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autore www.iocome.it Copertina 17 numero Anno 1 N. 17 / AGOSTO 2011 - Periodico settimanale - Editore e Proprietario: eBookservice srl C.F./P.I. : 07193470965-REA: MI-1942227. Iscr. Tribunale di Milano n. 324 del 10.6.2011. Il segreto di Welma Fox Le madri cattive Sindrome di Stoccolma La città punita Copertina di Christopher Veggetti

Io Come Autore 17

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Rivista dedicata agli autori

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autorewww.iocome.it

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Il segreto di Welma Fox

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Sindrome di StoccolmaLa cittàpunita

Copertina diChristopher Veggetti

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“CORDUSIO”DI CHRISTOPHER VEGGETTI.ArtistA ContemporAneo.

Luigi Christopher Veggetti Kanku nasce a Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo) nel 1978.

Si avvicina all’arte giovanissimo e da autodidatta. Vincitore nel 2008 della VII edizione del Premio GhigginiArte giovani espone alla Ghiggini 1822 di Varese nel Novembre dello stesso anno le proprie opere con una personale dal titolo Mi presento: LCVK. In occasione dell’uscita del volume 30 TELE dedicato alla sua attività tiene sempre alla Ghiggini una personale nel 2010.

GHIGGINI 1822Via Albuzzi, 17 | [email protected] www.ghiggini.it

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in copertina ‘CORDUSIO’

Luigi Christopher Veggetti Kanku, Cordusio, 2009, olio e acrilico su tela, 33x48cm

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som

mar

io rubricheEstratto di Francesca Panzacchi | 7Il Normanno

Estratto di Fabio Bertinetti | 10La città punita

Intervista fotografica | 14a Nicoletta Vallorani

Estratto di Nicoletta Vallorani | 20Le madri cattive

Concorso letterario | 24L’amore nei romanzi del concorso pagina UNO di Ded’a

Estratto di Giancarlo Guerreri | 26Il segreto di Welma Fox

Appuntamenti | 30Pier Paolo PasoliniFoulard dal 1966 al 1999

Francesca Panzacchi | 6Sindrome di Stoccolma

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editoriale

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Tic, Tac. Il tempo. Lasciamo correre la fanta-sia. Lasciamo scorrere il tempo; all’indietro questa volta. Proviamo a ritornare alle origini. Lasciamo che Francesca Panzacchi, Fabio Ber-tinetti e Giancarlo Guerreri, con i loro racconti ci trasportino in mondi diversi.

Lasciatevi avvolgere delle sensazioni e dalle emozioni di mondi lontani, di cui forse abbiamo cancellato ogni retaggio culturale. Proviamo a vivere nella Mantova del 1526, nella Londra del 1859 oppure nella terra dei normanni del 1066. Abbandoniamo l’idea del mondo che abbiamo, anche solo per un momento per pro-vare a vivere e rivivere gioie e dolori di espe-rienze lontane.

Un salto indietro nel tempo, non solo per divagazione ma provare a trovare un po’ di cia-scuno di noi in ciò che un tempo era e che ora appare così lontano. Torniamo barbari, per un momento, selvaggi e vivi in mondi in cui non esisteva l’estrema civilizzazione che oggi ci ha portato a sentirci degli Dei e non semplice-mente degli uomini.

Buona Lettura.Marika Barbanti

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Autori 17

Questo libro nasce per asseconda-re la mia più sfrenata fantasia ro-mantica. Ho sempre amato le

vicende ambientate nel Medioevo e avevo voglia di scrivere una storia d’a-more che non fosse banale, ma avvin-cente e ricca di sfumature.

Ho dato spessore ai personaggi attra-verso i dialoghi e poi li ho lasciati liberi di condurre la storia, a modo loro.Elizabeth, la protagonista, è un’e-roina romantica e volitiva, a tratti impetuosa a tratti vulnerabile, ma mai passiva o stucchevole. Ha ereditato il mio carattere dolce e ribelle al tempo stesso e una certa capacità di sorprendere.

Scrivere un romanzo storico significa anche doversi documentare sugli usi e costumi del tempo.

È stato un lavoro impegnativo ma an-che molto divertente. Ho cercato nomi appropriati per i personaggi e mi sono documentata sui cibi, sulle armi e sugli indumenti del periodo. Anche se indub-biamente a farla da padrona è la storia d’amore, ho ritenuto importante che la ricostruzione storica fosse accurata.

Isbn

978

-88-

9727

-775

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Pagine 100 • € 10,00disponibile anche in formato eBook

Può nascere dalla violenza un grande amore?

Sindrome di Stoccolma

il normannoIn un Medioevo magico e appassionato tra armature, manieri e gesta coraggiose, si snoda la vicenda di Elizabeth, nobildonna inglese caduta in mano a un capo normanno che disporrà di lei a suo piacimento rimanendone però a sua volta conquistato.Una ricostruzione storica ricca di sfumature e di risvolti imprevedibili, dove pulsioni irrefrenabili e grandi passioni si mescolano pagina dopo pagina.

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Francesca Panzacchi

Francesca Panzacchi

dopo la battagliaInghilterra,25 ottobre 1066

Il fragore della battaglia si era ormai spento. La notte era fredda e silenzio-sa, avvolta da pesanti coltri di nebbia.

Piccoli distaccamenti dell’esercito normanno stavano conquistando i feu-di circostanti, uno dopo l’altro. A volte l’inevitabile resa era immediata, altre volte il feudo veniva strenuamente di-feso, fino alla morte.

Elizabeth era seduta sul pavimento di quello che fino al giorno preceden-te era stato il suo castello. Una grossa corda le cingeva il collo. L’altra estre-mità era tenuta ben salda nella mano dell’uomo che sedeva di fronte a lei.

Il normanno la scrutava in silenzio, compiaciuto del suo bottino, mentre i suoi uomini si rifocillavano bevendo vino in quantità.

Eric Devereux strattonò leggermente quella corda ruvida per suscitare una reazione nella ragazza che però strinse i denti e si mosse soltanto impercetti-bilmente. Elizabeth non piangeva, né implorava pietà, si limitava a fissarlo restando in attesa di un suo gesto. Se provava ad abbassare lo sguardo il ca-valiere normanno prontamente la ri-chiamava, ordinandole di guardarlo.

Così lei tacitamente ubbidiva, ricam-biando suo malgrado quello sguar-do crudele, ma rimanendo in qualche modo distante, come protetta da un

nobile e altezzoso riserbo, una sorta di muro invisibile, l’unica difesa che le restava. Lui l’aveva trovata insieme alla sorella minore Anne quando, con un manipolo di uomini, aveva fatto ir-ruzione nel castello abbattendo il gi-gantesco portone.

L’aveva guardata con occhi avidi e l’a-veva trascinata con sé, riservandosela come ricompensa per quell’impresa.

I suoi uomini sapevano che non po-tevano toccarla, perché per una sor-ta di legge non scritta, le donne nobili che facevano prigioniere spettavano ai capi e non ai soldati. Tuttavia lui l’a-veva tenuta in disparte, quasi temesse un’eccezione a quella regola. L’ave-va legata ben stretta non solo perché non scappasse, ma anche perché fosse chiaro a tutti che quella donna ormai apparteneva a lui soltanto.

Estratto

Capitolo,

Il

Normanno

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estratto la città punita

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La sera si stava approssimando e le bande nere iniziavano a sentirsi a proprio agio. Ormai la tattica era

sperimentata. Gli assalti notturni alle retrovie dei soldati tedeschi avevano reso parecchio nei giorni passati, ed era venuto il momento di attaccare il grosso del contingente nemico.

L’obiettivo di Georg Frundsberg era di rinforzare l’esercito imperiale, im-pegnato con le forze della Lega, quello di Giovanni de’ Medici impedirlo a tutti i costi. Raimondo cavalcava nelle prime file, accanto a lui vi erano Lucantonio Cuppano e il capitano Giovanni de’ Me-dici. Pur essendo molto giovane, Gio-vanni, aveva già fama di comandante esperto e le sue bande nere era l’unico reparto militare che in quei giorni ave-va avuto l’ardore e l’ardire di affronta-re i lanzichenecchi.

Le forze nemiche erano scese dalle pianure tedesche qualche settimana prima e l’esercito della Lega di Cognac, comandato dal duca di Urbino France-sco Maria della Rovere, aveva preferito ritirasi da Milano e dirigersi verso Ma-rignano. Giovanni dalle Bande Nere si era rifiutato di seguirne la ritirata pre-ferendo fare di testa sua.

-Capitano!- Esclamò Raimondo a voce bassa

-Dimmi Amico mio - Rispose Giovanni-Stavo pensando allo scherzo che ci

hanno tirato i Gonzaga. Forse in questa guerra abbiamo troppi nemici.-

-Che cosa vuoi dire?--L’affronto di ieri notte Giovanni!--Non ti preoccupare quando avremo

vinto questa guerra, la pagheranno. Dovranno pur trattare con Sua Santi- Is

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CAPITOLO I°Governolo, mantova, 25 novembre 1526

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di Fabio Bertinetti

CAPITOLO I°Governolo, mantova, 25 novembre 1526

tà il momento in cui gli Imperiali saranno

cacciati dall’Italia. --Non mi preoccupo del futuro, ma del

presente.--Non ti deve intimorire la battaglia

Raimondo. Ne hai combattute parec-chie al mio fianco e sai come riuscia-mo a colpire con rapidità. Ben conosci come riusciamo a essere devastanti.-

-Non mi curo della battaglia. Ho una fiducia smisurata in questi uomini. Senza contare che i tedeschi ormai ci temono. Da giorni stiamo colpendo le loro vettovaglie. Li cogliamo all’im-provviso di giorno e di notte. Non han-no mai il tempo di ingaggiarci e scon-figgerci.

Mi preoccupo delle trame che posso-no essere ordite alle nostre spalle. Ti dico per esperienza che le alleanze si tessono e si sciolgono con la stessa ve-locità di un batter di ciglia. Ieri hanno sollevato il ponte levatoio di Borgofor-te per impedirci di assalire i tedeschi. Posso anche capire la necessità di un piccolo stato nel collaborare con l’im-pero e far passare i soldati sul proprio territorio, ma impedirci il passaggio è un segnale che non mi piace Per non parlare poi dei falconetti che Alfonso d’Este ci aveva promesso e che non sono mai arrivati.-

-L’importante è che siamo passati, Raimondo. Per quel che riguarda le artiglierie, faremo in modo che non ci servano. Ora però silenzio, anche se siamo sottovento, non voglio rischiare che i nemici ci sentano-

Giovanni fece un cenno e tutta la colonna si fermò. Avanti c’erano i ca-valieri in armatura, equipaggiati con armi da urto e corazze brunite per

confondersi nella penombra. Più die-tro vi erano gli archibugieri a cavallo, soldati che smontavano quando era il momento di combattere e risalivano in sella quando era il momento di fuggi-re. Entrambi erano montati su cavalli arabi, piccoli e veloci animali che favo-rivano la rapidità dell’azione.

Uno degli esploratori in quel momen-to tornò e si fermò di fronte al capita-no, facendogli cenno di seguirlo. Pas-sarono alcuni minuti, quindi si giunse in vista di una fornace presso la con-fluenza tra il Po e il Mincio.

Giovanni chiamò a sé Lucantonio e gli diede delle istruzioni semplici ma efficaci, poi chiamò Raimondo e gli disse:

-Stammi vicino!- Raimondo annuì rimanendo accanto

a quel condottiero più giovane di lui, che si comportava come il più anziano ed esperto dei comandanti.

Giovanni de’Medici si pose in testa alle truppe in armatura allontanandosi dalle forze nemiche, mentre Lucanto-nio Cuppano assunse il comando degli archibugieri a cavallo facendosi sotto i tedeschi.

Il movimento degli italiani non passò inosservato. Georg Frundsberg accor-tosi del pericolo fece disporre alcuni dei suoi in ordine di battaglia, lascian-do ai più l’incombenza della marcia. Lucantonio fece avvicinare i fanti con la precisa volontà di attirare su di se l’attenzione del nemico.

Quando ritenne di essere alla giu-sta distanza, ordinò ai suoi di aprire il fuoco. In breve gli uomini scesero da cavallo e iniziarono a sparare sui lanzichenecchi, che disposti in ordine

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estratto la città punita di Fabio Bertinetti

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Fabio Bertinetti

chiuso per difendersi dalla cavalleria, erano un bersaglio facile. Anche dalle file tedesche partirono palle di archibu-gio, ma gli italiani dispersi sulla pianura risultavano difficili da inquadrare anche a quelle distanze non proibitive.

Non c’era fuoco organizzato da parte italiana e non vi era neppure il preciso intento di abbattere quanti più soldati possibili. Il vero scopo di Lucantonio era costringere i nemici a disperdersi per fa-vorire la carica di Giovanni.

Lo scambio di colpi fu breve; con l’ap-prossimarsi dell’oscurità il capitano de’Medici partì all’attacco e con lui Rai-mondo. Il drappello di tedeschi fu in-vestito sul fianco e in breve si disperse lasciando sul terreno morti e feriti. Rai-mondo si lanciò all’inseguimento di chi fuggiva, mentre dalle retrovie truppe fresche venivano organizzate dal Frun-dsberg per resistere alla carica e dare riparo ai compagni.

In breve il capitano de’Medici tornò in testa ai suoi e si accinse a caricare an-che la seconda linea di picchieri, men-tre i suoi archibugieri erano rimontati a cavallo e sparavano dagli animali contro ogni tedesco che avesse un’arma da fuo-co. Sembrava una vittoria netta, ma fu solo un’illusione…..

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Pre-visioni: La mappaC’è un testo insolito realizzato di recente da un’artista ameri-cana, una tal Shelley Jackson, che tra nome e cognome rievoca in un unico pseudonimo la creatrice del primo essere artificiale della narrati-va (la Mary Shelley di Frankenstein) e uno dei musicisti più geniali, discussi e discutibili della contemporaneità (Mi-chael Jackson). Il testo si chiama The Patchwork Girl, è accessibile sul web e si configura come una curiosa autobio-grafia. Jackson si racconta regalandoci l’immagine abbozzata di un corpo fem-minile, attraversato da tagli e sezioni che lo fanno somigliare a uno di quei grafici che una volta si trovavano in ma-celleria, a indicare le parti più o meno pregiate del malcapitato manzo desti-nato a diventare nostro cibo. Cliccando su ciascuna sezione, si apre uno specifi-co “capitolo” di autobiografia, e la parte del corpo che è stata cliccata racconta la sua storia.Ecco: per quel che mi concerne queste fotografie funzioneranno così: una per una, seguendone l’ordine redazionale e ignorando invece l’ordine cronologico della mia storia, vedrò di raccontarvi la persona - la donna (perché poi a volte le due definizioni non coincidono) – che ora a 52 anni mi pare di essere. Del tut-to transitoriamente: perché anche alla mia età ancora si ha molto tempo per cambiare.

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intervista fotografica

Sguardi narrantiL’inizio di ogni storia non è la prima parola, ma il primo sguardo, l’occhiata obliqua ma decisa che si deposita sul materiale che si vuole narrare. Contra-riamente a quanto si pensa, lo sguardo dello scrittore implica una intensa reci-procità: in qualche modo, occorre che l’oggetto guardato “risponda”, mani-festi empatia, si offra a essere raccon-tato. Sono una buona osservatrice, ma selettiva. Significa che non noto neces-sariamente tutto. Piuttosto, vedo – in quel che mi circonda – ciò che istinti-vamente percepisco come interessan-te, per quanto collaterale possa esse-re. E magari, invece, non noto oggetti centrali, storie che sono sotto gli occhi di tutti. Il mio è, credo, uno sguardo obliquo e laterale, e lo è senza sforzo, senza che io abbia dovuto imparar-

lo. E’ una fortuna, perché con gli anni ho capito che proprio

questa lateralità mi consente di vede-re quel che non è

chiaro a tutti, ciò che è nascosto nel-le cose. Solo dopo,

quando ho visto, con la parola racconto.

Pre-visioni: La mappa

Sguardi narranti

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Nicoletta Vallorani

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Di sabbia e soleC’è un’intensità particola-re nella fine: il crepuscolo è la conclusione di un gior-no, il finale di una storia pur breve, ma sempre riempita di eventi. Soprattutto, il cre-puscolo sul mare rappresenta il luogo e il tempo che mi sono familiari, l’orizzonte che cono- sco. Sono nata vicino a un posto di mare, e sul mare ho abitato per i primi vent’an-ni della mia vita. Non molti, a pensar-ci adesso, ma quelli che mi hanno co-struita, e soprattutto hanno modellato il mio sguardo. E senza dubbio, forse simbolicamente, ho sempre amato di più il crepuscolo che l’alba, il mo-mento in cui la luce si spegne, molto lentamente, e il sole scende dietro i colli. Il mare è l’Adriatico, dunque, il tempo della mia infanzia gli anni ‘60 e ’70: anni difficili, persino in provincia, solo in parte raccontati, per la prima volta, nel mio romanzo più recente (Le madri cattive). Ho impiegato vent’anni – altri venti: è un numero cabalistico, temo – per trovare il coraggio di tor-nare a questa storia e a questo posto. Le madri cattive è la prima storia mia ambientata in un posto che somiglia a S.Benedetto. Non è stato facile scri-verla. Ma è il mio romanzo migliore fin qui, quanto meno dal punto di vista let-terario.Ed è la ferita più profonda, quella per la quale è stato più difficile trovare le parole giuste.

Parole e polvereI libri, quelli degli altri ancora più dei miei, sono ciò che porto con me. Cono-scenza sedimentata nel tempo, ma an-che emozione profonda, rabbia o ran-core, desiderio, viaggio immaginario, morte, nascita: una miriade di vite vis-sute per procura, attraverso il corpo di qualcun altro. Fatico ad adeguarmi alla scomparsa della carta stampata. Mi piace la tecnologia e sono affasci-nata dal digitale. Ma il libro è carta, materialità, una pagina che invecchia nel tempo, come succede alle persone, alle creature che vivono. Non è sosti-tuibile. Affiancabile, forse, ma sostitu-ibile no. Scaffali ricolmi di storia sono la mia idea di memoria. Un rogo di li-bri è la mia idea di dittatura. Una casa vuota di libri è la mia idea di squal-lore. Amo Borges e Canetti perché hanno saputo parlare di biblioteche,

tra le altre cose. Mi affascina l’i-dea di poter essere nella

biblioteca di qual-cun altro, e di potergli rac-contare, sen-za conoscerlo, la mia versione della Storia.

Di sabbia e sole

Parole e polvere

Page 16: Io Come Autore 17

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ClessidraIn tutto questo, il tempo è na-turalmente un dato centrale. Nel tempo fermo, non esiste evoluzione. Conosciamo solo il tempo lineare, nella nostra esperienza. Nell’immagina-rio le dimensioni si moltipli-cano e i percorsi possono essere i più vari. H.G.Wells ipo-tizza che il tempo sia una quarta dimen-sione, concepibile e riproducibile come tutte le altre. Ogni scrittore, per quanto limitati siano i suoi talenti, non fa che raccontare il tempo, un tempo specifico per qualche motivo per lui affascinante.Guardandomi indietro,mi accorgo di aver spesso raccontato tempi di transi-zione: rituali di crescita (Occhi di Lupo, Ariel e Azul, Come una balena, Dentro la notte e ciao, Visto dal cielo), momen-ti di svolta (Le sorelle sciacallo, Eva), nascite mancate e morti affrontate (Le madri cattive). Mi interessa il momento in cui il tempo subisce una brusca acce-lerazione per motivi spesso violenti.

Voglio vedere – capire, cioè, attraverso la scrittura – come reagiamo al brusco cambiamento di ritmo, come ci misuria-mo con l’accelerare della storia. Perché il senso del tempo, quello che sperimen-tiamo nella realtà, è che il suo trascor-rere non può essere modificato.

intervista fotografica

Fotografare la vitaQuesto è un gioco sleale. La foto-grafia è sempre stata affine al mio lavoro come scrittrice. Io guardo, e, come scriveva Conrad nella ce-leberrima Prefazione a Il negro del Narciso, e poi ambisco a far vedere, attraverso le parole, quel che ho visto io. Non sempre ci ri-esco, ma a volte sì. È curioso che solo ora, dopo ormai una quindi-cina di romanzi, sia arrivata a far raccontare la mia storia dalla voce di una fotografa: donna che si fa sguardo e parola, e che racconta una storia di madri assassine, per dire anche qualcosa di se stessa, del suo rapporto con sua madre (quella che ha) e con LA madre (quella che lei s t e s s a non ha volu- t o essere). Era, dal principio, una storia complicata, che poteva essere det-ta solo per immagini.

Clessidra

Fotografare la vita

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17www.iocome.it

Città di carne, città di cartaLe città, dice in molti modi Calvino, sono quello che noi ricordiamo di esse dopo averle attraversate. E ciascun ricordo è legato allo sguardo di uno spe-cifico narratore: la stessa cosa, lo stesso panorama, lo stesso monumento saranno ricordati in modi molto diversi da viaggiatori diversi. Ho lavorato sulla città come po-lis per buona parte della mia vita di stu-diosa. Me ne sono occupata cercando di capire i molti modi in cui gli abitanti delle metropoli contemporanee cerca-no di trasformare uno spazio estraneo in un luogo accogliente.

Ho ragionato sulle utopie urbane parto-rite dalla fantasia di architetti di grido ma del tutto sradicate dal tessuto uma-no della città reale. Ne ho scritto e ho fantasticato intorno a quello che sta di-ventando questa tessitura primaria del nostro vivere insieme. Tutti i miei ro-manzi, con l’eccezione forse di un paio (tra i quali, forse, l’ultimo), sono am-bientati in città: sembra che sia questo – sia stato per me questo – il luogo in cui le cose accado-no. Il che è curioso, detto a una provinciale. O forse è logico: si vede meglio uno spazio quan-do non si appartiene ad esso.E io dovevo sicuramente con-sumare attraverso la scrittu-ra il mio complicato amore per Milano.

Milano piazza DuomoComplicato amore per Milano, appunto. So-

spetto che questa città sia ormai diventata, per me che non

ho radici, quasi come casa. Ci sono ar-rivata a 23 anni. Sono rimasta per sba-glio: prima per lavoro, e poi perché le circostanze della vita mi han reso im-possibile andarmene. Il punto è che la città mi è sempre piaciuta di più di quanto io riuscissi ad ammettere.In principio, c’era molto da raccontare, e io ho raccontato (Il cuore finto di DR e Dentro la notte e ciao). E c’era que-sta spaccatura tra notte e giorno, que-sta divaricazione evidente tra il mondo diurno e quello notturno: due universi separati, legati dal patto di restare per sempre paralleli. Per me, proprio que-sta frattura ha generato due cifre di scrittura diverse: un dura, nera e not-turna (Dentro la notte e ciao, Le sorelle sciacallo, Eva) e una più solare e diver-

tita, più apertamente politica (La fidanzata di Zorro, Cuore

meticcio, Visto dal cielo e Lapponi e criceti).Non sono ancora riusci-ta a ricucire i due pezzi di città. Non è detto che prima o poi questo non ac-cada.Per ora, tuttavia, è meglio – mi pare meglio - che i due pezzi rimangano separati.

Nicoletta Vallorani

Città di carne,

città di carta

Milano piazza Duomo

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Il bianco e il sangueLo scenario di un omicidio è, sempre, uno spazio bianco da sovrascrivere con la storia di chi ha ucciso e di chi è sta-to ucciso. In fondo, ho sempre trovato più interessante la storia dell’omicida, il mistero da svelare.Della vittima parlano – spesso incipien-temente – le cronache. L’assassino, in-vece, è l’oggetto di odio assoluto e indi-scriminato e, spesso, il mistero.

Il mistero più profondo è, appunto, quello delle madri che uccidono. Non credo di essere riuscita a capire perché questo accada, ma ho provato a dipa-nare la matassa di solitudine, angoscia, depressione e irresponsabilità che sta dietro questo genere di omicidio. Senza giustificarlo.

Semplicemente cercando di ca-pire se noi che giu-

dichiamo, noi che leggiamo i giornali, noi che siamo i fortunati “nor-mali”, possia-mo fare qual-cosa di più che scandalizzarci e condannare chi ormai non può comunque esse-re più salvato.

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intervista fotografica

bambini nel tempo

I bambini sono un mi-stero di tipo diverso, e

non sempre un mistero allegro. L’infanzia era un tempo felice quando i miei

genitori erano piccoli. Ora è un’epoca complicata e con-

torta, disseminata di minac-ce insospettabili, tempestata di impe-gni e responsabilità e minacciata da patologie che non ritenevamo neanche vagamente prevedibili. È, soprattutto, un’epoca orrendamente solitaria. E torniamo alla medesima questione: il pozzo di solitudine, il muro di silenzio, la protezione muta, spesso traducibi-le in semplice abbandono. Ci vuole un tempo infinito – di minuti, ore, giorni e settimane – per capire i propri figli. È più semplice lavorare moltissimo per poterne pagare i “vizi” piccoli e gran-di. È più semplice, garantisco: il tem-po passato coi figli è una sfida che da adulti sappiamo raccogliere in pochi. È una sfida pesante perché comunque, per quanto noi si possa amarli (i nostri figli, cioè), restiamo gli adulti, quelli che dovrebbero dare le regole, e man-tenerle, tracciare la strada per diven-tare grandi. È un lavoro faticoso e non dà luogo ad avanzamenti di carriera. Dunque, per questo, molti di noi adulti preferiscono lavorare come pazzi per poter comprare aggeggi sempre nuovi ai piccoletti. Forse sono all’antica. Ma non è una buona strategia. Non credo proprio. Ho provato a raccontare la storia di un abbandono nell’unico mio romanzo non di genere. Ed è anche uno dei romanzi che amo di più: Cordelia.

Il bianco e il sangue

bambini nel tempo

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Metropolis: l’inizio e la fineMetropolis ha il sapore dei miei primi passi nella scrittura. DR, il primo per-sonaggio nella mia carriera di scrittrice è nato da lì, da quella ispirazione. Ba-nale: lo so. Il film di Lang è un capo-lavoro assoluto, dal quale è impossibile non farsi ispirare. E tuttavia penso che non tanti lo abbiano fatto rivoltando la prospettiva. Voglio dire: la mia idea di base era quella di raccontare la storia dal punto di vista della donna costru-ita per essere un “oggetto”, un’entità meccanica e servizievole, docile e adat-tabile. DR, pur concepita così, diventa altro. E racconta il mondo degli esseri umani con una nostalgia ironica che è stata per me la vera scoperta. Di sicuro non è il mio personaggio più riuscito, ma è stato l’anello iniziale della catena. E quello che prima o poi chiuderà il cer-chio, ammesso che nella scrittura ci sia un cerchio da chiudere.

Nicoletta Vallorani

Compagnia per la CreaturaAlla fine, la storia è sempre quella: Dio creò la donna perché tenesse compa-gnia all’uomo. La Creatura di Franken-stein ha bisogno di una sposa, perché si sente solo.Ho insegnato alle mie figlie che le cose, nella vita, non devono sempre andare così, e che si può essere persone intere anche senza diventare l’accessorio pri-vilegiato di un uomo.Qualche anno fa, la mia figlia piccola mi ha detto: “Mamma, lo sai perché Dio ha creato prima l’uomo e poi la donna”. Ho pensato che la piccoletta doveva attra-versare una consistente crisi mistica, e sorridendo le ho risposto: “No. Perché?”Lei, tutta felice: “Perché sbagliando si impara”.Questo è l’equivalente familiare di un avanzamento di carriera, appunto.

Metropolis: l’inizio e la fine

Compagnia

per la Creatura

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estratto

Tutto è scomparso, a parte il disordine. Non c’è il corpo, non c’è l’assassina, qual-cuno è sparito, senza lasciar traccia di sé oltre al caos. Io sono uno sguardo. Tutto quel che vedo diventa memoria. Basta uno scatto, e que-sta è la scena. Un vecchio comò zoppo cui manca un cas-setto. Dagli altri pendono vestiti come ten-daggi. Bianchi, con macchie. Vestiti sul pavimento, anche. Un top nero. Un paio di slip. Collant smagliati. Un va-setto vuoto di yogurt. Economico. Un fornello che non viene pulito da mesi. Fotografo. Macchie scure sul pavimento.

capitolo 2

Le madri cattive - Salani - 2011

Wick(ed) Children. Strane storieSkira - 2010

Occhi di lupoSenzapatria Editore - 2010

Lapponi e cricetiEdizioni Ambiente - 2010

OrbitalsCUEM - 2009

Come una balena - Salani - 2008

Si muore bambiniPerdisa Pop - 2008

le madricattive

Isbn

978

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6256

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Pagine 253 • € 14,00anche in formato eBook

La narrativa di Nicoletta

Vallorani

Nicoletta Vallorani è nata nelle Marche. Da molti anni vive a Milano, dove insegna Letteratura Inglese all’Università. Pubblica romanzi di genere per adulti e romanzi per ragazzi per diverse case editrici. È tradotta in Francia da Gallimard e in Inghilterra da Troubador Publishing.

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di Nicoletta ValloraniSangue. Rappreso. Il bagno è una stanza di transito: da una porta si entra, dall’al tra si esce. È un segmento di corridoio trasformato nel luogo del lavacro e della vestizione. Doccia da una parte, lavandino e water dall’altra, un tappeto di abiti spor-chi sotto i piedi. Niente lavatrice, conside-ro, mentre fotografo. Così, in diapositive giustapposte nella mente, la vedo, quest’altra compagna dei miei incubi. Vedo la scena come dev’esse-re accaduta, in fotogrammi staccati.La morte non è mai una sequenza coeren-te. La madre puttana e strega torna a casa che è ormai mattino. È sporca di sudore e sperma, col sapore di uomini appiccicato alle mani e in bocca, e ha occhi gonfi di sonno e stanchezza che non si può dire. Si spoglia mentre arriva al suo letto. Piedi sporchi che lasciano orme sulle piastrel-le nel bagno-corridoio. Slip abbandonati, una maglietta, una gonna. Cammina, la mia madre assassina, dritta incontro a quel che farà. E questo silenzio che urla, chiuso dentro la testa. Nessuno ascolterà. Tutto è scritto, diceva mio padre. Così, nel mio sogno di veglia, le guardo le mani, a questa madre. Sono mani grandi e affusolate, persino belle. Così è quasi con eleganza che si depositano intorno al collo del piccolo: colombe scure che prima sfio-rano leggere il viso del bambino addor-mentato. Occhi che ne osservano il sonno. Ricorda, la mia madre assassina, l’odore salmastro degli uomini che l’hanno avuta questa notte e quella prima e quella prima ancora. Ricorda chi l’ha chiamata negra, il dolore fisico e bruciante, le spinte violente, i cor-pi pesanti farsi vuoti di pensieri e di de-siderio in un tempo che sembra infinito. I soldi in mano. Ricorda che è tornata a casa. Ricorda che voleva dormire. Ricorda che ha un figlio.

A non guardare i segni sul collo, nulla sembrerebbe cambiato. Il bambino parrebbe dormire ancora, ne sono certa, se io potessi vederlo ora. E fo-tografarlo.

* * *

« Finito? » Non rispondo. Le voci mi disturbano quan-do lavoro. «Me ne devo andare. Sarà meglio che lei si sbrighi».«Fatto». Sistemo la Nikon, mi tiro su il ba-vero del cappotto e mi rimane tra le dita un capello color argento. È mio. Chi mi ac-compagna ha capelli neri, vent’anni meno di me, e un’insopportabile mancanza di pazienza. Io ho un ricciolo bianco, lungo, che mi avvito intorno a un dito e poi dietro l’orecchio destro, quando non scatto foto. È il segnale che ho finito, o che devo co-minciare.« Bene. Chiudiamo tutto ». ↝

La narrativa di Nicoletta

Vallorani

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estrattoSolo adesso vedo l’altro, occhi verdi e qualche anno in più, spettatore silenzioso della scena e in borghese, con uno sguar-do che contraddice il mestiere che fa. Mi viene in mente mio padre: fuori dal mondo dentro una divisa. Ma è un attimo. Sono protetta di nuovo. « Sì, andiamo ».Via dalla scena del delitto.Ora si cerca la madre assassina.Per strada, l’aria ha sapore di mare. Sia-mo vicini alla mia casa, penso,mentre la presenza non registrata sulla scena del delitto mi cammina accanto. Ha occhi belli e un viso intagliato nel legno, e fa il poliziotto. L’ispettore, per meglio dire. Nessuna divisa, nessun ordine preso da altri, una padronanza disinvolta della sce-na del delitto.« Chi mi ha chiamata? » chiedo.Gli occhi verdi mi guardano stupiti. « Come? Non lo sa? »Scuoto la testa, distogliendo lo sguardo. « La dottoressa » riprende lui. « Quella che collabora con noi in questi... casi. Non che ce ne siano molti. Però quando ci sono telefoniamo a lei. Si occupa dei matti. Ari-el, la chiamano ».Il passato ha un sapore di salsedine e di sole in settembre. Eravamo amiche, un tempo. Poi non ci siamo più sentite. Ari-el. L’ultima volta è stato ai tempi del l’uni-versità: l’ultima cena a casa sua, con sua madre già malata, e io che dicevo di non volerla vedere mai più.« Sono arrivata » dico pensierosa, ferman-domi davantial cancello.« Comodo un lavoro vicino casa » sorride occhi verdi, e io non capisco se è una bat-tuta o no. « Arrivederci ».È già sparito mentre entro.E mentre entro, sempre, squilla il mio te-lefono. Sollevo la cornetta, con un sapore di passato stretto tra i denti.La voce dice: « Sono Ariel ».In trappola.

da Le Madri Cattive, Salani 2011

di Nicoletta Vallorani

CordeliaFlaccovio Dario - 2006

Il nome segreto della guerraSalani - 2006

Visto dal cieloEinaudi - 2004

Il cuore finto di DRTodaro - 2003

La fatona- Salani - 2002

Eva - Einaudi - 2002

Occhi di lupo - EL - 2000

Come una balenaSalani - 2000

Le sorelle sciacalloDeriveApprodi - 1999

Achab e AzulEL - 1998

Un mistero cirillicoEL - 1998

I misti di SurAdnkronos Libri - 1998

Cuore meticcioMarcos y Marcos - 1997

Luca De Luca detto LinceEL - 1997

Pagnotta e i suoi fratelliEL - 1997

La fidanzata di ZorroMarcos y Marcos - 1996

DarjeeAdnkronos Libri - 1996

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L’amore quello con la A maiuscola, l’a-more estivo, l’amore di vip. Riempiono le pagine delle riviste patinate di questi giorni. Ne siamo bombardati e pericolo-samente assuefatti. Ma agli amori che sbocciano nelle calde temperature, sotto gli ombrelloni con profumo di salsedine, noi preferiamo le emozioni che vivono i protagonisti dei romanzi finalisti del Concorso letterario Pagina UNO.

Il sentimento che ha ispirato Katia Car-lini per La parentesi della mia stanza è un amore drammatico e difficile, vicino a quello narrato da Margaret Mazzanti-ni. Alla base della storia di Mew Notice (Come in un batter d’ali) c’è invece l’a-more che unisce il reale al sovrannatura-le, l’idea dell’anima gemella da cercare nel corso di tutta una vita, se basta. Il mito dell’Iperuranio di Platone compa-re anche nelle pagine di Le fiabole di

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l’amore nei romanZi del concorSo paGina uno di ded’a

A. di Angela Maurizi, per la quale non ha importanza che a spalancarsi sia-no i cancelli del paradiso o le porte di un abisso sconosciuto. L’importante è ritrovare se stessi nelle sembianze di un altro. L’amore che non ha parametri per essere definito. L’ amore assoluto.

Aspro-Monte, il romanzo di Giuseppe Pipino è invece incentrato sul senti-mento opposto all’amore, l’odio. L’uma-nità, secondo l’autore, non si è ancora sollevata dalla sua condizione primiti-va e bestiale per cui tutti sono in lotta tra di loro cercando di prevalere l’uno sull’altro. Soltanto due dei protagoni-sti riescono, attraverso l’amore appun-to, a ricavarsi uno spazio per fuggire a questa continua lotta.

La passione alla base di Ultima corsa – Sentimenti in gara, per Ettore Bucci, non è solo quella romantica e classica

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ero17concorso letterario

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tra uomo e donna, ma quella che più in generale è alla base di ogni forma d’amore: l’amore per la libertà, per la gioventù, per la vita e soprattutto per la libertà conquistata sulle due ruote. L’amore che consente al protagonista di coronare i propri sogni. In Costanti-na Frau (Su Sessantotto) è invece l’a-more familiare a prevalere, dall’inizio alla fine, per la mor-te della persona più cara all’autrice, la sua nonna.

E noi? A noi piace esser un luogo d’incon-tro per tutti questi amori!

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Una mattina di metà febbraio il Prof. robert Foster ricevette un piccolo pacco avvolto con una carta mar-

rone, legato con una sottile cordicella. Posò l’oggetto sul tavolo, si sedette e cercò sul retro il nome del mittente.Trovò una sigla: due lettere maiuscole che non suscitarono altro che evidente curiosità.– J.H. – pronunciò ad alta voce. Si rese conto di non conoscere nessuno con quelle iniziali, aprì il pacco con ner-vosismo e si trovò in mano l’edizione di un testo sconosciuto: Summa Philoso-phica di Johann Heidenberg. il volume era costituito da poche pagine conte-nenti un breve testo, alcune misteriose tabelle e una decina di fogli scritti con un codice incomprensibile. Un centina-io di pagine immacolate davano corpo a quell’opera enigmatica.Foster si ricordò di aver incontrato ter-mini simili a quelli del titolo, in qualche testo di filosofia occulta, probabilmen-te a casa del vecchio William Paltrow, suo collega e amico di gioventù, erudi-to studioso di esoterismo e conoscitore delle segrete cose.Robert Foster, stimato medico e ricerca-tore londinese, si era iscritto pochi anni prima in una Loggia massonica della

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978

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6496

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Pagine 232€ 18,00

estratto

il SeGreto di welma fox capitolo i

londra, febbraio 1859

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di Giancarlo Guerrericapitale, spinto da naturale curiosità e soprattutto dalle insistenze dell’amico e collega William Paltrow.L’incontro con il nuovo ambiente aveva suscitato in lui il sincero desiderio di approfondire la conoscenza degli argo-menti di carattere occulto, riguardo i quali sapeva poco o nulla.Forse fu la suggestione di un Tempio massonico, con le cerimonie partico-larmente curate e le specifiche compe-tenze di molti nuovi Fratelli, a far scat-tare in lui quel desiderio di conoscenza che fino ad allora aveva dormito sonni tranquilli, grazie alla presenza di au-tentici esperti di discipline sconosciu-te e di materie inaccessibili delle quali ignorava totalmente l’esistenza.Osservò in tutte le sue parti quello strano testo che si presentava assolu-tamente indecifrabile e ne collegò im-mediatamente l’arrivo alla sua appar-tenenza all’ambiente massonico. Per questo motivo decise di far visita al suo fidatissimo mèntore, portando con sé il misterioso reperto.Nel pomeriggio, giunto a destinazio-ne, scese dalla carrozza e attraversò il breve tratto di giardino che conduceva alla villa di William Paltrow.– Fratello mio, siete in perfetto orario per una buona tazza di tè – gli disse William aprendo le braccia in segno di benvenuto.

Foster sorrise stringendo a sé il corpu-lento amico, si tolse il cappotto e posò guanti cappello e bastone, entrando so-lennemente nella lussuosa abitazione.– Sono venuto a trovarvi per sottopor-re alla vostra sottile e colta mente una complicata questione esoterica – disse, porgendogli il pacchetto contenente la

copia ricevuta per posta quella stessa mattina.Summa Philosophica di Johann Hei-denberg! – esclamò pensieroso – Que-sto potrebbe essere il vero nome del noto Tritemio.Sì, mi pare proprio che sia lui, aspetta-te che controllo.Dopo aver fatto accomodare l’ospite nel salottino del tè, si diresse verso la libreria, fece una breve ricerca ed estrasse un volume piuttosto corposo che conteneva un singolare elenco di autori di opere magiche, in parte per-dute, nonché le indicazioni dei rispet-tivi lavori.– Johannes Trithemius pseudonimo di Johann Heidenberg(Trittenheim, 1 febbraio 1462 – Würzburg, 13 dicembre 1516)!– esclamò con convinto autocompiaci-mento – sì, era dunque il vero nome di Tritemio! – elencò almeno una trentina di titoli senza trovare alcun cenno alla presunta Summa Philosophica – Trite-mio – disse corrucciando la fronte spa-ziosa – era un frate benedettino che si occupava di magia evocativa, un gran-de mago vissuto tra il ’400 e il ’500, che con le sue convinzioni esoteriche disturbò non poco la Chiesa secolare. A quei tempi, come ben sapete, basta-va poco per finire sul fornello e questo Tritemio riuscì a evitarlo per puro mi-racolo.– Cosa intendete per magia evocativa? – chiese Foster più turbato che incu-riosito.– L’arte di evocare gli spiriti dei de-funti… il buon Tritemio era un negro-mante che comunicava con i morti e li faceva apparire come se fossero vivi. ricordo che si rivolse a lui l’imperatore

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ero17estratto

Massimiliano i d’Asburgo per chieder-gli un consiglio sul risposarsi o restar fedele al ricordo della defunta moglie. “Chiediamolo all’interessata”, rispose Tritemio con disinvoltura, quindi dise-gnò un cerchio sul pavimento, facendo rabbrividire il povero imperatore che dopo la declamazione di alcuni scon-giuri vide materializzarsi l’imperatrice Maria di Borgogna che, più bella che mai, consigliò il marito sull’opportuni-tà di risposarsi e di prender moglie in quel di Milano. L’imperatore non sep-pe far fronte a quella visione, svenne e solo più tardi ricordò vagamente quella strana anticipazione; ma “Fato” non si arrende con facilità e dopo breve tempo sposò Bianca Maria, figlia del defunto Galeazzo sforza, duca di Milano.Foster rimase basito per quella dimo-strazione di sfoggio di cultura, strinse il volume a sé gustando il peso del suo maggior valore acquistato dalle infor-mazioni ricevute.ora sapeva qualcosa di più sull’autore di quei segni incomprensibili, ma que-sto ovviamente non gli bastava e tentò di sondare maggiormente la cultura del suo amico:– ditemi, cosa racconta Tritemio?– secondo gli studiosi più accreditati, la sapeva lunga, conosceva e frequentava il mondo degli spiriti come voi frequen-tate il circolo degli scienziati di Londra o quello dei filosofi di Cambridge, par-lava realmente con i defunti, li aiutava a ritrovare la luce e poteva anche sonda-re nelle tenebre più profonde, per recu-perare informazioni molto “riservate”…

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– Parlava e gli rispondevano allo stes-so modo? – chiese l’ospite con legittimo sgomento.– Vedete, caro William – gli rispose con voce compassata – comunicare con gli spiriti non è cosa molto difficile, ma dif-ficile è sapere con chi si stia realmen-te parlando. i mondi abitati dalle Entità sono vicini al nostro, appena fuori dalla porta, sì, dalla porta di comunicazione con il Piano Astrale, la zona di passag-gio ove si trovano coloro che non hanno più i piedi per terra… A loro i piedi non servirebbero poi molto. bisogna però porre molta attenzione poiché vi sono differenti gradi di vibrazione che fanno sì che il Piano sia suddiviso in sottopia-ni con diverse popolazioni di spiriti.Foster era ammutolito, sentiva parlare di Piani e sottopiani, di mondi e vibra-zioni: concetti che non facevano parte del proprio bagaglio culturale. Ammi-rava molto l’amico Paltrow e si rasse-gnava ogni volta a recitare la parte del povero sciocco che non sapeva perché non conosceva e non imparava perché aveva paura di conoscere. Un circolo vi-zioso che non lo conduceva da nessuna parte se non al cospetto della propria ignoranza.Paltrow continuava a parlare di que-stioni molto specifiche sfogliando len-tamente il volume di Tritemio, alimen-tando così sempre di più la convinzione che quel testo potesse rappresentare un documento andato perduto da molti secoli.L’opera conteneva alcuni schemi indeci-frabili che avevano l’aspetto di tabelli-ne con le lettere al posto dei numeri, le

complesse matrici steganografiche, al-ternate a periodi di prosa dai contenuti occulti. L’insieme non appariva come un libro tradizionale: le frasi erano alter-nate a commenti di più recente fattura, collegate tra loro da simboli e glifi che gli apparivano assolutamente privi di senso.– Passava il suo tempo a nascondere messaggi – esclamò Paltrow visibilmen-te pensieroso – cosa avrà mai voluto ce-lare e a chi? A quei tempi era meglio oc-cultare che manifestare apertamente il proprio pensiero e Tritemio conosceva più di quaranta modi per mascherare i contenuti delle lettere. Questo libro po-trebbe contenere la clavis clavorum, la “chiave delle chiavi”, il metodo “sicuro” per trasmettere senza rischi il contenu-to nascosto dei messaggi!Paltrow aveva espresso più dubbi che certezze, pensando ad alta voce cerca-va conferme nello sguardo attonito di Foster, che dal canto suo si limitava ad annuire senza aver compreso altro che nulla, mentre indicava la tabella alfabe-tica.– Questa – commentò Paltrow puntan-dovi sopra l’indice – è un’antichissima matrice in grado di occultare qualsiasi lettera e in qualsiasi lingua, è sufficien-te che il messaggio da trasmettere sia accompagnato da un altro breve codice cifrato. sarò più chiaro.Poniamo che voi dobbiate trasmettere a un ipotetico interlocutore la seguente frase: “il gatto mangia”. sarà sufficiente che entrambi conosciate una breve pa-rola chiave, ad esempio “Magia”.

da Il diario di Welma Fox, Tipheret 2011

di Giancarlo Guerreri

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La Triennale di Milano presenta una mostra incentrata sulla quotidianità di Pier Paolo Pasolini in quelli che sarebbero stati i suoi ultimi giorni di vita, fissata dall’obiettivo del foto-grafo Dino Pedriali, scelto da Pasoli-ni come autore di un reportage sulla sua figura per illustrare il romanzo Petrolio.

Le intense immagini di Pedriali, rigorosamente in bianco e nero,

ritraggono il Poeta in primi piani, mezzibusti, un continuo scambio tra foto spontanee e inquadrature studia-te. Come i nudi, in cui il Poeta è ini-zialmente ripreso dall’esterno della casa e Pasolini deve essere naturale fingendo di non accorgersi della pre-senza dell’obiettivo, per lasciare poi spazio alla sorpresa; il poeta “scopre” il fotografo, lo cerca con lo sguardo all’esterno, oltre il vetro.Pedriali e Pasolini fissano un incon-tro il 2 novembre 1975 per sceglie-re gli scatti migliori, ma Pasolini non si presenterà mai. Il giovane Pedriali diventa allora custode di un prezioso lascito. Oggi le immagini del repor-tage rivelano al pubblico quel mondo privato giunto a noi attraverso l’arte del sensibile fotografo e prezioso te-stimone di quegli ultimi sguardi in-tensi del grande intellettuale.

IN COR-SO

Pier Paolo PasoliniFotografie di Dino Pedriali

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appuntamenti

Per informazioni:Pier Paolo Pasolini - Fotografie di Dino PedrialiTriennale di Milano 15 giugno/28 agosto.Orario: Da Martedì a Domenica 10,30-20,30 - Giovedì e Venerdì 10,30 – 23,00Ingresso: liberoFonte: http://www.triennale.org/index.php?idq=1471

Foto di ©Dino Pedriali

In questo mondo col-pevole che solo com-pra e disprezza il più

colpevole sono io... inaridito dall’amarezza...

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Per informazioniCarla Crosta - foulard dal 1966 al 1999Triennale DesignCafé - 22 giugno/11 settembre. Orari: martedì-domenica 10.30-20.30 e giovedì e venerdì 10.30-23.00Fonte: http://www.triennale.org/index.php?idq=1477

IN COR-SO

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Foulard dal 1966 al 1999La mostra presenta una selezio-ne di foulard disegnati da Carla Crosta dal 1966 al 1999.Nata a Milano, dove vive e lavo-ra nel suo studio a Porta Genova, si è diplomata in scultura all’Ac-cademia di Belle Arti di Brera, dopo avere seguito il corso di Giacomo Manzù.

Ha esposto opere di scultura in varie mostre nazionali e ha fat-to una mostra personale a Mila-no, al Centro Cultura di palazzo Durini. Ha insegnato all’Istitu-to Europeo di Design di Milano, nei Dipartimenti di Grafica come docente di ruolo, ha insegnato in licei milanesi.

Ha lavorato con varie aziende: Fiorio, Gucci, Bassetti, Marca-to, ViBiEffe, per le quali ha re-alizzato disegni per tessuti, per l’abbigliamento, per le collezioni di foulard e cravatte, per l’arre-damento, per la biancheria per la casa. Con materiali come la carta ed i tessuti progetta e crea borse, sciarpe, cappelli, cravat-te, arazzi, collage, patchwork e oggetti con materiale riciclato (carta di giornale, tessuti, sac-chetti di plastica).

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32 Io come Autore

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Io Come Autore

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