30
letteratura & arte Rivista annuale 8 · 2010 pisa · roma fabrizio serra editore mmx estratto

letteratura arte - gent.uab.catgent.uab.cat/rac/sites/gent.uab.cat.rac/files/PDFARQUÉS.pdf · 2 Ugo di San Vittore, Eruditionis didascalicae libri vii, 4, in Patrologia Latina, clxxvi,

  • Upload
    others

  • View
    2

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

letteratura&arteRivista annuale

8 · 2010

pisa · romafabrizio serra editore

mmx

estratto

Direttori scientifici · Editors

Marcello Ciccuto · Francesco DivenutoFrancesco Furlan · Pasquale Sabbatino

*

Comitato editoriale · Editorial Board

Gabriella Albanese (Pisa) · Bruno Basile (Bologna)Yves Hersant (Paris) · Titus Heydenreich (Erlangen-Nürnberg)

Giuseppe Lupo (Milano) · Giuliana Nuvoli (Milano)Giorgio Patrizi (Roma) · Daniel Rico Camps (Barcelona)

Gennaro Toscano (Lille) · Gianni Venturi (Firenze)

*

«Letteratura & Arte» is a Peer-Reviewed Journal.

IMAGINATION – EVOKATION – BILD.REFLEXIONSÄSTHETISCHE DIMENSIONEN

DER BILD-TEXT-BEZIEHUNGIN DER ITALIENISCHEN LITERATUR

(Humboldt-Universität zu Berlin, 8.-10. Mai 2008)

Michèle Mattusch und Sylvia Setzkorn (Hrsg.)

*

IMMAGINAZIONE - EVOCAZIONE - IMMAGINE.DIMENSIONI TEORICO-ESTETICHEDEL RAPPORTO TESTO-IMMAGINE

NELLA LETTERATURA ITALIANA

Atti del Convegno di Berlino(Humboldt-Universität zu Berlin, 8-10 maggio 2008)

A cura di Michèle Mattusch e Sylvia Setzkorn

DANKSAGUNG

Für die finanzielle Förderung bedanken wir uns bei der Deutschen Forschungsgemein-schaft, beim Deutschen Akademischen Austausch Dienst, beim Istituto Italiano di Cultura diBerlino, beim Italienischen Außenministerium und bei Herrn Prof. Dr. emer. Karl-Ludwig Selig, der unser Projekt als Emblematikforscher der Columbia University in New York mit besonderem Wohlwollen verfolgt. In ganz besonderem Maße danken die beiden Herausge-berinnen Esther Ningelgen, Edith Ottschofski, Roberto Ubbidiente und Gherardo Ugolini fürdie unermüdliche Unterstützung der redaktionellen Arbeit und Marcello Ciccuto für die hilfreiche Begleitung auf dem Weg zur Publikation.

L’IMMAGINE DI ROMAFRA PETRARCA E BOCCACCIO

Rossend Arqués

1.

’estetica medievale si immerse nella riflessione sulle condizioni, sull’importanzae sugli effetti della bellezza sensibile. Agostino, prima di condannare ogni im-

magine nella palinodia delle Confessioni, si era espresso diffusamente e con conside-razioni di grande acutezza sul valore e la misura della bellezza del mondo fisico, la cuiesistenza, comunque dipende, come un riflesso, da quella spirituale, quella cioè chesi contempla con gli occhi della mente, che non ha nessuna delle attrattive fugaci del-l’altra e che in nessun modo può essere rappresentata iconograficamente.1 Qualchesecolo più tardi, Ugo di San Vittore ritiene che la bellezza ‘visibile’, che suscita am-mirazione e procura diletto, abbia qualche somiglianza con quella ‘invisibile’, e deb-ba per questo essere tenuta in grande rispetto in quanto: «Universus enim mundusiste sensibitis quasi quidam liber est scriptus digito Dei».2 Parallelamente a queste os-servazioni metafisico-religiose sul bello, si fanno sempre più strada le teorie aristote-liche sull’immagine interiore, contenute in sintesi nella sentenza nihil potest homo in-telligere sine phantasmata,3 e coincidenti con la supremazia del vedere su qualsiasi altrafacoltà nella cultura medievale, o per dirla con altre parole, con la straordinaria diffu-sione e importanza dell’immagine nella civiltà del basso Medioevo.4 Per cui è impos-sibile pensare senza immagini. L’immagine è la condizione stessa dell’intelligenza edel pensiero; il luogo in cui esso trova la propria forma e la propria realizzazione. L’im-magine interna, o fantasma, è al centro di una costellazione psichica che interessacontemporaneamente la sensazione, il linguaggio, l’intelletto, i sogni e la memoria.5I prodotti dell’immaginazione, ai quali tanto valore viene attribuito da tutte le auto-rità teologiche e filosofiche dell’epoca, non sono tuttavia immuni da rischi: sono il vei-colo con cui l’uomo può celebrare l’unione con l’ineffabile, ma possono anche di-strarre l’occhio dello spettatore dalla vera contemplazione, quella di Dio, e condurlo

1 W. Tatarkiewicz, Storia dell’estetica, ii, L’estetica medievale, Torino, Einaudi, 1970, p. 73. Cfr. ancheM. Brusatin, Storia delle immagini, Torino, Einaudi, 1995; Hugonis de sancto Victore Didascalicon.De studio legendi, ed. by Ch. H. Buttimer, Washington, Catholic University of America Press, 1939; M. L.Arduini, Ugo da san Vittore e il problema della storia: il Didascalicon. De studio legendi, ovvero i criteri per lametodologia della ricerca storica, «Aevum», lxxiii, 1999, pp. 305-336.

2 Ugo di San Vittore, Eruditionis didascalicae libri vii, 4, in Patrologia Latina, clxxvi, B. 814, Parigi,1854 (repr. Turnhout, Brepols, 1976).

3 Aristotele, De Anima 432a: «Poiché nessun oggetto sembra possa esistere separato dalle grandez-ze sensibili è nelle forme sensibili che esistono gli intelligibili […] Chi non avesse sensazione alcuna, noncomprenderebbe né apprenderebbe niente; e quando l’uomo contempla, di necessità contempla insie-me un qualche fantasma». 4 M. Bettettini, Figure di verità, Torino, Einaudi, 2004.

5 G.Agamben, Stanze, Torino, Einaudi, 1977, pp. 100 sgg.

«letteratura & arte» · 8 · 2010

L

86 rossend arqués

all’alienazione. Nel Secretum di Petrarca, infatti, Agostino rimprovera Francesco che,non pago della contemplazione dal vivo di colei (Laura) che ha invaso la sua anima,cedendo alla sua propria follia, ha commissionato un dipinto a un «illustris artificis in-genio» (Simone Martini).1 Tuttavia le immagini celebrano il loro trionfo ovunque:nelle chiese come nelle case, nella cultura scientifica, compresa quella della scienzadell’anima, come nella letteratura, sono la Bibbia degli analfabeti e il diletto per i col-ti. I manoscritti si arricchiscono sia di preziose miniature sia di grossolani scaraboc-chi. Ne è un chiaro esempio Petrarca che dimostrò sempre un vivo interesse per lacultura iconografica, oltre a svolgere un importantissimo ruolo d’impulso della nuo-va arte figurativa nella seconda metà del Trecento. In proposito esiste molta lettera-tura sui suoi rapporti con alcuni dei pittori più famosi dell’epoca, in particolar conquelli d’ambiente avignonese (Simone Martini, Matteo Giovanetti da Viterbo, Alti-chiero, Nardo da Cione, Giotto, ecc.).2

Tralasciando le figure del linguaggio e le immagini mentali, che comunque entra-no a far parte in modo importante dell’argomento che qui ci occupa, concentriamol’interesse sugli oggetti raffigurati, stabilendo alcune categorie sulla base delle lorodifferenti tipologie e funzioni. Senza nessuna pretesa d’esaustività, ne individuo al-cune: religiose, agiografico-celebrative, di supporto mnemonico, mitologiche, alle-goriche e decorative. Delle molte raffigurazioni che troviamo sparse nei manoscrittidi proprietà del Petrarca, una parte minima è di tipo allegorico, anzi meglio sarebbedire mitografico, come il frontespizio di Simone Martini nel manoscritto S.P 10.27della Biblioteca Ambrosiana in cui Servio è raffigurato mentre offre l’opera di Virgi-lio («une image conçue par un humaniste pour illustrer son exemplaire du plus granpoète ancien, mais en même temps une image de lui-même»),3 o il pittogramma di

1 Francesco Petrarca, Secretum, a cura di E. Fenzi, Milano, Mursia, 1992, p. 226 e nota 137. Perquanto riguarda il ritratto si veda M. C. Bertolani, Dall’immagine all’icona, «Quaderns d’Italià», 11, 2006,pp. 183-201, e Eadem, Petrarca e la visione dell’eterno, Bologna, il Mulino, 2005, nonché G. Bertone, Il vol-to di Dio, il volto di Laura. La questione del ritratto. Petrarca: Rvf. xvi, lxxvii, lxxviii, Genova, Il melango-lo, 2008, che contengono tutti i riferimenti relativi alla questione.

2 V. Massena d’Essling, E. Muntz, Pétrarque; ses études d’art; son influence sur les artistes; ses por-traits et ceux de Laure; l’illustration de ses écrits, Paris, Gazette des Beaux-Arts, 1902; L. Chiovenda, DieZeichnungen Petrarcas, «Archivum Romanicum», xvii, 1933, pp. 1-61; M. Meiss, French painting in the timeof Jean de Berry. The late xiv century and the patronage of the Duke, London, Phaidon, 1967, 19692; M. Ba-xandall, Giotto and the Orators, Oxford, Oxford University Press, 1971, trad. fr. Les humanistes a la décou-verte de la composition en peinture 1340-1450, trad. M. Brock, Paris, Seuil, 1989, pp. 73-103; J. Brink, SimoneMartini, Francesco Petrarca and the Humanistic Program of the Virgil Frontispiece, «Medievalia», 3, 1977, pp. 83-117; G. Contini, Petrarca e le arti liberali, in Francesco Petrarca citizen of the world, a cura di A. S. Bernar-do, Padova-Albany, 1980, pp. 115-131; M. Bettini, Tra Plinio e sant’Agostino: Francesco Petrarca sulle arti figurative, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, i, a cura di S. Settis, Torino, Einaudi, 1984, pp. 219-267;M. Ciccuto, Figure di Petrarca. Giotto, Simone Martini, Franco bolognese, Napoli, Federico & Ardia, 1991;A. Martindale, Simone Martini, Oxford, Phaidon, 1988; M. M. Donato, Simone Martini: un pittore “in paradiso”, fra potenti e poeti, in Artifex bonus. Il mondo dell’artista medievale, a cura di E. Castelnuovo, Roma-Bari, Laterza, 2004, pp. 157-167; Idem, “Veteres” e “novi”, “externi” e “nostri”. Gli artisti di Petrarca: per unarilettura, in Medioevo: immagine e racconto. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Parma, 27-30 settembre2000), a cura di A. C. Quintavalle, Milano, Electa, 2003, pp. 433-455; M. Ciccuto, Petrarca e le arti: l’occhiodella mente fra i segni del mondo, in Petrarca, la medicina, le scienze, numero speciale di «Quaderns d’Italià»,11, 2006, pp. 203-221.

3 N. Mann, Pétrarque: Les voyages de l’esprit, Grenoble, Millon, 2004, p. 71.

l’immagine di roma fra petrarca e boccaccio 87

Valchiusa all’interno della Historia naturalis (Par. Lat. 6802, f. 143v);1 la maggior partesono un supporto visivo alla memoria2 e si trovano come glosse a margine dei passicontenenti dei riferimenti degni di nota che quindi devono essere facilmente reperi-bili. Si tratta di manine (maniculae), fiorellini, segni geometrici vari e qualche disegnoun po’ più elaborato che funge da cornice delle parole da evidenziare. Anch’esse, co-munque, hanno un certo tasso di emblematicità, come ha spiegato acutamente LinaBolzoni:

L’arte della memoria, come si è più volte ricordato, costruisce le sue immagini negli spazi dell’interiorità; esse sono legate da una fitta rete di rapporti sia con le immagini create con leparole, evocate dagli scrittori e dai poeti, sia con le immagini sensibili, in particolare con quel-le prodotte dalle arti figurative.3

Agostino nel decimo libro delle Confessioni descrive la memoria come un palazzo pie-no all’infinito d’antri e caverne, in cui sono raccolte tutte le cose che colpiscono la sen-sibilità e l’immaginazione. Questi segni della memoria che pullulano nei codici e neivolumi di tante biblioteche, costituirebbero da soli un’immensa e plurale storia dellalettura, ma soprattutto una storia dei sogni e delle immaginazioni di numerose ge-nerazioni di lettori.

Mi soffermerò su una di queste minuscole tracce, così «maldestra, tanto primaria,che poteva averla pasticciata pure l’aretino»,4 la quale forse non avrebbe meritato l’at-tenzione e l’interesse di nessuno studioso,5 se non fosse che raffigura l’immagine diuna Roma particolare, frutto dell’interpretazione incrociata di due grandi lettori,nonché umanisti insigni, grazie alla quale ci avventuriamo nella ricostruzione di unpossibile dialogo fra l’Aretino e il Certaldese circa la loro personale idea della capita-le del mondo antico.

1 Si veda il riassunto delle attribuzioni fino al 2003 in M. Feo, Le cipolle di Certaldo e il disegno di Valchiusa, Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, 2004, p. 48, estratto da Petrarca nel tempo. Tradizione lettori eimmagini delle opere, Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, 2003, pp. 499-512 (a cura di M. Feo); e fino al 2004 inM. Fiorilla, Marginalia figurati nei codici di Petrarca, Firenze, Olschki, 2005, pp. 41-43 e 52-58. Dal puntodi vista della mitografia, si vedano C. Bologna, PetrArca petroso, «Critica del testo», vi, i, 2003, pp. 366-420; K. Stierle, Francesco Petrarca. Ein Intellektueller im Europa des 14. Jahrhunderts, München-Wien, CarlHanser Verlag, 2003, trad. it. La vita e i tempi di Petrarca. Alle origini della moderna coscienza europea, a curadi G. Belloni, Venezia, Marsilio, 2007, pp. 61-66; R. Arqués, Per umbram fons ruit. Petrarca in Elicona. Paesaggio e Umanesimo, «Quaderns d’Italià», 11, 2006, pp. 245-272.

2 M. Fiorilla, op. cit. Una particolare interpretazione si trova ora in F. Rico, Boccaccio e Petrarca, “Devallibus clausis, montibus, silvis et fluminibus”, in Gli antichi e i moderni. Studi in onore di Roberto Cardini, Firenze, Polistampa, 2009, vol. ii, pp. 1181-1194, in cui l’autore si chiede se: «i segni di attenzione tratteg-giati attorno ai nomi dei monti, tanto nel Plinio come negli altri testi, cercavano in qualche modo di aiutare Boccaccio nel suo lavoro prima di eseguirlo o mentre lo eseguiva? O piuttosto erano destinati acontrollarlo e criticarlo più tardi? O forse obbedivano a un vecchio interesse di Petrarca rinverdito dall’attività nella quale negli stessi giorni era impegnato il certaldese? Presumo che la verità stia in unarisposta parzialmente positiva alle due ultime domande».

3 L. Bolzoni, La stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici nell’età della stampa, Torino, Einaudi, 1995, p. 190 e anche Eadem, La rete delle immagini, Torino, Einaudi, 2002, pp. 48-101.

4 Rico, op. cit., p. 524.5 Cfr. i riferimenti bibliografici delle note 2 di p. 86 e 2 di p. 88.

88 rossend arqués

2.

Mi riferisco ovviamente all’illustrazione del folio 266v (Fig. 1) del già citato codice del-la Naturalis historia di Plinio il Vecchio (bnp, Par. lat. 6802) corrispondente al passo delgeografo romano in cui si legge:

Quod si quis diligentius estimaverit aquarum habundanciam (aestumaverit abundantiamaquarum ed.) in publico, balineis, piscinis e rupibus (euripis ed.) domibus, hortis, suburbanisvillis, venientem (spatia aquae venientis ed.) exstructos arcus, montes perfossos, convallesequatas, fatebitur nichil (nil magis ed.) mirandum fuisse in toto orbe terrarum.

(Plinio, nat., xxxvi, 123)1

Petrarca acquista il codice nel 1350 a Mantova (Emptus Mantue, 1350, Iul 6, registra disuo pugno) e da allora non cesserà mai di postillarlo, né di consultarlo quale opera dacui trarre ogni sorta di notizia storica e geografica, fondamentale sia per sé sia per ami-ci e allievi. Tra costoro, il Boccaccio poté sicuramente consultarlo in alcune delle oc-casioni in cui fu suo ospite, anche se non ci è dato sapere esattamente quando e dove(a Padova nel 1351, a Milano nel 1359 oppure a Venezia nel 1363 o nel 1368?). Non è nem-meno da escludere che Petrarca glielo abbia lasciato in prestito. È certo comunqueche il Certaldese attinse abbondantemente da esso per la redazione del suo De monti-bus, silvis, fontibus, lacubus, fluminibus, opera che smise di occuparlo forse quando ven-ne a sapere che il suo maestro stava schedando lo stesso codice per compilare quelloche lui immaginò dovesse essere un lavoro simile al suo. Così com’è oggi altrettantocerto che una parte importantissima dei disegni che «abbelliscono» il codice in que-stione è di sua mano. Il Certaldese in infinite occasioni mostra di avere una certa abi-lità2 nel disegno, a cui ricorre tutte le volte che può, al contrario del suo maestro che,invece, nel consultarli, riempie i manoscritti di chiose, commenti e segni mnemotec-nici. Resta aperta, comunque, la vexata quaestio sulla possibile collaborazione di mae-stro e discepolo nell’ideare queste illustrazioni, che vengono poi affidate all’allievoperché le realizzi. Il disegno di cui ci stiamo occupando è così lontano, per qualità ar-tistica, da quello di Valchiusa, presente nello stesso codice, che forse non è il caso discomodare il Boccaccio né tanto meno un artista degno di questo nome.3

In esso sono riconoscibili due fasi di realizzazione. In una prima fase (Fig. 2) è statousato un inchiostro marrone e viene tracciato il basamento rettangolare merlato conporta d’ingresso centrale, sormontato dalla torre di sinistra (anch’essa merlata), e probabilmente anche dalla torre merlata di destra, che successivamente viene ripas-

1 La sigla ed. indica la lezione delle edizioni moderne.2 Boccaccio visualizzato: narrare per parole e per immagini fra Medioevo e Rinascimento, a cura di V. Branca,

Torino, Einaudi, 1999. Si vedano anche M. G. Ciardi Dupré dal Poggetto, Boccaccio “visualizzato”dal Boccaccio, i, Il corpus dei disegni e cod. Parigino It. 482, «Studi sul Boccaccio», xxii, 1994, pp. 197-225; M.Ciccuto, Immagini per i testi di Boccaccio: percorsi e affinità dagli Zibaldoni al Decameron, in Gli Zibaldoni diBoccaccio. Memoria, scrittura, riscrittura. Atti del seminario internazionale di Firenze-Certaldo (26-28 aprile1996), a cura di M. Picone e C. Cazalé Bérard, Firenze, Cesati, 1998, pp. 141-159, e G. Morello, Disegnimarginali nei manoscritti di Giovanni Boccaccio, in Gli Zibaldoni di Boccaccio, cit., pp. 161-177.

3 Fiorilla, op. cit., pp. 58-63.

l’immagine di roma fra petrarca e boccaccio 89

Fig. 1. Par. lat. 6802, f. 266v.

90 rossend arqués

Fig. 2. Ricostruzione ipoteticadella prima fase.

Fig. 3. Ricostruzione ipoteticadella seconda fase.

l’immagine di roma fra petrarca e boccaccio 91

sata e modificata, come altre parti del disegno, con un inchiostro nero; alla seconda fa-se (Fig. 3) invece corrispondono le modifiche e le aggiunte realizzate con tale inchio-stro, e cioè la cupola disegnata sopra la torre di sinistra, la cuspide aggiunta su quelladi destra, le finestre e altri elementi della torre, la porta situata nella sezione centraledel disegno e alcune decorazioni e linee, sia centrali sia laterali. Tutte le modifichesembrano assolvere alla funzione di trasformare il primo disegno, tracciato come sup-porto mnemonico, in una sintesi architettonica che raccoglie insieme sincreticamen-te gli elementi della Roma classico-pagana e di quella cristiana. Il rettangolo relativoalle mura contiene la scritta: «Roma sola mirabilis toto orbe terrarum», in riferimen-to al passo pliniano. Sopra il disegno campeggiano i nomi: «Iulius Cesar» e «Claudius».Diverse sono le interpretazioni del disegno in questione.1 È da sottolineare, però, unparticolare citato da Fiorilla, ossia un piccolo disegno che incornicia anch’esso la po-stilla Roma nel Vat. lat. 9305 f. 48r in margine a un passo ciceroniano della Pro P. Sullaoratio, proprio per i rapporti che traccia con la prima fase dell’illustrazione pliniana2(Fig. 4). Se la maggior parte delle parole incorniciate da palazzi o strutture architet-

1 L. Chiovenda, Die Zeichnungen Petrarcas, «Archivium Romanicum», xvii, i, 1933, pp. 48-49 ci ve-de una rappresentazione di Castel Sant’Angelo; A. Schmitt, Zur Wiederbelebung der Antike im Trecento.Petrarcas Rom-Idee in ihrer Wirkung auf die Paduaner Malerei. Die methodische Einbeziehung des römischenMünzbildnisses in die Ikonographie “Berühmter Männer”, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institut inFlorenz», 18, 1974, pp. 167-218: pp. 177-178, e M. Bettini, Francesco Petrarca e le arti figurative. Tra Plinio esant’Agostino, Livorno, Sillabe, pp. 19-21 lo accostano alle rappresentazioni della città nelle bolle degli im-peratori e in particolar modo a quella che Carlo IV donò a Petrarca; S. Maddalo, Figure Romae. Imma-gini di Roma nel libro medievale, Roma, Viella, 1990, pp. 42-43 lo interpreta come una sintesi della città at-traverso alcuni dei suoi principali monumenti (le mura, il Pantheon e una torre); M. Ciccuto, Immaginiper i testi di Boccaccio: percorsi e affinità dagli Zibaldoni al Decameron, in Gli Zibaldoni di Boccaccio, cit., pp.141-159 ci vede un «exemplum mirabile condensato in fantasia architettonica» e lo attribuisce alla manodel Boccaccio; M. Fiorilla, Marginalia figurati di Petrarca, Firenze, Olschki, 2005, pp. 61-62 è del pareredi non identificare nessuna delle parti del disegno con dei monumenti concreti della Roma trecentesca,se non forse la cuspide della torre con «i due campanili del Laterano, la cui importanza simbolica nel Me-dioevo, in quanto cattedrale di Roma, era particolarmente adatta a rappresentare la città e suoi mirabi-lia», ed è proclive ad attribuire il nucleo originario del disegno al Petrarca e a dimostrazione di questoadduce una serie di prove. 2 Fiorilla, op. cit., p. 61.

Fig. 4a. Vat. lat. 9305, f. 44v. Fig. 4b. Ricostruzione.

92 rossend arqués

toniche sono meri segni mnemotecnici utili a segnalare i passi del testo nei quali c’è unriferimento a tale concetto, nel caso, invece, del disegno di Roma sul Plinio pariginoc’è una volontà di sintesi e di riferimenti simbolici che vanno oltre alla semplice funzione mnemonica, per pescare nell’importantissima produzione scritta e figuratasu Roma e la sua storia, che l’Aretino conosceva sicuramente molto bene e di cui avràavuto modo si trattare con gli allievi, anche davanti a questo codice pliniano.

Molta parte della letteratura del Trecento riprende e fa proprie le varie manifesta-zioni d’ammirazione che erano andate accumulandosi nel corso dei secoli sulla gran-dezza di Roma: dalla Roma caput immensi orbi di Ovidio alla saeculi summum caput o ca-put orbis di Prudenzio fino alla celebre sintesi di Alcuino, Roma caput mundi, mundidecus, aurea Roma. Gli stessi elementi di questa apposizione (caput mundi, decus, aurea)1ritornano ripetutamente in Petrarca proprio riferiti alla città di Cesare. D’altro canto,però, non mancano in Petrarca altrettanti riferimenti alla città che era stata la sedemaestosa dell’Impero prima e del Papato poi, e che ora, perduti gli antichi fasti, os-serva con desolazione le sue stesse rovine, come dice lo stesso Alcuino in una chiosain cui si duole della decadenza di Roma: «Nunc remanet tantum saeva tibi ruina».

Ad avere alimentato il mito medievale e umanistico della città non sono solo le fontipoetiche e storiche antiche (Ovidio, Virgilio, Plinio, Livio, Cicerone, ecc.), ma anchele opere di carattere didascalico, archeologico, odeporico, religioso e politico. Mito-logie pagane e cristiane s’incrociano e si succedono nei diversi testi che hanno tra-mandato la rappresentazione della città fino al Trecento. Mi riferisco alla produzionedei Mirabilia (Mirabilia Urbis, Graphia Aurea Urbis, ecc.) che può comprendere il sem-plice elenco di edifici sacri e profani, la guida topografica della città – come quella re-datta dal Magister Gregorius nel xii secolo con il titolo De mirabilibus urbis Romae – ola descrizione storico-leggendaria di Roma, come il De mirabilibus civitatis Romae, a cura del cardinale d’Aragona, Nicolàs Rossell.2

1 Si veda Orazio, Carm., 1 1, 2: dulce decus meum che il poeta rivolge a Mecenate.2 Si veda F. Gregorovius, Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter, Stuttgart, Cotta, 1886-18964, trad.

it. Storia della città di Roma nel medioevo, Torino, Einaudi, 1973, e A. Graf, Roma nella memoria e nelle im-maginazioni del Medio Evo, Bologna, Forni, 1987 (rist. anast. dell’ed. Torino, Loescher, 1923). Ma ancheChr. Huelsen, Le chiese di Roma nel Medio Evo, Firenze, Olschki, 1927 (repr. Hildesheim, Olms, 1975),consultabile online nel sito LacusCurtius; J. Root Hulbert, Some Medieval Advertisements of Rome, «Modern Philology», 20, 1922-1923, pp. 403-424; G. Powitz, Textus cum commento, «Codices manuscrip-ti», v, 1979, pp. 80-89; F. Saxl, La storia delle immagini, Roma-Bari, Laterza, 1990; M. Miglio, Scritture,scrittori e storia, i, Per la storia del Trecento a Roma, Manziana (rm), Vecchiarelli, 1991; Chr. Neumeister,Roma antica. Guida letteraria della città, ed. it. a cura di C. Salone, Roma, Salerno Editrice, 1993; P. Zum-thor, La mesure du monde. Représentation de l’espace au Moyen Âge, Paris, Seuil, 1993; N. Robinjtje Mie-dema, Die Mirabilia Romae: Untersuchungen zu ihrer Überlieferung mit Edition der deutschen und niederländi-schen Texte, Tübingen, Niemeyer, 1996; Entre fiction et histoire: Troie et Rome au Moyen Âge, a cura di E.Baumgartner et L. Harf-Lancner, Paris, Presses de la Sorbonne Nouvelle, 1997; R. Krautheimer, Rome:Profile of a City, 312-1308, Princeton, Princeton University Press, 2000; N. Robinjtje Miedema, Die römi-schen Kirchen im Spätmittelalter nach den Indulgentiae ecclesiarum urbis Romae, Tübingen, Niemeyer, 2001;M. Petoletti, “Nota valde et commenda hoc exemplum”: il colloquio con i testi nella Roma del primo Trecento,in Talking to the Text: Marginalia from Papyri to Print. Proceedings of a Conference held at Erice, 26 september - 3october 1998, a cura di V. Fera, G. Ferraù, S. Rizzo, Messina, 2002, pp. 361-399; I “Mirabilia urbis Romae”, acura di M. Accame Lanzillotta e E. Dell’Oro, Tivoli, Tored, 2004; N. Longo, Petrarca: Geografia e lettera-tura. Da Arezzo ad Arquà, da Parigi a Praga, passando per Roma, Roma, Salerno Editrice, 2007.

l’immagine di roma fra petrarca e boccaccio 93

Ciò vale anche per l’abbondantissima iconografia della città come immagine sia libraria sia di pittura parietale, nonché come soggetto di storie o come oggetto di descrizioni. Penso ai disegni topografici, alle piante urbanistiche con alcuni monu-menti rappresentati tridimensionalmente, in certi casi vere e proprie mappe che ri-spondono a una visione mentale e riassuntiva della città, che si vuole riprodurre trac-ciandone gli elementi architettonici più importanti. Tale sintesi, a volte, può essereestremamente schematica e non andare oltre a una raffigurazione puramente sim-bolica o addirittura immaginaria della città, come quando viene rappresentata unaminima parte per il tutto o quando l’unico riferimento è il nome in un cartiglio o nel-la legenda.1 Delle innumerevoli opere di carattere storico o storico-geografico corre-date da illustrazioni più o meno sintetiche di Roma, ci limiteremo in questa sede aprendere in considerazione quelle in cui la città è raffigurata come un castello cintoda mura o come una cinta muraria turrita.2 Delle tre tipologie di rappresentazionedella città eterna, che Silvia Maddalo ha catalogato come simbolica, immaginata e rea-listica, a noi interessa soprattutto la prima, perché agglomera e condensa in un em-blema, nel quale è più o meno facilmente riconoscibile il riferimento alla realtà urba-na e monumentale della città, alcuni dei suoi aspetti più peculiari. Le mura turrite emerlate con la porta o le porte d’accesso alla città, e/o con alcuni dei suoi edifici piùrappresentativi costituiscono già, in questi secoli, l’emblema principale della città. Lotestimoniano le numerose miniature, in alcune delle quali l’identificazione della cittàè possibile anche senza il ricorso alla didascalia; in altre invece è indispensabile ricor-rere alla legenda in quanto l’estrema sinteticità dei tratti con cui vengono rappresen-tati i suoi edifici rende impossibile riconoscere di volta in volta la città del papa (Ca-stel Sant’Angelo), della porta aurea o del Campidoglio.

Tra letteratura e apparato iconografico esiste un fitto e complesso dialogo. Le in-terpretazioni che si possono ricavare dall’una e dall’altro si completano a vicenda, ag-giungendo molti e importanti tasselli per la comprensione non solo dei testi e delleimmagini ma anche degli autori. Qualunque siano le aspettative che il viaggiatore oil pellegrino ha nei confronti di questa città, esse sicuramente rispondono a un qual-che modello letterario che più o meno consapevolmente egli ha interiorizzato.

3.

L’immagine di Roma, dunque, come possibile, plausibile punto d’incontro e, tal vol-ta, di scontro, comunque come spunto di dialogo fra i due intellettuali su un argo-

1 Si veda, tra le moltissime immagini, la miniatura a f. 190r del ms. lat. 648 della Bibliothèque natio-nale de France, contenente i Collectanea in Epistolas Pauli di Pietro Lombardo.

2 Di lungo uso nei secoli xiv e xv, come indica Maddalo, op. cit., p. 37: «La città, identificata sempreda una didascalia, è raffigurata come un castello cinto da mura e bagnato dal Tevere nel caso del ms. lat366 di Parigi, del secolo xi-xii, o come una cinta muraria turrita, nel caso ad es. del ms. Cotton TiberiusB.V. della British Library, di analoga datazione. Ma soprattutto nei secoli xiv e xv, con il rinnovato inte-resse per le scienze naturali e per gli studi topografici, le opere a carattere geografico (anche di autori antichi, recuperati e copitati in questo periodo) e i compendi storici, che trattano cioè della storia delmondo dalle origini al tardo Medioevo, includono in alcuni casi vere e proprie piante di città – tra cui Roma non manca mai –, piante realizzate talvolta con una eventuale e accentuata attenzione per la realtàtopografica e monumentale del soggetto».

94 rossend arqués

mento che presto assumerà un’importanza assoluta nel panorama culturale dell’epo-ca, e cioè la classicità e il ruolo di Roma. L’impulso al rinnovamento (renovatio) eramolto comune tra gli intellettuali del Trecento e del Quattrocento.1 Si pescava nellacultura classica non solo per un gusto antiquario e archeologico, ma soprattutto per-ché Livio, Cicerone, Plinio, Scipione, oltre ad essere le massime auctoritates letterariedell’epoca, costituivano i fondamenti per il superamento delle divisioni e delle vio-lenze tra i fautori della Chiesa e quelli dell’Impero, per l’agognato rinnovamento delsistema dei valori umani, approdo al quale si poteva giungere attraverso una sintesiumanistica della tradizione pagana e di quella cristiana. Ricorrendo costantemente al-l’evocazione della virtus romana, Petrarca «intendeva opporre a un mondo logoro econsunto un modello forte e magnanimo»,2 dal quale potevano sorgere la pace e l’ar-monia politiche e sociali tanto vagheggiate. Un processo di rigenerazione che dove-va interessare l’aspetto spirituale religioso dell’umanità, ma che doveva passare an-che, almeno per alcuni, attraverso il ripristino dell’antico potere romano-cristiano,l’unico che poteva diffondere la luce universale, attraverso la sapienza degli antichi,riemersa dalle tenebre dei secoli precedenti.3 «È con Petrarca – scrive Dotti – e fino al-meno a Machiavelli, che l’esempio di Roma antica si propone come un modello e unnon più eludibile punto di riferimento per l’avvenire».4

A Roma confluiscono la storia antica e pagana e quella cristiana. Non costituisceuna contraddizione né un peccato mescolarle e unirle insieme come fa Petrarca inun’epistola a Giovanni Colonna (Fam., vi, 2), nella quale ricorre a un notevole nume-ro di deittici (hic, hic, hec, ille, hinc, hoc…) per denotare il determinismo con cui pro-prio in questo luogo si è concentrata tanta storia. L’amore, tutto filosofico, per la co-noscenza e la comprensione del mondo antico, sempre più approfondite grazie allaricerca instancabile di manoscritti, monumenti, sigilli e monete che possano colmarelacune e recuperare la memoria di certi eventi e soprattutto del corso della storia, vastrettamente congiunto alla più sincera e profonda religiosità cristiana. Le lettere clas-siche rendono più acuto il bisogno di rigenerazione morale e politica, ma anche per-sonale e spirituale, in perfetta sintonia con le fonti religiose. E Roma è luogo di sinte-si perfetta, come riconosce lo stesso Petrarca in un’epistola all’amico Lelio (Fam., xv,8) del 1352, in cui, passando in rassegna i luoghi della sua mitografia, contrappone Ro-

1 Ch. C. Bayley, Petrarch, Charles IV and the “Renovatio Imperii”, «Speculum», xvii, 2, 1942, pp. 323-341.2 U. Dotti, Petrarca civile. Alle origini dell’intellettuale moderno, Roma, Donzelli, 2001, p. 130. Si veda-

no anche Idem, Vita di Petrarca, Roma-Bari, Laterza, 2004; G. Crevatin, L’idea di Roma, in Motivi e formedelle Familiari di Francesco Petrarca. Atti del Convegno di Gargnano del Garda (2-5 ottobre 2002), a cura di C.Berra, Milano, Cisalpino, 2003, pp. 229-247; G. Crevatin, Roma aeterna, in Petrarca e Agostino, a cura diR. Cardini e D. Coppini, Roma, Bulzoni, 2004, pp. 131-151; G. Crevatin, M. Ciccuto, Ab urbe condita. IlTito Livio della Bibliothèque nationale di Parigi (Par. lat. 5690), «Alumina», xii, 2006, pp. 18-23; G. Crevatin,Francesco Petrarca. Il mito di Roma e la rinascita della storiografia, in Das alte Rom und die neue Zeit. La Romaantica e la prima età moderna, a cura di M. Disselkamp, P. Ihring, F. Wolfzettel, Tübingen, Narr FranckeAttempto, 2006, pp. 7-21; M. Ciccuto, Petrarca, i Colonna e il Livio “romano”, in Petrarca e Roma. Atti delconvegno di studi (Roma, 2-3-4 dicembre 2004), a cura di M. G. Blasio, A. Marisi, F. Niutta, Roma, Roma nelRinascimento, 2006, pp. 113-123; G. Crevatin, Leggere Tito Livio: Nicola Trevet, Landolfo Colonna, FrancescoPetrarca, «Incontri triestini di filologia classica», 6, 2006-2007, pp. 67-79.

3 E. Garin, Il rinascimento italiano, Bologna, Cappelli, 1980.4 Dotti, Petrarca civile, cit., p. 130.

l’immagine di roma fra petrarca e boccaccio 95

ma a Parigi e anche ad altre città; ma la sua scelta è obbligata (anche se nel momen-to che scrive questa lettera ha già deciso di trasferirsi a Milano):

Dici enim nullo posset eloquio quanti faciam fragmenta illa gloriosa regine urbium ruinasquemagnificas et vestigia illa tam multa et tam clara virtutum, seu celi seu terre iter ingressis lumen preferentia finemque monstrantia.

(Fam., xv, 8, 6)

Solo questa città quindi rappresenta il porto ideale nel quale vivere e morire in pace,poiché in essa lo spirito di dominio spaziale e temporale degli imperatori si è unito al-la speranza cristiana di ripristinare la pace romana.

Egli si oppone a qualsiasi tipo di traslatio sia essa imperii, studii o sapientiae e per far-lo parte dalla cesura fra tempi antichi e tempi moderni che per lui coincide con l’epo-ca della conversione di Roma al Cristianesimo: «at dicantur antique quecunque antecelebratum Rome et veneratum romanis principus Cristi nomen, nove autem ex illousque ad hac etatem» (Fam., vi, 2).

La cesura è solo apparente poiché in realtà la modernità cristiana ha posto le basidell’unificazione e della redenzione della città antica: «Admirable échange» – scriveMarc Fumaroli, in un sintetico quanto interessante articolo sul mito di Roma,

et renouement entre les deux ères qui s’entrechoquent à Rome: au dessus des ruines de la vil-le des Césars, Petrarque fait se lever une Rome object de science et de piété, lavée par sesépreuves, retrouvant dans le christianisme le sens de son propre mouvement qu’elle avait méconnu, et rendant à la chrétianité égarée l’orientation qu’elle avait elle-même perdue.1

Se Roma deve risorgere dalle sue ceneri e deve essere ricordata nella sua grandezza,pienezza e splendore (resurrezione e memoria), non può ritornare così com’era, macome idea eterna che illumini il mondo presente e futuro. Petrarca sogna un cambioradicale che dissipi le tenebre che impediscono di vedere la gloria dell’Urbs, e si ado-pera perché si realizzi questo sogno e perché l’influsso di Lete non perduri. Ma sa an-che, o almeno lo impara con il tempo e a sue spese, che Roma come effettiva realtàpolitica imperiale non può più tornare. Roma non può rinascere altrove. Petrarca sioppone sì a qualsiasi concetto di traslatio, come ha visto acutamente Stierle,2 ma saanche che Roma non può rinascere là dove si trova e uguale a come era stata. Per questo mi sembra molto plausibile la conclusione di Fumaroli nel seguente passo delsuccitato articolo:

La “surrectio” mnémique de Rome n’est postulée par Pétrarque ni comme restauration poli-tique ni comme renaissance païenne mais comme principe inspirateur d’un pouvoir spirituelmoderne éclairé sur lui-même et reconcilié avec sa propre espérance par le travail de la remé-moration. En proposant aux modernes chrétiens de se réaproprier l’antiquité, Pétrarque fon-de la République européenne des Lettres et lui fixe un programme qui, de proche en proche,au fur et à mesure que Byzance s’éteindra, rallumera aussi dans la Rome chrétienne, l’intelli-gence d’Athènes et d’Alexandrie.3

1 M. Fumaroli, Rome dans la mémoire et l’imagination de l’Europe, «Lettere italiane», xlviii, 3, 1996, pp.345-359: p. 351.

2 Stierle, op. cit., pp. 670-673. 3 Fumaroli, op. cit., p. 351.

96 rossend arqués

Ma il fervore e la devozione esibita dal Petrarca per una Roma connaturata da una forte carica simbolica e provvidenziale non possono essere estesi a tutti. Un esempiobasti, benché minimo: se è documentato che Petrarca si recò almeno quattro volte aRoma, lì volle fermamente che si svolgesse la celebrazione della sua laurea poetica elì avrebbe voluto, o quanto meno sognato, fissare dimora, al contrario per Boccaccionon possiamo dire con certezza né che vi abbia mai messo piede (neanche di passag-gio nel tragitto da Firenze a Napoli o viceversa), né che egli abbia condiviso con il suomaestro simile devozione giacché in tutta la sua opera non c’è nessun commento nédichiarazione in questo senso. Si può obiettare che sul manoscritto, che contiene latraduzione francese di Laurent de Premierfait del De casibus di Boccaccio, c’è una simpatica miniatura quattrocentesca che rappresenta il Certaldese davanti all’imma-gine della città decaduta in corrispondenza con il contenuto del capitolo xvii del li-bro (Fig. 5). Ma è pur sempre troppo poco e comunque si tratta di una allegoria. Bendiversa è la potenza immaginativa dell’Aretino. Nella lettera a Giovanni Colonna ècome se egli avesse davanti a sé la visione di colonne e di edifici diroccati che torna-no ad erigersi, della vita che torna a pulsare nelle vie dell’Urbe, con i protagonisti econ lo spirito di allora. Petrarca riesce a leggere le rovine come leggeva i manoscrittisuperstiti degli autori latini a lui tanto cari. E non ci vede soltanto la storia passata maanche quella futura, nonché l’attuale. Boccaccio, invece, si limita a ricostruirne la sto-ria. È indubbio che Boccaccio non è capace di simili visioni e che per lui Roma nonpossiede la stessa carica simbolica.1 Contrariamente al suo maestro, Boccaccio pro-babilmente ritiene che la virtus romana possa rinascere anche altrove, ad es. a Firenze.

Per entrambi l’immagine della città deriva dalla frequentazione di opere che ricor-dano la sua storia e celebrano le gesta dei suoi cittadini più famosi. E ovviamente èun’immagine letteraria, libresca.2 Ma Petrarca, a differenza del suo discepolo, infon-

1 Si legga, ad es., la descrizione della città nel Filocolo, i, 4: «Suona adunque la gran fama per l’uni-verso della mirabile virtù del possente Iddio occidentale, e in te, o alma città, o reverendissima Roma laquale igualmente a tutto il mondo ponesti il tuo signorile giogo sopra gl’indomiti colli, tu sola perma-nendone vera donna, molto più che in alcun’altra parte risuona, sì come in degno luogo della cattedra-le sedia de’ successori di Cefas. E tu di ciò dentro a te non poco ti rallegri, ricordando te essere quasi laprima prenditrice delle sante armi, però che conoscesti te in esse dovere tanto divenire valorosa, quantoper adietro in quelle di Marte pervenisti, e molto più; onde contentati che come già per l’antiche vitto-rie più volte la tua lucente fronte ti fu ornata delle belle frondi di Pennea, così di questa ultima battaglia,con le nuove armi triunfando tu vittoriosamente, meriterai d’essere ornata d’etternal corona, e, dopo ilunghi affanni, la tua imagine tra le stelle onorevolemente sarà locata, tra le quali co’ tuoi antichi figliuolie padri beata ti ritroverai. E i tuoi figliuoli già per la nuova fama prendono a’ lontani templi divozione, eadomandando allo Iddio dimorante in essi i bisognevoli doni, promettono graziosi boti: i quali doni ri-cevuti, ciascuno s’ingegna d’adempiere la volontaria promissione visitandoli, ancora che sieno lontani:la qual cosa appo Iddio grandissimo merito sanza fallo t’impetra».

2 Crevatin, L’idea di Roma, cit., pp. 238-239: «tutte le passeggiate romane, tutti i viaggi a Roma ef-fettuati o solo proiettati, viaggi sfumati di un sentimento a volte esaltato, ma a volte malinconico, comese si trattasse della ricerca di un ideale sempre sfuggente, saranno ricognizioni di luoghi della memoria.E di memorie non solo e non soprattutto cristiane, dal culto delle quali la curiositas poetica, peccato ve-niale, ma irresistibile, può arrivare a distrarre. Roma è un grande libro, in cui si leggono le pagine piùgloriose della storia dell’umanità: tanto che è fortissima la tentazione di immaginare il Petrarca nell’at-to della stesura della celebre Fam., vi, 2 a Giovanni Colonna, con la rievocazione delle loro passeggiate

l’immagine di roma fra petrarca e boccaccio 97

romane, chino sulle pagine preziose del codice dei Colonna, Par. lat. 5690. Con Ditti, Floro, Livio da pocorecuperato. A favore infatti della prospettiva “libresca”, piuttosto che di quella di un semplice ripescaggiodi ricordi, gioca a parer mio il forte richiamo agli studi condotti ad Avignone, che può essere interpreta-to come allusione a quella cellula di “studi romani” là operante sotto il patrocinio dei Colonna».

Fig. 5. Boccaccio davanti a Roma (bnf, fr. 230, fol. 234v).

98 rossend arqués

de in essa una carica provvidenziale altissima, convinto che Dio ne ha disposto l’eter-nità e quindi anche la rinascita, per quanto i dati della realtà si ostinino a negarlo. Unpasso della già citata lettera al Colonna non può essere più chiaro in proposito:

Aut ego fallor aut quicquid fere qualibet parte terrarum vides, magnanime vir, proposito con-siliisque tuis adversum est. Aspice Romam, comunem patriam, matrem nostram: iacet illa et,o spectaculum indignum!, calcatur ab omnibus que omnes terras ac maria victrici quondamcalce calcavit; et siquando forsan in cubitum erecta speciem surgentis exhibuit, mox nonnisisuorum manibus impulsa relabitur. Itaque vel nil prorsus vel siquid est spei, vereor valde netotum huius etatis tempus excedat. Miserebitur fortasse, miserebitur sacram urbem. Qui suis illamsedem successoribus deputavit et quam temporale caput orbis effecerat, religionis esse voluit fundamen-tum; miserebitur aliquando, sed serius quam quo vite nostre brevitas possit extendi. Ita illic oculis tuisaut animo nil iocundum.

(Fam., xv, 7, 1, il corsivo è mio)

Questa lettera, che fa parte di un piccolo nucleo di epistole assai importanti per il te-ma di cui ci occupiamo (Fam., xv, 7-9),1 è fondamentale per intendere un nuovo orien-tamento politico che egli esprime con toni di cupo pessimismo e immagini dell’Italiae del mondo ormai prive di qualsiasi illusione. In questa sua visione politica non c’èpiù tempo né possibilità di attuare un programma; la salvezza è ormai affidata a unevento miracoloso oppure all’intervento dell’imperatore. Per questo egli indirizzadue lettere (Fam., x, 1; xii, 1) a Carlo IV, invitandolo a scendere in Italia per restaura-re la grandezza romana, riportare la pace e mettere fine alle tristi condizioni in cuiversa la Penisola. Persa definitivamente la fiducia in avventure politiche velleitarie edi dubbio valore, come l’impresa repubblicana di Cola di Rienzo (1347), nella qualetuttavia aveva intravisto uno strumento di rinnovamento profondo della società,2 lasua visione si avvicina sempre più a quella di Dante. Si compari, ad es., questa epistolacon Purg., vi, 124-125. D’altra parte l’apparente disimpegno politico quivi contenuto,con l’invito a ritirarsi tra le quattro mura domestiche e in se stessi («Tu quoque nul-lum quietis ac solatii locum toto orbe reperiens; intra cubiculi tui limen et intra te ip-sum redi.»: Fam., xv, 7, 20) sembra preludere alla scelta che in cuor suo ha già matu-rato, suscitando il disappunto e l’incredulità di tutti i suoi estimatori: il trasferimentoa Milano.

Resta intatta (o quasi) la sua fede nella capacità di risurrezione della città. Il poetasogna la Roma, e quindi l’Italia, di Cesare e di Augusto. Roma ha visto il primato ditutte le attività umane, nel diritto, nelle imprese belliche, nelle opere letterarie, ar-chitettoniche, ecc. ed è stata la dominatrice del mondo. I suoi antichi fasti non possono non ritornare. La centralità di Roma è fuori discussione. La sua visione dellastoria non si ferma, come per gli antiquari e gli storici, al semplice recupero e riconoscimento di reperti provenienti da epoche passate, ma si proietta nel futuro: èmessianica, immaginosa, poetica. L’ideale imperialistico deve (o dovrebbe) diventareuna realtà politica, culturale e spirituale, punto questo sul quale si accordano le vi-sioni politiche di Cola e Petrarca.

1 Scritte nella prima metà degli anni cinquanta.2 Al quale dedicò nel mese di giugno l’epistola Hortatoria, più tardi, la Var. 38 e l’Egloga v. Si veda

Dotti, Vita di Petrarca, cit., pp. 179-182.

l’immagine di roma fra petrarca e boccaccio 99

La prima e già importante occasione d’incontro fra Petrarca e Boccaccio sul terre-no di questo dibattito sulla classicità di sicuro fu immediatamente prima dell’incoro-nazione capitolina, nel tempo in cui il poeta si recò a Napoli per sostenere l’esame da-vanti a re Roberto d’Angiò, prima di essere laureato in Campidoglio. Questo attocelebrativo, che certamente occupa un posto centrale nella mitografia del Petrarca eche egli carica di speciali significati per la storia futura dell’umanità,1 fu da lui curatoin ogni dettaglio anche nella ricerca di sostenitori e patrocinatori. Si avvalse dell’au-torevole sostegno del cardinale Giovanni Colonna, ma soprattutto ricercò e ottenneil patrocinio del re Roberto d’Angiò sia in previsione di eventuali critiche, sia per ri-produrre interamente il modello del passato che egli riteneva si fosse realizzato nellarelazione tra potere e poesia inaugurata dall’imperatore romano Augusto. Chiamatoda re Roberto, era da poco giunto a Napoli l’amico Dionigi da Borgo San Sepolcro,che aveva conosciuto intorno al 1333 ad Avignone e da cui aveva ricevuto in dono uncodice tascabile delle Confessiones di Agostino, quello stesso che aprirà durantel’ascensione al monte Ventoso. Nella città partenopea Dionigi avrà esercitato il suomagistero anche sul Boccaccio, contribuendo così a rafforzare in lui l’entusiasmo perPetrarca; entusiasmo che era già stato acceso da Cino da Pistoia e che gli era statocontagiato da altri illustri intellettuali amici dell’Aretino come Senuccio del Bene oBarbato da Sulmona. Sicuramente Dionigi ebbe una parte molto importante nel coin-volgere il re nell’evento dell’incoronazione capitolina e nel precedente esame che Pe-trarca sostenne alla corte di Napoli. Anche Boccaccio avrà avuto però la sua parte nel-l’introdurre il poeta in quella corte in cui lui già da tempo era stato ammesso in qualitàdi amico del giovane duca Carlo di Durazzo e alla presenza delle principesse Giovan-na e Maria e dove soprattutto aveva libero accesso alla ricca biblioteca di palazzo, rettadall’enciclopedista Paolo da Perugia, autore di una Genealogia deorum2 e delle Collec-tiones, una compilazione di miti antichi. Billanovich è del parere che anche Boccaccioassistette all’esame pubblico a cui si sottomise Petrarca, «dove il mirabile candidatodisse l’elogio della poesia e dei poeti che commosse intensamente il re e tutti i pre-senti»,3 anche se la sola prova in nostro possesso è il fatto che per quella data non siadocumentata la presenza di Boccaccio a Firenze. È comunque ormai assodato che lacorte angioina costituì uno dei primi miti politico-culturali di Petrarca,4 per il quale ilre Roberto reincarna la figura e il ruolo di Augusto. In questo senso la storiografia glidà ragione in quanto ha riconosciuto nel re angioino l’attenzione e l’interesse per lacultura classica i cui germi erano coltivati proprio nella cerchia umanistica napoleta-na, alla quale non era estranea la presenza di Giotto che nel 1332 e 1333 aveva dipintoper la sala maggiore del palazzo gli affreschi degli Uomini illustri. Proprio negli ultimianni del soggiorno partenopeo di Boccaccio, re Roberto si rese protagonista di un

1 Fam., iv, 7, 3. Quello che lui si accingeva a sperimentare sulla sua persona, non doveva essere altroche l’anticamera di un futuro in cui tutti gli ingegni degni avrebbero potuto «cogliere l’alloro romano».

2 Cfr. T. A. Hankey, La “Genealogia Deorum” di Paolo da Perugia, in Gli Zibaldoni di Boccaccio, cit., pp.81-94.

3 G. Billanovich, Petrarca letterato, i, Lo scrittoio del Petrarca, Roma, Edizioni Storia e Letteratura,1947, p. 70. Si veda anche E. H. Wilkins, Boccaccio’s early tributes to Petrarch, «Speculum», xxxviii, 1, 1963,pp. 79-87. 4 Dotti, Vita di Petrarca, cit., p. 83.

100 rossend arqués

progetto politico-culturale di carattere umanistico,1 esemplato sulla storia della Ro-ma antica, in cui sicuramente il commento di Dionigi da Borgo di San Sepolcro ai Fat-ti e detti memorabili degli antichi funse da programma.

Il soggiorno del poeta alla corte del sovrano angioino coincise anche con un ulte-riore momento di riflessione sull’attualità della storia romana imperiale, ma anchecon una vicenda centrale del suo tentativo, sebbene andato a male, di trasferirsi in Ita-lia e di assumere in una corte importante, come poteva essere quella napoletana ret-ta da un raro prodigio dell’intelligenza e da un venerabile sacrario di cultura, il ruoloche nella Roma retta da Augusto era toccato a Virgilio. Le tracce della costruzione diquesto mito petrarchesco e del parallelo self-fashioning del poeta sono state analizza-te da Stierle, Dotti e altri.2 Di ciò sono testimonianza le due prime lettere del libro ivdelle Familiares dirette entrambe a Dionigi da Borgo San Sepolcro. Se la seconda è unaperto elogio al sovrano angioino («Quis in Italia, imo nemo quis in Europa clariorRoberto?»: Fam., iv, 2, 7), con l’intento di spianarsi la strada per l’alloro poetico, la pri-ma, anche se apparentemente lontana da questi argomenti, in realtà ci dà, come havisto acutamente Stierle,3 l’esatta rappresentazione del luogo dal quale scrive e vedequeste vicende l’Io petrarchesco: un Io che, salito su una delle montagne dalle qualisi domina tutto il mondo mediterraneo, si rivolge a un altro Io sovrano, come unmonte a un altro monte, un re a un altro re. Anche se più tardi si pentirà di questa sua(ossessiva) messa in scena, di fatto il suo interesse a diventare il poeta della corte di reRoberto è molto indicativo di un modo di agire, per alcuni incoerente e contraddit-torio, in realtà sempre fedele a un unico fine, cioè il ripristino della grandezza di Roma, anche se ciò comportava passare per Napoli, alla ricerca di un monarca, il piùvicino possibile alla figura e al ruolo di Augusto. Purtroppo, però, la morte (1343) dire Roberto spazzò via in un sol colpo tutti i suoi disegni.

È sempre stato argomento di discussione – una discussione che non sembra desti-nata a concludersi presto – il comportamento del Petrarca politico, le contraddizionitra quanto egli afferma nei suoi scritti e come opera nei fatti, l’incoerenza di certe suescelte relativamente alle vicende politiche e agli eventi più storicamente significatividella sua epoca, il rapido mutamento di opinioni su un fatto o un protagonista politi-co. C’è chi ha parlato d’incoerenza, d’eccessiva disinvoltura, chi lo ha accusato di op-portunismo e persino di voltafaccia per spiegare lo spostamento dalla fede repubbli-cana (benché mischiata con una iniziale e interessata ammirazione per il Robertod’Angiò, re di Napoli), e il suo conseguente appoggio alla rivoluzione di Cola di Rien-zo, per non parlare poi delle fiduciose speranze riposte nell’azione dell’Imperatore odi qualche Signore italiano, durante gli ultimi anni della sua vita.4 Ma questa discus-

1 C. Bologna, Un’ipotesi sulla ricezione del De vulgari eloquentia: il codice Berlinese, in La cultura vol-gare padovana nell’età del Petrarca, a cura di F. Brugnolo e Z. L. Verlato, Padova, Il Poligrafo, 2006, pp. 205-256: p. 233. Si veda anche M. T. Casella, Tra Boccaccio e Petrarca. I volgarizzamenti di Tito Livio e di Vale-rio Massimo, Padova, Antenore, 1982, pp. 41-129.

2 Stierle, La vita e i tempi di Petrarca, cit., pp. 332-334; U. Dotti, Petrarca civile. Alle origini dell’intel-lettuale moderno, Roma, Donzelli, 2001, pp. 29-40; Bologna, Un’ipotesi sulla ricezione del De vulgari elo-quentia, cit. 3 Stierle, La vita e i tempi di Petrarca, cit., p. 336.

4 Una interessantissima sintesi è nel recente libro di G. Baldassarri, Unum in locum. Strategie ma-crotestuali nel Petrarca politico, Milano, led, 2006, pp. 13-28.

l’immagine di roma fra petrarca e boccaccio 101

sione forse non avrebbe ragione d’essere se la questione venisse esaminata secondoun’altra ottica, meno superficiale e comunque scevra dai giudizi morali. Petrarca èstato fedele e coerente durante tutto il suo percorso umano e letterario all’idea che lasede dell’Impero e del Papato non possa che essere Roma («Si imperium romanumRoma non est, ubi, queso, est?»).1 È quindi necessariamente contrario a ogni propo-sta di translatio imperii, mentre sostiene la restaurazione della virtus romana da qual-siasi parte avvenga, e appoggia chiunque sembri in grado di attuarla, sia esso Rober-to d’Angiò, Cola di Rienzo, Carlo IV o il papa. Mai egli ha abbandonato la fermaconvinzione che Roma sia – e deve comunque continuare ad essere – un principio ca-pace di esercitare il potere sugli uomini di ogni nazione e di ogni epoca, un modellopolitico e umano universale. Questo è il fondamento su cui si reggono le sue idee e ilsuo agire politico e che ne determina la coerenza, al di là delle sue contraddizioni edella sua ‘transmutabilità’.

Di fatto, però, la decisione del Petrarca di trasferirsi nella Milano viscontea2 susci-tò un vespaio di critiche da parte dei suoi amici e discepoli fiorentini (Nelli, Zanobi,Aghinolfi, Socrate, Gano del Colle, Simonide), che, tuttavia, tentarono di spiegarse-ne le ragioni: per alcuni era solo un gesto d’inspiegabile leggerezza, per altri un chia-ro cedimento alle offerte del potente, secondo altri ancora un’indignata reazione aimaldestri tentativi che la Signoria fiorentina aveva fatto per convincerlo a fissare la suadimora a Firenze. «Quod hoc malum?» – scrive il Boccaccio nella sua famosa lettera(Epist., x) al maestro – «que furia? quis deus ille mentem induit novam? quis veterem abstu-lit?». La notizia della sua decisione di trasferirsi a Milano rimbalzò da un amico all’al-tro dal momento in cui il poeta la comunicò a Zanobi di Strada (Var., 7). FrancescoNelli (Simonide), che sicuramente aveva avuto la lettera da Zanobi, la mostrò a suavolta al Boccaccio, il quale in preda a una furia incontenibile gli scrisse immediata-mente un’epistola molto ostile in cui in chiave allegorica (anche per eludere le possi-bili spie), lo accusa di doppiezza: da una parte c’è «Silvano» cioè Petrarca stesso, uo-mo solitario e geloso della propria indipendenza e libertà, dall’altra, l’altro «Silvano»,«un tertius vir», «amicus tuus», il suo doppio, che accetta di diventare cortigiano allacorte di un signore, che pur aveva definito «tiranno». Gli ricorda inoltre che le mireespansionistiche di Giovanni Visconti l’avevano condotto due volte (nel 1351 e nel 1352)alle porte della città in cui era nato suo padre.3

In questo suo focoso tentativo di voler almeno distoglierlo dal collaborare alla cau-sa del Visconti (famiglia che non dimentichiamo, aveva assunto il rango di vicaria dinomina imperiale e si era messa a capo del partito ghibellino nella Penisola)4 se non

1 Sine nomine, 4, 7, in Francesco Petrarca, Sine Nomine, a cura di U. Dotti, Roma-Bari, Laterza,1974, p. 44.

2 Si veda la ricostruzione che ne ha fatto E. Fenzi, Ancora sulla scelta filo-viscontea di Petrarca e su alcunesue strategie testuali nelle “Familiares”, «Studi petrarcheschi», 17, 2004, pp. 61-80, e Idem, Petrarca a Milano:tempi e modi di una scelta meditata, in Petrarca e la Lombardia. Atti del Convegno di studi (Milano, 22-23 maggio2003), a cura di G. Frasso, G. Velli, M. Vitale, Padova, Antenore, 2005, pp. 221-263.

3 Dotti, Vita di Petrarca, cit., p. 283: «Non si può dimenticare che quando quel 18 luglio scrisse la suadura lettera, Boccaccio si trovava in missione presso Bernardino da Polenta proprio per difendere Firenzedalle minacce viscontee».

4 H. Baron, La crisi del primo Rinascimento italiano. Umanesimo civile e libertà repubblicana in un’età diclassicismo e di tirannide, Firenze, Sansoni, 1970, p. 16.

102 rossend arqués

dal dimorare nella sua città, Boccaccio forse non si rende conto che per il suo ammi-rato maestro e amico quella scelta, così disapprovata, è l’unica che gli consenta di con-tinuare a vivere libero e indipendente nella «quiete laboriosa» della sua dimora ac-canto a Sant’Ambrogio e, in seguito, della casetta nei pressi del monastero di SanSimpliciano, dandogli nello stesso tempo la possibilità di esercitare la propria in-fluenza sugli orientamenti della Signoria; cioè, da un lato, di immergersi in un inten-so lavoro di scrittura (dalla continuazione del De remedis utriusque fortunae, del De otioreligioso oppure del De vita solitaria alla terza redazione del Canzoniere, all’Itinerariumsyriacum e alla rielaborazione del Secretum, tutti esempi non esaustivi della sua estesaproduzione letteraria e intellettuale) e, dall’altro, di partecipare a ambascerie pressol’imperatore e a missioni diplomatiche.1 Ma c’è anche dell’altro, che ha a che fare conle diverse e contrapposte concezioni politiche e quindi con le diverse letture dell’an-tichità romana da parte dei diversi umanisti del Trecento. Petrarca, per quel che sap-piamo, non risponde alle critiche del Boccaccio, ma «le sue risposte a Zanobi, a Gio-vanni Aghinolfi, al Nelli ci informano sufficientemente del tenore, pacato e suadentee sottilmente ironico, e degli argomenti che allora o subito dopo pacificarono il Boc-caccio».2 E anche la Seniles, vi, 2 ha tutta l’aria di essere una risposta, seppur ritarda-ta, ed è comunque spia che il loro contrasto sulla questione era ancora allo stesso pun-to (siamo nel 1366):

Animadverti ex literis tuis ad amicum missis te valde solicitum mei esse super negotio liber-tatis. Gratus michi, fateor, hic animus tuus sed non novus. Pone autem metum hunc et per-suade tibi me hactenus, dum durissimo etiam iugo subditus viderer, liberrimum semper ho-minum et fuisse adderem et futurum esse siqua futuri notitia certa esset. Nitar tamen, et sperofore ne discam servire senex utque ubilibet animo liber sim, etsi corpore rebusque aliis subes-se maioribus sit necesse, sive uni ut ego, sive multis ut tu. Quod nescio an gravius molestiu-sque iugi genus dixerim. Pati hominem credo facilius quam tyrannum populum.

(Seniles, vi, 2)

E forse non poteva essere che così, giacché quel loro contrasto, visto da una prospet-tiva storica, aveva dato il via all’insaputa, o quasi, dei suoi stessi attori, alla contrap-posizione fra i sostenitori della tirannia e i fautori della libertas oligarchica.3 E non è

1 Petrarca si stabilì nella Milano viscontea fin dalla metà del 1353, e vi rimase fino al 1361, senza uncompito preciso, ma con la certezza che la sua libertà sarebbe stata rispettata. Milano era governata dall’arcivescovo Giovanni Visconti, al quale succedettero nel 1354 i suoi nipoti Matteo, Galeazzo e Ber-nabò. Questi approfittarono del suo prestigio intellettuale per inviarlo in diverse missioni diplomatichea Venezia, dove incontra il doge, a Basilea, successivamente a Praga per intercedere presso l’imperatoreCarlo IV, che aveva già conosciuto a Mantova nel 1354 e che era stato destinatario di diverse sue epistole(Fam., x, 1; xii, 1; xviii, 1; xix, 1), e infine a Parigi per porgere a Giovanni II di Francia le felicitazioni diGaleazzo Visconti per la sua liberazione.

2 In Billanovich, Petrarca letterato, cit., p. 185.3 Baron, op. cit., p. 60: «In termini generali possiamo addirittura affermare che, nel corso del Tre-

cento, ci fu una recrudescenza della tendenza a sostenere l’ideale di un impero universale pacificatore,poiché il bisogno di un giudice e di un signore supremo sembrava dimostrato dalle agitate vicende di unsecolo in cui gli stati minori dell’Italia stavano affrontando una lotta sempre più disperata per la soprav-vivenza, mentre la tirannide rinascimentale cominciava a mostrare i vantaggi di un’estesa monarchia inconfronto alla libertà degli stati-città repubblicani».

l’immagine di roma fra petrarca e boccaccio 103

un caso che proprio durante il soggiorno milanese Petrarca concluda la silloge di epistole conosciuta con il titolo di Sine nomine, la più politica di tutte le sue raccolte.Nell’epistola 17 si evince una chiara presa di posizione a favore di quello che potrem-mo definire il ‘ghibellismo’ che ha come ipotesto, tra l’altro, la Monarchia di Dante1 ealtri momenti del pensiero politico dantesco. Quella posizione pro-imperiale che tan-to aveva inorridito il Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante:

cacciato, come mostrato è, non da’ ghibellini ma da’ guelfi, e veggendo sé non potere ritor-nare, in tanto mutò l’animo, che niuno più fiero ghibellino e a’ guelfi avversario fu come lui;e quello di che io più mi vergogno in servigio della sua memoria è che publichissima cosa è inRomagna, lui ogni feminella, ogni piccol fanciullo ragionante di parte e dannante la ghibelli-na, l’avrebbe a tanta insania mosso, che a gittare le pietre l’avrebbe condotto, non avendo ta-ciuto. E con questa animosità si visse infino alla morte.2

Sarà ora il punto di partenza della difesa del ghibellismo e dell’imperatore e corri-spettivamente della sua polemica antiavignonese e antioligarchica. Dal punto di vistadella condanna dantesca della Donazione di Costantino in Monarchia (iii, 10) e in Inferno (xix, 115-117; xxvii, 94-95):

Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,non la tua conversion, ma quella doteche da te prese il primo ricco patre!

(Inf., xix, 115-117)

È più facile capire il paragrafo della citata Sine nomine 17, in cui Petrarca identifica nellaDonazione la causa primigenia della corruzione e del degrado umano e sociale, inparticolare della Chiesa, in quanto da quel dono è derivata la confusione tra cura del-le cose spirituali e cura delle cose terrene in cui si trovavano i Pontefici, cioè i vicaridi Dio in terra. E di esempi di pretesti mondani camuffati di imprese per la salva-guardia della fede, Petrarca ne ha accumulato fin troppi (uno per tanti, la crociata bandita da Giovanni XXII contro i Visconti, bollati come stregoni, che aveva colpitoMilano nel 1323).

Anche se Petrarca sa che non c’è lo spazio né il terreno adeguato per poter idealiz-zare l’imperatore e tanto meno il Signore, continua tuttavia a proiettare le loro figu-re sullo sfondo ideale della storia romana, l’unico modello compiuto e vincente alquale ci si possa richiamare. La succitata epistola al Boccaccio (Seniles, vi, 2) non po-trebbe essere in questo senso più chiara. Deluso dal Papato e dall’Impero, diffidente

1 Baldassari, op. cit., capp. i-iii. Per la mediazione boccacciana fra Dante e Petrarca si veda ivi, pp.87-120; E. Pasquini, Dantismo petrarchesco. Ancora su Fam. xxi 15 e dintorni, in Motivi e forme delle Familia-ri di Francesco Petrarca, Gargnano del Garda (2-5 ottobre 2002), a cura di C. Berra, Milano, Cisalpino, 2003,pp. 21-38. Per quanto riguarda invece la mediazione di Dionigi da Borgo San Sepolcro invece, si veda prin-cipalmente Bologna, Un’ipotesi sulla ricezione del De vulgari eloquentia, cit., pp. 225-236.

2 Citato in Baldassarri, op. cit., pp. 102-107, che scrive (p. 105) che nella Sine nomine, 17 «Petrarca fa dunque proprie alcune tesi fondamentali del pensiero politico dantesco: non solo la riduzione […] delpotere papale e la contestazione (esplicita) della donatio, vista quale origine del dominio temporale dellaChiesa e del suo tralignamento, ma naturalmente, in primo luogo, l’affermazione in punta di fatto primache di teoria, di Roma come unica sede dei due poteri universali».

104 rossend arqués

verso il potere popolare, convinto (come il Salutati del De tyranno) che molte volte lanecessità obbliga a scegliere il male minore o comunque rimedi poco ortodossi, egligiunge a considerare il potere tirannico come l’unico cammino per il raggiungimen-to della concordia civile e politica, e a guardare alla Signoria come l’unico mezzo concui superare le lotte fratricide che impedivano la pace e il ripristino dell’antica gloriaitalica. Animato da questi propositi, non si rivolge a uno qualsiasi dei tanti signorotti,ma a quelli che anche Dante, nella sua disperata ricerca di pace e di progresso avevapensato potessero mettere fine alla guerra e alla distruzione, cioè i signori di Milano,non solo per l’importanza politica, economica e strategica dello stato che essi reggo-no, ma in quanto hanno rappresentato, anche in tempi recenti, una resistenza ‘ghi-bellina’ agli attacchi della Chiesa.

La posizione di Boccaccio non era sicuramente così articolata e complessa. Egliaveva reagito con veemenza alla decisione del Petrarca soprattutto perché, come rap-presentante del governo fiorentino, temeva l’accerchiamento delle forze viscontee,che soprattutto ai tempi di Gian Galeazzo avevano minacciato la sua città. Egli valu-ta il comportamento dell’amico con l’ottica essenzialmente del politico fattuale. Nonne condivide le visioni di restaurazione della virtus romana, per quanto anche la fon-dazione di Firenze si facesse risalire ai tempi di Roma imperiale. Come buon disce-polo di Petrarca, si era votato alle humanae litterae dedicando dei repertori eruditi al-le divinità classiche, alle illustri figure femminili di tutti i tempi, ai personaggi storicio leggendari perseguitati dalla fortuna, e alle descrizioni geografiche (Genealogiae Deo-rum gentilium, De mulieribus claris, De casibus virorum illustrium, De montibus, silvis, fon-tibus, ecc.). Così la storia di Roma (e anche quella della Grecia antica) è ben presentenella sua opera. Ne sono un esempio i versi dell’Amorosa visione in cui troviamoun’esaltazione entusiastica della figura di Cesare (x, 34-42), modello di eroe che cam-peggerà pure in tanti altri libri fino a incarnarsi nei nobili protagonisti del Filocolo onel guerriero magnificato del Ninfale fiesolano oppure nell’Esposizione sopra il Dante.Ma per quel che se ne può dedurre, quella di Boccaccio è comunque una ricognizio-ne storica, anche perché la storiografia fiorentina all’epoca non aveva ancora creato isuoi miti repubblicani fondazionali. Soltanto nel 1401, nei Dialogi, Bruni riconoscel’importanza storica della fase repubblicana e nel contempo dà il via al ridimensiona-mento della fase imperiale, facendola coincidere con il periodo della rovina e della decadenza. Si dà spazio a una nuova interpretazione storica dell’opposizione fra la Ro-ma repubblicana e quella dei Cesari, che ha un riferimento attuale nella contrapposi-zione tra guelfi e ghibellini e vede nel trionfo dell’Impero la distruzione della virtus ro-mana nata in epoca repubblicana. Nei testi in difesa delle libertà popolari e in quellipro impero o pro tirannide si delineano dunque due diversi tipi di tradizioni che fan-no riferimento a due modelli politici romani: la res publica e l’imperium. Seguendo laprima, si tenterà di creare il mito della Firenze popolare facendolo risalire all’originedella città in epoca repubblicana. Per la seconda, invece, ogni potere monarchico (siaesso imperiale o tirannico) aveva come presupposto l’Impero romano. Questa è in termini piuttosto schematici la realtà della politica italiana negli anni di cui ci occu-piamo; per quanto, qualche anno più tardi, Coluccio Salutati, che con l’Invectiva in Antonium Luschum (1400) aveva scritto un pamphlet in difesa della libertà civile fiorentina, con il successivo De tyranno, facendo sua una tesi che ricava dal De gestis

l’immagine di roma fra petrarca e boccaccio 105

Cesaris di Petrarca,1 dimostrerà che in certi momenti di crisi repubblicana la monar-chia diventa necessaria, così come era successo al tempo di Cesare.

Il conflitto tra maestro e discepolo ubbidisce soprattutto a questioni di opportuni-tà politica e alle ragioni di diverse posizioni politiche (ghibellismo vs guelfismo) e nontanto a quelle di una storiografia politica diversa. Sicuramente il contrasto fra il mae-stro e i suoi discepoli toscani si risolse grazie ovviamente al rispetto e alla deferenzache essi hanno per l’autorità e la superiorità del suo ingegno, mentre da parte sua ilPetrarca impiegò tutta la diplomatica temperanza di cui era capace per smussarlo.Tant’è che il Boccaccio andò a rendergli visita a Milano, dove presumibilmente avràpotuto leggere il codice di Plinio il Vecchio. Ci piace immaginarli entrambi chini sulfoglio nel quale l’erudito latino aveva fissato la descrizione dell’Urbe, intenti a lorovolta a ricavarne la loro personale immagine: «sola mirabilis toto orbo terrarum» peril maestro, non altrettanto per il discepolo, nel cui cuore il caput mundi rivaleggiava si-curamente con la città del Fiore.

Bibliografia

M. Accame Lanzillotta, E. Dell’Oro (a cura di), I “Mirabilia urbis Romae”, Tivoli, Tored, 2004.G. Agamben, Stanze, Torino, Einaudi, 1977.M. L. Arduini, Ugo da san Vittore e il problema della storia: il Didascalicon. De studio legendi,

ovvero i criteri per la metodologia della ricerca storica, «Aevum», lxxiii, 1999, pp. 305-336.R. Arqués, Per umbram fons ruit. Petrarca in Elicona. Paesaggio e Umanesimo, «Quaderns d’Ita-

lià», 11, 2006, pp. 245-272.G. Baldassarri, Unum in locum. Strategie macrotestuali nel Petrarca politico, Milano, led, 2006,

pp. 13-28.H. Baron, La crisi del primo Rinascimento italiano. Umanesimo civile e libertà repubblicana in un’età

di classicismo e di Tirannide, Firenze, Sansoni, 1970.E. Baumgartner, L. Harf-Lancner (a cura di), Entre fiction et histoire: Troie et Rome au Moyen Âge,

Paris, Presses de la Sorbonne Nouvelle, 1997.M. Baxandall, Giotto and the Orators, Oxford, Oxford University Press, 1971; trad. fr. Les

humanistes a la découverte de la composition en peinture 1340-1450, Paris, Seuil, 1989.Ch. C. Bayley, Petrarch, Charles IV and the “Renovatio Imperii”, «Speculum», xvii, 2, 1942, pp.

323-341.M. C. Bertolani, Dall’immagine all’icona, «Quaderns d’Italià», 11, 2006, pp. 183-201.M. C. Bertolani, Petrarca e la visione dell’eterno, Bologna, il Mulino, 2005.G. Bertone, Il volto di Dio, il volto di Laura. La questione del ritratto. Petrarca: Rvf. xvi, lxxvii,

lxxviii, Genova, Il Melangolo, 2008.M. Bettettini, Figure di verità, Torino, Einaudi, 2004.M. Bettini, Francesco Petrarca sulle arti figurative. Tra Plinio e sant’Agostino, Livorno, Sillabe,

2002; già Idem, Tra Plinio e sant’Agostino: Francesco Petrarca sulle arti figurative, in Memoria del-l’antico nell’arte italiana, i, a cura di S. Settis, Torino, Einaudi, 1984, pp. 219-267.

G. Billanovich, Petrarca letterato, i, Lo scrittoio del Petrarca, Roma, Edizioni di Storia e Lette-ratura, 1947.

Giovanni Boccaccio, Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di M. Pastore Stocchi, Mila-no, Mondadori, 1998.

1 Baron, op. cit., pp. 168 sgg.

106 rossend arquésGiovanni Boccaccio, Esposizione sopra la Commedia di Dante, a cura di G. Padoan, Milano,

Mondadori, 1994.Giovanni Boccaccio, Filocolo, a cura di A. Quaglio, in Tutte le opere, i, a cura di V. Branca,

Milano, Mondadori, 1967, pp. 61-675.Giovanni Boccaccio, Trattatello in laude di Dante, a cura di P. G. Ricci, in Tutte le opere, iii, a

cura di V. Branca, Milano, Mondadori, 1974, pp. 440-530.C. Bologna, Un’ipotesi sulla ricezione del De vulgari eloquentia: il codice Berlinese, in La cultura

volgare padovana nell’età del Petrarca, a cura di F. Brugnolo, Z. L. Verlato, Padova, Il Poligrafo,2006, pp. 205-256.

C. Bologna, PetrArca petroso, «Critica del testo», vi, i, 2003, pp. 366-420.L. Bolzoni, La rete delle immagini, Torino, Einaudi, 2002.L. Bolzoni, La stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici nell’età della stampa, Torino,

Einaudi, 1995.V. Branca (a cura di), Boccaccio visualizzato: narrare per parole e per immagini fra Medioevo e

Rinascimento, Torino, Einaudi, 1999.J. Brink, Simone Martini, Francesco Petrarca and the Humanistic Program of the Virgil Frontispiece,

«Medievalia», 3, 1977, pp. 83-117.M. Brusatin, Storia delle immagini, Torino, Einaudi, 1995.M. T. Casella, Tra Boccaccio e Petrarca. I volgarizzamenti di Tito Livio e di Valerio Massimo, Pa-

dova, Antenore, 1982, pp. 41-129.L. Chiovenda, Die Zeichnungen Petrarcas, «Archivum Romanicum», xvii, 1933, pp. 1-61.M. G. Ciardi Dupré dal Poggetto, Boccaccio “visualizzato” dal Boccaccio, i, Il corpus dei

disegni e cod. Parigino It. 482, «Studi sul Boccaccio», xxii, 1994, pp. 197-225.M. Ciccuto, Petrarca e le arti: l’occhio della mente fra i segni del mondo, in Petrarca, la medicina, le

scienze, numero speciale di «Quaderns d’Italià», 11, 2006, pp. 203-221.M. Ciccuto, Petrarca, i Colonna e il Livio “romano”, in Petrarca e Roma. Atti del convegno di studi

(Roma, 2-3-4 dicembre 2004), a cura di M. G. Blasio, A. Marisi, F. Niutta, Roma, Roma nel Ri-nascimento, 2006, pp. 113-123.

M. Ciccuto, Immagini per i testi di Boccaccio: percorsi e affinità dagli Zibaldoni al Decameron, inGli Zibaldoni di Boccaccio. Memoria, scrittura, riscrittura. Atti del seminario internazionale di Firenze-Certaldo (26-28 aprile 1996), a cura di M. Picone e C. Cazalé Bérard, Firenze, Cesati,1998, pp. 141-159.

M. Ciccuto, Figure di Petrarca. Giotto, Simone Martini, Franco bolognese, Napoli, Federico & Ardia, 1991.

G. Contini, Petrarca e le arti liberali, in Francesco Petrarca citizen of the world, a cura di A. S. Ber-nardo, Padova-Albany, 1980, pp. 115-131.

G. Crevatin, Leggere Tito Livio: Nicola Trevet, Landolfo Colonna, Francesco Petrarca, «Incontritriestini di filologia classica», 6, 2006-2007, pp. 67-79.

G. Crevatin, Francesco Petrarca. Il mito di Roma e la rinascita della storiografia, in Das alte Romund die neue Zeit. La Roma antica e la prima età moderna, a cura di M. Disselkamp, P. Ihring,F. Wolfzettel, Tübingen, Narr Francke Attempto, 2006, pp. 7-21.

G. Crevatin, M. Ciccuto, Ab urbe condita. Il Tito Livio della Bibliothèque nationale di Parigi (Par.lat. 5690), «Alumina», xii, 2006, pp. 18-23.

G. Crevatin, Roma aeterna, in Petrarca e Agostino, a cura di R. Cardini e D. Coppini, Roma,Bulzoni, 2004, pp. 131-151.

G. Crevatin, L’idea di Roma, in Motivi e forme delle Familiari di Francesco Petrarca. Atti del Convegno di Gargnano del Garda (2-5 ottobre 2002), a cura di C. Berra, Milano, Cisalpino, 2003,pp. 229-247.

l’immagine di roma fra petrarca e boccaccio 107J. C. D’Amico, Le mythe impérial et l’allégorie de Rome. Entre Saint-Empire, Papauté et Commune,

Caen, Presses Universitaires de Caen, 2009.M. M. Donato, Simone Martini: un pittore “in paradiso”, fra potenti e poeti, in Artifex bonus. Il

mondo dell’artista medievale, a cura di E. Castelnuovo, Roma-Bari, Laterza, 2004, pp. 157-167.M. M. Donato, “Veteres” e “novi”, “externi” e “nostri”. Gli artisti di Petrarca: per una rilettura, in

Medioevo: immagine e racconto. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Parma, 27-30 settembre2000), a cura di A. C. Quintavalle, Milano, Electa, 2003, pp. 433-455.

U. Dotti, Vita di Petrarca, Roma-Bari, Laterza, 2004.U. Dotti, Petrarca civile. Alle origini dell’intellettuale moderno, Roma, Donzelli, 2001.E. Fenzi, Petrarca a Milano: tempi e modi di una scelta meditata in Petrarca e la Lombardia. Atti del

Convegno di studi (Milano, 22-23 maggio 2003), a cura di G. Frasso, G. Velli, M. Vitale, Padova,Antenore, 2005, pp. 221-263.

E. Fenzi, Ancora sulla scelta filo-viscontea di Petrarca e su alcune sue strategie testuali nelle “Fami-liares”, «Studi petrarcheschi», 17, 2004, pp. 61-80.

M. Feo, Le cipolle di Certaldo e il disegno di Valchiusa, Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, 2004,estratto da Petrarca nel tempo. Tradizione lettori e immagini delle opere, a cura di M. Feo, Pon-tedera, Bandecchi & Vivaldi, 2003, pp. 499-512.

M. Fiorilla, Marginalia figurati nei codici di Petrarca, Firenze, Olschki, 2005.Marc Fumaroli, Rome dans l’imagination et la mémoire de l’Europe, «Lettere italiane», xlviii, 3,

1996, pp. 345-359.E. Garin, Il rinascimento italiano, Bologna, Cappelli, 1980.A. Graf, Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio Evo, Torino, Loescher, 1915.F. Gregorovius, Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter, Stuttgart, Cotta, 1886-18964; trad. it.

Storia della città di Roma nel medioevo, Torino, Einaudi, 1973.T. A. Hankey, La “Genealogia Deorum” di Paolo da Perugia, in Gli Zibaldoni di Boccaccio. Memo-

ria, scrittura, riscrittura. Atti del seminario internazionale di Firenze-Certaldo (26-28 aprile 1996),a cura di M. Picone e C. Cazalé Bérard, Firenze, Cesati, 1998, pp. 81-94.

Chr. Huelsen, Le chiese di Roma nel Medio Evo, Firenze, Olschki, 1927; repr. Hildesheim, Olms,1975, consultabile online sul sito LacusCurtius: http://penelope.uchicago.edu/Thayer/I/Gazetteer/Places/Europe/Italy/Lazio/Roma/Rome/churches/_Texts/Huelsen/HUE-CHI*/home.html.

R. Krautheimer, Rome: Profile of a City, 312-1308, Princeton, Princeton University Press, 2000.N. Longo, Petrarca: Geografia e letteratura. Da Arezzo ad Arquà, da Parigi a Praga, passando per

Roma, Roma, Salerno Editrice, 2007.S. Maddalo, Figura Romae. Immagini di Roma nel libro medievale, Roma, Viella, 1990.N. Mann, Pétrarque: Les voyages de l’esprit, Grenoble, Millon, 2004.A. Martindale, Simone Martini, Oxford, Phaidon, 1998.V. Massena d’Essling, E. Muntz, Pétrarque; ses études d’art; son influence sur les artistes; ses

portraits et ceux de Laure; l’illustration de ses écrits, Paris, Gazette des Beaux-Arts, 1902.M. Miglio, Scritture, scrittori e storia, i, Per la storia del Trecento a Roma, Manziana (rm), Vec-

chiarelli, 1991.M. Meiss, French painting in the time of Jean de Berry. The late xiv century and the patronage of the

Duke, London, Phaidon, 1967, 19692.G. Morello, Disegni marginali nei manoscritti di Giovanni Boccaccio, in Gli Zibaldoni di Boccac-

cio. Memoria, scrittura, riscrittura. Atti del seminario internazionale di Firenze-Certaldo (26-28aprile 1996), a cura di M. Picone e C. Cazalé Bérard, Firenze, Cesati, 1998, pp. 161-177.

Chr. Neumeister, Roma antica. Guida letteraria della città, ed. it. a cura di C. Salone, Roma,Salerno Editrice, 1993.

108 rossend arqués

E. Pasquini, Dantismo petrachesco. Ancora su Fam. xxi 15 e dintorni, in Motivi e forme delle Fami-liari di Francesco Petrarca, Gargnano del Garda (2-5 ottobre 2002), a cura di C. Berra, Milano, Ci-salpino, 2003, pp. 21-38.

M. Petoletti, “Nota valde et commenda hoc exemplum”: il colloquio con i testi nella Roma del pri-mo Trecento, in Talking to the Text: Marginalia from Papyri to Print. Proceedings of a Conferenceheld at Erice, 26 september-3 october 1998, a cura di V. Fera, G. Ferraù, S. Rizzo, Messina, 2002,pp. 361-399.

Francesco Petrarca, Secretum, a cura di E. Fenzi, Milano, Mursia, 1992.Francesco Petrarca, Epistole, a cura di U. Dotti, Torino, utet, 1978.Francesco Petrarca, Familiari, in Opere, i, a cura di M. Martelli, Firenze, Sansoni, 1975, pp.

239-1321.Francesco Petrarca, Sine nomine, a cura di U. Dotti, Roma-Bari, Laterza, 1974.Plinio il Vecchio, Naturalis historia, ed. diretta da G. B. Conte, 5 voll., Torino, Einaudi, 1983-

1988.G. Powitz, Textus cum commento, «Codices manuscripti», v, 1979, pp. 80-89.F. Rico, Boccaccio e Petrarca, “De vallibus clausis, montibus, silvis et fluminibus”, in Gli antichi e i

moderni. Studi in onore di Roberto Cardini, Firenze, Polistampa, 2009, vol. ii, pp. 1181-1194.N. Robinjtje Miedema, Die Mirabilia Romae: Untersuchungen zu ihrer Überlieferung mit Edition

der deutschen und niederländischen Texte, Tübingen, Niemeyer, 1996.N. Robinjtje Miedema, Die römischen Kirchen im Spätmittelalter nach den Indulgentiae ecclesia-

rum urbis Romae, Tübingen, Niemeyer, 2001.J. Root Hulbert, Some Medieval Advertisements of Rome, «Modern Philology», 20, 1922-1923,

pp. 403-424.F. Saxl, La storia delle immagini, Roma-Bari, Laterza, 1990.A. Schmitt, Zur Wiederbelebung der Antike im Trecento. Petrarcas Rom-Idee in ihrer Wirkung auf

die Paduaner Malerei: Die methodische Einbeziehung des römischen Münzbildnisses in die Ikono-graphie “Berühmter Männer”, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institut in Florenz», 18,1974, pp. 167-218.

K. Stierle, Francesco Petrarca. Ein Intellektueller im Europa des 14. Jahrhunderts, München-Wien,Carl Hanser Verlag, 2003, trad. it. La vita e i tempi di Petrarca. Alle origini della moderna coscienza europea, a cura di G. Belloni, Venezia, Marsilio, 2007.

Hugonis de sancto Victore, Eruditionis didascalicae libri vii, in Patrologia Latina, clxxvi, Pa-rigi, 1854 (repr. Turnhout Brepols, 1976).

W. Tatarkiewicz, Storia dell’estetica, ii, L’estetica medievale, Torino, Einaudi, 1970.Tito Livio, Ab urbe condita, trad. it. Storia di Roma dalla sua fondazione, introduzione e note di

C. Moreschini, trad. di C. Scandola, 13 voll., Milano, Rizzoli, 1994).E. H. Wilkins, Boccaccio’s early tributes to Petrarch, «Speculum», xxxviii, 1, 1963, pp. 79-87.P. Zumthor, La mesure du monde. Représentation de l’espace au Moyen Âge, Paris, Seuil, 1993.

Redazione, amministrazione e abbonamentiFabrizio Serra editore®

Casella postale n. 1, Succursale n. 8, i 56123 Pisa,tel. +39 050 542332, fax +39 050 574888, [email protected]

www.libraweb.net

Abbonamenti · SubscriptionsI prezzi ufficiali di abbonamento cartaceo e/o Online sono consultabili

presso il sito Internet della casa editrice www.libraweb.net.Print and/or Online official subscription rates are available

at Publisher’s website www.libraweb.net.I pagamenti possono essere effettuati tramite versamento su c.c.p. n. 17154550

o tramite carta di credito (American Express, Eurocard, Mastercard, Visa)

Uffici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28, i 56127 Pisa, [email protected] di Roma: Via Carlo Emanuele I 48, i 00185 Roma, [email protected]

*Autorizzazione del Tribunale di Pisa n. 20 del 26 · 11 · 2003

Direttore responsabile: Fabrizio Serra

*Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento anche parziale

o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresila copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc.

senza la preventiva autorizzazione della Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma.Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge

*Proprietà riservata · All rights reserved

© Copyright 2010 by Fabrizio Serra editore®, Pisa · RomaStampato in Italia · Printed in Italy

*issn 1724-613x

issn elettronico 1824-4602isbn 978-88-6227-362-6

SOMMARIO

Michèle Mattusch, Sylvia Setzkorn, Einführung 11

Angelika Corbineau-Hoffmann, Unsichtbare Städte, unsichtbare Bilder? DasBildpotenzial der Literatur zwischen Evokation und Imagination oder: Calvino imKontext 15

Mira Mocan, Il Teatro della Mente. Immaginazione creatrice e immagini dipintenel Medioevo: l’«esegesi visiva» della Scuola di San Vittore 37

Cornelia Klettke, Paradiesmystik im Grenzbereich des Nicht-Darstellbaren. Par.,xxx: Dantes Wortgemälde und Botticellis Zeichnung. Analyse eines Medienwechsels 55

Rossend Arqués, L’immagine di Roma fra Petrarca e Boccaccio 85

Eduard Vilella, In ogni maniera che amore comanda: immagini nella Tavola Ri-tonda 109

Corrado Bologna, Il teatro della mente. Immaginazione creatrice e immagini di-pinte fra Medioevo e Rinascimento 125

Rafael Arnold, Die Grenzen des Dar- und Vorstellbaren. Bild und Text in derHypnerotomachia Poliphili 139

Barbara Kuhn, Ekphrasis und Ikonoklasmus. Von der Macht erzählter Bilder inAndrea Stagis Amazonida (1503) 157

Michèle Mattusch, Zwischen Wahrnehmen, Imaginieren und Deuten. Illusion undImagination in Ariosts Orlando furioso 175

Nadia Cannata, «Son come i cigni, anche i poeti rari»: l’immagine della poesia fraUmanesimo volgare e tradizione greco-latina 197

Marcello Ciccuto, Fondamenti d’arte per la poesia del Novecento 213

Nicola Gaedicke, Epiphanie und Präsenz. Gabriele d’Annunzios Roman Il fuoco 223

Roberto Ubbidiente, Evocazione e immaginazione nell’‘officina’ deamicisiana 239

Gianni Venturi, Giorgio Bassani e l’ermeneutica del vedere. Nuove ipotesi 255

Gherado Ugolini, L’universo narrativo-visuale di Dino Buzzati 285

Sylvia Setzkorn, Überraschende Bildmomente in Italo Calvinos Metaroman 303

Brigitte Heymann, Die Dame mit dem Hermelin oder dreitausend Wörter für einBild. Ecos Geschichte der Schönheit 321