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S.Q.S. (UAI) - Gnomonica , Arte, Storia, Cultura e Tecniche degli orologi solari - N°3 Maggio 1999 pag. 3

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Anselmi Riccardo, Cylindrical Sundials.

The author demonstrates one of the methods used to calculate and produce cylindrical sundials. He begins with the mathematical theory followed by advice regarding the practicalities of the face of the sundial. Marianeschi Edmondo, some gnomonic reflections about Augustan sundial. During the planning and the execution of the Meridian Line of Montecitorio Square in Rome, this man had time to reflect and consider the great sundial of Augustus. 2000 years before, Augustus had used the obelisk as a gnomon. This pillar has adorned the famous square of Rome for 2 centuries and pre-empted the construction of the contemporary Meridian Line. Alessandro Gunella, “Is it possible to build IL RELOGIO DEL PALACIO DE LAS ORAS ?” In the years of his reign, the king of Castiglia and Léon, Alfonso X the Wise, was greatly in favour of and promoted the Arts and Sciences. To him we must attribute the Alfonsine Astronomical Tables and various books of knowledge (libros del saber). Of significant interest at this point is the final part of the fifth book of “los relogios Alfonsies”. Here there is an illustration of a building (a circular tower or dome) with apertures which should in turn allow the entrance of sunlight, one window for every hour. Use of digital sundials, Dr Robert L.Kellog, translated and adapted by Giacomo Agnelli The theory of digital sundials, which use composite polar dials (CPD) can be traced from the 70s. This theory is applicable to relatively simple constructions. A prototype has been recently presented at the annual congress of the North American Sundials Society, thanks to Fred Sawyer who found a digital sundial of similar construction. This was discovered in the archives of 1981 with graphs photocopied from Boon. The sundial of the Valtellina Bridge by Alberto Cintio and Piero Gaggioni. Valtellina is rich in sundials and shadow clocks. Those constructed 2 or 3 centuries ago are interesting from the point of view of mathematics or astronomy. Others which are more recent are more interesting from the point of view of art and ornamentation. The most spectacular of these sundials is the one of the Valtellina Bridge which has recently been restored with great care and attention. This is the most imposing because of its size ( around 350 x 250 cm ). It is also of great historical value and is dated 25.07.1879. This sundial is important from an artistic point of view but more than anything because it was constructed following a mathematical and astronomical study, a fact which sets this sundial apart from the other 10 000 or more sundials which are in Italy. S.Lucia :”The longest shadow” by Nicola Severino, Roccasecca. “The day of Santa Lucia” writes my dear colleague Alessandro Gunella, “proposes a problem for gnomonists”. Allegedly, the day of Santa Lucia, the 13th of December, is the shortest day of the year. This, however, is not true but is perhaps reminiscent of when the winter solstice was around this time or is it the day when the sun sets earliest ? Which is the correct solution ? AVVERTENZA: Questo numero tre di Gnomonica è stato pubblicato dall’UAI con un inserto speciale sul IX Seminario di Gnomonica che manca in questo formato elettronico. Tale inserto sarà inserito in futuro, in una prossima raccolta su CD-R di numeri arretrati di Gnomonica in questo formato.

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di Nicola Severino

La magica setta degli gnomonisti va sempre più allargandosi e la passione per gli orologi solari si espande a macchia d’olio. In questo terzo numero di Gnomonica, pubblico con soddisfazione mia e – spero – di tutti i lettori, una lettera dell’Associaciòn De Amigos de los Relojes de Sol, a firma di Manuel Lombardero Soto, la quale rappresenta in modo molto elegante e genuino il significativo sforzo che è stato fatto dagli gnomonisti italiani per la creazione e lo sviluppo di uno strumento comunicativo assolutamente indispensabile, vitale direi, per mantenere accesa la fiamma della cooperazione collettiva all’interno del nostro piccolo mondo gnomonico. Un gesto di apprezzamento di cui ringrazio particolarmente Manuel e tutti gli amici gnomonisti spagnoli che pure si prodigano come noi, animati da vera passione, nel divulgare la cultura gnomonica anche attraverso la loro autorevole e bella rivista “Analema”. Questo terzo numero di Gnomonica è un po’ speciale perché ho riservato molte pagine esclusivamente dedicate al IX° Seminario Nazionale di Gnomonica tenutosi da poco tempo nella bella cittadina di S. Felice del Benaco (BS). Giacomo Agnelli, che ringrazio di cuore, si è fatto portavoce e serio cronista della Redazione di Gnomonica, raccontandoci a suo modo il reportage effettuato nei tre giorni dedicati agli orologi solari. Ma per fare questo, ho dovuto sacrificare soprattutto le rubriche, cercando di salvare solo quella dei lettori. Rubriche che saranno ben nutrite, invece, nel numero di Settembre prossimo. Sono, inoltre, oltremodo contento che la nascita di questa rivista abbia probabilmente contribuito ad instillare una certa fiducia negli animi di molti appassionati italiani verso le nuove iniziative. L’ultima e più importante è di Diego Bonata che ha dato vita alla prima mail list gnomonica in lingua italiana. Gli appassionati non si sono fatti attendere e decine di messaggi testimoniano l’interscambio culturale che avviene quotidianamente per mezzo della comodissima posta elettronica. Un mezzo di comunicazione quest’ultimo che prevalica ampiamente i semplici confini del recapito di messaggi. Grazie alla sua velocità, che rasenta lo scambio d’informazioni in tempo reale, permette agli appassionati che usano la nuova mail list di esprimere opinioni e chiedere consigli sulle proprie ricerche, nonché sulle possibili soluzioni teniche di progettazioni in un tempo ed in una forma assolutamente impensabile fino a qualche anno fa. Poche rubriche, quindi, e sei articoli originali che penso rappresentino degnamente la letteratura gnomonica italiana nel mondo. Edmondo Marianeschi fa alcune considerazioni personali, frutto di lunghe ricerche, sull’orologio solare di Augusto in Campo Marzio. Alessandro Gunella svela per la prima volta il segreto del Palacios de las horas, un monumento gnomonico pensato da uno gnomonista arabo del XIII secolo e pubblicato in uno dei Libros del Saber de Astronomia fatti scrivere da Alfonso X di Castiglia. Riccardo Anselmi prosegue la pubblicazione dei suoi studi tecnici sulla gnomonica analitica prendendo in esame la meridiana cilindrica e Giacomo Agnelli propone la sua traduzione (meglio adattamento e reinterpretazione) dell’articolo sulla meridiana digitale di Kellog. Io ho preferito pubblicare una ricerca che forse non è al cento per cento di attinenza gnomonica, ma è senza dubbio di grande interesse per la storia del calendario su un quesito posto da Alessandro Gunella (e forse – credo – curioso per gli gnomonisti). Alberto Cintio ci parla della meridiana di Ponte di Valtellina, un itinerario turistico e gnomonico molto bello ed interessante, insieme ai suoi motti ed alla recensione del suo nuovo libro. Buona lettura.

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Alla redazione di Gnomonica In relazione alla recensione di Lino Colombo nel n° 1 di Gnomonica, del libro “Dell’suo de’ globi”, vorrei aggiungere questo: anche se si hanno notizie precedenti, i globi erano usati normalmente solo dall'inizio del 500 (Il celebre quadro gli Ambasciatori ne fa fede) e la loro costruzione proseguì fino a metà del 700. Erano strumenti scientifici, e non solo didattici. Venivano costruiti per trovare le rotte delle navi (la lossodromia fu studiata dal Nonio sopra tali strumenti, e su tali strumenti si studiava la divisione del mondo abitato in Climi) La sesta parte del libro Dell'uso et fabbrica dellAstrolabio di Egnazio Danti - Firenze 1578 tratta ampiamente della Sfera, e dedica alcuni capitoli alla ricerca delle linee orarie per i vari sistemi. Un testo esauriente sull'argomento, pubblicato nel 1640 in Latino dallo Hortensio, e qualche anno prima in Olandese, è il seguente: Guillielmi Blaeu - Institutio astronomica- De usu Globorum & sphaerarum caelestium ac terrestrium. (e in Italiano dal Gunella 1995 - tre copie). In esso un'ampia parte viene dedicata alla combinazione Globo-orologio solare. Gli altri testi che ho visto (pochi, per la verità, qualche cenno e via) si rifanno a questo. Dell'argomento si occupa anche il manuale Hoepli: Andreini - Sfere cosmografiche - 1907. Alessandro Gunella, Biella Risposta Replico a questa lettera con piacere, avendo scritto tempo fa una piccola storia degli orologi solari a forma di globo (pubblicata in Pegaso, bollettino dell’Associazione Astronomica Umbra, Anno V, n° 22, maggio-giugno 1994), ed anche perché, a mia conoscenza, i globi erano usati “normalmente” anche prima del ‘500. Forse dovremmo stabilire il significato preciso della parola “normalmente”. Ma, se il Rinascimento fu davvero una rinascita culturale, i secoli attorno all’anno Mille anche lo furono, seppure in senso più ristretto. Siccome il lettore non fa differenza di paesi, è da ricordare che piccoli globi (piccoli, ma sempre globi), venivano già utilizzati in campo gnomonico dai Greci (esempio: i globi di Prosymna e Matelica). Diogene Laerzio scrisse che Anassimandro fu il primo a “tracciare il cerchio della Terra, dell’acqua e a costruire un globo dei Cieli”. In Cina Zhang Hen costruiva globi nel I secolo d.C. Il filosofo Cinesio di Cirene nella Lettera a Peonio sul dono dell’Astrolabio – siamo nel VI secolo circa – parla di uno strumento a superficie globosa. Anche Tolomeo costruiva globi uno dei quali si credeva fosse conservato nelll’antica biblioteca del Cairo insieme ad un altro realizzato nel X secolo da Abulhosein As-Sufi. L’astronomo Alfraganus circa nell’anno 820 scrisse un libro sugli orologi solari e sui planisferi. Mentre il più celebre Albategno, alla fine del IX secolo, scrisse un libro sui globi celesti. E in quel periodo furono proprio gli arabi a combinare la sfera armillare con il globo celeste, ricavandone il cosiddetto “astrolabio sferico”.

Nello stesso periodo, Costha Ebn Luca, uno dei primi traduttori dei tre libri sulla sfera di Teodosio, scrisse un altro trattato sui globi. Nel secondo volume dei Libros del saber de astronomia, ovvero nel Libros de los strumentos et de las huebras del saber de astronomia, inglobati nelle Tavole Alfonsine volute da Alfonso X re di Castiglia nel 1250, troviamo una completa trattazione sui globi celesti. Nel 1878, F. Meucci descrive Il globo celeste arabico – di cui conservo una copia originale del libro – un globo realizzato nel 1080 e da notizia di un altro globo del 1225 nel Museo Borgiano di Velletri (quindi Museo Nazionale di Napoli) descritto da Assemani nel 1790; uno del 1275 presso la Società Reale Asiatica di Londra; un’altro del 1289 nel salone delle matematiche a Dresda. Recentemente sono stati studiati circa 200 globi celesti islamici. Queste notizie penso bastino a far supporre che i globi fossero usati “normalmente” anche prima del ‘500. Mentre, del periodo cui fa riferimento Gunella, devo aggiungere almeno l’importante libro Nova fabricandi horaria mobilia et permanentia… che Giovanni Paolo Galluccio pubblicò nel 1596. Nicola Severino Alla Redazione di Gnomonica Il ritrovamento dell'orologio a Tazza da parte del collega Colombo mi ha fatto venire in mente che da qualche parte del Clavio esisteva una trattazione dell'Orologio di Achaz che potrebbe interessare Gnomonica. Sono andato a ripescarlo, e poi l'ho debitamente ridotto. La Tazza di Hartmann funziona come l'orologio di Achaz grazie al fatto che lo gnomone è inserito (o almeno lo era, originariamente) con un angolo di circa 48° dal fondo, cioè in una posizione particolare nei confronti del moto del sole ad uno dei solstizi, molto simile a quella dello gnomone verticale illustrato nella relazione che segue: si ottiene così (accentuato dalla rifrazione dell'acqua) il fenomeno del ritorno sui suoi passi dell'ombra dello gnomone. Attenzione, però: l'ombra dell'intero gnomone torna indietro, ma il vertice non segna le ore arretrando. Non aggiungo altro, non è il caso. RETROGRADAZIONE DELL'OMBRA E questo ti darà, da parte del Signore, il segno che il Signore manterrà la parola che egli ha pronunciato: ecco, io farò retrocedere l'ombra sul quadrante di Achaz, di dieci gradi; e l'ombra retrocesse di dieci gradi... (lsaia 38-7,8)

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Questo testo è notissimo agli gnomonisti, perché su di esso si sono cimentati un poco tutti, chi con dimostrazioni complicatissime, chi con analisi accurate delle formule trigo-nometriche. Per il principiante, però non vi è stata nessuna comprensione: beccati questa sfilza di formule, e se proprio non riesci ad arrivare fino in fondo, credi sulla parola. E così lo gnomonista deve essere doppiamente credente: nella Bibbia, e nella possibilità che in natura il fenomeno si avveri davvero. Le dimostrazioni prendono le vie più varie, ma alla fine tutti giungono alla conclusione che il fenomeno detto di RETROGRADAZIONE DELL'OMBRA si avvera solo in una certa fascia fra il tropico e l'equatore, per uno gnomone verticale e quando il sole è vicino al solstizio. Esiste una dimostrazione di una semplicità e di una evidenza notevolissime, dovuta ad un noto scienziato del XVI secolo, Pedro Nunes, alias Petrus Nonius, 1492-1577, che non mi risulta sia nota, per lo meno da chi ha trattato il problema di recente. (Non è che tutti leggano abitualmente il trattato De Navigatione di Petrus Nonius.) Essa è riportata anche sopra un trattato del Clavio (Fabrica et usus instrumen-ti...1586), e si sa che questo autore, pur pregevole per tanti versi, ha il grave difetto di essere estremamente soporifero. Se ne conclude che nessuno è andato più avanti della prima decina di righe, perdendo l'occasione di trovare un piccolo gioiello di intuizione geome-trica. Bisogna avere il coraggio di arrivare fino in fondo, poi si può spiegare in 7 righe quello che Clavio ha "condensato" in circa 7 pagine fitte. Vediamo di arrivare al dunque: In una località alla Latitudine di circa 19°si costruisca su un piano orizzontale uno GNOMONE VERTICALE. L'Analemma per quella località è quello disegnato nella figura, che è stato debitamente semplificato per l'occasione, ridotto al semicerchio e alle linee di equinozio e di solstizio. Se di tale figura facciamo la proiezione in pianta, la linea di Solstizio estivo diventa un arco di ellisse. Risulta evidente che il piano azimutale che passa dal punto A al momento dell'alba, passa anche dal punto R, e quindi che il Sole assume nei confronti di O quello stesso AZIMUTH due volte in quel giorno. Se poi da O si traccia la tangente alla ellisse nel punto T, si desume che l'Azimuth, di cui TO è la traccia, corrisponde all'Azimuth (OQ) verso Ovest, che è lo spostamento massimo dell'ombra in quel giorno, rispetto alla direzione di mezzodì. lì disegno mette quindi in evidenza che l'ombra si sposta sul piano dall'Azimuth (OP) al momento dell'alba, fino all'Azimuth (OQ) all'ora T, per poi tornare in (OP) all'ora R, proseguendo poi verso Sud senza ulteriori RETROGRADAZIONI. Al pome-riggio l'operazione si ripete in modo del tutto simmetrico. La dimostrazione è tutta qui, ineccepibile. Ma funziona bene solo per Latitudini un poco al disotto del tropico; non troppo, però, perché la linea del solstizio dell'analemma rischia di diventare quasi parallela alla verticale del luogo, e l'ellisse della pianta diventa troppo "schiacciata". E va bene solo quando il punto di mezzodì M si trova a Nord del punto O. E per le nostre latitudini? basta fare lo gnomone su una tavoletta orizzontale, e poi inclinare la tavoletta in modo che il suo piano formi un angolo di circa 19° con la polare. Nei

giorni vicini al solstizio si ha la Retrogradazione, come se fossimo alla Latitudine di 19°.

E quindi l'annuncio di lsaia a Ezechia, ed il suo successivo avverarsi è stato un miracolo? Per conto mio, sì. Basta guardare la carta geografica: Sennacherib stava per assalire la Palestina, ed Ezechia era a Gerusalemme, ad una latitudine di 32°, quindi ben lontano dai limiti di cui sopra. Non è ipotizzabile quindi il fenomeno della Regressione a quella latitudine. A meno che l'orologio di Achaz (qualcuno però traduce il termine diversamente: Il tempio di Achaz, che aveva dei gradini, per cui la retrocessione di 10 gradi andrebbe letta di 1O gradini e forse sarebbe più credibile; non è detto che gli ebrei usassero le stesse unità di misura che usiamo oggi) avesse uno spigolo inclinato verso Sud di una quindicina di gradi... Nel qual caso lascio al lettore le conclusioni. Alessandro Gunella, Biella Alla Redazione di GNOMONICA - RETTIFICA Spett. Redazione, nell'esempio riportato nella mia lettera pubblicata a pag. 6 del n. 2 di GNOMONICA, sono incorso in un grave errore che mi è stato fatto notare, con grande correttezza, dall'ing. Gunella . La formula da me scritta infatti è valida soltanto nei giorni degli Equinozi per cui i risultati nelle altre date sono errati. La formula corretta è la seguente : sen (Azimut) = tan(Altezza). I valori corretti degli istanti in cui l'ombra di un ortostilo è a 45 gr. su una parete rivolta a Sud sono:

agli Equinozi ore 14h 21m TVL (ore uguali) 8h 21m (ore temporarie) al Solstizio Estivo ore 15h 19m 8h 34m al Solstizio Invernale ore 13h 23m 7h 56m

Mi scuso con i lettori per l'incidente Gianni Ferrari, Modena Alla Redazione di Gnomonica ho letto il breve articolo apparso a pag. 36 del n. 2 della rivista"Gnomonica", nel quale si parla di un misterioso orologio solare rinvenuto agli inizi del 1700 nel Mausoleo di Augusto, in Campo Marzio a Roma. Il titolo dell'articolo era Mystery, perché molti sembrano essere i misteri nascosti nel disegno dell'orologio riportato sotto il testo. In realtà, devo dire che di grossi misteri non ce ne sono, e la maggior parte di essi sono, probabilmente, dovuti a invenzioni del Grevio: l'incisore. Intanto si deve subito dire che FAVONIUS AFRICUS non è il fantomatico nome del costruttore, ma la denominazione di due venti occidentali: il Favonio e l'Africo appunto. Il Favonio, altrimenti detto Zefiro dai greci, soffia dal ponente equinoziale, mentre l'Africo esce dal ponente brumale, cioè da Sud-ovest. In pratica si tratta di una rosa dei venti, molto probabilmente simile a quella proposta da Andronico Cirreste. La rosa dei venti era un elemento poco usuale per quei tempi, Sharon Gibbs, infatti, nel suo noto catalogo cita solo quattro orologi accomuncati da questa caratteristica.

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Un orologio solare simile, ma integro, è quello tutt'ora esposto nel cortile del Museo Archeologico di Aquileia, noto come l'orologio solare di Euporus, dal nome del suo costruttore (fig. 1). In quel bellissimo orologio, inciso in un grande tavolo di pietra, la rosa dei venti è senza dubbio più completa di quella del Mausoleo di Augusto. I nomi dei venti riportati nell'orologio di Euporus sono: SEPTENTRIO, BOREA, DESOLINUS, EURUS, AUSTER, AFRICUS,

FA(V)ONIUS e AQUILO.

Seguendo, quindi, le indicazioni geografiche della rosa disegnata nel

frammento pubblicato su "Gnomonica" i casi sono due: o il

disegno dell'orologio solare è male orientato, oppure lo sono i venti lì riportati.

Fig. 1 Nella figura 2 ho ricostruito, per quanto possibile, la suddetta rosa e le coordinate da essa generate. I punti cardinali accompagnati da un "?" sono quelli dell'orologio, gli altri sono le reali direzioni dei venti. La scritta ..TIALI.. è facilmente ricostruibile con la parola SOLSTITIALIS, mentre le lettere ...AL.. si possono reintegrare con facilità nella parola BRUMALIS. Personalmente ritengo che le linee orarie e le curve diurne Fig. 2

disegnate nell'illustrazione dell'orologio in questione siano totalmente inventate, come spesso facevano gli incisori dell'epoca (vedi il prosciutto di Portici disegnato da Carlo Antonini, in "Manuale di varj ornamenti", vol. 3, fig. 15). Gli spazi fra le linee di declinazione solare sono soltanto cinque, per un totale di soli dieci mesi (non credo che il pezzo sia così antico da riferirsi al calendario prima di Numa Pompilio), e la posizione dei nomi dei segni zodiacali è errata. L'AEQ.(INOCTIUM) VER.(ALE) dovrebbe cadere su una linea retta e nel disegno non ce n'è nemmeno una. ARIES

(Ariete) si trova sulla prima linea verso nord, quella che dovrebbe essere destinata solo al Capricorno. TAUR(US), il Toro, è invece due curve più a sud di Ariete, lasciando fra i due la linea del punto vernale. A parte l'errore nella posizione dei nomi zodiacali, rilevo ancora una stranezza che consiste nel fatto di aver posto l'equinozio vernale proprio fra l'Ariete ed il Toro. Negli orologi solari romani, e spesso anche medievali, il mese si identificava per comodità nel segno zodiacale (molti orologi solari portatili romani lo dimostrano), e solitamente, sempre per comodità, si considerava che il sole passasse il segno il quindicesimo giorno di ogni mese. Fig.3

A giudicare, invece, dal frammento del campo Marzio, ogni mese conterrebbe due linee diurne, ed allora il numero ivi riportato è tassativamente basso. A confondere, o a schiarire (dipende dai punti di vista), le acque torbide ma non troppo di questo reperto, entra in campo anche la dottoressa Sharon Gibbs, con il suo "Greek and Roman Sundials". Il frammento di orologio solare di cui stiamo scrivendo, è da lei presentato a pagina 333 del suo catalogo, nella scheda 4010. Il disegno al lato (mi dispiace dirlo, ma la Gibbs è una pessima disegnatrice) mostra il reperto, subito riconoscibile da molti particolari, ma alquanto diverso dal disegno del Grevio (vedi fig. 3). Il tracciato dell'orologio è relativamente migliore di quanto non lo fosse il primo, c'è un nome zodiacale in più -G(EMINI)- e gli altri sono meglio disposti, non ci sono linee orarie oltre la prima, la quinta e la sesta, e queste sono rette. Sul retro della lastra si legge una nota tavola di gioco. L'immagine da me prodotta è l’originale copiato dalla Gibbs nel suo schizzo, ed è tratta dal libro Notizie degli scavi di Antichità comunicate alla Reale Accademia dei Lincei (p. 48). Qui non si fa affatto cenno alla data del suo ritrovamento, e vista la pubblicazione precedente, citata da Severino, penso che l’anno formulato dalla Gibbs, il 1883, sia invece quello dell’acquisto del “lastrone di marmo” da parte del Ministero della Pubblica Istruzione. Anche in questo disegno, però, ci sono le stesse incongruenze nell’orientamento della rosa dei venti, e quindi, che dire? Personalmente sento di fidarmi di più del disegno fornito dall’Accademia dei Lincei, almeno per il fatto che è più corretto, ma non riesco a dare sia all’una, sia all’altra versione, una credibilità assolutamente certa. Questo è tutto quanto posso dire su quel "misterioso" orologio solare. Mario Arnaldi, febbraio 1999. Bibliografia: Atti della Reale Accademia dei Lincei, 11 (1883) p. 48 G. Gablovitz, "Sull'orologio solare Scolpito nel Monumento Scoperto il Novembre, 1878, nel Fondo Cassis alle Marignane d'Aquileia" L'Archeografo Triestino, 13, 1887, pp. 209-25.

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Liliana Cosimo Bracchi, “Orologi solari di Aquileia”, Aquileia Nostra, an. XXXI (1960) coll. 49-66. Marcello Pagliari, "L'orologio di Euporus", Aquileia Nostra, an. LXII, 1991, coll. 189-96. Dante Tognin, "Aquileia e il tempo, la meridiana solare orizzontale di M. Antistius Euporus", Aquileia Nostra, an. LXIV, 1993, coll. 193-234 Sharon L. Gibbs, "Greek and Roman Sundials", Yale University Press, New Haven and London, 1976, p. 330, fig. 53 e pp. 332-3. Alla Redazione di Gnomonica Vorrei rispondere anch'io alla lettera del sig. Bianchi pubblicata a pag. 5 del n. 2 di GNOMONICA per spendere una parola sulla utilità ancora attuale degli orologi solari. Elencherò soltanto , per brevità, "quello che possono dire le meridiane e che gli orologi non possono dire" : - il tempo Solare (che usavano gli antichi) - quante ore mancano al tramonto del Sole - quante ore di luce rimangono ancora (termine del

crepuscolo). Dato molto utile in ambito naturalistico-sportivo (campi di sci, gite in estate, gite in barca, ecc.)

- l'istante in cui il Sole è esattamente a Sud e quindi la direzione del Sud esatto

- le direzioni esatte di altri punti cardinali ( ad es. SE, SW, ecc.)

- la direzione di una località della Terra ( la meridiana ci da l'istante in cui il Sole è nella direzione della città ove abita un amico, un affetto, un amore, ecc.)

- la direzione della Mecca (fondamentale per i credenti Musulmani)

- gli istanti delle preghiere Islamiche - l'istante in cui una certa costellazione o stella passa

sopra di noi - il tempo siderale - la data del giorno, la declinazione del Sole, la

costellazione dello Zodiaco ove si trova il Sole, la durata del giorno

- ci ricorda una data particolare (festività , anniversario) - i dati astronomici del Sole come l'angolo orario, l'azimut,

l'altezza - l'istante in cui si ha il mezzogiorno in cittá lontane Come si vede anche oggi un orologio solare una qualche utilità pratica la può ancora avere.

Gianni Ferrari, Modena

ALCUNE RIFLESSIONI GNOMONICHE SULL'OROLOGIO DI AUGUSTO

Edmondo Marianeschi, Terni Premessa Durante il lavoro di progettazione e realizzazione della Linea meridiana di Piazza Montecitorio a Roma (1), mi sono trovato più volte a riflettere sul grande orologio solare di Augusto il quale aveva uti lizzato duemila anni fa come gnomone lo stesso obelisco che abbellisce da due secoli la famosa piazza di Roma ed ha permesso la costruzione della odierna Linea. Le mie riflessioni non sono scaturite da necessità del mio lavoro, anzi riguardavano solo molto marginalmente i miei calcoli ed i miei proporzionamenti, ma piuttosto erano pensieri ispirati e stimolati, si, dall'oggetto del mio incarico, però si rifacevano, prima di tutto, ai numerosi interrogativi che avevo trovati irrisolti nella vasta letteratura che avevo avuto occasione di studiare sul colossale strumento e imponente monumento augusteo, primo fra tutti il testo di Plinio che oltre ad essere il più antico documento sull'orologio, è anche il più interessante. E' di questo che parlerò. Le mie riflessioni, forse, potranno interessare qualcuno il quale, però, dovrà accettare la frammentarietà e l'incompletezza di questo mio scritto. Introduzione Gaio Secondo Plinio, detto il Vecchio o il Naturalista, scrisse dell'orologio di Augusto appena pochi decenni dopo la costruzione, quando il monumentale strumento era sicuramente ancora funzionante, seppure con qualche problema di accuratezza. Si veda in seguito. I testi latini che ci sono pervenuti e, probabilmente, l'originale ha subito corruzioni. Chi è interessato a questo argomento, può leggere (2). In questa mia nota mi riferisco alla traduzione in lingua italiana posta in Appendice, la quale è una parafrasi di quella che appare in (3). La parafrasi (di cui assumo la responsabilità) mira a fornire un testo espresso, per quanto possibile, con terminologia e fraseologia gnomonica corrente odierna, senza forzatura che possono tradire il pensiero pliniano (I). Gli interrogativi in materia strettamente gnomonica ai quali vorrei dare contributi di risposta, sono i seguenti: A)- Come era fatto nelle linee essenziali il dispositivo gnomonico voluto da Augusto? B)- Perché fu aggiunta una palla di bronzo sul pinnacolo dell'obelisco? Che collegamento c'è tra la palla e la testa umana?

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C)- Che cosa marcavano i righelli in bronzo inseriti sul lastricato del quadrante? D)- Quale è il congegno dovuto alla genialità di Facondo Novio e che vale la pena di conoscere? E)- Perché l'orologio di Augusto dopo pochi decenni cessò di dare indicazioni esatte? Commento A) Linea meridiana o orologio a ore temporali? E' il quesito che ogni storico della Gnomonica da secoli si è posto (2) senza, purtroppo, una esauriente risposta definitiva, neppure dopo gli importanti ritrovamenti archeologici di E.Buchner (4), (5), (6). Leggendo con attenzione Plinio senza prevenzioni, si riceve l'immediata impressione che il naturalista latino intenda fare riferimento ad uno strumento gnomonico a ortostilo (obelisco) consistente in una gigantesca linea meridiana, senza altre linee orane, che correva su di un lastricato in pietra allungato nella direzione Nord-Sud, dal solstizio d'inverno a quello d'estate. Però come non tenere conto del fatto che nell'antichità, prima e dopo Augusto per diversi secoli - come fatto osservare da altri (6)- non vi sono esempi di strumenti gnomonici siffatti? Dati i tempi ed i livelli di sapere scientifico e di conoscenze metrocronologiche, non vi è giustificazione per l'uso di una sola linea oraria marcante soltanto l'istante del mezzogiorno vero. Il relativamente recente ritrovamento e studio del quadrante romano di Thamugadi (Tunisia) (7) che è risultato del tipo "pelecinum" orizzontale a linee orarie temporarie, non ha certo meravigliato gli archeologhi perché, salvo per le dimensioni, è un classico dell'antichità greco-romana per gli orologi solari su superfici piane, sia orizzontali che verticali. Non sembra, quindi, vi siano finora elementi consistenti per poter affermare con sicurezza che l'orologio di Augusto sia stato orario-calendariale o soltanto calendariale. Commento B) La palla terminale. Che c'entra la testa umana? Un dispositivo gnomonico con ortostilo di altezza 29.43 metri (100 piedi romani) secondo Buchner (4), non poteva non dare imponenti fenomeni di penombra che rendevano "sfocate" e indecise le posizioni dell'ombra sul quadrante (Il). Certamente, Facondo Novio, il progettista dell'orologio di Augusto (presumibilmente un "matematico" greco (III), date le grandi dimensioni del suo strumento quindi con ombre molto lunghe e radenti, avrà temuto gli effetti della penombra e si sarà domandato, anche senza piena coscienza scientifica, quale forma e proporzione avrebbe dovuto avere la sommità dell'obelisco per ottenere migliorata la qualità dell'ombra. A questo punto ci domandiamo: che c'entra la testa dell'uomo, di cui parla Plinio? Forse, si può tentare un interpretazione ed una spiegazione. Intanto va detto che un ortostilo di grandi dimensioni con estremità a punta piramidale (come erano gli obelischi egiziani) è un pessimo indicatore gnomonico: l'ombra della punta diventa evanescente fino a sparire; inoltre (si veda la Fig.l) l'altezza del punto gnomonico diviene variabile e per alcuni valori della distanza zenitale del Sole, indeterminata. L'ortostilo con estremità a palla è migliore, ma permane sempre una certa variabilità della posizione del punto gnomonico; però, la palla gnomonica di estremità permette, con un minimo di esercizio, di cogliere il centro di simmetria della sua ombra corrispondente al punto gnomonico immaginato al centro della palla. Il sistema correntemente usato dai greci e dai romani per misurare il trascorrere del tempo giornaliero consisteva nell'osservare la lunghezza dell'ombra del proprio corpo in piedi, cioè la distanza, lungo il suolo, della posizione dell'ombra della propria testa rispetto ai piedi. Ciò veniva fatto da tutti con disinvolture, seguendo l'esperienza quotidiana e senza importanti incertezze di penombra, data la ridotta (pochi metri) distanza tra la testa e la sua ombra. Facondo Novio, da buon greco sempre in cerca di rapporti numerici e geometrici tra i componenti di un'opera per ottenere, secondo il pensiero e la prassi ellenica, bellezza, armonia, razionalità, forse credette che relizzando una palla da sovrapporre all'obelisco nelle dimensioni che derivavano dal rapporto dimensionale testa-spalle umane, l'indeterminatezza dovuta alla penombra sparisse o si attenuasse. Per un uomo, il rapporto della misura intertempiale della testa / larghezza delle spalle, dedotto da una dozzina di rilievi sperimentali da statuaria romana, oscilla tra 0,54 e 0,33. Questo rapporto dipende dall'età dell'uomo e dalla sua particolare conformazione anatomica; l'oscillazione dipende anche dalle incertezze di rilievo della misura della larghezza delle spalle. Quale rapporto abbia scelto Facondo Novio non è noto con precisione. Sembra ci venga in aiuto l'immagine dell'obelisco di Campo Marzio che, sorretto da un Genio, campeggia vistosamente nell'apoteosi di Antonino Pio, scolpita attorno all'anno 160 d.C., che si può ammirare ai Musei vaticani. Da qui risulta che il rapporto diametro della palla / larghezza del tronco piramidale superiore dell'obelisco è 0,57 (4:7), valore prossimo a quanto da noi trovato e sopra riportato. Ma l'autore dell'apoteosi quanto fu fedele nel riprodurre dimensionalmente l'obelisco? Oltre tutto, dovette fare stime a notevole distanza, data l'impossibilità di accesso diretto al culmine dell'obelisco e, quindi, con scarsa precisione.

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In ogni modo, se stiano in tutto questo discorso, le radici della spiegazione dell'ultimo passo di Plinio, o no, non credo proprio che la palla di Facondo Novio abbia apportato apprezzabili miglioramenti nelle caratteristiche di nitidezza e visibilità dell'ombra del gigantesco gnomone, la cui sommità distava dal punto del lastricato che riceveva l'ombra, di diverse diecine di metri, fino ad oltre 250 (6) (IV). L'ottica elementare insegna che le incertezze da penombra crescono con la distanza, fino a rendere impossibile ogni lettura gnomonica; la cosa si aggrava se l'incidenza dei raggi solari sulla superficie di proiezione è molto forte (particolarmente nel periodo invernale) e la perdita di contrasto luce-ombra dovuta alla luce diffusa dal cielo (8) (V), è consistente. Commento C) I righelli in bronzo. La scoperta archeologica di E.Buchner ha permesso di prendere diretta visione dei riqhelli citati da Plinio: è una graduazione lungo la linea meridiana con spaziatura che va, nel tratto portato alla luce, restringendosi verso Sud e ha valore medio, in corrispondenza della costellazione del Toro (della Vergine) di 24 centimetri. Si ha subito l'impressione che ogni righello sia in corrispondenza di linee diurne che differiscono tra di loro di una piccola variazione della declinazione solare come quella giornaliera: un semplice calcolo (Vd.Fig.4) per l'inizio della costellazione del Toro, dà una spaziatura tra i righelli di 22 centimetri, in ottimo accordo con quanto trovato da E.Buchner e calcolato da G.Fantoni (6), cioè 23 centimetri. Quindi i righelli volevano realizzare uno straordinario calendario giornaliero! Ma vengono seri dubbi sull'utilità di questa raffinata graduazione calendariale, e ciò per due ordini cli motivi: a) I Romani, anche dopo molte riforme, compresa quella di Giulio Cesare,non contavano in giorni in sequenza ma "a ritroso", secondo il sistema delle calende, idi e none, con le incertezze dell'inizio del computo mensile che era variabile. Anche il numero e la durata dei mesi cambiò più volte, l'ultima volta proprio sotto Augusto (9) (10). b) Le dimensioni gigantesche dell'orologio, le ombre radenti, la penombra rendevano sicuramente illusoria ogni lettura calendariale lungo la linea meridiana e, peggio altrove (se la graduazione a righelli c'era) lungo le eventuali linee orarie. La graduazione di Facondo Novio al più poteva servire per stimare qualitativamente la variazione di declinazione solare nei diversi periodi dell'anno; certamente, non per poter fare misure di un qualche valore astronomico o pratico della vita di tutti i giorni. Commento D) L'acume di Facondo Novio. Dice Plinio: "E' questo un ritrovato che vale la pena di conoscere: è dovuto all'acume di Facondo Novio". A che si riferisce il "questo"? Non è chiaro e ci si domanda, invano, se la punteggiatura può essere di aiuto nell'interpretazione (VII). A me sembra che il "ritrovato" con l'espressione elogiativa per Facondo Novio, sia la "palla", di cui si parla subito dopo, che avrebbe portato dei rilevanti miglioramenti al funzionamento dello strumento, come sembra fare intendere Plinio, al punto da far passare il nominato matematico per "geniale". Ma alla luce di quanto detto al Commento C), ciò sembra troppo e sorgono dubbi sull'integrità del testo latino che noi abbiamo o sulla corretta traduzione italiana. Commento E) L'orologio perde l'esattezza. Plinio, dopo aver detto che da circa 30 anni, quindi a cominciare da circa il 50 d.C., l'orologio non dava più indicazioni esatte, elenca le cause probabili. Sono di due classi: cosmiche e gnomoniche. Le prime sono impossibili ed ispirate dalla primitiva concezione dell'universo. Forse Plinio era informato dello "strano" spostamento solidale in longitudine eclittica delle stelle, osservato e misurato da Ipparco nel 110 secolo a.C., fenomeno che in seguito verrà chiamato precessione degli equinozi. Ma in circa mezzo secolo soltanto di funzionamento dell'orologio di Augusto, non si potevano avere effetti calendariali importanti da potersi praticamente rilevare. Rimangono le cause gnomoniche dovute ad un'eventuale perdità di verticalità dell'obelisco o sprofondamento per cedimento delle fondazioni. Ad ogni modo, sia la perdita di verticalità che lo sprofondamento avrebbero dovuto essere di modesta entità, al punto dà non essere vistosamente palesi, altrimenti non sarebbe stato necessario per Plinio elencare tante cause probabili alternative. Se l'obelisco, per una causa qualsiasi, si fosse inclinato rispetto alla verticale di 2°, l'estremità superiore (palla) si sarebbe spostata di 1 metro (!), quantità che si sarebbe avvertita ad occhio anche da parte di non esperti. Quindi, lo spostamento ipotizzato da Plinio doveva essere minore di quanto da noi supposto. E’ immediato dimostrare (Vd.Fig.5) che, se l'estremità dello

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stilo si porta da 0' a 0", in conseguenza di un'inclinazione di 2°, la variazione in altezza h-h' dello stesso stilo è

0'P = h-h' * cos 2° = 29,42 * 0,000609 = 18 mm

quantità molto piccola rispetto a h = 29,42 metri e, quindi, trascurabile. Si può assumere h=h’. Ai fini gnomonici è come se l'obelisco si fosse spostato lateralmente mantenendo la perpendicolarita rispetto al suolo, di 1 metro, senza variazioni di altezza. Ne consegue che la forma, il disegno, le dimensioni del reticolato delle linee orarie e diurne non cambiano, ma il tutto si trasla di una quantità inferiore o uguale a 1 metro (Vd.Fig.6) nella direzione d'inclinazione. Questa piccola traslazione, per la vastità del quadrante, non può palesemente alterare il regolare funzionamento dell'orologio, dati i primitivi, scarsamente precisi, sistemi di misura e conservazione del tempo dell'epoca. Nella direzione Ovest-Est, l'indicazione oraria, al massimo, attorno al mezzogiorno vero e in prossimità del solstizio estivo, si sposta di meno di 1/6 di ora (circa 10 minuti di ora temporaria; in altre ore e giorni l'errore è minore. Dieci minuti di tempo non erano misurabili con un orologio solare in epoca romana. Nella traslazione Ovest-Est l'errore calendariale praticamente non esiste perché lo spostamento del reticolo avviene perpendicolarmente alla linea meridiana. Se l'inclinazione e la conseguente traslazione virtuale avviene nella direzione Sud-Nord, l'errore nell'indicazione dell'ora è inferiore al caso precedente, ma l'indicazione calendariale dà luogo ad un errore non più trascurabile: attorno al periodo solstiziale raggiunge circa metà dell'ampiezza di una costellazione (casa zodiacale)! Questo è il solo errore che può essere avvertito, almeno in parte, da un osservatore attento ed esperto di cose del cielo. Si rifletta sulle Fig.6 e 7. Per inclinazioni dell'obelisco in altre direzioni da quelle considerate sopra, la ripercussione in errore, sia orario che calendariale, non va oltre i limiti del commento poco sopra fatto. Può essere questa la disfunzione di cui parla Plinio? Spostamenti dell'obelisco avrebbero potuto avvenire in senso verticale per cedimento della fondazione, ma in questo caso o la variazione in altezza dello stilo è piccola, allora le conseguenze gnomoniche (correttezza di funzionamento dell'orologio) sono praticamente inesistenti, oppure è grande (alcuni decimetri) ed allora lo spostamento sarebbe facilmente apparso perché il piano orizzontale del lastricato avrebbe costituito un sensibile riferimento che avrebbe permesso a Plinio l'accertamento obiettivo della causa del cattivo funzionamento. Conclusioni Non me la sento di dare un giudizio sul valore delle considerazioni esposte, nè dire se possono essere di aiuto nello sforzo di vedere più chiaro su quello straordinario monumento gnomonico che è stato l'orologio di Augusto. Gli interrogativi di fondo non sono stati completamente rimossi; anzi i miei commenti ne hanno creato alcuni di più. Spero che qualche lettore, partendo dagli elementi di critica fatta, e che pare obbiettivamente corretta, possa dare più luce all'appassionante argomento. Una grande speranza è nell'auspicabile ripresa delle esplorazioni e scavi archeologici nell'area di Campo Marzio. La mia conclusione appare nel complesso negativa: l'orologio di Augusto fu certamente una grande ed ardita opera ed insigne monumento ma, forse, non fu un eccellente strumento gnomonico a causa di effetti sfavorevoli dovuti alle sue eccezionali dimensioni. Appendice - Parafrasi del passo di Plinio – Vedi Introduzione e Nota I. L'obelisco che è in Campo Marzio il divino Augusto lo destinò a fungere da gnomone solare, in modo che con la sua ombra potesse consentire la misura della durata del giorno e della notte. Fu collocata (al suolo) una pavimentazione in lastre di pietra, di lunghezza proporzionata all'altezza dell'obelisco, cioè quanto è lunga l'ombra a mezzogiorno vero del giorno solstiziale. Da questa posizione invernale, l'ombra si va accorciando di giorno in giorno e, poi, (a partire dal solstizio d'estate) ricomincia ad allungarsi, come evidenziano i righelli in bronzo inseriti nel lastricato. E' questo un ritrovato che vale la pena di conoscere: è dovuto al matematico Facondo Novio. Questi aggiunse al culmine dell'obelisco una palla dorata per permettere il formarsi di un ombra nitida; altrimenti la punta (piramidale) dell'obelisco avrebbe dato luogo ad un'ombra sfumata, cioè non netta. Si dice che questa idea gli fosse suggerita dalla testa umana. Questo orologio da circa 30 anni non dà più indicazioni esatte, forse perché il corso del Sole non è rimasto invariato ed è mutato per qualche motivo astronomico, oppure perché tutta la Terra nel suo insieme si e spostata (rispetto al centro della volta

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celeste) un fatto che a quello che si sente dire, si avverte anche in altri luoghi, oppure perché lo gnomone si è spostato a seguito di terremoti, ovvero perché le alluvioni del (vicino) Tevere hanno provocato un abbassamento dell'obelisco, anche se si sente dire che sono state gettate fondamenta profonde quanto è alto il carico che vi si appoggia. Note (1)-Marianeschi E., La linea meridiana di Piazza Montecitorio a Roma, Atti IX Seminario Nazionale di Gnomonica, Marzo 1999, San Felice del Benaco (85) (2)-Severino N., Storia dell'obelisco e dell'orologio di Augusto in Campo Marzio, Atti, VIII° Seminario Nazionale di Gnomonica, Ottobre 1997. Porto 5. Giorgio (AP) (3)-Plinio G.S. il Vecchio, Storia naturale, Libri XXXII e XXXIII, p.628, Ed.Einaudi, Milano, 1989 (4)-Buchner E. Die Sonnenuhr des Augustus, Ed. Von Zabern, Main am Rheln,1981 (5)-Buchner E., L'orologio solare di Augusto, Rend. Pontificia Accademia di Arcneologia,VOI. LIIIILIV, 1980/81-1981/82, p.331, Città del Vaticano (6)-Fantoni G., L'orologio solare di Augusto, Orologi, n~lO, 1988, Ed.Technimedia, Roma (7)-Guerbaby A., Le gnomon du Forum de Thamugady, Atti X Convegno di studi L'Africa Romana, Oristano, Novembre 1992, p.361-362 (8)-Mills A.A.,sunlight and Shadow, What~s the point of big Sundiais?, BB5 Bulletin, 1/1996. (9)-Imbrighi G., La misura del tempo, Ed.L.U.Japadre, L’Aquila, 1963. (10)-Couderc P., Le calandrier, Ed.Presses Universitaires de France, n0203, Paris, 1974. (I)-La mia parafrasi è stata sottoposta a revisione e controllo dalla Prof.ssa Renata Boresta, esperta latinista, che qui prendo occasione per ringraziare sentitamente per la sua gentilezza e disponibilità. (II)-Il fenomeno della penombra è dovuto al non essere puntiforme la Sorgente solare (dimensione angolare, circa mezzo grado sessagesimale). L'ombra gettata da un qualsiasi schermo, come l'estremità superiore di uno gnomone a ortostilo, risulta imprecisa e mal determinata, particolar mente quando chi la genera è lontano dalla superficie in cui si forma e l'osservatore è vicino. Si consiglia di leggere (8). Questo pregevole lavoro puo essere di notevole aiuto per entrare in un Settore della gnomonica poco conosciuto e difficilmente padroneggiabile nella pratica. Si consiglia altresì, di osservare attentamente sul suolo le ombre di spigoli di edifici o, meglio, pali da illuminazione (tipo stadio> di altezza superiore a 25 metri, colpiti da luce solare sotto incidenza di oltre 45: si ha un'ombra che è praticamente inservibile ai fini gnomonici perché troppo sfumata ed evanescente, quando il punto di osservazione è a distanza degli occhi dal suolo, circa metri 1,70 - 2. A distanza di osservazione di 5-10 metri si ha un' illusione di miglioramento, ma non utile per la localizzazione accurata dell'ombra. (III)-Mathematicus significa matematico, astronomo, astrologo. A quei tempi non si facevano distinzioni. (IV)-Lo spessore minimo dello Spazio eliotropico in corrispondenza dell'ora Vl° temporaria, era circa 55 metri, misura modesta se raffrontata alle dimensioni massime dell'orologio (almeno come supposto e ritenuto da taluni), ma pur tuttavia sufficiente a vanificare la nitidezza dell'ombra dell'estremità dello gnomone. Questa riflessione porta a propendere per un horologium Augusti a funzione solo calendariale. (V)-Certamente, la possibilità di ottenere una zona di penombra più netta e meno indeterminata, era più facile in tempi dove non esisteva la polluzione atmosferica dovuta a smog, ma prove pratiche effettuate oggi in alta montagna, anche con l'ausilio di strumentazione fotometrica, hanno dimostrato l'insufficiente beneficio di un cielo terso e privo di particelle diffondenti. (VI)-Ai tempo di Augusto la posizione stagionale del Sole era riferita alle costellazioni dello zodiaco; i segni, che del resto, allora, coincidevano circa con le costellazioni, non erano stati ancora introdotti. (VII)-I Romani, come del resto i Greci, non usavano nei loro scritti la puntaggiatura. Quella che troviamo nelle traduzioni odierne è stata aggiunta nei secoli successivi, non sempre conforme al senso che intendeva l'autore latino.

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ILLUSTRAZIONI

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E' POSSIBILE COSTRUIRE IL RELOGIO DEL PALACIO DE LAS ORAS? Alessandro Gunella, Biella

Negli anni del suo regno (1252 -1284), il Re di Castiglia e Léon Alfonso X el Sabio ha promosso le Arti e le Scienze. A lui dobbiamo le Tavole astronomiche dette appunto Alfonsine, ed i Libros del saber. Qui ci interessa la parte finale del V° libro de los relogios Alfonsies, nella quale è illustrato un edificio (una torre circolare, oppure una cupola) le cui aperture dovrebbero a turno permettere l'ingresso della luce del Sole, un'ora per ogni finestra. La spiegazione delle operazioni necessarie per costruire questo Palacio, è carente e, come vedremo, tecnicamente molto discutibile. Per fortuna il capitolo si conclude con questa frase, che dice poco, ma dice tutto: ... et esto es en la sotileza del maestro que las faze, et en so buen entendimiento. ca esto no es dado sinon a ome entendudo. Arrangiati e spera, insomma. Il testo che si vuole analizzare è il seguente, che si riporta, tradotto, senza le figure, le quali per la verità non sono granché utili per capirne qualcosa (si direbbe che questo edificio sia solo nelle idee vaghe di chi ha scritto, sia del tutto ignoto all’amanuense che ha trascritto il testo e che il miniatore dei disegni non sapesse affatto che cosa disegnava). Una seconda parte del testo tratta della costruzione dell'orologio a cupola. Essa però differisce solo per il "supporto", ma non per la sostanza, e quindi la trascurerò (anche se, considerando le conclusioni cui giungerò, la cupola è forse l’unica soluzione sensata). QUESTO È IL PROLOGO DEL PRIMO LIBRO, che spiega di come si debba costruire il palazzo delle ore. Abbiamo già detto di come si costruiscano gli orologi, e di come si debba operare con essi. Ora vogliamo mostrare come si costruisca il palazzo delle ore, nel quale si debbono avere 12 finestre per le 12 ore del giorno, una finestra per ogni ora, fatte in modo che il Sole entri da una sola ogni ora, e in nessun'altra; ordiniamo al suddetto Rabiçag (NDT: si tratta dell'estensore materiale del testo, probabilmente, Rabbi-Ishaq ibn Sid ha-Hazzan, noto astronomo ebreo del Sec. XIII, coautore delleTavole Alfonsine; chi ordina è il Re. ) di realizzare questo libro, in cui insegni come si deve costruire il palazzo. ... omissis.... 1) Come si realizzi il cerchio degli Azimuth nel pavimento del palazzo. Quando intendi fare ciò, spiana la terra e costruisci un cerchio grande quanto il palazzo che vuoi costruire e se pavimenterai il cerchio con assicelle (Taulas recias) , sarà meglio. Suddividi poi questo cerchio in 360 parti uguali, tracciando una linea dal centro a ciascuna delle parti, che saranno gli Azimuth. E scrivi su di esse i numeri da 1 a 90 a partire dal primo, su cui scriverai "Oriente". E se avrai fatto le scritte verso destra, all'estremo scriverai: Mezzodì. Andando invece a sinistra, scrivi al termine: Settentrione. Trova poi il punto di Occidente che è l'opposto del punto d'Oriente, e comincia a scrivere da esso il numero 1 fino a 90, a destra e poi a sinistra, fino a quando avrai scritto tutti gli Azimuth fra i quattro punti. 2) Come di debbano individuare gli Azimuth delle ore per il capo di Capricorno e per il capo di Cancro. Quando intendi individuare quanto sopra, trova l'Azimuth della prima ora del capo di Capricorno, e traccia un segno nel cerchio degli Azimuth sul suo punto preciso. Poi ripeterai l'operazione con la seconda ora, con la terza, la quarta eccetera, fino a 12. Scrivi sui punti segnati l'inizio delle ore cui si riferiscono, e così avrai scritto su tutti gli Azimuth gli inizi delle ore del Capo di Capricorno Ripeti poi l'operazione per gli inizi delle ore di Cancro. 3) Di come si debba realizzare il quarto di cerchio per tracciare le altezze delle ore in questo strumento Quando intendi fare questa operazione costruisci un quadrante di cerchio che sia grande come il quarto di cerchio degli Azimuth e dividilo in 90 parti, come è suddiviso un quarto del cerchio degli Azimuth; sulla linea che va dal punto di 90° al centro inserisci un perno, esattamente sul punto dove sta il centro: fallo rotondo, e pratica un foro nel centro del cerchio degli Azimuth, e inserisci in esso il perno facendo in modo che la numerazione (del quadrante delle altezze) cominci sopra il cerchio degli Azimuth, e che il quadrante sia verticale sopra di esso. 4) come si realizzino gli indicatori delle ore e le linee relative. Quando affronti questa parte, devi conoscere l'altezza del Sole alla fine della prima ora del giorno del Capo del Capricorno, per la località; e devi conoscere anche le altezze per le altre ore, fino alla 12a. Analogamente dovrai conoscere le altezze per ogni ora relative all'inizio di Cancro. Scriviti ciascuna altezza da una parte, e tienile d'acconto. Costruisci dei pali di legno, a sezione quadrata, che abbiano le facce uguali; ciascuno sia lungo come il palo che dovrà corrispondere al capo di Cancro, come sarà chiaro procedendo in questo capitolo.

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Considera questi pali i "dimostratori delle ore", e piantane uno in corrispondenza dell'Azimuth del termine della prima ora del capo di Capricorno, inserendolo ben verticale sopra l'angolo, a destra di esso, in modo che con la faccia sinistra sia al di sopra dell'Azimuth della fine della prima ora. Farai così con il secondo e con i successivi, fino alla sesta ora di quelle del Capo di Capricorno. Poni poi il perno del quadrante nel foro che sta al centro del cerchio degli Azimuth, e fai ruotare il quadrante, fino a quando la sua faccia sia sopra l'Azimuth della fine della prima ora di Capricorno; fissa un filo nel centro del quadrante, e tiralo in modo che stia al disopra dell'angolo d'altezza relativo a quell'ora, fino ad arrivare alla faccia sinistra del "dimostratore" (facendo attenzione che continui a seguire l'angolo d'altezza che ti eri segnato). Traccia una linea sulla faccia sinistra del palo seguendo questo filo, e scrivi lungo di essa: “linea della prima ora del Capo di Capricorno". Continua così con i dimostratori che stanno sulla parte orientale. Farai lo stesso lavoro con i dimostratori che stanno dalla parte occidentale, salvo il fatto che occorrerà porre le facce destre dei dimostratori sopra le linee degli Azimuth. Segna su tali facce le linee delle ore, come lo hai fatto sulle facce sinistre dei precedenti. Scrivi sopra ciascun dimostratore che ora è. Ripeti l'operazione con i dimostratori del Cancro, tenendo presente che questa volta vanno disposte sulle linee di Azimuth le facce destre nei dimostratori orientali, relativi alle prime 6 ore, (così come hai fatto per i dimostratori occidentali delle linee di Capricorno). Su tali facce segnerai le linee delle ore; porrai invece le facce sinistre dei dimostratori sulle linee di Azimuth occidentali (così come hai fatto per i dimostratori orientali del Capo di Capricorno), segnando su queste facce le linee delle ore. Scrivi su ciascuna linea che ora è, sia per Capricorno che per Cancro. 5) Come si deve costruire e portare a termine l'edificio. Costruisci ora delle assicelle di legno, che entrino nella forma del cerchio degli Azimuth, inserendole fra un dimostratore ed il successivo, fino a completare l'edificio, a somiglianza di una torre rotonda; costruisci la porta dell'edificio dalla parte di settentrione, e al disopra della torre poni il tetto. Prendi poi una sega ben affilata e sega il dimostratore della prima ora di Capricorno lungo la linea che hai segnato su di esso, fino a tagliare tutto il dimostratore; opera allo stesso modo con gli altri. Taglia inoltre quanto sta fra un dimostratore e l'altro, seguendo l'inclinazione con cui si è tagliato il dimostratore che sta vicino. Taglierai dunque quanto sta fra un dimostratore ed il successivo, fino ad averli tagliati tutti, meno quello che sta nel punto di mezzodì. Sappi che questa operazione di taglio deve ottenere una figura di cerchio. Farai la stessa operazione con i dimostratori di Cancro; si otterrà una linea segata con un profilo a forma di pinnonado. 6) Come si debbono sistemare le tavole delle ore. Quando fai questa operazione, costruisci delle tavole piane, dello spessore che vuoi, e siano tutte dello stesso spessore. Sega poi vicino alla linea della prima ora di Capricorno, facendo un taglio obliquo come quella linea, che sia profondo mezzo dito. Fai ora un altro taglio alla destra del primo, e sia la distanza fra i tagli pari allo spessore di una delle tavole suddette. Asporta quanto sta fra i tagli, ottenendo qualcosa come un canale. Opererai analogamente sulla linea della prima ora delle ore di Cancro. Prendi poi una tavola, e tagliala in modo che vada da un incavo all'altro. Metti poi un estremo della tavola nell'incastro, e l'altro nel secondo, scrivendo poi su di essa "tavola dell'inizio della seconda ora"; opererai ancora allo stesso modo con le tavole della terza ora, e così via, fino al compimento delle 12 ore. Fissa la tavola nel suo alloggiamento con un collante in modo che sia ben fissa. Ponendo poi una riga sul capo del dimostratore e sopra la tavola dell'ora, che vada fino al capo dell'altro dimostratore, segna la tavola con la costa della riga. Asporta dalla tavola con la llana (una lima, o una pialla, che spiani) tutto quanto sta all'esterno della riga, evitando di asportare quanto sta all'interno; il motivo lo conoscerai nel capitolo che segue. Queste tavole dovrebbero essere costruite in pietra o in ottone, perché non si deformino al vento o all'acqua. 7) Come si debbono fare le ante di chiusura delle finestre delle ore e di come si devono aprire le 12 finestre. Volendo fare questa operazione prendi una tavola e spianala, rendi ben dritto il bordo con la riga e accostalo al bordo della tavola dell'ora terza, che è ben dritto, perché te l'ho fatto raddrizzare nel capitolo precedente. Tieni presente che questa tavola deve essere fatta come una finestra, e che da una parte deve essere stretta, e dall'altra ampia; chiamerai questa tavola "chiusura"; fai combaciare l'altro capo di questa tavola con la tavola dell'ora seconda, in modo che si sovrappongano; poi apri in essa una finestra, la cui apertura sarà costruita in modo che il Sole entri attraverso di essa all'inizio della seconda ora, e che il raggio non cessi di entrare attraverso di essa, spostandosi il Sole da una posizione ad un'altra a oriente, prima che sia terminata la seconda ora. E quando sarà terminata l'ora, il Sole lascerà questa finestra, per entrare nella successiva, che sta nella "chiusura" dell'ora terza. E così il Sole andrà per tutto il giorno, uscendo da una finestra ed entrando nella successiva; e non lascerà una finestra se non al termine dell'ora relativa, e non entrerà nella finestra successiva se non quando comincia l'ora che le compete. E così farai per tutte le 12 ore. L'intero segreto di quest'opera sta nella tavola che abbiamo chiamato "chiusura", nella sua giunzione con la tavola dell'ora, e nell'apertura della finestra, che non sia né maggiore né minore del necessario, e ciò sta nella sensibilità del “maestro” che la costruisce e nella chiarezza delle sue idee, cosa che non è data se non a uomo accorto. Di questo non posso darti esempio con una figura, ma sappi che queste finestre trovano posto nel fondo della tavola cui hai dato nome "chiusura".

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In altri termini, si tratta di un orologio “a rovescio”: il vertice dello gnomone è il centro del pavimento, e i raggi del Sole passano dalle linee orarie prima di convergere al vertice; ma le cose non sono così semplici. Qualche elemento utile c’è: l'orologio descritto, secondo le abitudini dell'epoca, è ad ore ineguali, ma potrebbe essere costruito secondo un sistema orario qualsiasi. Il metodo per tracciare i punti che interessano corrisponde al sistema altazimutale di individuazione in uso presso la cultura araba dei secoli precedenti: si individuano gli Azimuth dei punti orari di Cancro e di Capricorno, e si piantano in corrispondenza di tali direzioni dei paletti (l’Autore li chiama "dimostratori”) sufficientemente lunghi, intorno ad una superficie circolare (ben orizzontale e pavimentata con tavole di legno). Essi, si direbbe, dovranno servire in parte anche per sostenere la copertura di questa specie di torre circolare. Sui dimostratori si riportano le tangenti trigonometriche delle altezze, segnando con un filo che parta dal centro della pavimentazione (punto gnomonico di proiezione) la pendenza dei raggi solari all'inizio di ogni ora (in Cancro e in Capricorno). E qui serve una digressione, perché gli amici cui ho sottoposto questo scritto hanno cominciato a boccheggiare. Per affrontare il problema, e cercare di capire le idee di Rabbi Ishaq, è forse meglio rifarsi a qualcosa di più semplice. Prima di tutto, ricordiamo che i raggi del Sole, con buona pace dei fisici e degli studi sulle onde elettromagnetiche, vanno considerati qui come rette parallele. Il guaio è che normalmente con lo gnomone si isola “un raggio”, quello che serve per fare ombra, lasciando passare oltre tutti gli altri (e nel caso del foro gnomonico? beh...); qui invece lo gnomone è il punto a terra da cui partono le tangenti per i dimostratori. Ma i raggi del Sole entrano da tutte le fessure, e bisogna trovare la maniera di isolarne “uno solo”, quello che andrà a colpire il punto gnomonico per tutta l’ora che ci siamo proposta; alla fine dell’ora, il raggio deve sparire e ne deve comparire subito un altro, quello dell’ora successiva. Per riferirci a qualcosa che ci sia famigliare, immaginiamo di

disporre di un orologio equatoriale cilindrico, un poco come quello noto come “meridiana Cozza” presentato da Marianeschi a Bocca di Magra, ma più semplice, ad ore solari, fatto magari in modo rudimentale con l’involucro in cartone di un vecchio fustino di detersivo (adesso non li fanno più cilindrici, peccato): il tracciato orario ad ore eguali è facile da costruire, una riga ogni 15°. Ma noi, invece di disporlo come sarebbe logico, con il suo bravo filo centrale a fare da stilo polare, e una pallina a fare da vertice dello gnomone, facciamo delle fessure al posto delle linee orarie, e lo disponiamo a rovescio, con la parte convessa verso il Sole. Ovviamente la luce entra da tutte le fessure, ma solo una lama di luce corrisponde all’ora del Sole, ed è la lama che passa per lo gnomone centrale, e lo illumina d’immenso (le altre lame sono fasulle, e non passano per il centro). Anche questo è un orologio, ma non è molto comodo: è difficile individuare l’ora, perché è difficile individuare quale fessura illumina il centro. Per un orologio, non capire che ora segna, è

abbastanza grave .... Potremmo migliorare il tutto facendo l’orologio con un semicilindro trasparente e con le linee orarie opache, o con strisce colorate, e fare una base che passi dal centro dello gnomone e che abbia un bel disco bianco proprio in quel punto, al posto della pallina. Qualcuno potrebbe anche disegnare i cerchi dei punti di zodiaco. Se l’ombra di un cerchio arriva al disco centrale, la data è quella. Se poi fosse tanto grande da starci sotto.... Altra soluzione: all’esterno del cilindro ne mettiamo un altro, concentrico del primo e con le fessure delle ore nella stessa posizione, ovviamente. Così i raggi paralleli che entrano dalle fessure del primo sono bloccati dalla superficie del secondo; tutti, meno uno, quello corrispondente all’ora. Una variante potrebbe essere la disposizione di lastre convergenti

verso il punto centrale, studiate in modo da bloccare tutti i raggi che formano un angolo superiore a 15° con la loro superficie. E questa era l’idea di Rabbi Ishaq. Una variante che sembra non avere nulla a che fare con questo problema, e che invece è sostanzialmente la stessa cosa, a pensarci un poco

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sopra, è la seguente: immaginiamo un mappamondo debitamente orientato, con meridiani ogni 15° (le linee orarie) e un certo numero di paralleli, quelli delle linee dei Segni zodiacali. Lungo i meridiani disponiamo degli spilli, piantati ben perpendicolari e tutti della stessa altezza: gli spilli sul meridiano corrispondente all’ora avranno l’ombra allineata con il meridiano; uno di essi sarà addirittura senz’ombra, e sarà quello utile a sapere ora e data. Gli altri spilli avranno l’ombra variamente inclinata a raggiera, a destra o a sinistra, verso Nord o verso Sud, rispetto al proprio meridiano, e renderanno facile l’individuazione dell’unico spillo utile. (L’idea non è mia, qualcosa di simile si trova in un testo del Bleau, 1630 o giù di lì) Torniamo al Saber. Si inserisce poi una serie di tavole fra il paletto di Capricorno e quello corrispondente di Cancro, tavole che, a quanto è dato di capire, materializzano i piani che uniscono i punti orari sui paletti con il punto gnomonico. Le tavole così ottenute sono, se vogliamo, le linee orarie dell'orologio, disegnate sulla parete perimetrale dell'edificio. Dimenticavo: prima di disporre le tavole orarie, il testo dice di coprire tutto il perimetro con pareti di assicelle, e poi di tagliare i paletti di Capricorno in corrispondenza dei loro punti orari; infine di segare la parete fra due paletti successivi: la linea percorsa dalla sega è la linea giornaliera di Capricorno sulla parete. E per i paletti di Cancro e la linea relativa si fa lo stesso. Secondo l'autore, parete e paletti andrebbero eliminati dal campo fra le linee di Cancro e di Capricorno, il quale campo copre quasi 3/4 del perimetro. Nessuno si preoccupa del fatto che: i paletti dovrebbero sostenere il tetto e le assicelle del tratto di parete al di sopra la linea di Cancro. La tecnica costruttiva medievale lascia a desiderare, o sono le idee a traballare? Ammettendo superata questa difficoltà (Teniamo almeno i paletti di Cancro: vorrà dire che il Sole entra con qualche ombra proiettata dai paletti; pazienza), a questo punto interviene il Maestro, l'ome entendudo (il sottoscritto? mah...), che ovviamente deve inventarsi tutto, perché di qui in avanti la spiegazione fa acqua. Ogni "tavola dell'ora" deve essere ben piana, ben fissa, disposta secondo la regola, e la sua costa esterna deve fare un piano coincidente con la superficie che si ottiene unendo i due paletti di estremità. Una seconda tavola (quella di "chiusura", all’incirca verticale, o almeno quasi perpendicolare alla tavola dell’ora, si direbbe) parte per esempio dall’intradosso della tavola della terza ora, e chiude lo spazio fra di essa e la tavola della seconda ora, lasciando una fessura, che è quella da cui passerà il raggio solare per tutta la seconda ora (e così dicasi per gli spazi relativi alle ore successive, il tutto come abbiamo spiegato sopra, nell’inserto). I guai da superare, però, sono parecchi:

1§ Le ore sono ineguali, e quindi (per la latitudine di 45°) la fessura da cui passerebbe il Sole per ogni ora deve contemplare un "angolo d'accesso" dei raggi di poco meno di 11° per il tropico di Capricorno, e di circa 19° per quelli del tropico di Cancro (Attenzione: sono angoli da misurarsi lungo le linee giornaliere di moto del Sole, e non perpendicolarmente alla tavola.). Risultato: quando il Sole è in Capricorno i suoi raggi entrano dalla fessura da 11°, ma anche dalla parte da 19°, sia pure un po' per traverso; addio ad "una finestra per volta". (Se l'orologio fosse ad ore eguali funzionerebbe meglio? Forse; quello spiegato nella digressione parrebbe che vada, ma per una parete verticale i problemi si complicano). 2§ I bordi esterni delle tavole 2a e 3a seguono due linee sghembe, ovviamente, e quindi la tavola di chiusura accostata al verso della tavola dell'ora terza, avrà una posizione condizionata dalla tavola della 2a ora e dagli angoli d'ingresso e d’uscita del Sole per quell'ora. La faccenda è più complessa di quanto si immagina, da un punto di vista strutturale, s’intende. 3§ il testo non prevede tavole che seguano le superfici coniche di Cancro e di Capricorno, limitando e incanalando la luce nello spazio occupato dalle tavole orarie, e quindi i raggi entrano incontrollati ai lati delle aperture, anziché penetrare attraverso le sole fessure orarie. 4§ le dimensioni giocano un ruolo molto importante nella possibilità pratica di realizzazione dell’opera.

In altri termini, il tutto prova che il sig. Rabiçag non ha neppure provato a costruirlo, questo benedetto palacio, anche perché si sarebbe accorto che in pratica, al disotto della latitudine di 40° e al disopra di circa 50°, è solo costruibile la cupola, e non più l’edificio a torre: sotto 40° diventa troppo alto, e al di là di 50° la finestra di base - ore zero e dodici - diventa troppo ampia.. Queste sono le premesse che a mio parere inquadrano il problema per l'ome entendudo. Vediamo le possibili realizzazioni: si accettano proposte. Le mie sono queste:

Figura 1- la posizione delle tavole orarie delle prime sei ore del giorno secondo il testo, e secondo la prima ipotesi - la Sez. A-A deve essere fatta lungo una delle linee giornaliere di moto apparente del Sole

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Prima ipotesi. Limitiamo anzitutto il campo d’ingresso della luce con delle tavole che seguano le curve giornaliere estreme. Esse dovranno convergere al centro del pavimento: sono la materializzazione parziale dei coni tracciati dal Sole durante i solstizi; supponiamo che per un palacio con diametro di 6 m la superficie conica copra uno spessore di parete dell'ordine di 80 cm. (Occorreranno anche dei supporti, che la tengano in loco, nella direzione giusta. Penso al costo di una operazione del genere. Per fortuna si può ridurre il tutto ad un modellino.) Uno con le idee grandiose potrebbe pensare di costruire anche i coni relativi agli ingressi nei vari Segni di Zodiaco, complicando ancora il problema, e i costi. Ma il palacio ne uscirebbe arricchito, e l’orologio funzionerebbe meglio.

E qui entrano in gioco le questioni relative alle dimensioni, perchè facendo anche solo dei conti approssimativi, viene fuori che per la latitudine di 45° (la mia; ma Toledo è a 40°, ed è ancora peggio) l’altezza dell’edificio è all’incirca pari a 2,7 volte il raggio, che le tavole orarie devono essere lunghe più di due volte il raggio, che la posizione sghemba delle loro coste presenta angoli elevati, con evidenti difficoltà nella costruzione delle cosiddette “chiusure”. Rinunciamo a considerare condicio sine qua non l'ingresso della luce da una sola apertura per l'orologio ad ore antiche, ammettendo che vale l’ora indicata dall’ultima apertura in cui entra un raggio, e che l’ingresso residuo dalla finestra precedente è solo un refuso. Aggiungiamo (fig. 2) al disopra del bordo della tavola oraria un listello che formi un risalto dell'ordine di pochi centimetri (10 cm?). Disponiamo la tavola di

"chiusura" un poco arretrata, secondo lo schema grafico; la "finestra" sarà alta come il listello, e la tavola di chiusura, per l'orologio antico, sarà un poco sghemba rispetto al bordo interno della tavola oraria, in modo che l'angolo d'ingresso del Sole sia 11° verso il Capricorno, e circa 19° verso il Cancro. bene che vada, però, questa “chiusura” dovrà essere una superficie “rigata sghemba” o qualcosa di simile, e non potrà essere una tavola piana. (Figg. 1 e 2) La soluzione è esaustiva solo per quanto riguarda l'inizio dell'ora (il Sole non può entrare da quella finestra se non raggiunge gli angoli - Azimuth e altezza - relativi all'ora e alla data), ma in certi periodi dell’anno la luce entrerà da almeno due fessure, da quella dell’ora ed in parte da quella dell’ora prima . Per vedere il raggio che entra sarà il caso di inserire nelle aperture (meglio un poco indietro..) una superficie ialina (alabastro?, vetro smerigliato?, dei vetri colorati potrebbero essere più piacevoli). La superficie colorata è quella corrispondente all’ora. Oppure si potrebbe fumare una sigaretta... In altri termini, la soluzione non pare un granché. E’ poco pratica ed estremamente appesantita dalla necessità di adeguare le superficie alle direzioni dei raggi. Inoltre ci sono problemi statici non indifferenti da superare, perché non basta un poco di colla, come vorrebbe l’Autore. Però questa “soluzione” è la più ragionevolmente vicina al testo. Altra ipotesi: Ci scostiamo decisamente dal testo e facciamo le pareti doppie, con una intercapedine adeguata, come proposto nella digressione. Poi tagliamo nella parete esterna ed in quella interna delle fessure PQ (Fig. 3) e P1Q1 corrispondenti alle linee orarie, operando secondo lo schizzo allegato. Il raggio anomalo, eccedente il periodo orario che compete a quella fessura, viene “intrappolato” all’interno dell’intercapedine. In altri termini, le due pareti, se tagliate opportunamente, servono da "registri": quella interna (Linea PP1) regola l'inizio del raggio solare, e quella esterna (linea QQ1) la fine. La soluzione (forse meglio interpretabile dai due semicilindri di cartone di cui si è detto sopra) è ovviamente una variante della prima, perché nella precedente soluzione il punto P copre entrambe le funzioni di registro dell'inizio e della fine dei raggi solari, aiutato dalla regolazione della distanza PQ del bordo interno Q della tavola. Questa è una soluzione migliore (e meno costosa) della precedente. E’ possibile inserire con maggior facilità le solite superficie ialine per evidenziare l’apertura illuminata, e quindi le ore.

Figura 2 -

Figura 3

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Terza ipotesi, l’unica a mio avviso con possibilità pratiche di essere realizzata: poiché il centro del pavimento è il punto gnomonico, restituiamogli questa funzione. Sia esso un dischetto bianco su un pavimento scuro. (Fig. 4) Facciamo un bel finestrone che segua la parete circolare, e che vada dalla curva di Capricorno a quella di Cancro: Su tale finestrone disegniamo le curve orarie con delle bande in metallo, o anche solo con della vernice (eventualmente, facciamo anche la mezz’ora, e il quarto). Per costruire le linee orarie non ci sono problemi, basta fare a rovescio del Sole: una volta trovati i punti orari estremi per ogni ora, mettiamo un’assicella ben dritta fra di essi ed una lampadina sul dischetto, di notte; l’ombra dell’assicella sulla vetrata è la linea oraria, qualsiasi sia il sistema. Disponiamo ora dei vetri di colore diverso per ogni spazio orario. Basterà a questo punto vedere di che colore è il dischetto, per sapere che ora è. (Nella Fig. 4, il solo punto A dell’ora 4a si proietta in A0, che è il dischetto centrale, punto gnomonico. Il giorno successivo, non sarà più A, ma un altro punto della linea dell’ora a proiettarsi su A0.) L’unico guaio è che il finestrone è veramente tale: è una fascia larga quanto il diametro dell’edificio, e addirittura di più nella zona centrale. Ma il palacio può sempre essere una serra.

I disegni tentano di illustrare quello che intendo. Mi affido anche alla fantasia ed alla buona volontà del lettore. Si accettano altre soluzioni, possibilmente migliori. Post Scriptum: nel 1994 ebbi modo di sfogliare un’edizione ottocentesca dei Libros del Saber de Astronomia ordinati da Alfonso X Re di Castiglia presso l’Osservatorio Astronomico e Copernicano di Monteporzio Catone (Roma). Grazie al permesso del conservatore del museo, Giuseppe Monaco, realizzai alcune foto delle pagine che più mi interessavano. Tra queste, la serie che interessa il capitolo relativo al “palacio de las oras”. Da allora inutilmente si è tentato di decifrare l’antico testo che resta comunque sibillino in molti punti. Mi sono rivolto a vari studiosi gnomonisti per cercare di svelare il “mistero” di questo palazzo gnomonico del XIII secolo, ai quali desidero rivolgere un personale ringraziamento per l’interesse dimostrato.

Ci voleva però Alessandro Gunella perché il mistero fosse almeno in buona parte svelato e divulgato attraverso le pagine di questa nuova rivista. Colgo l’’occasione, quindi, sia per ringraziare che per fare i miei complimenti ad Alessandro che considero uno dei maggiori studiosi di gnomonica italiani.

Nicola Severino

LA MERIDIANA DIGITALE di Robert L. Kellog da COMPENDIUM, rivista della North American Sundial Society – Volume 2 Number 3 – September

1995 – Pp da 4 a 10 Adattamento del testo e delle figure a cura di Giacomo Agnelli, Brescia

INTRODUZIONE Recentemente sono state fatte delle migliorie nella costruzione delle Meridiane Digitali, la cui struttura è notoriamente assai

Figura 4

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complicata. Sostanzialmente, sono stati effettuati alcuni tentativi di costruzione di tali meridiane, come ad esempio la meridiana di Hines, che dirotta la luce solare in una zona d’ombra all’interno di un cilindro, in un Display numerico segmentato, mediante fibra ottica, sistema Gongora-T, ed utilizzando una sorta del processo olografico di Stuart, che utilizza esposizioni multiple su di una lastra fotografica. --- N.d.T. = Immagine olografica: in una lastra fotografica, trattata con tale sistema, l’osservatore vede come in una “finestra” attraverso cui egli può guardare l’immagine dell’oggetto olografato sotto angoli diversi, con i consueti effetti di prospettiva e parallasse, ottenendo una “Immagine virtuale tridimensionale” pur essendo una superficie a due dimensioni. Qui si usa un simile processo per far comparire, col mutare dell’angolo d’illuminazione, una serie di cifre diverse una dall’altra, vale a dire le ore che si succedono. --- Già dagli anni ’70 è nota la teoria delle meridiane digitali, che impiega un Quadrante Polare Composto (CPD), utilizzato per quelle di costruzione relativamente semplice. Recentemente, é stato presentato al Congresso annuale della ”Società delle Meridiane del Nord-America” un prototipo di tale meridiana digitale, ottenuti da grafici del 1981, dello gnomonista Boon. Il quadrante digitale di questo tipo è un CPD lineare, che mostra ad ogni ora dei numeri romani, dalle VIII (mattino) al IV (pomeriggio). Quello di Kellog, invece, usa sia una forma lineare che tangenziale del piano polare per rappresentare – sempre in modo digitale - il tempo con intervalli di dieci minuti (…11:30, 11:40, 11:50, 12:00, 12:10 … ecc.). Ovviamente ci sono più quadranti e ciascun CPD provvede a definire quattro ore consecutive. Nel quadrante completo, vengono pertanto usati tre Quadranti-gnomoni per visualizzare rispettivamente le ore dalle 6 del mattino fino alle 10, poi dalle 10 fino alle 2 del pomeriggio e dalle 2 alle 6. Potrebbero anche essere usati quattro gnomoni, in posizioni leggermente diverse e ciascuno di quattro ore, per ricoprire una durata totale di sedici ore, ad esempio dalle 4 alle 20. L’ora solare locale può essere rappresentata nei vari modi desiderati. Il CPD digitale, infatti, può essere facilmente adattabile alla visualizzazione delle cifre con grafia romana, araba, ebrea, sanscrita o con qualsiasi altro simbolo, per indicare il passare del tempo, e per gli intervalli ciclici (ad es. i quarti d’ora ripetitivi, i dieci minuti, ecc.), può essere utilizzato qualsiasi altro simbolo od immagine. La versione semplice del CPD, qui descritta, non può adattarsi automaticamente alla equazione del tempo: tuttavia, uno gnomone CPD può essere manualmente ruotato di un certo angolo orario, per compensare le differenze, anche per la longitudine e l’ora legale. La visualizzazione dell’ora solare locale può essere talmente accurata da ottenere un’approssimazione entro i 90 secondi.

PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO Per meglio comprendere il principio di funzionamento del CPD osserviamo la fig.1 a) e b): si deve immaginare un semplice piano polare, dove lo gnomone viene sostituito da un piano opaco (lastra superiore), dotato di una stretta fessura. In tal modo, il sole anziché gettare un’ombra su di uno schermo determinerà su di questo un largo ma sottile raggio di luce, con la stessa ampiezza della fessura - se si trascurano gli effetti della penombra - che lo colpisce. Se si interpone una lastra inferiore con diverse aperture distanziate, fig.2, la luce solare passerà prima attraverso un’apertura, poi dalla prossima e così via attraverso tutte quelle dell’intera lastra andando a proiettare il raggio in posizione diverse sullo schermo. Si supponga ora che la lastra superiore abbia invece la forma di una veneziana o di una griglia, fig.3, con varie strisce alternate opache e trasparenti: le aperture multiple possono permettere il passaggio di raggi multipli e la posizione delle lastre, superiore ed inferiore, possono essere regolate per far passare la luce solare sullo schermo ad intervalli precisi. Se tutte le aperture della lastra inferiore sono della stessa ampiezza ed intervallate regolarmente, lo gnomone CPD è detto “lineare”, mentre se variano in ampiezza ed intervallo lo gnomone non è più lineare e nel caso la spaziatura fosse realizzata come sotto descritta è detto “tangenziale”. La fig.4 ne mostra la geometria: in a) per intervalli regolari, ossia il tipo lineare, mentre in b) quella di tipo tangenziale. L’indicazione accurata di una specifica “Ora solare” viene ottenuta mediante una variazione tangenziale d'ampiezza delle strisce (aperture ed intervalli), simile al metodo di realizzazione di un normale piano polare. L’illustrazione della citata fig.4 mette in evidenza che nella forma tangenziale il raggio solare passa dalle aperture della lastra inferiore esclusivamente una per volta (e questa funge da filtro), perché la porzione opaca - del grigliato della piastra superiore - è alquanto ampia per evitare che il raggio di sole passi contemporaneamente attraverso due aperture alla volta. Questo è appunto il principio fondamentale della modulazione discreta della luce. La creazione di una meridiana composita si ottiene mediante diversi “Quadranti polari” allineati uno accanto all’altro, in una sequenza che si estende da Est ad Ovest. In ciascun quadrante-gnomone la piastra superiore presenta per un'eguale alternanza fra il numero delle strisce aperte ed opache e la distanza di separazione con la piastra inferiore - nonché fra le aperture di griglia-filtro - permette la formazione della cifra. La fig.5 mostra la griglia della piastra superiore in a) e quella della piastra inferiore che funge da filtro in b): infatti all’interno di detta griglia-filtro c’é spazio per introdurre vari simboli orari, ossia interporre i numeri “10”, “11”, “12” e “1” (per l’indicazione delle ore 13). Osservando bene la fig.5 b) si può intravedere in qualche modo il numero “12” ed anche le due cifre uguali della decina iniziale e consecutive per le ore “10”, “11”, che stanno una accanto all’altra sulla sinistra; mentre le unità, ossia lo “0” e due volte l’”1”, sono più difficili da separare ad occhio, sulla destra. La fig. 6 fa vedere l’effetto sullo schermo dovuto al passaggio dal filtro dei raggi del

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sole, che variano d’angolazione col mutare del tempo, formando il numero “10” in a), l’ “11“ in b), il “12” in c) ed infine l’ “1” in d). Per creare gli elementi di meridiana digitale che declina sia ad est che ad ovest si utilizza una variazione del CPD adatto all’orientamento verso sud. In ciascun quadrante-gnomone, come descritto più sopra, la luce passa attraverso la griglia della lastra superiore e cadendo sulla piastra inferiore - con il grigliato-filtro – si proietta sulla superficie-schermo. Naturalmente, quest’ultima è completamente vuota e bianca (non ci sono cifre segnate): é dunque il CPD che getta i segnali luminosi a numeri digitali, mediante la luce filtrata in modo diverso per l’attraversamento angolato delle piastre grigliate. Se lo schermo è traslucido e visto direttamente dalla parte posteriore, i numeri appaiono illuminati vivacemente sul retro del quadrante-gnomone. LA MATEMATICA DELLA COSTRUZIONE Sono qui indicate delle considerazioni dimensionali per la meridiana ed in particolare come stabilire una distanza fra le piastre e la spaziatura delle fessure di griglia. Il quadrante digitale più piccolo costruito dall’autore di questo articolo è di circa 3” x 5” (75 x 125 mm) e ¼” (6 mm) di spessore e pure il citato quadrante di Boon (1981) è di dimensioni simili, approssimativamente, ma con solo 1/8” (3 mm) di spessore. Comprensibilmente però, tanto più grande è il quadrante quanto più facilitata risulterà la sua costruzione. Le equazioni per un CPD digitale sono riconducibili a quelle del semplice piano polare, prestando attenzione al fatto che l’Altezza dello gnomone è costituito dalla distanza fra le piastre e che si devono considerare bene gli orli delle fessure del grigliato superiore e quelle del filtro. Le equazioni necessitano pure dell’indice di rifrazione del materiale fra le due piastre (aria = 1, plastica = 1,48, vetro = 1,52, ecc.) e la compensazione per la penombra creata dalle dimensioni del sole di ½°. Le equazioni tangenziali (forma elementare) Siano, in fig.7: Hr = Angolo dell’ora del sole all’inizio della definizione “Turn on ” <gradi = °> Hs = “ “ “ alla fine “ “Turn off ” “ S = Diametro del sole (dimensionato in gradi) “ W = Ampiezza della fessura di griglia < mm > L = Distanza di separazione delle due piastre “ U = 1 / indice di rifrazione del materiale (adimensionale) < - > Le posizioni degli orli delle aperture di griglia - negli istanti iniziale e finale (Turn on – off) - sono determinanti dai raggi estremi della luce attraverso l’apertura di griglia superiore, in un sistema di coordinate d’origine (0,0) ubicato sulla piastra inferiore e centrata con detta fessura. Per calcolare la direzione del raggio del sole attraverso il CPD, nel caso di interposizione di materiale con diverso indice di rifrazione rispetto all’aria, gli angoli possono essere scritti come segue: Ar = - arc sin [ U sin ( Hr + S/2 )] (angolo all’inizio “Turn on”) As = - arc sin [ U sin ( Hs – S/2)] (angolo alla fine “Turn off”) Le coordinate che consentono il dimensionamento dell’apertura di griglia inferiore, definita per gli istanti d’inizio e fine ( Turn on – off), sono date da: Er = L tan ( Ar ) + W/2 (inizio “Turn on”) Es = L tan ( As ) – W/2 ( fine “Turn off”) Nell’esempio della meridiana citata: L = 6,40 mm à (0,250 inch = separazione piastre) W = 0,23 mm à (0,009 “ = apertura della griglia) U = 0,80 à ( 1 / 1,25 ossia inverso dell’indice di rifrazione) Hr = - 15° à (11 antimeridiane = ora dell’inizio, “Turn on”) Hs = 0° àà (12 ossia mezzogiorno = alla fine, “Turn off” ) S = 0,5° (gradi decim.) àà (1/2° = diametro del sole, espresso in angolo) I calcoli eseguiti danno: Ar = 10,41°, As = 0,17° ed Er = 1,041 mm (0,0421 inch), Es = 0,127 mm (0,005 inch). In questo esempio l’ampiezza della fessura della griglia per l’ora centrale é di 0,914 mm (0,036 inch), ossia è circa quattro volte più ampia dell’apertura sulla piastra superiore. Equazioni lineari (forma approssimata) Sebbene le equazioni suddette consentano la definizione di un preciso dimensionamento del grigliato della piastra-filtro, esse si prestano egregiamente per gli angoli orari Hr ed Hs dell’ora centrale, un po’ meno per quelle prima e dopo. Poiché, infatti, le aperture della griglia superiore sono spaziate uniformemente e disposte in zona centrale, il sole può passare da esse, suddividendosi in tanti raggi paralleli che cambiano angolo col passar del tempo e distendendosi via via, brillano sullo schermo - oltrepassando il filtro costituito dal quadrante della piastra inferiore - indicando successivamente le diverse cifre ed i simboli. Dunque, una precisa griglia inferiore - con le esatte aperture del filtro - reagirà ad uno specifico orario Hs ed Hr (secondo un sperimentato angolo orario). Parimenti, una stessa ed unica serie di simboli che si ripetono ogni ora, ricavati su griglia-filtro della piastra inferiore, saranno in grado di ripetersi ciclicamente se ricevono i raggi del sole da più griglie della piastra superiore, le quali ad ogni ora successiva

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proietteranno angolarmente sullo schermo gli stessi simboli. Questo fenomeno è chiamato “aliasing (creare un alias)” e ricorre in molte strutture periodiche. Le equazioni tangenziali valgono pertanto per l’intervallo fondamentale, con i risultati che si vedono nella fig.6 e precisamente in a), poi in b), in c) e in d). C’è dunque un’altra spaziatura di griglia che funzionerà anche per la ripetizione su parecchi intervalli di tempo? Sorprendentemente la risposta è affermativa. Nel calcolo è però necessario applicare un fattore extra, con valore vicino all’unità, chiamato “Fattore di ottimizzazione per la correzione dell’errore”: esso diluisce l’errore accumulato al trascorrere del tempo per il proprio CPD, utilizzando nel calcolo le Leggi delle serie polinomiali secondo il metodo di Chebychev. --- N.d.T. = Chebychev - talvolta denominato Tchebycheff, Cebiceff o simili - è un matematico russo(1821 – 1894), del quale si ricordano diversi contributi in campo numerico, quali le Equazioni differenziali, il Teorema di diseguaglianza, le Leggi di probabilità (con Markoff) e quella citata sui Polinomi. Si rimanda lo studioso a queste Leggi per una esatta comprensione di quanto esposto nell’articolo. --- Sia: x = Fattore di ottimizzazione (circa = 1,0) si ottiene: Er’ = - L.U.x.(Hr + S/2) + W/2 (inizio “Turn on”) Es’ = - L.U.x.(Hs - S/2) – W/2 ( fine “ Turn off”) N.B.: per queste equazioni alcune unità angolari devono essere espresse in radianti. L’abilità di usare esattamente nei calcoli il Fattore di ottimizzazione di Chebychev migliora grandemente l’accuratezza del quadrante digitale lineare: esso deve essere empiricamente determinato. La fig.8 mostra l’errore occorso in un quadrante - esteso a 4 ore - con e senza correzione: mediante l’ottimizzazione la meridiana digitale può raggiungere un’accuratezza fino a entro 90 secondi. Per funzionare in modo adeguato, le piastre devono essere inclinate di un angolo uguale alla latitudine della meridiana, proprio come si posiziona un normale quadrante polare. Poiché la piastra della griglia superiore è vicina alla piastra-griglia inferiore, la rotazione angolare dell’intero quadrante-gnomone fornisce le correzioni necessarie sia per la longitudine nonché per l’equazione del tempo e, se necessario, anche per tener conto dell’ora legale. Ciò permette di trasformare l’orario solare nell’orario medio, alle cui letture siamo tanto condizionati. DIMOSTRAZIONE PRATICA

In sostanza, questa meridiana digitale è realmente valida? L’illustrazione della fig.9 mostra la fotografia di un “Quadrante-gnomone digitale CPD”, costruito dal Kellog, basata sui principi esposti e si estende per uno spazio di tempo di 4 ore, dalle 10 antimeridiane alle 2 pomeridiane. Esso proietta numeri digitali ad intervalli di 10 minuti. In questo prototipo, lo gnomone è fatto in plastica di 4” x 6” (100 x 150 mm) con lo spessore di ¼” (6,4 mm) e fra le piastre e c’è lo spazio di circa 5/8” (16 mm). Il problema maggiore nel costruire il quadrante CPD è la precisione. La griglia ha le aperture di 0,009” (0,22 mm, ovvero 22 centesimi di millimetro), mentre le strisce opache hanno un’ampiezza approssimativa di 0,012” (0,3 mm). Per poter ottenere la precisione teorica di 90 sec , il calcolo progettuale del modello - nonché la costruzione e l’allineamento delle piastre - deve essere dentro una tolleranza di 0,0005” (0,125 mm). E’ dunque comprensibile perché la meridiana del 1981 di Boon - che fu assemblata dallo stesso relatore di questo articolo – fosse stata veramente difficile sia da costruire che da usare.

Il Testo originale è stato tradotto da Flavia Zappa Libero adattamento e rifacimento delle figure di Giacomo Agnelli

Illustrazioni

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MERIDIANE CILINDRICHE Riccardo Anselmi, Saint Vincent (Aosta)

Nel numero 2 di Gnomonica sono state trattate graficamente le meridiane inclinate con il metodo

proiettivo. In questo articolo lo stesso metodo sarà esteso alle meridiane cilindriche, a sezione circolare, concave e convesse, con lo scopo di preparare un algoritmo da utilizzare per la creazione di un programma per questo tipo di orologi solari.

Per orologio solare cilindrico si intende un quadrante solare verticale che utilizza l’angolo orario del sole, la cui superficie di tipo cilindrico presenta sezione circolare, parabolica, ellittica o iperbolica rappresentabile, quindi, con un’equazione di 2° grado (quadriche cilindriche). Pertanto i quadranti di altezza del tipo orologio del pastore non rientrano in questa casistica.

Sia XYZ un sistema cartesiano ortogonale monometrico come da figura 1, sia il cilindro di

equazione x 2 + y 2 - 2*x0*x - 2*y0*y = 0, r il raggio, O(x0, y0, 0) il centro della sua sezione giacente sul piano z = 0. Consideriamo il piano di equazione y = 0 che è secante al cilindro in C, centro dell’orologio, e nel piede G, origine delle coordinate, dal quale fuoriesce l’ortostilo gn che ha il vertice nel punto N(0, n, 0), st è lo stilo pari a gn/cos . Su si trova il quadrante solare generatore , rivolto esattamente a sud, che ha in comune con il quadrante cilindrico lo stilo st, l’ortostilo (falsostilo su ) gn con il piede G e la linea meridiana. G rappresenta il piede di mentre per il quadrante cilindrico si tratta di un falso piede in quanto il piede (vero) va ubicato in modo ortogonale alla superficie di . La scelta consente di disporre di un punto fisso, diverso da C, al quale riferire tutti i calcoli.

L’equazione della retta oraria su è la seguente : z = mx + cg, dove m = 1

tanh coso e ho è la

variabile che assume valori da -90° a + 90° con intervalli di 15° se indica le ore, con intervalli di 7.5° se indica

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le mezze ore ecc., quella della retta equinoziale è z = -gm. L’equazione della conica, della quale non fornisco la dimostrazione, è la seguente :

z = � Îs s u t x2 24

2( )

- gm dove sgn

ntÎ

Î2

tan ; t

nt1

; ugn

ntÎ

2

2sen ;

nt kt Îcos sen2 2 e kt1

2tan.

Bisogna proiettare il punto variabile Pp’(xa, 0, zc = f(xa)) del quadrante generatore dalla punta dello stilo sul cilindro. La funzione zc = f(xa) è, a turno, una delle funzioni precedenti (retta oraria, equinoziale, conica).

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Riferendoci alla figura bidimensionale 2 l’equazione del piano su cui giace la retta proiettiva è la

seguente : xxa

yn

1 dove xa è l’ascissa variabile indipendente del punto della funzione considerata di

su . Facendo sistema tra l’equazione del cilindro e quella del piano

x y x x y y

xxa

yn

2 2 2 0 2 0 0

1

Î Î Î ÎýÝ´

¯́

si ottengono le ascisse cercate : x xb b a c

a1 2

42

2

,� Î Î

Î e le rispettive ordinate

y nxxa

1 11

εÞþ

÷°̧

e y nxxa

2 12

εÞþ

÷°̧

ricordando che :

a = xa n2 2 b = Î Î Î Î2 0 02xa n x xa y n( ) c = xa n xa y n2 2 22 0Î Î Î Î Le coordinate del centro del cilindro sono x r d y r d0 0Î Îsen , cos . Restano da trovare le quote z che si ottengono facilmente dalla retta NPc’ le cui equazioni

sono

x xaxa

yn

x xaxa

z zczc

ý

Ý´́

¯´´

da cui, eliminando la y, si ricava la terza coordinata zzcxa

x . Poiché la retta proiettiva interseca il

cilindro in due punti noi sceglieremo quello che ci interessa. Il punto Pc’, nelle due posizione opposte, ha le seguenti coordinate :

Pc’ xb b a c

a1

42

2 Î ÎÎ

, y nxxa

1 11µ

Þþ÷°̧

, zzcxa

x1 1 oppure

Pc’( xb b a c

a2

42

2 Î ÎÎ

, y nxxa

2 12µ

Þþ÷°̧

, zzcxa

x2 2 )

Ora bisogna trasformare queste coordinate tridimensionali in coordinate cartesiane bidimensionali cilindriche in modo che si possa localizzare un qualsiasi punto di riferendoci ad un sistema cartesiano proprio del cilindro che potrà essere disegnato sopra uno ”spolvero” piano da adagiare in seguito al cilindro per tracciare il quadrante solare.

La figura 2 ci mostra che per calcolare la lunghezza dell’arco GPc si deve quantificare l’angolo .

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Risulta che : (1) PcG nsen sen

,(2) �+902

d e (3) e PcG = 22

Î Îr sen . Sostituendo

nella (1) e PcG, dopo una serie di opportuni passaggi si ottiene la (4) sen�pq p q

p

2 2

2

1

1 dove

pd

1tan( )

e qn

r dÎ

Î1

sensen( )

. Dalla 4 si ricava .

Siamo ora in possesso di tutti gli elementi per approntare l’algoritmo richiesto per le meridiane cilindriche concave e convesse.

REM LOOP: kup = 1 FOR xa = -10 TO 10 STEP passo : REM passo = 0.1, 0.001, 0.005, ecc. FOR ho = -90 TO 90 STEP 15 / 2 m = -1 / (TAN(ho * pi / 180) * COS(la)) z = m * xa + cg: REM linea oraria a = xa ^ 2 + n ^ 2 b = -2 * xa * (n ^ 2 + x0 * xa - sg * y0 * n) c = xa ^ 2 * n ^ 2 - 2 * sg * y0 * n * xa ^ 2 dlt = b * b - 4 * a * c IF dlt >= 0 THEN IF sg = -1 THEN IF gn < r - y0 THEN kup = SGN(xa) sigma = -b / (2 * a) xaa = sigma * (y0 + gn) / (gn + SQR(y0 * y0 - sigma * sigma + 2 * x0 * sigma)) IF xa > xaa THEN kup = 1 END IF x1 = (-b + kup * sg * SGN(xa) * SQR(b * b - 4 * a * c)) / (2 * a) alfa = ATN(xa / n) ab = alfa + sg * d p = 1 * sg / TAN(ab) q = 1 - sg * gn * SIN(alfa) / (r * SIN(ab)) s2 = (-p * q + kup * sg * SGN(ab) * SQR(p * p - q * q + 1)) / (p * p + 1) F2 = ATN(s2 / SQR(-s2 * s2 + 1)) IF sg = 1 THEN IF x0 > 0 AND x00 > 0 THEN IF xa > x00 THEN F2 = pi - F2 END IF IF x0 < 0 AND x00 < 0 THEN IF xa < x00 THEN F2 = - pi - F2 END IF END IF xcyl = F2 * r zcyl = z / xa * x1 PSET (xcyl * molt + shiftx, -zcyl * molt + shifty), 10 C1 = -gm: REM equinoziale zcyl = C1 / xa * x1 PSET (xcyl * molt + shiftx, -zcyl * molt + shifty), 7 REM solstizi ce = (-s - SQR(s * s - 4 * (u + t * xa * xa))) / 2 - gm ci = (-s + SQR(s * s - 4 * (u + t * xa * xa))) / 2 - gm zcel = ce / xa * x1

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zcil = ci / xa * x1 PSET (xcyl * molt + shiftx, -zcil * molt + shifty), 15 PSET (xcyl * molt + shiftx, -zcel * molt + shifty), 15 END IF NEXT NEXT Nel listato, la è la latitudine , F2 è l’angolo in radianti, xcyl è la lunghezza dell’arco PcG

equivalente all’ascissa cilindrica di Pc’, zcyl è l’ordinata di Pc’. L’algoritmo è completo ma è necessario chiarire alcuni punti : gli input riguardano la latitudine la, la

lunghezza dell’ortostilo gn, il raggio di curvatura r, la concavità (sg = 1) o la convessità (sg = -1) e x0, ascissa del centro del cerchio sezione. Risulta che cg = sen(la), cm = st / sen(la), gm = cm - cg. Shift x = 320, shift y = 240, molt è un moltiplicatore (porre provvisoriamente = 393). L’ascissa x0 determina lo spostamento dello stilo a destra o a sinistra dalla posizione centrale. Da essa si può risalire alla declinazione d della meridiana cilindrica con la formula x r d0 Îsen( ) . Per evitare overflow o altre disfunzioni si suggerisce di iniziare il listato con la dichiarazione :ON ERROR GOTO trap, quindi inserire a fine listato le linee trap :e RESUME NEXT. Questo in Qbasic.

Le seguenti istruzioni del listato servono ad evitare che l’angolo , raggiunto il valore di 90°, non superi, in valore assoluto, tale valore.

IF sg = 1 THEN IF x0 > 0 AND x00 > 0 THEN IF xa > x00 THEN F2 = pi - F2 END IF IF x0 < 0 AND x00 < 0 THEN IF xa < x00 THEN F2 = -pi - F2 END IF END IF dove x00 = gn * (x0 + SGN(x0) * y0) / (gn + SGN(x0) * x0 - y0). X00 è il valore che assume la

variabile indipendente xa quando l’angolo vale 90°. Ci sono altre istruzioni, dipendenti dai segni di xa e kup, che servono a scegliere opportunamente x1

o x2, dato che la retta proiettiva, nel ruotare intorno a N, interseca il cilindro in due punti. Se interessano i valori numerici sostituire la linea PSET( ecc. ecc ) con PRINT xcyil,zcyl. Per le curve dei solstizi o di altre linee diurne usare PRINT xcyl, zcel,zcil.

Per quanto riguarda il quadrante convesso l’adattamento dell’algoritmo è automatico ed avviene cambiando il segno di y0.

Si è mantenuto in questo modo lo stesso orientamento degli assi XYZ. Appaiono sullo schermo due linee verticali : la prima, di colore blu, rappresenta l’ascissa x0, la

seconda, di colore bianco brillante, l’ascissa curvilinea di O dove si verifica l’inversione di declinazione della meridiana. Per chiarire questo concetto si deve immaginare il cilindro come inviluppo dei suoi piani tangenti ognuno dei quali ha declinazione diversa dal precedente. Anche la meridiana cilindrica è composta da infinite meridiane piane declinanti che, tra di loro, hanno in comune la latitudine, la punta dello stilo e la linea dell’orizzonte. Ognuna di esse ha in comune con il cilindro la retta generatrice sulla quale vanno riportati i punti del quadrante piano corrispondente che si trovano sulla stessa. La declinazione di riferimento, quella stabilita da x0, viene, invece, misurata sul piano tangente lungo la linea meridiana.

E’ pure possibile costruire la meridiana cilindrica come luogo geometrico, sia in forma pratica che in modo rigorosamente matematico, sfruttando questa proprietà, argomento che, però, merita un articolo a parte.

Il metodo è estensibile anche alle altre meridiane cilindriche elencate all’inizio dell’articolo. RUBEUS.exe, programma compilato, è disponibile, come shareware, al seguente indirizzo E-mail : [email protected]. Sarà inviato con lo stesso mezzo. Diamo qualche consiglio per chi si vuol cimentare nella realizzazione di un quadrante cilindrico.

Esaminiamo per primo il caso del quadrante convesso.

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Se la superficie esiste e non si conosce il raggio di curvatura si rende necessario stabilire con la

maggior precisione possibile questo importantissimo dato. Si cerchi di trovare, con una buona approssimazione, l’esposizione del quadrante quindi tracciare sullo stesso una riga verticale (asse delle ordinate) che assumiamo come linea meridiana sulla quale poi si segneranno i punti G e C. Si appoggi sulla linea meridiana una lunga riga in bolla orizzontale (figura 3) e la si faccia ruotare sul cilindro in modo da ottenere una nuova posizione della stessa. La posizione precedente e quella attuale definiscono l’angolo che va misurato così come la distanza tra i due punti di tangenza della riga utilizzando un metro flessibile. A

questo punto possiamo risalire al raggio di curvatura utilizzando la formula rÎ

Î180

. Sarà bene ripetere

altri rilevamenti con dati differenti, scartando dai valori ottenuti quelli che si distaccano troppo dagli altri. Quindi fare una media, ottenendo, in questo modo, un dato affidabile.

Bisogna ora procedere al rilevamento della declinazione della meridiana che va eseguito sulla linea del mezzogiorno, dianzi tracciata. Usare il sistema della tavoletta in bolla esattamente tangente al cilindro sulla linea meridiana (figura 3b). Se si usa il metodo che sfrutta l’azimut del sole eseguire più rilievi facendo una media dei risultati, dopo aver scartato i valori troppo diversi. Una volta ottenuta la declinazione si risale all’ascissa del centro x0 con la formula x r d0 Îsen( ) . Se la meridiana è convessa e la declinazione è di tipo ovest, x0 va preso con il segno +, se è di tipo est con il segno -. Se è concava e la declinazione è di tipo ovest, x0 va preso con il segno -, se è di tipo est con il segno +. Dal rapporto raggio gnomone, oltre che dalla declinazione, dipende la durata del funzionamento dell’orologio. Uno stilo lungo restringe il campo di lettura più di uno corto a causa della curvatura del quadrante. Nel contempo bisogna conciliare le dimensioni del quadrante rispetto alla

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superficie disponibile e alle varie distanze da cui viene osservato. Suggerisco un rapporto massimo di 6 a 1 tra r e gn. Le meridiane convesse sono molto interessanti, ma hanno questa limitazione che non esiste per quelle concave.

A questo punto utilizzando il programma che avete preparato potrete ricavare le coordinate cilindriche xcyl e zcil di tutti i punti delle funzioni zc = f(xa). Tracciare sopra uno spolvero un piano cartesiano con l’asse delle ascisse orientato verso destra e l’asse delle ordinate verso l’alto. Riportare i punti mediante le coordinate unendoli con un tratto rettilineo. Una spaziatura di circa 5 cm sarà sufficiente per definire un quadrante di circa 1.5 m per 1.5. Sovrapponete lo spolvero alla superficie cilindrica adagiandovelo perfettamente per riportarvi i dati del quadrante; nell’origine delle coordinate va posizionato il falsostilo oppure, se lo preferite, potete inserire in C lo stilo polare che consentirà la lettura delle ore lungo tutta l’estensione dell’ombra. Confortati dal confronto con l’immagine grafica avrete la sicurezza che state procedendo correttamente. La convessità del cilindro favorirà l’adattamento dello spolvero. Quindi proseguire con i metodi usuali.

Per il quadrante concavo appoggiare una riga di lunghezza nota 2 L in bolla orizzontale all’interno della concavità figura 4. Misurare la distanza h della corda dal quadrante. Si può risalire al raggio applicando il

secondo teorema di Euclide : L h r h2 2Î Î( ) da cui rL h

2 2

2. Anche in questo caso stabilire la

posizione della linea meridiana in base al soleggiamento. Da un foglio di legno multistrato ricavare una sagoma che si adagi perfettamente all’incavo. Una volta effettuato il livellamento della sagoma vi si appoggi la tavoletta in modo che sia allineata con il raggio che fuoriesce dalla linea meridiana, quindi procedere al rilevamento della declinazione come nel caso precedente.

Le figure 5 e 6 rappresentano una meridiana convessa ed una concava. Le immagini non sono in scala.

ERRATA-CORRIGE Alla quarta riga di pag. 17 del numero 2 di Gnomonica leggasi: Y = tan d x - (tan in / cos d) Z

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S. LUCIA: L’OMBRA PIU’ LUNGA CHE CI SIA! Nicola Severino, Roccasecca

Il giorno di S. Lucia mi scrisse il caro collega Alessandro Gunella, proponendo un problema per gnomonisti: il 13 dicembre è Santa Lucia, la giornata più corta che ci sia; che poi non è vero, ma forse il proverbio è una reminescenza di quando il solstizio d’inverno era intorno al 13 dicembre; oppure è il giorno in cui fa buio prima perché il sole tramonta più presto. Quale delle due soluzioni è quella giusta? Fu quello un ottimo spunto per risvegliare la mia condizione di astrofilo in ibernazione e rimettere mano su un po' di carte astronomiche. Mio malgrado, però, ho dovuto constatare subito che nella vasta letteratura astronomica e gnomonica moderna, questo problema è affrontato raramente e con una scarsità di approfondimento che lascia perplessi. Così, in tutta la raccolta della rivista l’Astronomia, ho potuto trovare solo due riferimenti all’argomento: un articolo di Marcello Felli, S. Lucia: davvero è il giorno più corto? nel n.39, dicembre 1984 che però finisce per confondere peggio il lettore, ed una breve ma più interessante lettera di Mario Fracastoro che risolve il problema con una semplice risposta del suo maestro Giorgio Abetti, nel n. 45, giugno 1985. A questi due documenti se ne aggiunge un terzo che è certamente il migliore e più approfondito, anche se più vecchio di circa trent’anni, che illumina in modo completo il lettore ed aggiunge preziose considerazioni che non erano mai state fatte né prima, né dopo. Tutti conoscono il detto popolare S. Lucia, il giorno più corto che ci sia, ma nessuno sa a che epoca risalga, né chi ne sia stato l’autore. Approfonditi studi paremiologici, suffragati da importanti considerazioni astronomiche hanno dimostrato che a volte i proverbi non sono il retaggio di stupide credenze popolari medievali, ma l’umile riscontro sociale di una cultura che è stata sempre preclusa alla massa popolare. Tutti, invece, sappiamo che tale detto non corrisponde più a verità, cioè che non è certamente il 13 dicembre, S. Lucia, il giorno più corto che ci sia perchè questo deve per forza coincidere con il giorno del solstizio invernale (21 o 22 dicembre) in cui il Sole descrive nel cielo l’arco di declinazione minimo (- 23°.5) ed offrendo un periodo di luce minore che negli altri giorni dell’anno. Per spiegare questa incongruenza Marcello Felli, nel suo articolo, propone di rifarsi alla definizione di “durata del giorno” ed attraverso un grafico mostra che il 13 dicembre anche se non corrisponde al solstizio invernale, è comunque il giorno in cui il Sole tramonta prima e che “una possibile spiegazione potrebbe essere attribuita all’intenzione dell’anonimo inesperto astronomo di associare S. Lucia al giorno in cui il Sole tramonta prima ed indicare che nei successivi andrà a tramontare sempre più tardi. Per i dormiglioni che si alzano quando il sole è già alto, e non si curano dell’istante preciso in cui questo è sorto, il 13 dicembre rappresenta a buon diritto il giorno più corto”. Prendendosela, quindi, con un “anonimo astronomo inesperto” per l’origine del detto, e con i “dormiglioni” che non si ravvedono del sorgere del sole. Fantasiosa, se vogliamo, ma anche molto superficiale come spiegazione. E meno male che, subito dopo, il Felli si ravvede che una spiegazione “alternativa ed indipendente” potrebbe invece ricercarsi nella riforma Gregoriana dell’antico calendario Giuliano che nel 1582 aveva sfasato il calendario di 10 giorni per cui il famoso detto ricadeva, precedentemente alla riforma, proprio nel giorno del solstizio invernale, cioè il 13 dicembre. Mario Fracastoro replicava, pochi mesi dopo, all’articolo di Felli con una lettera in cui sostanzialmente confermava questa seconda spiegazione. Ne riporto uno stralcio: “...Moltissimi anni fa Giorgio Abetti mi chiese cosa pensassi sulla non coincidenza fra la data del solstizio d’inverno e quella del 13 dicembre, di cui parla l’adagio popolare... Dissi che, si, il giorno di S. Lucia non era il più corto in assoluto, ma quello in cui il tramonto del Sole era più sollecito. E siccome la gente la mattina dorme... Al che Abetti ribatté: “Ma non può essere che il detto sia anteriore alla Riforma gregoriana e quindi esatto al momento in cui divenne popolare”? E io ebbi l’impressione immediata che avesse ragione lui”. Ed infatti aveva ragione lui, ma la cosa non è così semplice. Infatti, uno studio approfondito della letteratura paremiologica rivela che il famoso adagio popolare presenta delle interessanti variazioni sul tema che non sono affatto da sottovalutare e che, anzi, aiutano a capire meglio tutta la questione e a risolverla in modo definitivo. Ad esempio in Val Badia si sente dire: S. Lucia, l dé plò cùrt (S. Lucia, il giorno più corto), ed in Inghilterra, riferendosi anche alla notte: Lucy light, the shortest day and the longest night (Il giorno di S. Lucia è il giorno più corto e la notte più lunga). Nel mantovano si sente: Par santa Lùsia, la not pù longa ch’agh sia (per Santa Lucia, la notte più lunga che ci sia). Fin qui nulla di nuovo e sembra che i detti appartenenti a tale categoria indichino tutti in modo univoco che il giorno di S. Lucia, cioè il 13 dicembre, coincida esattamente con il solstizio invernale (che oggi invece cade attorno al 22 dicembre). Il fatto interessante è, invece, che esiste un’altra categoria di detti popolari che riferendosi sempre alla festa di S. Lucia, sembrano denunciare non la coincidenza con il solstizio invernale, ma una breve ripresa dell’allungamento o dell’accorciamento del giorno. Il che starebbe ad indicare addirittura che il solstizio d’inverno, il 13 dicembre, sia già passato o che debba ancora venire! Nella letteratura paremiologica si è trovato infatti che in Sardegna ed in Abruzzo si è soliti dire: Po santa Luxia sa di cresciri unu passu de mundia (a Santa Lucia il giorno cresce di un passo di pidocchietto) e A Santa Lucì, nu passe di chicchiricchi (a Santa Lucia, un passo di gallo); oppure S. Lucia, di una ciampa di jaddina cresce la dia (pugliese) e Da Santa Lùzia, un cul de gùcia, (Polesine) che stanno ad indicare che il giorno si è finalmente allungato di un pochino, rispettivamente di un “passo di pidocchietto” e di un “passo di gallo”, “una zampa di gallina” e di “una cruna d’ago”. C’è una grande differenza quindi tra questi due modi di dire che

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prendono a riferimento lo stesso giorno di festa. Secondo i primi proverbi, a S. Lucia si verifica il solstizio invernale; secondo questi ultimi a S. Lucia il giorno si è allungato e quindi il solstizio invernale si è già verificato almeno da qualche giorno. Qual è il proverbio giusto? Tutti e due, e vediamo come e perchè. Ma per questo mi rifaccio alla mia terza fonte - quella risolutiva - di cui desidero riportare interi stralci dall’originale in quanto io stesso non potrei essere più chiaro. Si tratta di un articolo straordinario dal titolo Il solstizio invernale nei proverbi, scritto da Giovanni Albertini e pubblicato in un numero della rivista “L’Universo” attorno al 1965. Tra l’altro questo scritto sembra sia stato dimenticato visto che non è stato più menzionato nei pochi articoli comparsi su questo argomento1. “Si sa che, vigendo il calendario giuliano, si era verificato, a causa dell’imperfetta correzione introdotta da Sozigene, uno scorrimento all’indietro delle date del mese di dicembre rispetto al solstizio, ossia, il solstizio si era spostato in avanti fino a raggiungere, nell’anno della riforma (1582), circa l’11 dicembre. Ciò non soltanto risulta ampiamente documentato nella letteratura, ma deriva anche da un semplice calcolo, per il quale, senza risalire alla riforma giuliana del 46 a.C., si può partire dalla scadenza calendariale dell’equinozio di primavera all’epoca del concilio di Nicea, nel 325: 21 marzo2. Sapendo che l’intervallo tra l’equinozio di primavera e il solstizio d’inverno (e cioè la durata delle tre stagioni messe insieme: primavera, estate ed autunno) doveva aggirarsi attorno a giorni 275,71 (cioè 275d 17h)3, ne viene che il solstizio d’inverno, nel 325, dovette cadere 275 giorni e 17 ore dopo l’equinozio di primavera, e cioè attorno al 21 o al 22 dicembre a seconda che l’equinozio di primavera si fosse verificato prima o dopo le ore 7 del 21 marzo. Nei secoli successivi, prima che venisse attuata la riforma gregoriana, l’anticipo del solstizio a causa della non perfetta correzione giuliana non dovette superare globalmente giorni 9,80. Infatti, poichè ogni anno venivano aggiunti al calendario 78 decimillesimi di giorno in più rispetto al tempo che era effettivamente trascorso4, risulta che in 1257 anni, quanti sono gli anni che separano il concilio di Nicea dalla riforma, furono aggiunti giorni 9,80. Partendo dal 21 o dal 22 dicembre e sottraendo da calendario giorni 9,80 (cioè 9d 19h circa), si verrebbe a cadere rispettivamente all’11 o al 12 dicembre. L’11 dicembre sembra, pertanto, la data limite che poteva essere raggiunta dal solstizio nel suo apparente scorrimento in avanti. Per quanto riguarda la letteratura, una prima indicazione emerge dall’opera De temporum computatione atque divisione del Padovani pubblicata a Verona nel 1577, ossia cinque anni prima della riforma. Dalla tabella del mese di dicembre si ricava, con un piccolo calcolo, che l’ingresso del sole nel capricorno (ossia il solstizio invernale) era previsto nel 1577, per il meridiano di Venezia, l’11 dicembre a 14h 48m circa, secondo il computo orario odierno. Poichè in ogni anno comune la scadenza solstiziale invernale giunge 365 giorni e 6 ore circa dopo quella precedente, mentre nell’anno bisestile, pur comportandosi egualmente, sembra giungere con un’anticipazione di circa 18 ore5, è chiaro che, stando

1 Come detto, preferisco riportare integralmente alcuni stralci anziché riscriverli a modo mio in quanto non potrei essere più chiaro di quanto lo sia stato Albertini. Ho fatto questa scelta anche perchè mi fa piacere divulgare oggi di nuovo questo vecchio articolo, il migliore che sia stato scritto su questo argomento. Inoltre, ho preferito riportare anche alcune note originali a dimostrazione delle numerose opere antiche consultate dall’autore. Ho omesso invece alcune parti di testo che ritengo non necessarie per la comprensione dei vari passaggi. 2 La determinazione della data in cui cadeva l’equinozio primaverile nel 325 può considerarsi un caposaldo nella storia del calendario, poichè a tale scandenza doveva essere legata, come è noto quella della solennità più importante del ciclo liturgico cattolico: la Pasqua. Il Riccioli ci informa che nel 325 l’equinozio di primavera fu osservato cadere, ad Alessandria, il giorno 21 marzo (G.B. Riccioli, Almagestum novum , Bologna, 1651, tomo I, parte I, p. 131). Il Blondel aggiunge che, avendo i padri conciliari niceni affidato la determinazione della data equinoziale ai loro colleghi alessandrini, ritenuti i più esperti in questioni astronomiche, questi riferirono come allora il giorno dell’equinozio di primavera corrispondeva al XII delle calende di aprile, cioè al dì 21 marzo. Alla decisione dei padri niceni di fissare stabilmente al 21 di marzo l’equinozio di primavera si accenna anche in G.S. Ferrari, Il calendario gregoriano, Roma, 1882, 2° ed., pp. 17-18. 3 La durata delle tre stagioni nel 325 è stata calcolata partendo da quella relativa al 1900 (giorni 276,21=276d5h) da cui è stata sottratta la variazione secolare per l’estate (compensandosi quelle per la primavera e l’autunno), pari a 12,57 (numero dei secoli) x 0,04 (variazione secolare in giorni) = giorni 0,5028 avendosi come risultato: 276,21 - 0,5028 = 275,7072, cioè 275d 17h. Per questi calcoli vedi G. Cecchini, Il Cielo, Torino, 1952, I, p. 202. 4 Infatti, mentre la durata dell’anno tropico è di 365,2422 giorni, quella dell’anno del calendario giuliano è in media di 365,25 giorni. Ne consegue che l’anno del calendario giuliano è più lungo dell’anno tropico di 365,25 - 365,2422 = 0,0078 giorni, ossia di 78 decimillesimi di giorno (F. Flora, Astronomia nautica, Milano, 1957, pp.240-241. Cfr. anche A. Fresa, La luna, Milano, 1943, p. 141; G. Cecchini, come nota 3). 5 Lo spostamento annuale dei solstizi, come anche degli equinozi, rientra nelle regole del calendario riformato da Giulio Cesare, ed è conseguenza, anzitutto, della lunghezza dell’anno tropico, che supera di circa 6 ore (5h 48m46s) i 365 giorni e, inoltre, del fatto che tali ore eccedenti i 365 giorni sono trascurate negli anni negli anni comuni, per essere ricuperate negli anni bisestili mediante il brusco inserimento di un giorno. L’eccedenza delle 6 ore circa provoca uno scorrimento interno, per così dire, delle scadenze solstiziali ed equinoziali. Poichè negli anni comuni le date del calendario rimangono fisse (rispetto alle scadenze), ad ogni ritorno annuale tali scadenze si spostano entro alle date medesime di una quantità pari all’eccedenza delle 6 ore circa, col risultato che, essendo le date fisse, tale spostamento appare come un ritardo. Nell’anno bisestile, invece, poichè le date del calendario devono retrocedere di un posto per lasciare entrare il 29 febbraio, gli equinozi ed i solstizi sembrano scadere con un’anticipazione di 18 ore, risultanti dalle

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alle indicazioni del Padovani, negli anni attorno al 1577 (che è immediatamente successivo a uno bisestile), il solstizio invernale dovette cadere per tre anni consecutivi l’11 dicembre, e il quarto anno il 126. Risulta, pertanto, che negli anni vicini alla riforma il solstizio cadeva, in prevalenza, l’11 dicembre. Alcuni decenni prima la situazione era invertita, secondo quanto si desume dalle effemeridi riportate nell’opera dello Stoeffler7. Agli inizi del 1500, infatti, il solstizio invernale cadeva un anno l’11 dicembre (anno bisestile) e per altri tre anni il 12 (anni comuni). In quegli anni prevaleva, dunque, la scadenza al 12 dicembre. Tenendo conto che l’epoca del Padovani è successiva di circa ottant’anni a quella dello Stoeffler, appare evidente lo scorrimento dal 12 all’11 dicembre subìto dalla scadenza solstiziale nel secolo precedente alla riforma. Nell’opera De emendationibus temporum del Lucido è previsto che nell’anno della riforma (1582) l’equinozio primaverile si verifichi il 10 marzo a 4h 22m 32s. Ciò comporta, per il solstizio invernale, la data dell’11 dicembre8. Il Petau (latino Petavius), nella sua monumentale opera cronologica riporta le osservazioni dell’equinozio fatte dal celebre Ticone negli anni immediatamente successivi a quello della riforma9. Dalle tabelle ivi presentate si ricava che nel 1584, per il meridiano di Uraniborg (il famoso osservatorio astronomico installato dallo stesso Tycho Brahe nell’isola di Ven, stretto del Sund), l’equinozio cadde il 10 marzo a 9h 30m a media nocte (ciò corrisponde al computo orario odierno). Anche in questo caso il solstizio invernale dovette cadere l’11 dicembre, circa alle 11 del mattino. Le osservazioni tychoniane sono citate anche dal Riccioli nell’Almagestun novum, comparso nel 1651, nel quale l’autore ricorda che dal 1570 al 1590 l’equinozio aveva oscillato tra il 10 e l’11 marzo. Ciò significa che il solstizio d’inverno aveva oscillato, a sua volta, tra l’11 e il 12 dicembre. I giorni delle scadenze solstiziali, calcolati sui dati equinoziali del Lucido e del Ticone, concordano dunque, in sostanza, con quelli originali del Padovani e dello Stoeffler. Finalmente la circostanza viene ribadita nelle opere di numerosi autori contemporanei tra i quali, per limitarmi agli astronomi, citerò il Fresa, il Cecchini e l’Horn-D’Arturo e P. Tempesti.... ...All’epoca della riforma gregoriana si sapeva, dunque, che il solstizio d’inverno cadeva circa l’11 dicembre, né si poteva certo confondere la scadenza solstiziale con la festa di S. Lucia che cadeva il 13...E’ più che legittimo, pertanto, ammettere che i proverbi che denunciano un lieve allungamento del giorno in coincidenza con la festa di Santa Lucia ricorrendo a pittoreschi termini di paragone per significarne l’entità, contengano un preciso riferimento a quella frazione di tempo di cui aumentava la durata della illuminazione solare nell’intervallo tra l’11-12 dicembre, scadenza solstiziale, e il 13 dicembre, festa di Santa Lucia... ...Si può ritenere, in definitiva, che i proverbi annuncianti un esiguo allungamento del giorno per Santa Lucia non siano di molto anteriori alla riforma gregoriana: essi dovrebbero essere sorti tra il Millequattrocento e il Millecinquecento. Numerosissime e molto diffuse sono le varianti che, presentando il giorno di Santa Lucia, 13 dicembre, quale giorno più corto dell’anno, sottintendono che in esso cada il solstizio invernale. Dal Computus naturalium di Ruggero Bacone si apprende che nel 1267 l’equinozio di primavera si sarebbe verificato il 13 marzo10. Le Tavole Alfonsine, famosa opera di revisione delle conoscenze astronomiche fatta compilare nel 1252 da Alfonso X di Castiglia, pongono l’ingresso del Sole nell’Ariete nell’anno 1290, per il meridiano della Frisia, il 12 marzo alle ore 20 circa11. Esso sarebbe stato osservato, peraltro, il giorno 13 marzo alle ore 4 (nostre), e cioè con un ritardo di alcune

24 ore della retrocessione delle date, compensate, in parte, dalle 6 ore dell’eccedenza. L’oscillazione dei punti astronomici nel calendario può estendersi tra due giorni contigui oppure svolgersi entro un solo giorno, secondo i punti astronomici stessi, secondo gli anni e i meridiani di osservazione. 6 Infatti, se nel 1577 il solstizio era previsto per l’11 dicembre, a 14h 48m, è chiaro che l’apparente anticipo di circa 6 ore nell’anno precedente (1576, bisestile) non era stato sufficiente a far cadere il solstizio fuori dall’11 dicembre, nè lo sarebbe stato l’apparente ritardo nell’anno seguente (1578, comune). Nel 1579, invece, la scadenza era prevista per il 12 dicembre, a 2h circa. Nel 1580, bisestile, il solstizio dovette tornare ancora nell’11, intorno alle ore 8. 7 Stoeflerinus Jo. et Pflaumen Jac., Almanach nova plurimis annis venturis inservientia, Venetiis, 1507. Le effemeridi ivi riportate (Registrum diurnalis), presumibilmente per il meridiano di Venezia, sono state compilate da Petrus Liechtenstein e si estendono per gli anni dal 1507 al 1531 compresi. Nel 1507 il solstizio invernale è segnato il 12 dicembre, a 14h 48m circa. 8 Infatti, con un calcolo analogo a quello riportato nella nota 3, si ricava che nell’anno 1582, essendo la durata del periodo primavera-estate-autunno pari a 276d 1h 12m (la variazione secolare per l’estate, sottratta, è pari a giorni 0,16), il solstizio invernale doveva cadere l’11 dicembre, a 5h 34m “a media nocte”. 9 D. Petavius (1582-1652), De doctrina temporum, Venetiis, 1757, 2 voll. 10 E. Charles, Roger Bacon. Paris, 1861, p. 271. Secondo il Charles è certo che Bacone non solo conosceva il grave errore del calendario giuliano, ma era riuscito a concepire il piano di quella riforma che sarebbe stata realizzata tre secoli più tardi, sotto il pontificato di Gregorio XIII. 11 I. Bullialdus, Astronomia philolaica, Parisiis, 1645, p. 71

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ore sul previsto, secondo quanto riferisce il cardinale Nicolò da Cusa nell’opera De reparatione kalendarii (1436)12. Con la notizia riportata dal Cusano concorderebbero i calcoli fatti dal Boulliau (latino Bullialdus) per il meridiano di Uraniborg, passante una quindicina di gradi a oriente di quello della Frisia, secondo i quali negli anni 1290 e 1303 l’equinozio primaverile sarebbe caduto il 13 marzo. Torna a proposito anche la documentazione fornita, verso la fine del Settecento, dal Dionisi. Dopo aver ricordato che l’equinozio di primavera era stato fissato il 25 marzo da Giulio Cesare, il Dionisi riferisce la risposta avuta da un noto astronomo del tempo, Antonio Cagnoli, al quale si era rivolto per avere una precisa informazione circa la scadenza dello stesso equinozio nell’anno del viaggio dantesco nell’oltretomba. Così si esprime lo stesso Dionisi: “E di quanto diremo noi decaduto l’equinozio nel 1300? Il sig. Cagnoli da me consultato su questo punto ebbe cortesemente a rispondermi: - Con un calcolo rigoroso ed esatto sulle Tavole Astronomiche trovo che il Sole entrò nell’Ariete il 12 marzo a ore 4 e minuti 40 dopo mezzodì -”13. Particolare interesse assume la registrazione di una sentenza in latino medioevale effettuata dal Riccioli nell’Almagestum novum e riguardante sia i solstizi sia gli equinozi: “Lambert Gregori nox est aequata diei; Vitus Lucia tibi dant solstitia bina”14. Senza dare la fonte da cui l’ha ricavata ed affermando che era in voga intorno al 1400, l’autore ci dice che il solstizio invernale cadeva il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia. Anche in questo caso sembra legittimo, pertanto, far risalire a tale periodo, che sta fra il Milleduecento e il Milletrecento, quelle sentenze popolari che affermano categoricamente che Santa Lucia è il giorno più corto. Questa ipotesi è avvalorata dalla grande fioritura che tali sentenze presentano intorno a questa data, giustificata certamente dalla rinomanza che ebbe la santa siracusana in tutto il Medioevo. E’ noto, infatti, che fu martirizzata all’inizio del secolo IV, sotto Diocleziano, ma nell’anno Mille pare che fossero stati già eretti oltre dieci templi in suo onore”. Finora siamo arrivati a dare un posto nella cronologia calendariale ai proverbi più famosi riguardanti la festa di Santa Lucia ed abbiamo visto che essi riguardano principalmente la coincidenza con il giorno più corto dell’anno e quindi con il solstizio invernale (Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia); poi vi sono quelli che sottolineano la maggiore durata della notte per il 13 dicembre (Santa Luzì, la piò longa not ch’si sì); quelli che, quali varianti del detto principale, indicano che a cominciare dal giorno 13 dicembre, si ha un breve allungamento del giorno chiaro (Da Santa Lucia a Natale, il dì cresce di una spanna; Da Santa Lucia a Natale s’allunga ‘l dì quanto ‘l gallo ha lunghe l’ale), mentre qualche variante meno nota sottolinea l’accorciarsi della notte come il detto pugliese: De Santa Lucia, ncurtisce la notte e lunghisce la dia. A questa categoria di proverbi, però, se ne aggiunge un’altra che prevedono un accorciamento del giorno in corrispondenza di Santa Lucia o nei giorni precedenti. Eccone alcuni: Da Sante Luzie a Sante Catarine si scurte un pid di gialine (friulano, Da Santa Caterina - 25 novembre - a Santa Lucia il giorno si accorcia di un passo di gallina. De Santa Lucia ncurtisce la dia quantu l’ecchiu de la addhina mia (leccese, 1873); Da Santa Lecie s’accortisce la die quante l’uecchje de la gaddina mie (barese, 1923) che entrambi dicono: “A Santa Lucia s’accorcia il giorno quanto l’occhio della gallina mia”. Queste due versioni pugliesi sono molto importanti perchè affermano che a Santa Lucia il giorno è ancora in fase di accorciamento escludendo, quindi, che Santa Lucia sia il giorno del solstizio invernale che sembra quindi cadere in epoca posteriore al 13 dicembre: ma quando? Si potrebbe datare il detto in epoca posteriore alla riforma gregoriana, cioè quando il solstizio cadeva attorno al 22 dicembre, ma non c’è testimonianza attendibile e sufficiente per una conferma. Sembra, invece, più probabile che il proverbio sia anteriore alla riforma. Potrebbe essere che nel proverbio friulano e in quello cilentino la quantità temporale di cui diminuisce la durata dell’illuminazione solare nell’intervallo di 18 giorni che separano Santa Caterina da Santa Lucia, sia stata tradotta in termini di lunguaggio figurato in “un passo di gallina” e in “un occhio di gallina”, cioè un intervallo molto piccolo non più lungo di due o tre giorni. Perciò, essi nacquero quando il solstizio d’inverno era posteriore a Santa Lucia, ovvero il 15 o 16 dicembre. Secondo le osservazioni di Albategno (Al Battani) nell’anno 882 d.C., ed eseguiti i calcoli nel modo precedentemente esposto, si trova che il solstizio invernale cadeva in quell’anno il 16 dicembre a 4h 2 m circa. Secondo gli studi fatti da Scaligero nel De emendatione temporum sulle Tavole Persiane compilate verso la fine dell’anno Mille, e dal Boulliau e Riccioli, il solstizio invernale avvenne il 16 o il 15 dicembre. La nascita dei suddetti proverbi, quindi, sono da collocarsi nell’epoca di transizione dal latino al volgare e la loro antichità potrebbe spiegare anche il carattere di eccezionalità degli stessi e la scarsa popolarità. Come si è potuto vedere, risolvere l’anomalia astronomica relativa al famoso detto “Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia”, non era tanto facile ed il nostro autore l’ha felicemente risolto solo a seguito di lunghe e laboriose ricerche documentali su testi antichissimi e studi peremiologici che in genere non competono gli astronomi. Inoltre, si è visto che attorno al detto principale gravitano altre sentenze e varianti che denunciano un diverso fenomeno astronomico (allungamento, accorciamento delle giornate) legato comunque al solstizio invernale. Solo la datazione di tali detti e varianti attraverso il calcolo delle scadenze solstiziali ha permesso la datazione stessa dei provebi e i diversi significati. In accordo con il mio autore, però, sono del parere che tali proverbi

12 I. Bullialdus, op. cit., p. 71; G.B. Riccioli, Astronomia reformata, Bononiae, I, p. 10. Il Cusano non dice da chi è stata fatta l’osservazione. 13 G. G. Dionisi, Serie di aneddoti; IV, Verona, 1787, pp. 68-70. 14 G.B. Riccioli, Alm. nov., p. 131

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dovrebbero aver avuto un’origine dotta anzichè popolare, perchè le varianti attestano precisi e circostanziati riferimenti astronomici che di solito erano studiati dagli astronomi e dagli uomini di scienze. Essi potrebbero aver avuto origine, per esempio, nei monasteri (dove i dotti non mancavano certo) e divulgati alle masse popolari insieme alle preghiere. Rifacendomi ancora alla mia fonte, riporto il seguente quadro riassuntivo: “A causa della non perfetta correzione giuliana (46 a.C.), col passare degli anni, il solstizio invernale va via via anticipando la sua scadenza calendariale. Dopo circa dieci secoli dalla riforma giuliana, e cioè nel Mille, esso cade intorno al 16-15 dicembre. Tra gli innumerevoli detti popolari, non mancano i proverbi riguardanti il solstizio. Alcuni sottolineano il fenomeno del giorno più corto. Altri, pur accennando alla data solstiziale, la mettono in relazione con la festa di Santa Lucia, che cade qualche giorno prima e nella quale, pertanto, il giorno è in fase di accorciamento. Uno di questi proverbi sarebbe giunto fino a noi: esso è stato registrato nel 1873 dal Casetti nel Leccese e, successivamente, dal La Sorsa nel Barese (1923), sebbene oggi sembri essere andato quasi totalmente in disuso. Col passare dei decenni il solstizio continua ad anticipare, e nel Milletrecento cade il 13 dicembre. In quest’epoca, la coincidenza del solstizio con la festa di una santa popolarissima e venerata ovunque produce dappertutto una fioritura di motti che sottolineano che a Santa Lucia è il giorno più corto dell’anno. Intanto si giunge al Millecinquecento e il solstizio, in seguito al continuo anticipo subìto, viene a cadere l’11 dicembre. Anche ora alcuni proverbi mettono in relazione la data del solstizio con la festa della martire siracusana, ma poichè questa cade due giorni dopo il solstizio, affermano giustamente che a Santa Lucia il giorno è in fase di allungamento. Nel 1582, la riforma gregoriana sposta bruscamente la data del solstizio dall’11 al 21-22 dicembre. I proverbi sorti dopo la riforma sottolineano puntualmente l’avvenimento dichiarando che il giorno più corto dell’anno è il giorno di San Tommaso, 21 dicembre... ...Comparsi a gruppi ( i proverbi) ed in fasi successive, i nuovi si erano aggiunti ai vecchi senza sostituirsi ad essi, ed insieme avevano continuato ad essere ripetuti, trasmettendosi oralmente di generazione in generazione.

LA MERIDIANA DI PONTE DI VALTELLINA di Alberto Cintio e Piero Gaggioni

Illustrazione mancante La Valtellina è molto ricca di orologi solari e di meridiane, alcuni costruiti due o tre secoli fa e quindi interessanti dal punto di vista matematico e astronomico, altri molto recenti e perciò interessanti dal punto di vista artistico ed ornamentale. Tra queste la più grande e spettacolare è quella di Ponte di Valtellina, recentemente restaurata con cura e profondo rispetto. Essa si impone su tutte le altre per la grandezza (circa 350x250 cm), per il valore storico in quanto porta la data del 25.07.1879, per l’aspetto artistico e soprattutto per l’impostazione astronomico - matematica che la rende un unicum non solo nella Valtellina ma anche fra tutte le 10.000 e più meridiane sparse in tutto il territorio nazionale. Occorre ricordare che Ponte ha dato i natali al religioso teatino Padre Giuseppe Piazzi (nato il 16.07.1746 e morto a Napoli il 22.07.1826), uno dei più grandi astronomi, accanito osservatore del cielo e misuratore dei suoi movimenti, scopritore dell’asteroide Cerere e della fascia gravitazionale in cui si muovono i pianetini, ideatore e costruttore della bellissima meridiana interna nel duomo di Palermo ed infine costruttore e direttore della specola di Palermo e dell’Osservatorio astronomico di Capodimonte a Napoli. La cittadina di Ponte è sempre stata giustamente orgogliosa di aver dato i natali al Piazzi e, a cinquanta anni dalla sua morte, gli ha dedicato un significativo monumento marmoreo al centro della piazzetta e ha sempre ospitato, in seguito, convegni e congressi di astronomia a livello europeo. Non meraviglia quindi che proprio a Ponte, sulla fiancata della chiesa, ci sia una meridiana che si distingua da tutte le altre per l’estrema facilità di lettura. Di essa sappiamo solo la data di costruzione e il nome dell’autore: ing. L. Marchesi. Non sono state trovate per ora altre notizie. Tutte le meridiane danno il Tempo Solare Vero (TSV), ossia indicano, per mezzo dell’ombra di uno gnomone, le ore basate sull’istante del passaggio del Sole sul meridiano del luogo, detto anche mezzodì o meridies, inteso come metà dell’arco diurno, oppure come istante della culminazione del Sole. Ma queste ore non corrispondono mai col Tempo Medio Civile (TMC), ossia quello del segnale RAI, eccetto quattro giorni all’anno e poi non dappertutto. Tra il TSV e il TMC ci sono due differenze: 1 - longitudine: è noto che il Sole culmina prima a Venezia poi a Torino. Tra una nazione e l’altra questa differenza la chiamiamo fuso orario e la valutiamo in ore. Nell’ambito dello stesso fuso si riduce a minuti e precisamente ad ogni grado di longitudine corrispondono 4 minuti di differenza nella culminazione. Quando la RAI dà il segnale delle ore 12, è il mezzogiorno del TMC per tutte le città d’Italia, ma il Sole culmina solo sulle città che si trovano sul 15° meridiano. Sulle città situate sul 16° culmina quattro minuti prima e su quelle situate sul 14° culmina quattro minuti dopo. Oggi il TMC è basato, per tutta l’Europa, sul passaggio del Sole al 15° meridiano, ma nel 1879, quando fu costruita la meridiana di Ponte, ogni nazione aveva il suo meridiano e l’Italia aveva quello di Roma passante per M.Mario, corrispondente a 12°27’08’’ a E di Greenwich.

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2 - Equazione del Tempo (EqT). La Terra percorre un’orbita ellittica attorno al Sole, per cui in alcuni mesi va più veloce e in altri va più piano. Ma per noi che siamo sulla Terra è il Sole che accelera e decelera e questo si traduce in un anticipo o ritardo delle meridiane rispetto all’orologio da polso che invece va sempre a velocità costante. Come estremi ricordiamo che a febbraio le meridiane vanno indietro di 14 minuti, a novembre, invece, vanno avanti di 16 minuti. Tutti i paesi della Valtellina sono caratterizzati da un alto campanile ben visibile dal fondo valle e dagli altri paesi vicini quasi a costituire una rete di comunicazione per tutta la valle. Ogni campanile aveva, ed ha tuttora, un orologio a ruote azionato da pesi che, una volta arrivati a terra, ne arrestavano il movimento, per cui era necessaria una meridiana esterna per la loro regolazione. Gli gnomonisti dell’epoca hanno escogitato vari metodi per passare dal TSV della meridiana al TMC dell’orologio da torre, ormai unificato in tutto il territorio nazionale per via del diffondersi della rete ferroviaria. I metodi più comuni erano: 1 - disegnare la meridiana a TSV, ossia con la linea delle 12 perpendicolare e disegnare poi tra le linee orarie, o a parte con un altro gnomone, una o più lemniscate, ossia il grafico a forma di otto della EqT. 2 - includere la longitudine sul calcolo delle linee orarie, per cui la linea delle 12 non risulta perpendicolare e disegnare la lemniscata sulle 12 o su tutte le ore. 3 - Disegnare da una parte l’analemma, ossia un diverso grafico dell’EqT a forma di sinusoide avente in ascissa i mesi e in ordinata i minuti da aggiungere o da togliere all’ora indicata dalla meridiana. 4 - Affiancare alla meridiana una tabella ove, per ogni giorno dell’anno, sono indicati i minuti da aggiungere con segno positivo e quelli da togliere con segno negativo. Tutti questi metodi però, ieri come oggi, non sono di facile lettura, mentre quello applicato sulla meridiana di Ponte è facile, immediato e fruibile da tutti. La scritta in alto a sinistra dice: “ORE A TEMPO VERO di 4°0’0’’ LONGITUDINE OVEST DA ROMA”. La meridiana è quindi calcolata per il TSV di una ipotetica località che si trova a 4° W da Roma e questi 4° di longitudine provocano 16 minuti di ritardo nella meridiana, in quanto il Sole culmina prima su un meridiano, dopo 4 minuti sul successivo verso W e così via. Tale ritardo viene però compensato con l’aggiunta di questi 16 minuti ai valori dell’EqT della tabella a fianco in modo da eliminare in essa i valori negativi. In altre parole: per l’EqT si dovrebbero aggiungere 14 minuti a febbraio e togliere 16 minuti a novembre; con i 16 minuti in più si aggiungono 30 minuti a febbraio e nessuno a novembre. Resta ancora una ulteriore correzione. Il Sole, nel suo moto apparente, culmina prima su Ponte (2°26’45’’ a W da Roma), poi sulla ipotetica località per la quale è costruita la meridiana. Anche questo anticipo (circa 1°30’ pari a 6 minuti) viene corretto, in quanto è incluso nel calcolo delle linee orarie che risultano così leggermente ruotate in senso antiorario sul piano della meridiana. Infatti la linea delle 12 non è perpendicolare, come in tutte le meridiane a TSV, ma è inclinata e spostata, nella parte inferiore, verso la destra dell’osservatore, in modo tale che il Sole ci passi sopra proprio 6 minuti dopo la sua culminazione. Con tutti questi accorgimenti - e questa è la singolarità della meridiana di Ponte - il costruttore ha raggiunto lo scopo di rendere facilissimo il computo del TMC: si legge l’ora sulla meridiana e si aggiungono i minuti della tabella a fianco. Difatti la scritta in alto a destra dice: “TAVOLA ADDIETTIVA per ridurre a TEMPO MEDIO DI ROMA le ore segnate dall’orologio solare”. Anche oggi la meridiana funziona perfettamente, solo che è cambiato il meridiano di riferimento del TMC: non più quello di Roma (12°27’08’’ a E da Greenwich), ma quello di Catania o etneo (15° a E da Greenwich). Così la meridiana, sempre per il fatto che il Sole culmina prima a Catania poi a Roma, accusa un costante ritardo di 10 minuti, pari alla differenza di circa 2°30’ di longitudine. Nonostante tutto, anche oggi, resta molto semplice avere l’orario esatto: si legge l’ora sulla meridiana, si aggiungono i minuti della tabella e si aggiungono ancora questi 10 minuti. ☺ Alberto Cintio ci regala ancora due sonetti: Mobile ordigno di dentate ruote lacera il giorno e lo divide in ore ed ha scritto di fuor con fosche note a chi legger le sa: Sempre si more. Mentre il metallo concavo percuote voce funesta mi risuona al core né del fato spiegar meglio si puote che con voce di bronzo il rio tenore.

Perch’io non speri mai riposo o pace questo che sembra in un timpano e tromba mi sfida ogn’or contro a l’età vorace e con que’ colpi onde ‘l metal rimbomba affretta il corso al secolo fugace e, perché s’apra, ogn’or picchia a la tomba.

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Ciro di Pers (1599-1663) In questo fido ordigno attento mira, mira, o mortal, che l’ore tue misura. Vedrai che il tempo passa e poco dura, e non torna il passato benché gira. Vedrai che un’ora dopo l’altra spira; ma chi l’altra veder mai t’assicura? Dunque di ben passarla sia tua cura, che n’hai da render conto il dì dell’ira.

Se in questo ben ti specchi, scorgerai che il tempo va rodendo i giorni tuoi, per darti eterna gioia o eterni guai. Pertanto se in eterno goder vuoi, pensa che è grande e non finisce mai pensaci ben per non pentirti poi. (Anonimo)

Alberto Cintio, Le meridiane delle Marche, Andrea Livi Editore, Fermo 1999 - Pagg. 200 - L. 35.000 Da alcuni anni, sia in Italia che all’estero, si nota un rinnovato e crescente interesse per la Gnomonica o, per usare un termine caro a Vitruvio, per la Scioterica, ossia la scienza che studia il movimento del Sole e della Luna attraverso il lento ma inesorabile scorrere delle ombre. Sono nate associazioni di Gnomonica in quasi tutte le nazioni, si fanno convegni e seminari, si restaurano vecchie meridiane, se ne costruiscono di nuove e si scrivono articoli e libri. La spiegazione di tutto ciò sta, forse, nel desiderio inconscio di riappropriarci di una realtà, il tempo appunto, che la tecnologia ha strappato dalle nostre mani frazionandolo in nanosecondi, finendo per renderci degli automi manovrati passivamente da rigidi orari di lavoro con le relative macchine marcatempo, oppure cadenzati dallo scorrere delle catene di montaggio. Questo libro, corredato di un centinaio di foto a colori delle più belle meridiane delle Marche e del censimento delle stesse per provincia e comune, non solo fornisce in modo chiaro e completo le necessarie nozioni sia analitiche con formule matematiche, che grafiche con soli riga e compasso, per costruire una meridiana - accessibile quindi anche a chi fosse digiuno di astronomia e di matematica - ma vuole anche offrire un contributo originale e decisamente nuovo per approfondire l’argomento del tempo e della sua misura sotto molti altri aspetti. Anzitutto l’aspetto storico: presenta infatti un’ampia panoramica dell’inventiva umana nell’escogitare gli strumenti per fissare e codificare l’attimo fuggente, dall’osservazione delle fasi lunari, all’ombra degli obelischi fino agli orologi atomici al Cesio e al Magnesio. Tratta poi della concezione del tempo nell’architettura e nell’arte, come realtà da una parte materializzata nelle forme architettoniche, dall’altra sempre fuggente e inafferrabile, in cui però le espressioni artistiche, pur soggette al logorio del tempo, rivendicano il loro carattere di eternità e di immortalità. Ampio margine è dedicato all’approfondimento filosofico dell’idea del tempo nella storia dei grandi pensatori, da Eraclito, per il quale il tempo modifica e sconvolge tutto ciò che è permettendo al non essere di esistere e all’essere di non esistere più, ai filosofi del Rinascimento, che propongono il tempo assoluto come categoria fondamentale per una nuova interpretazione del mondo, per concludere con i filosofi moderni per i quali il dibattito sulla natura del tempo è ancora aperto e lungi dal trovare la sua soluzione. Come degna conclusione di tutto questo il libro offre anche un’ampia raccolta di motti e sentenze sul tempo - sono circa 800 - così come appaiono sulle meridiane di tutta Europa: è quanto di meglio hanno saputo esprimere, con frasi concise e taglienti, i poeti, gli uomini di cultura, il buon senso e l’esperienza vissuta, su una realtà che tutti ci investe e condiziona.

ATTIVITA’ GNOMONICHE ITALIANE…e piccole curiosità Andar per meridiane ad Aiello del Friuli è un itinerario turistico gnomonico creato dal nostro collaboratore Aurelio Pantanali in collaborazione con il circolo culturale Navarca di Aiello del Friuli, stampato su un elegante pieghevole a colori che presenta una planimetria della cittadina con l’indicazione dei luoghi in cui si trovano ben 14 meridiane di stupenda fattura illustrate con foto a colori. Inoltre, l’autore ha creato anche il Cortile delle meridiane presso il Museo della civiltà contadina del Friuli Imperiale di Aiello in cui sono state già realizzate quattro meridiane che indicano i quattro diversi sistemi orari Temporario, Babilonico, Italico e Astronomico. (N.S.) Immagini del Tempo è il nuovo calendario gnomonico realizzato da Renzo Righi di Correggio in collaborazione con Giovanni Pedrazzini della Centroffset srl. L’amico Righi non è nuovo a questa iniziativa ed è l’unico – che io sappia – ad aver realizzato

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calendari gnomonici in Italia. Il piccolo calendarietto è corredato da 30 foto a colori di eccellente qualità che rendono bene l’idea del grosso lavoro gnomonico realizzato da Righi negli ultimi anni. Una presentazione ben chiara viene seguita da alcuni stralci di testo di Lucio Maria Morra e di chi scrive, mentre la famosa ed importante frase Advocandum est nobis Gnomonices summae, ac divinae artis fulmentum, scritta da Igino il Gromatico nel I°-II° secolo d.C., e divulgata dal vostro autore nel libro Storia della Gnomonica, campeggia all’inizio del calendario. Ed a proposito di questa frase, l’amico Righi mi ha segnalato che alcuni “latinisti” si sono sforzati per cercare avere una precisa traduzione. La più probabile pare sia la seguente: “Noi dobbiamo invocare la potenza (il prodigio) della somma e divina arte della Gnomonica”. Igino scrise tale frase ovviamente a testimonianza che in molti casi, era necessario affidarsi all’arte gnomonica per risolvere problemi legati alla misura del tempo e non solo. Una pagina di notizie e curiosità sui calendari ed una sulle varie cronologie termina il testo di questo pregevole calendario che per la prima volta riporta anche anche informazioni sul calendario religioso islamico. Sono lieto, quindi, di annunciare a Righi che questo calendario è molto di più che un “modesto contributo alla divulgazione dell’antica misura del tempo” e che la sua speranza affinchè “il lavoro susciti interesse e nuove iniziative” è ora una bellissima certezza. (N.S.) Biglietti d’auguri natalizi sono stati realizzati da alcuni gnomonisti. Renzo Nordio di Sottomarina, al posto della normale cartolina di auguri, ha pensato bene di realizzare un quadrante solare simbolico dipinto a mano per ogni invito su un cartoncino pieghevole. Il disegno è accompagnato dalla stupenda frase Natale 1998 – “Viene nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” – (Giovanni). E’ senza dubbio il più bell’augurio natalizio, peraltro integralmente gnomonico…Carino anche quello della Asociacion de amigos de los relojes de sol, che mostra una foto a colori dell’orologio multiplo in pietra del “Buen Retiro” a Malaga. Manuel Carracedo Valdés ha realizzato un pieghevole con una stampa di foto a colori di una tavola oraria in pietra che da le lunghezze d’ombra in “piedi”, come le antiche tavole del Palladio e di Beda. Risale al VII-X secolo e si trova sulla Chiesa di San Pedro de la Neve. Infine, Gianni Ferrari che ha realizzato un biglietto d’auguri con una foto di meridiana a colori. (N.S.)

Prima mail-list italiana di Gnomonica Cari amici, su iniziativa di Diego Bonata del Circolo Astrofili Bergamaschi, è nata “Gnomonica” la prima mail-list italiana dedicata alla divulgazione della gnomonica ed al libero scambio di opinioni, esperienze e conoscenze di tutti gli appassionati di orologi solari. Per partecipare, è sufficiente iscriversi (è gratuito) e mandare messaggi come sotto indicato. Per iscriversi è sufficiente inviare una mail a Diego Bonata: [email protected] oppure direttamente a: [email protected] inserendo nella prima riga del testo: subscribe pochi minuti dopo riceverete una mail di conferma dell’iscrizione. per uscire da gnomonica basta mandare un messaggio a: [email protected] inserendo nella prima riga del testo: unsubscribe per inviare una mail ai membri della mail-list: [email protected] Tutte le mail postate a gnomonica italia si possono trovare anche al seguente indirizzo http://www.egroups.com/list/gnomonicaitalia/ Motti racolti dal prof. Alberto Cintio (continua dal n. 2) 110. Deus nobis haec otia fecit 111. Di correzion privo l’oriolo a ruote resta, qualora il sol me

non percuote 112. Di ferro è lo stilo d'oro il tempo, al par dell’ombra passa e

più non torna. 113. Di luce è mia parola se affanna o se consola, parlo del

savio al core segnando il vol dell'ore 114. Di nostra vita qui volgono l’ore: ratte nel gaudio, tarde nel

dolore 115. Diem quam vivimus cum morte dividimus

116. Dies diem docet 117. Dies mei sicut umbra declinaverunt et ego sicut foenum

arui (Ps.101,12) 118. Dies nostri quasi umbra super terram et nulla est mora

(1Cr. 19,15) 119. Disce dies numerare tuos 120. Discipulus est prioris posterior dies 121. Dividit umbra diem 122. Dobbiamo fare le opere di Dio finchè è giorno (Gv.9,4) 123. Docet umbras 124. Dominus illuminatio mea 125. Domus electa tempus non timet 126. Dona praesentis rape laetus horae

Ricevuto in redazione: Giovanni Paltrinieri, Orientamento delle chiese romaniche aBologna, Strenna Storica Bolognese, Anno XLVIII – 1998, pp.335-348. Mario Arnaldi, Il Bestiario celeste e la Colonna di Pietro Lombardo a Ravenna, Ravenna Studi e Ricerche, Società di Studi Ravennati, V/2, 1998, pp. 43-59. Lucio Baruffi, Orologi Solari, Teoria-Costruzione-Lettura, 1998, p.312. SAF Société Astronomique de France, l’Astronomie, vol. 112 Juin-Juillet 1998 La Meridiana ad “ore italiche” della parrocchiale di Quarna Sotto. AA.VV., 1996, pp.80 (recensione sul prossimo numero)

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127. Donec dies elucescat 128. Dopo l’ora finita l’infinito 129. Dopo le tenebre torna la luce 130. Dove cade l’ombra io segno l’ora 131. Du ciel vient le temps du temps le ciel 132. Dubia omnibus ultima multis 133. Dulcibus quaedam otiis plures labori 134. Dum differtur vita transcurrit 135. Dum fleo rerum plus fleo damna dierum. Rex poterit rebus

succurrere nemo diebus 136. Dum fugit umbra simul fugit irreparabile tempus et sua

cuique dies dum fugit umbra fugit 137. Dum licet utere 138. Dum loquimur fugerit invida aetas 139. Dum loquor hora fugit 140. Dum sileo hora ruit 141. Dum tempus habemus operemur bonum 142. E’ del Sole un’ombra, un’ombra l’uomo 143. E’ l’ora di convertirsi 144. E’ ora di fare il bene 145. E’ più tardi di quanto non crediate. 146. E’ un raggio che traduce il mio messaggio 147. E nel peregrinar... di sol io vivo 148. E vado e vengo e il tempo vero insegno, non lo spregiar se

vuoi l'eterno regno 149. Ecce mensurabiles posuisti dies meos et substantia mea

tamquam nihilum ante te 150. Edax rerum tempus restaurat universa 151. Effimeri: che siamo? Che non siamo? Sogno d’un ombra

l’uomo (Pindaro) 152. Ego redibo tu numquam 153. Eheu fugaces... / labuntur anni nec pietas moram rugis et

instancti senectae / afferet indomitaeque morti 154. El sol magna le ore. 155. Elapsas nuntiat horas 156. Emicant primae sidera gentis 157. En regardant l’heure qu’il est pense à la mort et tiens toi

pret, ne compre pas sur la première car tout dépend de la dernière.

158. Errar ben può sulla campana il ferro, ma quando luce il Sol io mai non erro

159. Est hora bibendi et solvendi 160. Et iam summa procul villarum culmina fumant maioresque

cadunt altis de montibus umbrae (Virg. Buch.I,82-83) 161. Ex ore meo veritas 162. Ex oriente lux 163. Fac ergo omnes horas complectere Sen. 164. Fac hodie, fugit haec non reditura dies

165. Fais ce que dois advienne que pourra: l'heure est a Dieu l'esperance a tous

166. Fama fumus, divitiae humus, finis cinis 167. Fatalis ruit hora, iam tempus abire est, quae te sors

maneat (Leone XIII) 168. Felice è colui che fa felici gli altri 169. Ferrea virga et umbratilis ictus 170. Festina lente - Festina mox nox - Festina non redeo 171. Fidelis solis aemulum 172. Figurati sentir il mio rumore quando l’ombra a toccar va

tutte l’ore. 173. Fili serva tempus nihil tempore pretiosius. Tempus tantum

valet quantum Deus 174. Finché mi guarda il sol, nel sol credete. 175. Flos brevis, umbra fugax, bulla caduca sumus 176. Fra tanto variar d’ombra e di luce, che dall’alba al tramonto

il Sole induce, immutabile è solo il lieto volto onde l’ospite qui è sempre accolto

177. Fugge il tempo come l’ombra ma perenne luce dona 178. Fugge la lepre al cacciatore, la vita fugge in giorni et ore 179. Fuggi ombra fugace dalla luce uscita che alla terra misuri i

passi e all'uom la vita 180. Fugit et non recedit tempus 181. Fugit hora - Fugit hora: ora et labora - Fugit hora sine mora 182. Fugit irreparabile tempus 183. Grata superveniet quae non sperabitur hora 184. Guarda l'ombra del sol come cammina, a noi la morte è già

tanto vicina 185. Guarda l'ora che va al passato, pensa alla morte, sta

preparato. 186. Guarda l'ora. E tu, qui, adesso, se stai a perder tempo sei

un fesso! 187. Guarda me poi fai da te 188. Guardami e pensa 189. Guardando al mezzodì pensa alla sera 190. Guardate e agite 191. Hac rite utendo extremam para faustam 192. Haec cum Sole fugax Themidis Martisque labores et

venale forum dirigit umbra simul 193. Haec fortasse tua 194. Heu fugit interea fugit irreparabile tempus 195. Heu heu praeteritum non est revocabile tempus. Heu

propius tacito mors venit ipsa pede 196. Heu quaerimus umbram 197. Hic mea non fulgit virtus sine lumine Foebi 198. Hic tu qui transis pacem requiemque precare, hac vitae

numerans tempora, disce mori 199. Hinc disce 200. Homini hora aeternitas Deo

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di Giacomo Agnelli