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INDUSTRIA, ITALIA Ce la faremo se saremo intraprendenti a cura di Riccardo Gallo Prefazione di Eugenio Gaudio Materiali e documenti Materiali e documenti University Press

INDUSTRIA, ITALIA...Riccardo Gallo Note biografiche degli autori 343 ix Prefazione Eugenio Gaudio Negli ultimi anni il sistema universitario e quello produttivo hanno af-frontato

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  • INDUSTRIA, ITALIACe la faremo se saremo intraprendenti

    a cura di

    Riccardo Gallo

    Prefazione di Eugenio Gaudio

    Materiali e documentiMateriali e documenti

    University Press

  • Collana Materiali e documenti 61

  • INDUSTRIA, ITALIACe la faremo se saremo intraprendenti

    a cura di Riccardo Gallo

    Prefazione di Eugenio Gaudio

    con i contributi di Daniela Addessi, Roberto Adrower, Giuseppe Bonifazi

    Marco Bravi, Mario Calabrese, Cinzia Capalbo, Alessandro Corsini Antonio D’Alessandro, Paolo De Filippis, Luca Di Palma

    Fabio M. Frattale Mascioli, Riccardo Gallo, Damiano Garofalo Carlo Martino, Franco Medici, Francesco Napolitano

    Cristiana Piccioni, Daniela Pilone, Massimo Pompili, Antonello Rizzi Aldo Roveri, Nicola Roveri, Giovanni Solimine

    2020

  • INDUSTRIA, ITALIACe la faremo se saremo intraprendenti

    a cura di Riccardo Gallo

    Prefazione di Eugenio Gaudio

    con i contributi di Daniela Addessi, Roberto Adrower, Giuseppe Bonifazi

    Marco Bravi, Mario Calabrese, Cinzia Capalbo, Alessandro Corsini Antonio D’Alessandro, Paolo De Filippis, Luca Di Palma

    Fabio M. Frattale Mascioli, Riccardo Gallo, Damiano Garofalo Carlo Martino, Franco Medici, Francesco Napolitano

    Cristiana Piccioni, Daniela Pilone, Massimo Pompili, Antonello Rizzi Aldo Roveri, Nicola Roveri, Giovanni Solimine

    2020

  • Copyright © 2020

    Sapienza Università Editrice Piazzale Aldo Moro 5 – 00185 Roma

    www.editricesapienza.it [email protected]

    Iscrizione Registro Operatori Comunicazione n. 11420

    ISBN 978-88-9377-153-5

    DOI 10.13133/ 9788893771535

    Pubblicato a settembre 2020

    Quest’opera è distribuita con licenza Creative Commons 3.0 diffusa in modalità open access.

    Cura editoriale: Enrica PisanoEditing grafici e figure: Francesco Aldo TucciImpaginazione: Compomat / Silvia Maschio

    In copertina: elaborazione grafica a cura di Carlo Martino, Roma (2020).

    Il lavoro di redazione è stato supportato a vario titolo da tre Dipartimenti di Ingegneria: Chimica Materiali Ambiente, Civile Edile Ambientale, Meccanica Aerospaziale.

  • Indice

    Prefazione xiEugenio Gaudio

    parte i – Ieri: dal 2008 al 2019 1

    1. Produttività e tecnologie 3Riccardo Gallo

    2. Chimica 13Luca Di Palma

    2.1. La situazione pre-crisi 2008-09 132.2. La crisi del 2008-09 152.3. La spinta della sostenibilità 162.4. Il periodo 2009-2019 172.5. La situazione a inizio 2020 182.6. La crisi del 2020 22

    3. Metallurgia 27Daniela Pilone

    3.1. Situazione dell’industria metallurgica 273.2. La metallurgia in Italia 30

    4. Meccanica 33Alessandro Corsini

    4.1. Quadro di riferimento 334.2. Evoluzione 2009-2019 35

    xi

  • vi INDUSTRIA, ITALIA

    5. Costruzione mezzi di trasporto 45Nicola Roveri

    5.1. Quadro di riferimento 455.2. Evoluzione 2008-2019 51

    6. Gomma e vetro 57Giuseppe Bonifazi

    6.1. Gomma 576.2. Vetro 63

    7. Industria dell’arredamento 69Carlo Martino

    7.1. Introduzione 697.2. Genesi dell’industria italiana dell’arredamento 707.3. La crisi del 2008 e le strategie di contrasto 737.4. Conclusioni 78

    8. Sistema moda 81Mario Calabrese e Cinzia Capalbo

    8.1. Il Sistema Moda Italiano tra il 2008 e il 2019 818.2. Moda e sostenibilità 848.3. Verso la digitalizzazione 898.4. Verso l’integrazione operativa tra gli operatori di filiera 93

    9. Logistica e trasporto merci 99Cristiana Piccioni

    9.1. Un settore eterogeneo e complesso 999.2. Evoluzione (o regressione) del mercato? 1029.3. Tutti i nodi vengono al pettine 1039.4. Produttività del lavoro e innovazione tecnologica 105

    10. Alimentare 109Marco Bravi

    10.1. Imparare dalla crisi del 2008-2009 10910.2. Punti di forza e di debolezza 114

    11. Elettronica 121Antonio d’Alessandro

    11.1. L’industria elettronica negli ultimi dieci anni 12111.2. I prodotti innovativi degli ultimi dieci anni 122

    vi

  • Indice vii

    11.3. I principali produttori 12511.4. Sviluppo nell’ultimo decennio 127

    12. Farmaceutica e cosmetica 131Roberto Adrower

    12.1. Contesto 13112.2. Innovatività e mercato 13112.3. Health-care ed export 13412.4. Valore aggiunto dell’industria farmaceutica 13512.5. Farmaceutica e mercato del lavoro 13512.6. La competizione 13512.7. Investimenti 13612.8. Impatto delle normative sulla filiera del farmaco 13612.9. Tecnologie in sanità 138

    13. Le grandi opere 141Daniela Addessi

    14. Prodotti per edilizia 157Franco Medici

    14.1. Introduzione 15714.2. Andamento degli investimenti 15714.3. Cemento e calcestruzzo 15914.4. Piastrelle ceramiche, materiali isolanti e laterizi 16114.5. Conclusioni 163

    15. L’industria del petrolio 167Paolo De Filippis

    15.1. Introduzione 16715.2. Gli shock petroliferi del 1973 e del 1979 16815.3. Dalla crisi del 1979 a quella del 2000 17115.4. La crisi del 2009 17215.5. Prezzi, costi, consumi 17315.6. La raffinazione italiana 174

    16. Stampa ed editoria 179Giovanni Solimine

    16.1. Panorama 17916.2. Editoria libraria 181

    vii

  • viii INDUSTRIA, ITALIA

    16.3. Stampa quotidiana e periodica 18616.4. Alla ricerca di uno spazio per il futuro 190

    17. Industria radiotelevisiva 195Damiano Garofalo

    17.1. Dalla crisi alla rivoluzione delle over-the-top 19517.2. La vecchia tv e la sfida dell’on-demand 198

    18. Telecomunicazioni 203Aldo Roveri

    18.1. Premessa 20318.2. La precedente sistemistica di rete 20418.3. Le iniziative tecniche tra il 2008 e il 2019 20618.4. Lo stato economico della filiera 21118.5. Conclusioni 213

    19. Infrastrutture idriche 217Francesco Napolitano

    parte ii – Oggi 225

    20. Crisi 2020 227AA. VV.

    parte iii – Domani: dal 2021 in avanti 237

    21. Governo del territorio 239

    21.1. Una nuova consapevolezza 23921.2. Cura del territorio (Daniela Addessi) 24121.3. Dissesti idrogeologici (Aldo Roveri e Francesco Napolitano) 24221.4. Ciclo dell’acqua (Francesco Napolitano) 24621.5. Monitoraggio delle infrastrutture (Daniela Addessi) 24821.6. Materiali da costruzione (Franco Medici) 250

    22. Cambio modalità di vita 253

    22.1. A casa (Carlo Martino) 25322.2. Come alimentarsi (Marco Bravi) 26222.3. Come vestirsi (Mario Calabrese e Cinzia Capalbo) 26622.4. Come curarsi (Roberto Adrower) 27022.5. La filiera chimica (Luca Di Palma) 279

    viii

  • Indice ix

    22.6. Guardare la tv (Damiano Garofalo) 282

    23. Mobilità 287

    23.1. Orientamenti generali (Fabio Massimo Frattale Mascioli) 28723.2. Che auto comprare (Nicola Roveri) 29323.3. Riflessi sulla metallurgia (Daniela Pilone) 29423.4. Lo scenario idrogeno (Alessandro Corsini) 29623.5. La e-mobility (Massimo Pompili) 30123.6. Verso la transizione energetica (Paolo De Filippis) 30323.7. Logistica futura trasporto merci (Cristiana Piccioni) 305

    24. Trasferimento tecnologico e digitale 311

    24.1. Trasferimento tecnologico (Riccardo Gallo) 31124.2. Competitivi se digitali (Antonello Rizzi) 314

    25. Investire in conoscenza 325

    25.1. Competitività (Riccardo Gallo) 32525.2. Il costo dell’ignoranza (Giovanni Solimine) 329

    26. Sintesi e conclusioni 335Riccardo Gallo

    Note biografiche degli autori 343

    ix

  • Prefazione

    Eugenio Gaudio

    Negli ultimi anni il sistema universitario e quello produttivo hanno af-frontato in Italia, su versanti distinti ma interagenti, l’impatto di due deidiversi processi che stanno modificando il mondo. Mi riferisco alla co-siddetta quarta rivoluzione industriale e alla rivisitazione del concetto diglobalizzazione seppur nel necessario mantenimento dell’integrazioneeuropea. Le tre precedenti rivoluzioni avevano via via ampliato la loroportata: dalla meccanizzazione nel Settecento di un singolo settore (iltessile) all’utilizzo a fine Ottocento di combustibili di impiego generale(carbone e petrolio), alle tecnologie informative di metà Novecento, mail risultato di queste rivoluzioni, comunque legato ad operose attività diricerca e innovazione, ha avuto impatto prevalentemente settoriale. Conla quarta rivoluzione industriale, invece, l’impatto diviene pervasivo:possono modificarsi il modo di produrre, il lavoro e lo stile di vita, auna velocità superiore che nel passato. La Scuola e l’Università non pos-sono non tener conto di queste profonde modificazioni: la conoscenza el’offerta didattica, da un lato, possono beneficiare di strumenti materialie immateriali prima non utilizzati, dall’altro devono anche anticipare ladomanda, a volte repentina, di nuove competenze professionali richiestedalla società. Anche in occasione di questo nuovo importante passag-gio, come nei precedenti momenti di svolta, gli investimenti in cultura,formazione, conoscenza, ricerca e innovazione assumono una rilevanzafondamentale per orientare e governare i processi di cambiamento, nelsolco di un approccio eticamente corretto, a beneficio del sistema Paesee di tutti i cittadini, senza esclusione alcuna.

    L’impatto sul sistema produttivo della quarta rivoluzione industrialeè diverso per settore, dimensione, territorio, capitale di controllo. Le im-prese private, medie e grandi, con maggior produttività, più innovative

  • xii INDUSTRIA, ITALIA

    e più internazionalizzate l’hanno recepita di più e ne hanno beneficiato,accrescendo i propri caratteri vincenti e innescando un circolo virtuo-so. Ma queste imprese sono una minoranza nel panorama nazionale,fortemente caratterizzato da una significativa presenza di imprese dipiccole dimensioni, rendendo così necessario un impegno forte degliattori pubblici, Università incluse, per la diffusione della cultura e deglistrumenti digitali. In questo ambito Sapienza Università di Roma è datempo impegnata, tramite le proprie strutture di formazione, ricerca,trasferimento e terza missione in tutti gli ambiti del sapere e con unaforte spinta alla collaborazione multi ed interdisciplinare. L’Università èinfatti un asset strategico del Paese, è una infrastruttura essenziale performare capitale umano ad alta qualificazione in grado di orientare i pro-cessi e non subire i processi di trasformazione. È certamente importantefavorire l’ingresso di nuovi macchinari e strumenti nel sistema produtti-vo, ma questi perdono di utilità se non sono supportati da investimentiin capitale umano e competenze.

    Il secondo processo che sta cambiando il mondo è la rivisitazionedel concetto di globalizzazione, ovvero dell’idea che tutte le “carenze”di una nazione possano trovare rimedio e compensazione nel merca-to globale extra-europeo. Le restrizioni che negli ultimi anni le mag-giori potenze mondiali hanno apportato agli scambi di merci è pro-babilmente una prima conseguenza di questo processo, più che unacausa.

    In questo complesso stato di cose, nel 2020 è arrivata la pandemia daCovid-19. Ha avuto un impatto repentino ed immediato sull’organizza-zione della didattica, per quanto riguarda le modalità di erogazionedella formazione, gli esami, il rapporto con gli studenti e tra docenti, lagestione degli spazi, aule, orari. Così stimolando inventiva, creatività esistematicità per valorizzare l’impiego trasversale delle nuove tecnologiecome utile strumento a supporto, non sostitutivo, ma integrativo.

    Questo volume riporta i risultati di un lavoro intenso svolto da ungruppo di docenti di Sapienza Università di Roma, che ringrazio, coor-dinati da Riccardo Gallo e appartenenti a sei Facoltà: Architettura, Eco-nomia, Farmacia e Medicina, Ingegneria civile e industriale, Ingegneriadell’informazione, informatica e statistica, Lettere e Filosofia. Un volu-me che si basa sull’interdisciplinarietà, grazie all’incontro tra uomini dicultura, economisti, industrialisti e tecnologi. Un volume che riportadati aggiornati alla settimana immediatamente precedente l’andata instampa. Un volume in “open access”.

    xii

  • Prefazione xiii

    Mettere a disposizione della comunità tutta le competenze e le espe-rienze che la Sapienza esprime è azione pienamente rispondente al con-cetto di “Terza missione” dell’Università, interagendo dialetticamente eproficuamente con il tessuto produttivo e con la società civile, favorendola valorizzazione e il trasferimento delle conoscenze prodotte all’inter-no del più grande Ateneo d’Europa e contribuendo così allo svilupposociale, culturale ed economico del nostro Paese.

    Eugenio GaudioMagnifico Rettore, Sapienza Università di Roma

    xiii

  • parte I

    Ieri: dal 2008 al 2019

  • 1. Produttività e tecnologie

    Riccardo Gallo

    Nei mesi di più profonda crisi del 2020 ci si è chiesti: “quando il nostroPaese tornerà ai livelli produttivi precedenti il Covid-19? Quando lisupererà? Con quale struttura ci arriverà? Quanto l’industria sapràgareggiare in futuro sui mercati esteri?”. Autorevoli centri studi na-zionali hanno risposto con analisi congiunturali, indagini su campionidi impresa, estrapolazioni di tendenze di breve termine. È maturataperò anche l’esigenza di una visione di lungo periodo, tanto che l’UE hainvitato il Governo italiano e gli altri paesi europei a presentare entroottobre 2020 i propri obiettivi per il Recovery fund o, detto in modo piùaccattivante, per la Next Generation, sotto forma di allegato alla leggedi stabilità 2021. È opinione consolidata che, dopo l’aggancio della li-ra al marco tedesco nel 1996 (ancor prima dell’adesione all’euro nel1998), quando cioè non erano più possibili svalutazioni della monetanazionale, sia mancato in Italia un recupero reale della competitivitàdella nazione, che anzi è scivolata nel ranking mondiale di 63 paesi dal30◦ posto del 1999 al 44◦ del 2020 (IMD, 2020). È sempre più avvertital’esigenza che il policy maker, chiunque sia, rimuova gli ostacoli che im-pediscono al sistema produttivo italiano di competere come potrebbe emeriterebbe.

    Storicamente, le prime riflessioni di natura strutturale nei primi anniDuemila si ebbero quando, di fronte alla liberalizzazione degli scambicon i paesi emergenti, l’industria nazionale mostrò una performance in-soddisfacente. Le cause furono individuate in: una dimensione azienda-le mediamente insufficiente, una specializzazione settoriale sfavorevole,uno scarso impegno in ricerca e sviluppo. Alcuni dissero però (Boffa ealtri, 2006) che quella situazione era cominciata già verso la metà deglianni Novanta, quando l’industria italiana non aveva reagito adeguata-

  • 4 INDUSTRIA, ITALIA

    mente alla libera circolazione in Europa di merci, lavoro e capitali (SingleMarket Programme, UE 1993), e non aveva saputo farlo perché l’indu-stria italiana era intorpidita da un sistema di protezioni protrattosi persessant’anni. Rientrano in questo filone di pensiero critico due analisi,riguardanti: la gestione dell’intervento pubblico nell’economia italianada parte di istituzioni non all’altezza del compito (Silva e Ninni, 2019);gli effetti dello smantellamento negli anni Novanta di questo interventosu un sistema di imprese a ciò impreparato (Gallo, 2016). A causa diquesta impreparazione, le imprese rallentarono bruscamente gli investi-menti tecnici e così i mezzi di produzione invecchiarono rapidamente.Questa tesi da un lato contribuì a spiegare la minor crescita economicadel nostro Paese a partire dagli anni Novanta, dall’altro nel 2016 ispiròla misura governativa detta superammortamento. Il divario è ravvisabilenei valori del PIL reale in Italia: nel decennio 1981-1990 era cresciutoin linea con il valore medio dell’UE (2,4% ), invece tra il 1991 e il 2000fu (1,6% ) inferiore a quello UE (2,1% ) e tra il 2001 e il 2010 fu (0,4% )molto inferiore a quello (1,1% ).

    Alcuni studiosi (Bartoli e Paganetto, 2020) hanno misurato il calo dicompetitività e il divario di crescita economica con la perdita di produt-tività totale dei fattori e hanno imputato questa alla eccessiva forbiceesistente in Italia tra le poche imprese situate alla frontiera dell’inno-vazione e la maggior parte delle imprese che ne resta distante. Dueeconomisti italiani negli Usa (Pellegrino e Zingales, 2017) hanno misu-rato la produttività del lavoro, hanno dimostrato che questa cominciòa cadere a metà degli anni Novanta e ne hanno individuato la causanon nelle dinamiche di mercato né in una inefficienza dell’amministra-zione dello Stato né in una regolazione del mercato del lavoro troppoprotettiva, quanto piuttosto in uno scarso riconoscimento del meritoprofessionale del personale, mortificato dal prevalere dilagante di fami-lismo e di logiche di appartenenza amicale. Ciò ha comportato, secondoi due studiosi, non un rallentamento degli investimenti, che anzi essinegano, bensì una sorta di vanificazione del progresso tecnologico euna incapacità delle imprese a recepire i benefici economici dell’inno-vazione, in particolare della rivoluzione digitale. Essi opportunamentesuggeriscono di studiare l’interazione tra cambiamento tecnologico, daun lato, e istituzioni e strutture preesistenti, dall’altro. È ben vero chenell’economia applicata i settori industriali sono spesso oggetto di ri-cerca, soprattutto per quanto riguarda il comportamento delle impresee le forme di competizione nei mercati, magari anche alla luce dell’in-

  • 1. Produttività e tecnologie 5

    novazione tecnologica, anche prima della crisi del 2008-09 (Plechero eRullani, 2007), ma quasi mai, questo è il punto, gli economisti dialoganocon i tecnologi.

    Si è detto più volte che l’unico caso precedente di crisi economicaglobale è quello del 2008-09 e che all’epoca la crisi originò dai mer-cati finanziari e impattò sull’economicità delle imprese, mentre oggiè l’inverso: il Covid-19 ha colpito la domanda di mercato, quindi legestioni economiche e sta poi danneggiando la struttura patrimonialee finanziaria delle società industriali. Pochi invece hanno richiamatoun’altra crisi globale, più lontana nel tempo ma altrettanto istruttiva,quella petrolifera di fine 1973 (Guerra del Kippur), la quale provocò unrepentino innalzamento del prezzo delle materie prime energetiche eminerarie e, a cascata, rese antieconomiche molte lavorazioni a valle.All’epoca, la percezione dell’ampiezza della crisi arrivò in ritardo, ametà del 1975, anche perché (non essendo ancora diffuse contabilitàanalitica e procedure informatiche) molte imprese si lasciarono abba-gliare nel 1974 dai profitti generati da vendite a prezzi maggiorati dioutput prodotti con materie prime in magazzino, acquistate a prezzibassi prima dello shock petrolifero. Nel 1976-78 i governi italiani sidedicarono a interventi mirati alla salvaguardia diretta dei livelli occu-pazionali, soprattutto attraverso la GEPI (società per azioni controllataindirettamente dallo stato), nonché mirati all’ingessatura dei singolisettori industriali (Legge 12 agosto 1977, n. 675), con una logica oppostaalla dinamica intersettoriale adattiva che sarebbe stata invece necessariadopo lo shock petrolifero. La vera risposta arrivò otto anni dopo, nel1980-82, con un recupero della produttività del lavoro nell’industriadell’auto (massiccia cassa integrazione straordinaria) e poi con il fondoinnovazione tecnologica (Legge 17 febbraio 1982, n. 46), che fu sollecita-to dall’industria privata. Quella risposta basata sulla combinazione traproduttività e innovazione diede ossigeno all’economia italiana per undecennio.

    Per affrontare la crisi 2008-09, i governi italiani si dedicarono dappri-ma a creare un cordone protettivo che fece impennare lo spread, poi avarare qualche riforma resa urgente da tale impennata. La vera rispostaarrivò otto anni dopo, ci vollero ancora una volta otto anni, quando nel2017 fu annunciata Industria 4.0 (così fu chiamata la politica della quartarivoluzione industriale), e vi fu asservito lo strumento del superammor-tamento. Peccato che quella politica non sia stata realizzata nella suaispirazione genuina, perché fu subito ridotta nel 2017 ad agevolazioni

  • 6 INDUSTRIA, ITALIA

    per l’ammodernamento delle fabbriche e poi fu svuotata nel 2018-19.Dunque, in entrambe le crisi 1973-74 e 2008-09, i governi non preseroiniziative, attesero i tempi di maturazione di una risposta dell’industriaprivata e alla fine adottarono (1982) o solo annunciarono (2017) i prov-vedimenti invocati. A proposito della tesi di Pellegrino e Zingales, nonè un caso se nel 2014 in Confindustria fu suggerita una combinazione diinnovazione e merito (Rocca, 2014).

    Siccome non c’è due senza tre, anche la risposta alla crisi 2020 daCovid-19 potrebbe arrivare tra otto anni, nel 2028. Il pessimismo è ali-mentato da una novità aggiuntiva e dirompente: nel 2019 il mercatoglobale era in contrazione già da qualche tempo. Anzi di più e peggio.Alcuni studiosi (Traù e altri, 2020) dicono che come la crisi petroliferadei primi anni Settanta sancì la fine della golden age, così la contrazio-ne del commercio mondiale in atto da qualche anno sancisce la finedella globalisation age. La globalizzazione ha esaurito la sua spinta pro-pulsiva nel momento in cui molti paesi emergenti, pur partecipandocon le loro produzioni a singole fasi delle catene del valore, non hannopotuto espandere la loro domanda interna, non hanno tratto benefì-ci economico-sociali da questa loro partecipazione, hanno sviluppatorancori di politica estera. Per queste ragioni, dicono Traù e altri, il mul-tilateralismo degli ultimi vent’anni, regolato dal WTO, è in corso disostituzione con un bilateralismo interno a singole macroaree del mon-do. Questo processo diverrebbe il riferimento per nuovi equilibri e nuoviassetti industriali, futuri prossimi anche in Europa.

    Il presente lavoro riguarda in prevalenza il sistema delle medie e gran-di imprese italiane, industriali in senso lato, non solo le manifatturiere,e intende perseguire diversi obiettivi importanti:

    1. studiare nella realtà empirica e nel volgere degli anni tra il 2009e il 2019, l’interazione tra cambiamento tecnologico e struttureproduttive preesistenti;

    2. calcolare e confrontare per ciascun settore e per gli stessi anni ilprogresso tecnologico con la produttività del lavoro, con l’anda-mento della quota di fatturato esportata e con il grado di utilizzodella capacità produttiva installata, nonché con il flusso di cassa el’età dei mezzi di produzione;

    3. cercare eventuali fattori comuni di successo settoriale, che meritinodi essere generalizzati e replicati;

  • 1. Produttività e tecnologie 7

    4. far tesoro dell’esperienza dell’ultimo decennio per dare sostan-za a progetti di investimento pubblico che meritino di riceverecontributi e finanziamenti europei;

    5. evidenziare fertilizzazioni tra settori merceologici e filiere tecnolo-giche e, per questa via, superare la classificazione delle attività eco-nomiche per settori merceologici, che è una impostazione obsoletae che, se induce a politiche industriali settoriali, è fuorviante;

    6. coniugare la disciplina scientifica dell’economia industriale conquella del cambiamento tecnologico e organizzativo. Questo lavo-ro è stato svolto da una squadra di ricerca interdisciplinare, tuttainterna alla Sapienza1;

    7. segnalare elementi tecnico-industriali che portino a un naturalebilateralismo tra l’Italia e singoli altri paesi europei;

    8. mettere a disposizione del policy maker l’insieme di conoscenzedella Sapienza con modalità open access.

    La produttività del lavoro, cioè quanto ogni dipendente nell’organicoaziendale contribuisce alla ricchezza generata dall’impresa, è misuratadal quoziente ‘valore aggiunto per addetto’2. Questo quoziente aumentaal diminuire del denominatore (numero medio annuo di dipendenti),cioè quanto meglio l’azienda è organizzata. Ma soprattutto aumentaall’aumentare del numeratore (valore aggiunto) che, a parità di valoredegli input, è tanto maggiore:

    1. quanto più l’output è apprezzato sul mercato, per tecnologia, desi-gn, funzionalità. Il valore aggiunto è quanto un’impresa ci mette disuo con l’impiego di tutti i fattori produttivi interni (lavoro, patri-monio tecnico tangibile e intangibile, capitale ottenuto in prestito,Stato, capitale di rischio);

    2. quanto più il grado di utilizzo della capacità produttiva è vicino al100%. Infatti, in quell’area la forbice (valore aggiunto) tra la retta

    1 Facoltà di Architettura e Design, Economia, Farmacia e Medicina, Ingegneria civile eindustriale, Ingegneria dell’informazione, Informatica e Statistica, Lettere e Filosofia.

    2 L’indicatore di produttività più corretto sarebbe il TFP (produttività totale dei fattori),come peraltro sostengono Bartoli e Paganetto, non già la produttività del solo lavoro.Tuttavia, anche in considerazione del metodo seguito da Pellegrino e Zingales, inquesto lavoro i calcoli vengono fatti in termini di valore aggiunto per addetto.

  • 8 INDUSTRIA, ITALIA

    dei ricavi (vendite di output) e quella dei costi variabili (consumidi input) si allarga.

    Ricco di significati è anche il rapporto ‘valore aggiunto su fatturatonetto’, perché misura il contenuto di industrialità di un’impresa inquel che vende, ossia la complessità e il carattere innovativo del suociclo di trasformazione industriale. Esso dipende anche dal modelloproduttivo adottato.

    In genere, la quota esportata cresce con la produttività del lavoro.La quota detenuta del commercio internazionale è una misura dellacompetitività delle imprese di un paese. Il flusso di cassa3 influenzal’invecchiamento dei mezzi di produzione4. Per il calcolo di questiindicatori negli anni dal 2008 al 2019 sono state qui fatte elaborazionisulla banca dati dell’Area Studi Mediobanca e su quella ISTAT. È statafatta la riconciliazione tra i codici ISTAT-ATECO 2007 e la composizionedei settori e degli aggregati (Mediobanca 2020).

    Nell’aggregato delle società industriali (figura 1.1), all’inizio dellacrisi 2008-09, il valore aggiunto su fatturato netto scese da un livello del20% nel 2007 al 18% nel 2008, dunque perse due punti percentuali in unsolo anno. Ma l’anno dopo li recuperò tutti subito, e risalì al 20,2% nel2009. Quindi, la crisi finanziaria sembrò avere un effetto temporaneo,volatile. Da quel momento, tuttavia, iniziò un graduale e progressivodeclino del valore aggiunto su fatturato netto, fino al 16,5% del 2012-13.L’industria italiana s’impoverì. Ciò significa che qualcosa di sostanzialee duraturo avvenne.

    Un’ipotesi di interpretazione viene dal confronto con i dati ISTATsull’indice di produzione industriale e sul grado di utilizzo della ca-pacità. L’indice di produzione industriale (base 1975=100) per il totaleindustria (escluse le costruzioni) scese da 118,5 di marzo 2007 a 110,4 di

    3 Il flusso di cassa entrante è dato dalla somma algebrica del risultato economico nettomeno gli utili distribuiti più gli ammortamenti annui. Il flusso di cassa uscente è datodalla somma algebrica dei nuovi investimenti tecnici dell’anno meno i disinvestimentipiù gli investimenti finanziari più la variazione dell’attivo corrente al netto del passivocorrente (un aumento dell’attivo corrente per dilatazione del magazzino e/o dei creditiverso i clienti assorbe finanza e aumenta il flusso uscente). Il flusso di cassa netto èdato da flusso entrante meno flusso uscente. Se il flusso netto è positivo, vuol dire chegli investimenti per la crescita sono stati inferiori alle risorse generate dalla gestioneinterna. Se è negativo, vuol dire che la crescita è stata superiore e ha fatto ricorso arisorse finanziarie aggiuntive esterne (debito bancario e/o aumento del capitale nettodei soci).

    4 L’età media è il rapporto tra fondo ammortamenti in situazione patrimoniale e quotaannua di ammortamento in conto economico.

  • 1. Produttività e tecnologie 9

    100

    80

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    120 000

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    02007 2010 2013 2016 2019

    0

    Quota Fatturato Export (%)

    Produttività del Lavoro (€)

    Euro

    Utilizzo delle Capacità – Società Manifatturiere(%)

    Fig. 1.1. La quota di vendite all’estero cresce con la produttività.

    marzo 2008 e poi crollò a 81,4 ad aprile 2009, cioè perse quasi 29 puntipercentuali in tredici mesi. Il recupero fu lento, ci vollero molti anni pertornare ai livelli pre-crisi.

    Il grado di utilizzo della capacità (volume di produzione diviso capa-cità produttiva installata, per cento) rimase fino al 2014 su livelli inferiorial 75% e dunque poco soddisfacenti. Questo basso utilizzo significa chenella prima metà del decennio le imprese italiane faticarono a collocaresul mercato domestico il loro prodotto, anche perché la domanda dimercato interna si era indebolita. Per fortuna invece la quota di fatturatoesportata crebbe dal 33,4% del 2008 (che già era molto buono grazie al-l’industria meccanica) fino al 40,9% del 2014. Secondo Prometeia (2019)il merito principale fu della proiezione internazionale del made in Italy.

    Il valore aggiunto su fatturato netto tornò a sfiorare il 20% nel 2016e nel 2017, in ciò facilitato da un recupero dell’utilizzo degli impianti,stabilizzatosi intorno a un buon 78%, a sua volta sostenuto da una mi-gliorata domanda pubblica aggregata. La quota di fatturato esportata èsalita al 42,4% nel 2018. Prometeia ha calcolato che, nel periodo 2008-17e in confronto ai competitor UE, l’Italia ha accresciuto di più il proprioraggio di export di prodotti manufatti, con una media di 3.413 chilometrinel 2017, contro i 3244 Km della Francia, i 3116 della Germania e i 3082della Spagna, ciò soprattutto grazie all’internazionalizzazione di duearee, l’automotive e il made in Italy.

  • 10 INDUSTRIA, ITALIA

    La produttività del lavoro5, pari in media a 106 mila euro per addettonel 2007, perse quattordici punti percentuali in soli due anni (sei puntinel 2008 e otto nel 2009) e scese a 92 mila euro nel 2009. Poi subì piccoleoscillazioni nei successivi sette anni, fino al 2016, anno in cui finalmentetornò sui livelli del 2007. Dunque, ci mise ben nove anni per recuperare.Solo a partire dal 2017 si è avuto un aumento netto della produttività dellavoro a moneta costante (+4,4% in due anni) con il raggiungimento di111 mila euro. Peraltro, un raffronto relativo al 2017 dice che la produt-tività media del lavoro delle medie e grandi imprese italiane (112 milaeuro) era solo poco sotto la media delle multinazionali (114 mila euro)basate nell’area dell’euro (R&S, 2018). Risultato ben diverso viene se ilconfronto è fatto prendendo per benchmark la Svizzera (141 mila euro).

    Tra il 2008 e il 2019 sono stati fatti investimenti inferiori alle già scarserisorse finanziarie generate dalla gestione economica. La conseguenza èstata un forte invecchiamento dei mezzi di produzione.

    I risultati vengono esposti, discussi e confrontati nei prossimi capitoli,uno per ogni settore.

    BibliografiaArea Studi Mediobanca (2008-2020), Dati cumulativi di società italiane,Milano, 2016.

    Area Studi Mediobanca (2008-2020), Dati cumulativi di società italiane,Milano, 2020.

    Area Studi Mediobanca (2009-2018), Dati cumulativi di società italiane,Milano, 2019, p. XXV.

    G. Bartoli, L. Paganetto, Innovazione digitale e stagnazione della produt-tività: un puzzle difficile da risolvere in “Rivista di Politica Economica” I(2020).

    F. Boffa, L. Rondi, D. Vannoni, G. Zanetti, Il sistema delle imprese, in Lecondizioni per crescere, a cura di R. Gallo, F. Silva, Edizioni Il Sole 24 Ore,Milano, 2006.

    5 La produttività del lavoro è stata qui calcolata a moneta corrente. Poi è stata rettificataa moneta costante, impiegando un deflatore costruito sul PIL di Germania e Francia,cfr. National accounts aggregates by industry (up to NACE A∗ 64)[nama_10_a64].L’ampiezza della rettifica è risultata non superiore all’1,6% nel 2016. Nelle analisi setto-riali dei prossimi capitoli, pertanto, si è preferito continuare a calcolare la produttivitàa moneta corrente.

  • 1. Produttività e tecnologie 11

    E. Brancati, R. Brancati, A. Maresca, Global value chains, innovation andperformance: firm level evidence from the Great Recession, in “Journal ofEconomic Geography” XVII, 1 (2017), pp. 1039-1073.M. Cucculelli, Family succession, new product introduction and the businesscycle. Evidence from longitudinal data, X Workshop Siepi “Eterogeneitàdelle imprese e analisi dei sistemi produttivi: varietà di ruoli, strategie erisultati”, Perugia, 26-27 gennaio 2012.A. Finicelli, P. Pagano, M. Sbracia, Trade-revealed TFP, Temi di discus-sione n. 729, Roma, Banca d’Italia, 2009.R. Gallo, Torniamo a industriarci, Napoli, Guida Editori, 2016, pp. 93,99-103.ice, L’Italia nell’economia internazionale, Rapporto ICE 2018-2019, Roma,2019, pp. 21, 47, 108-111, 166, 228.imd, The World Competitiveness Ranking, Losanna, 2020.istat, Fiducia delle imprese manifatturiere. Modulo trimestrale imprese espor-tatrici e capacità produttiva destagionalizzati, Roma.B. Pellegrino, L. Zingales, Diagnosing the Italian desease, in “NBERWorking Paper” 23964 (2017).C. Pensa, L. Romano, F. Traù, Esaurimento di un paradigma di sviluppo:(neo)regionalismo, slowdown della domanda estera, rallentamento produttivodella manifattura mondiale, in “CSC Working paper” 8 (2020).M. Plechero, E. Rullani, Innovare: reinventare il made in Italy, Milano,Egea, 2007.Prometeia, Rapporto analisi dei settori industriali, Bologna, 2019 .r& s, Multinationals: financial aggregates (397 companies), Milano, 2018.G.F. Rocca, Riaccendere i motori: innovazione, merito ordinario, rinascitaitaliana, Venezia, Marsilio, 2014.F. Silva, A. Ninni, Un miracolo non basta, Roma, Donzelli, 2019, pp. 253e ss.ue, Making the Most of the Internal Market: Strategic Programme, COM (93)632 final, 1993.

  • 2. Chimica

    Luca Di Palma

    2.1. La situazione pre-crisi 2008-09Lo scenario al quale si affacciava il settore della chimica in Italia allafine della prima decade del nuovo Millennio era quello divenuto or-mai comune nei paesi occidentali. Lo sviluppo industriale dei paesiasiatici e l’enorme disponibilità di materie prime e di energia dei paesiproduttori di greggio avevano favorito uno spostamento degli investi-menti e, di conseguenza, delle grandi produzioni in tali aree, dove lacrescita avveniva in maniera vertiginosa. L’Europa andava incontro nelcontempo a una riduzione progressiva della capacità produttiva ed eradestinata a una ormai inevitabile perdita di leadership a livello mon-diale.

    Fino agli anni Novanta l’industria chimica in tali aree, infatti, pro-duceva in grande prevalenza prodotti di base nel campo della chimicadi sintesi e della petrolchimica, realizzati in impianti di grande scaladimensionale, automatizzati e a ciclo continuo. La migrazione di taleindustria di base nei paesi asiatici e in quelli produttori di greggio avevatuttavia favorito lo sviluppo di un’industria degli intermedi (specialties)basata sulla chimica delle formulazioni, realizzata in impianti di mediadimensione, che richiedevano, viceversa, una conduzione flessibile ea ciclo discontinuo. Tale conduzione flessibile era soggetta a una pro-gressiva ottimizzazione resa possibile dalla diffusione della sensoristica,dalla disponibilità di grandi quantità di dati e dalla capacità di analizzar-li. Tutto ciò aveva favorito la comparsa sul panorama aziendale di nuovefigure professionali, nel ruolo di tecnici di interfaccia tra il processo e lamassa di informazioni a esso connesse.

  • 14 INDUSTRIA, ITALIA

    Supplire a questo ribaltone del sistema produttivo e andare incontroa una nuova crescita necessitava una grande capacità di innovazione,che mal si sposava con le caratteristiche dell’industria chimica italiana,per quasi il 50% basata su una dimensione medio-piccola, raramentesupportata da una idonea struttura di ricerca.

    Tuttavia, il mutato scenario geopolitico e le intrinseche carenze strut-turali dell’industria chimica italiana, avevano già evidenziato che l’esi-genza di innovazione sia di processo che tecnologica sarebbe ben prestodivenuta necessità primaria allo scopo di proteggere il vantaggio compe-titivo storicamente acquisito e che si stava velocemente e inesorabilmenteesaurendo. Non sarebbe più stata sufficiente la semplice ricerca indu-striale basata su intuizioni empiriche o sulla creatività di singoli, andavacostruito piuttosto un contesto strutturato, duraturo e affidabile, cuidestinare risorse e su cui programmare investimenti.

    Promuovere le relazioni tra aziende e sistema pubblico della ricercaera già considerato un obiettivo a breve-medio termine da conseguirenecessariamente per consentire il superamento dei limiti strutturalidell’industria chimica italiana. La partecipazione comune di aziende edi enti di ricerca a bandi competitivi a livello nazionale ed europeo perottenere finanziamenti della ricerca applicata appariva una soluzioneche, nonostante le intrinseche difficoltà connesse con l’interfacciarsidi due realtà così diverse, poteva reperire almeno in parte le risorsenecessarie per ridare slancio agli investimenti.

    Al contempo, già si intravedevano quelle che dovevano essere le lineeguida per un cambio di marcia del settore. La semplice ottimizzazionedei processi esistenti, estesa a tutti i livelli del ciclo produttivo, sia purindispensabile per rallentare l’impatto di una concorrenza più ampia,non era sufficiente ad arginare a lungo termine una inevitabile perditadi competitività.

    Le aree nelle quali si ravvisava la necessità di un nuovo impulso allaricerca erano già note da tempo e riguardavano, tra le altre, alcune diquelle che stavano, o sarebbero diventate di lì a breve, le sfide dell’interacomunità scientifica internazionale nel settore, ovvero (AIRI, 2006; AIRI,2009):

    – la riduzione dell’impatto ambientale della produzione basata suprocessi chimici, attraverso la strada della chimica verde (greenchemistry), che prevede la sostituzione di prodotti convenzionalicon prodotti a basso rischio per l’ambiente, la minimizzazione

  • 2. Chimica 15

    degli scarti e della produzione di rifiuti, nonché una opportunamodifica delle condizioni di processo;

    – l’ingegnerizzazione dei materiali, allo scopo di migliorare le carat-teristiche e le prestazioni dei manufatti, la sintesi di nanomaterialie lo sviluppo di nanotecnologie per l’aumento di efficienza deiprocessi produttivi noti o per la messa a punto di nuovi processirealizzati in condizioni operative meno stringenti e più sicure;

    – lo sviluppo di tecnologie innovative per la produzione di energiae per la riduzione complessiva dei consumi energetici, allo scopodi ridurre l’emissione di anidride carbonica prodotta dalla com-bustione dei combustibili tradizionali e la dipendenza energeticada approvvigionamenti esteri;

    – lo sviluppo di una vera e propria scienza delle formulazioni, dovele conoscenze più strettamente chimiche si combinino con quelleingegneristiche (inclusi gli aspetti legati alla modellazione), per da-re vita a un’ampia gamma di prodotti che rispondano alle mutevoliesigenze del mercato.

    2.2. La crisi del 2008-09Nonostante il nuovo scenario geo-politico e le mutazioni in atto nel

    sistema produttivo, ancora nel 2007 il settore chimico in Italia apparivain ottima salute. Nel Paese erano attive 3 mila imprese, che impiegavanoun totale di circa 127 mila addetti, per un valore della produzione chesuperava i 57 miliardi di euro (quarto in Europa), pari a circa il 6%del valore complessivamente realizzato dall’industria manifatturiera.Agli albori del 2008, tuttavia, l’industria dei formulati realizzava il 45%della produzione complessiva e il sorpasso nei confronti dell’industriadi base era ormai prossimo (AIRI, Associazione Italiana per la RicercaIndustriale, 2009).

    L’anno 2008 si chiuse tuttavia con una riduzione non indifferentedella produzione, intorno al 5%, causata principalmente dal dato rilevatonell’ultimo trimestre, che da solo indicava un crollo superiore al 15%.Tale riduzione trovò conferma nei dati del 2009, sia pur in termini menomarcati, ma il risultato generale fu una sia pur limitata contrazionedella crescita, che si veniva a realizzare proprio quando il cambio diprospettiva in atto manifestava chiaramente l’esigenza di un cambiodi passo. All’inizio del 2009, l’indice della produzione industriale del

  • 16 INDUSTRIA, ITALIA

    settore registrava una diminuzione di circa il 30%. Nonostante ciò soloil valore aggiunto sul lavoro della produzione si manteneva ai livellidegli anni precedenti, registrandosi solo una lieve riduzione (stimataintorno al 5% del valore a fine 2007-inizio 2008) della quota di fatturatolegato all’esportazione, che rimaneva comunque piuttosto alta in terminiassoluti (il 38% a fine 2008). Tra i diversi indicatori legati alla produzione,il maggiore impatto si registrava sul valore aggiunto pro-capite, per ilquale nel 2009 si registrava una perdita di poco inferiore al 30% rispettoal 2007, seguito dal grado di utilizzo della capacità produttiva installata,che nel medesimo intervallo temporale subì una netta diminuzione,passando dall’83% nel 2007 al 73% nel 2009.

    L’impatto della crisi sul settore chimico fu quindi non trascurabile, siapur circoscritto ad alcuni parametri indicativi e, comunque, di ampiezzainferiore rispetto a quanto avveniva in altri settori; già nel corso dellaseconda metà del 2009 si cominciarono a registrare incoraggianti segnalidi ripresa, grazie al prorompente slancio assicurato da quelli che sareb-bero diventati i pilastri dello sviluppo futuro. La chimica, a differenzadi altri settori, aveva già in sé, in una fase di sviluppo piuttosto avanzata,gli strumenti che le avrebbero assicurato nuova linfa vitale negli anni avenire, sia pur in un contesto necessariamente mutato.

    2.3. La spinta della sostenibilitàProprio nel momento in cui la situazione di crisi sembrava destinata

    a far sentire i propri effetti, un ulteriore elemento appare nel panoramadell’industria chimica, che si rivelerà all’inizio un paracadute per limita-re i danni provocati dalla crisi in atto, ma che successivamente diventeràuno dei pilastri di un ritrovato slancio del settore. Il concetto di sostenibi-lità era già stato sviluppato nell’ambito delle problematiche ambientali,ma l’importanza e il ruolo decisivo della chimica nell’affrontare le sfidedella società del nuovo millennio appariva ormai chiaro.

    La necessità di assicurare cibo per una popolazione crescente, le sfidelegate al progressivo innalzamento dell’età media della popolazionemondiale e quelle nel campo ambientale ed energetico, richiedevanouno sforzo al settore in termini di investimento nella ricerca e nellosviluppo di tecnologie per la produzione di nuove sostanze e nuovimateriali, oppure di sostanze e materiali di prestazioni già note, maprodotte attraverso processi e tecnologie a basso impatto ambientale.Era pertanto chiaro, ancora una volta, il ruolo centrale dell’innovazione

  • 2. Chimica 17

    nell’affrontare i nuovi scenari che si prospettavano, ma, a pari livello,appariva sempre più necessaria da parte delle imprese chimiche unamaggiore capacità nel convertire con successo e in tempi rapidi i risultatidella ricerca in tecnologie e prodotti da immettere sul mercato (Maglia,2019). L’investimento per una innovazione in tal senso era a maggiorragione necessario anche in previsione di analoghe scelte strategiche daparte dei paesi orientali, in particolare la Cina che, pur in presenza dinotevoli risorse umane e di un ampio e ancora parzialmente inesploratomercato interno, avrebbe ben presto manifestato enorme disponibilitàdi capitali da investire su una produzione a maggiore valore aggiunto,più appetibile anche a livello mondiale.

    2.4. Il periodo 2009-2019Negli anni successivi al 2008-09, il riannodarsi dei fili già in essere

    prima della crisi ha rappresentato l’elemento chiave per consentire undeciso e rapido recupero del settore.

    Il primo luogo, un cambio di passo decisivo è stato effettuato grazie alpotenziamento dell’attività di ricerca: il personale dedicato alla ricercanel periodo 2007-2017 è aumentato dell’86%, così come la percentuale diimprese che ha svolto continuativamente attività di ricerca e sviluppo alproprio interno è andata continuamente crescendo, fino a raggiungereil 50% nel 2019 (Federchimica, 2020).

    A dimostrazione del continuo progresso tecnologico e organizzativoche ormai si era intrapreso, la produttività del lavoro, dopo il crollodel 2008-2009, già nel 2010 vedeva una risalita decisa, proseguita concontinuità negli anni successivi, raggiungendo un valore prossimo ai120 mila euro per addetto nel corso dell’anno 2017, con un numero didipendenti rimasto pressoché costante nel corso degli anni.

    Una indicazione sulla rilevanza degli investimenti effettuati per laripresa è testimoniata da un flusso di cassa entrante (utili non distribuitiai soci più gli ammortamenti) che è stato inferiore al flusso di cassauscente per investimenti per tutto il periodo 2008-2017. Questo non èstato però sufficiente, come dimostrato dall’invecchiamento dei mezzidi produzione, la cui età media è passata da 18 anni nel 2009 a 23 anninel 2018.

    Al contempo, il grado di utilizzo della capacità produttiva installatacrollò dall’83% nel 2007 al 73% nel 2009, e dopo qualche sussulto si èstabilizzato intorno a un buon 77%.

  • 18 INDUSTRIA, ITALIA

    Ma l’indicatore che ha mostrato immediatamente gli effetti del cam-bio di passo della chimica in Italia è stato il livello di esportazione deiprodotti. La quota di vendita all’estero, che prima della crisi del 2008-09si attestava sul 40%, è rapidamente risalita negli anni a seguire, arrivan-do a superare nettamente il valore pre-crisi, fino a toccare il 45% nel 2015,per poi consolidarsi a valori dell’ordine del 42-43% negli anni successivi.Si tratta di numeri al di sopra della media degli altri settori industria-li. Non molti settori dell’industria italiana hanno mostrato un’analogacapacità di esportazione, soprattutto rispetto ai paesi in rapida crescitadel Medio Oriente, Asia e Africa subsahariana. Il settore chimico si èprogressivamente attestato come il terzo settore di esportazione dopomeccanica e mezzi di trasporto e il quarto per incremento della quotasettoriale sul valore aggiunto (+0,6 punti percentuali tra il 2007 e il 2015)dell’industria italiana (SACE SIMEST, 2020).

    Nel panorama europeo, peraltro, il nostro Paese si è progressiva-mente consolidato come il terzo produttore chimico (dopo Germania eFrancia) e l’undicesimo a livello mondiale. La Lombardia, tra l’altro, ètra le prime cinque regioni (la prima non tedesca) come livello di occu-pazione nel settore, con un elevato indice di specializzazione, superioreanche a settori considerati tipici dell’industria locale come la meccanica(Federchimica, 2020).

    Nel complesso l’industria chimica è risultata tra i settori dell’econo-mia italiana che meglio hanno saputo riprendersi dopo la crisi del 2008,arrivando in un decennio a livelli addirittura superiori a quelli pre-crisi.

    Un ulteriore margine di crescita era tuttavia prevedibile: la chimicaitaliana si manteneva ancora infatti su un valore aggiunto su fatturatonetto (cioè quanto ci mette di suo in quel che vende) inferiore alla mediadell’industria: era il 14% nel 2008 e solo a partire dal 2015 era salito al17-19%.

    2.5. La situazione a inizio 2020Lo scenario che si andava profilando all’orizzonte all’inizio del nuo-

    vo decennio, pertanto, lasciava presagire un trend di crescita costante,sull’onda di quanto stava avvenendo in quegli anni.

    Nel 2019 la chimica in Italia vedeva circa 112 mila addetti, che rap-presentavano il 9% del totale addetti nel settore a livello europeo e che,considerando gli impiegati nell’indotto, raggiungeva 2,5 volte tale valore(Federchimica, 2020).

  • 2. Chimica 19

    Nonostante la crescita dei paesi orientali, in particolare della Cinache proseguiva inarrestabile, l’Italia era ancora attore principale nellachimica europea: all’inizio del 2020, era il secondo produttore mondialecon il 16% della produzione globale e manteneva il ruolo di principaleesportatore, pur vedendosi ridotta del 50% la quota delle vendite a livelloglobale (AIRI, 2020).

    Tale riduzione, così come la minaccia concreta di una inesorabileulteriore perdita di competitività che si stava palesando, era per lo piùlegata al costo delle materie prime e dell’energia che ormai sfavorisce laproduzione di prodotti di base, sempre più demandata a paesi nei qualil’incidenza di tali costi è minima (paesi del Medio Oriente, Cina, StatiUniti).

    La spallata decisiva alla produzione massiva di base era comunquebilanciata da una elevata produzione specializzata, pronta a soddisfarele esigenze connesse con lo scenario di crescita sostenibile che ormai siandava sempre più consolidando come paradigma fondamentale dellosviluppo a livello globale. La necessità di investimenti in tal senso eraormai un’evidenza improrogabile, tanto che termini quali sostenibilità,economia circolare, attenzione all’ambiente e agli ecosistemi e ricorsoa fonti energetiche innovative (nel nome della cosiddetta transizioneenergetica), sono diventate ormai dei capisaldi imprescindibili dei pianidi sviluppo e investimento pluriennali per gli anni successivi al 2019-20di tutte le principali aziende del settore.

    Gran parte di tali investimenti appare ormai destinata a una ricercain grado di innalzare continuamente la qualità dei prodotti esistenti e diimmetterne sempre di nuovi sul mercato, in maniera tale da fronteggiarela minaccia di perdita di competitività con la capacità di soddisfare lecontinue e crescenti richieste dei settori di cui la chimica europea èprogressivamente divenuta la base dell’intera filiera. In particolare, lachimica italiana è ormai da diversi anni alla base della produzione, tragli altri, dei settori farmaceutico, cosmetico, alimentare e dei materialiper l’edilizia; la richiesta di principi attivi (in Italia ancora il 43% dellaproduzione è nella chimica di base) e di formulazioni dalle prestazioniavanzate richiede necessariamente un costante e deciso sforzo voltoall’innovazione di processo e di prodotto. In tali settori, peraltro, inItalia si sono andate configurando negli anni posizioni di eccellenzariconosciute a livello mondiale. Benefici nel settore chimico, a più ampioraggio, sono pertanto da considerare come linfa vitale per tutte le filierenelle quali la chimica rappresenta un pilastro indispensabile per lo

  • 20 INDUSTRIA, ITALIA

    sviluppo. Tali filiere, inoltre, costituiscono parte integrante di quel madein Italy che da sempre è caratterizzato da una continua innovazionetecnologica che, affiancata a intuizioni anche di imprenditori singoli, dasempre garantisce competitività in numerosi settori industriali al nostropaese.

    D’altronde, le aspettative a inizio 2020 e per gli anni futuri sembrava-no orientate verso una previsione di crescita del settore a medio e lungoperiodo. In base ai dati ISTAT, infatti, la chimica figurava tra i primitre settori della classifica (ISTAT, 2019) basata sull’Indicatore Sintetico diCompetitività (ISCO) che coglie i fattori strutturali della competitività(internazionalizzazione, innovazione, produttività e profittabilità).

    A testimonianza dell’entità degli investimenti in atto e previsti, vaconsiderato come la chimica in Italia sia, agli albori del nuovo decen-nio, tra i settori che più di ogni altro hanno fatto proprio il program-ma Industria 4.0, con 380 milioni di investimenti nel 2017, dietro soloal settore dei prodotti in metallo e al pari della meccanica strumenta-le (Federchimica, 2020). La necessità di elaborare una gran massa didati ai fini di implementare sistemi di miglioramento e ottimizzazio-ne dei processi e dei cicli tecnologici in base alle necessità produttive,riveste una notevole importanza nel settore chimico, in cui il nume-ro delle variabili in gioco e dei fattori da cui dipendono le prestazio-ni/qualità dei prodotti durante l’intero ciclo di vita è estremamenteelevato.

    Massima attenzione, con relative aspettative di crescita, è inoltrerivolta alle tre tematiche cardine, nelle quali le aspettative di crescitasono andate concentrandosi negli anni precedenti, ovvero la produzioneda fonti rinnovabili, le nanotecnologie e le biotecnologie, declinate neidiversi sotto-settori secondo le relative specifiche esigenze.

    Le tecnologie prioritarie individuate per il settore a inizio 2020 an-davano peraltro in tale direzione, riguardando, in buona parte, aspettilegati alle potenzialità offerte dal recupero e valorizzazione di scarti eresidui di lavorazione di natura organica anche ai fini energetici (AIRI,2020).

    Il ruolo della ricerca è centrale anche nell’individuazione di strategiee tecnologie volte al miglioramento delle condizioni al contorno, ovveroalla riduzione dell’impatto dei costi di produzione in termini di materieprime ed energia. Tali obiettivi, comuni alle industrie del settore enon solo, e in un panorama come quello della chimica italiana, nelquale le PMI hanno un ruolo rilevante (circa un terzo del valore totale

  • 2. Chimica 21

    della produzione), richiedono necessariamente una messa a comunedi sforzi e iniziative attraverso la costituzione di reti e strumenti per lacollaborazione tra tutti i soggetti interessati.

    Un ruolo centrale nei piani di investimento degli anni a venire eraaltresì affidato agli aspetti legati alla formazione e alla sicurezza.

    La necessità nell’industria chimica, più degli altri comparti, di perso-nale qualificato e opportunamente formato, ha da sempre determinatol’esigenza da un lato di disporre di professionisti ad elevata qualificazio-ne, dall’altro a ricorrere alla formazione come strumento per aumentarele conoscenze e, di conseguenza, la competitività delle singole aziende.

    In generale, negli ultimi anni, già si era intrapresa la doppia stra-da di una formazione affidata all’esterno, favorendo la partecipazionedel personale a corsi di formazione organizzati da terzi, in particolareattraverso un maggior legame con il mondo universitario, nell’ambitodi una reciprocità instauratasi a partire dal 2000, ovvero dall’ultimariforma sostanziale dei corsi di laurea universitari nelle materie tecnico-scientifiche, che ha previsto i tirocini aziendali come parte integrantedel percorso universitario.

    Nei casi più virtuosi, di certo nelle aziende a dimensioni maggiori, ilcontinuo aggiornamento dei dipendenti si è andato progressivamenteconcretizzando in una vera e propria strategia di formazione, che tienealtresì in considerazione gli aspetti ambientali e della sicurezza, sia dalpunto di vista tecnico che normativo.

    L’investimento sulla formazione è testimoniato dal fatto che, nel 2019,il 42% del personale ha partecipato ad almeno un corso di formazione(Federchimica, 2020).

    La qualificazione del personale, affiancata a una elevata produttività,contribuisce al mantenimento di un livello elevato delle retribuzioni,superiori in media di oltre il 40% rispetto al dato nazionale, e che ren-dono il comparto chimico uno dei più appetibili in fase di ricerca dioccupazione.

    Un ruolo importante nei piani di investimento in corso a inizio decen-nio, sulla scorta della crescente sensibilizzazione in materia di sicurezzae infortuni sul lavoro e della conseguente dinamicità della normativain materia, riguarda la messa in atto di misure e strumenti di tuteladella salute e della sicurezza dei lavoratori, nonché di salvaguardiaambientale.

    Tale aspetto risulta cruciale, anche alla luce di un’ottica di cambio dipercezione sull’industria chimica in Italia, troppo spesso associata, senza

  • 22 INDUSTRIA, ITALIA

    una conoscenza approfondita di fatti e situazioni, all’inquinamento e alpericolo, sia per i lavoratori che per le popolazioni che risiedono nellevicinanze degli stabilimenti.

    Una maggiore informazione (anche a scopo meramente divulgati-vo) sul vero ruolo della chimica e sui benefici offerti da uno sviluppoindustriale in tale settore, appare quindi necessaria, per contrastare unacampagna di disinformazione che vede spesso sottolineare per la chi-mica gli aspetti negativi (sostanze inquinanti, emissioni pericolose) inluogo dei numerosi e indispensabili strumenti da essa offerti in numerosicampi, da quello medico, a quello alimentare, a quello della protezionee del risanamento ambientale.

    2.6. La crisi del 2020La pandemia in atto ha in pochi mesi radicalmente mutato le abitu-

    dini nei paesi occidentali, sia per quanto riguarda le semplici attivitàquotidiane che per la pianificazione di attività a medio-lungo termineda parte dei cittadini e delle istituzioni stesse. Tutti i settori produt-tivi hanno risentito, sia pure in maniera diversa, di uno scenario dimercato improvvisamente stravolto, che ha visto sconvolgere equilibriconsolidati e fatto riemergere necessità nuove o ormai abbandonate. Peraprile 2020 si stima una diminuzione dell’indice destagionalizzato dellaproduzione industriale pari al 19,1% rispetto a marzo dello stesso an-no. Nella media del periodo febbraio-aprile, il livello della produzioneè risultato altresì diminuito del 23,2% rispetto ai tre mesi precedenti(ISTAT, 2020).

    Ciò si riflette inevitabilmente anche sull’industria chimica, in virtùdella massiccia presenza di PMI, per loro natura più esposte alla crisidelle grandi multinazionali.

    L’impatto atteso sull’industria chimica, che trova più di ogni altrauna sua collocazione in quasi tutte le filiere che si intrecciano nellaproduzione dei beni di maggiore consumo e diffusione non può, tuttavia,essere omogeneo.

    Sin dai primi mesi della pandemia si è infatti registrata una fortespinta nel settore, trainato prevalentemente dalla filiera alimentare (+2%di entrate globali nel primo quadrimestre del 2020, rispetto al 2019) efarmaceutica/cosmetica (+6,1% di entrate globali nel primo quadrime-stre del 2020, rispetto al 2019), soprattutto legati alla distribuzione sularga scala (Area Studi Mediobanca, 2020).

  • 2. Chimica 23

    L’esigenza di immissione sul mercato di ingenti quantità di prodottialimentari in breve tempo, o di prodotti sanitari specifici per la disin-fezione, la sanificazione, l’igiene e la cura personale (oltre che per farfronte a una prevedibile corsa all’accaparramento) ha altresì mostratouna notevole crescita della distribuzione su larga scala (+9%, Area StudiMediobanca, 2020). A essa si è associata una crescente richiesta di imbal-laggi, anche di nuovo formato, per far fronte alle mutate nuove esigenzeigieniche e di impacchettamento dei prodotti, nonché per soddisfarele esigenze di home delivery di generi alimentari e di una connessamaggiore percezione di igiene da parte dei consumatori (Ricerca SWGper Comieco, 2020).

    Un’ulteriore variabile è rappresentata dalla improvvisa crescita dellanecessità di prodotti a basso valore aggiunto ma ad elevata distribuzione,con disponibilità immediata e necessità di certificazione del prodotto,che riguarda sia il materiale di partenza, che il prodotto finale nei con-fronti delle prestazioni attese. Ciò è particolarmente vero per talunidispositivi e prodotti a uso medico (mascherine, guanti, soluzioni alcoli-che), la cui produzione negli anni era stata per lo più demandata allaCina o ai paesi che per ultimi si erano affacciati nel settore. I produttoriin tali paesi hanno dovuto però confrontarsi con le regolamentazioni ele certificazioni in vigore nei paesi occidentali unitamente all’esigenzadi disponibilità immediata su base locale (anche perché nei paesi diorigine il loro consumo si era già a sua volta impennato). Ciò ha favoritonella fase acuta della pandemia lo spostamento delle attività di industriedel settore verso la produzione, ad esempio, di fibre e tessuti per ma-scherine, di dispositivi monouso per uso medico (tamponi, guanti), disaponi, detergenti e soluzioni disinfettanti a base alcolica, di dispenserdi prodotti per la sanificazione da utilizzare in uffici, aziende, negozi oper uso domestico.

    Le misure restrittive di chiusura degli stabilimenti non hanno per-tanto riguardato le aziende chimiche in Italia inserite in filiere qualiquelle alimentare e farmaceutica (che insieme rappresentano circa l’11%del flusso produttivo della chimica in Italia), che non hanno pertantodovuto interrompere il loro ciclo produttivo, sebbene, in qualche caso,adattato allo scenario in essere.

    Una crisi superiore si attende per i settori dei beni non di primanecessità e nel settore del lusso. A titolo di esempio, il comparto auto-mobilistico ha mostrato già nella prima parte del 2020 segni di marcatasofferenza, con una diminuzione di immatricolazioni in Italia nel perio-

  • 24 INDUSTRIA, ITALIA

    do gennaio-maggio 2020 del 50% rispetto allo stesso periodo del 2019(UNRAE, 2020), il che ha già portato in Italia alla richiesta di una primamisura drastica di incentivi.

    Un ulteriore elemento di riflessione è legato ai paesi verso i qualil’esportazione della chimica italiana è maggiormente indirizzata. Secon-do i dati del 2019, i mercati di destinazione più importanti dei prodottichimici italiani sono i paesi europei, in particolare quelli avanzati del-l’Europa occidentale (Germania, Francia, Spagna, Regno Unito, chesommavano circa un totale del 35% delle esportazioni nel 2019) e gliUSA (circa il 6%), seguiti da Turchia e Cina (3,0%), Russia (1,9%) e Roma-nia (1,9%) (Federchimica, 2020). In tutti questi paesi, in tempi differentie con livelli diversi, la pandemia ha richiesto periodi di chiusura, conconseguente rallentamento delle produzioni e riduzione/variazionedei consumi in base a meccanismi analoghi a quanto avvenuto in Italia.Ciò lascia intendere un simile effetto disomogeneo sull’andamento delsettore.

    Per quanto riguarda gli impatti immediati sul ciclo produttivo, c’ècomunque da registrare il timore generalizzato di tagli, con un’improv-visa generale riduzione degli investimenti, come risposta immediata allafluttuazione della domanda del mercato e alla necessità di fronteggiarele spese necessarie per l’adeguamento alle normative per le riaperture.

    Bibliografiaairi, Le innovazioni del prossimo futuro. Tecnologie prioritarie per l’industria,VI (2006).

    airi, Le innovazioni del prossimo futuro. Tecnologie prioritarie per l’industria,VII (2009).

    Area Studi Mediobanca, Impacts of COVID-19 pandemic on 1Q 2020 datafor large industrial companies, maggio 2020.

    Federchimica, L’industria chimica in cifre: Dati e analisi per conoscere megliol’industria chimica, Centro studi Federchimica, marzo 2020.

    istat, Produzione Industriale Aprile 2020 – Centro diffusione dati, giugno2020.

    istat, Rapporto sulla competitività dei settori produttivi, 2019.

    V. Maglia, Chemical Industry and Sustainability, in “Substantia” III, 2(2019), Firenze.

  • 2. Chimica 25

    Ricerca swg per Comieco, La preoccupazione per il virus sposta i consumi afavore dei prodotti confezionati e degli acquisti online. Carta e cartone al topper sicurezza e sostenibilità, maggio 2020.https://www.comieco.org/gli-italiani-e-il-packaging-nel-periodo-covid-19-calano-gli-acquisti-di-prodotti-sfusi/.sace simest, Focus On – Mappa dei Rischi 2020, febbraio 2020 https://www.sacesimest.it/docs/default-source/ufficio-studi/ pubblicazioni/sace-simest—focus-on—mappa-dei-rischi- 2020.pdf?Status=Master& sfvr-sn=46a8f8be_2.unrae, Struttura del mercato: Maggio 2020, http://www.unrae.it/files/maggio% 202020_UNRAE% 20Struttura% 20del% 20mercato_5ed50a054a0ca.pdf.

  • 3. Metallurgia

    Daniela Pilone

    3.1. Situazione dell’industria metallurgicaL’industria metallurgica è il comparto industriale che si occupa dellaproduzione e lavorazione di leghe metalliche ferrose e non ferrose.

    In questo capitolo si farà riferimento principalmente alla siderurgiache rappresenta nei paesi industrializzati un’industria fondamentalesia per l’economia che per l’occupazione. Questa produzione infattialimenta settori importanti nel campo della meccanica, dell’edilizia,della produzione di energia e dei trasporti.

    All’inizio degli anni Sessanta sono stati realizzati due poli siderurgicie questa industria ha assunto in Italia una posizione dominante. Solocon la crisi petrolifera il comparto ha incontrato le prime difficoltà. Neglianni Novanta i poli siderurgici pubblici sono progressivamente diventatiprivati, pur mantenendo una posizione dominante nelle dinamicheproduttive italiane. L’industria siderurgica, seppur ridimensionata nelcorso degli anni, continua a rappresentare un settore cardine del nostroPaese.

    Per quanto riguarda l’acciaio, esso si può produrre utilizzando duediversi cicli di fabbricazione: ciclo integrale e ciclo con forno elettrico. Ilciclo integrale utilizza come materie prime minerale di ferro e carbonfossile che nell’altoforno si trasformano in ghisa. La ghisa viene poitrattata nei forni di affinazione (convertitori) dove avviene la conversionemediante insufflazione di ossigeno. Il ciclo primario se da una parteconsente di ottenere acciaio di ottima qualità, dall’altro prevede l’utilizzodi convertitori di grandi dimensioni che sono continuamente alimentatidall’altoforno e quindi la strategia produttiva è condizionata dal fattoche si ha un processo continuo caratterizzato da elevate portate.

  • 28 INDUSTRIA, ITALIA

    Il ciclo che utilizza il forno elettrico invece prevede come carica delforno rottami di acciaio preventivamente selezionati. Esso è caratterizza-to da minore complessità e dalla possibilità di adattarsi ai cambiamentidella domanda. I forni elettrici, di dimensioni limitate rispetto a quel-li del ciclo integrale, permettono di realizzare stabilimenti con buonrapporto tra investimento e capacità produttiva.

    La situazione italiana è tale per cui la maggior parte dell’acciaio pro-dotto viene da impianti piccoli e flessibili che utilizzano i forni elettrici. Idati Federacciai, che fotografano la situazione al 2018 (Federacciai, 2019),evidenziano che in Italia sono presenti 39 siti produttivi. Le acciaierie aciclo integrale, in Italia come nel resto d’Europa, sono datate e quindicaratterizzate da scarse innovazioni tecnologiche. A valle del processodi produzione dell’acciaio fuso, i processi siderurgici prevedono colatae solidificazione del fuso in forme particolari per l’ottenimento dei se-milavorati, nonché la lavorazione di tali semilavorati per deformazioneplastica per l’ottenimento dei prodotti finiti.

    Si fa distinzione tra prodotti lunghi e prodotti piani. I prodotti lunghipossono essere tubi destinati a gasdotti, oleodotti, meccanica oppurepossono essere travi, barre, vergelle, rotaie destinate a costruzioni oveicoli a motore. I prodotti piani sono lamiere o coils destinati a trasporti,edilizia, serbatoi, elettrodomestici ecc. Ciò è importante in quanto aseconda del tipo di prodotto su cui si punta e dell’industria a cui èdestinato, si può risentire più o meno marcatamente della crisi di altrisettori industriali a valle della filiera siderurgica.

    Per quanto riguarda la produzione di acciaio, l’Italia si posizionaall’undicesimo posto nel mondo (Euler Hermes, 2020) e in ambito euro-peo risulta essere il secondo produttore dopo la Germania. Andandoad analizzare la produzione italiana di acciaio negli anni si vede cheprima della crisi del 2008-2009 la produzione aveva superato i 30 milionidi tonnellate per anno. Dopo la crisi la produzione è tornata a salireper raggiungere il suo massimo nel 2011, mentre dal 2011 al 2013 hasubito un forte decremento a causa sia della diminuzione della domandainterna di acciaio, sia della crisi dell’Ilva. Con la ripresa dell’attivitàdello stabilimento di Taranto nel 2013 la produzione è tornata a stabiliz-zarsi per poi diminuire solo recentemente a causa della crisi legata alCovid-19.

    Per analizzare le peculiarità dell’industria metallurgica italiana èimportante vedere anche quali sono le dinamiche che caratterizzanol’import/export. L’industria metallurgica italiana vende all’estero oltre

  • 3. Metallurgia 29

    Quota Fatturato Export (%)46

    44

    42

    40

    38

    362007 2010 2013 2016 2019

    Fig. 3.1. Quota di fatturato all’export nel periodo 2007-2019.

    il 40% della propria produzione: questa è una quota sorprendentementealta (figura 3.1). La crisi del 2008-2009 ha inciso solo in maniera margina-le sulle esportazioni e il massimo della quota esportata è stato raggiuntonel 2014 con un export pari al 44,6% del fatturato. A partire dal 2014 lasituazione si è stabilizzata.

    Per comprendere le ragioni di tale andamento è importante vederequali sono i paesi verso i quali l’Italia esporta i suoi prodotti siderurgici.I dati dell’International Trade Administration mostrano che l’Italia è trai primi 7 esportatori di acciaio nel mondo. La Germania, come si puòvedere dalla figura 3.2, è il principale paese verso cui l’Italia esportaacciaio seguito da Francia, Spagna, Austria e Polonia (International TradeAdministration, 2019). Gli Stati Uniti si trovano solo al decimo posto

    Esportazioni di Acciaio (%)25

    20

    15

    10

    5

    0Germania Francia Spagna Austria Polonia Svizzera Algeria Turchia Rep. Ceca Stati Uniti

    Fig. 3.2. Percentuali in volume di acciaio esportato. Principali 10 paesi.

  • 30 INDUSTRIA, ITALIA

    come paese di destinazione per le esportazioni di acciaio. Il fatto chela Germania abbia un’economia molto forte e che probabilmente abbiarisentito meno della crisi economica, giustifica il fatto che le esportazionisono rimaste praticamente costanti nel tempo.

    Nel corso degli anni le importazioni e le esportazioni italiane hannoavuto un andamento abbastanza simile. Per l’Italia le importazioni han-no sempre superato le esportazioni fatta eccezione per il periodo che vadal 2012 al 2014. I dati dell’International Trade Administration permet-tono di vedere quali sono i paesi da cui l’Italia importa acciaio. Esso, inordine decrescente di volumi trattati, proviene da: Ucraina, Germania,Francia, Turchia, Cina e India (International Trade Administration, 2019).

    Se si analizza la tipologia di prodotti importati si evidenzia che igrossi volumi importati dall’Ucraina si riferiscono a semilavorati, cioè aprodotti destinati a trattamenti termomeccanici, mentre i prodotti impor-tati da Germania e Francia sono prodotti piani destinati principalmenteall’industria automobilistica e degli elettrodomestici. È importante evi-denziare che non è la Cina il paese da cui l’Italia importa acciaio a bassocosto. Ciò è spiegabile considerando che sui prodotti cinesi pesano lespese di trasporto, mentre paesi che si trovano alle porte dell’Unione Eu-ropea e che non sono soggetti ai vincoli ambientali stabiliti nell’ambitodell’Unione, sono in grado di alimentare il mercato italiano ed europeocon acciaio a basso costo. I dati analizzati ci fanno vedere come in real-tà l’economia legata all’acciaio comporti grossi flussi transfrontalieri ecome ciò determini una notevole interconnessione tra le economie deidiversi paesi che quindi si influenzano a vicenda. Da ciò discende chel’andamento dell’economia legato ai prodotti siderurgici è influenzatoanche dalle politiche economiche adottate da altri paesi.

    3.2. La metallurgia in ItaliaPer quanto riguarda la situazione italiana, la metallurgia ha un valore

    aggiunto sul fatturato netto intorno al 14-15%, valore questo ben inferiorealla media dell’industria che si attesta intorno al 20%. La ragione di ciòè che il nostro Paese non ha né il minerale di partenza né energia a bassocosto. A ciò va aggiunto che molti impianti sono obsoleti e che si è pocopuntato sull’innovazione.

    Per quanto riguarda in particolare l’industria siderurgica i dati ISTATevidenziano che essa impiega il 2% degli occupati del settore manifat-turiero nazionale. Nel 2016 l’industria siderurgica nazionale occupava

  • 3. Metallurgia 31

    140 000

    120 000

    100 000

    80 000

    60 000

    40 000

    20 000

    02007 2010 2013 20192016

    Valore Aggiunto Pro-Capite (€)

    Fig. 3.3. Valore aggiunto pro-capite in euro per il settore metallurgico dal 2007 al 2019.

    oltre 70 mila addetti diretti: ciò spiega perché questa industria rappre-senti un volano occupazionale importante per l’Italia (Federacciai, 2019).L’importanza di questo settore, cardine dell’economia italiana, fa sì cheil numero di dipendenti nel complesso abbia subito modeste oscillazioninel corso degli anni. La produttività del lavoro, cioè il valore aggiuntopro capite, si è dimezzato tra il 2007 e il 2009, passando da 126 mila a 67mila euro. Negli anni successivi il valore della produttività del lavoro ètornato a crescere senza tuttavia mai tornare ai livelli pre-crisi: lo scorsoanno tale valore era di 116 mila euro (figura 3.3). Ciò è da attribuire alfatto che in metallurgia troviamo una larga percentuale di produzionicommodity che, oltre ad essere caratterizzate da un basso valore aggiun-to, sono sottoposte a forti pressioni competitive. Nel 2019, ad esempio,una grande quantità di acciaio cinese a basso costo ha invaso il merca-to europeo dopo l’introduzione di dazi da parte dell’amministrazionestatunitense.

    Se si analizza l’andamento del Return On Sales (ROS), caratterizzantel’industria metallurgica nel corso degli anni, si vede che nel 2009 avevaun valore molto basso e che ci sono voluti 8 anni per raggiungere unvalore compreso tra il 4 e il 5%, valore medio che caratterizza il settoreindustriale italiano. Ciò è spiegabile considerando che, dopo la crisidel 2008-2009, ci si è orientati più verso la produzione di acciai di qua-lità e meno prodotti lunghi per l’edilizia. In particolare è aumentatala produzione di acciai speciali destinati principalmente alla mecca-nica.

    Dai dati, inoltre, emerge che nell’ultimo decennio il flusso di cassaentrante è stato di poco superiore al flusso di cassa uscente per investi-

  • 32 INDUSTRIA, ITALIA

    menti, di conseguenza le fabbriche sono invecchiate e hanno oggi un’etàmedia di circa 17 anni.

    Nel settore metallurgico il grado di utilizzo della capacità produt-tiva installata, tranne che nel periodo di post crisi 2009, si è sempremantenuto su un valore del 75% che è ritenuto un valore accettabile.

    BibliografiaFederacciai, Rapporto di sostenibilità, Assemblea annuale 2019, Milano,2019.Federacciai, La siderurgia italiana in cifre 2018, Assemblea annuale 2019,Milano, 2019.Euler Hermes Italia, L’industria italiana dell’acciaio, febbraio 2020.International Trade Administration, Global steel trade monitor. Steelexport report: Italy, maggio 2019.International Trade Administration, Global steel trade monitor. Steelimports report: Italy, maggio 2019.Worldsteel Association, May steel production data, giugno 2020.

  • 4. Meccanica

    Alessandro Corsini

    4.1. Quadro di riferimentoIl macro-comparto della meccanica, cui appartengono quello dei benistrumentali o meccanica strumentale e quello della meccanica di pre-cisione e varia, è in ogni economia il settore portante dello sviluppoindustriale. Il comparto dei beni strumentali, ovvero il settore che pro-duce “macchine per costruire altre macchine”, alimenta l’intero settoremanifatturiero e ne costituisce una delle chiavi di competizione.

    Punto di osservazione scelto per l’indagine sul macro-settore metal-meccanico è, quindi, quello della meccanica strumentale per il ruolo nelsistema di produzione di beni ma, soprattutto, in quanto i beni strumen-tali incorporano innovazione tecnologica e la distribuiscono nei diversisettori di impiego.

    Il comparto della meccanica strumentale rappresenta l’anello inter-medio in molte filiere produttive dell’industria manifatturiera, essendocomposto da imprese che fabbricano macchinari utensili per il settoreprimario e l’industria alimentare, per il settore secondario (tessile, legno,materie plastiche e gomma, carta, cartotecnica e grafica, ceramica et al.)e per il settore terziario (salute).

    La meccanica strumentale costituisce un vero e proprio ecosistemacaratterizzato da volatilità congiunturale, in quanto base della produ-zione industriale, ma anche da capacità di innovazione garantita da untessuto di piccole e medie imprese specializzate e flessibili interessate,solo di recente e solo in misura limitata, da processi di concentrazionee riorganizzazione. Elemento essenziale, l’ecosistema della meccanicastrumentale muove servizi a elevato valore aggiunto tanto da indurre lacreazione di due posti di lavoro in altri settori per ogni posto di lavorodiretto nella produzione.

  • 34 INDUSTRIA, ITALIA

    Nella visione più moderna, proposta nel Piano di Innovazione In-dustriale made in Italy, i beni strumentali sono definiti in un’accezionemultipla come prodotto destinato a un mercato B-to-B, come tecnologiae, infine, come fattore abilitante capace di creare valore aggiunto graziealla conoscenza incapsulata nel bene stesso ed espressione del know-howindustriale del suo produttore.

    Questa natura particolare, unita alla trasversalità rispetto alle fab-briche di prodotti e servizi, ha reso i beni strumentali centrali nellediverse politiche di sviluppo varate nel decennio 2009-2019, in rispostaalla crisi del 2008, per modificare le condizioni infrastrutturali a sup-porto dell’intero comparto industriale su una dimensione europea enazionale.

    La dimensione europea è stata indirizzata da Manufuture 2030 lapiattaforma tecnologica destinata alle “Fabbriche del Futuro”, che nellaroad-map 2013-2020 individua le linee di sviluppo ed implementazionedelle soluzioni produttive innovative, competitive e sostenibili, orientatealla fabbricazione dei prodotti del futuro e alla sostenibilità economica,sociale e ambientale.

    In ambito nazionale, poi, immediatamente nel periodo post-crisi, ilMinistero dello Sviluppo Economico (MiSE) lancia nel 2009 l’iniziativaIndustria 2015 e il collegato Piano di Innovazione Industriale Made inItaly il quale indica nei beni strumentali uno dei pilastri del piano. Apartire dal 2012, nella cornice delle iniziative europee per lo sviluppo so-stenibile, nascono su iniziativa del Ministero dell’Istruzione Universitàe Ricerca (MIUR) i Cluster Tecnologici Nazionali, tra i quali la FabbricaIntelligente, come parte fondamentale del Piano Nazionale della Ricerca2015-2020. I cluster riuniscono imprese, università e operatori dell’inno-vazione, secondo un modello economico-gestionale di economia dellaconoscenza cui affidare l’effetto di propulsione e crescita industriale.La Fabbrica Intelligente, in particolare, ha coordinato le azioni relativeai finanziamenti europei, diretti e indiretti, e contribuito all’estensionedella roadmap per la ricerca e l’innovazione. A fine 2016, il MiSE halanciato il Piano Nazionale Industria 4.0 con il quale ha individuato novetecnologie abilitanti (da Advanced Manufacturing, a Augmented reality edigitalization, a Industrial IoT e Data intelligence). Il piano, inoltre, haspinto gli investimenti in innovazione (attraverso gli strumenti del su-per e iper-ammortamento), con l’obiettivo diretto di ammodernamentodel tessuto produttivo attraverso una spinta al cambio di paradigmatecnologico e gestionale.

  • 4. Meccanica 35

    Il risultato della sequenza dei sistemi di incentivazione, che si so-no accompagnati ai dispostivi di pianificazione industriale, nel decen-nio 2009-2019 è la risalita degli investimenti, che nel complesso confi-gura un recupero solo parziale rispetto alle dimensioni della contra-zione registrata negli anni di crisi, e riguarda pressoché tutte le com-ponenti ovvero gli investimenti in beni strumentali (2009-2010 e post2015), che hanno beneficiato degli incentivi fiscali legati al Piano na-zionale Industria 4.0 per l’acquisto di questa tipologia di beni (super-ammortamento) e dell’introduzione di quelli per la spesa in attivitàinnovative (iper-ammortamento).

    Il nuovo paradigma emergente, al termine del decennio in esame,immagina l’implementazione del modello di economia circolare ancheal settore manifatturiero e nello specifico dei beni strumentali. Dallacondivisione di beni, al recupero funzionale (riparazione, riuso, aumentodi funzionalità, ricostruzione), al riciclo e recupero energetico, il nuovomodello incide sulla creazione di valore e impone un nuovo panoramatecnologico.

    Quei beni strumentali destinati al consumo in un’economia lineare,in questa nuova visione diventano strumenti attraverso i quali offrire unservizio, come tali la loro evoluzione tecnologica dovrà tendere alla du-revolezza del bene, al suo possibile riutilizzo attraverso riconfigurazioni,alla riparabilità e rigenerazione.

    4.2. Evoluzione 2009-2019Il manifatturiero rappresenta la colonna portante, economica e socia-

    le, del sistema produttivo del Paese con un tessuto composto da 390 milaimprese capaci di un fatturato, al 2016, di 890 miliardi di euro, che ancoraoggi lo pone al secondo posto in Europa. Una lettura per settori del madein Italy vede l’intero settore manifatturiero ripartito nelle così dette 4A(Abbigliamento-moda, Arredo-casa, Alimentari-vini, e Automazione emeccanica-gomma-plastica), all’interno delle quali l’ultima A (Automa-zione et al.) rappresenta circa il 70% dell’intera manifattura e con la suaevoluzione ha più che compensato le perdite che negli ultimi dodici annihanno caratterizzato i rimanenti comparti. Un contributo essenzialeall’andamento del comparto Automazione e meccanica-gomma-plasticaè stato fornito dal ri-orientamento della parte più tecnologica del madein Italy verso prodotti ad alta tecnologia e maggiore valore aggiunto,nel comparto dei beni strumentali ad esempio. Con riferimento al solo

  • 36 INDUSTRIA, ITALIA

    settore della meccanica, il suo contributo al valore aggiunto dell’indu-stria manifatturiera nazionale risulta, nel 2018, pari al 47,7% (circa l’8%sull’intera economia), mentre in termini di occupati la quota è del 42,2%(6% del livello di occupati del sistema paese). Entrambi questi datidimostrano una crescita rispetto ai valori precedenti il 2008.

    I beni strumentali hanno, poi, un ruolo centrale nell’export laddovela quota di prodotti di alta qualità e macchine industriali nel 2018 hasfiorato il 50% delle esportazioni complessive, ponendo l’avanzo dellabilancia commerciale italiana con l’estero (per le sole macchine e appa-recchiature) in terza posizione mondiale. L’industria meccanica italianavende all’estero quasi due terzi della propria produzione, una quotaenorme. È giunta a questi livelli migliorando con continuità, partendoda una percentuale del 58% nel 2007 e arrivando al 67% nel 2013.

    È importante notare che tale capacità competitiva si sia, nel periodo2008-2018, mantenuta inalterata a indicazione di una continua evoluzio-ne dei beni strumentali spinta da una continua creazione e interscambiodi know-how tra operatori. Meccanismi questi propri di una sana eco-nomia della conoscenza. Il rallentamento delle esportazioni nel 2017(figura 4.4), in linea con quella degli altri principali partner europei(Francia, Germania e Spagna), mostra il ruolo negativo avuto da fattoriesogeni quali la presenza di economie in crisi (Argentina, Turchia e Ve-nezuela), di sanzioni verso mercati importanti (Russia) e decelerazionidell’import (Cina).

    Fattori questi ultimi che non sembrano destinati a scomparire, maforse ad accrescersi, in un periodo post Covid-19. Questo elemento indi-ca, quindi, la presenza di un problema generale di ridimensionamentodel contributo che il canale estero può portare alla crescita del settoremanifatturiero, meccanico nello specifico, cui diventa vitale associare losviluppo di una domanda interna.

    La meccanica ha un valore aggiunto sul fatturato netto intorno al28%, ben superiore al livello medio dell’industria manifatturiera, cheè stabilmente intorno al 20%. Interessante notare che l’andamento delvalore aggiunto è stato parallelo a quello della quota esportata. Infatti,pari al 25% nel 2007, è salito al 28% nel 2013, per poi fermarsi.

    Perché? Il numero di dipendenti ha subito una variazione minimanel corso degli anni. La produttività del lavoro (valore aggiunto pro-capite), crollata del 15% tra il 2007 e il 2009 (da 81 mila a 68 mila euro), ètornata sui livelli pre-crisi nel 2011, in un paio d’anni. Da quel momentoè migliorata con continuità, fino a 95 mila euro l’anno al 2019. A fronte

  • 4. Meccanica 37

    105

    100

    95

    90

    85

    80

    75

    70

    65

    Investimenti in Macchinari e Attrezzature

    Investimenti Totali

    Investimenti in Costruzioni

    Ammortamenti

    2008 2010 2012 2014 2016 2018

    Fig. 4.1. Andamento degli investimenti nel settore manifatturiero 2009-2018 [5] (Datitrimestrali ISTAT, indici 2008 = 100).

    di questo andamento, il flusso di cassa entrante (utili non distribuitiai soci più ammortamenti) è stato molto superiore al flusso di cassauscente per investimenti. Cioè il settore della meccanica ha investitopochissimo rispetto a quanto avrebbe potuto con le risorse proprie. Diconseguenza, le fabbriche sono invecchiate, avevano un’età media di13 anni nel 2007, hanno 19 anni ora. Tutto questo nonostante il fortepiano di incentivi all’investimento in beni strumentali e impianti giàillustrato (figura 4.1). Sulla base del dato sugli scarsi investimenti ci sipoteva aspettare un invecchiamento anche maggiore. Il grado di utilizzodella capacità produttiva installata si è sempre mantenuto sul livelloeccellente, invidiabile dell’80%.

    Come spiegare allora l’incremento/recupero di produttività delsettore meccanica?

    Un primo elemento può essere legato allo stato di integrazione delletecnologie digitali che, ancora in un primo stadio, sono state introdotteallo scopo di riorganizzare i processi gestionali delle imprese. Que-sta congiunzione di organizzazione e tecnologia può aver contribuitosignificativamente a tenere alti i livelli di produttività.

    Una seconda interpretazione, poi, può essere legata al fatto che unaparte rilevante del sistema produttivo italiano ha avviato un upgradingqualitativo, di prodotto, per rispondere alla crescente concorrenza dellenuove economie, spostandosi su fasce di mercato a maggiore contenuto

  • 38 INDUSTRIA, ITALIA

    100

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    01990 1995 2000 2005 2010 2015

    Automazione-meccanica-plastica-gommaResto delle 4A

    Fig. 4.2. Evoluzione dei settori del Made in Italy [1].

    di valore aggiunto. Questo riorientamento strategico ha assunto una for-ma duplice. Da un lato è stato condotto attraverso una diversificazioneverticale con miglioramento della qualità dei beni già prodotti, dall’altroin modo orizzontale attraverso una differenziazione produttiva indiriz-zata a beni più sofisticati. Questa circostanza è correlabile, e in partesupportata, dall’analisi, nello stesso periodo, del numero di domandedi brevetto (preso a indice della capacità di trasferimento tecnologicodei risultati della ricerca industriale). Tale numero, per quanto bassorispetto ad altre realtà industriali mature, ha recuperato nel 2017 il valorepre 2008 (di circa 5000 domande all’Ufficio Europeo Brevetti o EPO), conuna maggioranza (pari al 42% nel 2016) delle istruttorie attribuibili alsettore meccanica.

    Altri fattori tecnologici, poi, possono essere considerati alla basedel recupero di prestazioni nel periodo in esame. Un fattore endoge-no ai beni strumentali è il loro essere svincolati da una merceologiaspecifica, quali meta-strumenti sono in modo innato, riconfigurabilie aperti all’implementazione di nuove tecnologie (ICT). Un secondofattore, esogeno invece, è stato l’immediato riconoscimento da p