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La peste di Giustiniano (seconda parte) L’influenza dell’epidemia sulla formazione dell’Impero Islamico The Justinian plague (part two) Influence of the epidemic on the rise of the Islamic Empire Sergio Sabbatani 1 , Roberto Manfredi 1 , Sirio Fiorino 2 1 U.O. Malattie Infettive Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna, Italy; 2 U.O. di Medicina Interna Ospedale Civile di Budrio, Bologna, Italy n PREMESSA I n un nostro precedente lavoro abbiamo riper- corso le vicende collegate alla comparsa, nel 541 d.C., della peste che per circa 230 anni, fi- no al 767 d.C., con numerose puntate epidemi- che interrotte da remissioni, stimate tra i 10 e i 15 anni, flagellò i paesi che si affacciano sul Me- diterraneo [1]. Nel nostro precedente articolo abbiamo descrit- to i collegamenti e le implicazioni che l’epide- mia rese manifeste, in particolare ponendole in relazione alle operazioni militari che le legioni dell’Impero Romano d’Oriente svilupparono verso occidente contro le nazioni dei Vandali e dei Goti, rispettivamente sulla costa africana e in Italia, e nel vicino oriente (Siria, Mesopota- mia e Anatolia) per contrastare l’aggressività dell’esercito persiano nel periodo storico tra il 540 e il 630 d.C. circa. La peste di Giustiniano, denominata così per- ché esordita durante il regno di questo impor- tante imperatore, venne narrata fedelmente da Procopio e grazie a questa fondamentale testi- monianza, è possibile delinearne un quadro sufficientemente completo [2, 3]. Sul piano del- le implicazioni politiche la peste, scoppiata in Egitto e diffusasi rapidamente verso Costanti- nopoli e in tutto il Mediterraneo, finì per influi- re negativamente sulle motivate aspirazioni di rifondazione territoriale dell’Impero Romano che, ricordiamo, ad occidente era crollato nella seconda parte del V secolo, dopo una lunga agonia, a seguito delle invasioni barbariche. A causa del grave impatto demografico ed eco- nomico, l’epidemia impedì di fatto che nel cor- so del sesto secolo le conquiste bizantine, otte- nute a spese dei Vandali, in Nord Africa, e dei Goti, in Italia, si consolidassero. In oriente inve- ce l’epidemia influì diversamente sulle vicende militari, costringendo i contendenti alla sospen- sione del conflitto per alcuni anni. Il dissangua- mento degli eserciti, secondario alla diffusione della peste tra i quadri militari, e il venir meno, in particolare nell’Impero Bizantino, del prelie- vo fiscale quale diretta conseguenza del crollo demografico, furono le cause che portarono all’interruzione delle attività belliche [4]. Nel VII secolo la peste continuò ad imperversa- re in Medio Oriente; le vicende collegate alla prima espansione arabo-musulmana, a partire dal 622, furono segnate sensibilmente dall’av- vento dell’epidemia. È interessante premettere, già in questa introduzione, che l’impatto della peste non solo influì sulla seppur tumultuosa espansione militare, ma segnò significativa- mente anche gli aspetti normativi e legislativi della religione musulmana. Questa influenza incise particolarmente per quanto riguarda l’at- teggiamento che i primi Califfi 1 manifestarono nei confronti del rischio di annientamento che Le infezioni nella Sto- ria della Medicina Infections in the History of medicine Le Infezioni in Medicina, n. 3, 217-232, 2012 217 2012 1 Califfo è il termine impiegato in arabo per indicare il “Vicario” o “il Successore” di Maometto alla guida politica e spirituale della comunità islamica. Costituì la massima magistratura isla- mica ed ebbe una rilevanza eminentemente politica, anche se non esente da risvolti spirituali - essa non era prevista nel Co- rano e neppure nel Sunna di Maometto -. Fu realizzata in modo del tutto originale da alcuni fra i primissimi compagni del Pro- feta nella stessa giornata della sua morte. I primi 4 successori

La peste di Giustiniano (seconda parte) L’influenza dell’epidemia … · 2016-07-22 · dell’esercito persiano nel periodo storico tra il ... sull’altopiano di Asir nell’Arabia

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La peste di Giustiniano (seconda parte)L’influenza dell’epidemia sulla formazione dell’ImperoIslamicoThe Justinian plague (part two)Influence of the epidemic on the rise of the IslamicEmpire

Sergio Sabbatani1, Roberto Manfredi1, Sirio Fiorino2

1U.O. Malattie Infettive Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna, Italy;2U.O. di Medicina Interna Ospedale Civile di Budrio, Bologna, Italy

n PREMESSA

In un nostro precedente lavoro abbiamo riper-corso le vicende collegate alla comparsa, nel541 d.C., della peste che per circa 230 anni, fi-

no al 767 d.C., con numerose puntate epidemi-che interrotte da remissioni, stimate tra i 10 e i15 anni, flagellò i paesi che si affacciano sul Me-diterraneo [1].Nel nostro precedente articolo abbiamo descrit-to i collegamenti e le implicazioni che l’epide-mia rese manifeste, in particolare ponendole inrelazione alle operazioni militari che le legionidell’Impero Romano d’Oriente svilupparonoverso occidente contro le nazioni dei Vandali edei Goti, rispettivamente sulla costa africana ein Italia, e nel vicino oriente (Siria, Mesopota-mia e Anatolia) per contrastare l’aggressivitàdell’esercito persiano nel periodo storico tra il540 e il 630 d.C. circa.La peste di Giustiniano, denominata così per-ché esordita durante il regno di questo impor-tante imperatore, venne narrata fedelmente daProcopio e grazie a questa fondamentale testi-monianza, è possibile delinearne un quadrosufficientemente completo [2, 3]. Sul piano del-le implicazioni politiche la peste, scoppiata inEgitto e diffusasi rapidamente verso Costanti-nopoli e in tutto il Mediterraneo, finì per influi-re negativamente sulle motivate aspirazioni dirifondazione territoriale dell’Impero Romanoche, ricordiamo, ad occidente era crollato nellaseconda parte del V secolo, dopo una lungaagonia, a seguito delle invasioni barbariche.

A causa del grave impatto demografico ed eco-nomico, l’epidemia impedì di fatto che nel cor-so del sesto secolo le conquiste bizantine, otte-nute a spese dei Vandali, in Nord Africa, e deiGoti, in Italia, si consolidassero. In oriente inve-ce l’epidemia influì diversamente sulle vicendemilitari, costringendo i contendenti alla sospen-sione del conflitto per alcuni anni. Il dissangua-mento degli eserciti, secondario alla diffusionedella peste tra i quadri militari, e il venir meno,in particolare nell’Impero Bizantino, del prelie-vo fiscale quale diretta conseguenza del crollodemografico, furono le cause che portaronoall’interruzione delle attività belliche [4].Nel VII secolo la peste continuò ad imperversa-re in Medio Oriente; le vicende collegate allaprima espansione arabo-musulmana, a partiredal 622, furono segnate sensibilmente dall’av-vento dell’epidemia. È interessante premettere,già in questa introduzione, che l’impatto dellapeste non solo influì sulla seppur tumultuosaespansione militare, ma segnò significativa-mente anche gli aspetti normativi e legislatividella religione musulmana. Questa influenzaincise particolarmente per quanto riguarda l’at-teggiamento che i primi Califfi1 manifestarononei confronti del rischio di annientamento che

Le infezioninella Sto-ria dellaMedicina

Infectionsin the History ofmedicine

Le Infezioni in Medicina, n. 3, 217-232, 2012

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1Califfo è il termine impiegato in arabo per indicare il “Vicario”o “il Successore” di Maometto alla guida politica e spiritualedella comunità islamica. Costituì la massima magistratura isla-mica ed ebbe una rilevanza eminentemente politica, anche senon esente da risvolti spirituali - essa non era prevista nel Co-rano e neppure nel Sunna di Maometto -. Fu realizzata in mododel tutto originale da alcuni fra i primissimi compagni del Pro-feta nella stessa giornata della sua morte. I primi 4 successori

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l’epidemia prospettava agli eserciti islamici. Ri-cordiamo che l’Islam nelle fasi iniziali della suafondazione armava truppe che poi dirigevaverso territori ove la peste già si accaniva con-tro gli abitanti dei centri abitati; è evidente checon queste iniziative militari sottoponeva i suoimigliori fedeli al maggior rischio di contagio. Per meglio affrontare il tema che ci siamo pro-posti è interessante interrogarsi su quale era inMedio Oriente l’assetto geo-politico, all’iniziodel VII secolo, e in particolare prima della “de-flagrazione islamica”. L’Impero Sassanide in-torno al 626 d.C., anno dell’assedio di Costanti-nopoli da parte dei Persiani, si estendeva su diun territorio sterminato che andava dall’Anato-lia all’Afghanistan, fino all’Indo, interessava lacosta orientale e meridionale dell’Arabia, com-presi lo Yemen, la Siria, l’Iraq, la Palestina, laGiordania, il Libano e l’Egitto e inoltre a Nordoccupava la regione caucasica e i territori che siaffacciano sul Mar Caspio.Considerata questa vasta estensione territoria-le, l’Impero Persiano, all’inizio del VII secolo,costituiva l’unica superpotenza mondiale.Nell’arco di pochi decenni, si assistette, sotto icolpi della straordinaria avanzata musulmana,al suo crollo rovinoso.È interessante notare che altrimenti, nel corsodel VII secolo, l’Impero Bizantino, seppur note-volmente ristretto in termini territoriali, con laperdita di Siria, Palestina ed Egitto, accerchiatoe non più padrone dei mari, resistette per altriotto secoli prima di soccombere, nel XV secolo,travolto dall’espansione del Turchi Ottomani.Nel presente articolo vogliamo descrivere l’im-patto che l’epidemia di peste ebbe nel mondomusulmano e, di riflesso, il ruolo che giocò sul-la caduta dell’Impero Persiano nonché sul gra-ve ridimensionamento dell’Impero Romanod’Oriente.

Le vicende belliche in Arabia, Siria, Palestina,Mesopotamia ed Egitto e la diffusione epidemicanel mondo islamico nel VI, VII e VIII secoloL’anno 570 è importante in quanto vede coinci-

dere, secondo i più importanti storici musulma-ni, due eventi significativi della storiadell’Islam. Nel 570 sarebbe avvenuta l’invasio-ne della penisola arabica, attraverso lo Yemen,da parte di Abrahah, re cristiano dell’Etiopiache, alla guida del suo esercito, fu affrontato esconfitto da una coalizione di tribù beduinesull’altopiano di Asir nell’Arabia Sud-occiden-tale [4, 5]. La Figura 1 consente di apprezzarel’area geografica coinvolta nella penisola araba,ove la peste nel 570 fu per la prima volta segna-lata in coincidenza dell’invasione delle truppeetiopiche. La data della spedizione, conosciutanella tradizione musulmana come “l’annodell’elefante”, è comunemente identificata conl’anno di nascita del Profeta e ciò costituisce ilsecondo motivo d’interesse di questo anno [5].È interessante rilevare che l’esercito etiopico fusicuramente bloccato nella sua marcia verso LaMecca dalla coalizione di tribù arabe, ma pro-babilmente l’accendersi dell’epidemia svolseun ruolo importante nel contenere l’invasionedegli etiopici. In seguito questo altopiano rima-se stabilmente interessato da un’endemia di pe-ste; ciò è plausibile in quanto la sua posizione,seppur remota e apparentemente marginale, sitrova all’incrocio sia delle piste carovaniere chesolcano la penisola arabica, sia delle rotte deimercanti che, provenienti dal corno d’Africa,attraversano la costa yemenita [4-6]. Premesso che il nucleo fondamentaledell’espansione militare arabica, che si manife-stò compiutamente a partire dalla terza decadedel secolo seguente, esordì proprio nelle vicinearee corrispondenti ai territori poco più a Nord,ovvero nelle oasi di Medina e La Mecca, risultaevidente che la diffusione dell’epidemia avven-ne parallelamente all’espansione militaredell’Islam [4, 5]. Ancora la Figura 1 consente diapprezzare le rotte delle invasioni islamichearabe in Vicino Oriente sulla direttrice naturaleSud- Nord, attraverso il Wadi Arabe, verso Ga-za, la Palestina e proseguendo verso la Siria. Un altro aspetto va ponderato. Se si consideralo spopolamento iniziale delle aree desertiche aSud di Siria e Palestina, questa area geografica,una volta invasa da colonne militari, prove-nienti da una zona che in precedenza era statacoinvolta dall’epidemia, finì per essere interes-sata dal contagio anche perché nel frattempo siera maggiormente popolata. In questa secondafase, questa regione assunse un ruolo specificoe autonomo rispetto alla prima diffusione epi-demica proveniente dalle coste mediterranee,risalente a circa trenta anni prima, quando an-

dell’”inviato di Dio”, definiti ortodossi dall’Islam, regnarono daMedina e sono: Abu Bakr (632-634), Umar Ibn al-Hattab (634-644), Uthaman Ibn Affan (644-656), Alì Ibn Talib (656-661). Ilquinto fu Al-Hasan Ibn Alì, regnò ad interim per un anno. I 14Califfi successivi della Dinastia Omayyade regnarono dal 661 al750 e la Capitale fu Damasco. Da questa data fino al 1258 il po-tere passò alla Dinastia degli Abbassidi insediati a Baghdad; dal1257 al 1517 il centro politico dell’impero fu trasferito al Cairo,sempre regnante la Dinastia degli Abbassidi (Mamelucchi). Dal1527 al 1924 il potere dell’Islam fu in mano alla Dinastia degliOttomani di Istanbul.

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cora la spinta dell’invasione islamica non si eramanifestata.L’anno 570 d.C. è, come si è detto, importante,secondo la tradizione musulmana, perché èl’anno in cui viene tradizionalmente collocata lanascita del Profeta Maometto. Precisiamo chegli autori musulmani hanno valorizzato questacoincidenza attribuendo una relazione signifi-cativa tra la riscossa militare beduina, con lafermata degli invasori etiopici, complici e allea-ti la peste e la nascita del Profeta [4]. Gli storici moderni occidentali che si sono occu-pati seriamente dello studio dell’epidemia dipeste nel mondo musulmano si sono opportu-namente posti la domanda se le notizie, che co-stituiscono lo zoccolo duro delle nostre cono-scenze, sono esaustive e attendibili.M.W. Dols nel suo lavoro Plague in Early IslamicHistory osserva, giustamente, che tutte le infor-mazioni, su cui noi possiamo contare, risalgonoa citazioni provenienti da storici musulmani,vissuti nel tardo Medio Evo che a loro voltahanno ricostruito le vicende collegate all’esor-dio della peste sulla base di resoconti preceden-ti, scritti da cronisti i cui lavori oggi non sonopiù disponibili [4]. La prima completa enume-razione di epidemie attestate nel vicino oriente,compresa la peste, fu scritta da Ibn Abi Hajalah

nel 764 e.m./1342; in precedenza Qasidah fi t-ta‘un di Baha ad Dina s Subki, Giudice Capo diDamasco, nel 756 e.m./1355, durante la MorteNera, aveva menzionato, molto brevemente, lapeste all’inizio dell’Islam. Un altro autore, Ibnal-Waerdi nel 749/1349 dà brevi riferimenti sul-le fasi iniziali della peste. Il più importante trat-tato sulla peste, scoppiata nel tardo Medio Evo,scritto da Ibn Hajar al Asqalan’s nell’852e.m./1449, incorpora quanto scritto dal citatoIbn Abi Hajalh, apportando però significativemodifiche. Più tardi, nel 910 e.m./1505, asSuyuti nel suo Ma rawahu l-wa’un fi akbar af-fa un, integra quanto scritto in precedenza condati storici desunti da altri cronisti, ma peraltronon sembra abbiano aggiunto molto alle fontiiniziali. È sulla base del suo compendio che vonKremer, il primo storico occidentale che si è oc-cupato nell’ottocento dell’argomento, avrebbefornito una introduzione estensiva nell’edizio-ne del suo testo [7]. Ma ritornando alle prime fonti - da cui tutti gliautori citati tardo medioevali hanno tratto ispi-razione -, il testo di riferimento sembra esserequello scritto da al Mada-ini (225 e.m./840 o231 e.m./845), storico arabo importante e fonteprincipale dei testi scritti da At -Tabari, di cuiper altro si è perduta l’opera [4]. Anche degli

Figura 1 - Area geografica arabicacoinvolta nell’epidemia del 570d.C. con linea di penetrazionedelle truppe etiopiche fino all’al-topiano di Asir, primo focus epi-demico in età pre-islamica. Rottedi invasione delle tribù arabe, at-traverso il Wadi Arabe, nella pri-missima fase espansiva dell’Islam.

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scritti prodotti da al Mada-ini si è persa la mag-gior parte e, in particolare, è scomparso quantoda Lui fu scritto riguardo la peste. Nonostantequesti limiti sembra certo che i suoi racconti co-stituirono la fonte principale degli Autori chepiù tardi, quando comparve la morte nera, nelXIV secolo, tentarono di ricostruire la storiaprecoce della peste nel mondo islamico.Un altro storico iniziale attendibile del mondomusulmano fu Ibn Quataybah (276 e.m./889),ma anche questo Autore scrive la sua storia del-la peste all’esordio dell’Islam a distanza di tem-po dagli eventi narrati [4, 5].Dal confronto delle date, esiste un vuoto tem-porale di circa 230 anni tra l’esordio dell’epide-mia nel mondo arabo-musulmano e le primecronache - fonti primarie oggi non possedute -pertanto è ragionevole pensare, con Dols, che sipossano essere instaurate distorsioni od omis-sioni rispetto alla cronologia degli eventi comesono stati riportati e giunti fino a noi.Pur considerando queste possibili incertezze,gli storici occidentali - sin dal primo studio ot-tocentesco di von Kremer e in seguito grazie aicontributi di Stiker, Russel, Biraben, Le Goff eLeven dedicati alla ricostruzione storica delladiffusione della peste nel mondo musulmano,hanno preso per buono ciò che era stato ripor-tato dagli autori musulmani che scrissero in oc-casione della comparsa della Morte Nera nelXIV secolo [6-12]. Il risultato è che le nostre at-tuali conoscenze, in riferimento agli esordidell’epidemia in queste remote aree geografi-che, risentono di incertezze conoscitive, rispet-to alle fonti primarie scomparse, non colmabili.Per inciso, ricordiamo che invece per quanto ri-guarda ciò che era avvenuto circa un secolo pri-ma, all’esordio dell’epidemia, nei territori con-trollati da Bisanzio, la testimonianza di Proco-pio ci consente di vagliare informazioni mag-giormente dettagliate e puntuali.Esplicitata questa considerazione, rimane co-munque interessante studiare le vicende colle-gate alla diffusione epidemica nell’area geogra-fica mediterranea e del Vicino Oriente, nelle re-gioni controllate dai musulmani, per due prin-cipali motivi. Il primo è che l’epidemia condi-zionò, nella sua prima fase, l’espansione milita-re e politica della potenza araba nel Mediterra-neo e in Medio Oriente; il secondo punto d’in-teresse riguarda il ruolo che la peste ebbenell’ipotecare lo sviluppo della religione e piùin particolare i dettami normativi ad essa colle-gati. Questa influenza avrebbe in seguito finitoper incidere, a nostro parere, sull’evoluzione

della religione, del costume e in ultima analisidelle politiche perseguite dai paesi dell’areamusulmana, fino ai nostri giorni.Quella che viene comunemente definita la con-quista arabo-musulmana si realizzò tra il 622 e il945 d.C.. Ricordiamo che nell’anno 622 si collo-ca l’Egira (esilio) di Maometto e dei suoi com-pagni da La Mecca a Medina, ma già da circa 10anni il Profeta aveva cominciato a predicare lanuova fede. La Figura 2 illustra i passaggi sa-lienti dell’espansione islamica. L’esordio si con-cretizzò nel primo decennio, sotto la guida delProfeta, nelle tre decadi successive al 632 (annodella morte di Maometto). L’espansione fu par-ticolarmente rapida e tumultuosa, realizzando-si sotto il comando dei così detti Califfi Elettivi,a spese dell’Impero Bizantino (che perse Egitto,Palestina e Siria) e dell’Impero Sassanide (checedette la Mesopotamia, l’Armenia, l’Iran el’Afghanistan). In seguito, altri territori delNord Africa, ad occidente dell’Egitto, contesi inprecedenza ai Vandali dai Bizantini, vennerorapidamente travolti dagli eserciti islamici. Ri-cordiamo che in Europa l’invasione islamica,dopo l’occupazione della penisola iberica, ven-ne fermata a Poitiers, nella Francia centrale, daifranchi di Carlo Martello nell’ottobre del 732,mentre la Sicilia fu dominata dagli arabidall’anno 827 fino alla fine del secolo XI (Paler-mo cade nel 1072). Ritornando al primo episodio epidemico, atte-stato nell’altopiano di Asir nel 570 d.C., secon-do alcuni autori scolastici medievali musulma-ni, la peste si sarebbe manifestata associata alvaiolo; a confermare questa citazione sembrache anche in Europa il vaiolo sia ricomparsonello stesso periodo [5]. Permane peraltro il ra-gionevole dubbio che tale associazione non sisia veramente realizzata, mentre potrebbe esse-re possibile che in quella occasione la peste sipossa essere manifestata nella forma vescicola-re. Questa manifestazione della malattia po-trebbe confondere orientando, erroneamente,verso il vaiolo, ma nel caso della peste le pusto-le, contenenti i bacilli, avrebbero dato luogo aun quadro clinico particolarmente aggressivocaratterizzato dalla setticemia a rapida evolu-zione fatale. Gli storici musulmani medievali riportano cheprima della Morte Nera del 1346 vi sarebberostate, senza considerare l’episodio del 570, al-meno 5 puntate epidemiche. La prima dell’eramusulmana, attestata nel 627-628 d.C. (anno 6del calendario musulmano), fu denominata “pe-ste di Shirawavh” e il focus epidemico venne in-

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dividuato a Ctesifonte, in Mesopotamia. Du-rante questo episodio morì lo stesso re dei per-siani, Siroes (da cui il nome dato a questa epi-demia). Ricordiamo che contemporaneamentenello stesso anno viene segnalata, da fonti cine-si, la peste ad Hami (Camul), città importantesulla via della seta situata in Asia centrale [4, 5]. In collegamento con questo primo focus epide-mico mesopotamico ve ne sarebbe un secondo,non disgiunto, nelle stesse aree geografiche, se-gnalato alcuni anni dopo, durante il regnodell’ultimo re Sassanide, Yezdigird III (634-642d.C.); a conferma di questa notizia ricordiamoche, secondo fonti cinesi, vi sarebbe stata, pro-prio in quegli anni, una preoccupante e abnor-me presenza di ratti in Persia [5].Nel 638 o 639 d.C. in Siria ad Amwas, l’anticaEmmaus, la peste ricomparve colpendo dura-mente l’esercito arabo. Questo episodio epide-mico sembra, da un punto di vista medico, in-teressante, perché, secondo alcune testimonian-ze storiche, si manifestò, in rapida successione,

con due acuzie e ciò giustificherebbe probabil-mente le due date proposte; la peste avrebbecolpito una prima volta nel 638, ma fu nel corsodella seconda puntata epidemica che i morti sa-rebbero stati più numerosi. Questo evento epi-demico, a parere dei cronisti arabi, avrebbe con-cesso, inizialmente, un vantaggio militare ai bi-zantini nella difesa della Città. Dols, supponen-do che il secondo episodio si sia verificato du-rante l’inverno dell’anno 18 dell’Era Musulma-na, postula che si sia trattato di peste polmona-re che, come è noto, è prevalente d’inverno e ri-sulta essere altamente infettiva [4]. Ad Amwas,secondo i racconti storici, perirono circa 25.000soldati arabi, inoltre l’epidemia ebbe modo didiffondersi rapidamente in Siria quindi versol’Iraq e l’Egitto. In concomitanza, proprio inquegli anni, Siria e Palestina erano flagellate dauna grave carestia; questo fattore è probabileche abbia sortito una qualche influenza debili-tando le popolazioni che, sottoposte anche allerazzie degli invasori arabi, finirono per acquisi-

Figura 2 - Macroarea geografica, teatro della conquista musulmana in Medio Oriente, Nord Africa, Spagna,Francia meridionale, Sicilia, dal 622 al 945 d.C.

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re, debilitandosi, una generale predisposizioneall’insorgenza delle infezioni. Un famoso medico musulmano, ar-Razi (864-930 d.C.) (Figura 3), che tra l’altro ebbe modo diriportare una delle prime descrizioni attendibi-li del vaiolo, cita Ahum il prete, medico ales-sandrino vissuto al tempo della nascitadell’Islam, che fu anche autore delle PandetteMediche, primo lavoro medico tradotto in ara-bo. Questa citazione risulta essere importanteperché Ahum avrebbe descritto, durante l’epi-demia egiziana, a cui lui aveva assistito, l’emis-sione di sangue dalla bocca unitamente a tosse.A parere di Dols questa descrizione suggeriscela presenza di peste polmonare2 e confermereb-be la copresenza di questa variante clinica [5].Un altro possibile riferimento alla peste polmo-nare in questa fase storica è riportato da A.E.Belyaev nel suo Arabs, Islam, and the Arab Ca-liphate (N.Y. 1969) [13]. Inoltre, fonti bizantinefanno ipotizzare la copresenza di forme di pestecon interessamento polmonare durante le acu-zie epidemiche del 716-717, dell’anno 695, del775 ed in seguito anche nel 1031 e nel 1056 d.C..Il quarto episodio epidemico sarebbe attestatonel Bosforo quando per la prima volta gli arabiraggiunsero le coste asiatiche nei pressi di Co-stantinopoli durante l’assedio del 668; in quellaoccasione sembra che l’epidemia sia scoppiatadurante l’inverno, favorita dall’inadeguatezzadel vestiario e dalle scarse provviste. In questaoccasione la ripresa epidemica influì negativa-mente sulla campagna militare, provocandogravissime perdite tra i musulmani oltre che tragli assediati.Nel 669 (anno 47 dell’era musulmana) la pesteveniva segnalata a Kufah (Mesopotamia me-dia). Le cronache ci narrano che in questa occa-sione il governatore musulmano della città siafuggito, ma sarebbe ritornato l’anno dopo,quando l’epidemia sembrava placata, però eglimorì ugualmente di peste. Il problema rimaseancora negli anni successivi. Le cronache ripor-tano che durante il Ramadan del 673 l’epidemiaflagellava ancora la città mesopotamica. Unafonte non musulmana, il cronista bizantinoTeofane, che scrive nell’anno 817 d.C, racconta

che in Siria, nel 676, imperversava ancora l’epi-demia. Questo dato però non verrebbe confer-mato dalle fonti arabe citate da Alfred von Kre-mer [14, 15]. Dieci anni dopo, intorno al 686, lapeste interessava ancora l’Egitto; è probabileche in questa fase si sia realizzata un’endemia ele numerose segnalazioni dei cronisti siano inrealtà collegate ad avvenimenti contingenti lo-cali come, per esempio, l’incremento dei deces-si tra i notabili egiziani.Un nuovo episodio epidemico di notevole gra-vità (il terzo secondo la classificazione adottatadal Dols) è quello chiamato “peste di Al-Jafir” o“peste Violenta” [4]. A partire dal 688-689 la pe-ste si propagò da Bassora (bassa Mesopotamia)con un flusso inarrestabile; durante il X mesedel calendario islamico (Shawwal), nella prima-vera del 689, i cronisti riportano che in tre gior-ni successivi morirono nella città circa 70.000persone al giorno ed è interessante sottolineareil fatto che la maggior parte dei decessi si veri-ficò al quarto giorno di malattia. La brevitàdell’evoluzione infausta fa propendere versouna trasmissione aerea dell’infezione, con ilclassico quadro della peste polmonare. I croni-sti riportano che la difficoltà nel seppellimentodei morti costrinse alla chiusura delle case oveerano segnalati i decessi senza procedere allatumulazione; con questo espediente si volevanoevitare i saccheggi, impedendo nel contempo leincursioni degli animali che avrebbero infieritosui cadaveri.Ormai la peste era endemica in Siria e si diffon-deva anche tra le tribù beduine che con il loromigrare la trasferirono nuovamente in Egitto.In questa fase ci sono già alcune segnalazioni digovernatori e notabili che sfuggirono al conta-gio spostandosi in altre province [6]. Questocomportamento, non propriamente conforme aidettami dell’Islam più radicale, sarà oggetto didiscussione più avanti.Secondo la classificazione adottata dal Dols, la

2La peste polmonare si può verificare come complicanza dellapeste bubbonica o come invasione polmonare primitiva da par-te dell’agente infettivo veicolato dalle goccioline. Quando è pri-maria l’inizio è acuto, con cefalea, anoressia e febbre alta, di-spnea e tosse produttiva. Lo sputo all’inizio è mucoso, mentrepiù tardi è striato di sangue, contiene l’agente microbico causa-le, Pasteurella pestis. Il periodo di incubazione varia dai 2 ai 10giorni.

Figura 3 - Immagi-ne del medicoscienziato ar-Razi(864-930 d.C.).

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quarta epidemia, “peste dei Maidens (al-Fatayat)”colpì Bassora nel 706 d.C. (anno 87 dell’era mu-sulmana). In questa occasione, in accordo conIbn Hajar, i decessi si registrarono principal-mente fra le giovani donne e, secondo i cronisti,la maggior parte degli abitanti fuggì nel deser-to; sembra che in seguito, a Bassora, anche nelcorso di altre epidemie, venne adottata questapratica per sottrarsi al contagio.La quinta epidemia, chiamata “peste dei notabili(al-Ashral)” flagellò Siria ed Iraq a partire dal716, i cronisti riportano che in Siria il principeereditario, Ayyub ibn Sulaim morì e, sempre inquesta occasione il padre, il Califfo Sulaim, fug-gito dalla sua città andò a morire l’anno se-guente a Dabiq (cittadina a Nord di Aleppo).Nella stessa città morì di peste il figlio del Mul-là, Makllad; l’epidemia si protrasse in Siria edin Iraq nel biennio 718-719, colpendo ancoragravemente Bassora l’anno seguente [5].Durante il periodo storico dominato dalla Dina-stia Omayyade i cronisti segnalano riprese epi-demiche in Siria nel 725-726 e nel 733-734, inIraq nel 734-735 e di nuovo nel biennio 744-745,e nell’anno 749 a Bassora. Praticamente durantetutto il regno della Dinastia Omayyade la pesteinvestì pesantemente questa area geografica. Siera instaurata l’abitudine dei califfi e dei nota-bili, se la peste si verificava d’estate, di lasciarele città per andare in luoghi deserti ove viveva-no a stretto contatto con i beduini ed anche i co-mandanti arabi davano disposizione di sposta-re le truppe dai loro alloggiamenti verso lamontagna o nel deserto fino a che le puntateepidemiche non si fossero esaurite. Il clima sec-co del deserto, la scarsa densità demografica,l’isolamento dei gruppi umani su vasti territorirappresentavano sicuramente un vantaggio ri-spetto alla vita nelle città, sovraffollate, con li-velli igienici pessimi, ove le possibilità di con-trastare efficacemente l’epidemia, una volta chequesta aveva preso piede, erano praticamenteinesistenti [10]. Le città siriane erano tristemente note per le pe-stilenze e i cronisti musulmani dedicarono mol-ti scritti a questo problema, fino a quando gliAbbassidi non giunsero al potere nel 750. Daquesta data non vennero segnalate più epide-mie di peste per un lungo periodo; solamentedurante il regno di al-Muqtadir (908-932 d.C;295-320 dell’era musulmana) le cronache ripor-tano la ripresa delle puntate epidemiche in que-sto contesto geografico.Il modello epidemico rappresentato dai tre im-portanti paesi musulmani, Siria, Palestina e

Iraq, cuore della nazione islamica in questa fasestorica, mostra una frequenza di epidemie de-cennale tra il biennio 688-689 e il biennio 744-745, mentre le puntate epidemiche in importan-ti città come Kufah e Bassora, sedi di guarnigio-ni militari, evidenzierebbero recidive più ravvi-cinate. Si può concludere che quasi certamentesi era realizzata, nel corso del VII e nella primametà dell’VIII secolo, un’endemia di peste che,a scadenze relativamente ravvicinate, quandola popolazione e le condizioni igieniche rag-giungevano livelli di criticità, dava luogo a riac-censioni epidemiche generalizzate. La Figura 4consente di apprezzare le località ove si segna-larono i più importanti foci epidemici nell’areadivenuta terra di conquista musulmana tra il570 e il 717 d.C. Si osservi come le zone piùcoinvolte siano dislocate nei territori compren-denti Siria-Mesopotamia-Palestina che sicura-mente corrispondevano alla zona più densa-mente popolata del nascente Impero Musulma-no. Il caso dell’Egitto va considerato a parte, inquanto è in questo paese che l’epidemia esordi-sce nel 540 d.C., quando ancora l’Islam non eraentrato nella storia e il suo ruolo strategico, nelcontesto dell’Impero Romano d’Oriente, lo ren-deva ancora uno dei paesi più importanti delMediterraneo. L’Egitto nel I secolo d.C., quando probabilmen-te aveva raggiunto il massimo della popolazio-ne nel periodo greco-romano, si stimava chepotesse contare su circa 4 milioni e mezzo diabitanti (16). Il paese sosteneva la sua popola-zione con la produzione di grano e di altri pro-dotti, mentre il surplus veniva esportato a Ro-ma. Già precedentemente una certa decadenzademografica si era registrata a partire dal 166d.C. a causa dello scoppio dell’epidemia divaiolo durante l’impero di Marco Aurelio, manel corso del IV e V secolo e nei primi decennidel VI secolo si era realizzata una notevoleespansione economica, con conseguente incre-mento demografico [17]. Questa crescita sottoGiustiniano aveva contribuito significativa-mente alla ripresa dell’Impero Romanod’Oriente e grazie al drenaggio fiscale sostan-zioso Costantinopoli riusciva ad imporre l’or-ganizzazione militare bizantina [17-19]. Sempre in riferimento all’Egitto, dal 541 d.C. siassiste, nel porto egiziano di Pelusio, al primoesordio epidemico della peste, con l’immediatadiffusione a Costantinopoli e in tutto l’ImperoRomano d’Oriente. Già in questa prima fase,dal 542 al 600, precedente all’insorgenza dellapotenza arabo-islamica, il grande paese sulle

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sponde del Nilo risentiva negativamente, inconcomitanza dei gravi danni collegati alla dif-fusione dell’epidemia, anche dei disagi ambien-tali secondari a un basso livello del Nilo nei pe-riodi corrispondenti alle benefiche esondazionistagionali. In seguito si registrò anche un ab-norme inondazione del delta del fiume, con laformazione dei grandi laghi costieri e la conse-guente sottrazione di vaste terre coltivabili. Lapopolazione stimata, prima dello scoppiodell’epidemia, suggerirebbe una cifra poco su-periore a 3,2 milioni di abitanti concentrati, ov-viamente, nelle aree prossime al fiume lungo ilsuo decorso e nel delta [16].In questo complesso contesto politico-economi-co, nel 639 d.C. il generale Amr ibn al-As at-

taccò l’Egitto e rapidamente la guarnigione bi-zantina di Pelusio si arrese. A partire dal 640 efino al 644 si verificarono importanti pressionisulle popolazioni cristiane che culminarono inveri e propri massacri nelle Oasi del Fayoum, diNikiou e d’Assouan. Inoltre, il patriarca di Ky-ros venne decapitato nel 643, dopo un tentativodi resistenza della popolazione di Memphis[16]. Dal 644 fu stabilita una modifica della po-litica religiosa e ai cristiani venne riconosciutauna certa “protezione”, ma si impose loro unatassa con il pagamento di due dinari a testa, tas-sa richiesta anche agli Ebrei, anch’essi discrimi-nati [16]. Gli abitanti dell’Egitto dovevano pa-gare un contributo annuo di 50 milioni di dina-ri, da versare in occasione di ogni inondazione.

Figura 4 - Area geografica medio orientale, comprensiva di Egitto, ove si segnalarono i più importanti focolaiepidemici fra il 570 ed il 716 d.C.

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Questa scelta più morbida favorì l’abbandonoda parte di molti adepti della religione cristianacon l’adesione rapida all’Islam; tale opzionenon sembra sia confermata per quanto riguardagli Ebrei che invece preferirono proseguire laloro diaspora. Ricordiamo, per inciso, che l’ade-sione egiziana al cristianesimo (copto) era re-cente, ed essendo stato introdotto, anche comeculto di stato, non si era sedimentato stabil-mente nella popolazione che per millenni erastata legata agli antichi culti pagani. In Egittoquesto rapido cambio di religione a favoredell’Islam, secondo Russel, vide declinare lasuddetta tassa, di più del 50%, dal 654 al 690d.C. [16].L’esempio dell’Egitto appare interessante perspiegare come gli eserciti arabi ebbero facil-mente ragione su bizantini e persiani durante larapida espansione musulmana, proprio in coin-cidenza dell’epidemia di peste. Russel fa notareche le popolazioni nomadi e seminomadi arabe,che vivevano ai margini degli Imperi Bizantinoe Persiano, avevano un vantaggio in quanto leloro abitudini, impostate sul nomadismo nellezone desertiche, si integravano bene in un con-testo geografico sfavorevole alla diffusionedell’epidemia [10]. Altrimenti gli Imperi vede-vano la popolazione e il potere politico-militareconcentrati nelle città, queste erano densamen-te popolate, in pessime condizioni igieniche, inaree geografiche agricole, come l’Egitto nellavalle del Nilo, ove facilmente l’epidemia, unavolta penetrata, dimostrava rapida diffusione,indebolendo così qualsiasi tipo di resistenza.Sulla base di questa considerazione si può facil-mente spiegare come una popolazione nomade,numericamente piccola, seppur animata da unforte spirito religioso, che incitava alla conver-sione degli infedeli o al loro annientamento,riuscì a disintegrare l’Impero Sassanide e a ri-durre significativamente l’estensione dell’Im-pero Romano d’Oriente nel breve arco di pochidecenni, assurgendo ad unica superpotenzamondiale del Medio Evo. È condivisibile l’opi-nione che vede il periodo tra il 610 e il 717 d.C.come la fase più importante e imperiosa dell’in-tera storia islamica, seppure coincidente con lamaggiore incidenza di episodi epidemici di pe-ste. Le epidemie, colpendo prevalentemente lecittà, mettevano in ginocchio i due imperi, men-tre indebolivano sicuramente meno una popo-lazione che faceva del nomadismo nel deserto ilsuo principale stile di vita [4, 5, 10, 16]. Gli ara-bi inizialmente vedevano le città come luoghida razziare, mentre le aree agricole prevalenti

in Egitto e Mesopotamia assumevano, in questaprospettiva, il ruolo di vacche da mungere pro-sciugate da un’imposizione di tasse esorbitanti,seppur giustificate dall’essere imposte agli infe-deli. Con il passare del tempo, a causa dello sta-bilizzarsi del potere Omayyade e il progressivomutare dello stile di vita degli arabi, collegatoall’occupazione stabile delle più importanticittà in Mesopotamia, Siria, Egitto, Palestina eLibano, persistendo le acuzie epidemiche, si in-debolì la spinta espansionistica e l’aggressivitànei confronti di quello che rimaneva dell’Impe-ro Romano d’Oriente. Contrasti di potere all’in-terno dei gruppi religiosi e militari egemoni nelmondo islamico fecero cadere, nel 750, la Dina-stia Omayyade, con l’ascesa al potere della Di-nastia Abbasside. Questi califfi ebbero la fortu-na di veder diradare considerevolmente la fre-quenza delle puntate epidemiche su tutto il ter-ritorio conquistato, tanto che, per un lungo pe-riodo, la peste sembrò essere scomparsa. Nella nostra premessa abbiamo accennato alfatto che l’epidemia di peste, essendo coinciso

Figura 5 - Zwolf <Maestro> sotto il cielo planetarioLosbuch (mhd.) Mittelrhein/Hessen (LInburg a.d.Lahn) um 1370 Cod. Ser, n. 2652. fol. 2r Osterreichi-sche Nationalbibliothek (Rif. bibl. 20).

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temporalmente il suo avvento con la nascitadella religione islamica, finì per incidere, signi-ficativamente, anche sulle norme igieniche ecomportamentali dei popoli che venivano con-quistati e convertiti nel corso dei primi secolidell’espansione.L’Islam, in questa fase di crescita sui territoridell’Impero Persiano e su buona parte dell’Im-pero Romano d’Oriente, divenne nei secoli VII,VIII, IX, X e XI l’erede del sapere scientifico indiscipline come la matematica, la geometria,l’algebra, l’astronomia (Figura 5) e la botanica(Figura 6), accumulato nell’Età Classica e Anti-ca. Più in particolare, venendo tradotti in araboi testi medici classici di Ippocrate e Galeno (Fi-gura 7), la cultura araba ebbe il merito di tra-ghettare, attraverso il basso Medio Evo, le co-noscenze e le pratiche che, nei così detti secolibui dell’Occidente, rischiavano di caderenell’oblio [20].

L’influenza del Corano, dei dettami di Maomettoe loro interpretazione sulle norme comportamen-tali adottate durante le epidemieIbn Hagar al-Asqalani nel suo Bad l al Ma un fifa wa id al-ja un, fornisce una sintesi di tuttoquello che era stato detto e scritto, dall’avventodell’Islam, sulle cause delle epidemie e soprat-tutto sulla condotta che si doveva tenere in ca-so di peste [21]. In altri termini l’Autore precisanella sua opera le norme comportamentali egiurisprudenziali che un buon musulmanoavrebbe dovuto adottare in caso di epidemia.Al-Asqalani vive nel XIV secolo (nasce nel 1382)e redige il suo volume nel 1431 (anno 833dell’era musulmana), precisamente in un perio-do in cui il mondo islamico era flagellato dallaPeste Nera. Ibn Hagar alcuni anni prima, nel1417, aveva perso due figli e nel 1449, dopo es-sere sopravissuto a diverse puntate epidemi-che, anche lui perì.Ibn Hagar preliminarmente si pone alcune do-mande fondamentali. Che cosa è la peste? Qua-le attitudine hanno sviluppato i musulmani inseguito ai diversi episodi epidemici nel corsodei sette secoli precedenti? Quale insegnamen-to e quali leggi possono essere desunte per ela-borare una giurisprudenza applicabile in caso

Figura 6 - Pianta di ibisco. Dioskurides Pedanius, Ma-teria medica (gr.) Costantinopoli, vor 512 . Cod.Med.gr 1 (Wiener Dioskurides), fol. 16v. OsterreichischeNationalbibliothek (Rif. bibl. 20).

Figura 7 - Galeno e un suo aiutante intenti alla pre-parazione della teriaca. Yahya an-Nahwi (=JohannesPhiloponos) Theriakbuch (arab.) Mosul (?), um 1220-40 Cod. A.F. 10, fol. 34. Osterreichische Nationalbi-bliotheck (Rif. bibl. 20).

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di peste? Come definire ciò che in arabo vienechiamato Ea-u-n? [21].L’Autore tenta di fornire una definizione sulpiano medico della peste e la compara alle defi-nizioni date alle altre malattie conosciute:”… ibubboni della peste assomigliano a quelli che afflig-gono i cammelli; … la peste è un’ulcera; … assomi-glia alla lebbra; … è la corruzione degli arti”. In fi-ne per dare una risposta efficace, seppur sche-matica, scrive che i medici hanno frainteso l’ef-fetto con la causa: “… piaghe bubboni non sono al-tro che le manifestazioni esteriori del fenomeno Ea-u-n” e, in conclusione, “… la causa proviene di-rettamente da Dio”. I medici ignorano la causa epensano che se saranno in grado d’individuarla,conseguentemente, troveranno il rimedio. Ilpensiero escatologico che spiega un po’ tutto è ilseguente: Dio se ha voluto inviare una malattiaha sicuramente pensato al suo rimedio [4, 21].I medici arabi, secondo Sublet, sarebbero tenta-ti di ammettere il carattere contagioso della ma-lattia, ma esitano nell’affermarlo, perché temo-no d’invischiarsi in un problema teologico, in-sormontabile secondo i dettami dei dogmi mu-sulmani [21]. Se è Dio che decide il destino diciascun uomo, si dovrà per esempio evitare direndere visita ad un malato, non tanto per im-pedire la propagazione della malattia, quantoper evitare che lo spirito e il corpo di un musul-mano possano essere contagiati senza che Dioabbia espresso una volontà precisa in tal senso.In altri termini l’uomo, con le sue scelte, non de-ve interferire con il programma, con il destino,riservato a ciascuno. Trattasi evidentemente diun atteggiamento passivo, che ogni musulma-no osservante dovrebbe sostenere nel nomedell’adesione totale alla religione.Alla luce di questa visione integralista la perso-nalità guida a cui ci si deve rivolgere non saràpertanto il medico, bensì il saggio, corrispon-dente al sapiente religioso (Ulama), che ha ilcompito di rammentare ai fedeli il dettame co-ranico; il saggio consulterà le raccolte degli Ha-dith (detti del Profeta che fanno parte del Sum-mah), nonché tutti i precetti trasmessi dai primiesegeti musulmani. Si troverà pertanto solo inquesto solco, tracciato dalla religione, la giustacondotta da seguire [21, 22].In realtà nelle Sure Coraniche non si trovanomenzioni esplicite relative alla peste, ma IbnHagar si collega al sacro testo per commentarequalche versetto nel quale se ne fa qualche allu-sione. Per contro spiega che negli Hadith il Pro-feta ha parlato in più occasioni della peste, af-fermando che questo flagello non è destinato ai

musulmani: “Questa epidemia è un patimento at-traverso il quale Allah ha deciso di punire certi po-poli. Non ne restano sequele sulla terra, talvolta lapeste appare, tal altra sparisce”. Si tratta evidente-mente, in accordo con Jacqueline Sublet, di unareminescenza biblica [21]. Trattasi di un pati-mento, destinato agli infedeli, che l’ArcangeloGabriele ha portato sulla terra e, per comprova-re che questo flagello non è destinato ai musul-mani, il Messo di Dio avrebbe salvaguardato lacittà di Medina. In effetti si deve constatare cheMedina fu generalmente risparmiata dalle epi-demie, con l’eccezione della peste dell’anno1348 (749 dell’era musulmana) [21].Se l’epidemia di peste è indirizzata prevalente-mente contro gli infedeli, come si deve inter-pretare il fatto che numerosi musulmani furonocomunque vittime dell’epidemia? La rispostascaturisce da considerazioni elaborate dagliesegeti del pensiero islamico: “… la peste confe-risce un valore di martirio (sahada) per i musulma-ni e la misericordia (rahma) è accordata a coloro chene muoiono. Per gli infedeli, non è altro che una ca-lamità (rigs), ovvero un’afflizione che non conferiscela qualità del martirio” [21]. Il musulmano chemuore di peste è assimilabile a un militare cheperde la vita combattendo la guerra santa: egliè un martire perché è perito per la colpa, indi-retta, causata dagli infedeli. La conseguenza lo-gica di questo ragionamento porterà in seguitoa chiedersi se è giusto per un buon fedele reci-tare preghiere per sfuggire a questa morte che,comunque, assicurerebbe ai martiri della fede ilpremio agognato del paradiso.Secondo un altro Hadith, il Profeta avrebbe fat-to questa predizione: “La comunità musulmanasarà distrutta a causa dei colpi bassi (dei suoi nemi-ci) e dalla peste”. E quando si domanda al Profe-ta che cosa è la peste? Così avrebbe risposto:“sono i colpi bassi portati da certi demoni vostri ne-mici”. Anche questa è una reminescenza in rap-porto alle radicate credenze superstiziose pre-cedenti all’Islam, secondo cui gli spiriti malevo-li causano le epidemie scoccando una moltitu-dine di frecce sugli uomini [21, 22]. Questo ri-chiamo non ha forse qualche cosa in comunecon il mito di Apollo3 che, adirato con gli Achei,

3Nel primo Libro dell’Iliade, Agamennone, Duce degli Achei,oltraggia Crise, Sacerdote di Apollo, rifiutando sdegnosamentei doni che questi gli offriva per la restituzione della figlia. Apol-lo, supplicato da Crise, scende dall’Olimpo e fermatosi lontanodalle navi, per nove giorni, scaglia le sue mortali frecce sul cam-po acheo seminando una malattia mortale. Così i versi del divi-no Omero: “I muli prima colpì e i cani veloci, ma poi il dardo acutomirando agli uomini scagliò; fitti e incessanti ardevano i roghi” (Ilia-de vv. 50-52).

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scocca i suoi dardi velenosi causando innume-revoli morti, tra gli assedianti di Troia, median-te il veleno in cui sono intrise le punte dellefrecce?Il Profeta avrebbe inoltre detto: “La peste è un pa-timento che Dio riserva a chi Lui vuole”; “Egli è mi-sericordioso (rahma) con i credenti.” I redattoridelle cronache si rendono conto però che nellarealtà è improbabile che esista un uomo che,colpito dalla peste, rimanga fermo nella sua ca-sa con rassegnazione (sahr), sapendo che Dio gliha riservato la morte, anche se pienamente con-sapevole che ciò costituirà la prova del suo mar-tirio. Per questi motivi, secondo il pensiero deisaggi, il Profeta avrebbe consigliato anche al fe-dele di ritornare verso Dio, chiedendo la guari-gione, la rassegnazione con il fine ultimo diavere in dono la grazia. Probabilmente con iltermine grazia si lasciava libero spazio all’inter-pretazione che, di volta in volta, poteva esserela guarigione o la morte nella grazia che prelu-deva al promesso paradiso di Allah.Questo era il pensiero di Maometto desunto da-gli Hadith, però abbiamo visto che nella realtàdelle cose, durante le epidemie l’approccio fini-va per essere abbastanza differenziato. In effet-ti, come scrive Jacqueline Sublet, i saggi cerca-rono anche altri Hadith che toccavano questotema, in modo da proporre ai fedeli un insiemedi precetti, una giurisprudenza utile per megliodefinire la condotta che i bravi musulmaniavrebbero dovuto tenere nei confronti della pe-ste [21]. Il comportamento avrebbe dovuto es-sere conforme al messaggio riportato dagli Ha-dith, tenendo conto delle esigenze pratiche e,contemporaneamente, salvaguardare la visionemorale voluta dal dettame coranico.Gli esegeti del Corano si sono soffermatisull’analisi del versetto 242 della raccolta al-baqa-ra. Ove è scritto: “Non tenere in conto il punto di vi-sta di coloro che, a migliaia, sono usciti dall’insegna-mento, per timore della morte. Allah ha detto a que-sti: morite, poi rivivrete”. I saggi vedono in questoversetto un’allusione molto precisa alla peste ene soppesano ciascuna parola per trarne una le-zione. Chi erano gli uomini che sono “usciti”?Come Allah li avrebbe fatti morire e poi, come liavrebbe resuscitati? E dopo quanto tempo si sa-rebbe realizzata questa resurrezione? [21].La risposta è semplice e categorica. Poiché Diopuò, secondo la sua volontà, fare morire e resu-scitare, non servirebbe a nulla la fuga da unpaese colpito dalla peste. A sostegno di questatesi i saggi citano un versetto del Corano: “Nonserve a niente fuggire la morte o il combattimento” e

ancora: “… ove voi fuggite, là la morte vi atten-derà”. In conclusione sottrarsi al destino stabili-to sarà, secondo il pensiero di questi commen-tatori, formalmente sconsigliato.Per meglio precisare l’etica del comportamentoda seguire i dottori, gli Ulama, si sono soffer-mati anche sull’analisi di due racconti, trattidalle vicende relative ai primi tempi dell’Islam.Il primo narra la storia del Califfo Umar che in-via il Generale Abu Ubay dah a conquistareEmmaus nel 638-639. Sapendo che la peste fla-gella la città, ordina di ricondurre immediata-mente l’esercito a Medina per evitare il conta-gio. Alle proteste del Generale, Umar rispondecon una parabola: “Supponi che tu arrivi in unavallata in cui un versante è verde con erbe per il pa-scolo e l’altro secco e sterile. Quale che sia il ver-sante scelto per i tuoi cammelli, sarà stata esercita-ta la volontà di Dio. Sceglierai pertanto il versanteche ha deciso Allah”. Un altro racconto che risalesempre al VII secolo è quello che riguarda an-cora il secondo successore di Maometto, il Ca-liffo Umar b al-Hattab che, a capo di una spe-dizione militare, avanza da Medina per inva-dere la Siria. Giunto a Sargh, apprende che lapeste sta flagellando la regione. Ottenuta que-sta notizia il Califfo riunisce i suoi compagniper decidere se avanzare lo stesso o ritirarsi.Uno dei suoi compagni si ricorda di aver senti-to pronunciare dalla bocca del Profeta questoHadith: “Quando udite che la peste è in una terranon vi entrate e qualora la peste scoppi in una terrain cui voi siete, non ne uscite”. Udito ciò, il Ca-liffo decise di tornare indietro. Secondo il pen-siero di Ibn Hagar le scelte di questi due emi-nenti personaggi appaiono, agli occhi degliUlama (dottori della legge), conformi agli inse-gnamenti delle Sacre Scritture, pertanto nonsuscettibili di biasimo.Ma non tutti la pensavano così. Nella prima vi-cenda, sconcertato, un compagno del Profetaaveva contestato Umar, dicendo che Egli erapiù smarrito di un asino in quanto, secondo ilpensiero del Profeta, la peste era misericordio-sa con i fedeli dell’Islam. Nel secondo eventoUmar facendo ritorno a Medina avrebbe delu-so i suoi compagni, memori del versetto delCorano ove stava scritto: “Il martire sarà resusci-tato se la peste lo uccide”. A tale biasimo Umaravrebbe poi replicato ricorrendo all’Hadith:“Se la peste è in un paese non entrate, ma se invecevoi siete all’interno di uno ove la peste flagella re-statevi”. Questo approccio prudenziale nei con-fronti del rischio di contagio è stato definitodello “scansamento” [6].

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A ulteriore sostegno della scelta voluta durantela menzionata campagna militare, Umar riferi-va di un sogno ove il Profeta gli avrebbe ordi-nato di fare dietrofront. Come si può constata-re, in questo caso c’è anche il ricorso alla di-mensione onirica. Ricordiamo che all’oniro-manzia era ricorso in Europa, nel 543, un per-sonaggio importante della Chiesa come Grego-rio da Tours; Il Vescovo aveva ascoltato quantogli raccomandava San Benigno che, nel sogno,lo invitava a dire messe e a recitare preghiereper allontanare la peste [6]. Come si può rileva-re, sia il mondo cristiano sia il musulmano face-vano ricorso a pratiche pagane come l’oniro-manzia, adeguandole, opportunamente, allenecessità pratiche delle due religioni.Ritornando al tema in oggetto, alcuni saggi mu-sulmani sostenevano la correttezza delle scelteoperate dai due notabili mediante la seguentemetafora: “Se si vedesse una casa in fiamme nessu-no si avventurerebbe nell’incendio”, tuttavia eranodell’avviso che un buon musulmano, trovando-si in un paese coinvolto dall’epidemia, dovevarimanervi [21]. Su questo argomento delicato agli Ulama veni-va posta un’ulteriore domanda: cosa fare se ci sitrova in una regione colpita dalla peste, da do-ve però non ci si può allontanare, secondo i det-tami della fede? Certi commentatori della SacraScrittura Islamica rispondono che ci sono cin-que ragioni per non affidarsi a preghiere speci-fiche in questi frangenti. La peste è misericor-diosa; colui che si rassegna sarà martire, quindia lui è destinato il paradiso; non c’è altro da fa-re che attendere passivamente la decisione diDio sul destino di ciascun musulmano; se nonbisogna fuggire fisicamente, non è lecito fuggi-re neanche spiritualmente attraverso il ricorsoalla preghiera; infine, se Allah ha deciso di an-nientare la comunità tramite la peste, non esistealcuna giustificazione per rivoltarsi contro que-sto disegno.Tuttavia contrariamente a questa posizioneestrema, Ibn Hagar riteneva che la peste nonfosse assimilabile alla morte. Egli pensava cheper un musulmano la peste doveva essere assi-milata ad una malattia come le altre, pertantoera lecito raccomandarsi a Dio chiedendo che lafacesse scomparire. Per questo motivo si do-manda quali dovessero essere le preghiere darecitare; l’invocazione dopo la giaculatoria diapertura del mattino, recitata anche con l’ob-biettivo di allontanare il pericolo imminente, glisembrava il momento più adatto della giornataanche per chiederne la scomparsa. Infine, ri-

spetto alla pratica di pregare collettivamente,Ibn Hagar mostra scetticismo in quanto ove erastata adottata, per esempio al Cairo durante lapeste dell’anno 833 dell’era musulmana, i de-cessi si erano continuati a registrare, anzi eranoaumentati [21].

n CONCLUSIONI

È opportuno rammentare che Ibn Hagar scrivenel IX secolo dell’era musulmana: egli ha il pri-vilegio di ricapitolare quanto era stato pensatoin precedenza su questa materia, ma ha anche ilgrande vantaggio di poter riflettere, con ele-menti di giudizio attendibili, sui risultati otte-nuti quando veniva adottata l’osservanza dog-matica dei dettami religiosi. Se il primo Islamabbracciava i dettami integrali del Corano, purcercando nella pratica di mitigarli, tramite ar-gomenti utili per sfuggire al contagio, dalloscritto di Ibn Hagar si può supporre che, nelcorso del tempo, in parte del mondo islamico,ovvero nei settori intellettualmente più maturi,le posizioni oltranziste iniziali si erano un po’smussate seppure egli appartenga ancora aquella corrente che, da un punto di vista episte-mologico, è denominata Medicina Profetica.Secondo Jacqueline Sublet, l’opera di Ibn Hagaral-Asqalani costituisce un insieme coerente diindicazioni sul modo con cui la comunità mu-sulmana reagì, nel corso del tempo, alla peste.La debolezza delle conoscenze mediche rende-va la malattia inizialmente assimilabile a unmale assoluto, comparabile solo a un castigo di-vino inviato sulla terra per colpire gli infedeli oper mettere alla prova i fedeli di Allah. Moltimusulmani si rassegnavano e accettavano il de-stino a loro riservato e così sarebbero stati aiu-tati ad accettare la morte; aderivano passiva-mente all’idea che il martirio è un privilegio peri combattenti che si sacrificano in nome di Hal-lah. Altri invece faranno di tutto per evitarequesto male, per scansarlo e per guarirne in ca-so di contagio [6, 21].Rimane la constatazione che in entrambe le im-postazioni si cercava di dare una risposta a que-sto flagello mediante strumenti come l’interpre-tazione dei testi sacri e ricorrendo alla pratica(non condivisa da tutti) della preghiera, non ri-fuggendo, di tanto in tanto, dall’utilizzodell’oniromanzia che, prima dell’avvento dellereligioni monoteiste, era usuale. Con gli stessistrumenti i combattenti musulmani affrontava-no la morte in guerra, ove il martirio era ricer-

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cato come viatico per il paradiso, premio cheAllah riservava ai fedeli.Nel mondo medico musulmano, in riferimentoalla peste, vengono rigettate in gran parte le te-si proposte riguardanti le cause naturali, men-tre la ricerca viene indirizzata verso i testi reli-giosi: il Corano e gli Hadith che registrano lepratiche del profeta e dei suoi compagni in fat-to di salute e di malattia. Il problema si collocaquindi al livello dell’esegesi di questi testi,spesso criptici, in tale maniera che si arriverà, senon a negare il fenomeno della peste, almeno atrasferirlo in un ambito più squisitamente spiri-tuale [22]. Questa propensione spiccata verso la ricerca spi-rituale, con la negazione di un approccio natura-listico - approccio che, ricordiamo, era già statocoltivato dalla medicina ippocratica e galenica -finirà (a nostro parere) con il tempo per imbri-gliare e mutilare la ricerca e la pratica nella me-dicina islamica. Ricordiamo che in questa fasestorica l’arte medica nel mondo arabo-musul-mano sembrava destinata ad avere un grandeslancio e costituiva il punto di riferimento perquei pochi luoghi che in occidente (Salerno) con-tinuavano a coltivare la medicina e la chirurgia.Dols ritiene che tuttavia le epidemie di pestefavorirono un interesse nei confronti degli au-tori medici pre-islamici e in particolare riguar-do gli scritti di Ippocrate e Galeno. In questaprospettiva le trascrizioni dei testi medici clas-sici in lingua araba nel periodo inizialedell’Islam, dovrebbero essere considerate comeparte di un tentativo di comprendere la naturadi una malattia che si riproponeva con cadenzericorrenti e non altrimenti come un eserciziomeramente accademico [4, 20]. Dols in partico-lare sottolinea che le prime epidemie di peste siverificarono in un periodo formativo ed ecletti-co della dottrina legale musulmana, in una fa-se in cui la natura della peste poteva essereconsiderata e facilmente incorporata nel conte-sto della letteratura Hadith. Queste tradizioniin seguito avrebbero pertanto influenzato ilpensiero e la prassi delle prime comunità mu-sulmane. La raccolta formale degli Hadith, collegati allapeste e ad altre malattie epidemiche, avvennefin dall’inizio dell’espansione islamica, coinci-dente con la comparsa dell’epidemia nella re-gione e fino al IX secolo. Questo bagaglio di co-noscenza consentì poi agli autori medioevali,che vissero ai tempi della Morte Nera nel XIVsecolo, di possedere saperi e strumenti utili pereffettuare confronti [4].

Concludendo, anche se i sintomi della pesteche si abbatté sull’Islam nella sua fase formati-va iniziale non furono compiutamente descrit-ti, come invece lo furono otto secoli più tardi,sia l’applicazione della terminologia arabaesatta sia la trascrizione delle prescrizioni me-diche e delle indicazioni normative e legali ap-propriate - che implicano un riconoscimentodella peste come malattia distinta dalle altre -suggeriscono una forte probabilità che si sia in-staurata, nelle aree geografiche considerate,un’endemia di peste caratterizzata da “grappo-li” di picchi epidemici. Inoltre, anche il patterndelle puntate epidemiche registrate nei territo-ri del Vicino Oriente, occupati dagli arabi, cor-risponde al pattern epidemico che negli stessianni flagellava sia i paesi che si affacciano sulMediterraneo occidentale sia il territorio anco-ra sotto il controllo dell’Impero Romanod’Oriente. Se le caratteristiche del territorio medio-orien-tale, con sterminate zone desertiche e semide-sertiche, resero meno vulnerabili le tribù arabededite al nomadismo nel primo periododell’Islam, rispetto ai contendenti bizantini epersiani, in seguito l’impatto fu simile; con l’oc-cupazione delle importanti città di Siria, Pale-stina, Egitto, Iraq e Persia anche gli arabi, inur-bandosi, non poterono più sfuggire al flagelloepidemico. L’impatto della peste arrecò graviconseguenze demografiche, sociali ed economi-che tali da ridurre sensibilmente l’ulterioreespansione dell’Islam che, nei secoli VII e VIII,nel solco tracciato dal proselitismo religioso esulla scorta delle accentuate propensioni guer-riere, sembrava inarrestabile. Nella vita quotidiana del Medio Evo le devasta-zioni collegate alle epidemie svolgevano unruolo estremamente importante, e ciò era parti-colarmente vero durante i conflitti. Con HenrySigerist è opportuno constatare che malattieepidemiche hanno svolto un ruolo importantenel determinare il corso della storia [23]. HansZinsser spiega, in un capitolo dedicato a questoargomento del suo saggio, che le malattie epi-demiche hanno influito, nel corso della storiapolitica e militare, più di quanto lo abbiano fat-to i generali [24]. Nello studio delle vicende collegate alla pestedi Giustiniano, queste affermazioni sembranopiuttosto calzanti. La comparsa dell’epidemiabloccò, nel corso del VI secolo, l’espansione deibizantini in Nord Africa e in Italia, e impedì ildisegno dell’imperatore Giustiniano di rifonda-re l’Impero Romano dopo le invasioni barbari-

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che. In oriente la peste nel VII secolo favorì lacaduta dell’Impero Persiano, indebolì Costanti-nopoli e permise alle tribù nomadi, originariedella penisola arabica, di poter concentrare laloro forza dirompente su città e aree agricole

ove le truppe imperiali di presidio e le popola-zioni venivano decimate dal flagello epidemico.

Keywords: bubonic plague, epidemic, Justinian,Islamic world.

L’Impero Islamico iniziò la sua tumultuosa e rapi-da espansione a partire dal 622 d.C, anno dell’Egi-ra di Maometto; questa rapida ascesa coincise conla diffusione della religione musulmana e con ladeflagrazione epidemica in Medio Oriente dellapeste. Seppure la prima puntata epidemica in Ara-bia sia stata documentata nel 570 d.C., quindi in fa-se pre-islamica, classicamente, con M.W. Dols, siconsiderano cinque gravi sotto-epidemie nell’areageografica medio-orientale: la prima nel biennio627-628 d.C., la quinta nel’anno 716. Si può co-munque ritenere che, agli albori dell’Islam, l’areageografica comprendente Egitto, Palestina, Libano,Siria, Iraq, Iran e Arabia sia stata coinvolta, fino al750 d.C., in un’endemia di peste.In questo lavoro di revisione bibliografica gli Au-tori descrivono le caratteristiche del quadro epide-mico e analizzano le influenze che la peste deter-

minò sull’interpretazione del Corano e degli Ha-dith dettati dal Profeta. L’atteggiamento passivoche molti musulmani dimostrarono già all’iniziodell’Islam, non fu da tutti condiviso; altri fedeligrazie ad alcune interpretazioni degli Ulama, siorientarono verso un approccio più morbido epragmatico che avrebbe consentito, in caso di ri-schio di contagio, il così detto “scansamento”.La peste contribuì sensibilmente all’indebolimentodell’Impero Romano d’Oriente e alla rapida cadu-ta dell’Impero Persiano, mentre favorì, nelle primefasi espansive dell’Islam, le tribù nomadi arabeche, muovendosi in territori desertici e semideser-tici, riuscivano più facilmente a sottrarsi al conta-gio. In seguito, quando la popolazione araba di-venne sedentaria occupando stabilmente le cittàconquistate, questo vantaggio iniziale si ridusse si-gnificativamente.

RIASSUNTO

The Islamic Empire started its tumultuous and rapidexpansion from the year 622 A.D. (the year of theProphet’s hegira). This rapid growth coincided with thespread of the bubonic plague in the Middle East. Al-though a first epidemic had been documented in the year570 A.D. (pre-Islamic phase), in the Arabian peninsula,according to M.W. Dols five severe episodes of plaguesub-epidemics are classically considered in the middle-eastern geographic area: the first occurred during theyears 627-628 A.D., the fifth in the year 716 A.D. Itmay be stated that at the emergence of Islam the geo-graphic region including Egypt, Palestine, Syria, Iraq,and Iran was affected by an endemic plague. In theirwork, based on a literature review, the authors describethe characteristics of the epidemic phenomenon, and an-

alyze the influences that the plague had on the interpre-tation of Prophet’s Koran and Hadith. The passive atti-tude demonstrated by many Muslim believers duringearly Islam was not shared by everyone. Others adopteda “softer”, more pragmatic approach, which permitted“moving aside” when the contagion was of concern. Theplague significantly contributed to the weakening of theEastern Roman Empire, and the rapid decline of thePersian Empire, while during the early expansion phas-es of Islam, it indirectly supported the nomadic Arabtribes which, moving on desert or semi-desert territo-ries, succeeded in escaping contagion more easily. Sub-sequently, when the Arab population became sedentary,after occupying the conquered cities, this initial advan-tage was significantly reduced.

SUMMARY

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