {Lj, pk} = ε jkl pl , dove ε jkl èil simbolo di Levi-Civita, o delle permutazioni di 1, 2, 3.3 Analogamente sipuò vedere che {Lj, Lk} = ε jkl Ll e {Lj, L2} = 0.

5. Supponiamo di avere un punto materiale in un potenziale a simmetria sfe-rica. Si scriva in coordinate sferiche l’hamiltoniana e il momento angolaredella particella rispetto al centro della forza. Calcolare {L2,H}, {L,H}.

4.6 trasformazioni canoniche

Le equazioni differenziali del moto, nel formalismo hamiltoniano, benché del pri-mo ordine, non semplificano, in generale, i calcoli rispetto a quelle del formalismolagrangiano. La novità nell’approccio hamiltoniano risiede nel fatto che le coor-dinate e i momenti coniugati hanno la stessa rilevanza. Esistono casi in cui tuttele n coordinate generalizzate sono cicliche; in tale circostanza tutti i momenti co-niugati sono costanti del moto. Se poniamo per semplicità pi = αi (costante) peri = 1, . . . , n, allora qi = ∂H(α1, . . . , αn)/∂αi = ωi, valore costante, e quindi inte-grando si ha qi(t) = ωit + qi(0). Abbiamo visto come sia possibile, in questo caso,integrare banalmente le equazioni del moto.

Il fatto rilevante è che esistono problemi meccanici (quelli cosiddetti integrabili)per i quali è possibile avere n coordinate generalizzate cicliche. Naturalmente pun-to fondamentale è saper passare da un sistema di coordinate canoniche (q, p) aun altro sistema di coordinate canoniche (Q, P), anche per ricercare, ove esistano,coordinate generalizzate cicliche.

Un modo, potremmo dire naturale, per ottenere nuove coordinate canoniche re-lative a un sistema meccanico lagrangiano (e quindi hamiltoniano) è di partire datrasformazioni nello spazio delle configurazioni Q = Q(q, t), esprimere la lagran-giana in termini di Q e Q, ottenere i momenti coniugati corrispondenti tramitela relazione Pi = ∂L/∂Qi e infine riscrivere l’hamiltoniana in funzione di (Q, P),nuove coordinate canoniche, ed eventualmente del tempo in modo esplicito. Sipuò avere una trasformazione da un sistema di coordinate canoniche (q, p) a unaltro (Q, P) in maniera più generale, considerando (nello spazio delle fasi) comeindipendenti le coordinate generalizzate e i momenti coniugati (ricordiamo chequesto assunto è tipico della formulazione hamiltoniana). Si può, in altre paro-le, avere nello spazio delle fasi una trasformazione simultanea delle coordinategeneralizzate e dei momenti coniugati, cioè:{

Q = Q(q, p, t)P = P(q, p, t)

(4.23)

con (q, p) e (Q, P) vecchie e nuove, rispettivamente, coordinate canoniche. Tra-sformazioni di questo tipo, nello spazio delle fasi, sono dette canoniche e permet-tono, in termini delle nuove coordinate canoniche (Q, P), una nuova descrizione

3 Per la definizione di tale simbolo vedi l’appendice C.

60

Page 73: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

4.6 trasformazioni canoniche

equivalente della dinamica del nostro sistema meccanico, se, ovviamente, esisteuna nuova hamiltoniana funzione di (Q, P, t), che dia luogo alle equazioni diHamilton. Possiamo in definitiva dare la seguente

Definizione (di trasformazione canonica) - Se (q, p) è un sistema di coordinatecanoniche con hamiltoniana H(q, p, t),{

Q = Q(q, p, t)P = P(q, p, t)

è una trasformazione canonica se esiste una nuova hamiltoniana K(Q, P, t) chepermette di scrivere le equazioni del moto nella forma

Qi =∂K

∂Pi

Pi = −∂K

∂Qi

,

con i = 1, . . . , n.

Sottolineiamo una proprietà rilevante delle trasformazioni canoniche (proprietàche sarà evidente in seguito): le trasformazioni canoniche sono indipendenti dalproblema fisico specifico. In altre parole la trasformazione (q, p, t) → (Q, P, t),se è canonica per un particolare sistema meccanico, è canonica per tutti i sistemimeccanici con lo stesso numero di gradi di libertà.

Abbiamo visto che le equazioni di Hamilton possono essere ottenute dal prin-cipio di Hamilton modificato, cioè

δS = δ∫ t1

t0

(n

∑i=1

pi qi −H(q, p, t)

)dt = 0.

Analogamente, se Q e P sono le nuove coordinate canoniche e K(Q, P, t) è lanuova hamiltoniana, il principio di Hamilton modificato diventa:

δS = δ∫ t1

t0

(n

∑i=1

PiQi −K(Q, P, t)

)dt = 0.

Poiché le variazioni delle coordinate canoniche (relative a tutti i moti ammissibilinello spazio delle fasi) devono essere nulle agli estremi, deve valere (vedi la (4.20))la seguente relazione (trasformazione canonica):

n

∑i=1

pi qi −H(q, p, t) =n

∑i=1

PiQi −K(Q, P, t) +dFdt

(4.24)

dove F(q, p, t), che supponiamo liscia, è detta funzione generatrice della trasforma-zione canonica (4.24). La relazione (4.24) può essere scritta:

n

∑i=1

pi dqi −n

∑i=1

Pi dQi − (H−K)dt = dF. (4.25)

61

Page 74: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

formalismo hamiltoniano

La struttura della (4.25) induce a prendere in considerazione la sottoclasse ditrasformazioni in cui è possibile scegliere (q, Q) come variabili indipendenti inluogo di (q, p). Richiediamo allora che p = p(q, Q, t) abbia4 det ∂p

∂Q 6= 0 e P =

P(q, Q, t). La funzione generatrice è detta, in questo caso, di tipo 1. Si ha:

F(q, p, t) = F(q, p(q, Q, t), t) = F1(q, Q, t).

La relazione (4.25) può, allora, essere scritta in questo caso:n

∑i=1

pi dqi −n

∑i=1

Pi dQi − (H−K)dt =

=n

∑i=1

∂F1

∂qidqi +

n

∑i=1

∂F1

∂QidQi +

∂F1

∂tdt

Di conseguenza, per i = 1, . . . , n:

pi =∂F1

∂qi(4.26)

Pi = −∂F1

∂Qi(4.27)

K = H+∂F1

∂t. (4.28)

Una volta nota la funzione generatrice di tipo 1, tramite la (4.26) si ottiene

p = p(q, Q, t) (4.29)

e tramite la (4.28)

P = P(q, Q, t).

Invertendo poi la (4.29), si ottiene Q = Q(q, p, t); si può pertanto esprimere ancheP in funzione di (q, p, t). Osserviamo che l’inversione è garantita dalla proprietàdi non degenerazione

det∂p∂Q

= det∂2F1

∂q ∂Q6= 0.

Possiamo riassumere il discorso appena fatto nel modo seguente:

Per ogni funzione F1(q, Q, t) liscia, soggetta alle proprietà di nondegenerazione, la trasformazione (q, p, t)→ (Q, P, t), definita, per i =1, . . . , n, da

pi =∂F1

∂qi

Pi = −∂F1

∂Qi

e dalla formula inversa Q = Q(q, p, t), è canonica; a ogni hamiltonianaH(q, p, t) corrisponde l’hamiltoniana K = H+ ∂F1/∂t. In particolare,se ∂F1/∂t = 0, K = H.

4 Ovvero la matrice jacobiana ∂ p/∂Q =(

∂ pk/∂Qj

)è assunta non singolare.

62

Page 75: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

4.6 trasformazioni canoniche

Vediamo alcuni esempi di trasformazioni di tipo 1 per sistemi a un grado dilibertà:

• Sia F1 = qQ la funzione generatrice di tipo 1 (n = 1). Allora p = Q e P = −q.Vale a dire, (q, p) → (p,−q) è una trasformazione canonica. Inoltre K = H.Notare che la trasformazione canonica è indipendente dal sistema fisico inesame.

• F1 = q2Q2/2. Allora: p = ∂F1/∂q = qQ2 =⇒ Q =√

p/q e P =

−∂F1/∂Q = −q2Q =⇒ P = −q√

pq. La trasformazione canonica è(q, p)→ (

√q/p,−q

√qp) con K = H.

• F1 = etq Q. Abbiamo: p = ∂F1/∂q = t etq Q =⇒ Q = e−tq p/t e P =

−∂F1/∂Q = − etq =⇒ P = − etq. La trasformazione canonica è (q, p) →(e−tq p/t,− etq) con K = H+ ∂F1/∂t = H−QP ln(−P)/t.5

Può capitare che non sia possibile avere una funzione generatrice di tipo 1.Questo accade se p può essere funzione di (q, P, t) e non di (q, Q, t). Allora sipuò porre:

F = F2(q, P, t)−n

∑i=1

QiPi.

La relazione (4.25) diventa in questo caso

n

∑i=1

pi dqi −�����n

∑i=1

Pi dQi − (H−K)dt = dF2 −n

∑i=1

Qi dPi −��

���n

∑i=1

Pi dQi

ovvero

n

∑i=1

pi dqi +n

∑i=1

Qi dPi − (H−K)dt = dF2. (4.30)

F2 è detta funzione generatrice di tipo 2. Dalla (4.30) otteniamo

pi =∂F2

∂qi, (4.31)

Qi =∂F2

∂Pi, (4.32)

K = H+∂F2

∂t(i = 1, . . . , n).

Notiamo che bisogna imporre la condizione di non degenerazione det ∂ p/∂P =

det ∂2F2∂q ∂P 6= 0. Invertendo la (4.31) otteniamo P = P(q, p, t) e, quindi, nella (4.32)

Q in funzione (q, p, t).Facciamo ora alcuni esempi per sistemi a un grado di libertà:

5 Come in tutti gli altri casi, nell’analisi di un problema fisico, dopo aver effettuato la trasformazionecanonica bisognerà esprimere anche H in funzione delle nuove coordinate canoniche Q e P.

63

Page 76: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

formalismo hamiltoniano

• F2 = qP; allora p = ∂F2/∂q = P e Q = ∂F2/∂P = q. Otteniamo cioè latrasformazione canonica identica, con K = H.

• F2 = (q + αP)2/2, con α > 0. Allora p = ∂F2/∂q = q + αP =⇒ P =

(p − q)/α, mentre Q = ∂F2/∂P = α(q + αP) = α(q + p − q) = αp. Latrasformazione canonica è dunque (q, p)→ (αp, (p− q)/α), con K = H.

Può accadere che siano scelte come variabili indipendenti p e Q. In tal casoq = q(p, Q, t), con la condizione det ∂q

∂Q 6= 0. Allora

F = F3(p, Q, t) +n

∑i=1

qi pi. (4.33)

La funzione generatrice si dice in tal caso di tipo 3. La relazione (4.25) diventa perla (4.33)

�����n

∑i=1

pi dqi −n

∑i=1

Pi dQi − (H−K)dt = dF3 +n

∑i=1

qi dpi +��

���n

∑i=1

pi dqi =⇒

−n

∑i=1

qi dpi −n

∑i=1

Pi dQi − (H−K)dt = dF3

da cui

qi = −∂F3

∂pi, (4.34)

Pi = −∂F3

∂Qi, (4.35)

K = H+∂F3

∂t(i = 1, . . . , n).

La condizione det ∂q∂Q 6= 0 può pertanto essere scritta, in base alla (4.34) co-

me det ∂2F3∂p ∂Q (condizione di non degenerazione). Proponiamo alcuni esempi di

funzioni generatrici siffatte sempre nel caso di sistemi a un grado di libertà:

• F3 = −pQ. Allora q = −∂F3/∂p = Q e P = −∂F2/∂Q = p. In questo casola trasformazione canonica è la trasformazione identica, cioè (q, p)→ (q, p),con K = H.

• F3 = − ep+Q. Allora q = −∂F3/∂p = ep+Q > 0 =⇒ Q = ln q − p eP = −∂F2/∂Q = ep+Q = q ep e−p = q. La trasformazione canonica è, allora,la seguente: (q, p)→ (ln q− p, q), con q > 0 e K = H.

Se sono scelte come variabili indipendenti p e P, abbiamo q = q(p, P, t) con lacondizione

det∂q∂P6= 0 (4.36)

e

F = F4(p, P, t) +n

∑i=1

qi pi −n

∑i=1

QiPi. (4.37)

64

Page 77: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

4.6 trasformazioni canoniche

La funzione generatrice è detta di tipo 4. La relazione (4.25) diventa per la (4.37):

���

��n

∑i=1

pi dqi −�����n

∑i=1

Pi dQi − (H−K)dt =

= dF4 +n

∑i=1

qi dpi +�����n

∑i=1

pi dqi −n

∑i=1

Qi dPi −�

����n

∑i=1

Pi dQi =⇒

−n

∑i=1

qi dpi +n

∑i=1

Qi dPi − (H−K)dt = dF4

da cui

qi = −∂F4

∂pi, (4.38)

Qi =∂F4

∂Pi, (4.39)

K = H+∂F4

∂t(i = 1, . . . , n).

La condizione det ∂q∂P 6= 0 può essere scritta in base alla (4.38) come det ∂2F4

∂P ∂p 6= 0.Per esempio, se, per n = 1, F4 = pP, allora q = −∂F4/∂p = −P ⇐⇒ P = −q

e Q = ∂F4/∂P = p. La trasformazione canonica è, pertanto, la seguente: (q, p)→(p,−q), con K = H.

Osserviamo, infine, che una funzione generatrice non deve essere necessaria-mente una dei quattro tipi per tutti i gradi di libertà. Si può usare una funzionegeneratrice che mescoli i quattro tipi. Così per n = 2

F = F23(q1, p2; P1, Q2; t)−Q1P1 + q2 p2

rappresenta una funzione generatrice di tipo 2 per il primo grado di libertà e ditipo 3 per il secondo.

Accenniamo infine (senza dimostrazioni) a una bella proprietà riguardante leparentesi di Poisson e le trasformazioni canoniche.6 Sia data una trasformazionecanonica:{

Q = Q(q, p, t)P = P(q, p, t)

. (4.40)

Se f (Q, P, t) e g(Q, P, t) sono due variabili dinamiche, si può dimostrare che:

{ f (Q, P, t), g(Q, P, t)}Q,P =

= { f (Q(q, p, t), P(q, p, t), t), g(Q(q, p, t), P(q, p, t), t)}q,p ,

ovvero le parentesi di Poisson sono invarianti per trasformazioni canoniche. In partico-lare abbiamo

{Qj, Qk}Q,P = {Qj, Qk}q,p = 0 (4.41a)

{Pj, Pk}Q,P = {Pj, Pk}q,p = 0 (4.41b)

{Qj, Pk}Q,P = {Qj, Pk}q,p = δjk. (4.41c)

6 Per una dimostrazione di questa proprietà vedi Landau e Lifšits [11, pagina 211].

65

Page 78: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

formalismo hamiltoniano

Inoltre si può far vedere che, se (q, p) sono coordinate canoniche, le trasformazio-ni (4.40) sono canoniche solo se sono soddisfatte le (4.41). In definitiva, assegnatele trasformazioni, il test basato sulle parentesi di Poisson è conclusivo per stabi-lire se esse sono canoniche senza passare per le funzioni generatrici o precisarespecifici problemi fisici.

Esempi

1. Si consideri un oscillatore armonico monodimensionale. Usando la funzionegeneratrice di tipo 1

F1(q, Q) =12

mωq2 cot Q

con m, ω costanti positive, determinare la trasformazione canonica e inte-grare le equazioni del moto.

Soluzione. Dalla funzione generatrice abbiamo:

p =∂F1

∂q= mωq cot Q

P = −∂F1

∂Q=

12

mωq2 1sin2 Q

.

Ricaviamo q e p in funzione di Q e P:

q =

√2Pmω

sin Q

p =√

2Pmω cos Q.

Se k = mω2 è la costante elastica, l’hamiltoniana rispetto alle usuali coordi-nate è:

H =12

p2

m+

12

mω2q2,

quindi nelle nuove coordinate:

K(Q, P) = H(q(Q, P), p(Q, P)) =12

2Pmω

mcos2 Q +

12

mω2 2Pmω

sin2 Q =

= ωP.

Dunque Q è una coordinate ciclica e il suo momento coniugato P è co-stante, inoltre l’energia coincide con l’hamiltoniana e quindi si conserva.Dall’equazione di Hamilton risulta:

Q =∂K

∂P= ω

e l’equazione del moto si riduce a

Q = ωt + Q0,

dove Q0 è una costante di integrazione da determinare dalle condizioniiniziali.

66

Page 79: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

4.6 trasformazioni canoniche

2. Data la trasformazione del secondo tipo a un grado di libertà

F2(q, P) =23

√2am

(P

ma+ q)3/2

,

con m, a costanti positive, determinare le trasformazioni canoniche Q =

Q(q, p), P = P(q, p). Scrivere l’hamiltoniana H(q, p) di una particella dimassa m in moto unidimensionale con accelerazione costante a. Effettua-re inoltre la trasformazione canonica su questa hamiltoniana: K(Q, P) =

H(q(Q, P), p(Q, P)) e integrare le equazioni del moto.

Soluzione. Dalla trasformazione abbiamo:

p =∂F2

∂q= m√

2a(

Pma

+ q)1/2

Q =∂F2

∂P=

√2aa

(P

ma+ q)1/2

.

Dividendo membro a membro:

Qp=

1ma

=⇒ Q =p

ma

e, dalla prima equazione:

P =p2

2m−maq.

Nel problema fisico proposto, l’hamiltoniana coincide con l’energia totaledel sistema quindi:

H =12

p2

m−maq = P.

La funzione generatrice della trasformazione non dipende esplicitamentedal tempo, pertanto K = H = P. Le equazioni di Hamilton sono allora:

Q =∂K

∂P= 1

P =∂K

∂Q= 0 ,

cioè P è costante, quindi anche l’energia del sistema si conserva. Si potevagiungere a questo risultato anche osservando che la coordinata Q è ciclica.Integrando la prima delle equazioni di Hamilton abbiamo

Q(t) = t + Q0 =p(t)ma

,

dove Q0 è una costante di integrazione. Scegliendo l’origine dei tempi inmodo che risulti Q0 = 0 abbiamo

p(t) = mat.

67

Page 80: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

formalismo hamiltoniano

3. Siano (q, p) le coordinate canoniche. La trasformazione{Q = pP = q

è canonica?

Soluzione. Risulta

{Q, P}q,p = {p, q}q,p = −1

quindi la trasformazione non è canonica.

4. Siano (q, p) le coordinate canoniche. Determinare se la trasformazione{Q = 2q + p2

P =p2

è canonica.

Soluzione. Risulta:

{Q, P}q,p = {2q + p2, p/2}q,p = {2q, p/2}+ {p2, p/2} = {2q, p/2} =

=22{q, p} = 1

dunque la trasformazione è canonica. Troviamo la funzione generatrice ditipo 2:

p =∂F2

∂q= 2P

Q =∂F2

∂P= 2q + 4P2

Integrando la prima equazione del sistema abbiamo:

F2 = 2qP + g(P)

dove g(P) è una costante di integrazione dipendente da P. Sostituendo nellaseconda equazione ricaviamo:

∂F2

∂P= 2q + g′(P) = 2q + 4P2 =⇒ g′(P) = 4P2 =⇒ g(P) =

43

P3 + c,

in cui c è una costante di integrazione. Facendo in modo che risulti c = 0, lafunzione generatrice diventa:

F2 = 2qP +43

P3.

68

Page 81: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

4.7 equazioni di hamilton-jacobi

5. Data la trasformazione{Q = α ln pP = −qβ p

determinare per quali valori delle costanti α e β è canonica. Scrivere inoltrela funzione generatrice di tipo 1 associata.

Soluzione. Affinché la trasformazione sia canonica deve risultare

1 = {Q, P}q,p = {α ln p,−qβ p}q,p =

=∂α ln p

∂q∂(−qβ p)

∂p− ∂α ln p

∂p∂(−qβ p)

∂q= αβqβ−1.

Poiché α e β sono costanti abbiamo β− 1 = 0 =⇒ β = 1 e quindi α = 1. Latrasformazione è allora:{

Q = ln pP = −qp

Troviamo la funzione generatrice di tipo 1:p =

∂F1

∂q= eQ

P = −∂F1

∂Q= −qp

Integrando la prima equazione si ottiene:

F1 = q eQ +g(Q)

con g(Q) costante di integrazione dipendente da Q. Sostituendo nella se-conda abbiamo:

∂F1

∂Q= q eQ +g′(Q) = q eQ =⇒ g(Q) = c

dove c è una costante di integrazione. Posto c = 0 la funzione generatrice è:

F1 = q eQ .

4.7 equazioni di hamilton-jacobi

Abbiamo visto che nell’approccio hamiltoniano il moto di un sistema meccaniconello spazio delle fasi con n gradi di libertà è determinato dalla soluzione di 2nequazioni differenziali ordinarie del primo ordine rispetto al tempo, che coinvol-gono 2n variabili dipendenti dal tempo (le coordinate canoniche) e una variabileindipendente (il tempo appunto).

69

Page 82: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

formalismo hamiltoniano

Vogliamo ora far vedere che lo stesso problema fisico può essere risolto inun modo completamente diverso: attraverso la determinazione di una funzio-ne7 S(q1, . . . , qn; t) soluzione di un’equazione differenziale alle derivate parziali,contenente n + 1 derivate parziali del primo ordine rispetto a q1, . . . , qn e a t.

Supposta nota l’hamiltoniana del sistema in esame H(q, p, t), con q = (q1, . . . , qn)

e p = (p1, . . . , pn) coordinate canoniche, assumiamo che esista una trasformazionecanonica Q = Q(q, p, t) e P = P(q, p, t) che dia luogo a una nuova hamiltonianaK nulla. In questo caso, per i = 1, . . . , n:

Qi =∂K

∂Pi= 0

Pi = −∂K

∂Qi= 0

cioè Q e P sono costanti nel tempo. Se F è la funzione generatrice, abbiamo lacondizione

H(q, p, t) +∂F∂t

= 0. (4.42)

Se facciamo l’ipotesi che la funzione generatrice sia del secondo tipo, abbiamoche:

pi =∂F2(q, P, t)

∂qi(i = 1, . . . , n).

L’equazione (4.42) può essere pertanto riscritta:

H

(q,

∂F2

∂q, t)+

∂F2

∂t= 0. (4.43)

La (4.43) è nota come equazione di Hamilton-Jacobi ed è, per la funzione genera-trice, un’equazione differenziale alle derivate parziali prime nelle n + 1 variabili(q1, . . . , qn, t). F2 è, in letteratura, indicata usualmente col simbolo S. La funzioneS è detta funzione principale di Hamilton. Supponiamo che esista una soluzionecompleta del tipo S = S(q1, . . . , qn; α1, . . . , αn+1; t) dove α1, . . . , αn+1 sono costantidi integrazione indipendenti. L’equazione di Hamilton-Jacobi non dà informazio-ni sui nuovi momenti Pi da cui dovrebbe dipendere S. Sappiamo che questi nuovimomenti sono tutti costanti. Osserviamo che nella (4.43) la funzione S non com-pare direttamente ma solo mediante le derivate parziali rispetto a qi e a t. Allora,se S è soluzione dell’equazione di Hamilton-Jacobi, anche S+costante è soluzione.Questa proprietà implica che una delle n + 1 costanti di integrazione deve compa-rire come costante additiva. Si può, allora, scegliere una soluzione completa chedipende da n costanti indipendenti, cioè:

S = S(q1, . . . , qn; α1, . . . , αn; t). (4.44)

Possiamo benissimo scegliere queste costanti esattamente uguali ai nuovi momen-ti: Pi = αi. Questa scelta non contraddice l’ipotesi iniziale che la funzione gene-ratrice della trasformazione canonica sia di tipo 2 e quindi che p = p(q, P, t). Si

7 In realtà, come vedremo, S dipende in generale anche da n + 1 costanti arbitrarie

70

Page 83: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

4.7 equazioni di hamilton-jacobi

possono scegliere i nuovi momenti, essendo costanti, assegnando al tempo t = 0q e p. In particolare, sappiamo che

pi =∂S∂qi

(q; α; t) (4.45)

con α = (α1, . . . , αn); invertendo la (4.45) possiamo ottenere α al tempo t = 0 infunzione di q e p. Le nuove coordinate generalizzate sono date da:

Qi =∂S∂αi

= βi (costanti). (4.46)

Le costanti βi possono essere calcolate conoscendo i valori al tempo t = 0 del-le coordinate canoniche. Possiamo poi, invertendo le trasformazione canoniche,esprimere le vecchie coordinate canoniche (q, p) in funzione delle nuove (β, α):8{

q = q(β, α, t)p = p(β, α, t)

(4.47)

Queste relazioni ci dicono che possiamo ottenere, mediante una trasformazionecanonica, le coordinate canoniche (q, p) in funzione del tempo, cioè di determi-nare il moto del sistema nello spazio delle fasi una volta che siano assegnate lecondizioni iniziali. Le relazioni (4.47) ci danno, in altre parole, la soluzione delleequazioni di Hamilton, noti q(0) e p(0).

Da un punto di vista matematico abbiamo ottenuto un’equivalenza tra un’e-quazione differenziale alle derivate parziali in n + 1 variabili del primo ordine e2n equazioni differenziali ordinarie del primo ordine. Questa equivalenza puòessere, nel nostro caso, imputata al fatto che sia l’equazione di Hamilton-Jacobisia le equazioni di Hamilton derivano dal medesimo principio di Hamilton mo-dificato. Possiamo ora cercare di comprendere il significato fisico della funzionegeneratrice del secondo tipo S. Osserviamo che, essendo α quantità costanti,

dS(q, α, t)dt

= ∑i

∂S∂qi

qi +∂S∂t

. (4.48)

Se teniamo presenti le (4.45), la (4.48) diventa:

dS(q, α, t)dt

= ∑i

pi qi +∂S∂t

= ∑i

pi qi −H (4.49)

dove abbiamo tenuto conto della (4.42). Balza evidente dalla (4.49) e da quantodetto sul principio di Hamilton modificato che S rappresenti (a meno di costantiadditive) l’azione.

Vediamo un caso particolare.9 Supponiamo che H non dipenda esplicitamentedal tempo. Allora la funzione principale di Hamilton deve avere la seguentestruttura:

S(q, α, t) = W(q, α)− at (4.50)

8 β = (β1, . . . , βn), α = (α1, . . . , αn).9 Vi invito a leggere e a studiare anche gli esempi riportati in Goldstein, Poole e Safko [7, pagine 413-

418].

71

Page 84: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

formalismo hamiltoniano

dove W(q, α) è detta funzione caratteristica di Hamilton. Osserviamo che

pi =∂S∂qi

=∂W∂qi

.

Allora

dWdt

= ∑i

∂W∂qi

qi = ∑i

pi qi

e quindi

W = ∑i

∫pi dqi.

4.8 variabili angolo-azione nel caso unidimensionale

Sia H(q, p) l’hamiltoniana nel nostro sistema a un solo grado di libertà, con (q, p)coordinate canoniche.

Supponiamo che il sistema abbia un moto periodico e che esista una trasforma-zione canonica (indipendente dal tempo) (q, p)→ (ψ, J), indotta da una funzionegeneratrice di tipo 1 F1(q, ψ) indipendente dal tempo, in modo tale che ψ sia ci-clica.10 Ovviamente il nuovo momento coniugato J è una costante del moto eH = H(J). Abbiamo, per la prima equazione di Hamilton, ψ = ∂H(J)/∂J = ω

(costante), da cui ψ(t) = ωt + ψ0.Poiché, per ipotesi, il moto è periodico, le coordiante canoniche q e p saranno

funzioni periodiche. Avremo come conseguenza che il moto deve essere periodicoin ψ. Assumiamo che il periodo sia 2π. La nuova coordinata generalizzata ψ èdetta variabile angolo, mentre J è detta variabile azione e assume il ruolo di momentoangolare. Per quanto detto, F1(q, ψ) deve essere periodica rispetto a ψ di periodo2π:

dF1 =∂F1

∂qdq +

∂F1

∂ψdψ = p dq− J dψ.

Dopo un periodo, F1 torna al valore iniziale e ψ consegue una variazione di 2π.

0 =∮

dF1 =∮

p dq− J∫ 2π

0dψ =

∮p dq− 2π J =⇒ J =

12π

∮p dq.

Questa relazione può essere presa proprio come definizione della variabile azione.

4.8.1 Esempio: l’oscillatore armonico unidimensionale

L’oscillatore armonico unidimensionale ha hamiltoniana

H =1

2mp2 +

12

kq2,

10 Ricordiamo che l’hamiltoniana non cambia, cioè K = H.

72

Page 85: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

4.8 variabili angolo-azione nel caso unidimensionale

dove m è la massa della particella e k > 0 è una costante. Possiamo porre ω2 =

k/m e riscrivere l’hamiltoniana:

H =1

2mp2 +

12

ω2mq2 = E.

E, l’energia totale, è costante e il suo valore è fissato dalle condizioni iniziali.Pertanto:

p =√

2mE−m2ω2q2

F1(q, ψ) =∫

dF1 =∫

p dq− J∫

dψ =

=∫ √

2mE−m2ω2q2 dq− J∫

dψ.

Per calcolare I =∫ √

2mE−m2ω2q2 dq, poniamo sin θ =√

m/(2E)ωq. Allora

I =√

2mE∫ √

1− mω2q2

2Edq =

2Eω

∫cos2 θ dθ =

(θ +

sin 2θ

2

),

dove ovviamente θ = arcsin(√

m/(2E)ωq). Osserviamo che in questi casi abbia-mo

J =1

∮p dq =

,

cioè

E = Jω.

In base poi al calcolo di I possiamo scrivere esplicitamente F1(q, ψ) in funzione diθ e ψ, cioè:

F1 =Eω

(θ +

sin 2θ

2

)− Jψ.

Poiché F1 deve essere una funzione periodica, Eθ/ω − Jψ = J(θ − ψ) = 0 cioèθ = ψ. In base a quest’ultimo risultato,

F1 =Eω

sin ψ cos ψ.

Poiché sin θ = sin ψ =√

m/(2E)ωq,

E =mω2q2

sin ψ

e, in definitiva,

F1(q, ψ) =12

mωq2 cot ψ.

73

Page 86: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

formalismo hamiltoniano

Allora

p =∂F1

∂q= mωq cot ψ

J = −∂F1

∂ψ=

12

mωq2

sin2 ψ

=12

mωq2(1 + cot2 ψ)

=12

mωq2 +12

p2

mω=

.

In conclusioneψ = arccot

pmωq

J =12

mωq2 +12

p2

.

74

Page 87: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

R I F E R I M E N T I B I B L I O G R A F I C I D E L L A PA RT E I

[1] Mauro Anselmino, Sergio Costa e Enrico Predazzi. Origine classica della fisicamoderna. Torino: Levrotto & Bella, 1999. Contiene una trattazione su tutti gliargomenti del corso.

[2] Vladimir Igorevic Arnol’d. Metodi matematici della meccanica classica. Roma:Editori Riuniti, 2010 (citato a pagina 120).

[3] Vincenzo Barone. Relatività. Principi e applicazioni. Torino: Bollati Boringhieri,2007 (citato a pagina 106).

[4] Max Born. Fisica atomica. Torino: Bollati Boringhieri, 1976.

[5] Giuseppe De Marco. Analisi due. Volume 2. Padova: Decibel e Zanichelli,1993 (citato alle pagine 118, 126).

[6] Antonio Fasano e Stefano Marmi. Meccanica analitica. Torino: Bollati Borin-ghieri, 2002.

[7] Herbert Goldstein, Charles Poole e John Safko. Meccanica Classica. Bologna:Zanichelli, 2005 (citato alle pagine 55, 71).

[8] David Halliday, Robert Resnick e Jearl Walker. Fondamenti di fisica. Fisicamoderna. Milano: CEA, 2002.

[9] Charles Kittel, Walter D. Knight e Malvin A. Ruderman. Meccanica. La fisicadi Berkley. Bologna: Zanichelli, 1970 (citato a pagina 94).

[10] Kenneth S. Krane. Modern Physics. John Wiley & Sons, 1995.

[11] Lev Davidovic Landau e Evgenij Mikhailovic Lifšits. Meccanica. Fisica teori-ca. Roma: Editori Riuniti university press, 2009 (citato a pagina 65).

[12] Lev Davidovic Landau e Evgenij Mikhailovic Lifšits. Teoria dei campi. Volu-me 2. Fisica teorica. Roma: Editori Riuniti, 2004.

[13] P. J. Mohr, B. N. Taylor e D. B. Newell. The 2006 CODATA Recommended Va-lues of the Fundamental Physical Constants. Versione Web 5.2. Questo databaseè stato sviluppato da J. Baker, M. Douma e S. Kotochigova. Gaithersburg,Maryland 20899: National Institute of Standards and Technology, 25 ott.2008. url: http://physics.nist.gov/cuu/Constants/index.html (citato apagina 129).

[14] Luigi Picasso. Lezioni di meccanica quantistica. Pisa: Edizioni ETS, 2000.

[15] Robert Resnick. Introduzione alla relatività ristretta. Milano: Casa Editrice Am-brosiana, 1996.

[16] Eyvind H. Wichmann. Fisica quantistica. Volume 4. La fisica di Berkley. Bolo-gna: Zanichelli, 1973.

75

Page 88: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

Parte II

R E L AT I V I TÀ R I S T R E T TA E I N T R O D U Z I O N E A L L AM E C C A N I C A Q U A N T I S T I C A

Page 89: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5R E L AT I V I TÀ S P E C I A L E

Avvertenza! In questo capitolo indicheremo i tensori in neretto, v, mentre i vettori saranno indicati

secondo la notazione ~v.

5.1 trasformazioni di lorentz

5.1.1 Premessa

Le equazioni di Maxwell, che hanno permesso di unificare sia i campi elettri-ci e magnetici sia l’ottica geometrica, non sono invarianti per trasformazioni diGalileo. Premettiamo due semplici considerazioni.

• Nelle equazioni compare esplicitamente la velocità di propagazione dei se-gnali elettromagnetici: c = 1/

√ε0µ0. Secondo il principio di relatività di

Galileo passando da un sistema di riferimento inerziale a un altro le velocitàsi sommano come vettori, dunque la velocità di un segnale luminoso dipen-de dal sistema di riferimento inerziale e sarà diversa al cambiare del sistema.La spiegazione che si dette sulla comparsa del modulo della velocità di unsegnale elettromagnetico nelle equazioni si basò sull’esistenza di un mezzo(estremamente rigido e rarefatto) le cui deformazioni dovrebbero corrispon-dere ai campi elettromagnetici. Il mezzo come sappiamo fu chiamato eteree si pose il problema di individuare il sistema di riferimento a esso solidale.Le equazioni di Maxwell, così come formulate, dovevano essere valide intale sistema di riferimento.

• La presenza di asimmetrie in alcuni fenomeni elettromagnetici, quando sipassa da un sistema di riferimento inerziale a un altro, non trova una spie-gazione nell’ambito della teoria della relatività di Galileo. Per esempio, unacarica puntiforme q ferma in un sistema di riferimento inerziale genera uncampo elettrostatico, ma la stessa carica per un altro sistema di riferimentoinerziale è in moto e genera anche un campo magnetico.

Inoltre l’esperimento di Michelson e Morley dimostrò, senza ombra di dubbio,che l’etere non esiste e che la velocità della luce (nel vuoto) non dipende dallavelocità della sorgente.

5.1.2 Concetto di evento

L’idea che è alla base della teoria della relatività è di decomporre tutto ciò cheaccade in eventi. Un evento rappresenta la minima determinazione possibile, in-dividuata dall’assegnazione di tre coordinate spaziali e una temporale. In altre

77

Page 90: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

parole, un evento è un qualcosa che accade in un dato punto dello spazio in unparticolare istante di tempo. Se abbiamo un sistema di assi cartesiani Oxyz, unevento è una quaterna di numeri (x, y, z, t). Tutto ciò che accade deve ammettereuna descrizione in termini di relazioni o coincidenze tra eventi. L’insieme deglieventi costituisce lo spaziotempo.

5.1.3 Principio di inerzia

Postuliamo l’esistenza di una particolare classe di sistemi di riferimento, rispettoa ognuno dei quali tutti i punti materiali isolati o sono fermi o si muovono convelocità vettoriale costante. Questi sistemi di riferimento sono detti, come bensappiamo, inerziali.

Dobbiamo altresì assumere (per misurare lunghezze e intervalli di tempo) chesi abbia una classe di regoli rigidi ideali e una classe di orologi ideali. Due regoliideali hanno la proprietà di essere della medesima lunghezza se sono in quiete,indipendentemente dalla loro storia passata. Analogamente, due orologi idealibattono il tempo nello stesso modo se sono in quiete, a prescindere dalla lorostoria passata. Noi supporremo che in ogni luogo di un sistema di riferimento visia un orologio in quiete. Il grosso problema è quello di sincronizzare tutti questiorologi ideali. Un modo per sincronizzare due orologi, uno posto in A e l’altroposto in B 6≡ A, solidali con il nostro sistema di riferimento inerziale, può essereil seguente: lanciamo da A verso B un segnale elettromagnetico (supposta nota lavelocità della luce1), sincronizziamo l’orologio in B con quello in A tenendo contodella distanza tra A e B e del tempo impiegato dal segnale a raggiungere B.

Noi affrontiamo lo studio della cosiddetta Relatività Ristretta o Speciale, che sioccupa del rapporto esistente fra la descrizione dei fenomeni fisici compiute daosservatori solidali con sistemi di riferimento inerziali. La Relatività Generale avràlo scopo di estendere lo studio a osservatori non inerziali.

5.1.4 Postulati della Relatività Ristretta e trasformazioni di Lorentz

Oltre al principio d’inerzia, alla base della relatività ristretta vi sono due postulati:

Primo postulato: principio di relatività - Le leggi della Fisica sono le stesse intutti i riferimenti inerziali.

Secondo postulato: costanza della velocità della luce - La velocità della lucenel vuoto assume lo stesso valore, indipendentemente dalla direzione, in tutti i sistemi diriferimento inerziali.

Vediamo, ora, come ottenere le trasformazioni di Lorentz utilizzando i postulatidella relatività ristretta, supponendo che il tempo sia omogeneo e che lo spazio siaomogeneo e isotropo. Supponiamo di avere due sistemi di riferimento inerziali

1 Per misurare la velocità del segnale può essere usato un solo orologio, sempre che il percorsoseguito dal segnale sia chiuso.

78

Page 91: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5.1 trasformazioni di lorentz

~v

y′y

S S′

x ≡ x′

z z′

O O′

Figura 5.1: Rappresentazione dei sistemi di riferimento in esame.

S(Oxyz) e S′(O′x′y′z′), il quale si muove rispetto al primo con velocità costante vdiretta lungo la direzione positiva delle x in modo che x ≡ x′ (vedi figura 5.1). Unevento è caratterizzato in S dalle coordinate spaziotemporali (x, y, z, t). Lo stessoevento avrà in S′ coordinate spaziotemporali (x′, y′, z′, t′). Cerchiamo le relazioni

x′ = x′(x, y, z, t)y′ = y′(x, y, z, t)z′ = z′(x, y, z, t)t′ = t′(x, y, z, t)

(5.1)

sulla base dei due postulati. Supponiamo che si sia proceduto a sincronizzare gliorologi in ognuno dei due sistemi di riferimento inerziali e che quando O′ ≡ O,t = t′ = 0 (è il modo più semplice di sincronizzare due orologi,2 uno solidale conS, l’altro solidale con S′). Osserviamo che poiché lo spazio è isotropo abbiamo po-tuto scegliere, assolutamente in generalità, i due sistemi inerziali come precisatosopra. Una prima osservazione: l’ipotesi di omogeneità dello spazio e del temporichiede che le (5.1) siano lineari. Altre osservazioni:

1. Poiché continuamente l’asse x coincide con l’asse x′, o in modo equivalente{y = 0z = 0

⇐⇒{

y′ = 0z′ = 0

,

y′ e z′ sono espressi mediante una combinazione lineare di y e z.

2. Il piano x − y (caratterizzato dall’equazione z = 0) si deve trasformare nelpiano x′ − y′ (cioè z′ = 0); analogamente il piano x− z (caratterizzato dall’e-quazione y = 0) si deve trasformare nel piano x′ − z′ (cioè y′ = 0). Allora y′

dev’essere proporzionale solo a y e z′ deve essere proporzionale solo a z.

2 Non è assolutamente detto che due orologi, uno solidale con S e l’altro con S′, battano il tempo allostesso modo.

79

Page 92: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

3. Si può far vedere che un’asta posta lungo l’asse y solidale con S deve averela stessa lunghezza in S′; ciò comporta che y′ = y. Analogamente si provache z′ = z.

4. Per ragioni di simmetria t′ non può dipendere linearmente né da y né da z.Altrimenti, per esempio, due orologi, fermi in S, uno posto sull’asse delle yin y = +1 e l’altro posto sullo stesso asse in y = −1, sarebbero in disaccordoosservati da S′. Questo fatto sarebbe in contrasto con l’ipotesi di isotropiadello spazio.

5. Poiché il punto O′ e ogni altro punto del piano y′ − z′ ha rispetto a S equa-zione oraria x = vt, allora x′, nella trasformazione cercata, deve essereproporzionale a x− vt.

Le considerazioni precedenti portano a dire che le trasformazioni (5.1) devonoessere, in particolare, del tipo:

x′ = γ(v)(x− vt), (5.2a)

y′ = y, (5.2b)

z′ = z, (5.2c)

t′ = a(v)x + b(v)t. (5.2d)

con le condizioni iniziali γ(0) = b(0) = 1 e a(0) = 0. Il nostro scopo è oraquello di determinare le costanti γ, a e b utilizzando il secondo postulato dellarelatività. Supponiamo che, quando O ≡ O′, cioè al tempo t = t′ = 0, un’ondaelettromagnetica sferica venga emessa da O ≡ O′. In base al secondo postulatodella relatività l’onda elettromagnetica si propaga in tutte le direzioni con velocitàc (velocità della luce nel vuoto) sia in S sia in S′. Consideriamo allora un puntodel fronte d’onda (x, y, z) al tempo t in S. Le coordinate spaziotemporali (x, y, z, t),che definiscono l’evento in S, dovranno soddisfare la seguente relazione:

x2 + y2 + z2 = c2t2. (5.3)

Lo stesso evento in S′ avrà coordinate spaziotemporali (x′, y′, z′, t′), che, per quan-to detto, dovranno essere legate dalla relazione:

x′2 + y′2 + z′2 = c2t′2. (5.4)

Ponendo le (5.2) nella (5.4), otteniamo:

γ2(x− vt)2 + y2 + z2 = c2(ax + bt)2

(γ2 − c2a2)x2 + y2 + z2 − 2xt(γ2v + c2ab) = (c2b2 − γ2v2)t2. (5.5)

La relazione (5.5) deve coincidere con la (5.3) per ogni x, y, z, t. Si ha, allora,γ2 − c2a2 = 1γ2v + c2ab = 0c2b2 − γ2v2 = c2

. (5.6)

80

Page 93: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5.1 trasformazioni di lorentz

Tenendo presente che se v = 0, b = 1 dalle (5.6) otteniamo:γ =

1√1− v2/c2

a = − vc2 γ

b = γ

. (5.7)

In conclusione le trasformazioni di Lorentz sono le seguenti:

x′ = γ(x− vt), (5.8a)

y′ = y, (5.8b)

z′ = z, (5.8c)

t′ = γ(

t− vc2 x)

, (5.8d)

con

γ =1√

1− v2/c2. (5.9)

Dalle (5.8) è facile ricavare le trasformazioni inverse

x = γ(x′ + vt′), (5.10a)

y = y′, (5.10b)

z = z′, (5.10c)

t = γ(

t′ +vc2 x′

). (5.10d)

Notiamo che se v � c, allora γ ≈ 1 e inoltre dalle (5.10) si riottengono le tra-sformazioni di Galileo. Siano (x, y, z, t) le coordinate spaziotemporali in S di unevento e siano (x′, y′, z′, t′) le coordinate spaziotemporali in S′ dello stesso evento.Notiamo che:

c2t′2 − x′2 − y′2 − z′2 = c2γ2(

t− vc2 x)2− γ2(x− vt)2 − y2 − z2 =

= c2t2 − x2 − y2 − z2.

Allora c2t2 − x2 − y2 − z2 (che, come vedremo tra poco, può essere riguardatocome la distanza al quadrato nello spaziotempo fra il nostro evento e l’eventodi coordinate (0, 0, 0, 0)) è una quantità scalare invariante per trasformazioni diLorentz.

Poniamo x0 = ct e sinh χ = v/c√1−v2/c2 = βγ, con β = v/c. Si ha ovviamente

cosh χ =√

1 + sinh2 χ = γ. Allora le trasformazioni di Lorentz (relativamentealle due coordinate che cambiano) posson essere scritte anche nel modo seguente:

x′0 = x0 cosh χ− x sinh χ, (5.11a)

x′ = x cosh χ− x0 sinh χ. (5.11b)

81

Page 94: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

Da queste relazioni si evidenzia una certa analogia con le rotazioni in due dimen-sioni:

x′ = x cos θ − y sin θ,

y′ = x sin θ + y cos θ.

Questa analogia si estende al fatto che, mentre le rotazioni conservano le lunghez-ze x2 + y2, le (5.11) conservano la quantità x2

0 − x2, che, come abbiamo accennato,rappresenta ancora una “distanza al quadrato” nello spaziotempo. Le trasforma-zioni di Lorentz, come si evince dalla (5.11), possono allora esere considerate come“rotazioni generalizzate” nello spaziotempo. Supponiamo di avere un evento Adefinito da (xA, yA, zA, tA) e un evento B definito da (xB, yB, zB, tB) nel sistemadi riferimento inerziale S. Possiamo definire il quadrato della distanza tra i dueeventi nel modo seguente:

∆s2 = c2(tB − tA)2 − (xB − xA)

2 − (yB − yA)2 − (zB − zA)

2

= c2∆t2 − ∆x2 − ∆y2 − ∆z2 (5.12)

dove, ovviamente, ∆t2 rappresenta l’intervallo temporale tra i due eventi al qua-drato e ∆x2 + ∆y2 + ∆z2 l’intervallo spaziale al quadrato. Nel sistema S′ la distan-za al quadrato tra i due eventi è data da ∆s′2 = c2∆t′2 − ∆x′2 − ∆y′2 − ∆z′2, con∆t′ = t′B − t′A, ∆x′ = x′B − x′A, ∆y′ = y′B − y′A, ∆z′ = z′B − z′A. Si può agevolmentedimostrare che ∆s2 = ∆s′2. Possiamo riscrivere la (5.12) in forma differenziale

ds2 = c2 dt2 − dx2 − dy2 − dz2.

Il fatto che le coordinate spaziali e quelle temporali abbiano segni opposti nelladefinizione di distanza al quadrato tra due eventi è una caratteristica dello spa-ziotempo. Osserviamo che per un segnale luminoso ds2 = 0. Se una particellasi muove con velocità inferiore alla velocità della luce, si ha ds2 > 0 e, quindi dsè reale. In tal caso si dice che l’intervallo è di genere tempo. Se invece ds2 < 0l’intervallo è detto di genere spazio. Gli intervalli per i quali ds2 = 0 si dicono ditipo luce.

Tardioni si dicono i punti materiali che si muovono con velocità inferiore a quelladella luce, tachioni i corpi (immaginari) che si muovono con velocità superiore aquella della luce. I corpi che si muovono alla velocità della luce si dicono di tipoluce.

Osserviamo che due eventi separati da un intervallo di tipo tempo non possonomai essere simultanei, cioè non esiste un sistema di riferimento in cui tali eventirisultino simultanei. Invece è possibile trovare un sistema di riferimento in cuii due eventi si verifichino nello stesso luogo, cioè l’intervallo spaziale tra i dueeventi sia nullo.

In relazione a un determinato sistema di riferimento inerziale S, possiamo rap-presentare gli eventi associando agli assi cartesiani x, y, z un quarto asse, quellodel tempo. Per facilitare la visualizzazione consideriamo un solo asse spaziale,quello delle x (figura 5.2). Gli assi x e ct sono assunti ortogonali; si tratta di una

82

Page 95: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5.1 trasformazioni di lorentz

Futuro assoluto

Passato assoluto

Altrove Altrove

a

b

c

d

Oπ4 x

ct

tempo futuro

osservatore

tempo passato

spazio

spazio

iperpianopresente

Figura 5.2: Diagramma di Minkowski: a sinistra considerando una sola dimensionespaziale, a destra considerate due dimensioni spaziali.

scelta di pura convenienza. Fatta questa scelta, in un altro sistema di riferimen-to inerziale S′, che si muove rispetto a S con velocità costante diretta lungo ladirezione positiva dell’asse x, x′ e ct′ non sono più ortogonali. Il punto O rap-presenta l’evento (0, 0). Il moto rettilineo uniforme di una particella con velocitàV < c, passante per x = 0 al tempo t = 0, è rappresentato da una retta passan-te per O e formante con l’asse ct un angolo inferiore a π/4. Le due rette limiterappresentano la propagazione di segnali che viaggiano alla velocità della luce.

All’interno della regione (cono) aOc abbiamo c2t2 − x2 > 0, cioè l’intervallo tral’evento (x, t) e l’evento (0, 0) è di tipo tempo. In tale regione t > 0, cioè ognievento ha luogo dopo l’evento O. Poiché due eventi, separati da un intervallo ditipo tempo, non possono mai essere simultanei in alcun riferimento inerziale, nonè possibile scegliere un sistema di riferimento in cui un arbitrario evento, postoall’interno della regione aOc, abbia luogo prima di O, cioè avvenga al tempo t < 0.Tutti gli eventi all’interno di aOc sono, allora, posteriori a O, fanno cioè parte dellaregione del futuro assoluto (la quale, nel caso si consideri più di una dimensionespaziale, è un cono o un ipercono, detto appunto cono del futuro).

Nello stesso modo si può far vedere che ogni evento posto in dOb avviene primadell’evento O, e questo è vero in qualunque riferimento inerziale. La regione dOb

83

Page 96: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

è detta appunto del passato assoluto (cono del passato).Sottolineiamo che gli eventi posti nel passato e nel futuro possono essere messi

in relazione causale con l’evento O.Gli eventi all’interno delle regioni aOd e cOb sono separati dall’evento O da un

intervallo di tipo spazio. Se D è un evento in tali regioni, si può sempre trovareun riferimento inerziale in cui D e O sono simultanei, anche se non possono maiavvenire nello stesso luogo per alcun riferimento. Esistono sistemi di riferimentoin cui D avviene prima di O e altri in cui avviene dopo. La regione tra il cono delfuturo e il cono del passato è indicata come il presente di O (o anche come l’altroveassoluto di O, perché, come abbiamo detto, in nessun sistema di riferimento unevento, che appartiene a questa regione, e l’evento O possono verificarsi nellostesso luogo).

Gli eventi posti lungo le bisettrici appartengono al cono-luce e sono connessiper l’appunto all’evento O da segnali luminosi.

Riassumendo in relatività

• il futuro è individuato dagli eventi che soddisfano la relazione ct > |x|;

• il presente è individuato dagli eventi che soddisfano la relazione |ct| < |x|;

• il passato è individuato dagli eventi che soddisfano la relazione −ct > |x|.Notiamo che nell’ambito della fisica non relativistica (o newtoniana) rispetto a O

• il futuro si ha per t > 0;

• il presente si ha per t = 0;

• il passato si ha per t < 0.

Infine osserviamo che il ragionamento svolto per l’evento O si può ripetere perogni altro evento. Questo vuol dire che a ogni evento possiamo associare un conodel futuro e un cono del passato.

5.2 alcune conseguenze delle trasformazioni di lorentz

5.2.1 Legge di trasformazione delle velocità

Tra le conseguenze principali delle trasformazioni di Lorentz vi è una diversa leg-ge di trasformazione della velocità rispetto a quella prevista dalle trasformazionigalileiane. Dovremo, ovviamente, ritrovare che la velocità della luce (nel vuoto)è un invariante relativistico, cioè ha lo stesso valore in tutti i sistemi di riferimen-to inerziali. Consideriamo i sistemi di riferimento inerziali S ed S′ già visti. Lecomponenti3 del vettore velocità di una particella rispetto a S sono:

Vx =dx(t)

dtVy =

dy(t)dt

Vz =dz(t)

dt.

3 Supponiamo assegnata in S la legge oraria della particella (x(t), y(t), z(t)) e la corrispondente leggeoraria in S′ (x′(t′), y′(t′), z′(t′)).

84

Page 97: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5.2 alcune conseguenze delle trasformazioni di lorentz

Le corrispondenti componenti rispetto a S′ saranno

V ′x =dx′(t′)

dt′V ′y =

dy′(t′)dt′

V ′z =dz′(t′)

dt′.

Dalle trasformazioni di Lorentz si ottiene:

dx = γ(dx′ + v dt′) = γ(V ′x + v)dt′,

dy = dy′ = V ′y dt′,

dz = dz′ = V ′z dt′,

dt = γ(

dt′ +vc2 dx′

)= γ

(1 +

vc2 V ′x

)dt′.

Da queste relazioni ricaviamo:

Vx =dxdt

=V ′x + v

1 + vc2 V ′x

, (5.13a)

Vy =dydt

=1γ

V ′y1 + v

c2 V ′x, (5.13b)

Vz =dzdt

=1γ

V ′z1 + v

c2 V ′x. (5.13c)

Osserviamo che se c→ +∞, allora γ = 1 (o anche se v/c� 1, allora γ ≈ 1) e

Vx = V ′x + v Vy = V ′y Vz = V ′z .

cioè otteniamo la trasformazione galileiana della velocità. Facilmente si ottienedalle (5.13) la trasformazione inversa:

V ′x =Vx − v

1− vc2 Vx

, (5.14a)

V ′y =1γ

Vy

1− vc2 Vx

, (5.14b)

V ′z =1γ

Vz

1− vc2 Vx

. (5.14c)

Ricordiamo che γ = 1/√

1− v2/c2 = 1/√

1− β2, dove β = v/c. Osserviamo che

limβ→0+

γ(β) = 1, limβ→1−

γ(β) = +∞.

Se V ′y = V ′z = 0 e V ′x = V ′, allora dalle (5.13) otteniamo

Vx = V =V ′ + v

1 + vc2 V ′

, Vy = 0, Vz = 0. (5.15)

Se V ′ = c (velocità della luce nel vuoto) allora dalla precedente si ha V = c.Inoltre sempre dalla precedente se 0 < V ′ < c, allora 0 < V < c (e viceversa).4

4 Noi supponiamo che v ∈ (0, c).

85

Page 98: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

γ

β

Figura 5.3: Andamento del fattore di Lorentz γ in funzione di β.

Esercizio

Dimostrare che, se v′2x + v′2y + v′2z = c2, allora v2x + v2

y + v2z = c2 e viceversa.

5.2.2 Contrazione delle lunghezze

Si chiama lunghezza propria di un’asta la sua lunghezza in un sistema di riferimen-to in cui è in quiete. Supponiamo di avere un’asta rigida in quiete in S e postalungo l’asse x. Se le sue estremità sono nei punti di coordinata x1 e x2 > x1, lasua lunghezza propria è ovviamente data da:

l0 = x2 − x1.

Per misurare la lunghezza dell’asta nel sistema di riferimento S′, che si muoverispetto a S con una velocità v diretta lungo la direzione positiva dell’asse x, bastaavere le coordinate degli estremi dell’asta nello stesso istante di tempo e dunquevalutare gli eventi (x′1, t′1) e (x′2, t′2) con t′1 = t′2. I due eventi sono simultanei inS′ ma non in S. Naturalmente, per misurare la lunghezza propria in S possiamodeterminare gli estremi dell’asta in tempi diversi e abitrari. Sappiamo che

x = γ(x′ + vt′)

e, quindi,

x1 = γ(x′1 + vt′1)

x2 = γ(x′2 + vt′1)=⇒ x2 − x1 = γ(x′2 − x′1).

Chiamata l = x′2 − x′1 la lunghezza dell’asta in S′, avremo allora

l0 = γl ⇐⇒ l =

√1− v2

c2 l0 < l0. (5.16)

86

Page 99: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5.2 alcune conseguenze delle trasformazioni di lorentz

Il sistema S′, che è in moto rispetto all’asta, misura, pertanto, una lunghezza mi-nore della lunghezza propria dell’asta. Questo fenomeno è noto come contrazionedelle lunghezze.

Esercizio

La lunghezza dell’asta rispetto al sistema di riferimento S′ può essere determi-nata considerando i suoi estremi nella stessa posizione in tempi diversi? In casoaffermativo, qual è la relazione tra questa lunghezza dell’asta e la sua lunghezzaa riposo?

5.2.3 Dilatazione dei tempi

La dilatazione dei tempi è una delle conseguenze più straordinarie della relativitàristretta. Consideriamo due sistemi di riferimento inerziali S e S′ come in figu-ra 5.1 e supponiamo che un orologio, a riposo nel sistema di riferimento inerzialeS′, misuri in uno stesso punto dello spazio x′0 un intervallo temporale tra dueeventi A : (x′0, t′A) e B : (x′0, t′B), con t′B > t′A. L’intervallo temporale tra i due eventi∆τ = t′B − t′A è detto tempo proprio. La loro distanza è ovviamente di tipo tempo.Nel sistema S i due eventi A e B hanno le seguenti coordinate spaziotemporali:

xA = γ(x′0 + vt′A), xB = γ(x′0 + vt′B),

tA = γ(

t′A +vc2 x′0

), tB = γ

(t′B +

vc2 x′0

).

Allora

∆t = tB − tA = γ∆τ > ∆τ, (5.17)

cioè l’intervallo di tempo tra i due eventi, misurato in S, risulta maggiore dell’in-tervallo di tempo proprio. Questo risultato ci dice che l’orologio mobile rispetto aS ha una frequenza minore. Possiamo, in altre parole, affermare che la frequenzadi un orologio mobile rallenta rispetto a quella di un orologio fermo. Notiamoche in S′ i due eventi avvengono nello stesso luogo e il loro intervallo temporaleè misurato da un solo orologio posto in quel punto (intervallo di tempo proprio),mentre nell’altro sistema di riferimento S i due eventi si verificano in punti diversidello spazio e occorrono due orologi per misurare il loro intervallo di tempo (nonproprio).

Vediamo di capire meglio con un esempio. Supponiamo che in S′ una sorgenteluminosa posta nell’origine emetta al tempo t′ = 0 un raggio di luce in direzio-ne dell’asse y′ e che uno specchio, posto a distanza L, rifletta il raggio di lucefacendolo tornare in O′ (figura 5.4a). Ovviamente avremo ∆τ = 2L/c. Questo èil tempo complessivo che il raggio di luce impiega per tornare in O′ nel sistemaS′. L’intervallo di tempo trovato è, naturalmente, proprio. Vediamo ora qualeragionamento fa il sistema S, supponendo che al tempo t = t′ = 0 (quando vieneemesso il raggio di luce) O ≡ O′. Lo specchio è solidale con S′ che si muove convelocità v nella direzione positiva dell’asse delle x. Il raggio luminoso avrà in S

87

Page 100: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

y′

x′

S′

L

O′

(a)

y

x

S

L

M R

c∆t2

O

(b)

Figura 5.4: La traiettoria di un raggio luminoso riflesso da uno specchio in due sistemi diriferimento inerziali in moto relativo.

una traiettoria come quella in figura 5.4b. Il sistema S ha bisogno di due orologi,uno in O l’altro in R (ovviamente sincronizzati) per valutare l’intervallo temporale∆t, che il raggio luminoso impiega per tornare sull’asse delle x. Tenendo presentela figura 5.4b si ottiene facilmente:

(c∆t2

)2

=

(v∆t

2

)2

+ L2,

c2∆t2 = v2∆t2 + 4L2,

∆t =2L/c√

1− v2/c2= γ∆τ.

Ritroviamo, cioè, nell’esempio specifico, la formula (5.17) relativa alla dilatazionedei tempi.

5.3 lo spazio di minkowski

In maniera molto sintetica possiamo dire che lo spazio vettoriale di Minkowski,M, è lo spaziotempo. Un punto di tale spazio è, come abbiamo già avuto mododi dire, un evento.

Le coordinate di un punto-evento, in un sistema di riferimento S, possono esse-re definite come (x0, x1, x2, x3) = (ct, x, y, z) (notare che tutte le componenti hannole dimensioni di una lunghezza). Le coordinate xµ (µ = 0, 1, 2, 3),5 con la conven-

5 Da qui in poi, nello spazio di Minkowski, useremo la convenzione che gli indici greci (α, β, . . . , µ,ν, . . . ) assumono valori 0, 1, 2, 3, invece gli indici latini (i, j, k, . . . ) assumeranno i valori 1, 2, 3.

88

Page 101: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5.3 lo spazio di minkowski

zione dell’indice in alto, sono dette controvarianti e si trasformano passando da unsistema S a uno S′ nel solito modo:

x′0 = γ(x0 − βx1),

x′1 = γ(x1 − βx0),

x′2 = x2,

x′3 = x3.

(5.18)

Le precedenti possono essere scritte anche in forma matriciale, adoperando lanotazione di Einstein:

x′µ = Λµν xν (5.19)

dove

Λ = (Λµν ) =

γ −βγ 0 0−βγ γ 0 0

0 0 1 00 0 0 1

.

Il punto evento {xµ} è anche detto quadrivettore controvariante perché obbediscealle (5.19). Ricordiamo che in Λµ

ν si indica l’elemento alla µ-esima riga e ν-esimacolonna.

Abbiamo già visto che la distanza al quadrato tra l’evento {xµ} e l’eventoO(0, 0, 0, 0) è definita come s2 = (x0)2 − (x1)2 − (x2)2 − (x3)2. Tale quantità, co-me ben sappiamo, è un invariante relativistico: assume lo stesso valore in tuttii riferimenti inerziali. Se introduciamo la seguente matrice, detta tensore metricocovariante

g = (gµν) =

1 0 0 00 −1 0 00 0 −1 00 0 0 −1

.

allora s2 = gµνxµxν (con la convenzione degli indici ripetuti). Tramite il tensoremetrico gµν viene introdotta una distanza al quadrato s2 tra l’evento {xµ} e l’even-to O(0, 0, 0, 0), la quale è una forma quadratica maggiore, uguale o minore di 0.Lo spazio di Minkowski viene dotato di una metrica pseudoeuclidea. Notiamo che laquantità gµνxµxν può essere riguardata anche come un prodotto scalare, con l’av-vertenza che gµνxµxν = 0 ; xµ = 0 per µ = 0, 1, 2, 3. Il nostro tensore metrico ècome si vede lo stesso in ogni punto dello spazio di Minkowski, proprietà che nonsarà valida in relatività generale. Possiamo introdurre le coordinate covarianti diun punto evento

xµ = gµνxν (5.20)

89

Page 102: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

cioè (x0, x1, x2, x3) = (x0,−x1,−x2,−x3). Allora s2 = gµνxµxν = xνxν. Dallerelazioni (5.18) si ottiene facilmente:

x′0 = γ(x0 + βx1),

x′1 = γ(x1 + βx0),

x′2 = x2,

x′3 = x3.

(5.21)

Queste relazioni possono essere scritte in forma matriciale nel modo seguente:

x′µ = (Λ−1)νµxν (5.22)

dove

Λ−1 =

γ βγ 0 0

βγ γ 0 00 0 1 00 0 0 1

.

Si dice che {xµ} è un quadrivettore covariante se obbedisce alle (5.22). Il tensoremetrico controvariante è definito nel modo seguente: (gµν) = g−1. Osserviamo chein M abbiamo g = g−1. Chiaramente vale la relazione:

gµνgνλ = δλµ . (simbolo di Kronecker)

Se con ∆xµ indichiamo la variazione tra le coordinate omologhe controvarianti didue eventi, la distanza al quadrato tra questi due eventi è naturalmente data da:

∆s2 = gµν∆xµ∆xν.

Possiamo dare una versione infinitesima della metrica se prendiamo due eventi“molto vicini tra loro”:

ds2 = gµν dxµ dxν = dxν dxν.

Questa forma quadratica differenziale dà ovviamente la metrica6 di M. Notiamoche dalla (5.19) dx′µ = Λµ

ν dxν ed essendo

dx′µ =∂x′µ

∂xνdxν

si ha:

Λµν =

∂x′µ

∂xν.

Una quaterna (A0, A1, A2, A3) si dice che è un quadrivettore controvariante seogni componente Aµ si trasforma per effetto di una trasformazione di Lorentzx′µ = Λµ

ν xν nel modo seguente:

A′µ = Λµν Aν

6 Prendendo la forma quadratica differenziale per definire la metrica includiamo anche il caso in cuiil tensore metrico dipende dal punto.

90

Page 103: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5.3 lo spazio di minkowski

cioè nello stesso modo delle coordinate controvarianti di un punto evento. Osser-viamo che, se Aν = Aν(x),7 allora

A′ν = A′ν(x′).

Un quadrivettore covariante {Aµ} è un insieme di quattro quantità (A0, A1, A2, A3)

che, per effetto di una trasformazione di Lorentz, si trasformano come le coordi-nate covarianti di un punto evento:

A′µ = Aν(Λ−1)νµ.

Osserviamo che possiamo ottenere Aµ moltiplicando il corrispondente quadri-vettore controvariante per il tensore metrico covariante, ovvero:

Aµ = gµν Aν.

Inversamente si ha

Aµ = gµν Aν,

dove gµν è il tensore metrico controvariante.Un quadritensore di rango n completamente controvariante ha la forma Tµ1,...,µn e si

trasforma nel modo seguente:

T′µ1,...,µn = Λµ1ν1 Λµ2

ν2 · · ·Λµnνn Tν1,...,νn .

Un quadritensore di rango n completamente covariante ha la forma Tµ1,...,µn e si trasfor-ma nel modo seguente:

T′µ1,...,µn= Tν1,...,νn(Λ

−1)ν1µ1(Λ−1)ν2

µ2· · · (Λ−1)νn

µn.

Un quadritensore di rango n p volte controvariante e q volte covariante ha la formaTµ1,...,µp

ν1,...,νq e si trasforma nel modo seguente:

T′µ1,...,µpν1,...,νq = Λµ1

λ1· · ·Λµp

λp(Λ−1)σ1

ν1· · · (Λ−1)

σqνq Tλ1,...,λp

σ1,...,σq .

Osserviamo che:

• un quadritensore di rango 1 è un quadrivettore;

• un quadritensore di rango 0 è uno scalare ed è invariante per trasformazionidi Lorentz (è detto anche scalare di Lorentz).

I quadritensori di rango 2, che hanno, ovviamente, 16 componenti, si trasformanonel modo seguente:

• tensori completamente controvarianti: T′µν = ΛµαΛν

βTαβ;

• tensori completamente covarianti: T′µν = (Λ−1)αµ(Λ−1)

βν Tαβ;

7 Con x intendiamo (x0, x1, x2, x3).

91

Page 104: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

• tensori misti: T′µν = Λµα(Λ−1)

βν Tα

β .

In generale si dice che il tensore metrico covariante abbassa gli indici, il tenso-re metrico controvariante li innalza. Un quadritensore di rango 2 Tµν si dicesimmetrico se Tµν = Tνµ; si dice antisimmetrico se Tµν = −Tνµ. Un genericoquadritensore può essere sempre scomposto in una parte simmetrica e una anti-simmetrica. Infatti Tµν

s = (Tµν + Tνµ) /2 è un quadritensore simmetrico, mentreTµν

a = (Tµν − Tνµ) /2 è antisimmetrico; infine Tµν = Tµνa + Tµν

s .Il prodotto scalare tra due quadrivettori A = {Aµ} e B = {Bν} è definito come

A · B = gµν AµBν = A0B0 − A1B1 − A2B2 − A3B3. Il modulo quadro A · A = A2

di un quadrivettore A è un invariante relativistico. Un quadrivettore A = {Aµ}si dice di tipo tempo se A · A > 0, di tipo spazio se A · A < 0, di tipo luce seA · A = 0.

Esercizi

1. Dimostrare che, se S(x) è uno scalare di Lorentz ed è di classe opportu-na, allora ∂S(x)/∂xµ è un quadrivettore covariante, mentre ∂S(x)/∂xµ è unquadrivettore controvariante.

2. Dimostrare che, se Tµ1,...,µpν1,...,νq (x) è un tensore p volte controvariante e q volte

covariante (di classe opportuna) allora ∂Tµ1,...,µpν1,...,νq (x)/∂xα è un tensore p volte

controvariante e q+ 1 volte covariante, mentre ∂Tµ1,...,µpν1,...,νq (x)/∂xα è un tensore

p + 1 volte controvariante e q volte covariante.

3. Dimostrare che gµν è un tensore covariante di rango 2.

4. Dimostrare che gµν è un tensore controvariante di rango 2.

5.4 quadrivelocità e quadriaccelerazione

Nella meccanica newtoniana se il moto di una particella è descritto dalla leggeoraria~r = ~r(t) (di classe opportuna), la velocità è definita come ~v(t) = d~r(t)/dt.In relatività ristretta il tempo è una componente di un quadrivettore e non unoscalare di Lorentz. Poiché è utile scrivere le equazioni della fisica in modo taleche risultino manifestamente valide in ogni sistema di riferimento inerziale (for-mulazione covariante delle leggi della fisica), conviene parametrizzare il motodi una particella massiva, nello spazio di Minkowski, rispetto a una grandezzache sia uno scalare di Lorentz. La scelta naturale è l’invariante s, definito dads2 = gµν dxµ dxν, che può essere chiamato cammino proprio. Avremo allora, in M,la cosiddetta linea d’universo xµ = xµ(s), che non è altro che una curva (successio-ne di eventi propri della particella in moto). Se, come abbiamo detto, la particellaha massa, allora ds2 = c2(1− v2/c2)dt2 > 0 essendo |v(t)| < c la velocità del-

92

Page 105: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5.4 quadrivelocità e quadriaccelerazione

la particella al tempo8 t. Possiamo scrivere, indicato con τ il tempo proprio eassumendo la convenzione che s sia crescente al variare del tempo:

ds =

√1− v2

c2 c dt = c dτ.

Il quadrivettore velocità (o semplicemente quadrivelocità) controvariante di unaparticella massiva, il cui moto in M è descritto dalla linea d’universo xµ = xµ(s),è definito come9

uµ =dxµ

ds=

dxµ

c dτ= γ

dxµ

c dt(5.23)

dove

γ =1√

1− v2/c2

è il fattore di Lorentz della particella, non di un sistema di riferimento. Chia-ramente u = {uµ} è un quadrivettore controvariante perché si trasforma comeu′µ = Λµ

ν uν. Osserviamo che:

• le componenti della quadrivelocità sono

u =(

γ,vx

cγ,

vy

cγ,

vz

cγ)

;

• sussiste la relazione

u · u = gµνuµuν = γ2(

1− v2

c2

)= 1. (5.24)

Definiamo la quadriaccelerazione controvariante come:

wµ =duµ

ds=

d2xµ

ds2 .

In base alla (5.24) otteniamo

gµνuµ duν

ds= 0 ⇐⇒ gµνuµwν = 0 ⇐⇒ u ·w = 0.

Ovvero quadrivelocità e quadriaccelerazione sono ortogonali.

Esercizio

Dimostrare che le componenti della quadriaccelerazione sono

w0 =γ4

c3 ~v ·~a,

wi =γ2

c2

[ai +

γ2

c2 (~v ·~a)vi]

con i = 1, 2, 3, (a1, a2, a3) = (ax, ay, az) e (v1, v2, v3) = (vx, vy, vz).

8 Nel caso di una particella di massa nulla o di un raggio luminoso, poiché ds2 = 0 occorre introdurreun parametro scalare diverso dal tempo proprio.

9 Alcuni definiscono la quadrivelocità come uµ = cdxµ/ds. In tal caso uµ ha le dimensioni di unavelocità, mentre nel nostro caso è adimensionale.

93

Page 106: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

5.5 dinamica relativistica

Si può facilmente constatare che in relatività ristretta, a causa della legge di com-posizione delle velocità, se il momento di una particella avente massa a riposom0 è definito come ~p = m0~v, allora la conservazione del momento di sistemi diparticelle isolati non è più valida in ogni sistema di riferimento inerziale.10 Se ri-chiediamo che la conservazione del momento in sistemi isolati sia una legge dellaFisica, bisogna allora definire in relatività il momento come:

~p =m0√

1− v2/c2~v = m(v)~v (5.25)

dove

m(v) =m0√

1− v2/c2= γm0 (5.26)

può essere riguardata come la massa relativistica della particella. Osserviamo chese v/c� 1, allora m(v) ≈ m0 e ~p ≈ m0~v, come in meccanica newtoniana.

Studi sperimentali hanno mostrato che la ii legge della dinamica continuaancora a valere, cioè nel caso di una particella:

d~pdt

= ~F (5.27)

dove ~p è il momento relativistico ed ~F è la forza totale agente sulla particella.La (5.27), in base alla (5.25), può essere scritta come

dm0γ(v)~vdt

= ~F. (5.28)

Se v/c� 1 si ottiene la relazione non relativistica. Due osservazioni sulla (5.28):

1. se il modulo della velocità della particella aumenta e si approssima a c, iltermine γ tende a smorzare tale incremento;

2. se richiediamo che la (5.28) sia una legge della Fisica, quando si passa da unsistema di riferimento inerziale a un altro, a differenza di quanto avvienenella meccanica newtoniana, la forza ~F deve cambiare esattamente comecambia dm0γ~v/dt.

Dalla (5.28) otteniamo

m0γ~a + m0dγ

dt~v = ~F (5.29)

dove ~a = d~v/dt è l’ordinaria accelerazione. Poiché dγ/dt = γ3~v ·~a/c2, la (5.29)diventa

m0γ~a + m0γ3

c2 (~v ·~a)~v = ~F. (5.30)

10 Vedi Kittel, Knight e Ruderman [9, pagine 411–416].

94

Page 107: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5.6 energia cinetica e momenti

Moltiplicando scalarmente per ~v ambo i membri della precedente si ha:

m0γ~v ·~a + m0γ3

c2 v2(~v ·~a) = ~F ·~v

m0γ(~v ·~a)(

1 +γ2

c2 v2)= ~F ·~v

m0γ3~v ·~a = ~F ·~v (5.31)

essendo 1 + γ2v2/c2 = γ2. Inserendo la (5.31) nella (5.30) otteniamo:

m0γ~a + (~F ·~v) ~vc2 = ~F

m0~a =1γ

(~F−

~F ·~vc2 ~v

). (5.32)

Notiamo che se ~F,~v,~a sono vettori paralleli, allora la (5.32) diventa

m0γ3~a = ~F

(basta tener conto che in questo caso ~F− (~F ·~v)~v/c2 = ~F/γ2).

5.6 energia cinetica e momenti

Sia ~F la forza totale agente su una particella di massa a riposo m0. Vogliamo oravedere come determinare l’energia cinetica della particella. L’idea è di partire, inanalogia a quanto avviene in meccanica newtoniana, dalla relazione dT = ~F · d~r,cioè la variazione infinitesima di energia cinetica, dT, è supposta uguale al lavoroelementare della forza totale. Teniamo presente che ~F · d~r = ~F ·~v dt = m0γ3~v ·~a dtin base alla (5.31). Possiamo pertanto scrivere

dT = m0γ3~v ·~a dt = m0γ3~v · d~v =12

m0γ3 dv2.

Poiché 12

∫ v2

0 γ3(v′)dv′2 = c2γ− c2, abbiamo

T =m0c2

√1− v2/c2

−m0c2 (5.33)

(notare che nel ricavare la precedente abbiamo supposto nulla la velocità iniziale).Per v/c� 1, allora

T =12

m0v2 +O(

v4

c4

),

cioè ritroviamo, al secondo ordine, il valore non relativistico dell’energia cineti-ca. Dalle (5.33) si deduce che l’energia non è proporzionale a v2 (come nel casonon relativistico) e inoltre che limv→c− T = +∞. Si definisce energia totale dellaparticella la quantità:

E = T + m0c2 = m0c2γ.

95

Page 108: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

Il termine m0c2 è detto energia a riposo della particella (cioè, se v = 0, E = m0c2)e rappresenta una novità sorprendente ed eccezionale rispetto al caso non rela-tivistico. Esso, in qualche modo, stabilisce un’equivalenza tra massa ed energiae asserisce che la massa può essere convertita in energia e viceversa l’energia inmassa. Questa equivalenza non ha riscontro alcuno nella fisica newtoniana. Os-serviamo che in relatività non vale la conservazione della massa. In un processofisico, cui prendono parte diverse particelle, ciò che si conserva non è la massatotale ma l’energia totale. Notiamo per inciso che dE/dt = ~F ·~v. Poiché m0c2 hale dimensioni di un’energia, la massa a riposo può essere misurata in eV/c2.

Tra l’energia e il momento di una particella libera esiste una relazione partico-lare. Infatti

E2

c2 − p2 =m2

0c4γ2

c2 −m20v2γ2 = m2

0c2. (5.34)

Questa relazione può essere riscritta come

E2 = p2c2 + m20c4 (5.35)

da cui11

E =√

p2c2 + m20c4. (5.36)

Osserviamo che la (5.36) prende il posto della relazione non relativistica E =

p2/(2m0) (intendendo qui con E l’energia cinetica della particella libera). La (5.35)ha enorme importanza in quanto, come vedremo fra poco, la quantità E2 − c2 p2

è un invariante relativistico (scalare di Lorentz). Dalla (5.34) si vede subito che ilmomento può essere misurato in eV/c e suoi multipli.

Una particolarità notevole della relatività è la possibilità di considerare particel-le con massa nulla. Infatti dalla (5.35) deduciamo che se m0 = 0

E = pc. (5.37)

Ovviamente le espressioni E = m0c2γ e ~p = m0~vγ in cui compare la massa per-dono di significato per una particella di massa nulla. Se m0 = 0 l’energia rimanefinita senza annullarsi, in quanto v = c. Notiamo che bisogna fare il doppio limitem0 → 0+ e v→ c−: ciò rende finita e non nulla l’energia.

Stesso discorso vale per il momento. Sottolineiamo che, nel caso di particellecon massa nulla, vale certamente la (5.37), che stabilisce un preciso legame traenergia e momento. In natura esistono, effettivamente, particelle di massa nulla,come per esempio i fotoni. In base alla relazione di Planck-Einstein, l’energia diun fotone di frequenza ν è data da

E = hν (5.38)

11 Nello scrivere la (5.36) abbiamo considerato solo la soluzione positiva e scartato quella negativa. Sipuò far vedere nell’ambito della fisica classica che non vi sono motivi per ammettere stati di energianegativi. Discorso diverso va fatto per la meccanica quantistica, dove non è possibile ignorare, apriori, stati di energia negativa.

96

Page 109: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5.7 quadrimomento, tensore momento angolare

dove h = 6.626 · 10−34 J · s è la costante di Planck e ha le dimensioni di un’azione.Se indichiamo con ω = 2πν la pulsazione della radiazione, la (5.38) può scriversicome E = hω/(2π) = }ω. Allora il momento di un fotone di frequenza ν è datoda

p =Ec=

c=

hλ= }ω

c= }k

dove λ è la lunghezza d’onda della radiazione e k = ω/c è il numero d’onda.

5.7 quadrimomento, tensore momento angolare

La relazione (5.35) ci induce a pensare che energia e momento di una particellapossano essere componenti di uno stesso quadrivettore. Effettivamente è così;infatti il quadrivettore (controvariante)

pµ = m0cuµ (5.39)

dove m0 è la massa a riposo della particella e uµ la sua quadrivelocità, ha comecomponenti

p0 = m0γc ≡ Ec

, p1 = m0γvx ≡ px ,

p2 = m0γvy ≡ py , p3 = m0γvz ≡ pz.

Il quadrivettore definito dalla (5.39) è, allora, detto quadrimomento. Si ha comeconseguenza che gµν pµ pν = E2/c2 − p2 = m2

0c2 è certamente un invariante rela-tivistico, come avevamo annunciato. Inoltre passando dal sistema di riferimentoinerziale S al sistema S′ le componenti del quadrimomento si trasformano nelmodo seguente:

p′0 = γ(p0 − βp1)

p′1 = γ(p1 − βp0)

p′2 = p2

p′3 = p3

. (5.40)

Le precedenti possono essere scritte in termini di E, px, py, pz come:

E′

c= γ

(Ec− βpx

)p′x = γ

(px − β

Ec

)p′y = py

p′z = pz

.

Nel caso in cui m0 = 0 (particella di massa nulla) si ha gµν pµ pν = 0: il quadri-momento è ovviamente di tipo luce. Possiamo definire il tensore del momentoangolare (controvariante di rango 2 e antisimmetrico) come

Lµν = xµ pν − xν pµ. (5.41)

97

Page 110: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

Notiamo che L′µν = x′µ p′ν − x′ν p′µ = ΛµαΛν

β(xα pβ − xβ pα) = ΛµαΛν

βLαβ. Si verifica

facilmente che, detto ~L = ~r × ~p l’ordinario vettore momento angolare rispettoall’origine degli assi cartesiani ortogonali, L12 = Lz, L31 = Ly, L23 = Lx.

5.8 equazioni del moto

Nel caso di una particella libera di massa m0 sappiamo che d~p/dt =~0 e dE/dt =0, dove ~p = m0γ~v e E = m0c2γ. Poiché le componenti del quadrimomento sonodate da p = (E/c,~p) è evidente che le precedenti equivalgono alla condizione

dpds

= 0. (5.42)

La (5.42) costituisce, allora, l’equazione covariante del moto di una particella li-bera e può essere anche scritta, tenendo presente che pµ = m0cuµ = m0cdxµ/dscome

d2xµ

ds2 = 0.

Questa è la forma covariante dell’equazione di una particella libera e corrispondeall’espressione non covariante d2~r/dt2 = 0. Se la particella non è libera, ma sog-getta a interazioni, la derivata rispetto a s del quadrimomento è diversa da zero,in generale. Possiamo definire come quadriforza il quadrivettore controvariante:

F =dpds

. (5.43)

La (5.43) può essere scritta in modo equivalente:

m0cduds

= m0cw = F.

Questa equazione, detta di Minkowski, rappresenta l’equazione del moto dellaparticella in forma covariante. Le componenti della quadriforza F sono

F =

c2dEdt

cd~pdt

).

Dal momento che ~F = d~p/dt e dE/dt = ~F ·~v, le componenti della quadriforzapossono essere scritte anche come:

F =( γ

c2~F ·~v,

γ

c~F)

.

Come conseguenza dell’ortogonalità tra quadrivelocità e quadriaccelerazione ab-biamo che la quadrivelocità è ortogonale alla quadriforza, cioè F · u = 0. Possiamoanche definire il momento relativistico della quadriforza come il tensore controva-riante di rango 2 antisimmetrico Nµν = xµFν − xνFµ. Si verifica immediatamenteche

dLµν

ds= Nµν.

98

Page 111: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5.9 meccanica analitica relativistica (cenni)

5.9 meccanica analitica relativistica (cenni)

Si può enunciare anche in meccanica relativistica il principio variazionale di Ha-milton, dal quale poi ricavare le equazioni del moto delle particelle materiali.Consideriamo, prima, il caso di una particella materiale libera. Come possiamoesprimere l’azione? Ovviamente dobbiamo richiedere che l’integrale, che esprimel’azione, sia invariante per trasformazioni di Lorentz e, quindi, sia uno scalare diLorentz. Per una particella libera viene naturale pensare, come scalare di Loren-tz, all’intervallo infinitesimo ds o più in generale ad α ds con α costante. L’idea,allora, è di considerare l’azione data da:

S = α∫ b

ads (5.44)

dove a e b rappresentano due punti eventi dello spazio di Minkowski M. Comegià sappiamo, devono essere considerati tutti i moti ammissibili (linee d’univer-so) che partono dall’evento a e giungono all’evento b. Il moto reale è ottenutoimponendo δS = 0 fra tutte le linee d’universo ammissibili. Per determinare,poi, la costante α dobbiamo richiedere che nell’approssimazione non relativisticala (5.44) diventi, a meno di costanti additive, uguale all’azione di una particellanon relativistica libera di massa nota.

Se ora teniamo conto che per una particella materiale ds = c√

1− v2/c2 dt,la (5.44) può essere scritta

S[x(t), y(t), z(t)] = αc∫ t1

t0

√1− v2

c2 dt , (5.45)

dove v2(t) = x2(t) + y2(t) + z2(t). Dalla (5.45) si deduce che la lagrangiana è datada:

L = αc

√1− v2

c2 . (5.46)

Se procediamo esattamente come nel caso non relativistico, per il principio varia-zionale di Hamilton abbiamo:

ddt

∂L

∂~v=~0 (5.47)

perché L non dipende esplicitamente da ~x = (x, y, z). Dalle relazioni (5.46) e (5.47)si ottiene:

∂L

∂vx= − αc√

1− v2/c2

vx

c2 = costante

∂L

∂vy= − αc√

1− v2/c2

vy

c2 = costante

∂L

∂vz= − αc√

1− v2/c2

vz

c2 = costante

99

Page 112: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

quindi∣∣∣∣αc ~v√1− v2/c2

∣∣∣∣2 =α2

c2v2

1− v2/c2 = costante

da cui discende che v2 è una quantità costante. Inoltre dalla (5.47) abbiamo anche

ddt

∂L

∂~v=

ddt

(−α

c~v√

1− v2/c2

)=~0

quindi

d~vdt

=~0 ⇐⇒ ~v(t) = costante,

cioè il moto della particella libera che rende stazionaria l’azione è quello rettilineouniforme.

Sia m0 la massa a riposo della particella. La sua lagrangiana è data dalla (5.46).Per v/c� 1 questa diventa:

L = αc− 12

αcv2

c2 +O(

v4

c4

),

dove αc è una costante che non influenza le equazioni del moto. Nel caso nonrelativistico invece (a meno di costanti additive):

L =12

m0v2.

Per il principio di corrispondenza queste due espressioni devono essere uguali,quindi trascurando i termini di ordine superiore a v4/c4 e la costante additiva αcabbiamo α = −m0c. In conclusione la lagrangiana della particella relativistica dimassa m0 è data da:

L = −m0c2

√1− v2

c2 .

Il momento della particella è definito come

~p =∂L

∂~v=

m0~v√1− v2/c2

(esattamente il valore che, come abbiamo detto, permette che la conservazione delmomento di sistemi isolati sia una legge della Fisica). Notiamo, solo per inciso,che nel caso esaminato (particella libera) d~p/dt = 0. Possiamo chiamare energiala quantità:

E = ~p ·~v− L =m0c2

√1− v2/c2

= m0c2γ

100

Page 113: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5.9 meccanica analitica relativistica (cenni)

(esattamente il valore ottenuto per altra via). Poiché L non dipende esplicitamentedal tempo, l’energia è una costante del moto (vedi (5.47)). Osserviamo che ~p =

E~v/c2 e che E2 − p2c2 = m20c4. L’hamiltoniana è data da

H = c√

p2 + m20c2.

Se v/c � 1, H ≈ m0c2 + p2/(2m0). Possiamo anche enunciare il principiovariazionale con il formalismo quadridimensionale

S = −m0c∫ b

ads = −m0c

∫ b

a

√dxµ dxµ = −m0c

∫ b

a

√gµν dxµ dxν.

In maniera analoga a quanto fatto nel capitolo 2, poniamo

xµ(ε) = xµ + εηµ

e

S[xµ(ε)] = −m0c∫ b

a

√gµν dxµ(ε)dxν(ε).

Per una particella libera:

S[xµ(ε)]− S[xµ] = −m0c∫ b

a

(√gµν dxµ(ε)dxν(ε)−

√gµν dxµ dxν

)= −m0c

∫ b

a

(√gµν(dxµ + ε dηµ)(dxν + ε dην)−

√gµν dxµ dxν

).

(5.48)

Sviluppando la funzione integranda in serie di potenze di ε intorno a 0 il primotermine è nullo, per il secondo risulta:

∂ε

√gµν(dxµ + ε dηµ)(dxν + ε dην)

∣∣∣∣ε=0

=

=12

gµν(dxµ + ε dηµ)dην + gµν(dxν + ε dην)dηµ√gµν(dxµ + ε dηµ)(dxν + ε dην)

∣∣∣∣∣∣ε=0

=

=gµν(dxµ + ε dηµ)dην√

gµν(dxµ + ε dηµ)(dxν + ε dην)

∣∣∣∣∣∣ε=0

=gµν dxµ dην√

gµν dxµ dxν=

=dxµ dηµ

ds.

Dalla (5.23) abbiamo dxµ = uµ ds, quindi

dxµ dηµ

ds=

uµ ds dηµ

ds= uµ dηµ.

Allora la (5.48) diventa

δS = S[xµ(ε)]− S[xµ] =

= −m0cε∫ b

a

∂ε

√gµν(dxµ + ε dηµ)(dxν + ε dην)

∣∣∣∣ε=0

+O(ε2) =

= −m0cε∫ b

auµ dηµ

101

Page 114: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

con la condizione ηµ|a = ηµ|b = 0 affinché il moto sia ammissibile. Poiché,integrando per parti∫ b

auµ dηµ =

∫ b

ad(uµηµ)−

∫ b

aduµηµ = −

∫ b

aduµηµ = −

∫ b

a

duµ

dsdsηµ

risulta

δS = m0cε∫ b

a

duµ

dsdsηµ.

Ponendo εηµ = δxµ l’equazione precedente può essere scritta nella forma

δS = m0c∫ b

a

duµ

dsδxµ ds

e dalla condizione δS = 0 deriva che duµ/ds = 0 (forma covariante del moto diuna particella), cioè la quadriaccelerazione è nulla.

5.9.1 Carica in moto in un campo elettromagnetico

Vogliamo ora scrivere, sempre con il formalismo quadridimensionale, l’azione diuna particella di massa m0 e carica q in un campo elettromagnetico. Abbiamovisto a suo tempo che il potenziale generalizzato del campo elettromagnetico èdato da

V = qϕ− qc~A ·~v

noti il potenziale scalare ϕ e il potenziale vettore ~A. Ora

V dt =qc

ϕ(c dt)− qc~A · d~r = q

cAµ dxµ

dove xµ è la coordinata covariante di un punto evento e A = (ϕ, ~A) è ipotizza-to essere un quadrivettore controvariante, il quadripotenziale. Assumiamo che lacarica sia uno scalare di Lorentz. Allora

S = −∫ b

a

(m0c ds +

qc

Aν dxν

), (5.49)

δS = S[xµ(ε)]− S[xµ] =

= −∫ b

a

(m0c

√dxµ(ε)dxµ(ε)−m0c

√dxµ dxµ

)+

− qc

∫ b

a

(Aν(xµ(ε))dxν(ε)− Aν(xµ)dxν

).

(5.50)

Il primo integrale si calcola come visto nel caso della particella libera, per ilsecondo integrale abbiamo, sviluppando in serie di potenze di ε:

Aν(xµ(ε))dxν(ε)− Aν(xµ)dxν = Aν(xµ + εηµ)d(xν + εην)− Aν(xµ)dxν =

= ε

(Aν(xµ)dην +

∂Aν

∂xµηµ dxν

)+O

(ε2) .

102

Page 115: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5.9 meccanica analitica relativistica (cenni)

Inoltre, con la solita condizione ην|a = ην|b = 0 risulta:

ε∫ b

a

(Aν(xµ)dην +

∂Aν

∂xµηµ dxν

)=

= ε∫ b

a

(d(Aν(xµ)ην)− dAν(xµ)ην +

∂Aν

∂xµηµ dxν

)=

= ε∫ b

a

(−dAν(xµ)ην +

∂Aν

∂xµηµ dxν

)=

= ε∫ b

a

(−∂Aν

∂xµdxµην +

∂Aν

∂xµηµ dxν

)=

= ε∫ b

a

(−∂Aµ

∂xνηµ dxν +

∂Aν

∂xµηµ dxν

).

Nell’ultima uguaglianza abbiamo potuto invertire gli indici µ e ν del primo termi-ne poiché si tratta di una somma su µ e ν. Dunque, ponendo εηµ = δxµ, la (5.50)diventa

δS =∫ b

a

(m0c

duµ

dsdsδxµ +

qc

∂Aµ

∂xνδxµ dxν −

qc

∂Aν

∂xµδxµ dxν

)=

=∫ b

a

[m0c

duµ

ds− q

c

(∂Aν

∂xµ− ∂Aµ

∂xν

)dxν

ds

]dsδxµ =

=∫ b

a

[m0c

duµ

ds− q

c

(∂Aν

∂xµ− ∂Aµ

∂xν

)uν

]dsδxµ.

In definitiva abbiamo

δS = 0 =⇒ m0cduµ

ds=

qc

(∂Aν

∂xµ− ∂Aµ

∂xν

)uν =

qcFµνuν. (5.51)

dove Fµν = ∂Aν/∂xµ − ∂Aµ/∂xν , detto tensore elettromagnetico, è un quadriten-sore controvariante di rango 2 antisimmetrico.

La (5.51) rappresenta la forma controvariante della equazione del moto di unaparticella di massa m0 e carica q in un campo elettromagnetico. Esplicitando sivede che

F =

0 −Ex −Ey −Ez

Ex 0 −Bz By

Ey Bz 0 −Bx

Ez −By Bx 0

.

Si può dimostrare che E2− B2 e ~E ·~B sono invarianti per trasformazioni di Lorentz.Si può altresì far vedere che F è invariante per trasformazioni di gauge. La gaugedi Lorentz è

∂Aµ

∂xµ= 0.

L’azione (5.49) può essere scritta nel formalismo ordinario:

S =∫ b

a

(−m0c2

√1− v2

c2 − qϕ +qc~A ·~v

)dt. (5.52)

103

Page 116: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

La funzione sotto il segno di integrale è, naturalmente, la lagrangiana:

L = −m0c2

√1− v2

c2 − qϕ +qc~A ·~v. (5.53)

Il momento generalizzato ~P è dato da

~P =∂L

∂~v=

m0~v√1− v2/c2

+qc~A = ~p +

qc~A

da cui ~p = ~P− q~A/c. Ora

H = ~v · ∂L

∂~v− L =

m0c2√

1− v2/c2+ qϕ =⇒ (H− qϕ)2 = m2

0c4 + c2(~P− q

c~A)2

da cui

H =

√m2

0c4 + c2(~P− q

c~A)2

+ qϕ

che è l’hamiltoniana di una particella con massa a riposo m0 e carica q in uncampo elettromagnetico con potenziale scalare ϕ e potenziale vettore ~A.

5.10 *l’interferometro di michelson e morley

L’elettromagnetismo prerelativistico superava in modo piuttosto goffo la presen-za della costante c nelle equazioni dei campi elettrico e magnetico ipotizzandol’esistenza di un mezzo, l’etere, che permeasse l’intero universo e rispetto al qualela luce si muoveva appunto con velocità c. L’etere era pensato come un mezzo deltutto singolare, sottile e capace di permeare completamente il cosmo, dotato del-l’unica proprietà di essere il mezzo attraverso il quale la radiazione si propagava.Per avere una qualche stima della velocità della Terra rispetto a tale mezzo AlbertAbraham Michelson, singolarmente nel 1881 e poi assieme a Edward Morley nel1887, mise a punto un esperimento in cui si intendeva rilevare il “vento d’etere”mediante tecniche interferometriche. Il dispositivo messo a punto dai due spe-rimentatori è schematizzato in figura 5.5 ed era montato su una lastra di pietrafatta galleggiare su mercurio liquido: questo permetteva di mantenere la lastraorizzontale e di farla girare attorno a un perno centrale.

Supponiamo ora che la Terra si muova rispetto all’etere con velocità v. Il fascioluminoso che parte dalla sorgente S viene scomposto dallo specchio semiargen-tato in due raggi normali tra loro; il raggio 1 si propaga verso lo specchio R1,viene da questo riflesso, subisce una deviazione di π/2 a causa dello specchiosemiargentato e perviene al cannocchiale C; il raggio 2 invece si dirige verso lospecchio R2 e dopo la riflesione attraversa pressocché indisturbato lo specchiettosemiargentato per poi giungere anch’esso nel cannocchiale. Ciò che si dovrebbeosservare nel cannocchiale è una serie di frange di interferenza dovute al fatto cheil tratto AR1 dovrebbe essere percorso dalla luce in un arco di tempo diverso ri-spetto al tratto AR2, a causa della composizione delle velocità che consegue dalla

104

Page 117: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

5.10 *l’interferometro di michelson e morley

presenza del mezzo luminifero. La differenza di fase tra i due raggi nel momentoin cui si ricongiungono in A genera l’interferenza.

Il tempo impiegato dal raggio 1 per percorrere AR1 (andata e ritorno) è

T1 =L1

c + v+

L1

c− v=

2L1

c1

1− v2/c2 . (5.54)

Per il raggio 2 bisognerà tener conto del fatto che, nel sistema dell’etere, la luce sipropaga sempre e comunque a velocità c. Dunque la velocità vy con cui viene per-corsa la distanza deve soddisfare la relazione c2 = v2

y + v2, ovvero vy =√

c2 − v2.Di conseguenza

T2 = 2L2

vy= 2

L2

c1√

1− v2/c2. (5.55)

La differenza tra i tempi è dunque

∆T = T2 − T1 =2c

(L2√

1− v2/c2− L1

1− v2/c2

). (5.56)

Se ora ruotiamo di π/2 l’intero apparato, la relazione che si trova (essendo i bracciinvertiti) è

∆T′ =2c

(L2

1− v2/c2 −L1√

1− v2/c2

). (5.57)

Perciò

∆T′ − ∆T = 2L1 + L2

c

(1√

1− v2/c2− 1

1− v2/c2

). (5.58)

Sviluppando in potenze di v/c e ignorando termini di ordine superiore al secondo,otteniamo che

∆T′ − ∆T ≈ v2 L1 + L2

c3 . (5.59)

Dunque ruotando lo strumento dovrebbe osservarsi uno spostamento di ∆n =

v2 cλ

L1+L2c3 frange attraverso il centro del cannocchiale. Il dispositivo di Michelson

e Morley aveva L1 = L2 = 11 m, mentre la lunghezza d’onda della luce usataera λ = 5.5 · 10−7 m. All’epoca dell’esperimento si riteneva che il Sole fosse es-senzialmente solidale con il riferimento dell’etere, mentre la Terra orbitava conuna velocità di v = 30 000 m/s (che dunque era in modulo proprio la v dell’espe-rimento esaminato). Si disponeva inoltre di varie stime della velocità della lucee tutte suggerivano che la luce avesse una velocità c ≈ 3 · 108 m/s. Dunque siricava v/c ≈ 10−4. Da questi dati si ricava uno spostamento teorico di ∆n = 0.4frange. Nel secondo esperimento Michelson e Morley riuscirono a rendere lo stru-mento sensibile a uno spostamento di appena 0.01 frange. L’esperimento, natoper dare una stima di v, fu un fallimento, in quanto non venne osservato alcu-no spostamento dell’entità prevista e dunque il “vento d’etere” non fu rilevato.

105

Page 118: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

relatività speciale

Figura 5.5: Schema dell’interferometro di Michelson e Morley.

Ovviamente, alla luce dei risultati di Einstein, questo risultato si spiega immedia-tamente, poiché la velocità della luce è la medesima in tutte le direzioni in ognisistema di riferimento. Lo sfasamento, assunta vera questa ipotesi, non potevache essere nullo.

L’esperimento ebbe, soprattutto negli anni seguenti, grande risonanza tra i fisiciin quanto fu una delle prove sperimentali più lucide dell’infondatezza della teoriadell’etere, perlomeno come elaborata nel secolo XIX. Tuttavia occorre sottolineareche l’esperimento non è di per sé una prova della teoria di Einstein; in effetti,come poi si vide con esperimenti analoghi eseguiti con interferometri a braccidisuguali, l’esperimento permetteva di concludere semplicemente che la velocitàdella luce lungo percorsi diversi non dipende dalla velocita del sistema inerzialein esame rispetto a un qualsiasi altro sistema inerziale, e dunque non vi eranosistemi di riferimento privilegiati. La costanza della velocità della luce di per sénon è un risultato dell’esperimento in quanto non abbiamo informazioni sulladifferenza di velocità della radiazione tra andata e ritorno. Basti pensare chesi possono ricavare trasformazioni differenti da quelle di Lorentz che spieghinocorrettamente l’esperimento.12 L’ipotesi che l’esperimento abbia spinto Einstein aformulare i suoi postulati nella precisa forma in cui li conosciamo sembra dunqueinfondata sia da un punto di vista logico che storico.13 Semmai essa manifestò inmodo quanto mai palese che occorreva necessariamente andare oltre il modellodell’etere.

12 Vedi a proposito Barone [3, pagine 103–105].13 Si ricordi il pensiero di Einstein a riguardo:

«L’esito dell’esperimento di Michelson non ebbe una grande influenza sull’evo-luzione delle mie idee [...]. La spiegazione di ciò sta nel fatto che ero, per ragio-ni di carattere generale, fermamente convinto che non esista il moto assoluto, eil mio unico problema era come ciò potesse conciliarsi con quello che sapevamodell’elettrodinamica.»

106

Page 119: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

6I N T R O D U Z I O N E A L L A M E C C A N I C A Q U A N T I S T I C A

6.1 *il corpo nero

Un corpo nero è un oggetto che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica inci-dente (e quindi non ne riflette). Se introduciamo il concetto di potere assorbentecome la frazione di energia raggiante incidente che viene assorbita dal corpo, siconclude che un corpo nero è un oggetto che ha potere assorbente 1. Kirchhoff èriuscito a dimostrare nel 1859 che il potere assorbente di un corpo dipende solodalla temperatura del corpo e non dalla sua natura. Kirchhoff stesso, per esempio,ha provato che un ottimo esempio di corpo nero è un contenitore a temperaturacostante sulle cui pareti è praticato un piccolissimo foro, di modo che la radiazio-ne che entra attraverso di esso abbia probabilità praticamente nulla di uscirvi evenga assorbita dal corpo in seguito alle numerose riflessioni interne.

Sia dunque u la densità volumetrica di energia all’interno del contenitore e indi-chiamo con uν dν la densità di energia delle componenti che cadono nell’intervallo(ν, ν + dν). Il risultato di Kirchhoff cui si è accennato può esprimersi nel seguentemodo: fissata ν, uν = uν(T). Stefan aveva dimostrato che

u =∫ +∞

0uν dν = aT4 (Legge di Stefan-Boltzmann)

dove a = 7.5657 · 10−16 J/(m3 ·K4) è detta costante di radiazione.1 Ricordando chela pressione esercitata sulle pareti del corpo è data da p = u/3, indichiamo conU l’energia totale irradiata e consideriamo una trasformazione termodinamicainfinitesima:

δQ = T dS = dU + p dV =

= V du + u dV +13

u dV = V du +43

u dV ⇐⇒

dS =VT

dudT

dT +43

uT

dV.

Ovvero

∂S∂V

=43

uT

(6.1)

∂S∂T

=VT

dudT

. (6.2)

Imponendo l’uguaglianza delle derivate miste si ottiene

43

(1T

dudT− u

T2

)=

1T

dudT⇐⇒ du

dT= 4

uT

.

1 Per vedere come si calcola la costante di radiazione vedi l’appendice D.

107

Page 120: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

introduzione alla meccanica quantistica

Integrando l’equazione differenziale si ottiene che u = aT4, con a costante diintegrazione.

Nel 1893 Wien dimostrò che

uν = ν3F( ν

T

)(Legge dello spostamento)

che contiene la legge di Stefan. Infatti

u =∫ +∞

0ν3F

( ν

T

)dν =

(pongo α =

ν

T

)=∫ +∞

0T3α3F(α)T dα =

= T4∫ +∞

0α3F(α)dα.

La relazione di Wien si può anche esprimere in funzione delle lunghezze d’ondaλ; infatti, indicata con uλ la densità di energia nell’intervallo di lunghezza d’onda,richiediamo che uν dν = uλ dλ. Da λν = c, differenziando si ha

|dλ|λ

=|dν|

ν⇐⇒ |dν| = ν

λdλ.

Perciò

uλ dλ = uν dν = uνν

λ|dλ|

da cui

uλ =c4

λ5 F( c

λT

).

Per trovare tali massimi come solito

duλ

dλ= 0 ⇐⇒ c

λTF′( c

λT

)+ 5F

( cλT

)= 0.

Poiché F è una funzione universale, detta λ la soluzione, dalla forma dell’equa-zione abbiamo che

λT = costante = b.

Pertanto λ = b/T, ovvero all’aumentare della temperatura, il massimo dellafunzione si sposta verso lunghezze d’onda più piccole (legge dello spostamento diWien).2

Nel 1896 Wien stesso propone una forma possibile di F: Fν(T) = a1 e−a2ν/T.Si mostra mediante analisi di Fourier che il campo elettromagnetico si comporta

come se fosse generato da molti oscillatori armonici indipendenti. Noto il numeroN di oscillatori di una determinata frequenza si può ricavare uν; si prova che ladensità di oscillatori armonici fra ν e ν + dν è:

dN(ν)

V=

c3 ν2 dν.

2 La costante b = 2.897 768 5 · 10−3 m ·K prende il nome di costante dello spostamento di Wien.

108

Page 121: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

6.1 *il corpo nero

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3

u λ(M

J/m

4 )

λ (µm)

5000 K

4000 K

3000 K

Teoria classica (5000 K)

Figura 6.1: Curve di Planck per diversi valori della temperatura a confronto con i risultatiprevisti dalla teoria classica di Rayleigh-Jeans. Sulle ordinate è riportata ladensità di energia per unità di volume per unità di lunghezza d’onda, quindil’integrale delle curve rappresenta la densità volumetrica di energia.

Nota l’energia media dei detti oscillatori u, allora uν dν = u dN(ν)/V.Poiché vale il principio di equipartizione dell’energia e per ogni oscillatore,

avendo esso due modi possibili, u = 2(kBT/2) = kBT, ricorrendo alla distribuzio-ne di Boltzmann si ha:

P(u) = c e−u

kBT =e−

ukBT∫ +∞

0 e−u

kBT du,

dove c = 1/∫ +∞

0 e−u

kBT du è una costante che soddisfa la condizione di nor-malizzazione

∫ +∞0 P(u)du = 1. Pertanto il valore medio può essere ottenuto

da

u =∫ +∞

0uP(u)du =

∫ +∞0 u e−

ukBT du∫ +∞

0 e−u

kBT du= kBT.

Perciò

uν(T)dν = udN(ν)

V= kBT

c3 ν2 dν. (Relazione di Rayleigh-Jeans)

Si vede subito che integrando tra 0 e +∞ l’integrale diverge (poiché tale fatto èlegato al contributo delle alte frequenze si parla di catastrofe ultravioletta o catastrofedi Rayleigh-Jeans). La relazione è ottenuta ammettendo che gli scambi energeticiavvengano con continuità.

Nel 1901 Planck propose invece che l’energia potesse essere scambiata solo se-condo quantità multiple di hν. In questo caso, detto un = nhν l’energia scambiata,

P(un) = c e−nhνkBT =

e−nhνkBT

∑∞n=0 e−n hν

kBT= (1− e−

hνkBT ) e−n hν

kBT ,

109

Page 122: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

introduzione alla meccanica quantistica

dove c = 1− e−hν

kBT è una costante che soddisfa la condizione di normalizzazione∑+∞

n=0 P(un) = 1. Dunque

u =∞

∑n=0

unP(un) = hν(1− e−hν

kBT )∞

∑n=0

n e−n hνkBT =

ehν

kBT −1

ovvero

uν =8π

c3 ν3 h

ehν

kBT −1. (Legge della radiazione di Planck)

La legge di Planck è perfettamente in accordo con i dati sperimentali, eliminail problema della “catastrofe ultravioletta” e restituisce la legge di Rayleigh-Jeanscome primo termine dello sviluppo in serie (vedi la figura 6.1).

6.2 effetto fotoelettrico

L’esperienza mostra che, in certe condizioni, un metallo colpito da un fascio diluce monocromatica emette elettroni. L’apparato sperimentale può essere, grossomodo, schematizzato come segue: all’interno di un involucro trasparente, in cuiè praticato il vuoto, è posto un catodo su cui è fatta incidere radiazione elettro-magnetica monocromatica (nello spettro del visibile o superiore) e un anodo cheraccoglie i fotoelettroni emessi dal catodo. L’anodo si trova, rispetto al catodo, aun potenziale inferiore, il cui valore può essere variato mediante un potenziome-tro (vedi figura 6.2). Gli aspetti rilevanti dell’effetto fotoelettrico possono esserecosì riassunti:

1. esiste, in funzione del tipo di metallo di cui è costituito il catodo, una fre-quenza di soglia ν0 della radiazione incidente, al di sotto della quale nonsi verifica nessuna emissione di fotoelettroni, qualunque sia l’intensità dellaradiazione;

Figura 6.2: Apparato per la rivelazione dell’effetto fotoelettrico.

110

Page 123: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

6.2 effetto fotoelettrico

2. esiste un potenziale d’arresto V0, indipendente dall’intensità della radiazio-ne incidente, in corrispondenza del quale nessun elettrone raggiunge l’a-nodo; questa proprietà sta a significare che l’energia cinetica massima deifotoelettroni appena emessi dal catodo verifica l’equazione Tmax = eV0 dovee è la carica dell’elettrone in modulo;

3. l’emissione dei fotoelettroni è istantanea qualunque sia l’intensità della ra-diazione, purché ν > ν0;

4. la corrente fotoelettrica i, ovvero il numero di elettroni emessi nell’unità ditempo, dipende dall’intensità I della radiazione incidente.

La teoria classica della radiazione prevede

a. l’esistenza di una intensità di radiazione di soglia I0 al di sotto della qualel’effetto non avviene, in contrasto col punto 1;

b. la dipendenza di Tmax, e quindi del potenziale d’arresto V0, dall’intensitàdella radiazione I in contrasto col punto 2;

c. che l’emissione debba avvenire dopo che un elettrone ha assorbito, a spesedella radiazione incidente, abbastanza energia da superare il potenziale, det-to di estrazione, che, in condizioni normali impedisce all’elettrone di usciredal metallo: per tale ragione l’emissione può verificarsi solo dopo un certointervallo di tempo dall’arrivo della radiazione incidente, intervallo ovvia-mente tanto maggiore quanto più bassa è l’intensità I, in contrasto col punto3;

d. che la corrente, dovuta ai fotoelettroni, debba aumentare al crescere di I, inaccordo col punto 4 (sempre che ν > ν0).

Allora, almeno tre delle caratteristiche principali dell’effetto fotoelettrico non sonospiegabili mediante la teoria classica della radiazione. Nel 1905 Einstein propo-se una spiegazione dell’effetto assumendo che la radiazione fosse costituita dapacchetti, o quanti di energia, detti fotoni: una radiazione elettromagnetica mono-cromatica di frequenza ν consiste di fotoni di energia hν, dove h = 6.6 · 10−34 J · sè la costante di Planck. Abbiamo visto che, per spiegare l’emissione del corponero, Planck aveva ipotizzato un simile comportamento per l’energia della radia-zione elettromagnetica all’interno di una cavità. Vediamo ora come, con l’ipotesidi Einstein, è possibile fornire una spiegazione esauriente dell’effetto.

Possiamo assumere, per semplicità, che l’elettrone sia a riposo all’interno delmetallo.3 Un elettrone, dopo aver assorbito un fotone di energia hν, è emessodal catodo con un’energia cinetica T = hν−W, dove W è il lavoro di estrazionedal metallo. Se W0 è il lavoro minimo di estrazione caratteristico del metallo(per esempio: per il sodio è 2.7 eV, per il ferro 3.2 eV), l’energia cinetica massimadell’elettrone (quando questo è emesso dal catodo) è data da Tmax = hν −W0.

3 Osserviamo che l’energia termica è circa 10−2 eV mentre i fotoni, nel visibile e nell’ultravioletto,hanno un’energia di circa 1− 10 eV.

111

Page 124: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

introduzione alla meccanica quantistica

Figura 6.3: Effetto Compton

Esiste di conseguenza una frequenza di soglia ν0 = W0/h tale che, se ν < ν0,l’effetto non ha luogo. Vi è altresì un valore V0 del potenziale in corrispondenzadel quale anche gli elettroni più veloci non sono in grado di raggiungere l’anodo.Abbiamo in particolare V0 = (hν−W0)/e. Dopo che un elettrone ha acquistato,mediante assorbimento di un fotone, energia pari ad hν, la sua emissione dalmetallo, se ν > ν0, è immediata (il ritardo è inferiore a 10−9 s) e non dipendedall’intensità della radiazione. Se l’effetto ha luogo, all’aumentare dell’intensità diradiazione cresce anche il numero di fotoelettroni e quindi la corrente nel circuito.

In conclusione, possiamo dire che l’effetto fotoelettrico, al pari della radiazionedel corpo nero, fornisce una prova che la radiazione elettromagnetica di frequenzaν è costituita da fotoni di energia hν.

Esercizio

Dimostrare che un elettrone libero non può assorbire un fotone di energia hν inbase alla conservazione del quadrimomento.

6.3 effetto compton

Se facciamo incidere un fascio di raggi X con λ0 = 0.7 Å ( =⇒ hν0 = hc/λ0 =

18 keV) su una sostanza (come per esempio il molibdeno) si osserva, sperimental-mente, che i raggi X diffusi a un angolo θ rispetto alla direzione della radiazioneincidente hanno lunghezza d’onda lievemente maggiore di λ0; in particolare sitrova

∆λ =h

mec(1− cos θ)

dove me è la massa a riposo dell’elettrone.4 La grandezza h/(mec) ha (ovviamente)le dimensioni di una lunghezza e vale 0.024 Å: è detta lunghezza d’onda Comptondell’elettrone. Questo effetto (di diffusione), detto Compton, può essere spiegatocome un urto tra un fotone di energia hν0 e momento hν0/c e un elettrone libero,che possiamo considerare fermo (notiamo che l’energia di legame degli elettroni

4 Ricordiamo che la massa a riposo di un elettrone è pari a me = 9.11 · 10−31 kg = 0.511 MeV/c2

112

Page 125: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

6.4 onde di materia di de broglie

periferici è di qualche eV, mentre l’energia dei fotoni è molto maggiore). Nell’urtofotone-elettrone si conserva il quadrimomento. Chiamiamo ~p0 e ~p i momentifotonici prima e dopo l’urto e ~pe il momento dell’elettrone dopo l’urto; ricordiamoche, prima dell’urto, l’elettrone è fermo. Dalla conservazione dell’energia:

mec2 + cp0 =√

m2ec4 + c2 p2

e + cp. (6.3)

Dalla conservazione del momento:

~p0 = ~p + ~pe ⇐⇒ ~pe = ~p0 − ~p ⇐⇒ p2e = p2

0 + p2 − 2p0 p cos θ. (6.4)

La (6.3) può anche scriversi come:

(mec2 + cp0 − cp)2 = m2ec4 + c2 p2

e ⇐⇒���m2ec4 + c2 p2

0 + c2 p2 + 2mec3(p0 − p)− 2c2 pp0 =���m2ec4 + c2 p2

e.(6.5)

Sostituendo nella (6.5) la (6.4) otteniamo:

c2 p20 + c2 p2 + 2mec3(p0 − p)− 2c2 p0 p = c2 p2

0 + c2 p2 − 2c2 p0 p cos θ =⇒mec(p0 − p) = p0 p(1− cos θ). (6.6)

Ora, p0 = hν0/c = h/λ0, mentre p = hν/c = h/λ, perciò la precedente diventa

mech(

1λ0− 1

λ

)=

h2

λ0λ(1− cos θ) =⇒

λ− λ0 =h

mec(1− cos θ). (6.7)

In conclusione, nell’effetto Compton i fotoni si comportano proprio come dei cor-puscoli cui compete energia hν e momento hν/c. La diffusione Compton puòessere considerata come un assorbimento di radiazione elettromagnetica seguitoda emissione, mentre l’effetto fotoelettrico è un assorbimento puro e semplice.

6.4 onde di materia di de broglie

La radiazione elettromagnetica ha manifestazioni ondulatorie e presenta, nel con-tempo, comportamenti corpuscolari come nella radiazione del corpo nero, nel-l’effetto fotoelettrico e nell’effetto Compton. Il legame tra questi due aspetti èrappresentato dalla costante di Planck h. Sappiamo infatti che, se ν è la frequenzadi un’onda elettromagnetica monocromatica, questa può essere pensata in cer-ti contesti come formata da quanti, fotoni (particelle di massa nulla), a ognunodei quali compete un’energia hν e un momento hν/c. Poiché h interviene an-che nella condizione di quantizzazione di Bohr-Sommerfeld, Louis de Broglie nel1923 si chiese se non fosse possibile, per così dire, un percorso inverso, cioè cheoggetti (come gli elettroni) pensati sempre come particelle potessero presentare,in particolari situazioni, un comportamento ondulatorio. Consideriamo nel mo-dello atomico di Bohr un elettrone in orbita attorno al nucleo; la condizione diquantizzazione è la seguente:∮

p dq = nh n ∈ N.

113

Page 126: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

introduzione alla meccanica quantistica

Ora, se l è la lunghezza dell’orbita, la precedente relazione può anche esserescritta:

lp = nh ⇐⇒ l =nhp

.

Qui il termine h/p ricorda la lunghezza d’onda λ di un fotone. Questa analogiaha suggerito a de Broglie la seguente ipotesi: a ogni particella, avente massa a riposonon nulla, è associata un’onda, la cui lunghezza d’onda, noto il momento p, è data daλ = h/p.

Alla luce di questa ipotesi, le orbite permesse nella teoria di Bohr sono quelleche contengono un numero intero di lunghezze d’onda. Vediamo con quali lun-ghezze d’onda abbiamo a che fare nello schema di de Broglie. Prendiamo delleparticelle libere (non relativistiche):

λ =hp=

h√2mE

. (6.8)

Questa è la lunghezza d’onda di de Broglie di una particella di massa m aventeun’energia cinetica E.

Nel caso di un elettrone, se E = 1 eV,

λ =h√

2mE=

6.626 · 10−34√

2 · 9.11 · 10−31 · 1.6 · 10−19m = 1.24 · 10−9 m = 12.4 Å

(come nei raggi X), pari alle dimensioni atomiche. Per un oggetto di 1 kg ed ener-gia di 1 J gli effetti quantistici si avrebbero a distanze pari a 10−34 m, del tuttotrascurabili rispetto alle oscillazioni termiche degli atomi. Notiamo che, mentreper i fotoni λ è inversamente proporzionale a E, per le particelle (non relativisti-che) λ è inversamente proporzionale a

√E. Inoltre maggiore è la massa, minore è,

a parità di energia, la lunghezza d’onda. Nel 1927 Davisson e Germer hanno pro-vato che gli elettroni presentano effettivamente un comportamento ondulatorio esono caratterizzati da una lunghezza d’onda data proprio dalla (6.8). Analoghicomportamenti ondulatori sono, poi, stati provati per protoni, neutroni, atomi diHe, ecc. Stabilito il carattere ondulatorio delle particelle materiali, bisogna vederea quale grandezza fisica si riferisce il fenomeno, cioè quale sia il significato fisicodella grandezza o delle grandezze oscillanti che chiamiamo funzioni d’onda e perla quale ipotizziamo un’equazione lineare in analogia con le onde meccaniche equelle elettromagnetiche.

Normalmente quando si è in presenza di una propagazione ondulatoria, sipone il problema di quale sia il mezzo che porta l’onda e quale la grandezzache ne misuri l’ampiezza. Nel caso elettromagnetico alla prima domanda nonc’è risposta, o meglio è il vuoto, mentre le grandezze che misurano l’ampiezzasono il campo elettrico e il campo magnetico. Ci chiediamo nel caso delle onde dimateria di de Broglie chi sostituisce questi campi (assodato che esse si propaganonel vuoto). L’esperimento di Davisson e Germer fornisce una risposta a questoquesito. Nell’esperimento, mediante rivelatori, viene testata la presenza o menodi elettroni a un particolare angolo. Alla fine, pensando di ripetere più volte

114

Page 127: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

6.4 onde di materia di de broglie

le misure, ogni volta con un solo elettrone nel fascio, viene di fatto misuratala frequenza con cui l’elettrone è rivelato ai diversi angoli, cioè è misurata unaprobabilità di presenza dell’elettrone.

Le idee di de Broglie sulle onde di materia avranno uno sviluppo fondamentalecon la Meccanica Ondulatoria di Schrödinger.

115

Page 128: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

R I F E R I M E N T I B I B L I O G R A F I C I D E L L A PA RT E I I

[1] Mauro Anselmino, Sergio Costa e Enrico Predazzi. Origine classica della fisicamoderna. Torino: Levrotto & Bella, 1999. Contiene una trattazione su tutti gliargomenti del corso.

[2] Vladimir Igorevic Arnol’d. Metodi matematici della meccanica classica. Roma:Editori Riuniti, 2010 (citato a pagina 120).

[3] Vincenzo Barone. Relatività. Principi e applicazioni. Torino: Bollati Boringhieri,2007 (citato a pagina 106).

[4] Max Born. Fisica atomica. Torino: Bollati Boringhieri, 1976.

[5] Giuseppe De Marco. Analisi due. Volume 2. Padova: Decibel e Zanichelli,1993 (citato alle pagine 118, 126).

[6] Antonio Fasano e Stefano Marmi. Meccanica analitica. Torino: Bollati Borin-ghieri, 2002.

[7] Herbert Goldstein, Charles Poole e John Safko. Meccanica Classica. Bologna:Zanichelli, 2005 (citato alle pagine 55, 71).

[8] David Halliday, Robert Resnick e Jearl Walker. Fondamenti di fisica. Fisicamoderna. Milano: CEA, 2002.

[9] Charles Kittel, Walter D. Knight e Malvin A. Ruderman. Meccanica. La fisicadi Berkley. Bologna: Zanichelli, 1970 (citato a pagina 94).

[10] Kenneth S. Krane. Modern Physics. John Wiley & Sons, 1995.

[11] Lev Davidovic Landau e Evgenij Mikhailovic Lifšits. Meccanica. Fisica teori-ca. Roma: Editori Riuniti university press, 2009 (citato a pagina 65).

[12] Lev Davidovic Landau e Evgenij Mikhailovic Lifšits. Teoria dei campi. Volu-me 2. Fisica teorica. Roma: Editori Riuniti, 2004.

[13] P. J. Mohr, B. N. Taylor e D. B. Newell. The 2006 CODATA Recommended Va-lues of the Fundamental Physical Constants. Versione Web 5.2. Questo databaseè stato sviluppato da J. Baker, M. Douma e S. Kotochigova. Gaithersburg,Maryland 20899: National Institute of Standards and Technology, 25 ott.2008. url: http://physics.nist.gov/cuu/Constants/index.html (citato apagina 129).

[14] Luigi Picasso. Lezioni di meccanica quantistica. Pisa: Edizioni ETS, 2000.

[15] Robert Resnick. Introduzione alla relatività ristretta. Milano: Casa Editrice Am-brosiana, 1996.

[16] Eyvind H. Wichmann. Fisica quantistica. Volume 4. La fisica di Berkley. Bolo-gna: Zanichelli, 1973.

116

Page 129: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

Parte III

A P P E N D I C I

Page 130: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

AL A S U C C E S S I O N E D I F I B O N A C C I

Un’equazione alle differenze finite (lineare omogenea di ordine n, a coefficienti co-stanti) è il problema seguente: assegnati i primi n valori x0, . . . , xn−1 di unasuccessione numerica e una relazione ricorrente quale

xj+n = −n−1

∑k=0

akxj+k,

determinare la successione numerica, la quale è chiaramente individuata così inmodo unico. Si tratta di trovare una “forma chiusa” per l’espressione dei termini,cioè una formula che fornisca il valore dell’n-esimo termine senza dover calcolaretutti i precedenti n − 1 termini della successione. Le equazioni alle differenzepossono essere ricondotte alle equazioni differenziali.1

La successione di Fibonacci (sequenza A000045 della On-Line Encyclopedia of In-teger Sequences: http://www.research.att.com/~njas/sequences/A000045), de-scritta dal matematico pisano Leonardo Fibonacci (1170 - 1250) nell’opera Liberabaci del 1202, è una successione di numeri interi definita per ricorrenza da

Fn+2 = Fn+1 + Fn

F0 = 0F1 = 1

.

La determinazione di una forma chiusa per la successione di Fibonacci è un classi-co esempio di problema alle differenze finite. Si cercano soluzioni del tipo Fn = µn,con µ 6= 0. Dalla definizione della successione abbiamo:

µn+2 = µn+1 + µn ⇐⇒ µ2 = µ + 1,

da cui si ricava

µ1,2 =1±√

52

.

La soluzione sarà una combinazione lineare delle due radici:

Fn = aµn1 + bµn

2 . (A.1)

Imponendo le “condizioni iniziali” si ha:

{a + b = 0aµ1 + bµ2 = 1

⇐⇒

a = −b

b =1

µ2 − µ1

⇐⇒

a =

1√5

b = − 1√5

.

1 Vedi De Marco [5, pagina 815].

118

Page 131: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

la successione di fibonacci

Sostituendo nella (A.1) otteniamo

Fn =1√5

((1 +√

52

)n

−(

1−√

52

)n).

La relazione trovata è nota con il nome di formula di Binet.

119

Page 132: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

BL A T R A S F O R M ATA D I L E G E N D R E

b.1 definizione

Sia data una funzione f : R → R, liscia e convessa ( f ′′(x) > 0 ∀x ∈ R). La suatrasformata di Legendre1 è una funzione g di una nuova variabile p data da

g(p) = maxx{px− f (x)}. (B.1)

Il significato geometrico della trasformata può essere inteso nel modo seguente.Consideriamo nel piano xy il grafico della funzione f (x) e sia data la retta y = pxpassante per l’origine con p inteso fissato. Allora è possibile individuare un puntox = x(p) tale che px− f (x) = F(p, x) sia massima. La trasformata di Legendre èdunque F(p, x(p)) = g(p). Se esiste, il punto x(p) è univocamente determinato,essendo individuato dalla condizione ∂F/∂x = p− f ′(x) = 0 (grazie al teoremadel Dini è possibile esprimere x in funzione di p), cioè

f ′(x) = p. (B.2)

Questa condizione ha senso solo se p appartiene al codominio della derivata dif (x). Il punto stazionario così trovato è un massimo in quanto per ipotesi

∂2F(x, p)∂x2

∣∣∣∣x=x

= − f ′′(x) < 0.

In base a quanto visto finora la (B.1) può essere anche scritta nel seguente modo:

g(p) = x(p)p− f (x(p)).

Osserviamo che

dg(p)dp

= x′(p)p + x(p)− f ′(x(p))x′(p) = x′(p)(p− f ′(x(p))) + x(p) =

= x(p).

La trasformata di Legendre gode di una proprietà molto importante: essa è in-volutiva, ovvero se g(p) è la trasformata di Legendre di f (x), allora la trasformatadi Legendre di g(p) è ancora f (x). Le due funzioni f e g si dicono dunque dualisecondo Young. Inoltre essendo per definizione px − f (x) ≤ g(p) allora vale lacosiddetta disuguaglianza di Young:

px ≤ f (x) + g(p). (B.3)

1 Per un approfondimento sulla trasformata di Legendre puoi vedere Arnol’d [2].

120

Page 133: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

B.1 definizione

x

yy = f (x)

y = px

g(p)

x(p)

Figura B.1: Trasformata di Legendre.

Le precedenti considerazioni si generalizzano facilmente al caso di funzioni apiù variabili. Sia f : Rn → R una funzione liscia e x, p ∈ Rn. Anche in questo casola funzione deve essere convessa, cioè si richiede che la matrice hessiana

(∂2 f

∂xi ∂xj

)sia definita positiva. La trasformata di Legendre è

g(p) = maxx{(p, x)− f (x)},

dove

(p, x) =n

∑i=1

pixi.

Allora deve risultare

∂ f∂xi

(x) = pi i = 1, . . . , n (B.4)

o, equivalentemente, ∇ f (x) = p. Quindi x = x(p) e la trasformata si può anchescrivere come

g(p) =n

∑i=1

xi(p)pi − f (x(p)). (B.5)

Come abbiamo visto,2 la trasformazione di Legendre permette di passare dal-la lagrangiana L(q, q, t) (intesa come funzione delle variabili q) all’hamiltoniana

2 Si veda pagina 47. Nel caso dell’applicazione della trasformazione di Legendre alla funzione L

le ipotesi di convessità sono in genere soddisfatte. La lagrangiana di un sistema fisico ha infattisolitamente la forma L = 1

2 ∑i mi q2i −V(q): evidentemente la matrice(

∂2L

∂qi ∂qj

)= (miδij)

è definita positiva.

121

Page 134: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

la trasformata di legendre

H(q, p, t). La trasformazione di Legendre trova applicazione in svariati ambitidella Fisica (per esempio, in termodinamica la funzione entalpia è definita cometrasformata di Legendre della funzione energia rispetto al volume).

La trasformazione di Legendre non è un semplice cambiamento di variabili:essa consente di passare da funzioni definite su uno spazio lineare a funzionidefinite sul corrispondente spazio duale.

Esercizi

1. Si consideri la funzione f : R → R definita da f (x) = x2. Determinare latrasformata di Legendre della funzione.

Soluzione. Osserviamo che f ′′(x) = 2 > 0 ∀x ∈ R. Imponiamo la condizio-ne (B.2):

f ′(x) = p =⇒ 2x = p =⇒ x =p2

, p ∈ R.

La trasformata è dunque:

g(p) = x(p)p− f (x(p)) =p2

2− p2

4=

p2

4.

2. Calcolare la trasformata di Legendre della funzione f : R → R definita daf (x) = x2/4.

Soluzione. Abbiamo f ′′(x) = 1/2 > 0 ∀x ∈ R. Imponendo la condizio-ne (B.2) abbiamo:

f ′(x) =x2= p =⇒ x(p) = 2p

da cui otteniamo che la trasformata di Legendre della funzione è

g(p) = x(p)p− f (x(p)) = 2p2 − p2 = p2.

In questi due esercizi possiamo ossservare la proprietà di involuzione dellatrasformazione di Legendre: la trasformata della trasformata della funzionef (x) = x2 è proprio la funzione stessa.

3. Sia f : R+ → R+ la funzione definita da f (x) = xα/α, con α > 1 ( f ′′(x) > 0).Trovare la trasformata di Legendre di f (x).

Soluzione. Dalla (B.2) abbiamo:

f ′(x) = p ⇐⇒ xα−1 = p ⇐⇒ x = p1

α−1 .

Allora

g(p) = x(p)p− f (x(p)) = p1

α−1 p− pα

α−1

α=

α− 1α

α−1 .

122

Page 135: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

B.1 definizione

È tradizione porre

α

α− 1= β ⇐⇒ α− 1

α=

1β⇐⇒ 1

α+

1β= 1

per cui

g(p) =pβ

β.

In questo caso la disuguaglianza di Young assume la forma

xp ≤ xα

α+

β.

4. Data la funzione f : R → R definita da f (x) = ex calcolarne la trasformatadi Legendre.

Soluzione. La funzione è convessa. Come al solito imponiamo la condizio-ne (B.2):

f ′(x) = p ⇐⇒ ex = p ⇐⇒ x(p) = ln p p ∈ R+.

Quindi la trasformata di Legendre della funzione è

g(p) = x(p)p− f (x(p)) = p ln p− p.

Notiamo che

g′(p) = ln p = x(p)

g′′(p) =1p= x′(p) > 0.

Questo è un risultato di carattere generale: la trasformata di Legendretrasforma funzioni convesse in funzioni convesse.

5. Si consideri la funzione f : R2 → R definita da f (x1, x2) = 2x21 − 2x1x2 +

x22 = x2

1 + (x1 − x2)2. Determinare la trasformata di Legendre di f (x1, x2).

Soluzione. Dalla (B.4) abbiamo:∂ f∂x1

= 4x1 − 2x2 = p1

∂ f∂x2

= 2x2 − 2x1 = p2

⇐⇒

x1(p1, p2) =

p1 + p2

2

x2(p1, p2) =p1 + 2p2

2

.

Allora per la (B.5) la trasformata di Legendre di f (x1, x2) è

g(p) = x1(p1, p2)p1 + x2(p1, p2)p2 − f (x1(p1, p2), x2(p1, p2)) =

=p1 + p2

2p1 +

p1 + 2p2

2p2 −

(p1 + p2

2

)2

−(

p1 + p2

2+

− p1 + 2p2

2

)2

=p2

1 + 2p1 p2 + 2p22

4.

123

Page 136: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

CS I M B O L O D I L E V I - C I V I TA

Il simbolo di Levi-Civita ε ijk è così definito:

ε ijk =

+1 se (i, j, k) è una permutazione pari di (1, 2, 3),

−1 se (i, j, k) è una permutazione dispari di (1, 2, 3),

0 altrimenti (cioè almeno due indici sono uguali).

Ricordiamo che con permutazione pari si intende una permutazione ottenuta conun numero pari di trasposizioni a partire da quella di partenza; è una permutazionedispari, invece, una permutazione ottenuta con un numero dispari di trasposizioni.Così, (1, 2, 3), (2, 3, 1) e (3, 1, 2) sono permutazioni pari di (1, 2, 3), mentre (1, 3, 2),(3, 2, 1) e (2, 1, 3) sono permutazioni dispari.

Il simbolo di Levi-Civita permette di scrivere in maniera compatta alcune rela-zioni di algebra lineare. Per esempio, indicando con x1, x2 e x3 i versori di R3, ilprodotto vettoriale di due vettori a = (a1, a2, a3) e b = (b1, b2, b3) è:

a× b =

∣∣∣∣∣∣x1 x2 x3

a1 a2 a3

b1 b2 b3

∣∣∣∣∣∣ =3

∑i,j,k=1

ε ijk xiajbk.

La i-esima componente è

(a× b)i =3

∑j,k=1

ε ijkajbk. (C.1)

Si vede dunque che ε ijk può anche essere definito nel modo seguente:

ε ijk = xi · (xj × xk).

La (C.1) può essere scritta in maniera più concisa adoperando la notazione diEinstein: se in un termine ci sono degli indici ripetuti, si sottintende l’operazionedi somma sui valori che tali indici possono assumere e si omette il simbolo disommatoria. Nel secondo membro della (C.1) gli indici ripetuti sono j e k (manon i) e possono variare da 1 a 3, quindi con questa notazione abbiamo:

(a× b)i = ε ijkajbk.

Calcoliamo3

∑k=1

εkijεklm

con i 6= j e l 6= m. I termini non nulli sono quelli con k 6= i, j e k 6= l, m. Allora,affinché la somma non sia nulla dobbiamo avere

124

Page 137: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

simbolo di levi-civita

• i = l e j = m;

• i = m e j = l.

La prima condizione è esplicitata da δilδjm, la seconda da δimδjl , quindi

3

∑k=1

εkijεklm =

(3

∑k=1

εkijεklm

)δilδjm +

(3

∑k=1

εkijεklm

)δimδjl =

=

(3

∑k=1

ε2kij

)δilδjm +

(3

∑k=1

εkijεkji

)δimδjl =

= δilδjm − δimδjl .

Con la notazione di Einstein abbiamo:

εkijεklm = δilδjm − δimδjl .

A primo membro si somma su k poiché questo è l’unico indice ripetuto, a secondomembro non c’è alcuna somma in quanto non ci sono indici ripetuti in ciascunodei due termini δilδjm e δimδjl .

Il simbolo di Levi-Civita può anche essere esteso a più di 3 indici nel modoseguente:

ε ijkl... =

+1 se (i, j, k, l, . . . ) è una permutazione pari di (1, 2, 3, 4, . . . ),

−1 se (i, j, k, l, . . . ) è una permutazione dispari di (1, 2, 3, 4, . . . ),

0 se almeno due indici sono uguali.

125

Page 138: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

DC A L C O L O D E L L A C O S TA N T E D I R A D I A Z I O N E

Nel capitolo 6 abbiamo visto che la densità di energia irradiata da un corpo neroper unità di frequenza uν è data dalla Legge della radiazione di Planck

uν =8π

c3 ν3 h

ehν

kBT −1,

quindi la densità di energia u è

u =∫ +∞

0uν dν =

∫ +∞

0

c3 ν3 h

ehν

kBT −1dν =

c3 h∫ +∞

0

ν3

ehν

kBT −1dν.

Effettuiamo la sostituzione

x =hν

kBT⇐⇒ dν =

kBTh

dx.

Gli estremi di integrazione rimangono gli stessi poiché ν → 0 =⇒ x → 0 eν→ +∞ =⇒ x → +∞. Poiché se Re(s) > 1 sussiste la relazione1

∫ +∞

0

xs−1

ex−1dx = Γ(s)ζ(s),

in cui Γ indica la funzione gamma di Eulero e ζ la funzione zeta di Riemann,abbiamo

u =8π

c3 h∫ +∞

0

ν3

ehν

kBT −1dν =

c3 h∫ +∞

0

(xkBT/h)3

ex−1kBT

hdx =

=8π

c3 h(

kBTh

)4 ∫ +∞

0

x3

ex−1dx =

c3 h(

kBTh

)4

Γ(4)ζ(4).

Ora, Γ(4) = 3! = 6 e ζ(4) = π4/60, dunque

u =

(8π5k4

B15c3h3

)T4 = aT4,

dove

a =8π5k4

B15c3h3 =

8π5(1.380 650 4 · 10−23 J/K)4

15(299 792 458 m/s)3(6.626 068 96 · 10−34 J · s)3=

= 7.5657 · 10−16 J/(m3 ·K4)

è la costante di radiazione. La legge di Stefan-Boltzmann è spesso scritta nella forma

PA

= σT4

1 Per una dimostrazione di questa relazione puoi vedere, per esempio, De Marco [5, pagina 575].

126

Page 139: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

calcolo della costante di radiazione

in cui P/A è il rapporto fra potenza irradiata dal corpo nero e area (questo rappor-to è chiamato irradianza) e σ è la costante di Stefan-Boltzmann legata alla costantedi radiazione dalla relazione

a =4σ

c,

pertanto la costante di Stefan-Boltzmann vale

σ =ac4

=2π5k4

B15h3c3 =

π2k4B

60}3c3 =π2(1.380 650 4 · 10−23 J/K)4

60(1.054 571 62 · 10−34 J · s)3(299 792 458 m/s)3=

= 5.6704 · 10−8 W/(m2 ·K4).

127

Page 140: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

EN O T E S U L L E U N I TÀ D I M I S U R A

Nel sistema internazionale (SI) l’unità di misura dell’energia è il joule (simbolo J):

1 J = 1 kg ·m2/s2.

Nel sistema di Gauss (SG o CGS) l’unità di misura è l’erg:

1 erg = 1 g · cm2/s2.

Ovviamente 1 J = 107 erg.Altra unità di misura, usata in chimica e in termodinamica, è la caloria (cal),

insieme al suo multiplo, la chilocaloria (kcal):

1 kcal = 4.184 · 103 J.

In diversi settori della Fisica l’unità di misura usata è l’elettronvolt (eV); ricordia-mo che 1 eV è l’energia di un elettrone sottoposto a una differenza di potenzialedi 1 V. Dunque, con riferimento alla tabella seguente:

1 eV = 1.6 · 10−19 J = 1.6 · 10−12 erg

e inversamente

1 J = 0.625 · 1019 eV.

Multipli dell’elettronvolt sono:

1 keV = 103 eV 1 MeV = 106 eV 1 GeV = 109 eV 1 TeV = 1012 eV.

Poiché m0c2 ha le dimensioni di un’energia, la massa a riposo può essere misuratain eV/c2. In Fisica atomica si usa spesso come unità di massa l’unità di massaatomica (uma), definita come la dodicesima parte della massa del 12C:

1 uma = 1.661 · 10−27 kg = 931.5 MeV/c2.

128

Page 141: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

FC O S TA N T I F I S I C H E F O N D A M E N TA L I

Riportiamo di seguito alcune costanti fisiche fondamentali, alcune delle quali sonodi interesse per la trattazione corrente. I dati, forniti in unità SI, sono presi daMohr, Taylor e Newell [13].

Nome della costante Simbolo Valore

Velocità della luce (esatto) c 299 792 458 m/sCostante di Planck h 6.626 068 96(33) · 10−34 J · sCostante di Boltzmann kB 1.380 650 4(24) · 10−23 J/K

Costante di Stefan-Boltzmann σ =π2k4

B60}3c2 5.670 400(40) · 10−8 W/(m2 ·K4)

Costante di gravitazione G 6.674 28(67) · 10−23 m3/(kg · s)Carica dell’elettrone −e −1.602 176 487(40) · 10−19 CMassa a riposo dell’elettrone me 9.109 382 15(45) · 10−31 kgMassa a riposo del protone mp 1.672 621 637(83) · 10−27 kgMassa a riposo del neutrone mn 1.674 927 211(84) · 10−27 kgMassa a riposo del muone mµ 1.883 531 30(11) · 10−28 kg

Raggio di Bohr a0 =4πε0h2

mee2 0.529 177 208 59(36) · 10−11 m

Costante di Rydberg R∞ =α2mec

2h10 973 731.568 527(73)/m

Permeabilità del vuoto (esatto) µ0 = 4π · 10−7N/A2 12.566 370 614 . . . · 10−7 N/A2

Permittività del vuoto (esatto) ε0 =1

µ0c2 8.854 187 817 . . . · 10−12 F/m

Magnetone di Bohr µB =e}

2me927.400 915(23) · 10−26 J/T

Costante di struttura fine α =e2

4πε0}c7.297 352 537 6(50) · 10−3

Costante di Avagadro NA 6.022 141 79(30) · 1023/molCostante di Faraday F = eNA 96 485.3399(24)C/molCostante molare dei gas R = kBNA 8.314 472(15) J/(K ·mol)

Riportiamo inoltre il valore delle masse di alcune particelle espresse in MeV/c2.

Nome della costante Simbolo Valore

Massa a riposo dell’elettrone me 0.510 998 910(13)MeV/c2

Massa a riposo del protone mp 938.272 013(23)MeV/c2

Massa a riposo del neutrone mn 939.565 346(23)MeV/c2

Massa a riposo del muone mµ 105.658 366 8(38)MeV/c2

129

Page 142: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea
Page 143: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

R I F E R I M E N T I B I B L I O G R A F I C I D E L L E A P P E N D I C I

[1] Mauro Anselmino, Sergio Costa e Enrico Predazzi. Origine classica della fisicamoderna. Torino: Levrotto & Bella, 1999. Contiene una trattazione su tutti gliargomenti del corso.

[2] Vladimir Igorevic Arnol’d. Metodi matematici della meccanica classica. Roma:Editori Riuniti, 2010 (citato a pagina 120).

[3] Vincenzo Barone. Relatività. Principi e applicazioni. Torino: Bollati Boringhieri,2007 (citato a pagina 106).

[4] Max Born. Fisica atomica. Torino: Bollati Boringhieri, 1976.

[5] Giuseppe De Marco. Analisi due. Volume 2. Padova: Decibel e Zanichelli,1993 (citato alle pagine 118, 126).

[6] Antonio Fasano e Stefano Marmi. Meccanica analitica. Torino: Bollati Borin-ghieri, 2002.

[7] Herbert Goldstein, Charles Poole e John Safko. Meccanica Classica. Bologna:Zanichelli, 2005 (citato alle pagine 55, 71).

[8] David Halliday, Robert Resnick e Jearl Walker. Fondamenti di fisica. Fisicamoderna. Milano: CEA, 2002.

[9] Charles Kittel, Walter D. Knight e Malvin A. Ruderman. Meccanica. La fisicadi Berkley. Bologna: Zanichelli, 1970 (citato a pagina 94).

[10] Kenneth S. Krane. Modern Physics. John Wiley & Sons, 1995.

[11] Lev Davidovic Landau e Evgenij Mikhailovic Lifšits. Meccanica. Fisica teori-ca. Roma: Editori Riuniti university press, 2009 (citato a pagina 65).

[12] Lev Davidovic Landau e Evgenij Mikhailovic Lifšits. Teoria dei campi. Volu-me 2. Fisica teorica. Roma: Editori Riuniti, 2004.

[13] P. J. Mohr, B. N. Taylor e D. B. Newell. The 2006 CODATA Recommended Va-lues of the Fundamental Physical Constants. Versione Web 5.2. Questo databaseè stato sviluppato da J. Baker, M. Douma e S. Kotochigova. Gaithersburg,Maryland 20899: National Institute of Standards and Technology, 25 ott.2008. url: http://physics.nist.gov/cuu/Constants/index.html (citato apagina 129).

[14] Luigi Picasso. Lezioni di meccanica quantistica. Pisa: Edizioni ETS, 2000.

[15] Robert Resnick. Introduzione alla relatività ristretta. Milano: Casa Editrice Am-brosiana, 1996.

[16] Eyvind H. Wichmann. Fisica quantistica. Volume 4. La fisica di Berkley. Bolo-gna: Zanichelli, 1973.

131

Page 144: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

I N D I C E A N A L I T I C O

accelerazione, vangolare, momento

conservazione, vi, 25

meccanico, viparentesi di Poisson, 60

problema delle forze centrali, 29

relativistico, 97

simmetria sferica, 29

tensore, 97

totale, xvariabile azione, 72

velocità areolare, 30

angolovariabile, 72

anolonomo, vincolo, 2

areolare, velocità, 30

attritovincoli scabri, 3

autovaloridi una matrice rispetto a un’altra,

39

piccole oscillazioni, 39, 43

azionee reazione

forma debole, ix, 28

forma forte, x, 28

funzionale, 16

integrale sull’orbita, 72

oscillatore armonico unidimensio-nale, 72

variabile, 72

Bertrand, teorema di, 32

Bohratomo di, 113

condizione di quantizzazione diBohr-Sommerfeld, 113

Boltzmanncostante di Stefan-Boltzmann, 127

distribuzione di, 109

legge di Stefan-Boltzmann, 107, 126

brachistocrona, 21

calcolo delle variazioni, 15

applicazioni del, 19

equazioni di Eulero-Lagrange, 18

lemma fondamentale del, 18

canonica, trasformazione, 61

canonicheequazioni di Hamilton, 48

variabili, 47

catastrofe ultravioletta, 109

centrodi forza, 29, 30

di massa, ix, 28, 29

ciclicacoordinata, 25

problema di Keplero, 30

cinetica, energiaclassica

di un sistema di particelle, xdi una particella, vi

relativistica, 95

teorema della, xCompton, effetto, 112

configurazioni, spazio delle, 15

trasformazioni puntuali, 60

cono luce, 83

cono del futuro, 83

cono del passato, 84

conservazionedel momento angolare, videll’energia meccanica, xidella quantità di moto

relativistica, 100

leggi di, 24

controvariante, 89

coordinatecanoniche, 48

cicliche, 24

controvarianti, 89

covarianti, 89

132

Page 145: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

Indice analitico

lagrangiane, 3

normali, 41

polari, 29

principali, 41

corpo nero, 107

legge dello spostamento di Wien,108

legge di Planck, 110

legge di Stefan-Boltzmann, 107, 126

relazione di Rayleigh-Jeans, 109

costantedello spostamento di Wien, 108

di radiazione, 107, 126

di Stefan-Boltzmann, 127

Coulombgauge di, 26

covarianteequazione, 98

formulazione, 92

hamiltoniana, 101

quadrivettore, 90

d’Alembert, principio di, 5

Davisson e Germer, esperimento di,114

de Broglie, 113

onde di materia di, 114

relazione di, 114

diagonalizzazione, 40

diffusioneCompton, 112

dilatazione dei tempi, 87

dissipazione, funzione didi Rayleigh, 10

Einstein, 106

notazione di, 89, 124

relazione di, 96

elettromagneticocampo

lagrangiana, 9

lagrangiana covariante, 100

tensore, 103

ellisseeccentricità della, 34

equazione in coordinate polari del-la, 34

parametro della, 34

energiaa riposo, 96

equivalenza massa-energia, 96

conservazione, viforze centrali, 30

densità di, 107

funzione, 26

conservazione, 26

in un campo centrale, 30

meccanica, principio di conserva-zione, xi

potenziale, viprincipio di equipartizione, 109

relativistica, 95, 101

relazione di Planck-Einstein, 96

equazione del motodi Minkowski, 98

particella carica in campo elettro-magnetico, 103

equilibrio, 4

forze generalizzate, 5

instabile, 37

piccole oscillazioni, 37

stabile, 37

etere, 77, 104

eV, definizione, 128

evento, 77

forza, vattiva, 5

centrale, vi, 29

centro di, 29

conservativa, vidi Lorentz, 9

generalizzata, 5

legge dell’inverso del quadrato, 32

lineare di richiamo, 32

momento di una, vinon derivabile da un potenziale,

10

vincolare, 2

fotoelettrico, effetto, 110

133

Page 146: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

Indice analitico

fotone, 96

frequenzadi soglia, 110

modo normale, 41

funzionecaratteristica di Hamilton, 72

generatrice, 61

funzione principale di Hamil-ton, 70

mista, 65

parentesi di Poisson, 65

variabili angolo-azione, 72

Galileoprincipio di, 77

trasformazioni di, 77, 81, 85

gaugedi Coulomb, 26

di Lorentz, 103

trasformazioni di, 11

generalizzatacoordinata, 3

forza, 5

generalizzatopotenziale, 9

gradi di libertà, 3, 11

N particelle, 3

piccole oscillazioni, 37

Hamiltonequazioni di, 48

notazione simplettica, 54

funzione caratteristica di, 72

funzione principale di, 70

principio variazionale di, 16

principio variazionale modificato,57

Hamilton-Jacobi, equazione di, 70

hamiltonianacovariante, 101

notazione simplettica, 53

particella carica in campo elettro-magnetico, 104

Hooke, legge di, 32

identica, trasformazione, 64

inerzia, principio di, 78

invarianzadi Lorentz, 81, 84, 99

parentesi di Poisson, 65

per rotazioni, 25

per traslazioni, 25

irradianza, 127

Jacobi, identità di, 59

Kepleroprima legge di, 35

problema di, 33

seconda legge di, 30

terza legge di, 36

Kirchhoff, 107

Lagrangeequazioni di, 6

derivazione dal principio di Ha-milton, 17

forze non derivabili da un po-tenziale, 11

lagrangiana, 6

campo elettromagnetico, 11

potenziali generalizzati, 7

Laplace-Runge-Lenz, vettore di, 33

Legendre, trasformazione di, 47, 120

Levi-Civita, ε ijk simbolo di, 60, 124

liscio, vincolo, 3

Lorentzforza di, 9

gauge di, 103

scalare di, 91

trasformazioni di, 78, 81

lunghezza propria, 86

massa ridotta, 28

matriceautovalori, 39

definita positiva, 38

diagonale, 40

identità, 39

ortogonale, 40

piccole oscillazionienergia cinetica, 38

134

Page 147: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

Indice analitico

energia potenziale, 38

simmetrica, 38

simplettica standard, 54

Maxwell, equazioni di, 77

Michelson e Morley, esperimento di,77, 105

minima azioneprincipio di, 18

Minkowskidiagramma di, 83

equazione di, 98

spazio di, 88

modo normale, 41

momentoangolare, vi

totale, xcanonico, o coniugato, 24

generalizzato, 25

torcente, vimonogenico, sistema, 15

olonomo, vincolo, 2

omogenea, funzioneenergia cinetica, 26, 30, 38

orbitachiusa, 31

circolare, 32

ellittica, 32

iperbolica, 32

limitata, 31

piano dell’orbita, 29

oscillatore armonico, 66, 72

corpo nero, 108

oscillatori accoppiati, 42

piccole oscillazioni, 37

particella carica in campo elettroma-gnetico, 9, 103

pendolo piano, vi, 3, 7, 8

Planck, 109

legge di, 110

Poissonparentesi di, 58

equazioni di Hamilton, 59

fondamentali, 59

proprietà, 59

teorema di, 59

potenzialecentrale, 28, 29

efficace, 31

d’arresto, 111

di estrazione, 111

energia, 6

generalizzato, 7, 9

elettromagnetico, 9

scalare ϕ, 9

vettoriale A, 9

potere assorbente, 107

prodotto scalarenello spazio di Minkowski, 89, 92

punto materiale, v

quadritensorep volte controvariante e q volte

covariante, 91

completamente controvariante, 91

completamente covariante, 91

elettromagnetico, 103

quadrivettorecontrovariante, 89

covariante, 90

quadriaccelerazione, 93

quadriforza, 98

quadrimomento, 97

quadrivelocità, 93

quantità di motoconservazione della, vdi un sistema di particelle, ixdi una particella, v

Rayleigh, funzione di dissipazione di,10

Rayleigh-Jeanscatastrofe di, 109

relazione di, 109

relativitàgalileiana, 77

ristretta, 78

postulati, 78

quadrivettore, 89

135

Page 148: Università del Salento - dmf.unisalento.itgiordano/allow_listing/intro_fisica_moderna... · Università del Salento FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea

Indice analitico

tensore metrico, 89

reonomo, vincolo, 2

Routhfunzione di, 55

Routh, metodo di, 55

scabro, vincolo, 3

scleronomo, vincolo, 2

simmetria sferica, 29

simplettica, notazione, 53

spaziodelle configurazioni, 15

delle fasi, 47

spaziotempo, 78

spostamentolegge dello, 108

Stefancostante di Stefan-Boltzmann, 127

legge di Stefan-Boltzmann, 107, 126

successione di Fibonacci, 118

tachione, 82

tardione, 82

tempo proprio, 87

tensore metricocontrovariante, 90

covariante, 89

tipo luce, 82

trasformazionecanonica, 61

funzione generatrice, 61

identica, 64

parentesi di Poisson, 65

di Galileo, 81

di gauge, 11

di Legendre, 47, 120

di Lorentz, 81

variabilicanoniche, 47

dinamiche, 58

variazionaleprincipio di Hamilton, 16

principio di Hamilton modifica-to, 57

velocità, v

vincoloanolomono, 2

liscio, 3

olonomo, 2

corpo rigido, 2

reonomo, 2

scabro, 3

scleronomo, 2

virtualiprincipio dei lavori, 4

spostamenti, 3

viscosa, forza, 10

Wien, 108

costante di, 108

legge dello postamento di, 108

136