21
ordininvisibili -inediti versi- roberta d’aquino

OrdinInvisibili

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Versi inediti senza cronologia

Citation preview

ordininvisibili -inediti versi-

roberta d’aquino

“Happiness is like a butterfly;

the more you chase it, the more

it will elude you. But if you turn

your attention to other things,

it will come and sit softly on

your shoulder.”

H.D.Thoreau

“con un terrore da ubriaco”*

mi accosto alle parole col tremore

di chi porta tra le braccia

un bambino appena nato, col timore

che mi cadano, la riluttanza

per tutte quelle rughe – quando si dice

che invecchiando si ritorna allo stato

primordiale, vale

anche il contrario-

il volto livido, gli occhi (ancora d’acqua)

e la paura di non conoscerle, la pelle

rossa dallo sforzo, i varchi duri a cedere

per tutte le volte che le ho credute

mie. e non sapevo niente

*da un verso di Montale

*

come nei momenti in cui si sente forte

la vita avvitarsi al muro sgretolare

ciò che resta -una polvere

la brace dal cemento- ancora calda

la mia palpebra si schiude gonfia

mi hai perforato gli iridi, parola

con la voce della golarotta

e ora sei silenzio, nero nella notte

della luna rossa, dietro al mare

dalla costa sorta

come Eva

bianco è il silenzio

succede, se ci spostiamo un millimetro

appena dalla barriera del suono

di udirne il clamore

bianco è il silenzio

e il colore vi è dentro tutto e unico

come l’ovale di un utero pieno

sta ai vuoti incrinare le rughe al velo

così come allo scoglio

frangerci in schizzi di sale che al mare

non torna

dopo le nubi sopra il Golgota

ho bisogno, vedi, di parlare

per non lasciare al caso certe coniugazioni

i verbi delle azioni, le congiunzioni

e perdere definitivamente il senso

piccolo e profondo, nel pozzo

nell'acquitrino in cui siedo

sola e in cui scavo con i piedi

sono la ricerca, l'incudine, il piccone

e il secchio. sono l'acqua e mi riverso

bevendomi di viscere. sono

il cercatore

ho bisogno di sentire la tua voce

di specchiarmi nei tuoi vetri fin giù

dove il silenzio non è più brusio

dove l'abbraccio delle parole si tende

come una catena e cigola

intorno alla carrucola delle risalite

e tu sei

dopo le nubi sopra il Golgota, la pietra rotolata

dal sepolcro, il sudario vuoto, la testimonianza

nel modo di dirmi che sono

anche io

dono e sacrificio

come tutti a questo mondo

frattale, duplicato originale di infinito. ripetizione

senza limite di tempo e forma

siamo raggiunti nell'unico punto

che nessuno vede

singolare presente passato

mi fermo ad una verità

io sono, sono stata

non posso dire neanche che sarò

per un bruciore d’occhi repentino

per un fascio di luce, un assassino

arriva e ti deruba d’ogni altra verità

non posso dire al tavolo “sei tavolo”

o alle innumerevoli matite, alle loro punte

affilate o tonde che cerchiano

i percorsi della pioggia nei canali

di conoscerle come un nome giusto

se non fosse che mi rigano l’incolumità

come un bisturi e il foglio rileva una piega

in cui infilare dita, sbirciare come una finestra

non posso dire che durerà

un giorno perderò il fanciullo

che ha tanto bisogno di parlare

smetteranno di piovere colori

di nascere nomi per quello che mi occorre

nominare

si resterà dimentichi, di corsa

su altre mille strade

e un me affacciato come un vecchio

con le gambe stanche

un’ora in più

le mani attardate sui fianchi

ci dicono che non si torna

ai posti di partenza quando in gioco

c’è il profumo dei gelsomini

e non dispiace alle mie anche, né

ai tuoi polpastrelli, questa sosta

dice “vieni, oggi è il primo giorno

lungo: il sole giace sulla primavera

un’ora in più” e tu cammini

sulla fuga degli occhi, in equilibrio

*

dovrebbe essere, il tuo libro

come ogni libro, cosparso di pensiero

come di scintille che atterrano sul viso

sotto le palpebre, oppure sulle labbra

parlavo di libri già anni fa

quando le pagine erano quasi tutte bianche

ora molte sono sporche, macchiate

da pollini e succo di ciliegie

a volte ne regalo alcune, a volte

tu le prendi in cambio di altri fogli

infondo siamo sempre libri- piccoli

rifugi scintillanti

se sapessi parlare di noi, le parole

sarebbero fiumi, invece nel vento

a caso ritornano, o partono

o restano

polveri e fioriture

torna a sporcarci le mani

il limo che invade le pianure

se raccogliamo le ombre

sfuggite all'andirivieni delle nuvole

e ci appendiamo ad asciugare

come dubbi svaniti tra passi

ed epifanie di sensi

l'invasione dei fiati – solco

nella carne- ara deserti

pronti a fioriture di sabbia

nell'attesa che si schiudano

le piene

le attendono i tetti

una pioggia che scompagina, un infrangere di vetri

il vuoto che tracima dalle foglie di un giovedì

da tagliare, come quelle steppe

ancora secche, residue dall'inverno

questo è il tempo del mio tempo

una primavera che ancora strozza i lacci

alle dita e scolora i cieli, sempre così grigi

questo è l'eterno marzo fatto di potenze

(dimenticai le azioni nei bulbi delle calle)

lento, come i mesi di una gravidanza

aspetta e forse ammanca di fuliggini

le attendono i tetti, le attendo io nella tua voce

un'ancora di vento

rimane sempre qualcosa di insoluto

un'ancora di vento a rimboccare i fiati

quando la pioggia s'interrompe e tu

mi guardi. febbraio nasconde la tristezza

sotto le architravi, noi a demolire muri

noi a scavarci dentro, a riposare

gli imbarazzi nelle mani.

i gerani le foglie umide i balconi

ripartiamo dai riflessi e sospendiamo gli anni

ad una panca di sole, o ad una camelight

-cosa ci costa

leghiamo un'amaca ai piedi della notte

per tutte queste briciole di pelle, per le stelle

che sgranai tra i datteri di palma.

(lettera del presente alle vite nuove)

Il liceo si vende, sai

e l’asta dei silenzi parte da tre milioni

I gradini sono parcheggi, le parole

sotto le ruote non si stendono

Ad averceli, ci girerei solo

per liberare quei fruscii

dalle tue spille da balia

Ma noi non eravamo fatte

di volti maldestramente incollati

sugli annuari, né di spiccioli

per sigarette comprate sfuse, del loro bruciare

dissolversi in volute tremolanti

Piuttosto come San Domenico e la sua piazza

ancora lì, nell’immutare splendido della storia

o come Mozart: Alto

a rintracciare passaggi furtivi e cavalcate

di confidenze appannate nei sing me to sleep* di un treno

Tutto, tutto quanto Ilaria

nel fluire di percorsi troppo sghembi

ci riporta alle vicinanze

alle mani fotocopiate e ai bracciali

alla consapevolezza dei miracoli

e questo imbrattare furibondo

assume la forma della mia voce

…s i s p e z z a

-prima non credevamo-

Guardami ora, come ti guardo

e come luccica, come risuona

l’inchiostro sulle mie palpebre nuove

tra le tue dita

nei tuoi seni gravidi

*

si vede che i legami si stringono

come granelli di sabbia

ai polpacci, quando soffia il vento

non è l'ombra d'un ago a scalfire

la persistenza ostinata del corpo

ma sembra quasi un ciglio caduto

ai bordi della bocca, nei non detti

tra i buchi di schiuma in cui s’infila

il sole [dobbiamo vederci

consumarci dentro le ossa, perché

solo il vuoto ci rende un posto all’impiedi

stretti come in metrò, nel passaggio

dal buio alla luce] e a restare negli occhi

è solo un passo di fune

l’essenziale

lasciamo decantare un calice di mare

con lo stelo tra due dita

il tempo che ci vuole per la trasparenza

ho la lingua che ricalca i bordi

ed echi conquistati a prescindere dai vuoti

forse io tu o ancora un altro noi

riusciremo a prenderci i silenzi

da trasformare in verbo

con la precisione di una miniatura

come su quei libri

che parlano di miti a quattro teste

e sapremo rintracciare vene

su triangoli di verde aspersi al vento

facendoci bastare poche gocce

di un alfabeto spoglio

*

si ritorna per strade non mappate

ai campi, sì ai campi, ai semi, alle case

alle cose che furono già segni

e il senso se lo portano incoscienti

loro, negli atomi, per non scordarlo

si ritorna così, parrebbe a zonzo

come dimenticanze a un passo d’aria

-cadendo il peso dalle ossa di neve-

e le voci risorte dall’inganno

dall’inverno che beccava alla porta

come risalire sangue dai solchi

dell’aratro

controluce e d’intorni

il controluce dà sempre l’impressione

d’una cosa morta: il fiore appassito

in ombra, il salice che raccoglie la pioggia

ai piedi nudi. ma tutto ragiona

in esse di intestini come radici

che crescono nel grembo

allora mi ricordo il rosa intenso

che si espande in seguito al diluvio

il raddrizzarsi delle ossa –petali

di margherite scartocciate- lo stagliarsi

d’alberi dal fondo del bulbo

oculare come mani e rune