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Faber est suae quisque fortunae [Gaio Sallustio Crispo, Epistulae ad Caesarem senem de re publica (1,1,2)]. Tra le molte vite che l’assedio di Torino del 1706 ha spezzato o esaltato, quella del cavaliere Giuseppe Amico merita certamente di essere raccontata. Ma non solo perché egli è tra i principali protagonisti di battaglie e assedi (in particolare di quello torinese del 1706) durante le lunghe guerre di successione spa- gnola, ma soprattutto per la fedeltà al sovrano, lo spi- rito di servizio e l’abnegazione nei suoi uffici . 1 , doti che ha sviluppato lungo una carriera ricca di esperien- ze, onori e memorie. Memorie che oggi possiamo meglio considerare insieme alle prestigiose commit- tenze artistiche che gli hanno consentito di ribaltare un destino oscuro permettendogli di elevarsi, al ter- mine della sua lunga vita, allo status di un principe. Un cadetto del XVIII secolo Giuseppe nasce a Torino il 22 marzo 1673 . 2 da Bartolomeo Amico (secondo conte di Castellalfero . 3 , dottore in legge e referendario di Stato) e da Vittoria Solaro della Margarita, quarto di sette figli. È battez- zato nella parrocchia di San Gregorio, chiesa sotto la cui giurisdizione è posto il carignone di San Secondo, ovvero l’isola nella quale Alessandro Amico, nonno di Giuseppe, ha acquistato nel 1638 il palazzo che an- cora oggi è situato al civico numero 2 di via San Francesco d’Assisi, un tempo contrada dello Studio . 4 . Il destino di un cadetto. Giuseppe Amico di Castellalfero dall’arte della guerra a fautore delle arti CLAUDIO DI LASCIO 1 In questo appaiono quanto mai autentici i sentimenti di devozio- ne che il cadetto esprime al suo sovrano in una lettera del 13 novem- bre 1727, secondo la cerimoniosa prassi dell’epoca: « . [...] Prego V. . M. d’essere persuasa del mio zelo in tutto quello che riguarda il Suo Real Servizio; procurarò dal canto mio di meritarne il carattere; mi permet- to intanto di sottoscrivermi con ogni più proficuo rispetto Sire di V.M.R.M. Humill.mo e Fedelissino Servitore e sudito Comend.r Castelalfero . » (Archivio di Stato di Torino [AST], Corte, Lettere di par- ticolari, m. C23, Castelalfero). 2 Archivio Storico Arcivescovile di Torino (ASATO), Parrocchia San Gregorio, Liber Baptizatorum, 1664-1688. Giuseppe ebbe quali padrini il conte Bartolomeo Solaro e la zia Anna Perotti nata Amico. Ove non diversamente indicato, per le notizie biografiche riportate si è fatto ri- ferimento a A. MANNO, Il patriziato subalpino. Notizie di fatto storiche, genea- logiche, feudali ed araldiche desunte da documenti, vol. I-II, Firenze, 1895-1906; e G. . A. TORELLI, Alberi di famiglie nobili subalpine raccolti ed in parte compilati dall’Abate Giuseppe Agostino Torelli, ms. presso la Biblioteca del Seminario Metropolitano di Torino. Più ampi riferimenti alla famiglia Amico sono contenuti negli Atti del convegno in corso di pubblicazione: Ca- stell’Alfero. Ottocento anni di arte e di storia, Castell’Alfero maggio 2002, a cura di R. Bordone. In particolare si segnalano le relazioni di M. CAS- SETTI, La famiglia Amico di Castellalfero e il suo archivio, edita in « . Archivi e Storia . », 21-22, gennaio-dicembre 2003, pp. 235-260; di C. DI LASCIO, Una dinastia tra Po eVersa, gli Amico di Castellalfero; e di D. GNETTI, La raccolta libraria dei conti Amico di Castell’Alfero, una biblioteca “professionale” . ?. 3 Si è preferito adottare una grafia differenziata tra feudo/titolo e toponimo poiché se « . Castell’Alfero . » è il nome del luogo a noi perve- nuto, « . Castellalfero . » era la forma prevalente – tra innumerevoli va- rianti – di designazione della famiglia fino alla sua estinzione (1832). Cfr. M. D’AZEGLIO, I miei ricordi, Firenze, Barbera, 1867, cap. IV. 4 Archivio di Stato di Torino, sezioni riunite (AST, s.r.), Insinuazione di Torino, 1638, libro 8, cc. 229 e sgg., riportato in CASSETTI, ibidem. Il palazzo, di origini tardomedievali, venne acquistato il 2 giugno da Alessandro Amico per 10.910 lire.

Il destino di un cadetto. Giuseppe Amico di Castellalfero dall’arte … · 2007. 12. 17. · doveo tra il 507 e il 511 d.C. Le consuetudini feuda-li, al cui orientamento il capostipite

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Faber est suae quisque fortunae[Gaio Sallustio Crispo, Epistulae ad Caesarem

senem de re publica (1,1,2)].

Tra le molte vite che l’assedio di Torino del 1706ha spezzato o esaltato, quella del cavaliere GiuseppeAmico merita certamente di essere raccontata. Manon solo perché egli è tra i principali protagonisti dibattaglie e assedi (in particolare di quello torinese del1706) durante le lunghe guerre di successione spa-gnola, ma soprattutto per la fedeltà al sovrano, lo spi-rito di servizio e l’abnegazione nei suoi uffici.1, dotiche ha sviluppato lungo una carriera ricca di esperien-ze, onori e memorie. Memorie che oggi possiamomeglio considerare insieme alle prestigiose commit-tenze artistiche che gli hanno consentito di ribaltareun destino oscuro permettendogli di elevarsi, al ter-mine della sua lunga vita, allo status di un principe.

Un cadetto del XVIII secolo

Giuseppe nasce a Torino il 22 marzo 1673.2 daBartolomeo Amico (secondo conte di Castellalfero.3,dottore in legge e referendario di Stato) e da VittoriaSolaro della Margarita, quarto di sette figli. È battez-zato nella parrocchia di San Gregorio, chiesa sotto lacui giurisdizione è posto il carignone di San Secondo,ovvero l’isola nella quale Alessandro Amico, nonno di

Giuseppe, ha acquistato nel 1638 il palazzo che an-cora oggi è situato al civico numero 2 di via SanFrancesco d’Assisi, un tempo contrada dello Studio.4.

Il destino di un cadetto. Giuseppe Amico di Castellalfero dall’arte della guerra a fautore delle artiCLAUDIO DI LASCIO

1 In questo appaiono quanto mai autentici i sentimenti di devozio-ne che il cadetto esprime al suo sovrano in una lettera del 13 novem-bre 1727, secondo la cerimoniosa prassi dell’epoca: «.[...] Prego V..M.d’essere persuasa del mio zelo in tutto quello che riguarda il Suo RealServizio; procurarò dal canto mio di meritarne il carattere; mi permet-to intanto di sottoscrivermi con ogni più proficuo rispetto Sire diV.M.R.M. Humill.mo e Fedelissino Servitore e sudito Comend.rCastelalfero.» (Archivio di Stato di Torino [AST], Corte, Lettere di par-ticolari, m. C23, Castelalfero).

2 Archivio Storico Arcivescovile di Torino (ASATO), Parrocchia SanGregorio, Liber Baptizatorum, 1664-1688. Giuseppe ebbe quali padrini ilconte Bartolomeo Solaro e la zia Anna Perotti nata Amico. Ove nondiversamente indicato, per le notizie biografiche riportate si è fatto ri-ferimento a A. MANNO, Il patriziato subalpino. Notizie di fatto storiche, genea-logiche, feudali ed araldiche desunte da documenti, vol. I-II, Firenze, 1895-1906;e G..A. TORELLI, Alberi di famiglie nobili subalpine raccolti ed in parte compilatidall’Abate Giuseppe Agostino Torelli, ms. presso la Biblioteca del SeminarioMetropolitano di Torino. Più ampi riferimenti alla famiglia Amicosono contenuti negli Atti del convegno in corso di pubblicazione: Ca-stell’Alfero. Ottocento anni di arte e di storia, Castell’Alfero maggio 2002, acura di R. Bordone. In particolare si segnalano le relazioni di M. CAS-SETTI, La famiglia Amico di Castellalfero e il suo archivio, edita in «.Archivi eStoria.», 21-22, gennaio-dicembre 2003, pp. 235-260; di C. DILASCIO, Una dinastia tra Po e Versa, gli Amico di Castellalfero; e di D. GNETTI,La raccolta libraria dei conti Amico di Castell’Alfero, una biblioteca “professionale”.?.

3 Si è preferito adottare una grafia differenziata tra feudo/titolo etoponimo poiché se «.Castell’Alfero.» è il nome del luogo a noi perve-nuto, «.Castellalfero.» era la forma prevalente – tra innumerevoli va-rianti – di designazione della famiglia fino alla sua estinzione (1832).Cfr. M. D’AZEGLIO, I miei ricordi, Firenze, Barbera, 1867, cap. IV.

4 Archivio di Stato di Torino, sezioni riunite (AST, s.r.), Insinuazionedi Torino, 1638, libro 8, cc. 229 e sgg., riportato in CASSETTI, ibidem. Ilpalazzo, di origini tardomedievali, venne acquistato il 2 giugno daAlessandro Amico per 10.910 lire.

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La sua nascita si colloca in un Piemonte oscillantetra gli ultimi retaggi di un persistente Medioevo (nel-lo stesso anno Carlo Emanuele II emanò un edittoper la persecuzione di cosiddetti maghi e streghe pre-vedendone la pena di morte) e i primi aneliti di mo-dernità, annunciati da un tentativo di riforma delle fi-nanze e dalla leva delle truppe, inquadrate (seppurparzialmente ma per la prima volta in Europa) inunità permanenti.

Giuseppe è dunque un cadetto, soggetto a un regi-me di esclusione dai diritti di successione in ragionedi antiche consuetudini, operanti negli Stati sabaudiattraverso ordinamenti giuridici comunali, norme didiritto comune e usi locali, parzialmente consolidatefin dal 1430 nel ducato sabaudo da Amedeo VIII coni Decreta seu Statuta.5, fondate sulla cosiddetta Legge sa-lica (ovvero Lex Francorum), emanata dal re franco Clo-doveo tra il 507 e il 511 d.C. Le consuetudini feuda-li, al cui orientamento il capostipite della famiglia,Alessandro Amico, ha aderito al momento dell’inve-stitura del feudo di Castellalfero (1643).6, consento-no infatti ai soli primogeniti maschi la trasmissionedei diritti in funzione della difesa del patrimonio fa-miliare e del privilegio agnatizio. Neppure le succes-sive consolidazioni legislative sabaude emanate tra il1723 e il 1770, scalfiranno i principi di preminenzadelle famiglie nobili e, al loro interno, dei maschi sul-le femmine come dei primogeniti sui cadetti, confer-mando le regole di successione feudali e gli istitutigiuridici collegati – fedecommesso, maggiorascato,primogenitura – rendendone espliciti i presupposti:«.[…] per la conservazione delle famiglie e il lustrodell’agnazione.».7. Negli Stati sabaudi soltanto il Co-dice civile napoleonico porrà fine a un tale regime diesclusione, recuperando norme successorie giustinia-nee di equiparazione tra maschi e femmine e tra pri-

mogeniti e cadetti, principi che la Restaurazione do-vette parzialmente riconoscere in attesa di più moder-ni orientamenti giuridici e sociali.8.

5 Cfr. I. SOFFETTI - C. MONTANARI, Problemi relativi alle fonti del dirit-to negli stati sabaudi (secoli XV-XIX). Appunti dal corso di esegesi delle fonti del di-ritto italiano, Torino, 1993.

6 Alessandro Amico aveva precedentemente acquistato il feudo daGerolamo Germonio di Ceva (MANNO, ibidem; AST, s.r., Indice dei feudi,Castellalfero), a questi concesso nel 1619 da Carlo Emanuele I nel-l’ambito di una generale politica di cessione di titoli feudali. Gli inte-ressi dei marchesi di Ceva nella contesa area di confine tra contea diAsti e ducato del Monferrato saranno confermati nel 1671 con la do-nazione del castello di Caglianetto (frazione attualmente in territorioalferese) a Filiberto di Ceva da parte del duca di MonferratoFerdinando Carlo Gonzaga (AST, Corte, Paesi, Monferrato, Prov. di Casale,Moncalvo, mz. 4).

7 Regie Costituzioni, 1729, V, XIV, 1. Questa rigidità sociale e demo-grafica – sempre più osteggiata – alle soglie del XIX secolo portò l’il-luminista Filangieri a scagliarsi contro primogeniture e fedecommessi:«Sono queste le cause della ricchezza esorbitante dei pochi e della mi-seria della maggior parte. Sono le primogeniture che sacrificano molticadetti al primogenito della famiglia, sono le sostituzioni [fedecom-missarie] che sacrificano molte famiglie ad una sola. L’una e l’altra di-minuiscono all’infinito il numero dei proprietari nelle nazioni dell’Eu-ropa, e l’una e l’altra sono oggi la rovina della popolazione» (G. FI-LANGIERI, Scienza della legislazione, Filadelfia, 1799, libro II, vol. I, cap.IV, p. 282, cit. in R. SARTI, ibidem).

8 Mancando (e auspicando) ricerche specifiche sullo status e suiruoli dei cadetti e della donna nella società piemontese di Ancien Régime,si segnalano alcuni studi generali e particolari: D. ALBERA, Systèmes fa-miliaux dans les Alpes occidentales, Memorie DEA, Università di Aix-en-Provence; E. GENTA, Fedecommessi e primogeniture in Piemonte: dal diritto co-mune al diritto del principe, in Percorsi storici. Studi sulla città di Cavallermaggio-re, a cura di G. Carità e E. Genta, Cavallermaggiore, 1990, pp. 355-384; G. MOLA DI NOMAGLIO, Feudalità e blasoneria nello Stato sabaudo. Lacastellata di Settimo Vittone, Ivrea, 1992; G. MOLA DI NOMAGLIO, Feudi enobiltà negli stati dei Savoia. Materiali, spunti, spigolature bibliografiche per una sto-ria, Lanzo, 2006; E. MONGIANO, Patrimonio e affetti. La successione legittimanell’età dei codici, Torino, 1999; E. MONGIANO, Ricerche sulla successione in-testata nei secoli XVI-XVII. Il caso degli Stati sabaudi, Torino, 1998; G. S.PENE VIDARI, Osservazioni sui rapporti patrimoniali fra coniugi nel Piemonte delsecolo XVIII, in «Rivista di Storia del Diritto italiano», 53-54, (1980-1981), pp.19-60; G. S. PENE VIDARI, Dote, famiglia e patrimonio fra dottri-na e pratica in Piemonte, in La famiglia e la vita quotidiana in Europa dal ’400 al’600. Fonti e problemi, Atti del convegno internazionale, Milano 1-4 dicembre1983; A. ROMANO, Famiglia, successioni e patrimonio familiare nell’Italia medie-vale e moderna, Torino, 1994; I. SOFFIETTI, Note sui rapporti tra diritto sabau-

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Dunque, nel XVIII secolo una diffusa tradizionecomune a molti paesi europei, in Piemonte, preclude-va ai cadetti la possibilità di contrarre matrimonio, lidestinava per strategie familiari a intraprendere car-riere militari o ecclesiastiche (più sovente le femmi-ne), spesso affatto assecondando le loro naturali in-clinazioni. Una nutrita schiera di esclusi dai patrimo-ni familiari riempirono i ruoli di conventi o eserciti,rendendo talvolta gli sventurati – pur rassegnati agiocare in una più ardua posizione economica e socia-le – autori di percorsi meno omologati o anticipato-ri, ovvero, più raramente (come vedremo per Giu-seppe Amico) addirittura consolidando l’ascesa poli-tica e finanziaria della casata9.

Tali comportamenti autodifensivi della nobiltàpiemontese in alcuni casi costituirono di fatto unapratica suicida in grado di favorire un loro progres-sivo diradamento demografico. Perseguendo tale po-litica gli Amico di Castellalfero (in assenza di ramicollaterali e dopo sole cinque generazioni) abbando-neranno la scena in favore prima degli Avogadro diCasanova (eredi designati) e poi (dopo un estenuan-te contenzioso) dei Mella Arborio. Questi detengo-no tuttora il titolo di conti di Castellalfero.

La famiglia Amico di Castellalfero

La famiglia di Alessandro Ignazio Amico (Torino,1670-1734), referendario di Stato, terzo conte diCastellalfero e fratello maggiore di Giuseppe, è atte-stata in Castell’Alfero fin dal 1455.10. Pur avendo so-lide radici affondate nel ricco patrimonio fondiario,gli Amico appartengono alla borghesia degli ufficiapprodata ai ruoli della nobiltà, una nobiltà «.di ser-vizio.» che affiancherà l’antica aristocrazia feudalesino a sostituirla quasi interamente.

Al tempo dell’assedio torinese del 1706.11 Alessan-dro Amico abita il proprio palazzo affacciato – comeabbiamo visto – sul cosiddetto vicolo dei Librai (cosìchiamato per via della presenza del prospiciente Stu-dio, la prima Università torinese), stretto passaggio in-terno all’isolato di San Secondo, trasversale alla con-trada dello Studio. Alessandro Ignazio dispone di cin-que famigli: un cuoco, una governante, due servi e uncocchiere; risulta possedere una cascina nell’area delLingotto a nord della cascina Generala del baroneTruchi di Levaldigi.12, un’altra cascina (La Campa-gnetta o Castagnetta) probabilmente nel territorio di

do, diritto comune e diritto locale consuetudinario, in «Rivista di storia del di-ritto italiano», LVII (1984), pp. 265 sgg.; I. SOFFETTI - C. MON-TANARI, Il diritto negli Stati sabaudi. Le fonti, secoli XV-XIX, Torino, 2001;M.E. VIORA, Le costituzioni piemontesi. Leggi e costituzioni di S.M. il Re diSardegna. 1723, 1729, 1770, Torino, 1928 [rist. anast. Torino, 1986];G. VISMARA, L’unità della famiglia nella storia del diritto italiano, Roma, 1975;Les cadets, Actes du colloque, Certosa di Pontignano, 1991, a cura di G.Ravis-Giordani e Martine Segalen, Parigi, 1994; I consegnamenti d’armepiemontesi, a cura di E. Genta, G. Mola di Nomaglio, M. Rebuffo e A. Scordo, Torino, 2000; R. SARTI, Vita di casa. Abitare, mangiare, vestirenell’Europa moderna, Roma-Bari, 2006; Costruire la parentela. Donne e uomininella definizione dei legami familiari, a cura di R. Ago, M. Palazzi, G.Pomata, in «Quaderni storici», XXIX, n. 86, pp. 294-512.

9 Naturalmente quello del cadetto Giuseppe Amico non fu l’unicoesempio, peraltro non solo piemontese. Celebre resta il caso del cardi-nale Scipione Borghese (1576-1633) che lasciò in eredità al suo casa-to quasi un milione e mezzo di scudi comprendente un inestimabilepatrimonio artistico (R. AGO, Carriere e clientele nella Roma barocca, Roma-Bari, 1990, p. 163).

10 AST, Corte, Sezione III, Tesoreria provinciale di Asti, Art. 99, conto del1463, f. 3b.

11 Le notizie sono per la maggior parte desunte da Le campagne diguerra in Piemonte (1703-1708) e l’assedio di Torino (1706). Studi, documenti,illustrazioni, vol. VII, Torino, 1907, passim; da CASSETTI, ibidem, e DILASCIO, ibidem.

12 Archivio Storico della Città di Torino (ASCT), Carte sciolte, n.3061, Delineatio Iuredictionis Generalie [...] Mappa della baronia della Generala,il feudo di G.B. Trucchi, copia eseguita il 25.9.1702 da originale del 1674.La cascina Amico a corte chiusa è identificata sulla mappa al n. 23. Sulsito della cascina Amico vi è attualmente una caserma della Poliziastradale.

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Giovanna Battista Clemente, detta “la Clemen-tina”, Il cavaliere Giuseppe Amico di Castell’Alfero, oliosu tela, cm. 205 x 122, Asti, Musei civici.

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Settimo.13 e una vigna nella collina di Torino postanella valle di Roleto o di Gora, quest’ultima colloca-bile oggi in un’area posta tra le attuali strade del Salinoe della Viassa. La consorte di Alessandro Ignazio,Francesca Maria Amedea Birago di Vische, è damad’onore della duchessa di Savoia.

Dunque la famiglia Amico gode di una condizionesociale e patrimoniale che non si differenzia da quel-la di altre famiglie piemontesi, nobili o borghesi, atti-rate dalla corte torinese tra la fine del XVI e l’iniziodel XVII secolo attraverso la devoluzione di feudi ola libera concessione di terreni nella nuova capitalesubalpina.14. Ma se alcune famiglie diversificano eorientano definitivamente le loro attività verso la ca-pitale (come i Verdina di Castell’Alfero che operantinel notariato abbandoneranno il loro paese di origineper essere infeudati di Chiabran di Pinerolo.15), gliAmico, forti di un cospicuo radicamento territorialein Castell’Alfero e in altre aree dell’Astigiano (costi-tuito da fondi agricoli e opifici quasi esclusivamentedestinati alla molitura, attività familiare prevalenteancora per tutto il XVIII secolo), vincoleranno sem-pre più la loro presenza al luogo di origine realizzan-do peraltro sensibili investimenti nella campagna enella collina torinese.16.

Giuseppe Amico, il ruolo, la carriera

Nella famiglia Amico è totalmente assente una tra-dizione militare, ma se tra i cadetti del conte Ales-sandro verrà presto accasata Maria Anna (con Giu-seppe Maria Raspa di Vercelli) e prenderanno i votiLuigi Antonio (poi prevosto di Dezana), GiovannaMaria (suora in Asti) e Barnaba Amedeo (cantorenella cattedrale di Torino).17, l’avvio di Giuseppe alle

arti della guerra potrebbe essere spiegato con il favo-re dello zio, il conte Giuseppe Maria Solaro dellaMargarita, colonnello di Artiglieria e figlio di Anto-nio, potente segretario di Stato del cardinale Mauri-zio di Savoia.

È proprio il colonnello Solaro, comandante del-l’Artiglieria durante l’assedio torinese e diretto supe-riore del cavaliere di Castellalfero, a illuminarci sugliinizi della carriera del cadetto in una lettera inviatadallo stesso Solaro al Conte Stefano Giuseppe Ros-signoli il 2 maggio 1699: «[…] Je vous recommen-de le chevalier de C mon neveu, je souhaite qu’il luiparaisse que Monsieur le Gouverneur est des mesamis et qu’il entre en part des bontés que vous avezpour moi; c’est un garçon sage, appliqué a son de-voir, et qui a un fond de veritable bonté; il entend as-sez bien les fortifications; disposez de lui, s’il vousest bon a quelque chose, j’espère qu’il vous pourracontenter […]»18. A quel tempo il cadetto era fra ipaggi del duca e ebbe l’onore di accompagnare ilconte Annibale Maffei nella sua ambasciata inInghilterra per partecipare la nascita del principe diPiemonte, Vittorio Amedeo Filippo Giuseppe, venu-to alla luce il 6 maggio di quell’anno19.

13 Biblioteche Civiche Torinesi (BCT), Fondo Birago di Vische, Cat. 26,Mazzi 1-6, Tasso di Castellalfero; CASSETTI, cit.

14 Per le problematiche e gli sviluppi insediativi della nuova capitaledel ducato si vedano il fondamentale Torino, Roma-Bari, 2002, di V. COMOLI MANDRACCI e Cascine a Torino. La più bella prospettiva d’Europa perl'occhio di un coltivatore, a cura di C. Ronchetta e L. Palmucci, Firenze, 1996.

15 MANNO, cit16 CASSETTI, cit.; DI LASCIO, cit.17 CASSETTI, cit.; MANNO, cit.; TORELLI, cit.18 A. MANNO, Pietro Micca ed il Generale Conte Solaro della Margarita.

Ricerche terze sull’assedio di Torino del 1706, in «Miscellanea di storia italia-na», T. XXI, VI/II s., Torino, 1883, p. 397.

19 A. MANNO, ibidem, p. 399.

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È assai probabile che Giuseppe venga formatoquale ufficiale di artiglieria nei ranghi della Reale Ac-cademia militare. Per questo può essere utile sapereche nella superstite biblioteca comitale (ancora nellasede e negli arredi originari del castello di Castell’Al-fero, ora Palazzo municipale) sono presenti fogli didisegni di artiglieria insieme a vari volumi di argo-mento bellico o ossidionale, quanto resta – sembralecito ritenere – della formazione del cadetto e di unasua biblioteca professionale.20.

Nell’agosto 1705 Giuseppe Amico risulta autono-mo nella propria residenza abitando insieme a altri uf-ficiali la casa Girardi, posta nell’isolato prospiciente lacontrada di Santa Teresa, separato dai bastioni dellacittadella e dal mastio solo da un’ampia spianata.21.Il cadetto è dunque a pochi metri dalla sua principalesede operativa e durante l’assedio assisterà alla distru-zione della sua come delle altre abitazioni poste inprossimità della cittadella.

I danni dell’assedio non sembrano neppure rispar-miare il palazzo Castellalfero, e nulla possono gliAmico contro le scorrerie e le devastazioni che letruppe francesi (e non solo) operano in territoriopiemontese, accomunati in questo ad altre grandi fa-miglie come a borghesi, artigiani, particolari, contadi-ni. Per tali ragioni Alessandro Amico si vedrà co-stretto a vendere con impegno di riscatto il feudo diCastellalfero alla contessa di Scarnafigi, ottenendosuccessivamente – grazie a una spregiudicata alleanzamatrimoniale con i Birago di Vische – la restituzionee il riconoscimento feudale. Afferma senza reticenzeil conte Alessandro «.[...] della presente guerra habbipatito notabilissimamente danni tanto nel luogo efeudo sud.to di Castelalfero ove sono stati di Presidiole truppe francesi dal principio di gennaro 1704 fin

per tutto luglio 1706 oltre la dimora fatta in dettoluogo dalla Cavalleria di SAR pendente le recupera-zioni del Castello d’Asti e di più a cagion dell’assediodi questa città […].»22.

Ancora non sappiamo se Giuseppe ebbe il suo bat-tesimo del fuoco nella disperata difesa di Verrua, masiamo però certi della presenza del cadetto, già luogo-tenente colonnello d’artiglieria, e dello zio, il colon-nello Solaro, durante l’assedio della fortezza.23.

Da quei drammatici eventi il cadetto attraversamolti incarichi raggiungendo i massimi gradi nei ruo-li militari e civili dello Stato sabaudo. Dall’assedio diTorino del 1706 guadagna il grado di colonnellod’artiglieria (patenti 1 gennaio 1707).24, ottenendosubito dopo l’ingresso nella prestigiosa Compagniatorinese della fede cattolica.25 e partecipando alle de-cisive battaglie sul confine alpino del 1708. Nel1714, a seguito del conferimento del titolo regio,Vit-

20 I disegni superstiti sono solo una piccola parte del fondo raccol-to sotto la voce Disegni diversi di Canoni [sic] ed altri Instrumenti d’Artiglieria,presente nella sezione Militari, in Foglio, del catalogo della biblioteca re-datto dal conte Bartolomeo Amico nel novembre 1770: Catalogo de’ li-bri dell’Ill. Sig. Conte di Castell’Alfero Giuseppe Bartolomeo Amico riposti nella gal-leria del castello di Castell’Alfero, Castell’Alfero, Comune, Biblioteca antica.In proposito sarà interessante leggere la relazione di D. GNETTI, La rac-colta libraria dei conti Amico di Castell’Alfero, cit.

21 Le campagne di guerra in Piemonte, ibidem.22 BCT, Fondo Birago di Vische, ibidem.23 La presenza del conte Solaro a Verrua è ampiamente conosciuta

grazie a un ricco epistolario trascritto in Le campagne di guerra in Piemonte,ibidem, vol. II, Torino, 1933. Sul ruolo del Castellalfero a Verrua gli ar-chivi tacciono ma sono invece noti gli apprezzamenti del duca che ve-dremo in seguito.

24 Biblioteca Reale di Torino (BRT), Manoscritti, L-59 (1), Carte fa-migliari e investiture, f. 1-5.

25 Archivio Storico San Paolo (ASSP), CSP, n. 27, 1707, c. 9,Repertori Ordinati, Elenchi degli Uffiziali e dei Confratelli, 1688-1783: «Comend.re D. Giuseppe Amico di Castelalfieri. Morto li 29genn.o 1751».

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torio Amedeo II lo vuole con sé in Sicilia, incarican-dolo del rilievo delle coste e della redazione di nume-rosi rapporti sullo stato delle fortificazioni e sulla si-tuazione economica e sociale dell’isola. Nel 1715 ilre gli conferisce l’Abito e Croce di giustizia dell’Or-dine dei SS. Maurizio e Lazzaro (patenti 11 settem-bre 1715).26, investendolo della Commenda di SanMarco di Chivasso dell’Ordine Mauriziano (bolla 15settembre 1715).27 che reggerà fino al 1749. Giu-seppe fu inoltre Generale di battaglia (patenti 7 no-vembre 1719).28, organizzando e provvedendo alledifese costiere della Sardegna (anno 1720 e seguenti).Governatore della Città e Provincia di Ivrea fino al1733 (patenti 5 aprile 1727).29, è investito Cavalieredi Gran Croce dell’Ordine Mauriziano (patenti 23gennaio 1730).30 e nominato al termine della carrie-ra Tenente generale (patenti 17 febbraio 1734).31.

Il cadetto sotto assedio

Ma questo excursus, pur così ricco, non sarebbe an-cora abbastanza eloquente se non confortato da fattie memorie di cui oggi abbiamo testimonianza.

La significativa esperienza del nostro cadetto a Ver-rua ci è infatti nota attraverso alcune lettere.32 cheVittorio Amedeo II scrisse ai massimi responsabilidella difesa di Torino in quel momento assediata (lu-glio 1706), ovvero al conte Wierich von Daun, co-mandante della piazzaforte torinese, e al marcheseAngelo Carlo Isnardi di Caraglio, governatore dellacittà. Nei lunghi dispacci il duca ricorda l’esperienzacondotta a Verrua dal cavaliere di Castellalfero e rac-comanda l’adozione di opportune tecniche di contro-mina da eseguirsi preferibilmente dietro le linee ne-miche, descrivendole minuziosamente. I dispacci

sono qui sintetizzati: «.[…] Castel-Alfer, le mineurAndorno et celui de l’Empereur qui a été blessé,quand j’y étais, int là-dessus l’experience de Verrue,où ils ont fait des merveilles […].»; e ancora: «.[…]

Castel-Alfer, un mineur de l’Empereur qui se trouveàTurin et qui est comme de lui, et le mineur Andornoont fait de semblables opérations à Verrue […].».Dunque il Castellalfero è considerato un esperto del-la guerra di mina e contromina tanto da costituire unpreciso riferimento per i suoi comandanti, diversi epi-sodi riportati dalle cronache dell’assedio torinesestanno a testimoniarlo.

La guerra sotterranea di mina, oscura e silenziosa senon nei suoi esiti deflagranti, ha avuto un altissimoruolo strategico nelle operazioni di difesa della città ea una lettura attuale appare quanto mai decisiva, perl’esito finale dell’assedio, l’integrazione e il coordina-mento dei diversi corpi: la compagnia dei minatori co-mandata dal capitano Andrea Bozzolino, il corpo de-gli ingegneri coordinato dal tenente colonnello An-tonio Bertola e il corpo dell’Artiglieria comandato dalcolonnello Solaro, ove questi, stando alle cronache

26 Archivio Storico dell’Ordine Mauriziano (AOM), Patenti, vol. 2(1715-1737).

27 AOM, Commende, San Marco di Chivasso, mz. 2. Il cadetto Amicosuccede al conte Carlo Giuseppe Valperga di Masino, Gran Croce deiSS. Maurizio e Lazzaro, deceduto il 28 luglio 1715 «senza figli legit-timi e naturali».

28 BRT, ibidem.29 BRT, ibidem.30 BRT, ibidem.31 BRT, ibidem.32 Riportate tra l’altro in: [G. M. SOLARO DELLA MARGARITA],

Journal historique du siége de la ville et de la Citadelle de Turin en 1706 avec le rap-port officiel des opérations de l’artillerie par le Comte Solar de la Marguerite, Turin,1838.

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Carta di Tauormina. Castello d’Augusta et Relationi de’ contorni d’Augusta Siracusa et Tauormina, cm. 127x 99,7, Archivio di Stato di Torino, Cartetopografiche segrete, Sicilia 23 D (V) Rosso.

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dell’epoca, appare meno popolare del Castellalfero.33.Uno degli innumerevoli episodi che hanno segna-

to i quattro lunghissimi mesi del blocco di Torino ap-partiene ormai non solo alla guerra sotterranea e al-l’assedio della città ma al mito. Nel tentativo di pene-trazione dei granatieri francesi attraverso le galleriedella cittadella la notte tra il 29 e il 30 agosto 1706,si è sovente voluto racchiudere tutto un assedio senon addirittura un conflitto. Il tempo ha fortunata-mente sbiadito i tratti agiografici e gli studi più recen-ti stanno riportando il sacrificio di Pietro Micca auna dimensione più umana, ridando giusta dignitàagli stessi protagonisti.

Se leggiamo con attenzione una supplica che Ma-ria Catterina vedova Micca Bonino, avanza sette mesidopo la fine delle ostilità al Duca Vittorio Amedeo II(lettera del 26 febbraio 1707, firmata dal conte diCavoretto, provveditore alle polveri nella difesa diTorino).34, ci rendiamo conto che il documento rap-presenta la più vicina e attendibile testimonianza deldrammatico svolgersi degli eventi.

Tramite il Cavoretto, Maria chiede un sussidio ne-cessario a seguito della tragica scomparsa del maritoe ricorda al sovrano che il «.[...] cav. Castel Alfieri leha sempre fatto sperare che dalla clemenza di V.A.R.sarebbe stata ricompensata la morte generosa del suomarito [...].». Una succinta descrizione dei fatti è pre-messa alla supplica «.[...] ritrovandosi Pietro Micca alServizio di V.A.R. e nella Compagnia de’ Minadori, siè presentata occasione che li nemici francesi già ave-vano guadagnato la porta d’una mina con gran disav-vantaggio della Cittadella, fu comandato del cav.Castel Alfieri, colonnello del battaglione dell’Arti-glieria, oppure invitato dalla generosità del suo animoa portarsi a dare il fuoco a detta mina, non ostante

l’evidente pericolo di sua vita [...].». Nella supplicasono ben evidenti le responsabilità del cavaliere diCastellalfero nell’estremo gesto del minatore di An-dorno. Sorge spontanea una domanda: l’eroismo delMicca era diventato così popolare e apprezzato da es-sere oggetto di speculazione da parte di uno stimatoufficiale che intendeva attribuirsene i meriti, o la let-tera scritta dal Cavoretto contiene l’esatta cronaca de-gli avvenimenti che tutti i protagonisti (Solaro, Boz-zolino, Cavoretto) conoscevano ormai nei dettagli?

L’episodio divenne subito talmente carico di enfa-si da costringere il colonnello Solaro a smorzarlo nelsuo Journal historique du siége de la ville et de la citadelle deTurin. L’année 1706, avec le veritable plan (Amsterdam,Pierre Mortier, 1708). Tentativo fallito grazie ancheallo stesso Solaro che introducendo nel Journal un co-loritissimo dialogo tra Pietro Micca e il suo assisten-te (elemento narrativo assolutamente inconsueto perquello che voleva essere – come è in realtà – una ri-gorosa cronaca di guerra) finirà per consegnare defi-nitivamente al mito il personaggio e la sua storia.

Tra la memorialistica del tempo riferita all’assediotorinese spicca un manoscritto anonimo che narra informa di diario giornaliero gli avvenimenti dal 12maggio al 14 agosto 1706. Lo scritto, in un france-se talvolta insicuro, è ben più asciutto del ricco e ar-

33 Nei mesi successivi all’assedio la riconoscenza popolare eresseverso i protagonisti dell’eroica resistenza monumenti in versi e in pro-sa tra i quali spicca un lungo componimento attribuito a F.A.TARIZZO, L’arpa discordata dove dà ragguaglio di quanto occorse nell’assedio dellaCittà di Torino 1705-06, Torino, Soffietti, [1788]. Giuseppe Amico vie-ne così ricordato dal Tarizzo: «A-i n’é mòrt dij Piemontèis / Ma en-cor pì i-è mòrt dë Fransèis. / Noi j’avìo ël Cont Rangon / Ch’a tëni-sìa sempre bon, / E Monsù Castel Alfé / Ch’as finìa mai d’aclamé».

34 AST, s.r., Ufficio Generale del Soldo, Ordini generali e misti, 1707, mz.32. L’occasione è propizia per ringraziare l’Arch. Bruno Signorelli perla segnalazione dell’ubicazione del fondo.

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gomentato racconto che il Solaro riporta nel suoJournal del 1708, ma è in tutta evidenza il frutto del-l’attenta osservazione e partecipazione – quasi informa di rapporto – di un ufficiale addetto alla di-fesa della cittadella, profondo conoscitore delle ope-razioni dell’artiglieria come della guerra di mina35.Nel manoscritto non sono mai riportati i nomi diufficiali come il colonnello Solaro, il capitano Boz-zolino, il conte di Cavoretto o il luogotenente diCastellalfero, ed è proprio la loro assenza dalla scenaa far considerare possibile che proprio uno di questi,per l’esperienza e il ruolo ricoperti, abbia potuto re-digere una memoria così puntuale degli avvenimenti.

Il Manno36 ritenne di ascrivere questo diario del-l’assedio al cavaliere Giuseppe Amico, contrariamen-te all’opinione del conte Clemente Solaro della Mar-garita che lo attribuì all’opera del colonnello suo an-tenato. Non conoscendo le motivazioni che portaro-no il Manno a identificare il cadetto («[...] invece po-tei scoprire che fu scritto dal Conte Giuseppe Amicodi Castelalfero, colonnello d’artiglieria, figlio di unaSolaro della Margherita [...]») si può pensare che unadelle buone ragioni del Manno stia nel fatto che ildiario è uno sguardo «dal basso» degli avvenimenti,prerogativa di chi riveste compiti operativi e non già– o non solo – di comando. Tra questo scritto e il vo-lume del Solaro molti sono i punti di contatto e nonè da escludere che nella stesura della memoria a stam-pa il Solaro abbia attinto a piene mani dalla relazio-ne del suo fidato luogotenente. Possiamo però direcon certezza che la scrittura del manoscritto non è dimano del cadetto di Castellalfero essendo totalmentedissimile da altre prove con le quali è stato possibileconfrontarla, mentre il motivo dell’interruzione al 14agosto potrebbe risiedere nel fatto che l’esemplare del

diario conservato nell’archivio Solaro non sia altroche un tentativo di copia non ultimato.

La fine del blocco torinese vede Giuseppe Amicoseguire il rinvigorito esercito del duca nelle decisivecampagne per la riconquista del confine alpino(1708-1710).37. Il Castellalfero segue il marchesed’Andorno nei suoi spostamenti fino a giungere auno degli episodi cruciali per gli esiti finali della cam-pagna che si risolve nell’assedio della fortezza diFenestrelle (per i francesi Fort Mutin), occupato da ol-tre 800 uomini al comando del colonnello Barriére.Le truppe sabaude comandate dall’Andorno riesconoa occupare una ridotta sovrastante la fortezza dallaquale aprono un violento fuoco di artiglieria sugli as-sediati. L’eroica difesa della guarnigione si protrae pergiorni ma nulla può contro una bomba che il 28 ago-sto incendia l’arsenale. Il risultato è devastante, il fra-

35 Il prezioso documento è stato recentemente trascritto, tradotto,ampiamente annotato e confrontato con l’edizione di Amsterdam del1708 da Ciro Paoletti in: G.M. SOLARO CONTE DELLA MARGARITA,Journal historique du siége de la ville et de la citadelle de Turin l’année 1706.Traduzione del manoscritto originale e confronto con l’edizione del 1708, Torino,2006. Si veda ad esempio a pag. 8 del ms.: «[...] la maniere particulie-re, dont la terre à etêe remuée nous persuada, que leur intention estoitd’y placer une batterie a bombe [...]»; oppure, a pag. 49 del ms.: «[...]cella non obstant nous fimes une coupure, qui nous assoura le reste dela gallerie, qu’il nous importoit de conserver affin d’être en état de fai-re sauter leur batteries, quand elles seroient plassées sur la contrescar-pe [...]».

36 A. MANNO, Pietro Micca ed il Generale Conte Solaro della Margarita.Ricerche terze sull’assedio di Torino del 1706, in «Miscellanea di storia italia-na», T. XXI, VI della II s., Torino, Fratelli Bocca, 1883, p. 334n.

37 AST, Corte, Lettere di particolari, m. R23. Possiamo tracciare la di-slocazione delle truppe nelle valli alpine attraverso i vari dispacci cheil cadetto trasmise ai superiori e al maresciallo Bernard von Rehbinderin particolare. Cronache della campagna alpina sono disponibili in M. REVIGLIO, La valle contesa. Storia della Val Chisone e del Forte di Fenestrelle,Torino, 2006 e D. GARIGLIO, Le sentinelle di pietra, Cuneo, 1997. Colgol’occasione per ringraziare Mario Reviglio, dell’Associazione ProgettoSan Carlo Onlus, per la puntuale segnalazione dei fondi citati.

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goroso scoppio della polveriera coinvolge l’abitato diFenestrelle e un’ampia breccia aperta il 30 agostopreannuncia l’inevitabile resa della guarnigione chebatte la chamade all’alba del 31 agosto 1708. Coman-dante del forte e governatore di Fenestrelle sono fattiprigionieri e insieme all’intera guarnigione tradotti aTorino.38.

Il cavaliere di Castellalfero dovette avere un ruolopreminente nella conquista del forte di Fenestrelle se molti anni dopo, fece inserire nel suo ritratto.39

[tav. I] – tra le carte militari testimoni dei suoi suc-cessi – proprio una mappa delle operazioni in cui èscritto: «.Fort Mutin / Prise en l’année 1708.». L’al-tra delle due carte presenti nel dipinto rappresentauna pianta della cittadella di Torino ove è riportatosignificativamente «.Difesa di Torino / 1706.».

Le missioni del cadetto

Il trattato di Utrecht e il conseguente conferimen-to del titolo regio al duca Vittorio Amedeo II apronouna stagione di pace per il Piemonte. Il cavaliere diCastellalfero accompagna il sovrano in Sicilia al se-guito della corte, chiamato a sovrintendere al rilievodelle coste per verificarne lo stato delle fortificazioni,la condizione delle località litoranee e delle attivitàeconomiche connesse. Egli raggiunge Palermo con ilconvoglio reale la cui flotta è messa a disposizionedalla corona inglese, ma il suo vascello risulta in ritar-do rispetto a quello della corte, vanamente – sembre-rebbe – atteso in porto dalla regina Anna Mariad’Orléans.40.

Il Castellalfero conduce la campagna topograficatra il 2 gennaio e il 1o aprile 1714 con l’assistenza diFrancesco Onorato Cagnoli.41, eseguendo un periplo

completo dell’isola a bordo di uno scafo apposita-mente predisposto. La scrupolosa quanto interessan-te Relazione istoriografica delle città, castelli, forti e torri esisten-ti ne’ littorali del Regno di Sicilia con le annotazioni delle cale,punte, grotte, porti e trafichi che attorno il medemo si fanno cava-ta dall’informazioni prese nel viaggio fatto dal sig. Cav.re Caste-lalfiere Colonnello dell’Artiglieria secondo gl’ordini dattili dallaSagra Real Maestà di Vittorio Amedeo II Re di Sicilia, Gierusa-lemme e Cipri Duca di Savoia, Prencipe di Piemonte etc. Palermoli 14 aprile 1714.42 oggi è ancora disponibile e venne a

38 Ampio resoconto della campagna per la riconquista delle vallatealpine compare in AST, Corte, Materie militari, Imprese militari, m. 11, n.17, 1708, Giornali e Relazioni delle operazioni Militari pendente la campagna del1708.

39 Il dipinto, attribuito alla Clementina (vide infra), venne acquista-to da Giovanni Montersino nell’asta (1905) dei superstiti beni mobi-li del castello Amico allestita dal Comune di Castell’Alfero. Monter-sino donerà in seguito il dipinto al Museo civico di Asti. L’alienazionedei beni fu resa necessaria per finanziare l’acquisto del castello da par-te del Comune di Castell’Alfero. Archivio Storico Comunale di Castel-l’Alfero (ASCC), cat. X, 11a, 1, F. 356.4, Vendita del mobilio ed oggetti delcastello; con relativo verbale d’incanto: ibidem, F. 356.7. Per maggiori det-tagli sul dipinto: Le collezioni civiche di Asti. Materiali di studio per il riallesti-mento, a cura di E. Ragusa e A. Rocco, catalogo della mostra Asti,Palazzo Mazzetti, 7 settembre-28 ottobre 2001, Asti, 2001.

40 AST, Corte, Lettere Duchi e Sovrani, mz. 74, in M.T. REINERI, AnnaMaria d’Orléans, Torino, 2006, p. 510. Nella lettera ai suoi figli la regi-na ricorda che «[...] mancano ancora alcuni bastimenti, tra gli altriquello su cui è il cavaliere di Castellalfero [...]».

41 Si tratta del primo commesso di artiglieria, già «Guarda Maga-zeno» al porto di Villafranca. Cagnoli resterà in Sicilia ben oltre la per-manenza del Castellalfero, al servizio dell’Intendenza generale d’arti-glieria per la quale redigerà numerosi rapporti (AST, Corte, Materie mi-litari per categorie, Intendenza generale d’artiglieria, mz. 1-3) che nel 1720, ana-logamente a quanto compiuto in Sicilia dal Castellalfero, produrrà alvicerè di Sardegna Barone di St. Remy, una relazione sullo stato dellefortificazioni e delle torri litoranee dell’isola (Archivio di Stato diCagliari, Segreteria di Stato, II Serie, vol. 1091). Per tali servizi Cagnolisarà investito del comitato di Massoins (Nizzardo) nel 1723 (A.MANNO, Il patriziato subalpino, dattil., presso BCT, ad vocem). Per la pre-senza dei Cagnoli in Provenza, originari di Villefranche, e sulla loro fe-deltà alla Casa di Savoia si veda P.-R. GARINO, Armorial du Comté de Nice.Familles & Communautés, Nice, 2000, ad vocem.

42 AST, Corte, Sicilia, Inv. 1, cat. 1, m. 3, n. 63. Integralmente tra-

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suo tempo accompagnata da un preziosissimo rilievocartografico delle oltre 600 miglia di costa (il periplodell’isola è invece di 438 miglia nautiche). Il preziosorapporto non si limita comunque a un freddo elencodi quanto osservato (torri e cannoni, porti e ridotte,mercati e tonnare, guardie e soldati spagnoli) ma in-troduce ipotesi di trasformazione dei luoghi o propo-ne soluzioni alle problematiche insediative, difensive eterritoriali individuate. Tra le ipotesi di lavoro che ilbreve insediamento sabaudo nell’isola non ha consen-tito di attuare, una – fortunatamente – è rimasta sul-la carta. Riferisce infatti il Castellalfero che a Taor-mina «.Sopra un erto monte [...] vi sono le vestigiedell’antico culiseo (ovvero il teatro greco, n.d.r.) checolà fu costrutto, et ivi sarebbe assai necessario co-struersi un bon forte, il quale guarderebbe il mare edominerebbe la città medesima, per essere in sito as-sai più rilevato.»43.

Del corpus delle carte collegate alla relazione e fino-ra ritenute disperse sono stati attualmente recuperatidue soli esemplari, presenti nel fondo Sicilia dell’Ar-chivio di Stato di Torino, fino a oggi mai accostatialla relazione citata a causa dello smembramento delfondo e del conseguente troncamento del legame ar-chivistico. La Carta di Tauormina. Castello d’Augusta et Rel-ationi de’ contorni d’Augusta Siracusa et Tauormina.44 [tav. II],insieme a una carta sine titulo dell’area di Siracusa maaventi identiche caratteristiche grafiche e formali, sonoal momento l’unica traccia che ci permette di rappre-sentare – seppure parzialmente – il complesso lavorodi restituzione grafica svolto in quattro mesi di navi-gazione e rilevamento. Grazie al suo titolo manoscrit-to consente di stabilire un legame con le numeroseRelationi interessanti le località costiere, mentre la sca-la grafica in trabucchi ne dimostra inequivocabilmen-

te l’origine piemontese. L’ampia carta, composta condiversi incollaggi di vari fogli seguendo le necessità delrilievo, presenta inoltre un reticolo di trasposizione alapis, segno dell’intenzione di copiarla o di riprodurlaa stampa, cosa che non ci risulta mai avvenuta.45.

È lecito a questo punto domandarsi se sia soprav-vissuta e dove si conservi l’immensa mole delle map-pe descriventi i restanti litorali siciliani.

La competenza e la puntualità applicate ai suoi do-veri valsero al Castellalfero l’incarico della redazionedi inventari sulle fortificazioni dei litorali e sul lorocontenuto, una Relatione di tutte le torri e castelli che circon-dano il lido del Regno di Sicilia [...], assommando nel vol-gere di pochi mesi circa una decina di memorie tra cuiaddirittura una Relatione di molti abusi che sono nel Regno diSicilia, con il modo di ripararli, di stupefacente attualità.Riferisce il Castellalfero che i torrieri (ovvero i guardia-ni delle torri di avvistamento) sono come costretti afavorire il contrabbando «.[...] per poter in qualchemaniera esigere di che mantenersi [...].»46. Perfino ilGran Maestro di Malta richiese al viceré sicilianoMaffei i servizi del Castellalfero per «.[...] porre nel-le migliori condizioni le fortificazioni e l’artiglieria di

scritta in: Sicilia 1713. Relazioni per Vittorio Amedeo di Savoia, a cura di S. DiMatteo, Palermo, 1994, passim, a cui si rimanda per la vasta bibliogra-fia. È utile segnalare come il curatore confonda il cavaliere di Castel-lalfero con il fratello maggiore, il conte Alessandro Ignazio Amico.

43 AST, Corte, Sicilia, ibidem.44 AST, Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche segrete, Sicilia

23 D (V) Rosso.45 Si riporta l’opinione di P. REVELLI, Vittorio Amedeo II e le condizio-

ni geografiche della Sicilia, in estr. da «Rivista Geografica Italiana», XVII-XVIII (1910-1911), pp. 110, che nota come un tempo le carte coro-grafiche e topografiche siciliane facessero parte dell’Archivio segretodi S.M., confluite – almeno in parte – nell’Archivio di Stato di Torinotra 1831 e 1833. Anche Revelli non identifica chiaramente il cavalie-re Giuseppe Amico.

46 P. REVELLI, ibidem.

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Massimo d’Azeglio, La città di Taormina, con episodio del re Vittorio Amedeo II festeggiato dai nuovi sudditi, Torino, Palazzo reale, depositi.

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Malta, minacciata dal Turco [...].», ma nel settembre1714 il cadetto era già tornato in patria.47.

La storica rilevanza dell’indagine e del disegno del-le coste venne riconosciuta da Massimo d’Azeglio inun dipinto del 1857: La città di Taormina, con episodio delre Vittorio Amedeo II festeggiato dai nuovi sudditi [tav. III].L’opera ritrae accanto ai sovrani sabaudi due perso-naggi intenti a operazioni di rilevo in un improvvisa-to studio campale. Si ritiene che i due possano iden-tificarsi con il cavaliere Giuseppe Amico e il suo assi-stente, precisando inoltre che Vittorio Amedeo II vi-sitò la città siciliana nel giugno 1714 accompagnatodalla regina. Ciò dimostra una volta di più l’accuratadocumentazione storica che il d’Azeglio anteposesempre ai suoi dipinti.48. Il grande quadro, espostonella mostra monografica presso la Galleria d’ArteModerna e contemporanea di Torino.49, venne ese-guito su commissione di Vittorio Emanuele II e sitrova nelle collezioni del Palazzo Reale di Torino.

Rientrato in Piemonte e ricevuto l’Abito e Crocedi giustizia mauriziana con la conseguente Commen-da di San Marco di Chivasso, il cadetto venne nuova-mente inviato nell’isola di Sardegna per dirigere leoperazioni di provvista delle artiglierie necessarie alladifesa dell’isola recentemente acquisita.50. A Oristanoviene inoltre documentata la sua attività di ricostru-zione della cattedrale di Santa Maria Assunta (1729-1745), insieme a un folto gruppo di architetti e inge-gneri militari sabaudi.51.

Il cadetto a Torino

Terminate le incombenze militari, dismessa permotivi di salute la carica di Governatore di Ivrea.52,conseguiti l’ambita Gran Croce mauriziana e la cari-

ca di Tenente generale e sempre ben insediato nellaCommenda di San Marco, il cavaliere di Castellalfero(ormai per tutti «.il Commendatore.»), forte di unadisponibilità economica ragguardevole, nell’ultimaparte della sua vita abita solitario – grazie a un osti-nato celibato – il palazzo Armano di Grosso, ancoraoggi al civico numero 4 di via del Carmine nel «.[...]apartam.o tenuto al piano nobile del Palazzo che pro-prio del Sig. Conte di Grosso.» come recita un attodel 1737.53.

Il 12 giugno 1737, all’età di 65 anni, il cadettodona al nipote Bartolomeo Giuseppe, quarto conte diCastellalfero, beni e immobili posseduti a vario titolo(tra cui una porzione del lago di Chiaverano e variterreni nella provincia di Ivrea) a motivo di «.quantoall’affetto con cui lo ha sempre rimirato come caris-simo nipote.», in cambio del totale mantenimento esussistenza vita natural durante.54.

La donazione costituirà una svolta nella storia del-la famiglia, modificandone definitivamente l’imma-

47 P. REVELLI, ibidem.48 La presenza del d’Azeglio nell’isola per fini documentari e arti-

stici è ben documentata da G. BUSTICO, Massimo d'Azeglio e la Sicilia, estr.da «Archivio storico per la Sicilia orientale», XIII (1916), I-II.

49 Massimo d’Azeglio e l’invenzione del paesaggio istoriato, a cura di V. Ber-tone, cat. della mostra settembre 2002 - febbraio 2003, Torino, 2002.

50 G. MANNO, Storia di Sardegna, Torino, 1825-27, vol. IV, l. 13, n.1641.

51 M. MANCONI DE PALMAS, La chiesa di S. Maria cattedrale di Oristano,Oristano, 1992.

52 La supplica per l’esenzione dalla carica è in AST, Corte, Lettere diparticolari, mz. C43: «[...] le mie forze, et la mia sanità non corrispon-dino più alla buona volontà che ho sempre nodrito, e nodrirò semprenel cuore per il servitio di V.M. et della Real Casa; ma tale, è quale mitrovo son sempre prontissimo a sagrificarmi per suo Servitio […]».

53 AST, s.r., Notai di Torino, Primo versamento, vol. 2844, cc. 182-183r.

54 AST, s.r., Notai di Torino, ibidem.

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gine pubblica e rendendone diffusamente palesi meri-ti e ambizioni.

Infatti Bartolomeo Giuseppe Amico, prima recu-perato il feudo dagli impegni conseguenti alle nefasteguerre e poi ottenutolo in donazione dal padre (1728),ricevuta una consistente elargizione da parte dellozio-protettore (1737) e investito del comitato daCarlo Emanuele III (1741), potrà porre mano – in-sieme al nipote Giuseppe – al miglioramento e alconsolidamento del patrimonio edilizio familiare,compresi i patronati afferenti, convolando a nozze(1756 e 1757) tutte patrimonialmente vantaggiose.La famiglia Amico, all’atto del matrimonio (1786)dell’ultimo Conte (l’ambasciatore Carlo Luigi), potràvantare un patrimonio tra i più cospicui dell’AncienRégime piemontese.55.

La cappella torinese

Il cavaliere di Castellalfero fa ricomporre nel 1750la vecchia cappella del Crocifisso nella chiesa torine-se di San Francesco d’Assisi, patronato della famigliadal 1636. Chiama per questo l’architetto BernardoVittone per il disegno complessivo.56, lo scultore to-rinese Stefano Maria Clemente per la trabeazione eper la decorazione il pittore locale Mattia Franceschi-ni insieme al ferrarese Girolamo Mengozzi Colonnacollaboratore di G..B. Tiepolo in molti cicli decora-tivi.57. L’intervento venne eseguito «.[…] con denaroa tal fine e per puro spirito di devozione sommini-strato […].» dal cadetto Giuseppe, perché la cappel-la venisse «.[…] interamente ricostrutta e l’altare or-nato di marmi con apposizione di lapide ed opportu-ne iscrizioni.»58.

Un’iscrizione superstite, fatta collocare dal cadetto

sull’arco di ingresso della cappella, ci informa su duemomenti significativi, confermando cronologicamen-te restauro e decorazione:

QUAM ARAM JESU CHRISTO CRUCIFIXO ALEX. AMICUSCASTRI ALPHERII PORTACOMARII ET QUARTI COMES.

REGIS CONSIL. ET PRI. REGII AERARII CENSOR DICAVERAT A. MDCXXXVII

JOSEPH AMICUS DD. MAURITII ET LAZARI EQUESMAJ. CRUCE INSIGNITUS ET TIT. D. MARCI COMMEND.

IN EXER. REGIS LEGATUS EPORED CIVIT. ET PROVIN. GUBERNATOR

REPARANDAM ORNANDAMQUE CURABAT A. MDCCL.

La cappella di Giuseppe Amico, seconda a destra,restaurata dal Vittone in anticipo rispetto al suo in-tervento di ricomposizione dell’intero edificio (1761),si presenta oggi nel suo impianto architettonico ori-ginale, chiusa da una balaustra in marmo con inferria-ta barocca di evidente reimpiego [tav. IV]. L’altare, diaspetto imponente in pregiati marmi policromi, è do-minato da una trabeazione con due angeli adoranti eospita un crocifisso attribuito allo scultore ticineseCarlo Giuseppe Plura, quasi certamente ricollocatonel suo primitivo contesto.59. Si notano al centro del-

55 L. BULFERETTI, I piemontesi più ricchi negli ultimi cento anni dell’assolu-tismo sabaudo, in Studi storici in onore di Gioachino Volpe, Firenze, 1958, vol. I,pp. 77, 89.

56 Il Vittone inserì la cappella dei Castellalfero nella seconda ope-ra antologica della sua attività: B.A. VITTONE, Istruzioni diverse concernen-ti l’officio dell’architetto civile, ed inservienti d’elucidazione, ed aumento alle IstruzioniElementari d’Architettura già al pubblico consegnate, Lugano, Agnelli, 1766, vol.IV, tav. XC.

57 Così appare il cantiere appena terminato a G. BARTOLI, Notiziadelle pitture, sculture, ed architetture, che ornano le Chiese, e gli altri Luoghi Pubblicidi tutte le più rinomate città d’Italia (…) contiene il Piemonte, il Monferrato, e par-te del Ducato di Milano, Venezia, 1776, p. 23.

58 AST, s.r., Notai di Torino, ibidem.59 Significativi per la ricostruzione delle vicende artistiche della

cappella sono: F. GUALANO, Carlo Giuseppe Plura, scultore in legno nel

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le pareti laterali due statue ottocentesche di san Fran-cesco e della Vergine entro nicchie chiuse a vetro. Nonvi è apparentemente traccia degli affreschi settecente-schi, ma a un esame attento dell’anonimo intonacoche ricopre le pareti, si possono ancora notare le trac-ce delle sinopie e – attraverso provvidenziali cadute dicolore – ritenere che le pitture siano ancora quasi deltutto presenti.

La villa campestre

In Castell’Alfero viene ampliato e ammodernato ilcastello nelle forme barocche e nelle dimensioni checostituiscono tuttora il palazzo comunale. Secondo leapprofondite letture di Bellini e Macera.60, arteficedell’intervento alferese – come anche del palazzo deiCastellalfero in Asti prospiciente la cattedrale – po-trebbe essere Benedetto Alfieri, architetto di corte,autore di numerosi progetti nella capitale e nella pro-vincia piemontese. In proposito si ritiene che andreb-bero attentamente valutate eventuali responsabilitàinterne alla famiglia, tenendo conto che a metà Sette-cento un conte di Castellalfero, architetto e paesaggi-sta, è attestato per lavori nel torinese Palazzo Reale enel cuneese castello di Margarita.61: non potrebbe es-sere altri che Bartolomeo Giuseppe Amico. Proprio

Piemonte Sabaudo, in «Studi Piemontesi», XXVI, 1997, 2, pp. 277-300;E. OLIVERO, La Chiesa di S. Francesco di Assisi in Torino e le sue opere d’arte,Chieri, 1935, p. 56; L. TAMBURINI, Le chiese di Torino dal Rinascimento alBarocco, Torino, 1968, pp. 114-120; M. PAROLETTI, Turin a la portée del’étranger ou description des palais, édifices et monumens de science et d’art, Turin,1826, p. 96 (a quest’epoca gli affreschi sono ancora visibili); Il volut-tuoso genio dell’occhio. Nuovi studi su Bernardo Antonio Vittone, a cura di WalterCanavesio, Torino, 2005, pp. 145-146; A. BAUDI DI VESME, SchedeVesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, Torino, SocietàPiemontese di Archeologia e Belle Arti, 1963-1982, voll. 4. Vesme as-segna al Clemente gli angeli (ibidem, vol. I, p. 326), al Mengozzi le qua-drature a fresco (ibidem, vol I, p. 346), al Franceschini «due finte sta-tue di Maria Vergine e S. Giovanni» (ibidem, vol. II, p. 482) e al Plurail Crocifisso (ibidem, vol. III, p. 843). Allo stesso Plura, Vesme eGualano attribuiscono la statua della Madonna del Rosario attual-mente nella parrocchiale di Castell’Alfero.

60 A. BELLINI, Benedetto Alfieri, Milano, 1978; Benedetto Alfieri. L’operaastigiana, a cura di M. Macera, Torino, 1992. Per entrambi passim.

61 C. BRAYDA - L. COLI - D. SESIA, Ingegneri e architetti del Sei e Settecentoin Piemonte, in «Atti e Rassegna Tecnica della Società degli Ingegneri eArchitetti in Torino», XVII, marzo 1963, p. 11; C. LOVERA DI CASTI-GLIONE, Un giardino alla francese in un castello del cuneese, in «Bollettino del-la Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti», n.s., IV-V, 1950-51, pp. 170-177.

Cappella del Crocifisso, Torino, Chiesa di San Francesco d’As-sisi.

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questi, con l’attento consiglio di professionisti speri-mentati, potrebbe aver realizzato la complessa quan-to apprezzabile riplasmazione dell’edificio e del giar-dino alferese, della quale non disponiamo di alcun ri-scontro documentale. Anche in questo caso viene inaiuto la biblioteca comitale di Castell’Alfero che con-serva un’ampia sezione dedicata all’architettura, allageografia e all’arte dei giardini frutto di interessi an-che collezionistici, attraverso la quale si possono in-travedere studi svolti nella prima parte del secolo pro-babilmente in area bolognese.62.

Ma se le ricomposizioni del castello alferese e delpalazzo astigiano vanno assegnate all’iniziativa delconte Bartolomeo, l’allestimento del salone d’onoredella villa campestre si può ascrivere all’ispirazionedel cadetto Giuseppe che imprime all’intero ambien-te decorativo dell’aula un suo personale sigillo.

Mentre la villa è infatti adattata alle rinnovate esi-genze di rappresentanza e dotata di androni, scale, sa-loni e appartamenti necessari a un’ampia domus comerisulta ormai essere quella degli Amico, il cosiddettosalone rosso (vero nucleo del palazzo) è arricchitocon una sontuosa decorazione a totale copertura.

L’aula misura circa m. 6 per 8 per 6,5 di altezza alpiano di imposta [tav. V]. Le quadrature ricopronointeramente le pareti fin nelle mazzette delle finestre,proponendo l’illusione di uno spazio chiuso, delimi-tato da soli elementi architettonici a eccezione delsoffitto, aperto quest’ultimo su un finto cielo tersofiltrato da un’elaborata grata composta in un ovale.

La decorazione simula una struttura architettonicaa due piani sovrapposti, vincolati alle finestrature esi-stenti nella parete sud, uniche aperture esterne. Iquattro accessi sono costituiti da modeste aperturecollocate al centro delle rispettive pareti per le pareti

corte (Nord e Sud), mentre nelle pareti lunghe (Est eOvest) risultano leggermente disassate. La strutturadel piano inferiore è fortemente marcata dai quattroingressi, inquadrati da finti pronai fortemente agget-tanti, supportati da colonne ioniche con capitello avoluta sui quali poggiano timpani curvilinei; nelle tresovrapporte sono dipinte nature morte di diversamano ascrivibili ai modi di Caterina Gili. Alte para-ste, accostate ai finti pronai, raggiungono da terra ilpiano di imposta fornendo un accentuato slancio ver-ticale e conseguente illusione di maggiore altezza del-la sala. Nelle tre pareti non finestrate sono collocateentro nicchie dipinte di sobrio disegno sei finte sta-tue a grandezza naturale dipinte a grisaille figure alle-goriche femminili rappresentanti le arti liberali(astronomia, pittura, geometria) contrapposte allearti meccaniche (economia, architettura, fortificazio-ne). Ovunque disseminati nell’apparato decorativocompaiono colombe e anelli di fede (simboli di pacee amicizia, alludenti al patronimico della casata).63, fi-gure araldiche identificative della famiglia presenti an-che nella grande arma degli Amico campeggiante sul-la parete finestrata fra affusti di cannoni e bandiere,mentre inferiormente all’arma si colloca in forte evi-denza la Gran Croce mauriziana.

Nella sala i simboli di pace sono numericamenteprevalenti rispetto ad altre figurazioni marcatamentebelliche come panoplie, fregi e trofei, con le quali, pe-raltro, convivono armoniosamente. Nel piano supe-riore putti alati a grisaille si contendono gli spazi lascia-

62 Catalogo de’ libri, ibidem.63 Per l’arma degli Amico e i suoi significati araldici si veda G.

MOLA DI NOMAGLIO, Una stretta di mano araldica: la « fede» nelle armi gen-tilizie d’Europa, in Una strenna di mani, a cura di B. Gera e A. Malerba,Torino, 1997, pp. 101-180.

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Sala delle allegorie, Castell’Al-fero, Palazzo comunale.

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ti liberi da finti oculi (all’interno dei quali sono rap-presentate varie attività scientifiche) e riquadri a chia-roscuro narrano storie e trionfi di Roma secondo l’uso corrente del tempo. La volta, infine, presenta fin-ti poggioli nei quattro cantoni ove sono collocate va-rie figure allegoriche a finto bronzo, mentre ninfe ala-te, racemi, e arabeschi a monocromo grigio contrap-puntano il soffitto, adagiati su uno sfondo rosa inten-so di struggente attrazione.

La sala è dunque un’aperta celebrazione delle im-prese del cavaliere di Castellalfero e se non sono an-cora stati dimostrati precisi rapporti di committenzacon le maestranze, certamente il cadetto ebbe quan-tomeno l’onere di ispirarne l’apparato, sfruttando lafrequente ricorrenza di motivi ispirati alle proprie vi-cende belliche. Va notato che la concessione dellaGran Croce al cadetto consente di collocare oltre il1730 la data di esecuzione degli affreschi, mentre siritiene probabile che il cantiere dell’intero edificio siastato avviato non prima del quarto decennio del Set-tecento in ragione della donazione del cavaliere Giu-seppe al nipote Bartolomeo avvenuta nel 1737.

La presenza di Mengozzi in Piemonte è documen-tata nel 1733 al servizio della corte (Palazzina di cac-cia di Stupinigi, in collaborazione con Crosato) e nel1749-50 (scenografie per l’opera Siroe rappresentataal Teatro Regio di Torino nel carnevale 1750).64.

È del tutto probabile che i cantieri della cappellatorinese e del salone alferese siano il vero motivo delsoggiorno piemontese dell’artista, tenendo conto chel’assenza di Tiepolo – in quel periodo impegnato nelmonumentale cantiere di Würzburg – aveva ricolloca-to contrattualmente Mengozzi in nuovi ambiti, vene-ziani e piemontesi, con partner inediti o sperimentaticome il Crosato.

Il pittore ferrarese, probabilmente costretto in con-trotendenza rispetto alla consuetudine prevalente do-vette affrontare da solo l’impresa di Castell’Alfero,forse limitato da minori disponibilità della commit-tenza. Si può infatti notare come l’ovale della sala al-ferese non contenga elementi figurativi mentre le in-gessate figure allegoriche a monocromo (che paionorealizzate successivamente all’intervento mengozzia-no) non sembrano all’altezza della straordinaria qua-lità delle pitture illusive.

Se la presenza non sufficientemente documentatadi Girolamo Mengozzi nella cappella torinese nonconsentiva che labili analogie con i corrispondenti la-vori nella villa comitale, un’analisi per ora soltantosommaria consente di accostare al grande quadraturi-sta il cantiere alferese, molto probabilmente apertonella metà del secolo. Risultano infatti assonanti al-l’intervento alferese alcuni cicli decorativi che Men-gozzi realizza con Giovambattista e GiandomenicoTiepolo. Si può infatti agevolmente notare come nelvicentino Palazzo Trento-Valmarana (oggi distrutto) enella veneziana Cà Rezzonico è quasi integralmenteriproposta la struttura architettonica della sala alfere-se, con timpani curvi e rettilinei alternati. Nella vene-ziana Cà Rezzonico, inoltre, putti a monocromo e fin-ti poggioli negli angoli della volta sembrano usciti dalcantiere alferese e un ingombrante stemma araldicodei Rezzonico ricorda quello altrettanto appariscentedegli Amico. In Palazzo Labia compare inoltre, in una

64 Per l’avventura piemontese di Mengozzi, oltre a DOMENICHINI,cit., si vedano M. VIALE FERRERO, Storia del Teatro Regio di Torino. La sce-nografia dalle origini al 1936, Torino, 1980, pp. 170-176 e L. MALLÉ,Stupinigi. Un capolavoro del Settecento europeo tra barocchetto e classicismo. Architet-tura, pittura, scultura, arredamento, Torino, 1981, passim.

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sala minore, l’identico motivo della grata a chiusuradell’ovale della volta, frutto – anche in quel caso – diun intervento condotto in assenza di reputati figuristi.Ma a parte queste significative coincidenze, sono leidee compositive, il disegno e la splendida partituracromatica a toni lievi che in una riconoscibile allure ac-costano la sala alferese al più grande quadraturista delSettecento.65.

Vi è inoltre un’assai singolare coincidenza traMengozzi e la famiglia Amico. L’edificio comitale diCastell’Alfero presenta infatti ben sette quadranti so-lari (oggi solo in parte leggibili) segno della perso-nale passione di un membro della famiglia, testimo-niata dal ricco fondo astronomico e gnomonico pre-sente nella biblioteca alferese con circa cinquanta vo-lumi stampati tra il 1550 e il 1773 66. Mengozzi, dalcanto suo, oltre alle « lezioni di prospettiva» elabo-rate negli anni del soggiorno romano e all’applica-zione della teoria delle ombre (cognizioni basilariper l’attività professionale di ogni quadraturista oscenografo) ebbe particolare attenzione per lo studiodella gnomonica e di questa particolare scienza neespose i concetti per l’omonima classe che egli dires-se nell’Accademia di pittura da lui stesso fondata aVenezia nel 1730 67.

Epilogo

Giuseppe Amico si spegne il 29 gennaio 1751 inetà per quei tempi molto avanzata, tumulato per suavolontà nella cappella in San Francesco d’Assisi.68,costruita per coronare degnamente il termine di unaintensa esistenza, una piccola, personale Superga.

Il suo desiderio di riscatto, l’ambizione, lo spiritodi servizio e una tenace volontà lo hanno proiettato

fuori dagli schemi nei quali la società del tempo loaveva relegato. Le committenze e gli artisti di cui si èvalso sono, come si è visto, analoghe alla corte sabau-da come ad altri principi del tempo.

Di lui ci resta il grande ritratto attribuito allaClementina. Il dipinto, che riporta la sua figura inpiedi nella livrea blu (il colore delle divise e deglistendardi dell’artiglieria) mostra la perdita dell’occhiodestro senza alcuna reticenza, mette in luce fierezza eautorità, ne fa trapelare orgoglio e determinazione;insieme alla Gran Croce mauriziana e ai simboli delsuo casato si notano due carte sparse che tramanda-no i due eventi bellici certamente a lui più cari: le duevittorie di cui è stato protagonista.

Sebbene molte imprese del cadetto ci resterannoignote, possiamo ancora sperare di scoprire nelle pit-ture ancora occultate della cappella torinese di SanFrancesco d’Assisi il suo ultimo atto di devozione,che – se svelato – potrebbe costituire un evento arti-stico di singolare bellezza e significato.

65 L’ipotesi attributiva verso il pittore ferrarese, per quanto soste-nuta fin dal convegno del 2002, sarebbe stata quanto mai ardua da sur-rogare se non confrontata con analoghi quanto numerosi interventimengozziani. Giunge dunque quanto mai propizia la recentissima e il-luminante monografia di RICCARDO DOMENICHINI, Girolamo MengozziColonna, in «Saggi e memorie di storia dell’arte», 28, 2006, pp. 169-291. L’occasione è gradita per ringraziare Domenichini degli stimolicontinui e delle sue sempre puntuali osservazioni.

66 Catalogo dei libri, ibidem.67 R. DOMENICHINI, cit., pp. 174-175.68 Nell’Archivio Storico Arcivescovile di Torino risulta disperso il

registro dei morti corrispondente all’anno 1751. Come data del deces-so si accetta dunque quella riportata dal registro dei confratelli dellaCompagnia di San Paolo (ASSP), ibidem.