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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI
PADOVA
Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova
Sede Consorziata: Università degli Studi di Parma
Dipartimento di Anatomia Umana, Farmacologia e Scienze Medico-Forensi
Sezione di Farmacologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia
DOTTORATO DI RICERCA
IN FARMACOLOGIA E TOSSICOLOGIA, TERAPIA RIANIMATIVA E INTENSIVA
CICLO XX°
CITOTOSSICITA’ E GENOTOSSICITA’
IN LINEE CELLULARI UMANE DI NUOVI COMPOSTI
ANTI-PROTOZOARI E ANTI-CANCEROGENI
Coordinatore : Ch.mo Prof. Rosa Maria Gaion
Supervisore :Ch.mo Prof. Enzo Poli
Dottoranda : Claudia Pellacani
DATA CONSEGNA TESI 31 gennaio 2008
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INDICE
SUMMARY RIASSUNTO INTRODUZIONE
Pag. 3 Pag. 5 Pag. 7
VALUTAZIONE DI FARMACI ANTINEOPLASTICI DI NUOVA SINTESI INTRODUZIONE RISULTATI DISCUSSIONE CONCLUSIONI
Pag. 10 Pag. 23 Pag. 34 Pag. 39
VALUTAZIONE DI FARMACI ANTIPROTOZOARI DI NUOVA SINTESI INTRODUZIONE GRUPPO A: Megazol e derivati RISULTATI DISCUSSIONE E CONCLUSIONI GRUPPO B: Composti WSP RISULTATI DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
MATERIALI METODI BIBLIOGRAFIA RINGRAZIAMENTI
Pag. 41 Pag. 79 Pag. 88 Pag. 90 Pag.111 Pag.118 Pag.125 Pag.139
3
SUMMARY
Different innovative methods, in parallel with the traditional tests of toxicology, have
been applied on the determination of the DNA damage, in an attempt to reveal
genotoxic effects evoked by drugs. Given the close relationship between mutagenic and
cancerogenic activity, it is indeed necessary to estimate the ability of compounds
developed for therapeutic application in modifying the structure and/or function of
DNA. The aim of the mutagenesis tests is then to disclose the potential genotoxic
effects of medicaments and to characterize the possible mechanisms that are responsible
of cancerogenesis. In addition, such tests allow to estimate of the risk to which the
population could be exposed, when treated with these novel compounds.
The first part of this study consists on the valuation of the potential toxicity of novel
chemioterapics, namely two tiosemicarbazonic complexes of Copper and Nickel. These
compounds have been tested and compared in human leukocytes and in p-53 mutated
cells (U937) by the Comet assay (1h-treatment).
Cytometrical flow tests showed the ability of these complexes to induce apoptosis on
U937. Moreover the Ni-based complex is able to activate the caspase-3 and to perturb
cell cycle progression, showing an increase in G2/M phase fraction and a decrease of
G0/G1 cells.
In this study, we also estimated possible cito- and geno-toxics effects induced by two
different series of antiparassite agents. These compounds could have future application
in the treatment of trypanosomiasis, which, according to statistical data from the World
Health Organization, represents the main cause of human death. The currently-used
drugs for the treatment of such disease are weak and not suitable for chronic therapies,
due to the occurrence of toxic effects and pharmacoresistence. Therefore, it is
mandatory to discover new highly effective drugs, devoid of noxious effects.
The estimate of the cytotoxic and genotoxic effects of these compounds has been
carried out in vitro, using bacterial and human cells (Revers bacterial test in Salmonella
typhimurium, Micronuclei assay, Comet Assay). These tests are suitable to investigate
the possible cyto- and genotoxic effects on the host cells, as well as the mechanisms
involved on the interaction between drugs and exposed cells.
4
The first group of new drugs was composed by three different compounds for the
therapy of American trypanosomiasis (5-nitromegazol and two of its analogues, 4-
nitromegazol and 1-methyl-5-nitro-2-imidazolecarboxaldehyde 5-nitroimidazole
thiosemicarbazone). These molecules were tested by the Comet assay, performed at
different pH levels, to better identify the nature of DNA damage. The oxidative damage
to DNA was also measured by using the Comet assay, using a modified protocol
including endonucleases.
DNA damage was found in 5-nitromegazol-, but not in 4-nitromegazol-treated cells.
Oxidative stress was the main causative factor of DNA damage by 5-nitromegazol, as
suggested by the reparative effect of endonucleases. In turn, 5-nitroimidazole-
thiosemicarbazone induced DNA damage with a higher efficiency than 5-nitromegazol.
The second group of new compounds was composed by some novel nitroheterocycles
bound with triazine, created as future remedies of African trypanosomiasis. Results
obtained have shown that the different substitutions to the melamine ring, which
characterises the chemical structure of these compounds, are associated to a different
degree of genotoxic effects in host cells.
Data provide useful indications for future structure-activity studies (analysis QSAR)
and to plan new experiments in animal models, where the (chemio)terapeutic effect of
these compounds may be evaluated.
5
RIASSUNTO L’utilizzo di saggi per la valutazione del danno al DNA, indotto da composti
farmacologicamente attivi si è affiancato nel corso degli ultimi anni ai tradizionali test
previsti per legge per la rilevazione della tossicità. Data la stretta correlazione tra attività
mutagena e attività cancerogena è indispensabile valutare la presenza di attività
mutagena in un composto chimico, utilizzabile per scopi umani. La funzione principale
dei test di mutagenesi è di evidenziare la capacità di un composto chimico di interagire
con il DNA, e perciò individuare i possibili meccanismi che sono responsabili di
processi biologici cellulari capaci di indurre trasformazioni neoplastiche. Quindi tali
tests permettono di stimare il rischio a cui la popolazione potrebbe essere esposta in
caso di utilizzo terapeutico di questi nuovi composti.
La prima parte di questo studio consiste nella valutazione del potenziale di tossicità di
nuovi chemioterapici, due complessi tiosemicarbazonici leganti nichel e name. Le due
molecole sono state saggiate attraverso l’utilizzo del Comet test (1 ora di trattamento) in
leucociti umani e in cellule p-53 mutate (U937). Questo test mostra che entrambi i
complessi sono in grado di indurre danno al DNA.
Inoltre, attraverso tecniche di citometria a flusso, si è potuto osservare la capacità di
entrambe le molecole in esame nell’indurre apoptosi in cellule U937. Il complesso a
base di nichel è anche in grado di attivare la caspasi-3 e di indurre un blocco nel ciclo
cellulare, osservabile attraverso un incremento della frazione in fase G2/M e un
decremento delle cellule in fase G0/G1.
In questo studio è stato anche stimato il possibile rischio geno- e cito- tossico indotto da
due differenti serie di nuovi agenti antiparassitari, che potrebbero essere utilizzate in
futuro per la cura delle tripanosomiasi. Infatti le statistiche dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità indicano che le infezioni parassitarie, inclusa appunto la
tripanosomiasi, sono la principale causa di morte nell’uomo. Inoltre, farmaci
attualmente utilizzati per la cura di queste malattie sono tossici e quindi inadatti per
trattamenti cronici. Per questo che si rende necessaria la ricerca di nuove molecole che
non presentino questi effetti collaterali.
La valutazione degli effetti citotossici e genotossici dei nuovi composti sintetizzati è
stata effettuata mediante l’utilizzo di saggi in vitro su batteri e cellule umane (Test di
6
reversione batterica in Salmonella typhimurium, test dei micronuclei, Comet Assay).
Questi saggi hanno permesso di evidenziare non solo gli eventuali effetti
citotossici/genotossici sulle cellule dell’ospite, ma anche alcuni dei meccanismi alla
base delle interazioni tra farmaco e cellule esposte.
Il primo gruppo era composto da tre differenti molecole, che potranno in futuro essere
utilizzate nella terapia contro la Tripanosomiasi Americana, 5-nitromegazol, 4-
nitromegazol e 1-methyl-5-nitro-2-imidazolecarboxaldehyde5-nitroimidazole
thiosemicarbazone. Questi composti sono stati saggiati utilizzando Comet test eseguito
a differenti livelli di pH, per meglio identificare le tipologie di danno al DNA presenti.
Il danno ossidativo è stato valutato introducendo nel protocollo tradizionale l’utilizzo di
endonucleasi. Danno al DNA è stato trovato in cellule trattate con 5-nitromegazol; lo
stress ossidativo appariva essere il maggior responsabile di questo fenomeno, come
suggerito dall’effetto riparativo delle endonucleasi.
4-Nitromegazol non sembrava essere in grado di produrre effetti significativi, al
contrario di 5-nitroimidazole-thiosemicarbazone che invece produceva danno al DNA
con una più alta efficacia rispetto 5-nitromegazol.
Il secondo gruppo di nuovi composti era formato da molecole nitroeterocicliche legate
ad un anello di triazina, disegnate per essere utilizzate nella terapia contro la
Tripanosomiasi Africana.
I dati ottenuti mostrano che i differenti gruppi sostituenti nell’anello melaminico
(contenuto nella struttura chimica di questi composti nitroeterociclici) erano in grado di
modificare in modo differente l’effetto genotossico prodotto dalla molecole nella cellula
ospite.
I dati così ottenuti potranno fornire utili indicazioni per avviare studi relazione-attività
(analisi QSAR) e pianificare nuovi esperimenti in modelli animali, dove gli effetti
(chemo)terapici di questi composti potranno essere valutati.
7
INTRODUZIONE
La necessità di trovare farmacoterapici non tossici ha portato allo sviluppo di strategie
mirate e dirette verso nuovi bersagli molecolari, consentendo così di individuare nuovi
farmaci caratterizzati da effetti collaterali ridotti rispetto a quelli prodotti dalle molecole
in uso.
Per legge la commercializzazione di una nuova molecola deve essere preceduta da una
serie di test in vitro, da sperimentazioni su animali e da indagini su volontari sani e
malati in modo da individuare ed evitare possibili effetti dannosi.
Nella fase preliminare, la nuova molecola è saggiata attraverso l’ausilio di test in vitro
per valutarne la tossicità e individuare il bersaglio sul quale risulta essere attiva. Questo
permette di programmare modifiche strutturali della molecola in modo da minimizzarne
gli effetti collaterali indesiderati, mantenendo immodificata la sua attività farmacologica
e garantendone così un impiego sicuro. La sintesi di nuove molecole può essere
indirizzata da studi sulla relazione struttura-attività biologica dei medesimi (Benigni,
2005). Attraverso l’esame della relazione che intercorre tra struttura chimica e attività
biologica (QSAR), si possono identificare i gruppi chimici che caratterizzano
determinati effetti, escludendoli/includendoli così nella progettazione di nuovi composti
(Benigni, 2005). I modelli QSAR agevolano anche la comprensione dei meccanismi che
regolano il comportamento dei composti in esame e permettono di risparmiare risorse
nella progettazione di nuovi composti (Selassie et al., 2002). La premessa iniziale è che
la serie di composti in esame, che hanno una struttura essenzialmente simile, presentino
limitate differenze atte a una certa variabilità dell’attività biologica. Per questi motivi
spesso le serie di composti sottoposte all’analisi QSAR presentano una struttura fissa
che garantisca un egual meccanismo d’azione e un certo numero di sostituenti
responsabili della variazione delle proprietà chimico-fisiche.
Uno studio QSAR efficace risulta utile per supportare, contraddire o suggerire un
meccanismo chimico- fisico che determina la risposta biologica (Hansch et.al., 2002;
Benigni, 2005). Dati utili per uno studio QSAR sono quelli relativi al danno genetico
indotto dai composti e valutato attraverso l’ausilio di test di mutagenesi a breve
termine.
8
Negli ultimi vent’anni la sperimentazione di composti chimici farmacologicamente
attivi ha previsto, accanto ai saggi di tossicità acuta e cronica, test per rilevare
l’eventuale rischio genotossico. Data la stretta correlazione tra attività mutagena e
attività cancerogena è indispensabile valutare la presenza di attività mutagena in un
composto chimico utilizzabile per scopi umani (Benigni, 2005). La funzione principale
dei test di mutagenesi è evidenziare le capacità di un composto chimico di interagire con
il DNA, e perciò individuare i possibili meccanismi che sono responsabili, nell’uomo, di
processi biologici cellulari capaci di indurre trasformazioni neoplastiche.
In particolare i test di mutagenesi permettono di determinare:
l’effetto genetico indotto da un agente chimico o fisico
la frequenza con cui gli effetti si manifestano
il tessuto coinvolto (somatico o germinale)
l’ereditabilità del genotipo mutato
Per valutare le alterazioni al DNA che le sostanze genotossiche possono indurre sono
disponibili diversi sistemi di saggi, utili all’identificazione e alla quantificazione del
rischio.
I test che valutano l’induzione di eventi genotossici da parte di xenobiotici, possono
venire divisi in:
test “a breve termine”, che forniscono risposte anche in sole 48 ore e prevedono
l’utilizzo di organismi procariotici, eucariotici o linee cellulari;
test “a lungo termine” che comprendono studi su popolazioni di animali nel
medio-lungo periodo, o ricerche di tipo epidemiologico.
I test “a breve termine”che rilevano a vari livelli il danno al DNA sono caratterizzati
da rapidità di esecuzione e da costi relativamente bassi.
Una raccomandazione CEE (GU NC 293/8 del 5 novembre 1984) ha stabilito che i test
di mutagenesi per composti che saranno immessi sul mercato debbano comprendere:
un test di mutazione genica sui batteri;
un test di mutazione genica in un sistema eucariotico in presenza o meno di
induttori del metabolismo;
un test per le aberrazioni cromosomiche in colture di cellule di mammifero;
9
un test in vivo di danno genetico.
La stessa strategia di base viene utilizzata dall’industria farmaceutica negli Stati Uniti,
Europa e Giappone per valutare il potenziale mutageno di farmaci di nuova
generazione. L’inserimento poi di saggi complementari (come ad esempio l’utilizzo del
Comet test) vengono raccomandati per fornire informazioni addizionali relative alle
modalità d’azione dell’agente in esame. L’informazione fornita quindi da tali test
suggerisce dati importanti per la valutazione del rischio a seguito della
somministrazione. Tuttavia occorre porre un certo grado di cautela nell’applicare
all’uomo conclusioni derivanti da test in vitro.
Nel seguente lavoro ci si propone di valutare cito- e genotossicità di molecole di nuova
sintesi che potrebbero essere utilizzate come farmaci anti-tumorali o anti-protozoari. Ci
si è inoltre proposti di studiare quali variazioni strutturali all’interno della molecola di
partenza siano in grado di produrre gruppi potenzialmente responsabili del danno
genetico.
10
VALUTAZIONE DI FARMACI ANTINEOPLASTICI DI NUOVA SINTESI
INTRODUZIONE
Alla base della crescita della massa tumorale ci sono sia alterazioni genetiche la cui
conseguenza è quella di sottrarre il tumore dal controllo fisiologico della proliferazione
cellulare sia alterazioni nei geni coinvolti nel fenomeno dell’apoptosi.
Alcune tipologie di cancro sono curabili attraverso l’impiego, spesso combinato, di
trattamenti chirurgici, radioterapici e farmacologici (utilizzo di antineoplastici).
L’applicazione di queste terapie tuttavia è limitata da gravi effetti sui tessuti normali
(soppressione midollare, danno alle mucose e danni cutanei,...) e dalla frequente
selezione di cellule tumorali resistenti. La ricerca è volta quindi alla scoperta di nuove
tecniche in grado di aumentare l’efficacia dei trattamenti riducendone gli effetti
collaterali legati alla tossicità, sia individuando farmaci più attivi e selettivi, sia
cercando di neutralizzare i meccanismi responsabili dell’insorgenza della resistenza nei
loro confronti.
Dopo la scoperta negli anni ‘60 del cis-diamminocloroplatino (cisplatino o cis-DDP)
come agente antitumorale e della sua introduzione nella pratica clinica avvenuta nel
1978, la ricerca di base rivolta alla sintesi ed alla caratterizzazione di complessi
metallici ha ricevuto un notevole impulso. Il cisplatino è uno degli antineoplastici più
utilizzati al mondo, essendo efficace nel 70-90% nei casi di cancro al testicolo, alle
ovaie, all’utero, alla vescica e alla mammella.
Il cisplatino, in soluzione fisiologica, è generalmente somministrato per via venosa.
L'uptake del cisplatino e dei suoi analoghi avviene principalmente per diffusione
passiva attraverso la membrana cellulare; ciò è possibile in quanto i complessi
contenenti platino usati nella terapia antitumorale sono molecole neutre. Ci sono
evidenze anche per un sistema di trasporto mediato da proteine trasportatrici di
membrana: molti tipi di agenti farmacologici che non alterano la permeabilità di
membrana, inibiscono l’uptake del cisplatino e l’accumulo del cisplatino risulta essere
dipendente dall’energia metabolica.
11
Circa la metà del platino si lega a proteine seriche ed è quindi escreto, la parte restante è
distribuita ai vari tessuti. Nel siero, il farmaco resta per la maggior parte come cis-
[PtCl2(NH3)2], a causa dell'alta concentrazione di ione cloruro. Nel citoplasma, il
cisplatino si trova in presenza di una concentrazione di ione cloruro molto più bassa e
subisce un'idrolisi che porta alla formazione di complessi cationici come il cis-
[PtCl(NH3)2(H2O)]+ . Le reazioni di idrolisi del cisplatino sono un importante aspetto
della sua attività biologica. Le reazioni di idratazione sono fondamentali per la
coordinazione dei complessi di platino ai substrati biologici in quanto permettono di
ridurre l'energia dell'interazione tra metallo centrale e leganti anionici, rendendo questi
ultimi buoni gruppi uscenti. Le forme idrolizzate del farmaco reagiscono molto più
rapidamente rispetto al cis-DDP formando legami crociati con il DNA, sia legami
intrastrand (due legami con due residui nucleotidici appartenenenti allo stesso filamento
di DNA), sia legami interstrand (legami con due filamenti di DNA), oppure formando
addotti DNA-proteina (legame crociato DNA-proteina).
Sembra comunemente accettato che il legame del cisplatino al DNA sia da porsi in
relazione alla sua attività antitumorale mentre il legame ai gruppi -SH di alcuni tipi di
proteine è responsabile di un'azione sequestrante esercitata sul farmaco nonché della sua
tossicità renale.
Negli ultimi 30 anni sono stati sintetizzati e saggiati più di 3000 complessi di platino
nella speranza di rendere più ampio lo spettro di attività e ridurre la tossicità presentata
dal cisplatino. Tuttavia soltanto due nuovi composti sono entrati nella terapia clinica
mondiale: il cis-[diammino-1,1-ciclobutanodicarbossilato platino(II)] (carboplatino) ed
il cis-[1,2- diamminocicloesano-ossalato platino(II)] (ossaliplatino).
Nonostante diversi protocolli clinici di trattamento antitumorale in questo momento
prevedano l’utilizzo di cisplatino o di un suo analogo, la ricerca sta compiendo
numerosi sforzi per trovare sostanze che presentino caratteristiche innovative. In
particolare si ricercano composti che mostrano attività verso quelle forme tumorali
resistenti ai composti di platino convenzionali. In base alle conoscenze fornite dallo
studio della correlazione tra struttura-attività del cisplatino sono tuttora stati sintetizzati
e saggiati composti del platino aventi un’efficacia simile a quella del composto
progenitore. Questi nuovi composti, attivi su linee tumorali attualmente resistenti,
mostrano caratteristiche che non rispettano i criteri di relazione struttura/attività stabiliti
12
per il cisplatino. Ciò può essere supportato dalla scoperta di elevata attività antitumorale
in composti di- e tri-nucleari di platino e in complessi recanti i gruppi uscenti in
posizione trans anziché cis.
Lo studio sempre più accurato del meccanismo d’azione di queste molecole sta
fornendo una serie di importanti informazioni che permetteranno sia di definire meglio i
loro impieghi terapeutici, che di indirizzare i ricercatori verso la sintesi di nuove
molecole. In generale, molti farmaci a base metallica mostrano interazioni con bersagli
differenti dal DNA ed effetti cellulari rilevabili anche a concentrazioni molto basse.
Una classe di composti molto interessante per il loro diverso impiego in ambito
farmacologico è quella dei tiosemicarbazoni e dei loro complessi metallici.
Tiosemicarbazoni e loro complessi metallici
Alla classe dei tiosemicarbazoni appartengono molecole organiche che derivano dalla
semplice condensazione di aldeidi o chetoni alifatici, aromatici od eterociclici con
tiosemicarbazidi.
I semicarbazoni e i tiosemicarbazoni (Fig.1) presentano un ampio spettro di attività
biologica: attività antibatterica, antifungina, antitumorale e antivirale. In particolare
queste molecole sono usate nella pratica medica come agenti antiprotozoari
(Nitrofurazone) o come anticonvulsivi (4-Bromobenzaldeide semicarbazone); alcuni
hanno manifestato effetti anti-leucemici (1-formilisochinolina tiosemicarbazone)
(Belardo et al., 2004). È ovvio che la loro attività biologica è direttamente correlata alle
modificazioni sinteticamente indotte sul derivato tiosemicarbazonico.
Spesso semicarbazoni e tiosemicarbazoni sono associati a ioni metallici per rendere più
efficiente il loro meccanismo di azione .
Fig.1 - Struttura generale di semicarbazoni (X=O) e tiosemicarbazoni (X=S). R, R1, R2, e R3 = gruppi alchilici o arilici (Belardo e Gambino, 2004)
13
Tiosemicarbazoni e attività biocida
L’attività antivirale dei tiosemicarbazoni è stata riportata per la prima volta nel 1950 e
da allora sono numerosi gli studi che vedono coinvolti questi composti nella cura di
malattie prodotte da virus.
Gli isatina-tiosemicarbazoni risultano particolarmente attivi e per la molecola
tiosemicarbazone della N-metil-isatina- (metisazone) sono state realizzate
sperimentazioni cliniche contro il vaiolo in India. Quest’ultimo farmaco è stato usato
anche per curare pazienti affetti dal virus Herpes simplex (HSV). Il suo derivato 4’,4’-
dietile mostra attività inibitoria verso il virus della leucemia Moloney e verso il virus
dell’immunodeficienza umana (HIV). Inoltre, i prodotti della reazione tra isatina e i suoi
derivati con sulfamidina sono stati saggiati per l’attività antivirale contro HIV-1 e HIV-
2 nelle cellule MT-4 (Selman et al., 2001).
Il tiosemicarbazone della purina-6-carbossialdeide è stato trovato attivo contro
citomegalovirus (Sidwell et al.,1969); Brockman e i suoi collaboratori dimostrarono
l’attività di tiosemicarbazoni -eterociclici contro HSV (Brockman et al.,1956). Una
serie di tiosemicarbazoni derivati da 2-acetilpiridina, 2-acetilchinolina e 1-
acetilisochinolina hanno mostrato di essere, in alcuni casi, potenti inibitori di HSV di
tipo 1 e 2. L’inibizione selettiva della ribonucleotide difosfato reduttasi (RDR) di HSV
determinata dai derivati del tiosemicarbazone della 2-acetilpiridina è stata valutata ed è
stata ipotizzato che la RDR di HSV sia un bersaglio importante per lo sviluppo di
farmaci antivirali (Turk et al., 1986). Uno studio sulle caratteristiche elettroniche e
strutturali dei tiosemicarbazoni della 2-acetilpiridina, della 2-acetilchinolina e di 1-
acetilisochinolina dimostra la loro attività contro HSV-1 (Altun et al., 2001). E’ stata
mostrata anche l’attività antivirale dei tiosemicarbazoni derivati da formile e acidiazide
(Easmon et al., 1992).
I tiosemicarbazoni e i loro complessi metallici presentano un’ampia attività
antimicrobica. Il gruppo dei tiosemicarbazoni della 2-acetil piridina è attivo contro
batteri gram positivi e mostra una minore attività verso i gram negativi (Dobek et al.,
1983). Simili risultati sono stati ottenuti con il tiosemicarbazone della 2-acetilquinolina
e di 1- e di 3- acetilisochinolina. I complessi di Pt (II) con il tiosemicarbazone della 2-
acetil piridina presentano attività biocida solo su batteri gram-positivi; tali complessi
14
risultano attivi anche contro lieviti (Kovala-Demertzi et al., 2001). Inoltre, alcuni
tiosemicarbazoni della 2-(alpha-idrossiacetil) piridina presentano una potente attività
antibatterica contro sia ceppi sensibili che resistenti alla penicillina, contro Neisseria
gonorrhoeae, Neisseria meningitidis e Staphylococcus aureus. Questi nuovi agenti
sembrano essere meno tossici per l’ospite rispetto ai corrispondenti tiosemicarbazoni
della 2-acetil piridina (Klayman et al., 1984).
Il tiosemicarbazone e i suoi complessi mostrano inibizione della crescita dei batteri
patogeni umani Salmonella typhi, Shigella dyssenteriae, non-coagulace Staphylococcus,
Photobacterium sp. e S.aureus (Bindu et al., 1999). E’ stata studiata anche le attività
antimicobatteriche di una serie di tiosemicarbazoni N4-sostituiti con 2-acetilpiridina
(Collins et al., 1982).
I complessi metallici del tiosemicarbazone della p-anisaldeide sono stati studiati anche
per l’attività antifungina su Alternarai sp., Paecilomyces sp. e Pestalotia sp. In molti
casi i complessi sono molto più attivi dei leganti liberi (Thimmaiah et al., 1984).
Attività antitumorale
Nel 1956 Brockman (Brockman et al.,1956) dimostrò l’effetto antileucemico di 2-
formilpiridina tiosemicarbazone (PT) che però in seguito si rivelò essere anche tossico
quando accumulato all’interno dell’organismo.
Nel 1963 French e collaboratori (French e Blanz, 1965) formulano l’ipotesi sul
meccanismo d’azione dei tiosemicarbazoni (N) –eterociclici, supponendo che queste
molecole agiscano come leganti tridentati e ipotizzano che si possa migliorarne l’attività
e diminuirne la tossicità modificando il sistema ciclico, mantenendo il disegno del
ligando.
La densità elettronica, i sostituenti e la geometria possono avere un effetto critico
sull’attività di tali molecole.
Una serie di tiosemicarbazoni è stata studiata su tumori trapiantati in roditori. Il
tiosemicarbazone della pirazina carbossialdeide risulta maggiormente attivo sulle cellule
L-1210 della molecola di riferimento PT, attivo sul carcinoma polmonare di Lewis ma
inefficace sul carcinoma di Ehrlich. Tra le molecole saggiate, il tiosemicarbazone della
1-formilisochinolina (IQ-1) risulta la molecola maggiormente attiva della serie indagata
15
ed inoltre la meno tossica. In tutti i composti attivi è presente il sistema chelante
tridentato N-N-S. L’attività antineoplastica viene osservata quando il gruppo
carbonilico legato alla catena laterale è collocato in posizione rispetto all’atomo di
azoto dell’anello (French e Blanz, 1966).
Quando le molecole PT e IQ-1 vengono utilizzate nel trattamento di diverse linee
cellulari si osserva un’inibizione dell’incorporazione di 3H-timidina nel DNA. E’ stato
ipotizzato che il passaggio compromesso nella biosintesi del DNA sia la conversione da
ribonucleotide a deossiribonucleotide catalizzata dall’enzima ribonucleotide difosfato
reduttasi (RDR) (Sartorelli et al., 1971).
Le ribonucleotide reduttasi contenenti Fe riducono i ribonucleosidi di fosfato nei
corrispondenti deossiribonucleosidi difosfati:
NDP dNDP
La ribonucleotide reduttasi di E.coli (Fig.2) è costituita da due copie di due diverse
subunità, R1 (un dimero con massa di 172 Kd) e R2 (un dimero con una massa di 87
Kd), che insieme formano il sito attivo dell’enzima. Ciascuna subunità R1 contiene sia
Fig.2- Reazione catalizzata dalla ribonucleotide reduttasi e modello schematico dell’enzima di fase I di E.coli (Eklund et al, 2001)
16
una coppia sulfidrilica, attiva in senso riducente, sia due siti di legame con l’effettore
indipendenti, che controllano sia l’attività catalitica dell’enzima che la sua specificità
per il substrato. Gli ioni Fe(III) delle subunità R2 formano un gruppo Fe3+-O- Fe3+ che
interagisce con Tyr 122 su una delle subunità R2 formando un insolito radicale tirosilico
libero. L’enzima dimerico quindi ha solo un sito cataliticamente attivo.
La ribonucleotide reduttasi di E.coli è inibita dall’idrossiurea, che distrugge
specificamente il radicale tirosile, e dalla 8-idrossichinolina che chela gli ioni Fe3+.
Poiché le ribonucleotidi reduttasi dei mammiferi hanno caratteristiche simili all’enzima
di E.coli, l’idrossiurea è stata introdotta in clinica come agente antitumorale.
Se la ribonucleotide reduttasi viene incubata con [3’-3H]UDP, una frazione piccola di 3H viene liberata come 3H2O. Questa osservazione assieme a misurazioni della cinetica
hanno suggerito il seguente meccanismo catalitico per la RDR di E.coli:
1) il radicale libero della RDR sottrae un atomo di H dal C(3’) del substrato nel
passaggio che determina la velocità della reazione;
2) il taglio del legame C(2’)-OH catalizzato da acido libera H2O generando un
intermedio radicale cationico. Il radicale media la stabilizzazione del catione C(2’)
mediante la coppia di elettroni non condivisi del gruppo 3’-OH, rendendo conto quindi
del ruolo catalitico del radicale;
3) l’intermedio radicale cationico viene ridotto dalla coppia sulfidrilica, attiva in senso
riducente, dell’enzima con produzione di un radicale 3’ deossinucleotide e un gruppo
disolfuro proteico;
4) il radicale 3’deossinucleotide risottrae un atomo di H della proteina generando il
prodotto deossinucleoside trifosfato e riportando l’enzima al suo stato radicale. Una
piccola frazione degli atomi H originariamente sottratti si scambia con il solvente prima
di poter essere sostituita, rendendo così conto del rilascio di 3H in seguito a riduzione di
[3’-3H]UDP (Voet e Voet, 1993).
IQ-1 è ritenuto un composto modello della classe dei tiosemicarbazoni (N)-eterociclici
e un inibitore veramente potente della biosintesi del DNA. E’ stato dimostrato che IQ-1
è capace di diminuire la quantità intracellulare di deossiribonucleotidi e che il passaggio
limitante è il blocco dell’attività di RDR. Visto che IQ-1 è un chelante del ferro,
potrebbe essere supposto che la sostanza inibisca l’enzima legando il ferro richiesto per
17
l’attività catalitica. Tuttavia, è stato dimostrato che il legame tra ferro libero ed IQ-1 non
è responsabile dell’inibizione e che il ferro libero non può prevenire l’inibizione
derivante dalla competizione con l’enzima da parte dell’inibitore. E’ stato confermato
da altri studi sull’inibizione della RDR che la forma attiva di IQ-1 è un complesso con il
ferro (II). Il complesso [Fe(IQ-1)2] ha come bersaglio il radicale tirosilico della subunità
M2 della RDR ed inibisce l’enzima attraverso la distruzione del radicale da parte del
tiosemicarbazone. E’ stato dimostrato che IQ-1 causa la frammentazione del DNA nel
sarcoma 180 e questo effetto risulta particolarmente importante per la vitalità cellulare,
già aggravata dall’inibizione di RDR (Moore e Santorelli, 1984).
La citotossicità di complessi di rame e ferro con il 2-formilpiridinatiosemicarbazone 5
sostituito è stata studiata in cellule del tumore di Ehrlich. I complessi di ferro con il
tiosemicabazone sostituito in posizione 5 con - CH3 e -Cl possono prevenire la crescita
del tumore. Mentre i complessi di rame con -H e -CH3 nella stessa posizione
impediscono il trapianto di cellule tumorali.
I complessi di ferro e rame di tiosemicarbazoni (N) –eterociclici sono efficienti
inibitori della sintesi del DNA a concentrazioni più basse di quelle necessarie all’azione
citotossica. Nel 2001 Garcia-Toja et al. pubblicarono un articolo inerente il
comportamento redox e le interazioni di [Cu(l)2] (l=tiosemicarbazone della tiofene-2-
carbaldeide), di [Fe(L)2]NO30.5H2O e di [Fe(L)(NO3)] (L=PT) con il glutatione ridotto
e 2-mercaptoetanolo, insieme alla loro citotossicità e attività antitumorale. In questo
articolo veniva ipotizzato che la citotossicità di questi complessi verso le cellule
eritroleucemiche Friend e verso le cellule di melanoma B16F10 fosse correlata
all’interazione con i tioli cellulari. Si sono studiate le relazioni struttura-attività per
delineare gli aspetti strutturali necessari per l’ interazione ottimale tra l’enzima e
l’inibitore. Un anello fenilico idrofobico è stato introdotto in varie posizioni della
molecola PT per migliorare l’affinità per il suo enzima bersaglio. Sono stati saggiati gli
effetti di queste nuove molecole sull’attività della RDR di tumore Novikoff di topo
(Agrawal et al., 1974). Il tiosemicarbazone della 2-formil-4-(m-amino)fenilpiridina
possiede la combinazione strutturale ottimale ed è il più attivo dei m-aminofenili
derivati come inibitore sia dello sviluppo tumorale sia della RDR.
Tiosemicarbazoni eterociclici, resistenti a O-glucuronazione, sono stati sintetizzati e
valutati per la loro attività antineoplastica. Tra questi, il tiosemicarbazone della 3- e
18
della 5-aminopiridina-2-carbossialdeide mostra attività antitumorale significativa in topi
portatori della leucemia L1210 (Liu et al., 1992).
L’unico inibitore della RDR attualmente usato in medicina è l’idrossiurea che però è un
debole agente antitumorale. Il tiosemicarbazone della 3-aminopiridin-2-carbossialdeide
(3-AP, triapina) è un potente inibitore delle cellule leucemiche L1210 in vitro, riesce a
curare i topi portatori di leucemia 1210, inibisce RDR e risulta attivo anche in cellule
resistenti all’idrossiurea. La triapina inibisce la crescita nei topi del carcinoma
polmonare M109 e del carcinoma ovarico A2780 trapiantato in essi. La combinazione
di triapina con agenti citotossici come il cisplatino e la doxorubicina causa un effetto
inibitore sinergico nelle cellule L1210 di topo perché la triapina previene la riparazione
del DNA danneggiato dagli agenti citotossici (Finch et al., 2000). Tale molecola è stata
valutata mediante studi di fase I condotti in pazienti con cancro in fase avanzata per
determinarne la sicurezza , la farmacocinetica e la massima dose tollerata (Murren et al.,
2003). Attualmente la triapina è inserita in studi di fase II quale farmaco chemoterapico
(Knox et al.,2007).
Recenti studi hanno chiarito alcune differenze tra il meccanismo d’azione
dell’idrossiurea e della triapina. L’idrossiurea inattiva l’enzima RDR reagendo
direttamente con il radicale tirosilico (Tsimberidou et al., 2002). La triapina è un
inibitore più potente e risulta attiva anche su cellule resistenti all’attività
dell’idrossiurea; il meccanismo suggerito prevede che l’effetto farmacologico in vivo sia
dovuto alla generazione di specie radicaliche dell’ossigeno (ROS) (Shao et al., 2006).
L’attività antitumorale dei bis tiosemicarbazoni è stata studiata dopo la scoperta della
forte attività antineoplastica del bis tiosemicarbazone 3-etossi-2-ossobutiraldeide in
tumori solidi di animali, per l’attività del quale è assolutamente necessario il Cu(II).
Infatti il suo complesso di rame è un potente agente antitumorale (Petering et al.,1964).
I complessi di Cu(II) e del tiosemicarbazone del 5-formiluracile sono stati testati sulle
linee cellulari leucemiche umane K562 e CEM. Anche i complessi che derivano dalle
aldeidi naturali come il citrale, il citronellale, l’ottonale e l’ottenale e i loro complessi di
Cu(II) e Ni(II) sono stati saggiati per l’inibizione della proliferazione cellulare e per
l’induzione in vitro dell’apoptosi nella linea cellulare umana U937. Un complesso con
Cu(II) di un tiosemicarbazone con acido -chetoglutarico è stato studiato per la
proliferazione cellulare, il differenziamento eritroide, la sintesi del DNA e l’attività di
19
reversotrascrittasi su cellule leucemiche Friend (FC); è stata valutata anche la
proliferazione cellulare e l’induzione dell’apoptosi nelle linee leucemiche cellulari
umane K562 e U937. I complessi di Cu(II) mostrano inibizione della proliferazione
attraverso un meccanismo di apoptosi (Belicchi Ferrari et al., 2002). D’altra parte i
tiosemicarbazoni p-fluorobenzaldeide derivati, come i complessi di Ni(II) di simili
composti, mostrano una marcata attività inibitoria sulla crescita delle cellule U937 che
non coinvolge meccanismi apoptotici (Belicchi Ferrari et al., 2000). I complessi di
Zn(II) e di Cd(II) con il tiosemicarbazone del piridilchetone e il complesso di Zn(II) con
tiosemicarbazone della p-isopropilbenzaldeide mostrano un valore di IC50 simile al
cisplatino. L’ultimo di questi ha una specifica attività citotossica contro le cellule Pam-
ras resistenti al cisplatino (Perez et al,. 1999).
Sviluppo di potenziali farmaci a base metallica
In questi ultimi anni la letteratura scientifica si è via via arricchita di articoli riguardanti
la preparazione e la caratterizzazione spettroscopica e strutturale di nuovi composti di
coordinazione con leganti organici appartenenti alla classe dei tiosemicarbazoni.
Nonostante l’estremo interesse che questa classe di composti ha suscitato in campo
biomedico, le conoscenze sulla possibile correlazione esistente tra attività biologica e
struttura cristallina di queste molecole organiche e dei relativi complessi metallici sono
ancora scarse.
Vista l’importanza di tali molecole, nuovi complessi tiosemicarbazonici stanno già
seguendo l’iter della sperimentazione e alcuni di loro, come ad esempio la triapina, si
trovano in fase II.
All’interno di questa area di ricerca, i Dipartimenti di Genetica, Biologia dei
microrganismi, Antropologia, Evoluzione; di Chimica Generale ed Inorganica e di
Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione dell’Università di Parma
collaborano alla produzione di nuove molecole a base metallica sintetizzando e
caratterizzando nuovi leganti polifunzionali e loro complessi con metalli della prima
serie di transizione non cisplatino simili ad attività antitumorale, valutandone l’attività
biologica in vitro su linee cellulari murine e umane. L’interesse in questo ambito di
ricerca è rivolto soprattutto all’impiego dei tiosemicarbazoni in farmacologia.
20
In particolare, all’interno di un programma di ricerca PRIN finanziato dal Ministero
dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, dal titolo “Controllo della proliferazione,
della motilità e dell’invasione tumorale: sviluppo farmacologico di nuovi antitumorali a
base metallica” sono stati sintetizzati e valutati due nuovi composti tiosemicarbazonici
selezionati a seguito di una preliminare valutazione della loro attività biologica:
[{Cu(HL)(OH)2}2]Cl2 (H2L=tiosemicarbazone piridossale) successivamente
indicato con dimero di Cu.
[Ni(tcitr) 2] (Htcitr=tiosemicarbazone del R-S-(+)-citronellale) successivamente
indicato con complesso di Ni
Nel complesso [{Cu(HL)(OH)2}2]Cl2 l’atomo di rame coordina, in un intorno planare
quadrato distorto, l’ossigeno di una molecola d’acqua, l’atomo di solfo, l’atomo di azoto
della catena idrazinica e l’ossigeno fenolico del gruppo piridossale. Una lunga
interazione [3,066(2) Å] fra il rame e l’atomo di solfo appartenente ad un’altra molecola
centrosimmetricamente correlata completa la coordinazione a bipiramide quadrata
allungata, tetraedricamente distorta, e dà luogo ad una struttura dimerica. La struttura
molecolare del complesso consiste di cationi dimerici centrosimmetrici ed anioni Cl-
(Fig.3).
In studi precedenti (Belicchi Ferrari et al., 2004) il composto ha mostrato effetti
citotossici a concentrazioni micromolari già dopo 24 ore di esposizione su differenti
linee cellulari (valutazione effettuata grazie al test MTT). Inoltre studi sul ciclo cellulare
hanno mostrato che in seguito alle 72 ore di esposizione si osserva un’aumento delle
celule in fase G2/M e un decremento di quelle in G1.
21
Fig.3 – Veduta ORTEP di [{Cu(HL)(OH)2}2]Cl2
Il tiosemicarbazone del citronellale (Htcitr), un derivato di un’aldeide naturale, forma
con il nichelio un complesso planare quadrato tetraedricamente distorto in cui le due
molecole indipendenti di legante SN bidentato, sono deprotonate sull’atomo di azoto
idrazinico (Fig.4).
Questa molecola è in grado di alterare la proliferazione cellulare: la concentrazione a
cui si osserva il 50% di inibizione della proliferazione (IC50) è nell’ordine di 10-6M.
Appare evidente che le prime analisi tossicologiche condotte su questa molecola la
rendono un buon candidato per l’analisi di un suo possibile impiego quale antitumorale.
22
Fig.4 – Veduta ORTEP di [Ni(tcitr) 2]
23
RISULTATI Dimero di Cu
Citotossicità a breve termine
U937: Le cellule U937 sono state trattate con differenti dosi del composto: 1.25; 2.50;
5.00; 10.00; 20.00; 50.00 e 100.00 M per 1h. Per tutte le dosi saggiate non si osserva
comparsa di mortalità, rilevata mediante colorazione con tripan blue (Tab.1). E’ da
notare che la dose 100M definisce anche il valore soglia (0.5%) raggiungibile per la
concentrazione del solvente impiegato (DMSO); al di sopra di tale concentrazione i dati
potrebbero venir influenzati da effetti tossici prodotti dal DMSO stesso.
Un altro parametro che permette l’individuazione di effetti tossici precoci a livello
cellulare è la percentuale di cellule ghost rilevate nel Comet test (GC) (Tab.1). A questo
riguardo, si osserva un aumento significativo di cellule con morfologia
apoptotico/necrotica (GC) a partire dalla concentrazione 50M (p<0.05).
Tab.1 – Dimero di Cu: percentuale di cellule ghost e di cellule sopravviventi (sop) in cellule U937. Vengono riportati
i valori medi ± deviazione standard.
DOSI (M) SOP (%) GHOST (%)
0.00# 95.50 ± 2.78 3.25 ± 1.58
1.25 97.50 ± 0.71 1.50 ± 0.71
2.50 95.00 ± 0.00 1.00 ± 1.41
5.00 99.00 ± 1.41 1.50 ± 0.71
10.00 96.75 ± 1.32 3.25 ± 1.06
20.00 98.00± 1.71 4.50 ± 0.71
50.00 98.00 ± 0.00 6.00 ± 2.83*
100.00 98.50 ± 0.71 23.00 ± 1.41***
#DMSO 0.5% *p<0.05; **p<0.01; ***p<0.001
24
Leucociti: Le dosi saggiate (1.25; 2.50; 5.00; 10.00; 20.00 M) per un 1 ora di
trattamento appaiono indurre una lieve diminuzione della vitalità rilevata attraverso il
metodo Hoechst/bromuro di etidio (Tab.2). I dati mostrano inoltre un incremento della
percentuale di GC dalla dose 10M (p<0.05) (Tab.2).
Tab.2 – Dimero di Cu: percentuale di cellule ghost e di cellule sopravviventi (sop) in leucociti umani.
Vengono riportati i valori medi ± deviazione standard.
DOSI (M) SOP (%) GHOST (%)
0.00# 93.50 ± 2.65 5.25 ± 2.06
1.25 89.75 ± 2.47 1.50 ± 0.71
2.50 87.50 ± 9.19 3.00 ± 1.41
5.00 88.00 ± 7.07 5.50 ± 2.12
10.00 87.88 ± 1.24 8.75 ± 0.35*
20.00 87.00 ± 2.83 14.50 ± 3.54***
#DMSO 5% *p<0.05; **p<0.01; ***p<0.001
Apoptosi
Valutando il fenomeno apoptotico, mediante l’utilizzo di una tecnica citofluorimetrica
(colorazione con Annexin V e ioduro di propidio-PI) su cellule U937, è stato possibile
osservare che il dimero di Cu induce un aumento della percentuale di cellule in apoptosi
precoce dopo 8 ore di trattamento ad una concentrazione 13.35 M (Fig.5).
Questa attività si osserva fino alle 24 ore quando, in parallelo, si evidenzia un aumento
delle cellule in apoptosi tardiva e una drammatica diminuzione di vitalità cellulare.
25
Fig.5 – Apoptosi indotta in cellule U937 dopo il trattamento con Dimero di Cu. Le cellule sono state
incubate per 4-8-12-24 h con il dimero, marcate con Annexin V-FITC e Ioduro di Propidio e poi sono
state analizzate attraverso citometria a flusso. I numeri all’interno dei quadranti si riferiscono alla
percentuale di cellule in apoptosi precoce(quadrante in basso a destra, Annexin-V FITC+/PI-) e in
apoptosi tardiva o morte(quadrante in alto a destra, Annexin-V FITC+/ PI+).
Caspasi-3
Il complesso non sembra attivare la caspasi-3 sulla linea cellulare U937 dopo
trattamento (24h) con il dimero di Cu.
Genotossicità U937: L’analisi della migrazione del DNA, dopo trattamento con diverse concentrazioni
del complesso in esame, ha mostrato un significativo aumento di danno alla
concentrazione 100M, sia che si valutasse la lunghezza di migrazione (TL) che la
percentuale di fluorescenza della coda (TI) (Tab.3). L’analisi visuale (SCORE) ha
mostrato una maggiore sensibilità, individuando la comparsa di cellule danneggiate già
alla concentrazione di 20M (p<0.05) (Tab.3).
24h 24h 12h 8h
4h
24h 12h
24h 12h8h
8h 4h
con
tro
llo
4h
24h 12h
24h 12h8h
8h 4h
tratt
ato
26
Tab.3 – Dimero di Cu: mediane della lunghezza di migrazione (TL), intensità di fluorescenza (TI) della coda e analisi
visuale dell’immagine (score) in cellule U937. Vengono riportati i valori medi ± deviazione standard.
DOSI (M) TL(m) TI (%) SCORE
0.00# 26.36 ± 4.83 1.54 ± 0.82 155 ± 14
1.25 26.30 ± 3.74 1.16 ± 0.22 134 ± 2
2.50 31.66 ± 0.49 1.70 ± 0.34 150 ± 4
5.00 25.57 ± 5.12 1.14 ± 0.06 145 ± 9
10.00 25.65 ± 0.69 1.32 ± 0.07 153 ± 1
20.00 35.15 ± 1.55 4.37 ± 1.64 178 ± 0*
50.00 39.94 ± 2.76 3.83 ± 1.66 200 ± 12***
100.00 46.19 ± 9.18*** 9.77 ± 4.16*** 226 ± 0***
#DMSO 0. 5% *p<0.05; **p<0.01; ***p<0.001
Leucociti: Alla concentrazione 20M si osserva un aumento significativo della
migrazione del DNA (p<0.001) rilevata attraverso la misurazione della lunghezza della
coda TL (Tab.4).Tale osservazione è confermata dall’analisi visuale che rivela una
significativa presenza di cellule danneggiate alla stessa concentrazione (p<0.001)
(Tab.4).
Tab.4 – Dimero di Cu: mediane della lunghezza di migrazione (TL), intensità di fluorescenza (TI) della coda e analisi
visuale dell’immagine (score) in leucociti umani. Vengono riportati i valori medi ± deviazione standard.
DOSI (M) TL(m) TI (%) SCORE
0.00# 16.64 ± 1.82 0.68 ± 1.82 120 ± 9
1.25 20.70 ± 0.41 0.86 ± 0.41 123 ± 7
2.50 18.34 ± 0.65 0.41 ± 0.65 115 ± 3
5.00 18.43 ± 0.25 0.89 ± 0.25 113 ± 9
10.00 19.12 ± 2.14 1.06 ± 2.69 127 ± 6
20.00 24.72 ± 2.51*** 1.14 ± 2.51 143 ± 1***
#DMSO 5% *p<0.05; **p<0.01; ***p<0.001
27
Dalla comparazione degli effetti rilevati sui diversi tipi cellulari si possono osservare
comportamenti comparabili sebbene a concentrazioni differenti.
Alle concentrazioni saggiate non si osserva diminuzione della vitalità cellulare dopo
trattamento. La comparsa di cellule con morfologia apoptotico/necrotica (GC) nel
Comet Assay è evidente per ambedue i tipi cellulari, sebbene i leucociti sembrino
maggiormente sensibili a questo effetto citotossico.
Un aumento della migrazione del DNA è evidenziabile sia nei leucociti che nelle cellule
U937. Per quanto riguarda le cellule U937, in assenza di diminuzione di vitalità
cellulare, tutti i parametri descrittivi la migrazione del DNA indicano un chiaro aumento
di danno alla dose 100M (p<0.001). Anche in questo caso i leucociti si mostrano più
sensibili, l’effetto di danno al DNA è infatti rilevabile alla concentrazione di 20M
(p<0.001).
Complesso di Ni Citotossicità a breve termine
U937: Le concentrazione da saggiare per determinare la tossicità/genotossicità del
complesso dopo trattamento breve (1h) sono state individuate facendo riferimento al
valore di inibizione della proliferazione a 96h (IC50= 4.9M), determinato dal
Dipartimento di Clinica Medica Nefrologia e Scienze della prevenzione. Le cellule
U937 sono state trattate con le seguenti concentrazioni di molecola: 2.50; 5.00; 10.00
M.
Per tutte le dosi saggiate non si osserva ne comparsa di mortalità ne aumento della
percentuale di cellule ghost (GC) rilevate nel Comet test (Tab.5).
28
Tab.5 – Complesso di Ni: percentuale di cellule ghost e di cellule sopravviventi (sop) in cellule U937. Vengono
riportati i valori medi ± deviazione standard.
DOSI (M) SOP (%) GHOST (%)
0.00# 96.25± 1.26 3.25 ± 1.50
2.50 96.50 ± 2.12 2.00 ± 0.00
5.00 94.50 ± 0.71 3.50 ± 0.71
10.00 96.50 ± 0.71 5.00 ± 2.83 # DMSO 0.5% *p<0.05; **p<0.01; ***p<0.001
Leucociti: Il complesso di Ni è stato saggiato su leucociti umani alle dosi di 10; 15;
100; 200; 400; 800 M. E’ possibile osservare una forte diminuzione della vitalità alle
concentrazioni > 100 M (Tab.6).
La comparsa di cellule apoptotico/necrotiche nel Comet test è apprezzabile a partire
dalla concentrazione 200M (Tab.6).
Tab.6 – Dimero di Cu: percentuale di cellule ghost e di cellule sopravviventi (sop) in leucociti umani.
Vengono riportati i valori medi ± deviazione standard.
DOSI (M) SOP (%) GHOST (%)
0.00# 93.50 ± 2.38 4.75 ± 2.22
10.00 99.00 ± 1.41 3.88 ± 2..30
15.00 95.00 ± 2.83 3.93 ± 2.72
100.00 62.50 ± 2.12 8.00 ± 2.83
200.00 53.50 ± 4.95 13.50 ± 2.12
400.00 52.50 ± 4.95 18.00 ± 5.66
800.00 14.50 ± 0.71 22.50 ± 2.12***
#DMSO 5% *p<0.05; **p<0.01; ***p<0.001
29
Apoptosi
Per evidenziare la possibile induzione di morte cellulare programmata da parte del
complesso di Ni su linea cellulare tumorale umana U937 è stata utilizzata la medesima
tecnica di citometria a flusso impiegata per la valutazione del dimero di Cu.
L’incubazione (4-8-12-24 ore) delle cellule con il complesso di Ni ad una
concentrazione di 14.66 M provoca già dopo 4 ore un aumento significativo delle
cellule in apoptosi precoce rilevabile anche nelle 8 ore successive. In seguito si osserva
una diminuzione delle cellule in apoptosi precoce a cui corrisponde un aumento della
percentuale di cellule in apoptosi tardiva e una diminuzione della percentuale di cellule
vitali (Fig.6).
Fig.6 – Apoptosi indotta in cellule U937 dopo il trattamento con Complesso di Ni. Le cellule sono state
incubate per 4-8-12-24 h con il complesso, marcate con Annexin V-FITC e Ioduro di Propidio e poi sono
state analizzate attraverso citometria a flusso. I numeri all’interno dei quadranti si riferiscono alla
percentuale di cellule in apoptosi precoce(quadrante in basso a destra, Annexin-V FITC+/PI-) e in
apoptosi tardiva o morte(quadrante in alto a destra, Annexin-V FITC+/ PI+).
4h
4h 8h
8h
12h
12h 24h
24h
con
troll
otr
att
ato
4h
4h 8h
8h
12h
12h 24h
24h
con
troll
otr
att
ato
30
Caspasi-3
La caspasi–3 è attivata già dopo le prime ore di trattamento con il complesso del Ni: il
meccanismo apoptotico in questo caso si può ritenere caspasi dipendente (Fig.7).
Fig.7 – Attività ella Caspasi-3 indotta dal trattamento con il complesso di Ni in cellule U937. Le cellule
sono state incubate per 2-4-6-8-12 h con il complesso e poi saggiate attraverso un test di citometria a
flusso. Il numero in rosso si riferisce alla percentuale di cellule positive per la presenza dell’attività della
caspasi-3.
Ciclo cellulare
Questo complesso altera il ciclo cellulare, causando la scomparsa del picco G1, tale
evento probabilmente deriva da un blocco in fase G2/M (Fig.8) .
con
trollo
tra
ttato
con
trollo
tra
ttato
con
trollo
tra
ttato
31
Fig.8– Effetto del complesso di Ni sulla distribuzione del ciclo cellulare di cellule U937. Le cellule sono
state incubate per 2-4-6-8-12 h con il complesso e poi saggiate attraverso un test di citometria a flusso
Genotossicità
U937:L’analisi della migrazione del DNA dopo trattamento con il composto ha
mostrato un significativo aumento di danno alla concentrazione 5M, valutando la
lunghezza di migrazione della coda della cometa. Tutti i parametri derivanti dall’analisi
dell’immagine (TL, TI e score visivo) risultano fortemente significativi (p>0.001)
rispetto a quelli del controllo per le cellule trattate alla concentrazione 10M (Tab.7). Tab.7 – Complesso di Ni: mediane della lunghezza di migrazione (TL), intensità di fluorescenza (TI) della coda e
analisi visuale dell’immagine (score) in cellule U937. Vengono riportati i valori medi ± deviazione standard
DOSI (M) TL(m) TI (%) SCORE
0.00# 22.40 ± 2.28 0.95 ± 0.08 133 ± 3
2.50 23.54 ± 0.81 1.24 ± 0.09 131 ± 13
5.00 30.60 ± 3.82* 1.33 ± 0.23 157 ± 3
10.00 43.43 ± 3.01*** 4.31 ± 1.10*** 203 ± 21*** #DMSO 5% *p<0.05; **p<0.01; ***p<0.001
tratt
ato
con
trollo
tratt
ato
con
trollo
32
Leucociti: Non è possibile rilevare danni al DNA alle concentrazioni <100M, mentre
a concentrazioni maggiori è osservabile un aumento significativo della migrazione. A
100M si osserva una diminuzione di vitalità superiore al 30%; tale percentuale viene
ritenuta limite nella corretta rilevazione dei danni osservabili tramite Comet test (Tab.8)
(Tice et al., 2000).
Tab.8 – Complesso di Ni: mediane della lunghezza di migrazione (TL), intensità di fluorescenza (TI) della coda e
analisi visuale dell’immagine (score) in leucociti umani. Vengono riportati i valori medi ± deviazione standard
DOSI (M) TL(m) TI (%) SCORE
0.00# 18.02 ± 1.46 0.56 ± 0.18 112 ± 3
10.00 16.11 ± 0.34 0.92 ± 0.19 102 ± 2
15.00 15.42 ± 0.49 0.84 ± 0.22 103 ± 3
100.00 26.54 ± 1.87** 2.10 ± 0.33 173 ± 19***
200.00 47.98 ± 5.19*** 7.61 ± 1.06*** 226 ± 0***
400.00 44.56 ± 1.71 5.04 ± 0.45 239 ± 5
800.00 49.84 ± 0.49 12.98 ± 0.87 277 ± 9
#DMSO 5% *p<0.05; **p<0.01; ***p<0.001
Dall’analisi degli effetti rilevati sui diversi tipi cellulari generalmente si possono
osservare comportamenti comparabili sebbene a concentrazioni differenti.
A concentrazioni <10 M non si osserva una significativa diminuzione della
sopravvivenza sia nei leucociti sia nelle cellule U937.
A concentrazioni >100 M (saggiate solo sui leucociti) si osserva la comparsa di
tossicità rilevabile sia come diminuzione della vitalità sia come incremento di GC.
33
Per quanto riguarda le cellule U937, in assenza di effetti tossici, tutti i parametri
descrittivi la migrazione del DNA indicano un chiaro aumento di danno alla dose 10M
(p<0.001).
34
DISCUSSIONE
La necessità di introdurre nuovi farmaci in chemioterapia, in grado di inibire la crescita
delle cellule tumorali con effetti collaterali minimi, ha stimolato lo studio di nuovi
composti a base metallica. I composti tiosemicarbazonici presentano un interessante
ventaglio di applicazioni in campo medico in particolare in chemioterapia.
Alcune molecole, sono state studiate non solo per le loro proprietà chimiche strutturali
ma anche per la loro l’attività biologica. In particolare, in questa tesi, sono state valutate
le proprietà cito- e genotossiche di due nuovi composti sintetizzati presso il
Dipartimento di Chimica Generale ed Inorganica, (dimero di Cu e complesso di Ni).
Poiché i farmaci attualmente utilizzati come antitumorali sono spesso associati a severi
effetti collaterali, la scelta di molecole da avviare alla sperimentazione deve favorire
quei composti che mostrano effetto selettivo su cellule in proliferazione.
La comparazione degli effetti genotossici prodotti dai due composti in esame su cellule
che presentano attività proliferative differenti può indirizzare la sperimentazione; a
questo scopo nella ricerca è stata utilizzata la linea cellulare di tumore istiocitico U937 e
cellule leucocitarie provenienti da sangue fresco (cellule in fase G0).
La maggior parte dei farmaci chemoterapici agiscono sulla cellula tumorale inducendo
alterazioni fisiche o biochimiche (insulti tossici o genotossici) che la indirizzano verso
percorsi apoptotici.
La conoscenza della fase cellulare in cui la cellula attiva i processi di apoptosi in seguito
a trattamenti chemioterapici riveste un’importanza fondamentale per molte ragioni.
Informazioni sulla fase cellulare interessata dall’attività del farmaco sono di aiuto nella
definizione di protocolli di trattamento che utilizzano combinazioni di diversi composti.
Infatti le combinazioni di farmaci che agiscono in diverse fasi del ciclo cellulare
risultano maggiormente efficaci rispetto a quelle che agiscono nella medesima fase.
Comprendere, quindi, il meccanismo di azione di farmaci antitumorali richiede la
conoscenza della fase specifica in cui il farmaco agisce sia per quanto riguarda effetti
citostatici sia per la loro abilità di indurre apoptosi (Halicka et al., 1997).
35
Uno degli stress inducenti una risposta cellulare, che può avere come evento finale
l’induzione di apoptosi, è l’insulto genotossico. Danni al DNA, prodotti direttamente
dall’interazione tra xenobiotico o suoi metaboliti, possono innescare eventi cellulari che
portano verso percorsi riparativi o alla morte cellulare programmata (apoptosi).
Le cellule possono rispondere a lesioni al DNA attivando varie cascate di segnali,
inclusi P53, NF-kB, ATR e i percorsi MAPKinasi (Hamdi et al., 2005). I percorsi
mediati da MAPKinasi possono essere P53 indipendenti, agenti genotossici fisici o
chimici sono in grado di scatenare l’evento apoptotico anche in cellule prive di attività
P53 (Xia et al., 2005).
La valutazione del danno al DNA indotto dal dimero di Cu, condotta mediante il
Comet test su cellule U937, evidenzia migrazione del DNA dopo trattamento con tale
molecola già alla concentrazione 20M (Visual Score) con un significativo incremento,
rilevabile con tutti i parametri di analisi dell’immagine utilizzati, alla dose 100M. In
leucociti è osservabile un incremento significativo della migrazione del DNA (misurata
come TL) a partire dalla dose di 20M
La contemporanea valutazione della vitalità cellulare indica un’assenza di tossicità acuta
per entrambi i tipi cellulari dopo trattamento breve (1h). La valutazione di cellule ghost
nel Comet test, che permette l’osservazione di eventi precoci di citotossicità, evidenzia
una comparsa significativa di cellule GC alla concentrazione 50M per le cellule U937
e 10M per i leucociti.
In studi precedenti, condotti dal Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze
della Prevenzione sulle cellule U937, tale molecola aveva mostrato di inibire la
proliferazione cellulare.
L’analisi citoflorimetrica dell’induzione del processo apoptotico ha rilevato che il
dimero di Cu ad una concentrazione di 13.34 M induce un aumento delle cellule in
apoptosi precoce a partire da 6h di trattamento (14% contro 3% nel controllo), dopo 24h
si osservava un aumento di cellule in apoptosi tardiva e una diminuzione della
percentuale di cellule vitali; tali dati confermano risultati precedenti ottenuti attraverso
l’analisi della frammentazione tipica del DNA in cellule in apoptosi su gel di agarosio
(Belicchi Ferrari et al., 2004). L’analisi citofluorimetrica dell’attività caspasica ha
36
rivelato che il processo apoptotico non sembra mediato dall’attivazione di tali enzimi, in
particolare della caspasi 3.
La sensibilità mostrata dai leucociti sembra escludere meccanismi di danno simili a
quelli presentati da altri tiosemicarbazoni, quali ad esempio inibizione della RDR
(Moore e Sartorelli, 1984). Recenti dati sull’attività di alcuni tiosemicarbazoni mostrano
come tali molecole siano in grado di provocare danno genotossico con meccanismi
simili ad altri chemoterapici quali Adriamicina e Bleomicina (Shao et al., 2006). Queste
molecole provocano danni al DNA attraverso la generazione di radicali liberi che
necessitano del legame con ioni metallici. La Bleomicina, in specifico, lega metalli di
transizione (FeII e CuII) ed ossigeno, in presenza di un riducente fornitore di un
elettrone, può catalizzare la formazione di tagli a singolo o a doppio filamento sul DNA
(Chen e Stubbe, 2005).
Anche per il complesso di Ni le analisi geno-tossicologiche sono state condotte sia sulla
linea cellulare U937 sia leucociti umani da sangue intero.
L’analisi del danno primario al DNA indotto dal complesso di Ni evidenzia come al di
sotto della concentrazione 100M sia possibile differenziare la risposta dei due tipi
cellulari. A concentrazioni comparabili della molecola in esame, in assenza di attività
tossica, si osserva una maggiore sensibilità della linea proliferante U937.
A concentrazioni più elevate, nelle cellule leucocitarie, il complesso di Ni induce
contemporaneamente elevata tossicità e genotossicità, non facilmente distinguibili.
Le differenze in sensibilità tra i diversi tipi cellulari potrebbero derivare dalla diversa
capacità proliferativa, i leucociti infatti sono cellule bloccate in fase G0. Inoltre è noto
che i leucociti presentano un metabolismo ridotto rispetto alle cellule altamente
proliferanti.
In studi precedenti su cellule U937 tale molecola aveva mostrato inibizione della
proliferazione cellulare (Belicchi Ferrari et al., 2002). L’incubazione delle cellule con il
complesso di Nichel ad una concentrazione di 14.4 M provocava già dopo 4h un
significativo incremento delle cellule in apoptosi precoce (16% contro 3% nel
controllo). Procedendo con i tempi di incubazione si osservava una diminuzione delle
cellule in apoptosi precoce cui corrispondeva un aumento della percentuale di cellule in
apoptosi tardiva (54,3%) e una diminuzione della percentuale di cellule vitali. L’analisi
37
dell’attività caspasica ha evidenziato come il processo apoptotico, in questo caso, sia
mediato dalla caspasi 3. Inoltre, l’analisi del ciclo cellulare ha rilevato un probabile
blocco in fase G2/M.
Le differenze, correlate alle fasi del ciclo cellulare, nella sensibilità delle cellule a
diversi farmaci riflettono sia la gravità della lesione indotta dal farmaco sia l’abilità
della cellula di riparare il danno; entrambi i fenomeni possono dipendere dalla fase del
ciclo cellulare in cui si trova la cellula. La presenza di complessi potenzialmente
riparabili attraverso sistemi che agiscono per escissione (es. addotti al DNA) è letale (in
quanto induce apoptosi precoce) in cellule che stanno replicandosi (fase M) ma non lo è
se avviene durante la fase G1, G2 o addirittura durante la fase S, se la replicazione viene
arrestata in modo transitorio. Importante è, comunque, sottolineare che la specificità di
fase di un agente è anche modulata dalla presenza o dall’assenza dei checkpoint G1 e G2
che sono regolati principalmente dal gene oncosoppressore p53. In presenza di p53 wild
type (wt), danni irreparabili al DNA in G1 conducono presumibilmente alla morte in G1,
dovuta al fatto che l’entrata della cellula in fase S è prevenuta dall’induzione di p21WAF1
e dall’attivazione di un percorso apoptotico a senso unico da parte di questo
oncosopressore. Se invece p53 è mutata, le cellule in G1, che hanno accumulato danni
irreparabili al DNA, possono uscire dalla fase G1 ed entrare in fase S. Comunque,
poiché la velocità di progressione attraverso la fase S (velocità di replicazione del DNA)
è ridotta in proporzione all’estensione del danno al DNA, le cellule possono rimanere in
fase S per un periodo prolungato; questo spesso è evidente come un accumulo di cellule
in fase S (arresto in fase S). Tali cellule in seguito possono andare incontro a morte
cellulare mentre sono ferme in fase S. Bisogna riconoscere, comunque, che la generale
tendenza ad andare in apoptosi è minore in cellule con p53 mutata (Halicka et al.,
1997).
Da dati di letteratura è possibile osservare come cellule umane in coltura di derivazione
ematica (HL-60) e linfociti umani prelevati da donatori presentino un diverso
comportamento dopo pretrattamento con Genisteina (un isoflavone derivato dalla soia
con attività estinguente i radicali liberi) e trattamento con bleomicina, chemoterapico
radiomimetico S-indipendente. Mentre per le cellule HL-60 il pretrattamento con
l’agente antiradicali liberi e bleomicina durante la fase G1 produceva un aumento di
danni al DNA (micronuclei), lo stesso pre-trattamento e trattamento in fase G0 riduceva
38
il danno prodotto dalla bleomicina in linfociti umani (Lee et al., 2004). Sebbene il
meccanismo alla base della diversa sensibilità non sia ancora ben chiarito, la capacità
delle cellule di difendersi dai danni prodotti da specie reattive dell’ossigeno sembra un
elemento chiave della diversa risposta.
Poiché i farmaci attualmente utilizzati come antitumorali sono spesso associati a severi
effetti collaterali, la scelta di molecole da avviare alla sperimentazione in campo
chemioterapico deve favorire quei composti che evidenziano un effetto selettivo su
cellule proliferanti. La comparazione degli effetti genotossici prodotti dai due composti
in esame su cellule che presentano attività proliferative completamente diverse può
indirizzare la sperimentazione.
In cellule in divisione (U937) il composto di Ni ha mostrato di indurre danno al DNA a
concentrazioni più basse rispetto al dimero di Cu. Al contrario quest’ultimo composto
su cellule sane in fase G0 (leucociti) presenta un’attività genotossica più elevata alle
stesse concentrazioni.
Il composto di Ni risulta particolarmente interessante in quanto la sua attività
genotossica e conseguentemente inducente apoptosi si esplica sulle cellule in divisione a
concentrazioni che non danno luogo ad alcun danno in cellule sane (leucociti).
Concentrazioni più elevate del composto provocano in cellule in fase G0 essenzialmente
un effetto di tipo tossico.
39
CONCLUSIONI
La ricerca di nuovi farmaci antineoplastici risulta essere un settore in forte espansione,
poiché esiste la necessità di nuovi composti in grado di indurre effetti collaterali
minimi.e in grado di agire selettivamente su cellule in progressione.
La famiglia dei tiosemicarbazoni a base metallica può fornire molecole con attività
molto interessanti in questo settore farmacologico
L’analisi delle proprietà genotossicologiche di due tiosemicarbazoni a base metallica,
sintetizzati dal Dipartimento di Chimica Generale ed Inorganica, ha fornito elementi
utili per successive analisi che permetteranno l’identificazione dei meccanismi biologici
alla base delle loro attività.
Il Comet test che permette di analizzare il danno pre-mutageno al DNA si è rivelato
anche in questo caso uno strumento efficace per definire l’attività tossicologica di
molecole a potenziale utilizzo farmacologico. Ambedue le molecole saggiate hanno
mostrato un’interessante attività genotossica e conseguente induzione di apoptosi su
linee cellulari umane tumorali. In particolare la molecola a base di Ni pare
maggiormente attiva su cellule in proliferazione rispetto a cellule umane in fase G0,
prerequisito essenziale per proseguire nella valutazione dell’efficacia terapeutica del
composto.
Il danno al DNA, diretto o mediato da inibizione dei meccanismi che preservano
l’integrità del genoma, è uno degli eventi che caratterizzano la maggior parte dei
chemioterapici in uso o in sperimentazione. La determinazione di quale sia l’interazione
tra le molecole a base metallica e il DNA sarà un passaggio essenziale nella
comprensione dell’interazione farmaco-cellula. Sarà necessario, inoltre, valutare quali
siano i percorsi che inducono inibizione della proliferazione e chiarire il legame tra
danno al DNA e induzione di tali percorsi.
Dall’analisi dei dati inerenti ai due diversi tipi cellulari i meccanismi alla base
dell’induzione di danno al DNA e dei processi apoptotici sembrano differire. Il dimero
di Cu sembra indurre danno al DNA indipendentemente dal ciclo cellulare e dall’attività
caspasica, in questo caso si potrebbe presupporre la generazione di radicali liberi e
quindi l’insorgenza di danno ossidativo. Per quanto riguarda il composto a base di Ni, la
40
sua attività genotossica sembra fortemente dipendente dall’attività proliferativa. In
cellule non proliferanti il composto mostra un’attività tossica più che genotossica a
concentrazioni elevate, mentre nelle cellule U937 si osserva induzione di un blocco
nella fase G2/M e di apoptosi mediata dalla caspasi 3 contemporaneamente
all’induzione di danno precoce al DNA. Le prospettive future, quindi, prevedono un
approfondimento dei meccanismi alla base dell’attività biologica di queste molecole.
41
VALUTAZIONE DI FARMACI ANTIPROTOZOARI DI NUOVA SINTESI
INTRODUZIONE
Le statistiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) (http://www.who.int),
indicano che le infezioni parassitarie, dopo la tubercolosi, sono la maggior causa di
morte nell’uomo. Un individuo su dieci è affetto da una delle otto più importanti
malattie tropicali: malaria, schistosomiasi (bilharziosi), filariasi linfatica (elefantiasi),
oncocercosi, lebbra, tripanosomiasi Americana (mal di Chagas), tripanosomiasi
Africana (malattia del sonno) e leishmaniosi.
Le popolazioni colpite da queste patologie sono le più povere del pianeta, quelle che
vivono in condizioni di scarsissima igiene, di malnutrizione, di analfabetismo ed è per
questo motivo che, non rappresentando un potenziale mercato, sono scarsamente
considerate nelle attività di Ricerca e Sviluppo delle case farmaceutiche, pur provocano
ogni anno diversi milioni di morti.
Gli agenti che causano le tripanosomiasi sono protozoi parassitari appartenenti al genere
Trypanosoma, ordine Kinetoplastida.
Nell’Africa sub-sahariana, a partire dagli anni 80’ del ventesimo secolo, un generale
degrado della condizione socio-economica dei paesi interessati ha portato ad
un’allarmante rinascita della tripanosomiasi Africana umana causata da Trypanosoma
brucei (Legros et al., 2002; Stich et al., 2003). Nell’America del sud e centrale la
malattia di Chagas, causata da Trypanosoma cruzi, è una delle malattie infettive
prevalenti.
Molte similitudini accomunano queste due forme di Tripanosoma: sono costituite da
singole cellule flagellate trasmesse da insetti vettori e danno origine alla patologia
attraverso una prima fase di moltiplicazione locale nel sito di infezione nell’ospite
umano e una successiva fase di diffusione e localizzazione del parassita negli organi
interni.
42
Tripanosomiasi Africana umana o Malattia del sonno
La tripanosomiasi Africana, diffusa nell’Africa sub-Sahariana, è causata dal protozoo
emoflagellato Trypanosoma brucei trasmesso all’uomo principalmente tramite la
puntura di mosche tse-tse del genere Glossina. Altre modalità di trasmissione sono la
via ematotrasfusionale e quella transplacentare.
Esistono tre sottospecie di Trypanosoma brucei, due di queste causano diverse forme
della malattia del sonno: nell’Africa centrale e occidentale Trypanosoma brucei
gambiense causa la forma cronica della malattia, nell’Africa sud-orientale Trypanosoma
brucei rhodesiense causa la forma acuta della malattia che dura poche settimane e porta
alla morte se non viene trattata. Una terza sottospecie, Trypanosoma brucei brucei, non
è infettiva per l’uomo (Pepin e Meda, 2001; Stich et al., 2002; Barrett et al., 2003).
Il ciclo vitale di T. brucei si compie nel vettore e in diversi ospiti vertebrati (uomo e
altri mammiferi). Nell’uomo, il parassita si moltiplica nel sangue e nelle ghiandole
linfatiche ed è poi in grado di attraversare la barriera ematoencefalica e di invadere il
sistema nervoso centrale.
Tripanosomiasi Americana o Malattia di Chagas.
T. cruzi vive e si replica asessualmente (forma epimastigote) nel lume del tratto
gastrointestinale di alcune specie d’insetti ematofagi della famiglia Reduvidiae
(sottofamiglia Triatomine).
In risposta a stress nutrizionale, l’epimastigote si differenzia nella forma tripomastigote
metaciclica (infettiva). Quando l’insetto vettore punge l’uomo, deposita le feci
contenenti il tripomastigote metaciclico nei pressi della ferita, il prurito della puntura
spinge l’individuo a grattarsi producendo così delle microabrasioni che permettono al
parassita di attraversare la pelle e invadere le cellule in prossimità della puntura (Prata,
2001). Altre modalità d’infezione sono attraverso gli occhi, il naso, la bocca o, più
raramente, la via transplacentare e trasfusionale.
Nei tessuti infetti i parassiti divengono prima amastigoti (forme replicative che si
dividono tramite divisione binaria) differenziandosi successivamente di nuovo in
tripomastigoti; sono questi ultimi che entrano nel flusso sanguigno, attraverso il quale
43
possono raggiungere nuovi tessuti oppure infettare un insetto ematofago (Urbina et. al.,
1999).
La malattia, dopo 6-10 giorni dall’infezione, può presentare una fase acuta che può
durare 1-2 mesi. Compaiono sintomi caratteristici nella zona della puntura: una
tumefazione edematosa detta “chagoma”o un rigonfiamento delle palpebre noto come
“segno di Romaña”. Tuttavia questa fase passa solitamente inosservata perché si
presenta con un malessere generale comune ad altre infezioni.
Dopo la fase acuta, sopraggiunge un periodo asintomatico che per il 70-85% dei
pazienti dura tutta la vita. Il 15-30% di loro, invece, rischia lesioni agli organi interni
che possono portare alle forme cardiache e digestive della malattia di Chagas, con
sintomi gravi e letali (Barrett et al., 2003).
Prevenzione e controllo.
Un metodo di prevenzione efficace potrebbe essere l’eliminazione degli insetti vettori. I
due protozoi hanno habitat differenti: i primi vivono in zone aperte e umide del
continente africano, i secondi si annidano nelle crepe dei muri di fango e nei tetti di
paglia di abitazioni rurali della maggior parte dell’America Latina. Tuttavia sono
entrambi vulnerabili a cambiamenti ambientali e a trattamenti che abbassino il loro tasso
riproduttivo (Barrett et al., 2003). I trattamenti con spray, insetticidi, trappole
biologiche hanno dato risultati incoraggianti contro la diffusione della malattia
americana (Dias et al., 2002). In Africa, invece, l’efficacia dei trattamenti è stata
contenuta e molti ostacoli tecnici e scientifici sembrano limitare le probabilità di
successo.
Un’altra via praticabile è l’individuazione e la cura dei portatori per impedire
l’estensione dell’infezione tramite contagio ematico.
È inoltre opportuno ricordare che per entrambe le malattie non esistono né immunità
acquisita dopo l’infezione né vaccini (Barrett et al., 2003).
44
Trattamento della tripanosomiasi Africana umana.
I farmaci attualmente usati sono insufficienti, datati, altamente tossici e in alcuni casi
inefficaci poiché i parassiti hanno sviluppato forme di (Legros et al., 2002). Il tipo di
farmaco usato dipende fondamentalmente dalla stadiazione della malattia (nelle fasi
avanzate è necessario l’impiego di farmaci in grado di attraversare la barriera emato-
encefalica e raggiungere il parassita). Suramina (Bayer) è stata introdotta nei primi anni
20’ e ancora oggi rimane un farmaco d’elezione per la cura dello stadio precoce della
malattia del sonno di tipo rhodesiense. Come naftilamina polianionica solforata, infatti,
possiede una natura altamente ionica che non le permette di penetrare nel SNC, ed è
dunque inefficace nell’ultimo stadio della malattia (Fairlamb, 2003). Il farmaco nel
siero è legato strettamente all’albumina e all’LDL, una spiegazione per il suo lungo
tempo di assimilazione (90 giorni) e le proprietà profilattiche. Va sottolineato
positivamente che, malgrado sia usata da più di 80 anni, non è mai emerso nessun tipo
di resistenza clinica. La sua modalità di azione contro i tripanosomi rimane tuttavia
ancora sconosciuta, anche se sono state sviluppate numerose ipotesi (Fairlamb, 2003).
Somministrata tramite endovena, può provocare effetti collaterali immediati (collasso,
nausea, vomito e shock), oppure reazioni ritardate nel tempo gravi e potenzialmente
letali: danni ai reni, dermatiti esfoliative, agranulocitosi, anemia emolitica, diarrea
(Fairlamb, 2003).
Pentamidina (Aventis) è una diamidina aromatica usata con successo per più di
60 anni, nel trattamento esclusivo della fase acuta di T. b. gambiense. La
penetrazione della pentamidina attraverso la barriera emato-encefalica per
colpire l’SNC è, infatti, debole. La dose raccomandata nel trattamento
dell’infezione è tra 7 e 10 iniezioni di 4 mg/kg di peso corporeo, pro die o a
giorni alternati. Con questa terapia sono stati osservati insuccessi ed effetti
contrari, quali la nefrotossicità e il diabete mellito (Enanga et al., 2002). I
risultati di studi farmacocinetici, mirati ad aumentare la concentrazione di
farmaco nel sangue, nel plasma e nel liquido cerebrospinale, suggeriscono che la
pentamidina potrebbe essere adatta anche alla parte iniziale della fase cronica
(Bronner et al., 1991, Doua et al., 1996).
Melarsoprol (Aventis) è un composto organo-arsenicale che agisce su entrambe
le specie del parassita nel secondo stadio della malattia. È estremamente tossico
45
e causa una grave encefalopatia nel 5%-10% dei pazienti trattati, con una media
di decessi del 50% (Pépin e Milord, 1994). La somministrazione del melarsoprol
avviene per via endovenosa. I cicli di trattamento sono lunghi e richiedono
ospedalizzazione, aumentando così in modo significativo i costi per le cure. In
aggiunta al problema degli effetti collaterali, fenomeni di resistenza sono stati
ben descritti in un numero crescente di paesi (Matovu et al., 2001).
Eflornitina (Aventis) è una DL-alfa-difluorometilornitina ed è il solo farmaco
autorizzato di sviluppo “recente” (seconda parte del ventesimo secolo). Dal 1981
è usato con buoni risultati nello secondo stadio di infezioni da T. b. gambiense
(Pépin e Milord, 1994), in casi in cui il melarsoprol non sia risultato efficace;
T.b. rhodesiense mostra resistenza (Iten et al., 1995). Pochi sono i suoi effetti
collaterali (diarrea, convulsioni, allucinazioni); l’eflornitina però è attualmente
molta costosa e difficile da somministrare a causa del programma di cure che
richiede lunghi ricoveri. Una formulazione orale di uso più pratico mostra però
un maggior numero di effetti indesiderati (Legros et al., 2002).
Nifurtimox (Bayer) è un farmaco a basso costo da somministrare oralmente,
usato nella terapia della tripanosomiasi Americana. Una serie di studi (Pépin et
al., 1992) ha mostrato risultati contrastanti nel trattamento contro l’ultimo stadio
della malattia del sonno gambiense refrattaria al melarsoprol, presentando un
alto tasso di ricadute e tossicità elevata. Di recente, il suo uso in combinazione
con melarsoprol ha dato un buon esito contro la stessa malattia (Bisser et al.,
2000). Questo farmaco potrebbe dunque rappresentare un’efficace alternativa
terapeutica, soprattutto se usato in combinazione con altri composti anche se la
sua tossicità sembra aumentare con la dose e la durata dei trattamenti (Pépin et
al., 1992, Legros et al., 2002). Nessun programma di cura è stato comunque
ancora valicato.
Trattamento della tripanosomiasi Americana umana.
I farmaci più frequentemente usati per la cura della malattia di Chagas sono due
composti nitroeterociclici: nifurtimox (un nitrofurano) e benznidazol (un derivato
nitroimidazolico) (Urbina e Docampo, 2003). La loro efficacia tripanocida è stata
46
scoperta più di trent’anni fa e le basi molecolari di entrambi i composti a livello della
loro attività e tossicità sono state chiarite (Docampo, 1990).
Nifurtimox (Bayer) opera attraverso la riduzione del nitrogruppo a radicali
anionici instabili, i quali alternativamente agiscono per produrre metaboliti
ridotti dell’ossigeno altamente tossici (anione superossido, perossido
d’idrogeno) (Urbina et al., 2003). T. cruzi ha mostrato essere privo di un
meccanismo di detossificazione dell’ossigeno ed è così più sensibile agli stress
ossidativi rispetto alle cellule dei vertebrati (Docampo, 1990).
Benznidazol (Roche) sembra agire attraverso un meccanismo differente, uno
stress riduttivo che coinvolge una modificazione di tipo covalente delle
macromolecole, attraverso intermedi di nitroriduzione (Docampo, 1990).
Sia nifurtimox che benznidazol hanno un’attività significativa nella fase acuta, con più
dell’80% di guarigioni dal parassita nei pazienti trattati. Tuttavia la loro efficacia varia a
seconda dell’area geografica (probabilmente ciò è dovuto a differenze nella
suscettibilità al farmaco tra i differenti ceppi di T. cruzi) (Cançado, 1999). Il maggior
limite di questi composti è tuttavia l’attività antiparassitaria molto bassa nella forma
cronica della malattia, poiché più dell’80% dei pazienti trattati non vengono guariti a
livello parassitologico (Cançado, 1999). I motivi della grande differenza nell’efficacia
tripanocida dei composti nitroeterociclici tra le due fasi della malattia non sono noti
(Cançado, 1999), ma potrebbero essere legati a proprietà farmacocinetiche sfavorevoli
dei farmaci nella fase cronica (Urbina, 2001). Ciò nonostante, in alcuni studi è stato
dimostrato che pazienti cronici soggetti a trattamenti antiparassitari con benznidazol,
benché non guariti dal parassita, hanno una riduzione significativa delle anomalie
elettrocardiografiche e una frequenza più bassa del deterioramento delle loro condizioni.
Inoltre, è importante sottolineare che entrambi i farmaci hanno effetti collaterali
significativi, probabilmente come conseguenza del danno ossidativo o riduttivo nei
tessuti dell’ospite. Questi effetti, che includono anoressia, vomito, polineuropatia
periferica e dermopatia allergica, portano di conseguenza a trattamenti discontinui. In
aggiunta, si è anche riscontrata l’induzione di mutagenesi quando la terapia dura a lungo
(Castro et al., 1988; Gorla et al., 1989).
47
Nuovi Farmaci.
Caratteristiche teoriche.
Come già affermato nell’introduzione, lo sviluppo di nuovi farmaci che siano, oltre che
efficaci e sicuri anche economicamente accessibili, è stato trascurato dalle
multinazionali del farmaco a causa delle scarse prospettive di profitto. Una via per
risolvere il problema potrebbe essere rappresentata da collaborazioni tra organizzazioni
non governative (NGOs) e le industrie stesse. Nel 2001, dopo molte pressioni
internazionali, Aventis ha siglato un accordo della durata di cinque anni col WHO per
garantire la produzione gratis di pentamidina, melarsoprol ed eflornitina (Trouiller et
al., 1999; 2002; Etchegorry et al., 2001). Bayer si è unita poco dopo per fornire
suramina e per riprendere in considerazione la produzione di nifurtimox; nell’accordo
sono presenti anche piani per lo sviluppo di nuovi farmaci. Médecins Sans Frontières
(MSF) si occupa della gestione logistica del progetto e inoltre del lancio della “Drugs
for Negletected Diseases Iniziative” (DNDi), che offre la speranza di trovare un
supporto addizionale alla scoperta di nuovi farmaci.
Secondo il WHO, un farmaco ideale per il trattamento delle malattie parassitarie (come
d’altra parte per ogni tipo di intervento farmacologico) dovrebbe possedere le seguenti
caratteristiche (Coura e de Castro, 2002):
essere efficace sia nella fase acuta che in quella cronica della malattia;
essere efficace già dopo uno o pochi trattamenti;
essere accessibile al paziente (basso costo);
non provocare effetti collaterali (e non essere mutageno/cancerogeno o
teratogeno);
non richiedere l’ospedalizzazione per il trattamento;
non indurre resistenza nel parassita.
essere assimilato per via orale
Le fasi iniziali nella ricerca e nello sviluppo di nuovi farmaci riguardano gli effetti
genotossicologici su cellule umane in vitro. Quest’aspetto permette non solo di
verificare le relazioni quali-quantitative della molecola studiata e i suoi effetti biologici
sull’eventuale ospite (in particolare sull’uomo), ma anche fornisce utili informazioni sui
48
possibili cambiamenti dell’attività in funzione di eventuali modificazioni e sostituzioni
nella struttura molecolare di base.
Possibili strategie di attacco ai parassiti.
Inibitori specifici del metabolismo del parassita.
Alcune delle proposte più promettenti nella formulazione di nuovi farmaci contro le
malattie parassitarie si basano sulla sintesi di inibitori specifici del metabolismo del
parassita, come quelli della biosintesi degli steroli, della cisteina proteasi, del
metabolismo del pirofosfato, della sintesi delle purine attraverso la via di recupero e
della glicolisi (Urbina e Docampo, 2003).
Infatti, poiché T. cruzi richiede specifici steroli per la sopravvivenza e la proliferazione
in tutte la fasi del ciclo vitale, l’uso di inibitori di questa via metabolica potrebbe
rivelarsi efficace nel trattamento della malattia. Il parassita si è dimostrato estremamente
sensibile agli inibitori della biosintesi dell’ergosterolo, che agiscono a diversi livelli
della via metabolica degli steroli in vitro (Urbina, 2001). L’itraconazolo, un derivato del
triazolo, ad esempio, è in grado di ridurre l’impatto del parassita (come evidenziato dal
minor numero di test xenodiagnostici positivi) e di diminuire o prevenire anormalità
elettrocardiografiche nei pazienti infetti.
Il posaconazolo (SCH 56592), derivato dell’itraconazolo, e il D0870, si sono dimostrati
efficaci sia contro la forma acuta che contro la forma cronica di infezioni da T. cruzi
(Urbina et al., 1998; Liendo et al., 1998; Molina et al., 2000). In particolare, il
posaconazolo si è dimostrato attivo contro ceppi resistenti ai nitrofurani, ai
nitroimidazoli e agli azoli e la sua attività si mantiene anche in ospiti immunosoppressi
(Molina et al., 2000).
La proteina responsabile della maggior parte dell’attività proteolitica durante il ciclo
vitale di T. cruzi è la cisteina proteasi (Cazzulo et al., 2001; Caffrey et al., 2000).
Inibitori selettivi della proteasi sono in grado di bloccare la proliferazione di entrambe
le forme (intracellulare ed extracellulare) del parassita e la metaciclogenesi
(trasformazione dalla forma epimastigote alla forma tripomastigote) in vitro. L’enzima è
essenziale per la sopravvivenza e la crescita del parassita e si dimostra perciò un
interessante “bersaglio” nel disegno di nuovi farmaci.
49
Un nuovo possibile approccio terapeutico si basa sull’inibizione di enzimi coinvolti
nella glicolisi, l’unica via attraverso la quale T. brucei produce ATP. Barrett et al.
(2003) hanno scelto come bersaglio la 6-fosfogluconato deidrogenasi (6PDGH), un
enzima della via del pentoso fosfato. Durante questa via viene prodotto NADPH che, tra
le altre funzioni, è coinvolto nella protezione del parassita dallo stress ossidativo.
Recentemente è stato dimostrato che la 6PDGH è essenziale per la crescita della forma
tripomastigote del parassita (Barrett e Gilbert, 2002). Pertanto un possibile meccanismo
per eliminare il parassita potrebbe essere l’inibizione della 6PDGH, evento che
porterebbe all’accumulo del suo substrato, il 6-fosfogluconato (6PG), potente inibitore
della 6-fosfoglucoso isomerasi e, quindi, della via glicolitica.
I risultati ottenuti indicano che alcuni composti hanno attività tripanocida, sebbene non
sia evidente la correlazione con l’inibizione enzimatica. È quindi necessario disegnare
inibitori nuovi e più efficienti.
Composti nitroaromatici: relazione struttura-attività
Ricerche volte alla scoperta di un farmaco efficace necessitano di una maggiore
conoscenza del meccanismo d’azione dei farmaci attualmente in uso e dei nuovi
composti in modo da valutarne la tossicità e poter ridurre eventuali danni a carico della
cellula ospite. Grande attenzione è incentrata su composti nitroeterociclici, i quali
presentano elevata attività tripanocida ma risultano spesso essere tossici per l’ospite.
Antibiotici nitroeterociclici presentano una lunga e controversa storia sia nel campo
della medicina veterinaria sia in quella umana.
Composti nitroeterociclici come 5-nitrimidazoli, 2-nitroimidazoli e 5-nitrofurani, che
presentano una forte attività biologica, sono utilizzabili come agenti terapeutici contro
infezioni parassitarie o batteriche (anaerobiche) che colpiscono l’uomo e gli animali
(Raether e Hanel, 2003). L’attività biologica di questi composti è attribuita
essenzialmente alla loro affinità elettronica e più precisamente al potenziale di riduzione
di ArNO2 (“one electron transfer”; Ar = parte aromatica). E’ stato proposto (Edwards,
1993) per i derivati 5-nitroimidazolici (5-NI), i quali presentano un basso potenziale di
riduzione, che la specie attiva nell’indurre danno sia il nitro-anione radicalico protonato,
50
prodotto intermedio nel processo di riduzione, il che spiega la tossicità di questi
composti in anaerobiosi. Questa specie intermedia può interagire con il DNA causando
rotture dei filamenti con simultaneo rilascio di timina e timidina fosfato e
destabilizzazione dell’elica: l’efficienza di questa interazione è proporzionale al
contenuto di A+T nel DNA. In alternativa (Knox et al., 1981), la genotossicità di 5-NI
può essere correlata alla formazione di addotti al DNA da parte degli ammino- o
idrossilammino-prodotti della riduzione ed essere così proporzionale al contenuto di
G+C. I derivati dei 5-nitrofurani sono facilmente ridotti e dimostrano attività contro
batteri aerobici e anaerobici; il meccanismo d’azione proposto sembra ancora più
complesso di quello suggerito per 5-NI.
Sono state descritte due classi di nitroreduttasi (Peterson et al., 1979) implicate nel
processo:
nitroreduttasi ossigeno-sensibile. E’ in grado di ridurre nitrofurani solo in assenza di
ossigeno; promuove una riduzione ad un elettrone con la formazione del nitro-
anione radicalico. In assenza di ossigeno, il composto può essere ulteriormente
ridotto ai corrispondenti ammino-derivati;
nitroreduttasi ossigeno-insensibile. Riduce i composti in condizioni aerobie attraverso
una iniziale riduzione a due o più elettroni senza formazione del nitro-radicale
anionico; una successiva riduzione porta ad un ciano-derivato con apertura
dell’anello nitrofuranico.
In generale, i nitrocomposti sono buoni candidati nel provocare interferenze a livello
del metabolismo dell’ossigeno mediante i loro corrispondenti radicali anionici (Viodè
et al., 1999).
I diversi composti nitroeterociclici possono esercitare la loro attività con due modalità
differenti: stress riduttivo o stress ossidativo. Nel caso di stress riduttivo, la riduzione di
un singolo elettrone del nitrogruppo porta alla formazione di radicali altamente reattivi
che possono dare origine a legami covalenti con molte molecole cellulari, compreso il
DNA. Lo stress ossidativo deriva da intermedi ridotti dell’ossigeno, formati in seguito
all’accettazione da parte dell’ossigeno di elettroni provenienti dalla riduzione del
nitrogruppo (Docampo et al., 1979; Stewart et al., 2004). Differenze tra diversi
composti nitroeterociclici nell’indurre stress ossidativo possono essere messe in
evidenza ad esempio mediante l’utilizzo di N-acetilcisteina (NAC). NAC è infatti in
51
grado di ridurre il danno dovuto ai radicali liberi interagendo con molte specie reattive
dell’ossigeno. Sono state utilizzate a tale proposito colture di T. brucei in presenza di
NAC 0.5 mM e si è osservato che NAC contrasta l’azione del Nifurtimox ma non quella
del Megazol (Docampo et al., 1979; Enanga et al., 2003). Per evidenziare lo stress
riduttivo indotto dalle stesse due molecole è stata valutata la sensibilità a sostanze
tossiche di parassiti deficienti nei sistemi di riparazione del danno al DNA causato dalle
sostanze medesime. In mutanti di T. brucei deficienti per l’enzima di riparazione
RAD51 si è valutata la sensibilità verso Megazol e Nifurtimox. La linea RAD-/- è
risultata più sensibile del selvatico a Megazol ma non a Nifurtimox. Ciò ha suggerito
che Megazol possa agire sul parassita attraverso stress riduttivo e non attraverso stress
ossidativo come Nifurtimox (Enanga et al., 2003; Stewart et al., 2004).
L’effetto terapeutico dei nitroimidazoli utilizzati per il trattamento di diverse malattie
umane causate da organismi anaerobi di solito è associato alla riduzione chimica o
enzimatica del nitrogruppo (Loft, 1990). In condizioni ipossiche le cellule di
mammifero vanno incontro a cambiamenti metabolici che le rendono capaci di
interagire selettivamente con i nitroimidazoli (Barry et al., 2004). Questi nitrocomposti
sembrano perciò capaci di agire anche a livello del DNA mediante la formazione di
sottoprodotti metabolici ad alto potenziale genotossico (Barry et al., 2004). L’attività a
carico del DNA è generalmente ascritta al processo di nitroriduzione. Infatti, il
potenziale mutageno dei derivati nitroimidazolici è ampiamente dimostrato su batteri
per i quali, tale potenziale sembra essere legato all’attività nitroreduttasica poichè, in
ceppi nitroreduttasi-deficienti di Salmonella, non si rilevano effetti (Belisario et al.,
1982). Tuttavia, anche alcuni imidazoli senza nitrogruppi sono risultati positivi nel test
con Salmonella. Inoltre, i nitrogruppi potrebbero essere attivati da batteri ospiti
dell’intestino, il che potrebbe rappresentare un rischio per l’uomo, specialmente per il
tratto gastrointestinale. Di seguito si riportano alcune osservazioni su alcuni
nitroeterociclici ampiamente studiati.
Metronidazolo (MTZ, 1-[2-idrossietil]-2-metil-5-nitroimidazolo): è un derivato
nitroimidazolico particolarmente studiato che può fornire perciò utili informazioni. E’
un farmaco antibatterico e antiparassitario in uso da oltre 35 anni che agisce solo contro
organismi anaerobi.
Meccanismo d’azione di MTZ: gli elettroni provenienti dalla ferredossina o dalla
52
flavodossina (ridotte a loro volta dal piruvato) riducono e attivano il MTZ (Land
e Johnson, 1997). Questo farmaco è attivato anche in cellule animali ipossiche.
La forma attivata del metronidazolo si pensa possa interagire direttamente con il
DNA e il complesso risultante può impedire l’azione delle DNA ed RNA
polimerasi. Questa potrebbe essere la spiegazione della sua azione tossica sulle
cellule (Müller, 1983).
Genotossicità di MTZ: l’attività genotossica di MTZ è stata studiata in diversi
saggi in vivo e in vitro; in particolare sono stati utilizzati test a breve termine
(Voogd, 1981; Dobias et al., 1994). Il metronidazolo è un potenziale
cancerogeno per l’uomo; è provato essere mutageno nei sistemi batterici
(induzione di sostituzioni di basi), genotossico nelle cellule umane e cancerogeno
per gli animali. Infatti, sono stati rilevati risultati positivi in vitro in Salmonella
(Rosenkranz et al., 1976; Voogd et al., 1979), in Escherichia coli (Suter e Jaeger,
1982; Dayan et al., 1997) e in Bacillus subtilis (Suter e Jaeger, 1982) e nell’host-
mediated assay (Belisario et al., 1982). Si sono avuti risultati positivi in
differenti organi di topo (Knassmuller et al., 1986) mentre l’urina degli animali
trattati risultava mutagena (Belisario et al., 1982). Il metronidazolo dimostrava
avere attività clastogena in vitro (Rithidech et al., 1984) e in vivo (Mittelman et
al., 1976) e induceva trasformazione cellulare in vitro (Garry e Nelson, 1987).
Studi di cancerogenicità a lungo termine in roditori (Rustia e Shubik, 1979)
risultarono positivi, con un incremento del numero di epatomi e di tumori
mammari nelle femmine e della proliferazione delle cellule pituitarie e di Leydig
nei maschi. In effetti, l’International Agency for Research on Cancer (IARC)
classifica metronidazolo come cancerogeno animale e possibile cancerogeno per
l’uomo (IARC, 1987).
Ci sono diverse ipotesi per l’induzione di danno genotossico di MTZ (Bendensky et al.,
2002); la prima si basa sulla nitroriduzione del composto, la seconda sulla presenza di
batteri nel tratto intestinale di mammiferi, e quindi sul metabolismo batterico, la terza
infine sul coinvolgimento di un metabolita in grado di indurre insulto ossidativo:
53
Fig.9 Ipotesi “nitroriduzione”per la genotossicità di MTZ. MTZ potrebbe essere ridotto mediante questo
schema in cellule di mammifero ipossiche. Il prodotto finale della reazione non induce alcuna tossicità o
danno al DNA. L’agente in grado di indurre danno al DNA potrebbe essere il metabolica nitroso
(Bendesky et al., 2002)
Ipotesi “nitroriduzione”. I nitroimidazoli, preferenzialmente, inducono citotossicità in
cellule ipossiche. In cellule di mammifero, la riduzione del nitrogruppo di 2-
nitroimidazoli (ma MTZ è un 5-nitro) è mediata da NADH, xantina ossidasi, NADPH
citocromo P450 reduttasi e NADPH citocromo c redattasi. MTZ può essere ridotto dalla
xantina ossidasi a sette diversi metaboliti, l’ultimo dei quali, un’ammina, è però
biologicamente inefficace (Fig.9). MTZ ridotto elettroliticamente (la natura specifica
delle molecole ottenute non è ad oggi nota) induce un forte danno al DNA sia mediante
perdita della conformazione strutturale dell’elica sia per rottura dei filamenti ed,
eventualmente, alterazione delle basi (Edwards, 1982).
Tuttavia, studi sul metabolismo di MTZ nell’uomo non hanno evidenziato la presenza di
metaboliti ridotti nel plasma (Loft, 1990), e quindi, secondo Bendesky et al. (2002),
il danno al DNA indotto da MTZ non sarebbe legato a questo meccanismo.
Fig.10- Ipotesi “attivazione batterica” per la genotossicità di MTZ. Questa reazione è mediata dalla flora
intestinale e catalizza la degradazione di MTZ (I) e HOA (II) e acetamide (III) (Bendesky et al., 2002).
54
Ipotesi “attivazione batterica”: Quando il MTZ è incubato in condizioni anaerobie
con il contenuto cecale di ratto, è metabolizzato ad acetamide (8-15%) e, in quantità
minore (6-9 volte in meno), ad acido N- (2-idrossietil) -ossamico (HOA) (Fig.10).
L’ipotesi che l’attivazione di MTZ sia mediata dall’intervento dei batteri intestinali
potrebbe essere ulteriormente sostenuta dal fatto che ratti “germ-free” non producono
acetamide. Poichè acetamide è un cancerogeno epatico in ratto e topo e un possibile
cancerogeno umano, la produzione di questo composto potrebbe essere la via mediante
la quale MTZ induce cancro.
Fig.11- Ipotesi “biotrasformazione aerobica” per la genotossicità di MTZ. MTZ(I) è metabolizzato ad
AAM (II) e HM (III). Quest’ultimo è un agente genotossico più potente di MTZ (Bendesky et al., 2002).
Ipotesi “biotrasformazione aerobica”: Nell’uomo, il MTZ è per la maggior parte
metabolizzato a 1-(2-idrossietil)-2-idrossimetil-5-nitroimidazolo (HM) e 1-acido
acetico-2-metil-5-nitroimidazolo (AAM), con una resa del 40% e del 15-20%
rispettivamente (Loft, 1990). Legator e collaboratori (1975) rilevarono attività mutagena
nelle urine di pazienti trattati con MTZ e attribuirono tale attività alla presenza sia di
metaboliti ossidativi sia di acetamide, sebbene quest’ultimo composto fosse presente in
misura molto minore dei metaboliti ossidativi (circa 40 volte meno di HM).
Successivamente fu rilevata l’attività mutagena dei metabolici HM e AAM separati
cromatograficamente dalle urine di pazienti trattati con MTZ. Inoltre HM si è
55
dimostrato in grado di indurre micronuclei in diverse linee cellulari (Menéndez et al.,
2002) (Fig.11).
L’ipotesi di “biotrasformazione aerobica” è considerata quella più plausibile. I prodotti
di nitroriduzione del MTZ hanno un tempo di vita breve e questi composti, insieme
all’acetamide e ad HOA, sono formati in quantità troppo basse per spiegare la
cancerogenicità di MTZ. Inoltre, HM, prodotto in grosse quantità, è mutageno nei
sistemi batterici e genotossico in cellule umane come dimostrato nel test dei
micronuclei (Bendesky et al., 2002) .
Megazol, (5-nitroimidazolo tiodiazolo): questo derivato nitroeterociclico è stato
identificato inizialmente come attivo contro diverse specie di Trichomonas e contro
Leishmania donovani (Berkelhammer et al., 1968). Esso presenta una forte attività
contro i tripanosomi (Berkelhammer et al., 1968; Filardi et al., 1987) e risulta più
potente rispetto al nifurtimox e al benznidazol nella terapia del Mal di Chagas, pur
presentando alcuni effetti genotossici (Ferreira e Ferreira, 1986; Poli et al.; 2002,
Nesslany et al., 2004).
Furono rilevati effetti positivi nei ceppi TA98 e TA102 di Salmonella in assenza di
attivazione metabolica, mentre non fu rilevato alcun incremento significativo di
revertenti nel ceppo indicatore di sostituzione di basi TA100. TA98 (sistema riparativo
“error prone”) era molto più sensibile all’azione mutagena di megazol del ceppo TA102
(“error-free”). Poichè S. typhimurium esprime alti livelli d’attività nitroreduttasica, i
risultati positivi osservati nel test di Ames suggeriscono che la presenza del nitrogruppo
potrebbe giocare un ruolo chiave nell’attività mutagena di megazol, come potrebbe
essere per metronidazolo, composto strutturalmente simile al megazol (Dobias et al.,
1994) (Fig.12).
56
Il ruolo della riduzione del nitrogruppo nel meccanismo dell’azione mutagena di
megazol sembra avvalorato dai dati sull’attività mutagena sui ceppi di Salmonella TA98
e TA98NR (NR: nitroreduttasi deficiente) delle urine e del plasma di cavie trattate per
via orale con il farmaco (de Morais et al., 1998). Tuttavia sono stati rilevati effetti
genotossici in diverse cellule di mammifero, cellule senza specifica attività
nitroreduttasica. Poli e collaboratori (2002) hanno evidenziato l’attività genotossica di
megazol utilizzando il Comet test in leucociti di ratto e di topo e in cellule Vero. Questi
risultati sono stati successivamente confermati da altri studi in vitro e in vivo (Nesslany
et al., 2004) e suggeriscono un meccanismo d’azione clastogeno (eventi di rottura) ma
non aneuploidogeno (perdita cromosomica) E’ stata infatti rilevata una significativa
azione clastogena dall’analisi della metafase in linfociti umani in vitro e un incremento
di micronuclei in cellule di linfoma di topo, mentre non erano rilevate aberrazioni nel
numero di cromosomi nonostante la presenza di aberrazioni strutturali e scambi
complessi. Aumento del numero di micronuclei e inibizione della divisione cellulare
sono stati osservati anche nel midollo osseo di ratti cui era somministrato per via orale
megazol.
La posizione del nitrogruppo sull’anello imidazolico appare importante per l’attività
biologica tripanocida (megazol in posizione 5 e benznidazol in posizione 2). La
(a) Megazol
(b) Metronidazolo
Fig. 12 Strutture chimiche del (a) megazol e del (b) metronidazolo.
57
protezione sterica del gruppo -NO2, mediante sostituenti in posizione 1 e 2, sembra
necessaria per l’attività biologica dei nitroimidazoli. Infatti, oltre l’importanza del
nitrogruppo in determinate posizioni (2 e 5), che comporta un alto potenziale di
riduzione, il grado di attività antiparassitaria può dipendere dalle specie sostituenti in
posizione 2 (e/o 1): ciascuno di questi sostituenti può influenzare (innalzare o abbattere)
la coniugazione di risonanza mediante il riarrangiamento spaziale della molecola e/o le
sue proprietà idrofiliche/lipofiliche. E’ stato dimostrato che un nitrogruppo lipofilico
può essere importante per penetrare nei diversi tessuti. Pertanto, le regioni delle strutture
2- e 5-imidazoliche che coinvolgono C2, C5 e N1 sono importanti nell’interazione con i
corrispondenti recettori nelle cellule ipossiche e negli organismi anaerobi. Il nitrogruppo
in posizione 2 o 5 con una catena laterale nell’altra posizione (5 o 2) è supposto essere
lipofilo. Inoltre, l’equilibrio acido/base può variare in base alla posizione del
nitrogruppo: il gruppo -NO2, considerata la sua affinità elettronica, può aumentare
l’acidità del composto. La sostituzione in posizione 1 può cambiare le proprietà basiche
dei composti a causa della perdita del protone acidico. La riduzione dei 5-nitroimidazoli
in cellule ipossiche e in organismi anaerobi, può coinvolgere vari processi elettro-
chimici e di elettroriduzione portando così ad un possibile danno di biomolecole
importanti. Il fatto che l’intero processo comportasse la morte di cellule e organismi
sensibili, suggeriva che tra i prodotti tossici derivati dalle reazioni cellulari fossero
coinvolti anche derivati ridotti del composto parentale. D’altro canto, Raether e Hanel
(2003) riportano che nei nitroimidazoli, sia l’attività antiparassitaria che quella
mutagena siano legate ad una riduzione del nitrogruppo con formazione di
idrossilammina, un derivato con breve vita media, in grado di legare covalentemente
diverse macromolecole.
Maya et al. (2003) hanno studiato e confrontato i modi d’azione di derivati
nitroimidazolici e nitrofuranici (2-nitroimidazoli, 5-nitroimidazoli e 5-nitrofurani)
(Fig.13). Un primo risultato interessante è stato quello di evidenziare che, all’interno di
ciascun gruppo, la variazione dei sostituenti dell’anello imidazolico o furanico
comportava una diversa capacità nell’inibire la crescita di colture cellulari di
Trypanosoma.
58
Fig. 13- Strutture chimiche di composti nitroeterociclici (da Maya et al., 2003).
Benznidazol risultava avere un’efficacia ≤ RO150216 (megazol) > 2 >> 1 e 3 ed infine
nifurtimox > 5 >> 4. Peraltro, è stata confermata la più alta efficacia di megazol rispetto
a nifurtimox e benznidazol. Fu riscontrato che solo per i nitrofurani era evidente un
incremento della respirazione cellulare con un chiaro aumento del ciclo redox. Tuttavia,
mentre megazol e i composti 2 e 3 inibivano l’uptake di ossigeno, i 2-nitroimidazoli non
modificavano la respirazione degli epimastigoti (epimastigote: forma del parassita che si
replica asessualmente nell’insetto vettore e che non è in grado di dare infezione). In
condizioni anaerobiche, l’anione radicalico formato elettrochimicamente dismutava
(2ArNO2•ˉ + 2H+ ArNO2 + ArNO + H2O) più rapidamente nel gruppo 5-
nitroimidazolico di megazol che non nel nitrofurano nifurtimox, mentre il gruppo 2-
nitroimidazolico mostrava una cinetica di dismutazione intermedia. Potrebbe perciò
esserci una relazione tra l’attività biologica di megazol e la formazione del derivato
nitroso, legata alla cinetica di dismutazione.
59
Considerando che i 5-nitroimidazoli sono poveri induttori del ciclo redox dell’ossigeno
e che il loro effetto inibitorio sulla respirazione è tempo-dipendente, questi autori hanno
ipotizzato che la loro azione sia mediata da metaboliti elettrofili, legati alla più veloce
dismutazione e formati mediante il trasferimento di un secondo elettrone all’anione
radicalico primario.
Il diverso meccanismo d’azione di nitroimidazoli (megazol) e nitrofurani (nifurtimox) è
stato messo in evidenza anche da Enanga e coll. (2003) i quali, mentre verificarono
l’effetto antagonista di NAC contro nifurtimox, non osservarono lo stesso effetto contro
megazol. Gli Autori proposero che l’attività del nitrofurano fosse mediata da specie
ridotte dell’ossigeno, mentre l’attività di megazol dipendesse dal danno diretto indotto
dai derivati del nitroanione radicalico prodotti dalla riduzione del composto.
Variazioni anche piccole della struttura molecolare di nitroimidazoli e nitrofurani
possono comportare effetti molto differenti. Comparando i dati relativi alla
biodisponibilità (Maya et al., 2003), due composti molto simili, megazol e 1-metil-2-(5-
ammino-1,3,4-ossadiazolil)-5-nitroimidazolo, evidenziano una differenza sostanziale
nella capacità di attraversare le membrane cellulari, che è quasi nulla per il secondo. I
due composti mostrano peraltro proprietà simili rispetto alla capacità di produrre la
forma nitroso per dismutazione e addirittura il composto 1 è più efficiente di megazol
come scavenger di tioli cellulari. Per contro, megazol è almeno 10 volte più efficiente
nell’inibire la crescita cellulare. La sola differenza strutturale tra i due composti è la
sostituzione di un atomo d’ossigeno nel composto 1 con uno zolfo in megazol.
L’importanza della struttura chimica del composto in relazione ai possibili effetti
biologici è stata messa in evidenza anche da Bouteille e coll. (1995). Tali Autori
confrontarono l’attività di megazol con quella di tre suoi derivati, in cui l’idrogeno in
posizione 4 dell’anello imidazolico veniva sostituito con -Br, -CH3 e -CF3
rispettivamente, e con quella di due intermedi nella sua sintesi, imidazolo sulfossido
(GC 2221) e imidazolo sulfone (GC 2222) (Fig.14).
60
Fu dimostrato che la sostituzione dell’idrogeno nella posizione 4 dell’anello imidazolico
con bromo, metile o trifluorometile causava la perdita dell’attività antiparassitaria di
megazol sia in vitro che in vivo. Anche i due intermedi della sua sintesi non risultavano
attivi.
Ulteriori informazioni sulla relazione effetto/struttura vengono da Chauvière e coll.
(2003) che hanno sintetizzato numerosi analoghi di megazol e ne hanno valutato
l’attività biologica. Le variazioni strutturali introdotte comprendevano: sostituzioni sui
due anelli del nucleo di base, rimpiazzo del tiodiazolo con un ossidiazolo, sostituzione
della parte nitroimidazolica con un nitrofurano o un nitrotiofene, il tutto con lo scopo di
identificare i bersagli e studiare i modi di azione. Le sostituzioni sugli atomi di azoto
esociclici, inoltre, permettevano di comprendere meglio l’uptake del composto nel
parassita mediante trasportatori di glucosio o di purine, per i quali erano stati appunto
sintetizzati glucoconiugati e altre strutture modificate. Megazol risultò essere più attivo
verso i parassiti di qualsiasi derivato considerato. Ciò sembra essenzialmente legato al
nitrogruppo nella posizione 5, poichè l’isomero con il nitrogruppo in 4 era totalmente
inattivo verso i parassiti. Questo comportamento era già stato rilevato per altri
nitroimidazoli quando sostituiti in 4 sull’anello imidazolico.
Anche i composti 5-nitro con diversi sostituenti di -H in posizione 4 si dimostravano
non attivi (Chauvière et al., 2003). Una possibile ipotesi è che l’enzima nitroreduttasi
del parassita, peraltro non ancora identificata, sia sensibile a qualunque cambiamento
strutturale, poichè la sostituzione in 4 sopprime qualsiasi attività del composto. In
alternativa, si può supporre che la differenza dell’efficacia biologica del derivato 4-
sostituito possa essere legata al cambiamento della struttura spaziale del composto che
non sarebbe più planare a causa delle interazioni steriche tra il sostituente in posizione 4
e il nitrogruppo. 5-megazol ha una struttura planare e questo potrebbe essere un
Fig. 14 Megazol e i suoi 3 analoghi presentano tutti la sostituzione R1 = -C2H2N3S mentre R2 = -H, -Br, -CH3 e -CF3 per i quattro composti rispettivamente. GC 2221: R1= -SOCH3; R2= -H. GC 2222: R1= -SO2CH3; R2= -H. [da Bouteille et al., 1995].
61
requisito per la delocalizzazione e di conseguenza l’ottimizzazione della vita media del
nitro-anione radicalico.
Chauvière e coll. (2003) hanno riportato una diminuzione dell’attività anche per
sostituzioni nella struttura di riferimento quando i cambiamenti erano a carico
dell’anello tiodiazolico. La sostituzione dello zolfo con l’ossigeno eliminava qualsiasi
attività antiparassitaria. Tale perdita di attività non poteva essere dovuta a differenze
drammatiche nelle proprietà dei corrispondenti radicali anionici (Viodè et al., 1999).
Erano invece presenti differenze significative dei parametri indicativi della
biodisponibilità dei due composti con una conseguente soppressione dell’attività nel
composto O-sostituito. Sostituendo il gruppo amminico esociclico si rilevava che solo il
derivato acetilato mostrava attività, anche se in misura minore del composto di
riferimento (Chauvière et al., 2003). Questo implica che la forma attiva debba avere un
ammino-gruppo libero e che il gruppo acetilico debba probabilmente essere prima
idrolizzato dalle peptidasi citosoliche della cellula ospite. L’aumento del carattere
lipofilico con l’aggiunta di una catena alifatica all’amino-gruppo è irrilevante, mentre
l’inattività di composti sostituiti con catene alchiliche indica che l’alchile non è
idrolizzato per via enzimatica. Si può supporre, in alternativa, che l’ammino-gruppo
debba essere libero per il riconoscimento del composto da parte del trasportatore delle
purine (Carter e Fairlamb, 1993).
Brezden et al. (1998) studiarono gli effetti biochimici e biologici indotti
dall’esposizione in aerobiosi a 2-nitroimidazoli (INO2) di colture di differenti tipi
cellulari, in termini di produzione di ROS, prodotti della riduzione di INO2, attività
degli enzimi antiossidanti, deplezione di glutatione (GSH) e danno al DNA. I risultati
confermarono anche per INO2 un meccanismo di tossicità in condizioni aerobie legato
alla produzione di ROS e che la sensibilità delle cellule era modulata dalla loro capacità
di detossificare tali specie. Le cinetiche della sopravvivenza cellulare, della deplezione
di GSH e dell’induzione di danno al DNA erano dipendenti sia dal profilo degli enzimi
antiossidanti che dal tasso di produzione di ROS, specifici per ciascun tipo cellulare.
Pires et al., (2001) analizzarono gli effetti di tre classi di derivati nitrofuranici in
relazione alla loro struttura: classe I, 5-R-sostituiti (Z)-2-(5-nitrofurano-2-ylmetilene)-3
(2H)-benzofuranoni (R = OCH3, H, CH3, C2H5, nC3H7, Cl, Br, CN, NO2) e i loro
analoghi 2-idrossifenil e 2-acetossifenil; classe II, 5-R-sostituiti (E)-1-(2-idrossifenil)-
62
3-(5-nitrofuril)-2-propen-1-oni (R = H, CH3, C2H5, Cl, NO2); classe III, 5-R-sostituiti
(E)-1-(2-acetossifenil)-3-(5-nitrofuril)-2-propen-1-oni (R = H, CH3, C2H5, Cl, NO2).
L’analisi QSAR sui composti della classe I ha dimostrato l’importanza delle proprietà
elettroniche dei sostituenti nell’inibizione della crescita batterica, che sembra
inversamente correlata alla velocità con cui i composti sono ridotti all’interno della
cellula. I modelli QSAR ottenuti risultano simili a quelli di derivati 5-nitroimidazolici
(Edwards et al., 1982) per i quali è stato proposto, come specie in grado di danneggiare
il DNA, il nitro-anione radicalico protonato (Edwards, 1993). Inoltre, i modelli QSAR
erano correlati alla stabilità/reattività dell’intermedio ridotto piuttosto che alla riduzione
del nitro-composto iniziale, suggerendo la possibilità di percorsi paralleli nel loro
meccanismo d’azione.
Sebbene sia stato dimostrato che la riduzione aerobica di nitrofurani non forma radicali
anionici i modelli QSAR mostrano che la stabilità/reattività dell’intermedio ridotto
possono essere il fattore preminente nel regolare l’attività dei nitrofurani in studio. Fu
stabilito che il DNA non era l’unico bersaglio, poichè i nitrofurani erano in grado di
danneggiare anche le proteine. Le diverse attività biologiche, osservate per i composti
della classe I, rispetto a quelli delle classi II e III, possono riflettere differenze a livello
delle interazioni composto-recettore. L’analisi QSAR suggerisce inoltre che la porzione
benzofuranica è una parte importante della struttura della molecola che contribuisce
all’attività: composti analoghi, privi di questa caratteristica strutturale, risultano meno
attivi.
La relazione tra struttura del nitroderivati e induzione di mutagenicità è stata anch’essa
ampiamente dimostrata (Hrelia et al., 1993; 1998). Lo studio su nitrobenzimidazolo e
farmaci indolici antifungini (Hrelia et al., 1993) aveva suggerito agli Autori che, anche
se i fattori strutturali erano responsabili delle variazioni osservate per l’induzione di
mutagenicità in Salmonella, era presumibile che la separazione tra attività terapeutica e
attività genotossica non potesse essere possibile, poichè entrambe le proprietà erano
mediate da un metabolita comune, l’idrossilamina. Poichè trovare un nitroderivato che
possieda una buona attività antiparassitaria senza indurre effetti genotossici indesiderati
nell’ospite è interessante, non solo dal punto di vista della sicurezza, ma anche perchè
può fornire la base per ulteriori indagini sul modo d’azione e sul meccanismo
d’induzione della mutagenicità, successivamente furono studiati farmaci derivati con
63
sostituenti in grado di variare le proprietà lipofile, steriche ed elettroniche delle
molecole (Hrelia et al., 1998). In particolare, fu saggiata su diversi ceppi di Salmonella
la mutagenicità di 4-nitrocomposti con sostituenti in posizione 5 e in N1 o N3 con
proprietà idrofobiche e steriche crescenti, quali i gruppi -CH3, -COOH, -COOCH3, -
CH2-C6H5 e -CH= CH-C6H5. Fu dimostrato che:
la presenza di un gruppo metilico sull’anello imidazolico in posizione 5 e
una contemporanea sostituzione in N1 o N3 con un gruppo metilico o
benzilico conferisce attività mutagena, peraltro maggiore se N1 o N3 erano
sostituiti con un gruppo benzilico;
la sostituzione con -COOH o -COOCH3 in posizione 5, ma senza sostituenti
in N1 o N3, porta a composti non mutageni;
la presenza di un sostituente ingombrante come lo stirile in 5 comporta
attività mutagena ulteriormente aumentata da sostituzioni con benzili in N3;
l’aumento della mutagenicità è legato alla maggior idrofobicità dei
sostituenti nella struttura imidazolica.
Considerando la grande importanza anche di piccole variazioni strutturali, risulta
teoricamente possibile sintetizzare molecole altamente reattive verso i parassiti ma
senza tossicità verso le cellule dell’ospite. Poichè megazol mostra, insieme ad un’alta
efficacia antiparassitaria, anche effetti genotossici indesiderati (Poli et al., 2002;
Nesslany et al., 2004) sono stati sintetizzati nuovi composti derivati dall’ibridazione
molecolare tra megazol e derivati di guanilidrazone proprio per tentare di ridurre
l’effetto ossidativo di megazol a livello della cellula ospite senza diminuirne l’efficacia
terapeutica (Carvalho et al., 2004). L’introduzione della porzione arilidrazonica (serie
4) dovrebbe agire come gruppo scavenger di radicali in grado di competere con lo stress
ossidativo indotto dalla formazione di specie nitro-radicaliche tossiche, e quindi
evitarlo. Peraltro alcuni derivati idrazone-correlati presentano attività tripanocida
(Carvalho et al., 2004) E’ per l’azione svolta su enzimi essenziali, quali la cruzaina e la
tripanotione reduttasi. E’ stato indagato anche l’effetto della sostituzione isosterica
dell’anello nitroimidazolico, induttore di tossicità, con un semplice gruppo fenolico,
ottenendo così il corrispondente derivato 1,3,4-tiodiazolico (serie 5 in Fig.15).
64
I sostituenti nella serie 4 sono: Composto R1 R2 R3 R4 Composto R1 R2 R3 R4
4a H H H H 4i OH H H H
4b H H F H 4j OH OCH3 H H
4c H H Cl H 4k H OH OH H
4d H H Br H 4l H OH OCH3 H
4e H H NO2 H 4m H OCH3 OH H
4f H H OCH3 H 4n H OCH2O OCH2O H
4g H H OCF3 H 4o H t-Bu OH t-Bu
4h H H OH H
e nella serie 5 sono: Composto R1 R2 R3 R4
5a H H H H
5b H H NO2 H
5c H H OH H
5d OH H H H
5e H OH OH H
5f H t-Bu OH t-Bu
Il derivato 3,4-diidrossifenilico della serie 4 (4k o brazilizone) fu dimostrato essere il
composto con maggior attività antitripanosomica. Il confronto con idrossilati analoghi
indica che entrambi i gruppi idrossilici nella subunità catecolica di brazilizone svolgono
azione farmacologica. D’altra parte fu riscontrata la necessità del nitrogruppo
Fig. 15 Derivati delle serie 4 e 5 di 1,3,4-tiodiazolo-2-arilidrazone (Carvalho et al., 2004).
65
nell’anello imidazolico per l’azione terapeutica antiparassitaria. Fu anche evidenziato
che l’introduzione della porzione arilidrazonica nella struttura di megazol ne cambiava
il comportamento redox, suggerendo come conseguenza un possibile miglioramento del
profilo terapeutico e della sicurezza di megazol. Tuttavia tali dati necessitano di
conferme, specialmente per quanto riguarda gli effetti indesiderati sulle cellule ospiti.
Tripanotione reduttasi (TR) è un enzima chiave del meccanismo di difesa anti-
ossidante del parassita, assente in cellule di mammifero ed essenziale per la
sopravvivenza e crescita dei tripanosomatidi. La specificità di TR nei confronti del suo
substrato, tripanotione, suggerisce che anch’esso sia indispensabile per l’attività
dell’enzima. TR e tripanotione sono coinvolti nel meccanismo d’azione di composti
antimoniali e arsenicati. Recentemente sono stati caratterizzati enzimi coinvolti nella
detossificazione di metilglioxali: tripanotione S-transferasi e gliossilasi I e II, tutti
tripanotione-dipendenti. TR è quindi un buon target per i nuovi farmaci. Aguirre et al.
(2004), hanno dapprima valutato il modello 3D di TR, sia in forma libera sia associato
con NADPH, sia con tripanotione, sia con mepacrina (composto triciclico identificato
come inibitore competitivo di TR). Basandosi sulla struttura molecolare dell’inibitore si
è cercato di ideare composti simili. Qualche derivato della chinossalina, sia per il tipo di
sostituenti sia per la struttura planare è simile allo scheletro dell’inibitore. Inoltre,
quando chinossalina è presente come N,N’-diossido, i composti risultanti sono in grado
di agire come substrato di enzimi redox, dove i prodotti di riduzione che reagiscono con
l’ossigeno, producono specie reattive all’ossigeno. L’N,N’-diossido della chinossalina
agisce come agente anti-infettivo in diversi microrganismi, ciò ha spinto il gruppo di
Aguirre a valutare l’azione di alcuni derivati chinossalinici come composti anti-
tripanosoma. Dagli studi effettuati è stato dimostrato che:
a) sostituzioni a livello dell’anello benzenico della chinossalina producono
composti attivi;
b) composti molto idrofilici diminuiscono l’attività anti-tripanosoma.
66
Fig.16- Struttura dei nuovi analoghi 5-nitrofurilici ( Aguirre et al., 2006)
Queste proprietà elettroniche indicano che il meccanismo d’azione si basa su un
metabolismo riduttivo, la necessità di avere catene lipofiliche indica la capacità dei
composti di entrare nella cellula del parassita e/o mediare interazioni con enzimi target.
Successivamente, in base a questi dati, Aguirre et al. (2006) sintetizzarono e saggiarono
derivati 5-nitrofurilici la cui struttura consisteva in un gruppo 5-nitrofurilico, ben noto
come promotore di stress ossidativo, e di catene laterali con potenzialità di interazione
con biomolecole quali TR (Aguirre et al., 2004). Alcuni di tali composti risultarono più
attivi contro la forma epimastigote di T.cruzi di nifurtimox, farmaco attualmente
utilizzato contro il Mal di Chagas. L’analisi QSAR evidenzia l’importanza di uno
specifico modello di legame idrogeno nell’ambito della porzione carbonilica o
tiocarbonilica così come la necessità di catene laterali idrofobiche.
In particolare i derivati più attivi (semicarbazone 27, carbazati 31-34 e amide 36)
mostravano una ID50 tra due e tre volte più bassa di nifurtimox. Il composto più potente
era l’eptil-carbazato (33). In generale, i derivati carbazati erano più attivi degli analoghi
semicarbazonici (cfr. carbazati 5, 31 e 32 con semicarbazoni 1, 26 e 27). Inoltre i 5-
nitrofurilacroleina derivati erano più attivi dei corrispondenti 5-nitrofuranil derivati (26,
31 e 34 vs 1, 5 e 8). La presenza di catene apolari in ciascuna famiglia di derivati
risultava in composti più attivi di quelli meno apolari (cfr. per i semicarbazoni 27 con
28 e per i carbazati 34 con 30). L’ammide 36, che presenta una porzione apolare
adamantile, è il migliore 5-nitrofurilpropenamide avente attività tripanocida. D’altra
parte, i tioammidi sono meno attivi rispetto agli analoghi ammidi (cfr. derivati 38-40
67
con quella delle ammidi parentali 20-22). I derivati 41 e 42, sostituiti con un gruppo
eterociclico polare, risultavano inattivi a 5µM.
Studi 3D-QSAR mostrano che il requisito sterico è localizzato intorno al sostituente
legato alla porzione carbonilica o tiocarbonilica. Gruppi ingombranti come furfurile e
naftile, situati in prossimità della porzione carbonilica e tiocarbonilica riducono
l’attività anti-tripanosoma. Considerando gli effetti del campo elettrostatico sull’attività,
nella molecola, si possono distinguere due regioni importanti: la catena laterale e la
porzione carbonilica o tiocarbonilica. Altra regione importante è una zona elettrone-
deficiente che nei derivati più attivi corrisponde allo scheletro idrocarbonioso (alchil,
adamantil, aril). Una regione ricca di elettroni vicina al gruppo carbonilico o
tiocarbonilico aumenta anch’essa l’attività. Poichè implicata nell’interazione dei legami
idrogeno, la regione del sito attivo della TR appare essere il bersaglio di questi
composti. Di conseguenza, ammidi, tioammidi e esteri, che presentano pattern differenti
per i legami idrogeno, hanno attività diversa. In generale, derivati ammidici (derivato
20) sono più attivi dei corrispondenti esteri (derivato 11) e tioammidi (derivato 38). I
risultati evidenziano l’importanza di un pattern specifico per i legami idrogeno in
prossimità della porzione carbonilica o tiocarbonilica, cosÏ come della necessità di
catene laterali idrofobiche
68
Fig.17- Serie di derivati 5-nitrofurilici, derivati semicarbazonici e carbazati e comportamento in vitro contro T.cruzi; PGI: % di inibizione della crescita a 5m (Aguirre et al., 2006)
9
20-22
69
Tiosemicarbazoni nitroaromatici: Aguirre et al. (2004) hanno valutato in vitro l’attività e il meccanismo d’azione nei
confronti di T. cruzi di diversi derivati 5-nitrofuril-tiosemicarbazonici (Fig.18).
Fig.18-Nifurtimox e derivati 5-nitrofuril (Aguirre et al.,2004)
Questi nuovi composti hanno mostrato un’alta attività antitripanocida sia in vivo che in
vitro legata da un lato all’inibizione da parte della porzione tiosemicarbazonica di
cruzaina, la maggiore cisteina proteasi di T. cruzi, indispensabile per la replicazione
intracellulare del tripanosoma, dall’altro allo stress ossidativo nel parassita indotto dal
gruppo 5-nitrofurilico. Cruzaina come già detto, è essenziale per la replicazione della
forma intracellulare del parassita. Inibire questo enzima è al momento una delle
strategie più studiate nello sviluppo di nuovi terapici contro la tripanosomiasi africana.
Studi relativi al sito attivo di cruzaina suggeriscono che si formi un legame covalente
della Cys25 con il carbonio tiocarbonilico del tiocarbazone, aiutato dal trasferimento di
un protone dall’His159 allo zolfo del tiocarbonile (Fig.19).
Fig.19- Meccanismo di inibizione di cruzaina da parte dei tiosemicarbazoni (Aguirre et al., 2004)
70
Poichè i 5-nitrofuril-tiosemicarbazoni possono agire con un doppio meccanismo
d’azione: stress ossidativi e inibizione di cruzaina, sono state valutate le relazioni
struttura-attività per i due meccanismi. I composti saggiati differiscono per la posizione
di legame tra il 5-nitrofuril e la porzione tiosemicarbazonica e per una serie di
sostituenti diversi per proprietà fisico-chimiche, in posizione N4 (Fig.20).
Fig.20- Composti 5-nitrofuril-tiosemicarbazonici (Aguirre et al., 2004)
Studi ESR hanno rilevato che tutti i derivati tiosemicarbazonici (5-12) producono
radicali liberi nel mezzo biologico, ciò indicando che tutti mantengono il meccanismo
d’azione terapeutico dei 5-nitrofuril-derivati. Tuttavia, è stato osservato che i
tiosemicarbazoni derivati da 3-(5-nitrofuril)acroleina (6, 8, 10 e 12) sono composti più
potenti rispetto agli analoghi 5-nitrofurilici, supportando l’idea che la porzione
tiosemicarbazonica è determinante per espletare attività tripanocidica.
Du e collaboratori (2002) hanno ideato dei nuovi composti con spetro d’azione nei
confronti di cruzaina. Sono stati ideati diverse serie di inibitori per la cisteina proteasi,
che includono chetoni alometilici, diazometani e epossisuccinil-derivati. I clorometil-
chetoni sono stati scartatati a causa della loro alta reattività e conseguente perdita di
specificità. Per aumentare la specificità e ridurre la reattività e la tossicità, sono state
invece sviluppate serie di composti meno reattivi e, in particolare, tiosemicarbazoni con
una specifica struttura (Fig.21).
71
Fig.21- Scaffold del tiosemicarbazone (Du et al., 2002)
Rispetto ad altri nitro-carbazoni antitripanosoma, in questa serie di composti è stato
eliminato il nitrogruppo che, attraverso la produzione di radicali nitroanionici, risulta
attivo contro il parassita. I tiosemicarbazoni utilizzati mostrano alta attività contro
cruzaina, così come attività tripanocida. Sostituzioni a livello della struttura base del
tiosemicarbazone su N1 sono improduttive. Riduzione del legame C=N4 o variazioni
del legame C=S in C=O risultano ridurre l’attività. Per composti con anelli fenilici
singoli, sostituzioni in posizioni specifiche possono aumentarne l’attività. Il più potente
composto ha sostituenti sul C-3, tra questi trifluorometile, bromo e cloro aumentano
l’attività inibitoria. Sostituzioni come 3,4-dicloro o 3,5-bis(trifluorometil) portano ad
una potente inibizione della cisteina proteasi.
Composti nitroaromatici melamina-coniugati:
Fig.22-Trasportatore P2 e sue interazionicon composti melamino-nitrofuranici (Baliani et al., 2005)
72
Stewart e collaboratori (2004) hanno progettato una serie di composti nitroeterociclici
legati ad un gruppo melaminico o benzamidinico, substrati del trasportatore ammino-
purinico P2 e di altri trasportatori (P1, HAPT1, LAPT1) presenti nel tripanosoma
(Fig.22). L’obiettivo principale è associare al motivo di riconoscimento di P2 (in
particolare l’unità melaminica), agenti citotossici come i composti nitroaromatici. La
fusione tra queste due subunità ha lo scopo di facilitare l’uptake selettivo nei
tripanosomi attraverso il trasportatore P2 e cosÏ facendo, aggirare il problema relativo
alla tossicità nell’organismo ospite indotta dalla porzione nitroaromatica. La
distribuzione rapida e selettiva di questi composti nel tripanosoma dovrebbe dare un
accumulo selettivo nel parassita e minimizzare gli effetti collaterali nell’ospite. I
composti nitroeterociclici sembrano essere molto attivi contro il parassita se associati ad
una seconda porzione, probabilmente a causa dell’ingombro sterico necessario nel
legare determinati enzimi con attività nitroreduttasica.
Serie di esperimenti condotti in vitro sulla forma tripomastigote di T. brucei STIB900,
mostrano assenza di correlazione tra affinità per il trasportatore P2 (intesa come
capacità di queste molecole di inibire l’assorbimento di adenosina, attraverso questa via)
e attività anti-tripanosomica. Inoltre parassiti deficienti del trasportatore P2 non sono
sostanzialmente meno sensibili a questi composti rispetto agli wild-type. Ciò potrebbe
significare che sono coinvolti nell’uptake dei composti anche altri trasportatori o che
l’ingresso del farmaco avviene per diffusione passiva. Tuttavia, composti mancanti del
gruppo melaminico mostrano non solo ridotta affinità verso il trasportatore P2 ma anche
debole attività nei confronti del parassita. Ciò suggerisce che il gruppo melaminico sia
necessario per l’uptake dei composti e nell’interazione con gli enzimi coinvolti nel
meccanismo d’azione. Nei composti ideati la porzione melaminica è legata al composto
nitroeterociclico per mezzo di un idrazine (Fig.23). Baliani e collaboratori (2005)
valutano la relazione struttura-attività dei composti realizzati in base a:
(i) addizione di sostituenti metilici a livello della melamina, per alterare le
proprietà lipofile della molecola;
(ii) sostituzione dell’ossigeno con zolfo nel composto nitroeterociclico, per
modificare le proprietà elettroniche dei composti nitroaromatici e le
proprietà lipofile della molecola.
73
(iii) Sostituzione del nitrogruppo con un idrogeno o con un altro gruppo.
Fig.23- Struttura base di un composto nitrofuril-melaminico (Baliani et al., 2005)
Qualora tutti gli atomi di idrogeno dei gruppi amminici siano sostituiti da gruppi
metilici, si osserva alta attività in vitro verso T. brucei anche se con bassa affinità di
legame verso il trasportatore ammino-purinico. La perdita di affinità di questo composto
con il trasportatore P2 potrebbe essere spiegata dalla richiesta per i substrati di P2 di
avere un donatore di legami idrogeno. Il composto, inoltre, è dotato di solubilità più alta
degli altri derivati; ciò suggerisce il suo trasporto passivo che spiegherebbe l’elevata
attività contro il parassita.
La porzione melaminica (con almeno qualche legame NH) è concentrata selettivamente
nel tripanosoma, ma la via di assorbimento non avviene esclusivamente attraverso il
trasportatore P2. Il fatto che esistano altre vie di uptake per i composti melamina-
nitroeterociclici indica che, la perdita di P2, non comporta fenomeni di resistenza.
La sostituzione dell’ossigeno nitrofuranico con zolfo comporta una riduzione
dell’attività, suggerendo che sia importante nel meccanismo d’azione di questi composti
il potenziale redox del nitrofurano.
Il nitrogruppo è un forte elettronattrattore, coinvolto nella generazione di radicali liberi.
La sostituzione del nitrogruppo con un idrogeno o con un altro gruppo elettronattrattore
quale un nitrile porta ad un composto inattivo
Scopo prioritario nella sintesi di nuovi farmaci è quello di ottenere composti aventi non
solo una maggior efficacia contro l’infezione, ma anche una diminuita tossicità per
l’ospite. Un metodo per valutare i possibili effetti indesiderati sull’ospite può essere il
74
rilevamento in vitro di effetti cito-genotossici mediante sistemi a breve termine. In
questo studio è stata confrontata l’induzione del danno al DNA su leucociti umani da
parte di due gruppi distinti (A e B) di composti dopo trattamento in vitro, in modo da
evidenziare i possibili gruppi critici nelle diverse molecole.
75
Gruppo A: megazol e derivati.
I composti nitrati hanno un largo impiego nella chemioterapia per la specifica azione
generalmente legata al nitro-gruppo, spesso però responsabile della tossicità della
molecola. Nella terapia antiparassitaria s’impiegano comunemente composti
nitroimidazolici che possono essere divisi in tre grandi gruppi:
2-nitroimidazoli – Oggi la maggioranza dei derivati nitroimidazolici sono
impiegati come radiosensibilizzanti in cellule ipossiche. Sono utilizzati anche come
antiparassitari. Un esempio è l’azomicina che è stato isolata da ceppi di Nocardia
mesenterica e che presenta attività antiparassitaria principalmente nei confronti di
Trichomonas vaginalis. Anche benznidazol, farmaco utilizzato contro il mal di Chagas,
è un 2-nitroimidazolo.
5-nitroimidazoli – Questo gruppo è di particolare interesse perché presenta una
vasta gamma di attività biologiche. Il farmaco più studiato di questa famiglia è il
metronidazolo. Questo composto, oltre ad essere usato per le infezioni da Trichomonas
vaginalis, é ancora oggi un prototipo per studiare le relazioni tra attività biologica,
meccanismo d’azione e tossicità dei 5-nitroimidazoli.
4-nitroimidazoli – Questo gruppo è quello con minor efficacia biologica.
Le modalità d’azione dei nitro-derivati sono legate ai potenziali redox del nitro-gruppo
(Edwards et al., 1973), poiché esistono nei sistemi biologici diversi enzimi che
promuovono la riduzione di questi gruppi a gruppi amminici. Il potenziale redox di
megazol è -0.437 mV, un valore coerente con altri 5-nitroimidazoli, quali metronidazolo
(potenziale redox: -0.486 mV) e minore di quello del benznidazol (2-nitroimidazolo; -
0.380 V) e del nifurtimox (5-nitrofurano; -0.260 V), i farmaci impiegati come
antichagasici.
Sebbene non sia ancora completamente individuato il meccanismo d’azione di megazol,
è noto che il nitro-gruppo è essenziale per la sua attività biologica poiché il suo derivato,
senza il nitro-gruppo, non risulta attivo. Inoltre, anche il derivato con il nitro-gruppo in
posizione 4 dell’anello imidazolico non mostra alcuna attività antiparassitaria
significativa (Chauvière et al., 2003). Questi risultati suggeriscono perciò l’importanza
76
del nitro-gruppo in posizione 5 nell’anello imidazolico per l’attività biologica del
composto.
Nell’ambito di una collaborazione con il Departamento de Parasitologia, Instituto de
Ciências Biomédicas (Prof. Tânia M.A.D. Zucchi), il Departamento de Tecnologia
Bioquímico Farmacêutica, Faculdade de Ciências Farmacêuticas (Prof. Cristina
Northfleet de Albuquerque) dell’Università di San Paolo (USP) e il Departamento de
Microbiologia, Imunologia e Parasitologia (Prof. Renato A. Mortara) dell’Università
Federale di San Paolo (EPM-UNIFESP), Brasile, in questo lavoro ci siamo proposti di
confrontare tre composti, megazol (MZ, [1-metil-2-(5-ammino-1,3,4-tiodiazolo)-5-
nitroimidazolo]), 5-nitroimidazolo-tiosemicarbazone (TSC, 1-metil-5-nitro-2-
imidazolcarbossialdeide tiosemicarbazone) e 4-nitromegazol (NMZ, [1-metil-2-(5-
ammino-1,3,4-tiodiazolo)-4-nitroimidazolo]) (Fig.24).
MZ è stato ampiamente presentato in precedenza. TSC è il composto immediatamente
precedente nella sintesi di megazol e può perciò puntualizzare se alcune caratteristiche
strutturali ancora presenti in MZ, siano quelle realmente responsabili degli effetti sulle
cellule ospiti. NMZ è invece il 4-nitroisomero di MZ. La diversa posizione del gruppo -
NO2 dovrebbe generalmente comportare una minor attività di tipo ossidativo (Chauvière
et al., 2003).
77
Fig. 24- Strutture di megazol, tiosemicarbazone e 4-nitromegazol.
78
Gruppo B: WSP 1025, WSP 934 e DERIVATI.
Questa parte del lavoro nasce nell’ambito di una collaborazione tra il Gruppo di
Mutagenesi Ambientale del Dipartimento di Genetica Antropologia Evoluzione
dell’Università di Parma e il Dr. Ian H. Gilbert, School of Life Sciences dell’Università
di Dundee (UK), il Dr. Michael P. Barrett, Institute of Biomedical and Life Sciences
dell’Università di Glasgow (UK) e il Prof. Reto Brun, Swiss Tropical Institute, Basilea
(CH) in merito allo sviluppo di nuovi farmaci antiparassitari. I farmaci da me utilizzati
nei diversi test fanno parte di una serie di composti nitrofuranici (WSP) accoppiati a
triazina sintetizzati dal Dr Gilbert. Tali composti, di cui si riporta la struttura portante
(Fig. 25), sono attualmente in fase di studio per il trattamento delle tripanosomiasi e
delle leishmaniosi. Composti nitroeterociclici contenenti un anello di triazina facilitano
un uptake selettivo nel parassita attraverso il trasportatore P2 o altri trasportatori,
limitando di conseguenza la tossicità per l’ospite. Questa associazione migliora l’azione
tripanocida dei nitroeterociclici, probabilmente per la specifica conformazione sterica in
grado di legarsi meglio a particolari enzimi ad attività nitroreduttasica, consentendo così
al farmaco l’attraversamento della membrana plasmatica e l’indirizzamento verso siti
attivi di specifici enzimi.
.
Fig. 25- Struttura chimica di WSP
Lo studio di seguito riportato è volto essenzialmente alla valutazione degli eventuali
effetti cito- e genotossici di alcuni nuovi composti (WSP 1025, WSP 934, WSP 939,
WSP 1393) e di nifurtimox, un farmaco nitrofuranico utilizzato come confronto.
79
Gruppo A: MEGAZOL e DERIVATI.
Per meglio definire la relazione struttura attività de megazol si è proceduto a valutarne
l’attività citotossica e genotossica in comparazione con due suoi analoghi, 4-
nitromegazol e 5-nitroimidazolo tiosemicarbazone e con benzonidazol, il 2-
nitroimidazolo attualmente usato come terapico contro il Mal di Chagas. 4-nitromegazol
è stato scelto per valutare se la posizione del nitrogruppo è importante oltre che per
l’efficacia contro il parassita anche per l’induzione di effetti indesiderati su cellule
umane. Poiché alcuni composti tiosemicarbazonici hanno mostrato attivitàtripanocida
(Du et al., 2002; Aguirre et al., 2004), è stata comparata l’attività cito/genotossica di 5-
nitroimidazolo tiosemicarbazone (struttura aperta) con quella di megazol (anello
tiodiazolico dopo una reazione ossidativi di ciclizzazione) (Chauviére et al., 2003).
Si è proceduto a valutare l’induzione in vitro del danno al DNA in leucociti umani dopo
diversi tempi e temperature di trattamento utilizzando protocolli modificati del Comet
test al fine di identificare differenti tipi di danno (Singh et al., 1998; Horváthová et al.,
1999).
Citotossicità Per tutti i composti saggiati, la sopravvivenza cellulare non appare essere influenzata
dal trattamento nell’intervallo di dosi utilizzate; appare inoltre essere indipendente dal
tempo e dalla temperatura quando misurata immediatamente dopo l’esposizione (dati
non riportati).
80
Genotossicità
Fig. 26. Danno al DNA rilevato attraverso il Comet test ( pH>13 o pH=12.1) in leucociti umani trattati con benznidazolo (37 °C, 1 h) e 5-nitromegazol (37 o 0 °C, 1 h). Il danno al DNA è espresso come incremento della migrazione di DNA (m) rispetto alla dose 0 (media ± S.D. di tre esperimenti indipendenti). I simboli pieni indicano una differenza significativa (p< 0.05) rispetto alla dose 0; * p < di 0.05 fra le due curve.
I leucociti umani trattati a 37° C per 1 ora con 5-nitromegazol e beznidazolo sono stati
saggiati con il Comet test a pH>13 (Tice et al., 2000), per compararne la genotossicità
(Fig.26A). Entrambi i composti inducevano un incremento significativo della
migrazione del DNA; in particolare il beznidazolo appare essere molto più attivo (p
<0,05) del 5-nitromegazol.
La migrazione del DNA è stata analizzata in leucociti trattati con 5-nitromegazol
mediante il Comet test eseguito sia a pH=12.1 che a pH>13 per meglio identificare la
natura del danno al DNA. In cellule trattate con 5-nitromegazol per 1 ora a 37°C il
rilevamento della migrazione del DNA è risultata essere significativamente più sensibile
a pH>13 rispetto che a pH=12.1 (Fig. 26B). Questi dati suggeriscono che il 5-
81
nitromegazol sia capace di produrre sia rotture al filamento che siti alcalo labili (gli
ultimi meglio rilevabili al pH più alto).
Il trattamento con 5-nitromegazol è stato effettuato anche su cellule mantenute in
ghiaccio (5 minuti o 1 h) per minimizzare il danno ossidativo indotto dai processi
cellulari (Collins et al., 1995). Il danno ossidativo generato si osserva sotto la forma di
rotture a singolo-filamento e, anche se in minor misura, come siti alcalo-labili e
differenti tipi di ossidazione a carico delle basi puriniche e pirimidiniche (Collins A.R.
et al., 1995). I nostri risultati (fig. 26C) mostrano come l’induzione di danno al DNA sia
correlata alla temperatura di trattamento. La comparazione con i dati ottenuti a pH
=12.1 su cellule trattate per lo stesso tempo (1 h) a temperature differenti (37 o 0 °C)
mostra una maggiore migrazione del DNA (t di Student's < 0.05) in cellule trattate ad
alta temperatura rispetto a quelle che hanno subito un trattamento a bassa temperatura.
Questi risultati suggeriscono che, mentre le rotture ai filamenti di DNA indotte
direttamente dal 5-nitromegazol sono rilevabili anche con trattamento a bassa
temperatura, l'eccesso di rotture osservate in seguito al trattamento effettuato a
temperature fisiologiche possa derivare da meccanismi di riparazione. D'altra parte, la
formazione di rotture del filamento di DNA potrebbe essere dovuto non soltanto
all’azione degli enzimi di riparazione ma anche alla produzione e al rilascio di radicali
liberi dovuto al danneggiamento dei mitocondri.
L'induzione di danno al DNA sembra essere dovuto anche al tempo di trattamento.
Mentre è stato osservato un aumento significativo di migrazione del DNA in cellule
trattate per 1 ora a basse temperature (0 °C) (fig. 26C), nessun effetto genotossico è
stato rilevato in cellule saggiate per tempi brevi (5 minuti) (tab. 9).
Tab. 9- Danno al DNA riportato come lunghezza totale di migrazione (media ± S.D. di tre esperimenti indipendenti) rilevato dal Comet test effettuato a pH differenti (>13 o 12.1) in leucociti umani trattati con 5-nitromegazol a 0 °C per 5 minuti .
0µg/ml 1µg/ml 2µg/ml 4µg/ml 8µg/ml
pH>13 32.33±1.10 31.78±1.73 31.60±1.05 31.39±0.34 32.44±0.97
pH=12.1 34.24±1.19 35.37±1.11 34.15±0.88 34.03±0.86 33.96±1.09
82
Per meglio comprendere il meccanismo di azione del farmaco, si è proceduto a misurare
il danno ossidativo al DNA utilizzando un protocollo del Comet test modificato che
prevede l’utilizzo di endonucleasi di riparazione batterica (Collins et al., 1997).
In leucociti trattati con benznidazolo o 5-nitromegazol per 1 h a 37°C (fig. 27), è stata
ritrovata una grande quantità di basi pirimidiniche ossidate con un effetto
significativamente magiore (t< 0.05) in cellule trattate con benznidazolo (Comet test
con ENDOIII, pH> 13).
Fig. 27- Danno al DNA rilevato con il Comet test (pH >13) in leucociti umani trattati (37 °C, 1 h) con benznidazolo o 5-nitromegazol. In specifico il danno ossidativi al DNA è stato rilevato con il Comet test modificato per rilevare l’ossidazione alle basi con l’utilizzo di endonucleasi di riparazione batterica (ENDOIII e FPG). L’ossidazione delle basi è espressa come incremento della migrazione del DNA(m) rispetto a quanto rilevato con l’utilizzo del test senza enzimi (media ± S.D. di tre esperimenti indipendenti). * p < di 0.05 rispetto alla dose 0 Il danno ossidativo indotto da 5-nitromegazol è stato misurato anche a pH=12.1 e
analizzato in relazione sia al tempo che alla temperatura di trattamento (fig. 28). Per 1 h
a 37 °C, di trattamento dei la presenza delle basi pirimidiniche ossidate è stata meglio
rilevata usando ENDOIII a pH =12.1 che a pH>13. La procedura con FPG ha rilevato lo
83
presenza di stress ossidativo basale ma non ha ritrovato un aumento significativo di basi
puriniche ossidate dopo il trattamento con 5-nitromegazol. I radicali idrossilici
dovrebbero produrre quantità simili di siti sensibili al FPG e all’ENDOIII all’interno
delle cellule, mentre le nostre procedure sperimentali hanno rilevato soltanto basi
pirimidiniche ossidate. Questo fatto può attribuirsi alle differenze fra le attività delle due
endonucleasi batteriche utilizzate, che hanno mostrato una capacità differente nel
formare basi ossidate in cellule trattate con 50m H2O2 (l'incremento di migrazione del
DNA rispetto alla dose 0 era 42.93 ± 5.66 m per ENDOIII e 14.69± 2.45m per
FPG).
Come osservato in precedenza, non si è osservato nessun incremento significativo di
migrazione del DNA in cellule trattate per 5 minuti a 0 °C usando l'analisi "classica" del
comet. La sensibilità nel rilevare il danno è fortemente aumentata usando il protocollo
del Comet test modificato in cui si utilizza ENDOIII (fig. 28). I dati ottenuti dopo un
breve tempo di esposizione (5 minuti) sono simili a quelli rilevati con il test a pH=12.1
con un tempo di esposizione maggiore (1h) sia a 37°C (fig. 28) e sia a 0 °C (fig.29).
Questi risultati suggeriscono che 5-nitromegazol metta in atto due differenti
meccanismi: un'ossidazione iniziale delle basi del DNA ( dati simili per le esposizioni di
1h e di 5 min quando si utilizza ENDOIII) e una successiva rottura del filamento del
DNA (incremento della migrazione del DNA rilevato dall'analisi "classica" in cellule
trattate per 1h, indipendentemente dalla temperatura di trattamento). Tuttavia, se il
radicale idrossilico è la principale specie reattiva generata dal metabolismo di 5-
nitromegazol, non è chiaro perchè la maggior parte delle basi ossidate siano prodotte
dopo una breve esposizione, mentre la formazione di rotture al filamento e di siti alcalo-
labili sembra richiedere apparentemente un periodo più lungo. In effetti, il radicale
idrossilico produce sia basi ossidate che rotture del DNA. Pertanto, gli effetti
differenziali osservati in relazione al tempo di trattamento non possono essere ascritti
unicamente alla reazione con il DNA dei radicali idrossilici prodotti da 5-nitromegazol.
La comparsa di rotture dei filamenti del DNA potrebbe, ad esempio, derivare da
possibile produzione ritardata di radicali idrossilici a seguito dell’induzione di danno ai
mitocondri. Sarebbe perciò necessario svolgere ulteriori studi per meglio definire i
meccanismi di azione del 5-nitromegazol.
84
Fig. 28- Danno al DNA rilevato mediante il Comet test (pH>13 o pH =12.1) in cellule trattate con 5-nitromegazol (37 °C, 1 h o 0 °C, 5 minuti). Il danno ossidativo generato è rilevato utilizzando endonucleasi batteriche di riparazione (ENDOIII e FPG). Le basi ossidate sono espresse come incremento della migrazione di DNA (m) rispetto ai dati ottenuti nel test senza l’utilizzo di enzimi (media± S.D. di tre esperimenti indipendenti). * p<0.05 rispetto alla dose 0.
85
Fig.29- Danno ossidativo al DNA rilevato mediante l’utilizzo di un protocollo modificato del test della cometa (ENDOIII e pH =12.1) in leucociti trattati con 5-nitromegazol per 1 h a 0°C o 37°C. Le basi ossidate sono espresse come incremento di migrazione del DNA (m) rispetto ai dati ottenuti senza l’utilizzo di enzimi (media± S.D. di tre esperimenti indipendenti). * p<0.05 rispetto alla dose 0.
Il 5-nitroimidazolo-tiosemicarbazone, precursore nella sintesi di 5-nitromegazol, e 4-
nitromegazol, isomero di 5-nitromegazol, sono stati saggiati su leucociti umani
86
(trattamento: 1 h, 37°C). Le cellule sono state analizzate mediante Comet test sia a pH
=12.1 che a pH> 13 (dati non riportati). 4-nitromegazol non appare indurre un aumento
significativo di rotture al filamento di DNA o dar luogo a siti alcalo-labili, mentre 5-
nitroimidazolo-tiosemicarbazone è stato trovato essere più genotossico (P<0,05) di 5-
nitromegazol, con efficacia già alla concentrazione di 1µg/ml.
La capacità del tiosemicarbzone di indurre danno al DNA è stata indagata in modo più
approfondito saggiando con il Comet test il 2(1,3,4-thiadiazole)-5-nitrofurano e, per
comparazione, il suo tiosemicarbazone (fig.30).
Fig. 30 – Danno al DNA rilevato con il Comet test (pH > 13) in leucociti umani trattati (37 °C, 1 h) con 5-nitrofurano-tiosemicarbazone(C1) and 5-nitrofurano-tiadiazolo (C2). Il danno al DNA è espresso come incremento della migrazione del DNA (m) rispetto alla dose 0 (media± S.D. di tre esperimenti indipendenti). I simboli pieni rappresentano differenze significative (p < 0.05) rispetto alla dose 0. * p<0.05 tra le due curve. .
Se da un lato i derivati 5-nitrofuranici sono significativamente (P<0.05) meno
genotossici dei corrispondenti composti 5-nitroimidazolici, viene confermato che la
porzione tiosemicarbazonica è più genotossica del anello tiazolico corrispondente.
Questi risultati, che mostrano come i sostituenti della catena laterale modificano
87
fortemente il potenziale genotossico dei 5-nitrocomposti, sono in accordo con studi
precedenti (Gonzales Borrato et al., 2005) su derivati nitrofuranici e induzione di danno
al DNA.
Il protocollo modificato del Comet test (pH=12.1) per la rilevazione specifica delle basi
ossidate ha indicato che 4-nitromegazol non è in grado di indurre un aumento
significativo di basi danneggiate, mentre il 5-nitroimidazolo-tiosemicarbazone può
produrre danni ossidativi sia a carico delle basi puriniche che di quelle pirimidiniche
(fig. 31). Gli effetti del 5-nitroimidazolo-tiosemicarbazone erano più pronunciati per le
basi pirimidiniche che per quelle puriniche. I risultati ottenuti con 5-nitroimidazolo-
tiosemicarbazone hanno mostrato danni al DNA significativamente (P<0.05) maggiori
che non a seguito del trattamento con 5-nitromegazol.
Fig. 31- Danno ossidativo al DNA rilevato in cellule trattate (37 °C, 1 h) con 5-nitromegazol (a), 5-nitroimidazolo-tiosemicarbazone (b) e 4-nitromegazol (c). Lo specifico danno ossidativo è rilevato mediante il Comet test (pH =12.1) modificato per rilevare le basi ossidate tramite l'ausilio di endonucleasi batteriche di riparazione (ENDOIII e FPG). Le basi ossidate sono espresse come incremento della migrazione del DNA (m) rispetto ai dati ottenuti senza l’utilizzo di enzimi (media± S.D. di tre esperimenti indipendenti). * p<0.05 rispetto alla dose 0.
88
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
È stato osservato il possibile farmaco antiprotozoario 5-nitromegazol reagisce con il
DNA (Poli et al., 2002), inducendo sia rotture al filamento che siti alcalo-labili su
leucociti umani trattati in vitro. La comparazione dei dati ottenuti con il Comet test
effettuato con o senza l’utilizzo dell’enzima batterico di riparazione (ENDOIII) mostra
chiaramente che il meccanismo d’azione di 5-nitromegazol nell’indurre genotossicità
passa attraverso la produzione sia di basi ossidate al DNA, prodotte anche dopo tempi di
esposizione molto brevi, sia di rotture dei filamenti del DNAe siti alcalo labili. Questo è
in accordo con l’ipotesi della produzione di radicali da parte del composto in condizioni
aerobie (Bouteille et al., 1995). Metronidazolo, un altro composto 5-nitroimidazolico,
quando saggiato in linfociti umani usando il Comet test produceva, in condizioni
aerobiche, un incremento significativo di danno al DNA dose-dipendente, mentre
l’appliczione di un antiossidante proteggeva dall’induzione di danno (Re et al., 1997).
Per quanto riguarda il meccanismo di azione, è stato proposto (Re et al., 1997) che i
composti 5-nitroimidazolici inducono danni del DNA durante il cosiddetto ciclo futile,
dove cioè la riduzione ad un elettrone del farmaco porta alla produzione di radicali
nitroanionici che in presenza di ossigeno sono ossidati e possono generare specie
reattive dell'ossigeno (ROS).
La produzione di ROS è stata ampliamente supportata dall’alta capacità dei derivati del
5-nitroimidazolo-tiosemicarbazone di indurre sia basi puriniche che pirimidiniche
ossidate. Il trattamento con il 5-nitroimidazolo-tiosemicarbazone induce danni al DNA
in leucociti umani maggiori rispetto a quelli prodotti da 5-nitromegazol, come indicato
dai nostri risultati ottenuti dal Comet test effettuato con e senza ENDOIII. Quando la
struttura chimica del tiosemicarbazone è assente, i.e. dopo ciclizzazione ossidativa, il
composto mostra una minore attività, come confermato dai risultati ottenuti con il
Comet test in leucociti trattati con 5-nitrofuranotiadiazolo e, per comparazione, con il
suo tiosemicarbazone. Questo suggerisce che la porzione tiosemicarbazonica dia un
importante contributo nel conferire un potenziale genotossico al composto. In effetti, in
un recente studio ESR di questi composti (Rigol et al., 2005) è stato riportato che
derivati tiosemicarbazone nitrofuranici hanno una più alta capacità di essere ridotti e
una maggior capacità di produrre specie radicaliche rispetto al composto parentale
89
nifurtimox. La porzione tiosemicarbazonica conferisce una forte stabilità al radicale
anionico che si forma per riduzione attraverso una vasta delocalizzazione. Inoltre, viene
riportato che un ruolo centrale nel processo di riduzione è giocato dal protone acido
idrazinico del gruppo tiosemicarbazonico, presente nella struttura lineare e non nella
forma ciclica. Tali queste considerazioni contribuiscono a rendere conto dei dati da noi
ottenuti. In aggiunta, data la versatilità della porzione tiosemicarbazonica, possono
essere supposti anche altri tipi di reazioni quali attacchi nucleofili e/o elettrofili con le
basi azotate che potrebbero spiegare altri tipi di danno al DNA. In accordo con studi precedenti (Barry et al., 2004), che motivano l’attività genotossica
come conseguenza della posizione del nitrogruppo, i nostri risultati indicano che il 4-
nitroimidazole, inefficace contro Tripanosoma (Chauviere et al., 2003), è incapace
anche di indurre danni al DNA, almeno nell’intervallo di dosi utilizzato. Questo
suggerisce che dei meccanismi d’azione del 5-nitromegazol contro il parassita siano gli
stessi che agiscono sul DNA di cellule umane.
I nostri risultati sono in linea con il potenziale clastogeno mostrato dal 2-nitroimidazolo
benznidazolo precedentemente trovato sia in vivo che in vitro (Santos et al., 1994).
L'induzione di basi ossidate al DNA da parte di benznidazolo è in accordo con la
produzione delle specie attive dell'ossigeno (Docampo et al., 1984; Enanga et al., 2003)
). É comunque interessante puntualizzare che benzinidazolo, normalmente utilizzato per
il trattamento del morbo di Chagas, è maggiormente attivo rispetto al 5-nitromegazol
nell’indurre rotture al DNA/siti alcalo-labili (circa due volte più attivo) così come danno
ossidativo alle basi del DNA (più di quattro volte).
In conclusione, considerando la tendenza intrinseca dei nitrocomposti ad essere
genotossici, si ritiene importante approfondire gli studi sul ruolo giocato dal nitrogruppo
e dai sostituenti laterali dei composti in esame per ricercare farmaci più sicuri e meno
tossici.
90
Gruppo B: Composti WSP
L’efficacia di WSP934 è stata saggiata in vivo utilizzando modelli animali (topi)
infettati con T. b. brucei STIB 795 e T. b. rhodesiense STIB 900 (Stewart et al., 2004).
WSP 934 risulta efficace in fase precoce su T. b. rhodesiense STIB 795 alla dose di 20
mg/kg per 4 giorni. In questi topi non si sono osservati segni evidenti di tossicità. Nel
modello più impegnativo, STIB 900, in cui il parassita sembra lasciare presto il sistema
vascolare così che il farmaco deve penetrare nei compartimenti extravascolari per
attuare una cura radicale, WSP 934 non è efficace alla dose di 20 mg/kg per 4 giorni,
ma prolunga significativamente l’aspettativa di vita di topi infetti (una media di 35
giorni contro gli 8 giorni di vita dei controlli non trattati, paragonabile a quanto
osservato con pentamidina). In vitro WSP 934 ha dimostrato di avere un’attività
significativamente migliore rispetto a nifurtimox (IC50 contro T. b. brucei = 5.6 µM),
con valori di IC50 = 0.23 µM contro T. b. brucei e IC50 = 0.025 µM contro T. b
rhodesiense. WSP 1025 ha mostrato un’attività antiparassitaria simile a WSP934
(Stewart et al., 2004). Gli altri composti sono in fase di sperimentazione.
Per valutare l’attività genotossica di WSP 934 e WSP 1025 si è proceduto al trattamento
in vitro di leucociti umani (1 ora, 37° C). Per confronto, le cellule sono state trattate
anche con benznidazol (BZ). Il danno al DNA è stato valutato anche mediante Comet
test modificato, utilizzando due enzimi, FPG ed ENDOIII, in grado di evidenziare
specificamente il danno ossidativo alle basi, eventualmente indotto dall’esposizione ai
farmaci. Per meglio valutare il tipo di danno al DNA causato da WSP 934 e WSP 1025
si è proceduto anche ad utilizzare due diversi pH (pH = 12.1 e pH > 13) durante il
processo di “unwinding” e di corsa elettroforetica del DNA.
Citotossicità
Nessuno dei composti saggiati appare in grado di alterare significativamente la
sopravvivenza dei leucociti (tab.10) e l’induzione di cellule “ghost” (tab.11) dopo
elettroforesi a pH = 12.1 o pH > 13.
91
Tab.10- Sopravvivenza cellulare in leucociti umani trattati con WSP 934, WSP 1025 e benznidazol (BZ)
a 37°C per 1h.
Tab.11-Presenza di cellule ghost (GC) rilevata mediante Comet test, a pH > 13 (A) o a pH = 12.1 (B), in
leucociti umani trattati con WSP 934 e WSP1025 a 37°C per 1h. Media (±SD) di tre esperimenti
indipendenti.
Genotossicità
I valori della migrazione del DNA rilevati con il Comet test a pH > 13 (tab. 12)
indicano una certa efficacia di WSP 1025, con minima dose efficace (LED) a 2 µg/ml
(P<0.05, C di Dunnett), mentre non sono rilevabili effetti significativi per WSP 934.
A B
Dose (µg/ml) GC (%) GC (%) WSP 934 WSP 1025 WSP 934 WSP 1025 0 4 ± 4 4 ± 1 1 ± 1 4 ± 2 1 9 ± 1 8 ± 1 3 ± 3 6 ± 1 2 9 ± 4 11 ± 4 5 ± 2 5 ± 1 4 5 ± 1 9 ± 5 3 ± 1 3 ± 1 8 7 ± 2 11 ± 5 3 ± 1 6 ± 2
Dose (µg/ml) Sopravvivenza cellulare (%)
WSP 934 WSP 1025 BZ
0 97 ± 3 97 ± 3 97 ± 1 1 98 ± 2 97 ± 2 99 ± 1 2 98 ± 2 97 ± 1 97 ± 2 4 97 ± 4 96 ± 2 98 ± 1 8 98 ± 1 96 ± 3 97 ± 2 10 98 ± 1
92
Tab.12- Danno al DNA rilevato mediante Comet test, a pH > 13 (A) o a pH = 12.1 (B), in leucociti umani trattati con
WSP 934, WSP 1025 e benznidazol (BZ) a 37°C per 1h. Sono riportate le medie (±SD) di tre esperimenti
indipendenti dei valori mediani della lunghezza di migrazione (TL). * indica la dose efficace più bassa (P<0.05). (ND
= non determinato) A
Dose (µg/ml) TL Mediano (µm)
WSP 934 WSP 1025 BZ 0 39.3 ± 4.7 39.3 ± 4.7 31.7 ± 1.0 1 35.0 ± 1.0 39.3 ± 3.7 36.0 ± 1.0*
2 34.3 ± 0.8 47.2 ± 0.7* ND 4 35.5 ± 1.2 50.6 ± 4.2 38.3 ± 1.6 8 40.8 ± 4.9 48.3 ± 3.6 42.8 ± 1.2 47.1 ± 1.3
B
Dose (µg/ml) TL Mediano (µm)
WSP 934 WSP 1025 BZ 0 38.4 ± 3.0 38.4 ± 3.0 ND 1 35.8 ± 2.5 41.9 ± 3.2 ND 2 36.9 ± 0.8 40.1 ± 2.9 ND 4 35.8 ± 2.0 39.6 ± 2.8 ND 8 43.2 ± 4.9 40.2 ± 3.9 ND
È da rimarcare il particolare andamento della curva dose-risposta per WSP 1025: dopo
un incremento significativo della migrazione già alle dosi più basse, non si osservano
ulteriori incrementi al crescere della dose. Il fenomeno può essere giustificato con due
diverse ipotesi:
un aumento della tossicità al crescere della dose in grado di indurre eventi
apoptotici/necrotici, con un’“eliminazione” di cellule con danni al DNA e
conseguentemente una sottostima del danno stesso;
la presenza di diversi meccanismi d’azione sul DNA da parte del composto in
relazione alla dose. In particolare, a basse dosi, il trattamento potrebbe portare
all’induzione di danni (monoaddotti, siti abasici, danno ossidativo) riconducibili alla
presenza di siti alcalo-labili, mentre, a dosi crescenti, potrebbe legarsi covalentemente in
93
due siti (biaddotti) con formazione di cross-link (DNA-DNA, DNA-proteine) e
conseguente minor migrazione elettroforetica del DNA.
Tenendo in considerazione i dati relativi alla sopravvivenza cellulare e all’induzione di
cellule “ghost”, la prima ipotesi sembra poco probabile. Per verificare la seconda sarà
necessario procedere con un protocollo specifico del Comet test per il rilevamento di
cross-link.
Dal confronto con benznidazol (Tab.12) si evince che WSP 1025 ha una capacità
genotossica simile a BZ (LED = 1 µg/ml, P < 0.05), con un incremento della
migrazione del DNA per unità di dose pari a 1.47 e 1.75 per il composto “nuovo” e
“vecchio” rispettivamente.
L’utilizzo del Comet test a pH = 12.1, in grado di evidenziare solo le rotture già presenti
dei filamenti, non evidenzia alcun incremento significativo della migrazione del DNA
(Tab.12). Tali risultati sono messi a confronto per WSP 934 e WSP 1025 ben
evidenziando (analisi della regressione) l’assenza di effetti rilevabili.
La capacità del Comet test di mettere in evidenza specifici danni al DNA in relazione al
pH utilizzato, suggerisce che WSP 1025 non sia in grado di indurre direttamente rotture
dei filamenti (assenza di effetti significativi a pH = 12.1), ma sia piuttosto capace di
interagire con il DNA con la formazione di siti alcalo-labili (ed eventualmente cross-
link).
Nell’insieme dei tipi di danno al DNA riconducibili alla presenza di siti alcalo-labili, è
possibile rilevare specificamente il danno ossidativo mediante l’utilizzo delle glicosilasi
con funzione liasica FPG ed ENDOIII nel protocollo del Comet test.
Entrambi gli enzimi hanno evidenziato (Tabella 13) il danno ossidativo endogeno
presente nei leucociti alla dose 0 ( P < 0.05, C di Dunnett, presenza/assenza di enzimi).
FPG risulta non evidenziare effetti ossidativi specificamente a carico delle basi
puriniche anche dopo trattamento con WSP 934 e WSP 1025, mentre la presenza di
ENDOIII permette il rilevamento di danno ossidativo (P < 0.05, C di Dunnett) in
cellule trattate con WSP1025. Per il composto WSP 934 non si evidenziano effetti
94
ossidativi significativi nemmeno a carico delle pirimidine (+ENDOIII); in relazione al
trattamento, infatti, non si osservano incrementi della migrazione del DNA rispetto alla
dose 0 significativamente differenti da quelli rilevati con il Comet senza enzimi.
Tab.13- Danno al DNA in leucociti umani trattati con WSP 934 e WSP 1025 a 37°C per 1h rilevato mediante Comet
test a pH=12.1, senza (controllo) o con glicosilasi con funzione liasica (ENDOIII e FPG). Sono riportate le medie ±
SD (tre esperimenti indipendenti) dei valori mediani della lunghezza di migrazione (TL). * indica differenze
significative rispetto alla dose 0 (P<0.05).
WSP 934
Dose (µg/ml) TL Mediano (µm) Controllo + ENDOIII +FPG 0 38.4 ± 3.0 47.8 ± 1.9 44.5 ± 3.1 4 35.8 ± 2.0 44.2 ± 2.0 47.3 ± 6.3 8 43.2 ± 4.9 49.7 ± 2.6 47.9 ± 3.0
WSP 1025
Dose (µg/ml) TL Mediano (µm)
Controllo + ENDOIII +FPG 0 38.4 ± 3.0 47.8 ± 1.9 44.5 ± 3.1 4 39.6 ± 2.8 66.3 ± 4.1* 45.7 ± 3.0 8 40.2 ± 3.9 64.2 ± 3.9* 47.0 ± 0.2
95
L’insieme di questi risultati suggerisce che:
WSP 1025 sia in grado di indurre ossidazione delle basi pirimidiniche, con un
aumento significativo di TL a pH = 12.1, condizione in cui non è evidenziabile alcun
tipo di danno in assenza della glicosilasi;
l’incremento della migrazione del DNA, evidenziata a pH > 13 anche dal Comet
test senza ENDOIII, derivi da rotture del DNA a livello dei siti alcalo-labili, dovuti
essenzialmente ad ossidazione delle basi da parte di WSP 1025.
A seguito dei risultati ottenuti, si è proceduto abbandonando lo studio di WSP1025 per
indagare meglio l’azione di WSP934 (nitrofurano che non presenta sostituzione degli H
aminici) e dei suoi derivati (WSP 1393, derivato di WSP934 con sostituzione di un H
aminico con una catena carbossilica, WSP 939, composto con la stessa struttura di
WSP934 ma privo del nitrogruppo e che non mostra alcuna efficacia terapeutica). Si è
confrontata la capacità genotossico-mutagena e i meccanismi d’azione di composti di
nuova sintesi con nifurtimox, il farmaco nitrofuranico contro le tripanosomiasi
attualmente in uso. Si sono evidenziati gli effetti legati a variazioni della struttura e si è
valutato l’importanza del nitrogruppo. A tal fine sono stati utilizzati il test di reversione
batterica su Salmonella, il Comet test su leucociti umani, il test dei micronuclei.
NIFURTIMOX
Test di reversione in Salmonella typhimurium:
Nifurtimox risulta attivo in tutti i ceppi di Salmonella saggiati; è più attivo con il ceppo
TA100 (sostituzione di base) rispetto al TA98 (frameshift). S9 detossifica debolmente
(ceppi TA98 e TA1535). L’azione mutagena del farmaco risulta essenzialmente legata
alla riduzione del nitrogruppo (come si può osservare nei grafici relativi ai ceppi
TA98NR e TA100NR).
96
TA98NR
0
50
100
150
200
250
0 20 40 60 80 100Dose (µg /piastra)
reve
rten
ti
- S9
TA98
0
50
100
150
200
250
0 20 40 60 80 100Dose (µg/p iastra)
reve
rten
ti
- S9+S9
TA100
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
0 20 40 60 80 100Dose (µg /p iastra )
reve
rten
ti
- S9+S9
TA100NR
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
0 20 40 60 80 100Do se (µg /p iastra )
reve
rten
ti
- S9
TA1535
0
50
100
150
0 20 40 60 80 100Dose (µg /piastra )
reve
rtent
i
- S9+S9
97
Citotossicità a breve termine (1h) e Comet test:
Il trattamento non induce tossicità evidente su leucociti nell’intervallo di dose 0-100
µg/ml come si può osservare dai dati relativi alla sopravvivenza cellulare e
all’induzione di cellule ghost (GC). Nifurtimox induce un danno significativo al DNA
per dosi ≥4µg/ml.
Dose(µg/ml) Sopravvivenza (%) GC (%) TL (µm) ***p<0.001
0 94.3±1.0 2.3±1.0 32.20±1.62
1 94.5±1.5 3.5±1.5 33.07±1.05
2 95.0±2.0 3.0±1.0 33.94±0.73
4 96.5±0.5 3.0±1.0 36.07±0.40***
8 94.5±1.5 1.5±0.5 37.44±1.18***
16 95.5±0.5 3.5±0.5 38.79±0.25***
25 94.5±0.5 1.5±0.5 41.11±0.58***
50 95.0±2.0 2.5±0.5 42.95±1.70***
100 94.5±0.5 4.5±0.5 46.35±0.48***
N FX
0
10
20
30
40
50
60
70
0 ,1 1 10 100 1000
d ose (µg/m l)
TL
med
iano
(µm
)
T L G C
60
70
50
40
20
30
10
GC
(%)
TL m
edia
no (µ
m)
98
Test dei Micronuclei:
Nell’intervallo di dose 0-8µg/ml non è stato rilevato né un significativo aumento nella
frequenza dei micronuclei né un’alterazione dell’indice di divisione nucleare (NDI). Per
dosi ≥16µg/ml è stato osservata una riduzione significativa dell’indice di divisione
nucleare. Un incremento significativo di micronuclei è stato osservato solo alla dose
100µg/ml.
Dose (µg/ml) NDI NDI (%) MN (x10-3 BN) §0 1.97±0.10 100 2.0±0.5 0.5 1.95±0.12 99±6 2.5±0.5 1 1.97±0.07 100±1 2.0±1.0 2 1.89±0.05 96±3 3.0±1.0 4 1.85±0.06 94±3 2.5±0.5 8 1.75±0.10 89±5 3.0±0.5 16 1.69±0.04* 86±2* 3.0±1.0 25 1.61±0.10* 82±5* 4.0±0.5 50 1.43±0.03* 73±2* 9.0±1.0 100 1.41±0.02* 72±1* 12.0±1.0* § Corrispondente a 1.6µl/ml DMSO; * p<0.05; MN nei controlli positivi: 26.0±4.0 e 15.0±1.4 per 6µg/ml bleomicina
e 0.3µg/ml demecolcina rispettivamente.
0.0
0.5
1.0
1.5
2.0
2.5
0.1 1 10 100Dose (µg/ml)
ND
I
0
5
10
15
0.1 1 10 100Dose (µg/ml)
MN
/100
0 ce
ll. b
inuc
leat
e
99
Citotossicità a lungo termine:
Linfociti in coltura (Lymph) e cellule della linea U937 trattati per 24 ore, e
successivamente valutati mediante MTS, non hanno evidenziato effetti tossici
significativi.
µg/ml 0 2 4 8 16 25
Lymph 0.541±0.004 0.566±0.005 0.595±0.066 0.657±0.010 0.616±0.062 0.589±0.024
U937 0.805±0.029 0.722±0.110 0.714±0.016 0.704±0.089 0.775±0.006 0.778±0.117
Lin fo c iti
0 ,0
0 ,5
1 ,0
1 ,5
0 10 20 30µg /m l
Ass
orba
nza
(450
nm)
U 937
0 ,0
0 ,5
1 ,0
1 ,5
0 10 20 30µg /m l
Ni fu r tim o xsem in a ce l l .
Ass
orba
nza
(450
nm)
100
WSP 934
Test di reversione in Salmonella typhimurium:
WSP 934 risulta attivo in tutti i ceppi di Salmonella saggiati; è più attivo con il ceppi
TA100 e TA1535 (sostituzione di base) rispetto al TA98 (frameshift). S9 detossifica
parzialmente, specialmente nel caso del ceppo TA100. Nei ceppi TA98NR e TA100NR
la mancanza della funzione nitroriduttasica non sembra diminuire il potenziale
mutageno. Inoltre, in TA100 la nitroriduzione del composto induce citotossicità sopra i
20µg/piastra. Tale tossicità non è più così evidente nel ceppo TA100NR per il quale si
osserva un incremento dei revertenti anche al di sopra di questa dose. Questi risultati
suggeriscono la presenza di un meccanismo mutageno differente dalla nitroriduzione.
TA100
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
0 20 40 60 80 100Dose (µg/p iastra)
reve
rten
ti
- S9+S9
TA100NR
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
0 20 40 60 80 100Dose (µg /piastra)
reve
rten
ti
- S9
TA98NR
0
50
100
150
200
250
0 20 40 60 80 100Dose (µg /piastra)
reve
rten
ti
- S9
TA98
0
50
100
150
200
250
0 20 40 60 80 100Dose (µg/p iastra)
reve
rten
ti
- S9+S9
TA1535
0
50
100
150
0 20 40 60 80 100
Dose (µg /p iastra)
reve
rten
ti
- S9+S9
101
Citotossicità a breve termine (1h) e Comet test:
Il trattamento non induce tossicità evidente su leucociti nell’intervallo di dose 0-
100µg/ml come si può osservare dai dati relativi alla sopravvivenza cellulare e
all’induzione di cellule ghost (GC). WSP 934 non induce un danno significativo al
DNA per dosi ≤ 8µg/ml.
Dose (µg/ml) Sopravvivenza (%) GC (%) TL (µm)
0 97±3 4.2±3.8 32.99±2.43
1 96±2 4.6±1.4 31.27±1.03
2 98±1 3.2±2.4 30.70±2.80
4 97±4 4.7±1.4 33.34±1.23
8 98±1 3.7±1.3 31.15±2.90
16 97±1 3.5±0.5 39.77±0.07**
25 97±2 2.5±0.5 42.54±1.48***
50 98±2 5.5±0.5 50.48±1.48***
100 97±1 3.5±0.5 65.72±1.70*** ** p<0.01; *** p<0.001
W SP 934
0
10
20
30
40
50
60
70
0 ,1 1 10 100 1000
dose (µg/m l)
TL
med
iano
(µm
)
T L G C
60
70
50
40
20
30
10
GC
(%)
TL m
edia
no (µ
m)
102
Test dei Micronuclei:
Nell’intervallo di dose 0-8µg/ml non è stato rilevato né un significativo aumento nella
frequenza dei micronuclei né un’alterazione dell’indice di divisione nucleare. Per dosi
≥16µg/ml è stato osservata una riduzione significativa dell’indice di divisione nucleare:
a 100µg/ml le cellule non sono in grado di procedere nel ciclo cellulare. Un incremento,
anche se non significativo, della frequenza dei micronuclei è stato rilevato alla dose
25µg/ml con successivo decremento del numero dei micronuclei dovuto all’aumento
della tossicità. Dose (µg/ml) NDI NDI (%) MN (x10-3 BN) §0 1.70±0.08 100 3.5±1.5 0.5 1.68±0.10 98.7±5.8 3.5±0.7 1 1.64±0.14 96.8±8.4 5.0±1.4 2 1.67±0.15 98.1±9.1 3.0±1.4 4 1.73±0.08 101.7±5.2 4.5±0.7 8 1.60±0.12 94.2±7.1 4.0±1.4 16 1.19±0.06* 70.3±2.4* 5.0±0.7 25 1.10±0.10* 64.9±2.3* 10.5±0.7 50 1.08±0.05* 63.8±1.6* 3.5±0.7 100 1.01±0.02* 59.5±4.8* ND § Corrispondente a 1.6µl/ml DMSO. Frequenze di MN nei controlli positivi: 15.0±2.8 e 15.0±1.4 per 120µg/ml
etilmetan sulfonato e 0.3µg/ml demecolcina rispettivamente.
0,0
0,5
1,0
1,5
2,0
2,5
0,1 1 10 100Dose (µg/ml)
ND
I
ND
0
5
10
15
0,1 1 10 100Dose (µg/ml)
MN
/100
0 ce
ll. b
inuc
leat
eM
N/1
000
cell.
bin
ucle
ate
103
Citotossicità a lungo termine
I dati non hanno evidenziato effetti significativi in linfociti mentre si osserva un
decremento nelle cellule U937. È possibile supporre che il composto agisca durante la
fase mitotica cellulare. Infatti, durante le 24 ore di trattamento, i linfociti non si
dividono mentre le U937 raddoppiano. I dati in U937 evidenziano un andamento
asintotico in relazione alla concentrazione cellulare di semina. Ciò suggerisce un effetto
più di tipo citostatico che non citotossico, ipotesi peraltro in accordo con quanto rilevato
nel test dei micronuclei in relazione all’indice di divisione.
µg/ml 0 2 4 8 16 25
Lymph 0.541±0.004 0.535±0.061 0.524±0.051 0.561±0.009 0.434±0.008 0.488±0.012
U937 0.805±0.029 0.683±0.096 0.655±0.009 0.609±0.023 0.602±0.040 0.584±0.077
Lin fo c iti
0 ,0
0 ,5
1 ,0
1 ,5
0 10 20 30µg /m l
Ass
orba
nza
(450
nm)
U 937
0 ,0
0 ,5
1 ,0
1 ,5
0 10 20 30µg /m l
WSP934sem in a ce l l .
Ass
orba
nza
(450
nm)
104
WSP 1393
Test di reversione in Salmonella typhimurium:
WSP 1393 ha una debole attività (la dose efficace più bassa per TA98 è 250µg/ml e per
TA100 e TA1535 è 80µg/ml). La già debole mutagenicità diminuisce ulteriormente in
presenza di S9 e in assenza di nitroriduzione (ceppi NR).
TA98NR
0
50
100
150
200
250
0 100 200 300Dose (µg /piastra)
reve
rten
ti
- S9
TA98
0
50
100
150
200
250
0 100 200 300Do se (µg/p iastra)
reve
rten
ti
- S9+S9
TA100
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
0 100 200 300Dose (µg /p iastra)
reve
rtent
i
- S9+S9
TA100NR
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
0 100 200 300Do se (µg /p iastra)
reve
rtent
i
- S9
TA1535
0
50
100
150
0 100 200 300Dose (µg /piastra)
reve
rten
ti
- S9+S9
105
Citotossicità a breve termine (1h) e Comet test:
WSP 1393 non induce tossicità nell’intervallo di dosi 0-100µg/ml. La prima dose
efficace per il danno al DNA è 16µg/ml, con un incremento della migrazione del DNA
minore rispetto a quello rilevato alla stessa dose per WSP 934.
Dose (µg/ml) (%) GC (%) TL (µm)
0 93±3 2.5±1.4 32.20±1.06
1 96±2 2.5±0.5 33.52±0.29
2 96±1 0.5±0.5 31.97±1.40
4 95±1 1.0±0.0 32.09±1.25
8 93±1 2.0±0.0 31.85±1.59
16 93±2 1.0±0.0 35.40±0.03*
50 94±2 1.5±0.5 39.35±0.20***
100 90±1 2.0±1.0 38.03±3.16*** * p<0.05; ***p<0.001
W SP 1393
0
10
20
30
40
50
60
70
0 ,1 1 10 100 1000
dose (µg/m l)
TL
med
iano
(µm
)
T L G C
60
70
50
40
20
30
10
GC
(%)
TL m
edia
no (µ
m)
106
Test dei Micronuclei:
Nell’intervallo di dose 0-100µg/ml non è stato rilevato né un significativo aumento
nella frequenza dei micronuclei né un’alterazione dell’indice di divisione nucleare. Dose (µg/ml) NDI NDI (%) MN (x10-3 BN) §0 1.95±0.12 100 2.0±1.0 0.5 1.96±0.12 101±6 1.5±0.5 1 1.86±0.04 95±2 2.5±0.7 2 1.70±0.12 87±7 2.0±1.0 4 1.88±0.09 96±4 2.0±0.7 8 1.85±0.09 94±5 1.5±0.5 16 1.80±0.03 92±2 1.5±0.7 25 1.76±0.09 90±5 2.5±0.7 50 1.80±0.10 92±5 2.0±1.0 100 1.70±0.13 87±7 1.5±0.7
§ Corrispondente a 1.6µl/ml DMSO. Frequenze di MN nei controlli positivi: 15.0±2.8 e 15.0±1.4 per 120µg/ml
etilmetan sulfonato e 0.3µg/ml demecolcina rispettivamente.
0,0
0,5
1,0
1,5
2,0
2,5
0,1 1 10 100Dose (µg/ml)
ND
I
0
5
10
15
0,1 1 10 100Dose (µg/ml)
MN
/100
0 ce
ll. b
inuc
leat
eM
N/1
000
cell.
bin
ucle
ate
107
Citotossicità a lungo termine:
Dopo 24 ore di trattamento non si rilevano effetti significativi né in linfociti né in
U937.
µg/ml 0 2 4 8 16 25
Lymph 0.541±0.004 0.578±0.027 0.618±0.011 0.573±0.038 0.605±0.047 0.574±0.027
U937 0.805±0.029 0.792±0.029 0.718±0.058 0.780±0.025 0.817±0.079 0.780±0.016
Lin fo c it i
0 ,0
0 ,5
1 ,0
1 ,5
0 1 0 2 0 3 0µg /m l
Ass
orba
nza
(450
nm)
U 93 7
0 ,0
0 ,5
1 ,0
1 ,5
0 1 0 2 0 3 0µg /m l
WSP939
sem in a ce l l .
Ass
orba
nza
(450
nm)
108
WSP 939
Test di reversione in Salmonella typhimurium:
Si osserva la mancanza di attività mutagena nell’intervallo di dosi utilizzate. Si osserva
tossicità alla concentrazione di 1000µg/ml del composto.
TA1535
0
50
100
150
0 20 40 60 80 100Dose (µg /plate )
reve
rten
ti
- S9+S9
TA100
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
0 250 500 750 1000Dose (µg /plate )
reve
rten
ti
- S9+S9
TA100NR
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
0 250 500 750 1000Dose (µg/p late )
reve
rten
ti
- S9
109
Citotossicità a breve termine (1h) e Comet test:
Non si rileva attività nell’intervallo di dosi 0-100µg/ml. Non è stato possibile
aumentare ulteriormente la dose poiché oltre 100µg/ml il composto non era più
completamente solubilizzato.
Dose (µg/ml) Sopravvivenza (%) GC (%) TL (µm)
0 91.0±2.9 3.3±1.5 32.11±1.03
2 90.5±0.5 3.0±1.0 33.20±1.02
4 92.0±1.0 2.5±0.5 32.53±0.73
8 93.5±0.5 3.0±1.0 32.49±0.54
16 93.5±2.5 3.5±0.5 33.71±0.98
25 92.5±0.5 2.5±0.5 33.07±0.13
50 89.0±1.0 3.5±0.5 32.78±0.30
100 94.0±1.0 2.5±0.5 33.73±2.22
W S P 939
0
10
20
30
40
50
60
70
0,1 1 10 100 1000
do se (µg/ml)
TL
med
iano
(µm
)
T L G C
60
70
50
40
20
30
10
GC
(%)
TL m
edia
no (µ
m)
110
Citotossicità a lungo termine
Non si osservano effetti tossici nei tipi cellulari saggiati.
µg/ml 0 2 4 8 16 25
Lymph 0.541±0.004 0.580±0.028 0.622±0.046 0.578±0.009 0.620±0.016 0.591±0.013
U937 0.805±0.029 0.861±0.019 0.781±0.099 0.864±0.027 0.791±0.143 0.829±0.101
Lin fo cit i
0 ,0
0 ,5
1 ,0
1 ,5
0 1 0 2 0 3 0µg /m l
Ass
orba
nza
(450
nm)
U 9 3 7
0,0
0,5
1,0
1,5
0 1 0 2 0 3 0µg /m l
WSP939
sem i n a c e l l .
Ass
orba
nza
(450
nm)
111
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Il progresso nello sviluppo di nuovi composti terapeutici può essere ottenuto oltre che
con l’identificazione del bersaglio anche con la loro validazione mediante strumenti
chimici e biologici. Inoltre, sulla base di una miglior conoscenza della modalità
d’azione del composto, possono essere sviluppati farmaci contemporaneamente più
efficaci e più sicuri.
È nota la suscettibilità dei protozoi parassiti, come Trypanosoma, a composti
nitroeterociclici, ma anche la difficoltà nello sperimentare tali composti in saggi clinici
a causa della loro tossicità. Risulta perciò di particolare importanza la messa a punto e
l’utilizzo di test in vitro rapidi ma in grado di evidenziare meccanismi d’azione specifici
e porzioni della molecola particolarmente attive.
Questi composti sono stati ottenuti legando composti (ad es nitrofurani), la cui attività
antiparassitaria è ampiamente dimostrata, a substrati (ad es. triazina) specifici per il
trasportatore purinico P2, e quindi in grado di essere rapidamente trasportati all’interno
del parassita. La buona attività antiparassitaria (fino a 50 volte quella rilevata per
nifurtimox in T. brucei), dimostrata da WSP 934 e WSP 1025 sia in vitro che in modelli
murini (Stewart et al., 2004), ha suggerito ulteriori ricerche, da un lato per meglio
conoscere la loro capacità di interagire con la cellula ospite, dall’altro per valutare i
meccanismi alla base della loro azione.
In base a ciò si sono valutati inizialmente gli effetti sul DNA di queste due molecole
WSP 934 e WSP 1025. Poiché molti composti nitroeterociclici sono noti per esercitare
la loro azione attraverso stress riduttivi o stress ossidativi, anche per questi composti
abbiamo rilevato specificamente il danno ossidativo al DNA.
I risultati hanno indicato che WSP 1025 risulta genotossico e che la natura di tale effetto
è essenzialmente legata ad un danno di tipo ossidativo, con eventuale formazione di
cross-link alle dosi più alte.
L’altro composto, WSP 934, non sembra invece presentare effetti significativi sul DNA
fino a dosi <16µg/ml, più di 30 volte maggiore della dose efficace sul parassita. La
mancata induzione di danno ossidativi in questo range è in buon accordo con i dati
ottenuti precedentemente che indicavano come NAC (N-acetilcisteina) non avesse
alcuna azione antagonista verso WSP 934 (comunicazione personale). Questi risultati
112
evidenziano, e confermano, come anche minime alterazioni della struttura chimica
possano alterare alcune attività biologiche ma non altre: WSP 934 e il suo derivato
metilato WSP1025 hanno, in vitro, attività antiparassitaria molto simile, tuttavia il
secondo induce genotossicità in cellule di mammifero a dosi molto più basse.
In seguito sono stati saggiati, comparandoli con nifurtimox, due derivati di WSP934,
WSP 1393, WSP 939, utilizzando non solo il Comet test ma anche differenti test di
mutagenesi a breve termine in grado di fornire differenti informazioni.
I dati relativi al Test di reversione in Salmonella typhimurium, suggeriscono diversi
meccanismi d’azione per le molecole in esame. I dati ottenuti indicano che
generalmente composti nitrofuranici sono in grado di indurre sostituzione di basi
(TA100) piuttosto che intercalarsi con le basi del DNA inducendo delezioni/inserzioni
di basi (TA98). Inoltre viene confermata una frequenza di mutazione più alta nel ceppo
TA100 rispetto a TA1535 (ceppo privo del plasmide pKM101): l’intensa attività del
sistema di riparazione “error prone” del plasmide presente in TA100 permette una
maggior sopravvivenza anche in cellule mutate.
Si può osservare come generalmente la frazione microsomale S9 riduca l’effetto
tossico/mutageno, indicando che i composti nitroeterociclici in esame agiscono come
mutageni diretti e che la loro idrossilazione porta ad una minor efficacia biologica
(WSP 934 e WSP1393 sono detossificati sia a livello di mutagenicità che a livello di
citotossicità). Tuttavia l’attivazione metabolica non sembra alterare il potenziale di
nifurtimox.
Sono evidenti differenze nella potenza mutagena delle varie molecole in relazione alla
loro struttura. WSP 934 e NFX inducono in TA100 un incremento significativo della
frequenza dei revertenti già a dosi relativamente basse (5µg/piastra). In batteri trattati
con WSP 1393 si osserva un raddoppio della frequenza di reversione solo a
80µg/piastra. In assenza del nitrogruppo (WSP 939) non si rileva induzione di effetti
mutageni nell’intervallo di dosi al di sotto del limite di tossicità (1000µg/piastra). In
conclusione si può affermare che nifurtimox e WSP 934 sono entrambi fortemente
mutageni e citotossici nel ceppo TA100.
Importante è osservare come la riduzione del nitrogruppo aumenti la capacità tossico-
mutagena in NFX ma non in WSP 934, per il quale l’efficacia biologica sembra legata a
meccanismi diversi dall’attività nitroriduttasica dei batteri. La debole attività mutagena
113
di WSP 1393, peraltro detossificata da S9, sembra completamente dipendente dalla
nitroriduzione.
Dai risultati relativi al Comet test su leucociti (fig.32), è emerso che il nifurtimox
induce un incremento significativo del danno al DNA per dosi ≤4µg/ml, mentre i
composti WSP 934 e WSP 1393 inducono danno al DNA per dosi >8µg/ml. WSP 939
non induce alcun effetto fino al limite di solubilità (100µg/ml). WSP 1393 è meno
efficace del nifurtimox in accordo con i risultati dei test su Salmonella. WSP 934 è più
attivo di nifurtimox alle dosi più alte.
L’efficacia dei nuovi composti WSP 934 e WSP 1393 a dosi più alte rispetto al
nifurtimox potrebbe dipendere dal processo di detossificazione legato alla presenza
residua del complesso citocromo P450 nelle cellule. Questa ipotesi è supportata anche
Comet assay
-10
0
10
20
30
40
0,1 1 10 100 1000
dose (µM )
Incr
emen
to d
ella
mig
razi
one
del D
NA (µ
m)
WSP934WSP1393NFXWSP939
Incr
emen
to d
ella
mig
razi
one
del D
NA
(µm
)
Fig.32 - Incremento della migrazione del DNA in leucociti umani nelle differenti molecole analizzate
114
dai dati ottenuti in Salmonella che mettono in evidenza come la presenza di S9 porti ad
una detossificazione dei nuovi composti ma non di nifurtimox.
L’indice di divisione nucleare (NDI) (Fig.33) rilevato mediante il Test dei Micronuclei
non viene alterato in linfociti trattati con WSP 1393, ma decresce significativamente
nel trattamento con nifurtimox e WSP 934. L’induzione dei micronuclei (MN) è stata
osservata solo per il nifurtimox alla dose massima di solubilità (100µg/ml in DMSO).
Nel caso di WSP 934 si riscontra un incremento dei MN non significativo seguito poi
da un forte decremento derivante dal blocco della divisione nucleare.
Fig. 33 - Indice di divisione nucleare (NDI) rilevato mediante il Test dei Micronuclei nelle differenti molecole analizzate
Nuclear Division Index
0
20
40
60
80
100
120
0.1 1 10 100 1000dose (µM)
ND
I (%
)
WSP934WSP1393NFX
Micronuclei Assay
-5
0
5
10
15
0 100 200 300 400
dose (µM)
Incr
emen
to d
i MN
(x 1
03 BN
)
WSP934WSP1393NFX
115
Non si sono osservati effetti tossici significativi su linfociti in coltura trattati per 24h
con i diversi composti (nifurtimox e WSP 934, 939, 1393) quando misurati con il Test
di Citotossicità a lungo termine (fig.34).
Poiché durante le 24 ore di trattamento i linfociti non erano in grado di dividersi, per
valutare gli effetti su cellule in mitosi, lo stesso test è stato eseguito sulla linea cellulare
U937, in grado di duplicarsi nelle 24 ore.
Fig. 34- Effetti tossici su linfociti in coltura e cellule U937 trattati per 24h con i diversi composti (nifurtimox e
WSP934, 939, 1393) misurati con il test di Citotossicità a lungo termine.
In queste cellule si può evidenziare il diverso comportamento di WSP 934 rispetto alle
altre molecole. L’osservazione del particolare andamento della curva suggerisce un
effetto più di tipo citostatico che non citotossico, ipotesi peraltro in accordo con quanto
rilevato nel test dei micronuclei in relazione all’indice di divisione.
Linfociti
0.0
0.5
1.0
1.5
0 50 100 150Dose (µM)
Ass
orba
nza
(450
nm)
WSP934WSP1393NifurtimoxWSP939cell seeding
U937
0.0
0.5
1.0
1.5
0 50 100 150Dose (µM)
Ass
orba
nza
(450
nm)
WSP934WSP1393NifurtimoxWSP939cell seeding
24 h 24 h
116
In effetti, in linfociti trattati per 48 ore, (fig.35) che potevano perciò duplicarsi, è stato
trovato un andamento simile a quello evidenziato in cellule U937. Tuttavia, sono
necessari ulteriori studi al fine di aumentare le conoscenze sul meccanismo d’azione di
questo composto e così meglio definire le sue modalità di interazione con la funzionalità
cellulare
Fig. 35- Effetti tossici su linfociti in coltura trattati per 48h con i diversi composti (nifurtimox e WSP 934, 939, 1393)
misurati con il test di Citotossicità a lungo termine.
La chemioterapia della malattia del sonno è ad oggi un campo ancora aperto. Il
progresso nello sviluppo di nuovi composti terapeutici può essere ottenuto oltre che con
l’identificazione del bersaglio anche con la loro validazione mediante strumenti chimici
Linfociti
0.0
0.5
1.0
1.5
0 20 40 60 80 100 120Dose (µM)
Ass
orba
nza
(450
nm)
WSP934WSP1393NFXWSP939cell seeding
48 h
117
e biologici. Inoltre, sulla base di una miglior conoscenza del modo d’azione del
composto, possono essere sviluppati farmaci contemporaneamente più attivi e più
sicuri.
In questo lavoro, i diversi saggi biologici sui vari composti hanno evidenziato, insieme
agli eventuali effetti citotossici/genotossici indesiderati sulle cellule dell’ospite a
seguito di terapia antiparassitaria, anche alcuni dei meccanismi alla base delle
interazioni tra farmaco e cellule esposte (modalità di attacco al DNA, processi di
detossificazione, importanza del nitrogruppo e della sua metabolizzazione, importanza
del ciclo cellulare).
In conclusione, poiché la conoscenza della relazione struttura-attività è una delle basi
della nuova farmacologia, l’approccio utilizzato è in grado di fornire indicazioni utili
nel progettare nuovi chemioterapici per la malattia del sonno, proprio evidenziando i
ruoli chiave di alcune porzioni dei composti in esame.
118
MATERIALI E METODI
Reagenti e farmaci
I reagenti per i test biologici effettuati provengono da Sigma (St Louis, MO). I reagenti
per l’elettroforesi, il normal melting point e il low melting point agarose, il DMSO,
l’etidio bromuro, la 5-carbossifluoresceinadiacetato, l’etilmetansulfonato, il perossido di
idrogeno, i tamponi, e il mmateriale chimico da laboratorio in generale proviene da
Sigma (Sigma–Aldrich Company Ltd., Milan, Italy). La bleomicina è stata fornita da
Rhône-Poulenc Rorer (Milan, Italy). Il Benznidazolo (Rochagan1) proviene da Roche
Brasil (Rio de Janeiro,Brazil). 5-Nitromegazol, 4-nitromegazol, and 5-nitroimidazol
tiosemicarbazone (1-methyl-5-nitro-2-imidazolo carboxaldehyde thiosemicarbazone,
CA 4994-21-2) è stato sintetizzato da C.Northfleet deAlbuquerque come altri due
nitrofurani: 2(1,3,4-tiadiazolo)-5-nitrofurano e il suo tiosemicarbazone.
La sintesi del dimero di rame e del complesso di nichel è stato effettuato presso il
Dipartimento di Chimica Generale ed Inorganica dell’Università di Parma.
Colture cellulari
Gli effetti cito e genotossici dei composti in esame sono stati studiati in leucociti umani
di sangue di donatori sani non fumatori, in linfociti coltivati estratti da sangue intero e
in cellule U937, una linea cellulare di linfoma istiocitico, ottenuto da American Type
Culture Collection (ATCC, Rockville, MD). Le U937 e i linfociti umani sono stati
coltivati in RPMI-1640 medium (Gibco-BRL, Life Technologies, NY) addizionato con
il 10% (v/v) siero bovino fetale, 100units/ml di penicillina, 100µg/ml di streptomicina e
2mM L-glutammina a 37 °C in atmosfera umidificata contenente il 5% CO2.
Test di citotossicità
Valutazione della tossicità a breve termine
Leucociti umani: la sopravvivenza è stata valutata mediante il metodo Hoechst/bromuro
di etidio. La diversa fluorescenza (rossa per il bromuro di etidio, blu per Hoescht)
definisce lo stato di vitalità cellulare; nelle cellule integre il nucleo è blu (vive); le
cellule che invece hanno subito un danno alla membrana cellulare (morte) assorbono
passivamente l’etidio bromuro, che colora il nucleo.
119
Linea cellulare U937: la vitalità cellulare è stata rilevata utilizzando il colorante Trypan
blue (0,4%); le cellule morte si colorano di blu in quanto il colorante può penetrare
attraverso la membrana non più integra
Valutazione della tossicità a lungo termine
Il test MTS è una tecnica colorimetrica utilizzata per determinare il numero di cellule
vitali in proliferazione.
Per effettuare il test sono state utilizzate le seguenti linee cellulari:
linfociti immortalizzati (cellule di sangue periferico trasformate con il virus di
Epstein-Barr in una linea cellulare linfoblastoide in grado di proliferare
attivamente).
U937 (cellule di linfoma istiocitico).
Le cellule vengono incubate per 24 o 48 ore con le differenti dosi del campione da
saggiare. Al termine dell’incubazione vengono aggiunti 20µl di soluzione reagente
(CellTiter 96® Aqueous One Solution Cell Proliferation Assay) alla sospensione
cellulare. La soluzione reagente contiene 3-(4,5-dimethylthiazol-2-yl)-5-(3-
carboxymethoxyphenyl)-2-(4-sulfophenyl)-2H-tetrazolium salt (MTS), e il reagente
PES (fenazina etosulfato). PES, che ha un’elevata stabilità chimica, combinandosi con
MTS, forma una soluzione stabile. Il sale di tetrazolio MTS (Owen’s reagent) viene
bioridotto dalle cellule in un prodotto colorato (formazano), solubile nel mezzo di
coltura. Dopo 4 ore di incubazione, viene misurata l’assorbanza a 450nm con un lettore
di piastre a 96 pozzetti (MULTISKAN EX, Thermo Electron Corporation, Vantaa,
Finlandia). La quantità di formazano, misurata come valore di assorbanza a 450nm, è
direttamente proporzionale al numero di cellule vive in coltura. Comet test
Il protocollo del Comet test (Singh et al., 1988) viene effettuato su leucociti umani, su
linfociti umani stimolati e su cellule U937.
Leucociti umani: il sangue viene prelevato da donatori sani non fumatori e mantenuto in
provette contenenti eparina. Viene poi centrifugato per rimuovere il plasma e poi
mantenuto a 37°C per 5 min in tampone per lisare gli eritrociti (155 mM NH4Cl, 5 mM
KHCO3, 0.005 mM Na2EDTA, pH 7.4). I leucociti vengono centrifugati e risospesi in
120
PBS (~106 cells/ml). Alle cellule vengono poi aggiunte differenti dosi del composto in
esame.
U937: le cellule sono seminate 24h prima del test a una concentrazione di 2.5*105
cell/ml in pozzetti da 1ml e il composto in esame viene direttamente aggiunto nei
pozzetti contenenti le cellule.
Linfociti umani stimolati: dopo la separazione per gradiente (Ficoll separating solution,
SeromedR, Biochrom KG, Berlin, Germany), le cellule vengono cultivate in RPMI con
fitoemagglutinina (PHA, GIBCOTM, Paisley, Scotland, UK) per 48h a 37°C in
atmosfera con 5% CO2 e poi centrifugate e lavate con PBS in tubi Eppendorf a una
concentratione di 1*106 cells/ml.
Dopo un’ora di trattamento il Comet test viene effettuato come descritto da Singh
(1988) (“unwinding” del DNA: 20 minuti; elettroforesi: 20 minuti, 0.78 V/cm, 300 mA)
Il Comet test viene generalmente effettuato a pH > 13 per rilevare, oltre alle rotture a
singolo e doppio filamento, i siti “alcalo-labili”, cioè siti resi suscettibili di rottura a
valori elevati di pH a causa di distorsioni del filamento di DNA provocate da vari tipi di
modificazioni (addotti, siti apurinici e apirimidinici, ossidazioni delle basi azotate, etc.)
(Isabelle et al., 1995). Svolgendo il test a pH = 12.1, è invece possibile la rilevazione
diretta delle sole rotture a singolo e doppio filamento del DNA.
Confrontando i risultati ottenuti ai due diversi pH, è possibile stimare il contributo al
danno dovuto alla presenza di siti apurinici o apirimidinici (Harkin e Burcham, 1997),
di addotti (Sage e Haseltine, 1994) e di basi ossidate.
L’utilizzo nel Comet test di enzimi glicosilasici con funzione liasica rappresenta
un’ulteriore variazione al metodo classico che permette di rilevare in modo specifico il
danno ossidativo al DNA; questi enzimi riconoscono con elevata specificità le basi
ossidate, a livello delle quali producono tagli nel filamento (Collins et al., 1996).
Immediatamente prima della lettura al microscopio, i vetrini sono stati colorati con 100
l di etidio bromuro e poi esaminati (ingrandimento 400X) mediante microscopio a
fluorescenza (Leica DMLS), equipaggiato con filtro di eccitazione BP515-560 e filtro di
sbarramento LP580, collegato con una telecamera monocromatica PULNIX PE-2020P.
I campioni vengono misurati in doppio cieco e per ogni campione viene valutato il
danno in almeno 100 cellule. I nuclei con completa migrazione del DNA vengono
121
classificati come “ghost cells” e utilizzati separatamente come ulteriore misura di effetti
tossici.
I dati sono stati analizzati usando la statistica e le funzioni grafiche di SPSS 11(SPSS
Inc., Chicago, IL, USA). E’ stata applicata l’analisi della varianza univariata (ANOVA).
Il confronto tra gruppi di dati è stato effettuato utilizzanto il test di Bonferroni. Test di Reversione batterica
L’attività mutagena dei composti analizzati è stata studiata usando differenti ceppi di
Salmonella typhimurium (TA98, TA100, TA1535, TA98NR, TA100NR) tutti con e
senza il sistema di attivazione metabolica esogena, la frazione microsomale di fegato di
ratto (S9). I risultati vengono espressi come media del numero di revertenti ottenuta dal
conteggio effettuato su tre repliche indipendenti. Per ogni campione sono state saggiate
le seguenti dosi: 0, 20, 40, 80µg/ml. Per i composti che all’interno di questo range non
hanno mostrato tossicità si è proceduto aumentando la dose saggiata fino al limite di
solubilità del composto o fino a quando il campione non si è mostrato essere
genotossico.
Il DMSO è stato usato come controllo negativo mentre Icantone, 2-Amminofluorene,
Furilfurammide sono stati utilizzati come controlli positivi.
122
Test dei micronuclei
Il test dei micronuclei è stato effettuato utilizzando il sangue di donatori sanii non
fumatori maschi. I linfociti dei donatori sono stati separati con Lymphoprep (reagente in
grado di separare mediante un gradiente di densità le cellule con diversa tipologia)
lavati con tampone salino e fatti crescere alla concentrazione di 5X105 /ml in RPMI
1640 contenente 15% di siero fetale di vitello e 1% di fitoemoagglutinina, 1mM L-
glutamina, 100IU penicillina e 100 g/ml di streptomicina. Le cellule in coltura sono
state incubate a 37°C in un’atmosfera contenente il 5% di CO2 per 72h.
I composti in esame sono stati dissolti in DMSO alle concentrazioni di
Dopo 44h dall’inizio dell’incubazione viene aggiunta la Citocalasina B concentrazione
finale di 6g/ml; dopo 48h i linfociti vengono trattati con i composti studiati alle
differenti concentrazioni considerando i limiti di solubilità e di tossicità degli stessi
composti. Il DMSO sterile è stato utilizzato come solvente di controllo e
l’etilmetansulfonato(120g/ml) e il colcemid (0,1g/ml) sono stati utilizzati come
controlli positivi.
Dopo l’incubazione i linfociti sono stati raccolti e trattati con una soluzione ipotonica
per 2 min e poi fissati con una soluzione di prefissativo (metanolo/acido acetico 3:5). I
vetrini sono poi stati citocentrifugati, fatti asciugare all’aria e colorati con la soluzione
colorante Giemsa (2%v/v).
I micronuclei sono stati contati in accordo con il criterio descritto da Fenech (1998).
Valutazione della apoptosi mediante tecniche di citometria a flusso
Per valutare l’apoptosi, è stata utilizzata una metodica citofluorimetrica, che prevede
l’uso dell’Annexin-V e dello Ioduro di Propidio per discriminare l’apoptosi precoce da
quella tardiva.
Durante le fasi precoci del processo apoptotico, un aminofosfolipide, la fosfotidilserina
(PS) a carica negativa, presente nel foglietto interno della membrana plasmatica, viene
esposto sulla superficie esterna della membrana stessa. Questo processo può essere
monitorato con l’utilizzo dell’Annexin V, proteina Ca2+ dipendente, in grado di legarsi
ad alta affinità alla fosfotidilserina presente sulla membrana plasmatica. La
123
traslocazione di PS sulla superficie esterna della cellula, non avviene solo durante
l’apoptosi, ma anche durante la necrosi, per discriminare i due processi si utilizza una
doppia marcatura Annexin V-FITC e Ioduro di Propidio, colorante quest’ultimo che
penetra all’interno della cellula soltanto quando questa ha perso completamente la sua
integrità di membrana.
La colorazione con Annexin V-FITC e Ioduro di Propidio permette di discriminare
cellule in fase di apoptosi precoce, Annexin V positive, apoptosi tardiva positive sia per
l’Annexin V sia per lo Ioduro di Propidio e in necrosi, positive solo per lo Ioduro di
Propidio. E’ stato utilizzato il Kit ANNEXIN V-FITC System for detection of apoptosis
(Coulter Company). Circa 5x105 di cellule sono state lavate 2 volte in PBS a +4°C e
marcate con 1µl di Annexin V-Fitc per una concentrazione finale di 0,25µg/ml e 5µl di
Ioduro di Propidio per una concentrazione finale di 12,5µg/ml mantenendole al buio e a
+4°C per 10 minuti. I campioni di cellule marcate sono state analizzate mediante
citofluorimetria (citofluorimetro PARTEC R&D)
E’ stato utilizzato il kit MBL MEBCYTOR Apoptosis Kit Annexin-V Assay; 2x105
cellule dopo trattamento con i composti in esame alla concentrazione IC50, sono state
lavate in PBS e colorate con ANNEXIN-V FITC e Ioduro di Propidio (I.P.), lasciate al
buio a temperatura ambiente per circa 15 minuti e quindi analizzate con il
citofluorimetro FACSCalibur (Becton Dickinson, San Jose, Ca).
Valutazione del ciclo cellulare in citometria a flusso
Per valutare la progressione del ciclo cellulare e la sua eventuale perturbazione dopo
trattamento di una linea cellulare con complessi metallici, le cellule in fase esponenziale
di crescita, vengono trattate con i composti chimici in esame alla concentrazione di
IC50 da 1 a 24 ore. Ai diversi tempi viene poi analizzato il ciclo cellulare colorando il
DNA con Ioduro di Propidio. Le cellule in esame vengono lavate in una soluzione di
PBS senza Ca++ e Mg++ e con EDTA 0.5mM (1ml), quindi vengono fissate con 3 ml di
etanolo al 96%. Dopo la fissazione circa 1-1.5x106 di cellule vengono lavate in PBS e
colorate con Ioduro di propidio (20µg/ml in PBS) e 25µl di RNasi-A (1mg/ml in H2O) e
lasciate a 4°C overnight. Viene quindi eseguita l’analisi del DNA in citometria a flusso
utilizzando il FACSCalibur (Beckton-Dickinson, CA, USA). Si ottiene la distribuzione
di una popolazione cellulare nelle diverse fasi del ciclo cellulare G0/G1; S e G2/M. La
124
percentuale delle cellule nelle diverse fase viene poi calcolata utilizzando il software
Flow-Jo.
Valutazione della Caspasi-3 in citometria a flusso
L’attività della Caspasi 3 è stata determinate utilizzando Active Caspase-3 Apoptosis
Kit BD PharMingen (BD Biosciences Pharmingen San Diego, CA, USA). Dopo la
semina, le cellule U937 erano trattate con il composto alla concentrazione dell’ IC50 e
incubate per 2-4-6-8 –12 ore. Dopo un lavaggio in PBS, 1x106 cellule erano risospese in
soluzione Cytofix/Cytoperm per 20 min, lavate in Perm/Wash Buffer e incubate con
anticorpi monoclinali attivati con la Caspasi 3 per 30 min at 4°C e poi analizzati
utilizzando a FACSCalibur (Beckton-Dickinson, CA, USA).
125
BIBLIOGRAFIA
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RINGRAZIAMENTI
Un grosso ringraziamento al prof. Carlo Rossi, alla dott.ssa Paola Poli e alla dott.ssa
Annamaria Buschini del gruppo di Mutagenesi ambientale del Dipartimento di
Genetica, Biologia dei Microrganismi, Antropologia, Evoluzione dell’Università di
Parma per avermi seguito e aiutato con grande pazienza nel corso di questi anni di
lavoro.
Un grazie particolare al prof. Enzo Poli, che durante tutto il periodo del dottorato si è
sempre reso disponibile, dedicandomi tempo e fornendomi numerosi consigli.
Grazie anche alla dott.ssa Silvana Pinelli, al prof. Giorgio Pelosi, al prof. Pieralberto
Tarasconi e alla prof.ssa Marisa Belicchi Ferrari.
Un grosso grazie a Roberto Silva per i continui aiuti informatici e ad Antonietta
Cerasuolo per la disponibilità. Grazie a Mirka Lazzaretti e a Mariangela Furlini e a tutti
i ragazzi che ho incontrato in laboratorio durante questi anni (sia del piano di sopra che
del piano di sotto!!).
Grazie a Cla, a mamma e a papà per tutto.