389
La @nte fe nomenologic a f ilosofia della mente e scienze cogn itive

[Haun Gallagher, Dan Zahav] La Mente Fenomenologica. Filosofia della mente e scienze cognitive

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Il primo libro che prende in esame direttamente le questioni fondamentali che riguardano la mente nella prospettiva della fenomenologia.Tra gli argomenti trattati figurano la coscienza e l’autocoscienza, incluse la percezione e l’azione, l’intenzionalità, la mente incarnata, la conoscenza delle altre menti. Un’introduzione ideale ai concetti chiave della fenomenologia, delle scienze cognitive e della filosofia della mente.

Citation preview

  • La @nte fenomenologica

    filosofia della mente e scienze cognitive

  • Shaun Gallagher Dan Zahavi

    La mente fenomenologica

    Filosofia della mente e scienze cognitive

    ~ F4JelloCortim Editore

  • www.raffaellocortina.it

    Titolo originale The Phenomenological Mind

    2008 Routledge

    Traduzione Patrizia Pedrini

    Copertina StudioCReE

    ISBN 978-88-(i030-273-1 2009 Raffaello Cortina Editore

    Milano, via Rossini 4

    Prima edizione: 2009

    Stampato da Press Grafica srl, Gravellona Toce (VB) per conto di Raffaello Cortina Editore

    Ristampe 1 2 3 4 5 6 7 8

    2011 2012 2013 2014 2015 2016

  • INDICE

    Ringraziamenti

    1. Introduzione: filosofia della mente, scienze cognitive e fenomenologia Ricostruzione ipersempllicata degli ultimi cento anni Che cos' la fenomenologia? Prospetto del libro

    2. Metodologie Le chimere della scienza della coscienza Il metodo fenomenologico Naturalizzare la fenomenologia Conclusione

    3. Coscienza e autocoscienza Coscienza e autocoscienza preriflessiva Autocoscienza preriflessiva e l'" effetto che fa" Visione cieca Autocoscienza e riflessione Conclusione: pro domo nostra

    4. Tempo La spiegazione dipartenza Una fenomenologia della coscienza del tempo La microstruttura della coscienza e dell'autocoscienza La coscienza del tempo e la teoria dei sistemi dinamici La coscienza di un processo temporale anch'essa temporalmente estesa? Storicit

    vn

    IX

    1 2 9

    17

    21 23 31 47 64

    69 71 76 89 96

    102

    107 109 116 123 125

    129 133

  • 5. Percezione Olismo percettivo Il ruolo degli altri

    6. Intenzionalit Che cos' l'intenzionalit?

    INDICE

    Somiglianza, causazione e rappresentazione mentale La spiegazione positiva Intenzionalismo Intenzionalit e coscienza Fenom~ologia, esternalismo e realismo metafisico

    7. La mente incarnata Corpi robotici e biologici In che modo il corpo definisce lo spazio dell'esperienza Il corpo in quanto esperienzialmente trasparente Corporeit e cognizione sociale

    8. Azione e agenzia La fenomenologia dell'azione Esperimenti con il senso di agenzia Le mie azioni e le tue

    9. Come conosciamo gli altri Il dibattito sulla teoria della mente I problemi della simulazione implicita L'empatia e l'argomento dell'analogia Il mentalismo e il problema concettuale delle altre menti Interazione e narrativa

    10. S e persona Neuroscetticismo e la dottrina dell'inesistenza del s Le varie nozioni di s Socialit e personalit La storia dello sviluppo Patologie del s Conclusione

    11. Conclusione

    Postfazione

    Bibliografia Indice analitico

    VIII

    137 146 156

    163 166 170 173 180 185 188

    197 204 216 223 228

    231 239 247 254

    259 260 268 275 279 285

    301 302 305 313 316 318 327

    331

    339 351 373

  • RINGRAZIAMENTI

    Pochi commenti circa il modo in cui abbiamo scritto questo li-bro. un lavoro a quattro mani e, anche se abbiamo iniziato divi-dendoci i capitoli cosi da essere ciascuno l'autore principale di ogni singolo capitolo, successivamente ce li siamo passati e li ab-biamo riscritti insieme cos tante volte che ormai si pu dire che siano tutti quanti scritti a quattro mani.

    Mentre scrivevamo il libro, abbiamo beneficiato di molti utili commenti da parte di moltissime persone. Vogliamo ringraziare Nils Gunder Hansen, Daniel Hutto, S0ren Overgaard, Matthew Ratcliffe, Andreas Roepstorff e in particolar modo Thor Griin-baum ed Evan Thompson per i loro estesi commenti sulle prime stesure. Vogliamo anche ringraziare Mads Gram Henriksen per averci aiutato a compilare la bibliografia e J onathan Streater che ha redatto l'indice. .

    Una parte significativa del lavoro che Shaun Gallagher ha de-dicato a questo libro stata sostenuta da una Visiting Professor-ship all'Universit di Copenhagen, sponsorizzata dalla Universi-ty's Research Priority Area: Body and Mind e dal Danish Natio-nal Foundation's Center for Subjectivity Research.

    IX

  • 1

    INTRODUZIONE FILOSOFIA DELLA MENTE, SCIENZE COGNITIVE

    E FENOMENOLOGIA

    Questo un libro sulla mente. Che cosa sia la mente e come funzioni sono attualmente i temi di molti, complessi dibattiti che interessano un certo numero di discipline: psicologia, scienza del cervello, intelligenza artificiale, filosofia della mente, discipline che afferiscono a quelle che generalmente si-chiamano scienze cognitive. La natura interdisciplinare di questi dibattiti non ca-suale; essa anzi resa necessaria dal fatto che nessuna disciplina, presa singolarmente, pu rendere piena giustizia della complessi-t delle questioni in gioco. In questo libro ci proponiamo di esplorare una serie di problemi che sono stati tradizionalmente studiati dai filosofi della mente, ma non intendiamo adottare un approccio filosofico puro, cio un approccio filosofico che ignori le altre scienze. Al contrario, faremo frequentemente appello alla ricca evidenza scientifica che offerta dagli studi di neuroscienze cognitive e brain imaging, dalla psicologia dello sviluppo e cogni-tiva e dalla psicopatologia. E nondimno, questo un libro sulla filosofia della mente e, per quanto possa essere interdisciplinare, rimane un tentativo di affrontare problemi filosofici.

    Tutto quel che abbiamo detto finora, per, potrebbe essere il punto di partenza per un manuale tradizionale di filosofia della mente o di filosofia delle scienze cognitive- e di manuali del gene-re ne esistono gi a sufficienza. Noi ci proponiamo di fare una co-sa diversa e, per ragioni che diverranno chiare via via, pensiamo che questa diversit sia importante e produttiva, nonch tale da segnalare un cambiamento nel modo in cui le scienze cognitive stanno evolvendo. Specificamente, assumeremo una prospettiva fenomenologica sui temi da discutere, nella quale "fenomenolo-

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    gia" si riferisce a una tradizione di filosofia originata in Europa e che comprende l'opera di Husserl, Heidegger, Merleau-Ponty, Sartre e altri pensatori pi recenti. Non tenteremo di far giustizia di tutti gli aspetti della fenomenologia; al contrario, la nostra trat-tazione prevede una selezione di temi che pensiamo siano di par-ticolare importanza per i dibattiti contemporanei in filosofia della mente e delle scienze cognitive. Inoltre, la nostra attenzione non sar rivolta alla storia n sar basata sull'esegesi testuale di rap-presentanti della tradizione fenomenologica, anche se certamente citeremo i loro lavori quando ci sia rilevante. Al fine di compren-dere quel che ci ha motivato a scegliere questa prospettiva, dob-biamo osservare brevemente il modo in cui la filosofia e la psico-logia si sono sviluppate all'incirca nell'arco del secolo scorso.

    RICOSTRUZIONE IPERSEMPUFICATA DEGLI ULTIMI CENTO ANNI

    Se facessimo un'istantanea dei dibattiti filosofici e psicologici intorno alla mente verso la fine del XIX secolo, troveremmo com-plesse discussioni sulla natura della coscienza (per esempio, negli scritti del filosofo/ psicologo americano William J ames e del filo-sofo europeo Edmund Husserl); circa la struttura intenzionale degli stati mentali (per esempio, nell'opera del filosofo e psicolo-go austriaco Franz Brentano, di Bertrand Russell e, di nuovo, di Husserl); cos come confronti a proposito della metodologia ne-cessaria per uno studio adeguato della mente (per esempio, Wil-helm Wundt, Gustav Theodor Fechner e, ancora, J ames e Hus-serl). Si dovrebbe inoltre notare che tutti questi autori si influen-zarono reciprocamente, talvolta direttamente, tenendo corri-spondenza a mezzo di lettere, in un'epoca preelettronica, o indi-rettamente, leggendo le opere l'uno dell'altro. Cos, per esempio, J ames venne ispirato da teorici e sperimentalisti in Europa e, nel suo Principi di psicologia del 1890, egli cita il lavoro di Brentano e di molti suoi allievi, compreso lo psicologo Carl Stumpf. Nono-stante J ames non citi Husserl, che era allievo sia di Brentano sia di Stumpf, quest'ultimo aveva raccomandato a Husserl di leggere i Principi di] ames. Husserl lo fece, ed evidente che ne trasse be-neficio. Husserl tenne corrispondenza anche con il logico Frege. Entrambi criticavano l'allora prevalente dottrina dello psicologi-

    2

  • INTRODUZIONE

    smo, ovvero l'idea che le leggi della logica siano di fatto riducibili alle leggi della psicologia.1 Entrambi nutrirono un forte interesse per la filosofia della matematica e della logica, che interess an-che Russell, il quale aveva una copia delle Ricerche logiche di Husserl nella sua cella di prigionia, durante il periodo che vi tra-scorse per disobbedienza civile.

    Via via che ci addentriamo nel XX secolo, questi pensatori e i loro particolari approcci filosofici cominciano a evolvere separa-tamente. J ames si interess meno di psicologia e si occup dello sviluppo filosofico del pragmatismo americano. Il modo di fare analisi logica che si trova nell'opera di F rege e Russell divent la base di quella che ora ormai nota come filosofia analitica, men-tre Husserl svilupp un approccio alla coscienza e ali' esperienza che chiam fenomenologia. Gi alla met del secolo, e decisa-mente per tutta l'ultima parte del xx secolo, relativamente alle di-scussioni sulla mente (cos come sugli altri temi) troviamo che in-tercorre assai poca comunicazione tra la filosofia analitica della mente e la fenomenologia. Di fatto, su entrambi i fronti, l' atteg-giamento abituale verso l'altra tradizione va dalla completa disat-tenzione all'ostilit aperta. In verit, fino agli anni Novanta, era raro trovare filosofi appartenenti a queste due scuole che persino si parlassero, il che denotava una buona dose di arroganza su en-trambi i fronti. Cos, per esempio,Jean-Luc Marion (1998) ha so-stenuto che nel XX secolo la fenomenologia si essenzialmente avocata il titolo onorifico di filosofia, ignorandO apertamente i contributi della filosofia analitica. Sull'altro versante, si sa che Thomas Metzinger decret la fenomenologia "un programma di ricerca screditato[. . .] in bancarotta intellettual~ per almeno cin-quant'anni" .2 Persino quando i fenomenologi effettivamente dia-logano con i filosofi analitici, troviamo reazioni come quella di

    1. Lo psicologismo non interamente sconfitto, ed stato recentemente rilan-ciato nella forma di quel che si potrebbe chiamare neurologismo. Il noto neuro-scienziato Semir Zeki ha scritto in un articolo recente: Il mio approccio dettato da una verit che considero assiomatica: che tutta lattivit umana dettata dall' or-ganizzazione e dalle leggi del cervello; quindi, che non ci possa essere alcuna con-creta teoria dell'arte e dell'estetica che non sia neurobiologicamente fondata" (Ze-ki, 2002, p. 54). I limiti e la natura problematica di questa proposta diventano ovvi nel momento in cui semplicemente si rimpiazzano le affermazioni sull'arte e l' esteti-ca con affermazioni su altre attivit umane come lastrofisica o larcheologia.

    2. Vedi l'editoriale del]ournal o/ Consciousness Studies (1997), 4/5-6, p. 385.

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    John Searle, il quale, in risposta a una critica di Dreyfus, sostiene che la fenomenologia mostra dei seri limiti o, come lui stesso si esprime, usando la pi esplicita metafora economica, "voglio quasi dire ... una bancarotta, e [la fenomenologia] non ha molto da dare in termini di contributo ai temi della struttura logica del-l'intenzionalit o della struttura logica della realt sodale e istitu-zionale" (Searle, 1999a, pp. 1-10).3

    Per spiegare in che modo queste due scuole di filosofi finirono per pensarsi in cos netta contrapposizione reciproca o forse, ad-dirittura peggio, come indifferenti l'una all'altra, dovremmo for-nire una ricostruzione pi ampia di quella che necessaria per i nostri scopi. Condividiamo l'osservazione di David Woodruff Smith: "Dovrebbe essere ovvio che la fenomenologia ha molto da dire alla tradizione della cosiddetta filosofia della mente. Tutta-via, le due tradizioni della fenomenologia e della filosofia analiti-ca della mente non sono state strettamente connesse, nonostante le comuni aree di interesse" (Smith, 2003 ). Da questo libro, co-munque, i lettori potranno ricavare sia alcune importanti diffe-renze tra gli approcci della filosofia della mente e della fenome-nologia sia alcune delle loro preoccupazioni condivise.

    Un'altra parte di questa storia ha a che fare con ci che accade in psicologia. La versione tradizionale, che stiamo per proporvi, in qualche modo una storia distorta di quel che realmente accad-de, sebbene sia quella fornita pressoch in tutti i compendi ma-nualistici. Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX, c'era un gran-de interesse nella spiegazione dell'esperienza cosciente e dei pro-cessi cognitivi che sono coinvolti nell'attenzione e nella memoria. I primi psicologi sperimentali si affidarono all'introspezione co-me al metodo che mirava a produrre dati misurabili sulla mente. Attorno al 1913, per, l'accento si spost sulla nozione di com-portamento quale oggetto adeguato di studio psicologico. Il comportamentismo, in quanto approccio allo studio della psico-logia animale e umana, fu difeso e formulato nell'opera dello psi-cologo americanoJohn Watson (1913) e arriv a dominare lo stu-dio della psicologia, specialmente in America, fino agli anni Set-tanta, con un momento di massima fioritura nel 1950. Lo sposta-

    3. Per una discussione pi sobria e lungi.mirante della relazione tra filosofia ana-litica e fenomenologia, si veda Moran (2001).

    4

  • INTRODUZIONE

    mento verso il comportamento e l'enfasi che comport sulla mi-surazione dell'azione osservabile rappresentarono un allontana-mento al tempo stesso dalla vita mentale interiore e dal metodo dell'introspezione. Tuttavia, il comportamentismo fu alla fine rimpiazzato dagli approcci cognitivi che riprendevano il prece-dente interesse verso i processi interiori della vita mentale, con il vantaggio, stavolta, di avvalersi dei modelli computazionali svi-luppati dalla computer science e, pi di recente, da tutti i progressi della ricerca scientifica sul cervello. Infine, nei tardi anni Ottanta e per tutti gli anni Novanta, i ricercatori si concentrarono di nuo-vo sui tentativi di comprendere e spiegare la coscienza.

    Questa ricostruzione distorta e oltremodo semplificata per-sino nei suoi tratti pi generali. In totale contrasto con la rico-struzione tradizionale, non difficile reperire evidenze storiche che mostrino come gli approcci comportamentisti e i tentativi di ottenere misure oggettive fossero diffusi nei primi laboratori psi-cologici del XIX secolo, e come l'introspezione fosse spesso con-siderata problematica, persino dai cosiddetti introspezionisti, sebbene abbia continuato a svolgere un certo ruolo nella speri-mentazione psicologica per tutto il xx secolo. Inoltre, i concetti computazionali della mente possono ragionevolmente essere fatti risalire al XVIII secolo; e la coscienza rimasta un interesse costante sin dall'epoca diJohn Locke, alla fine del XVII secolo, e forse sin dall'epoca dell'antica Grecia. Si potrebbe anche soste-nere che la ricostruzione tradizionale semplicemente di parte, e tale da riflettere gli interessi di coloro che la inventarono. Co-me ha detto Alan Costali (2004, 2006), concepire la storia inizia-le della psicologia come introspezionista fu un'invenzione di John Watson, il quale si proponeva di imporre l'agenda della psicologia comportamentista. Tuttavia, lo psicologo che Watson pi spesso associa all'introspezione, Wilhelm Wundt, espresse cos la sua sfiducia nell'introspezione: "Il metodo introspettivo si basa o su osservazioni arbitrarie che sviano, oppure su una sorta di ritirata in una staQ.za isolata, dove finisce per perdersi a rimirar se stesso. L'inaffidabilit di questo metodo universal-mente riconosciuta" (Wundt, 1900, p. 180). Inoltre, sebbene i cognitivisti avessero dichiarato di stare compiendo una rivolu-zione in psicologia, come sottolinea Costall (2004, p. 1) "il co-gnitivismo sostanzialmente una continuazione del genere del

    5

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    comportamentismo meccanicista che esso dichiarava di aver scardinato".

    La ricostruzione, dunque, pi complessa di quel che suggeri-scono le narrazioni tradizionali. La "rivoluzione cognitiva", l' e-mergere delle scienze cognitive dopo il 1950, e la filosofia analiti-_ ca della mente della met del secolo furono entrambe influenzate dal pensiero comportamentista. Gilbert Ryle, per esempio, scrisse nel suo libro Il concetto di mente che quel che chiamiamo mente semplicemente un insieme di "attivit intelligenti manifeste" (1949, p. 58) e ammette l'importanza del comportamentismo per questo tipo di punto di vista (1949, p. 328).4 In contrasto, si pensa spesso che la fenomenologia fosse principalmente un'impresa in-trospezionista. Come mostreremo nel prosieguo (si veda capitolo 2), anche questo un fraintendimento. Ma, relativamente alla comprensione del rapporto tra fenomenologia e filosofia della mente, sicuramente vero che i filosofi analitici della mente pen-savano che la fenomenologia fosse introspezionista e dal loro punto di vista l'introspezione, in quanto metodo per comprende-re la mente, era morta.

    Mettendo per ora da parte la questione dell'introspezione, un altro modo per caratterizzare la differenza tra la filosofia analitica della mente contemporanea dominante e la fenomenologia quello di notare che mentre la maggior parte dei filosofi analitici oggi adotta una qualche forma di naturalismo, i fenomenologi hanno invece tendenzialmente adottato un approccio non natu-ralistico, o addirittura antinaturalistico. Le cose, tuttavia, sono in qualche modo complicate dal fatto che il naturalismo non affat-to un termine privo di ambiguit. Discuteremo questo punto pi dettagliatamente nel capitolo 2. Per il momento sufficiente sot-tolineare che la scienza tende a adottare una posizione naturali-sta, cosicch quando alla fine la rivoluzione cognitiva ebbe luogo, cio quando la psicologia cominci a subire l'influenza delle teo-rie computazionali della mente negli anni Cinquanta e Sessanta, e quando lo studio interdisciplinare della mente noto come scienze cognitive cominci a emergere, l'approccio filosofico pi in sin-tonia con la scienza parve essere la filosofia analitica della mente. Per di pi, quando il modello dominante divenne quello compu-

    4. Ryle era davvero un comportamentista? No. Vedi Dennett (2000).

    6

  • INTRODUZIONE

    tazionale, i filosofi della mente ebbero davvero un gran lavoro da fare, giacch la logica e l'analisi logica svolgono un ruolo essen-ziale nel modello computazionale. Ma pi significativo, tuttavia, il fatto che la :filosofia della mente offr alle scienze della mente emergenti un apporto decisivo in termini di fondamenti teorici e analisi concettuali. La definizione :filosofica di funzionalismo, per esempio, gioca un ruolo importante nell'esplicazione del modello computazionale, cos che esso diventa poi applicabile sia all'intel-ligenza naturale sia a quella artificiale.

    All'interno dell'organigramma delle discipline cognitive, la fe-nomenologia, definita come approccio :filosofico specifico, fu mes-sa da parte e generalmente ritenuta irrilevante. Per molto tempo l'unica voce a insistere sulla sua rilevanza rispetto ai problemi trat-tati nei campi dell'intelligenza artificiale e delle scienze cognitive stato Hubert Dreyfus (1967, 1972, 1992). Ma questa situazione recentemente mutata ed tale mutamento che motiva questo li-bro. Il computazionalismo non altrettanto dominante di quanto lo sia stato nei primi trent'anni delle scienze cognitive. Tre svilup-pi lo hanno detronizzato: il primo un rinato interesse per la co-scienza fenomenica. Nei tardi anni Ottanta (vedi, per esempio, Marcel, Bisiach, 1988), psicologi e :filosofi cominciarono a parlare di coscienza nel contesto delle scienze cognitive. Negli anni No-vanta, inizi un ampio dibattito attorno al "problema difficile" della coscienza, condotto da David Chalmers (1995), sulla scorta di importanti scritti, tra gli altri, di Thomas Nagel (1974) Searle (1992), Daniel Dennett (1991) e Owen Flanagan (1992). Quando sorsero questioni metodologiche sul modo in cui studiare la di-mensione esperienziale in termini scientifici, cio senza ricorrere all'introspezionismo vecchia maniera, si cominci a ridiscutere in-torno alla fenomenologia. In altre parole, nel momento in cui il problema della coscienza fu sollevato come problema scientifico, in alcuni circoli si pens che la fenomenologia come approccio fi-losofico potesse avere una sua importanza.

    Il secondo sviluppo ad avere motivato una -r-iconsiderazione della fenomenologia come approccio :filosofico-scientifico stato l'avvento degli approcci "incarnati" alla cognizione. Nelle scien-ze cognitive, la nozione di cognizione incarnata prese forza negli anni Novanta, e continua tutt'oggi. Scienziati e filosofi come Francisco Varela, E van Thompson ed Eleonor Rosch (1991 ), An-

    7

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    tonio Damasio (1994) e Andy Clark (1997) mossero obiezioni al forte dualismo cartesiano mente-corpo che, nonostante i grandi sforzi compiuti da filosofi come Ryle, Dennett e altri, continuava ad affliggere le scienze cognitive. Il funzionalismo ci aveva porta-to a credere che la cognizione potesse essere istanziata in un pro- -gramma computazionale disincarnato, in un "cervello in una va-sca", e che il fatto di essere incarnata non aggiungesse nulla alla mente. Varela, Thompson, Rosch, cos come Clark e altri, si rivol-sero alle intuizioni del fenomenologo francese Merleau-Ponty (1962) per trovare un modo di sviluppare le loro obiezioni alla cognizione disincarnata. Vedremo che, infatti, Merleau-Ponty of-fre uno degli esempi migliori del modo in cui la fenomenologia pu svolgere un ruolo significativo nelle scienze cognitive.

    Un terzo sviluppo che ha reso gli approcci fenomenologici alla cognizione rilevanti per la scienza sperimentale stato lo straordi-nario progresso delle neuroscienze. Negli ultimi vent'anni, siamo stati in grado di apprendere una quantit stupefacente di infor-mazioni su come funziona il cervello. Le tecniche di brain imaging (fMRI, PET) hanno prodotto nuovi paradigmi sperimentali. La scienza del brain imaging complessa e certamente non consiste nel semplice acquisire istantanee di quel che succede dentro la te-sta. Ma la produzione di immagini dei processi neurali attraverso tecniche non invasive ha reso possibile una serie di esperimenti che dipendono dai resoconti sull'esperienza dei soggetti speri-mentali. Al fine sia di progettare adeguatamente gli esperimenti sia di interpretarne i risultati, gli sperimentatori vogliono spesso sapere come l'esperienza si presenta al soggetto. Di nuovo, il pro-blema della metodologia richiede una qualche considerazione dei modi soggettivi di descrivere l'esperienza cosciente, ed ecco che la fenomenologia offre proprio un tale metodo.

    Sembra chiaro, quindi, che i tempi sono maturi per una spie-gazione accurata del modo in cui la filosofia e il metodo fenome-nologico possono dare un contributo alle scienze cognitive. Il presente volume un tentativo in tal senso. Quel che distingue, dunque, il territorio coperto da questo lavoro, rispetto ad altri manuali di filosofia della mente, che esso sviluppa un approccio fenomenologico alla filosofia della mente. L'idea, comunque, non quella di rimuovere la filosofia della mente, o di disfarsene. In-fatti, parte di ci che vogliamo esplorare il modo in cui la feno-

  • INTRODUZIONE

    menologia pu tornare a comunicare con gli approcci analitici al di l delle banalizzazioni. Secondo noi, il pi entusiasmante svi-luppo degli ultimi anni stato l'accrescersi dell'interesse per la scienza sperimentale sia da parte dei filosofi analitici della mente sia da parte dei fenomenologi. Se, per una serie di ragioni stori-che e concettuali, la filosofia analitica e la fenomenologia si sono ignorate vicendevolmente per un certo periodo, un florido setto-re di ricerca come quello sulla coscienza certamente un'area do-ve la comunicazione ripresa.

    CHE COS' LA FENOMENOLOGIA?

    La fenomenologia, intesa come approccio filosofico che ha avuto origine con Edmund Husserl nei primi anni del xx secolo, ha una storia complessa. In parte essa sta alla base di ci che oggi conosciamo come filosofia continentale, dove "continentale" si riferisce al continente europeo, a dispetto del fatto che molta filo-sofia continentale dal 1960 stata prodotta in America. Sotto questa denominazione si annoverano diversi approcci filosofici, alcuni che si rifanno alle intuizioni della fenomenologia, come l'esistenzialismo e l'ermeneutica (la teoria dell'interpretazione), e altri che reagiscono criticamente alla fenomenologia, comprese certe idee poststrutturaliste o postmoderne. C' comunque una linea di pensatori filosofici maggiori, tra cui figurano Heidegger, Sartre e Merleau-Ponty, che ampliano la filosofia fenomenologica rispetto alla sua origine husserliana. Il fatto che seguiamo questa tradizione dimostra che concepiamo la fenomenologia come un insieme di approcci tra loro in qualche modo diversificati. Al fine di fornire un'idea di base di fenomenologia, comunque, ci con-centreremo su ci che questi approcci hanno in comune. Pi avanti, nel corso dei capitoli, avremo l'opportunit di esplorare idee di singoli fenomenologi.

    La maggior parte dei manuali di filosofia della mente e di scien-ze cognitive avvia o inquadra l'intera discussione attraverso de-scrizioni di differenti posizioni metafisiche: dualismo, materiali-smo, teoria dell'identit, funzionalismo, eliminativismo, e cosi via (si veda, per esempio, Braddon-Mitchell, Jackson, 2006; Chal-mers, 2002; Heil, 2004; Kim, 2005). Prima ancora di sapere per

    9

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    certo di cosa stiamo parlando, sembra che ci dobbiamo impegna-re metafisicamente e che dobbiamo dichiarare di parteggiare per l'una o l'altra di queste posizioni. La fenomenologia mette da una parte questo tipo di problemi, li mette tra parentesi, fuori gioco, e ci chiede invece di prestare attenzione al fenomeno che oggetto di indagine. Una delle idee che sottendono la fenomenologia che la preoccupazione per tali questioni metafisiche tenda a dege-nerare in discussioni altamente tecniche e astratte che perdono contatto con l'oggetto reale: l'esperienza. Non un caso che il motto di Edmund Husserl per la fenomenologia fosse "tornare alle cose stesse!" (Husserl, 1900-1901, vol.1, p. 267), intendendo con ci che la fenomenologia dovrebbe basare le sue considera-zioni sul modo in cui le cose sono esperite, piuttosto che filtrarle attraverso preoccupazioni estranee, che potrebbero semplice-mente oscurare e distorcere ci che deve essere compreso. Un'im-portante preoccupazione della filosofia della mente e delle scien-ze cognitive dovrebbe essere quella di fornire una descrizione dell'esperienza che sia fenomenologicamente sensibile ai diversi modi in cui essa si struttura.

    Ma qual l'oggetto di indagine? Non dovremmo sapere se stiamo studiando la mente, o il cervello, qualcosa di materiale o di immateriale? La coscienza generata da processi cerebrali specifici oppure no? Come pu il fenomenologo accantonare queste domande e sperare di fare qualche progresso? Oppure, qualcuno potrebbe obiettare, "Come pu il fenomenologo nega-re che il cervello causi la coscienza?". La risposta giusta che ife-nomenologi non lo negano affatto; n lo a/fermano. Essi sospen-dono questo genere di domande e ogni giudizio su di esse. Co-minciano dall'esperienza.

    Prendiamo come esempio la percezione. Quando guardo fuo-ri dalla finestra e vedo la mia auto parcheggiata nella strada, sto avendo una percezione visiva. Uno psicologo sperimentale vorr fornire una spiegazione causale di come funziona la percezione, magari in termini di processi retinici, di attivazione neurale nella corteccia visiva e di aree di associazione nel cervello che mi con-sentono di riconoscere l'auto come la mia. Egli potrebbe elabora-re una spiegazione funzionalista che chiarisca il tipo di meccani-smi che sono all'opera o quale tipo di informazione (colore, for-ma, distanza ecc.) deve essere processata affinch io abbia la per-

    10

  • INTRODUZIONE

    cezione visiva della mia auto. Queste sono spiegazioni che im-portante che la scienza fornisca. Il fenomenologo, invece, ha un compito differente. Egli partir dall'esperienza stessa e, attraver-so un'accurata descrizione di quell'esperienza, tenter di dire co-me appare l'esperienza percettiva, quale sia la differenza tra per-cezione e, per esempio, un frammento di immaginazione o ricor-do, e in che modo tale percezione sia strutturata cos da fornirci un'esperienza del mondo dotata di significato. Senza negare che i processi cerebrali contribuiscano causalmente alla percezione, tali processi semplicemente non sono parte dell'esperienza del percipiente.

    Naturalmente c' una relazione tra ci che fa il fenomenologo e ci che lo psicologo fa. Evidentemente, essi cercano di offrire una spiegazione della medesima esperienza, ma adottano approc-ci differenti, pongono domande diverse e cercano generi differen-ti di risposte. A misura che la fenomenologia sta dalla parte del-1' esperienza, si dice che adotta una prospettiva in prima persona; il che significa che il fenomenologo impegnato a comprendere la percezione nei termini del significato che essa ha per il soggetto. La mia esperienza percettiva di vedere la mia auto in strada, per esempio, non dice nulla sui processi che stanno avvenendo nel mio cervello. Lo scienziato cognitivo tipico, invece, adotta un ap-proccio in terza persona, cio un approccio che parte dalla pro-spettiva dello scienziato come osservatore esterno piuttosto che dalla prospettiva del soggetto d'esperienza. Egli tenta di spiegare la percezione nei termini di qualcosa di diverso dall'esperienza, per esempio di certi processi oggettivi (e di solito subpersonali) come i processi cerebrali o i meccanismi funzionali.

    Si potrebbe pensare che non vi sia granch da dire sull' espe-rienza stessa. Semplicemente, si esperisce nel modo in cui si espe-risce. Il fenomenologo ha invece parecchio da dire. Per esempio, egli nota che la mia esperienza visiva dell'auto ha una certa strut-tura che caratterizza tutti gli atti coscienti, cio una struttura in-tenzionale. L'intenzionalit una caratteristica costante della co-scienza e, come dice il fenomenologo, ci significa che tutta la co-scienza (tutte le percezioni, memorie, immaginazioni, giudizi ecc.) su o di qualcosa. In questo senso, l'esperienza non mai un processo isolato o elementare. Coinvolge sempre un riferimento al mondo, dove il termine "mondo" va inteso con un significato

    11

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    molto ampio, cos da comprendere non solo l'ambiente fisico, ma . anche il mondo sociale e culturale, il quale pu a sua volta com-prendere cose che non esistono in senso fisico (per esempio, Am-leto, il principe di Danimarca). L'analisi fenomenologica dell'in-tenzionalit ci fa vedere parecchie cose. Per esempio, l'intenzio- 1 nalit della percezione ricca di dettagli nel senso che quando ve-do un oggetto particolare per la strada, lo vedo come la mia auto. La percezione non la semplice ricezione di informazioni; piutto- . sto, comprende un'interpretazione, che spesso cambia in relazio-. ne al contesto. Vedere la mia auto come la mia auto indica gi che la percezione informata da esperienze precedenti, e almeno in questo senso Locke e gli empiristi avevano ragione a dire che la percezione plasmata dall'esperienza. Si potrebbe pensare a essa come percezione arricchita dall'esperienza e dal modo in cui abi-tualmente, per consuetudine, si esperiscono le cose, piuttosto che come se si trattasse di un episodio esperienziale a cui successiva-mente si aggiunga il pensiero. Non che percepisco x e poi vi ag-giungo qualcosa di piuttosto differente, e nuovo, ovvero il pensie-ro che questa la mia auto. La percezione gi dotata di questo signilicato, e pu essere resa persino pi ricca dalle circostanze e dalle possibilit della mia esistenza corporea. Il fenomenologo di-rebbe che l'esperienza percettiva inserita in contesti che sono pragmatici, sociali e culturali, e che la gran parte del lavoro se-mantico (la formazione del contenuto percettivo) resa possibile dagli oggetti, dalla loro disposizione e dagli eventi in cui mi im-batto. In una particolare circostanza potr vedere l'oggetto come un veicolo dotato di valore pratico che posso usare per portarmi nel luogo in cui sto andando. In un'altra circostanza potr vedere lo stesso identico oggetto come qualcosa che devo pulire, o come qualcosa che devo vendere, o come qualcosa che non funziona adeguatamente. Il modo in cui vedo la mia auto dipender da un certo sfondo contestuale, che pu a sua volta essere esplorato fe-nomenologicamente. Imbattersi nella mia auto come qualcosa da guidare imbattersi in essa come qualcosa su cui posso salire, co-me qualcosa di situato in uno spazio che consente il genere di lo-comozione per la quale le auto sono costruite. La mia esperienza percettiva sar di conseguenza informata dalle capacit e abilit fisiche che possiedo. Si soliti dire che la percezione ha un conte-nuto rappresentazionale o concettuale. Ma questo modo di espri-

    12

  • INTRODUZIONE

    mersi non riesce forse a restituire del tutto la natura situata del-1' esperienza percettiva. Invece di dire che mi rappresento l'auto come tale da poter essere guidata, meglio dire che lauto tale da poter essere guidata e che io la percepisco come tale, data la sua progettazione, la forma del mio corpo e le sue possibilit di azione, nonch lo stato dell'ambiente.

    La struttura intenzionale della percezione comporta che si possa esplorare fenomenologicamente anche la spazialit. La po-sizione del mio corpo pone limiti precisi a quel che posso e non posso vedere. Dal punto in cui mi trovo rispetto all'automobile, posso vedere il lato del conducente. Essa mi appare da quell' an-golazione e in maniera tale che quel che effettivamente vedo ne occlude altri aspetti o angolazioni. Non riesco a vedere affatto il lato del passeggero dell'auto, giacch non si trova nel mio campo visivo. Nondimeno, vedo l'auto come avente un altro lato e sarei estremamente sorpreso se girandovi attorno mi accorgessi che manca il lato del passeggero. La sorpresa che proverei indica che ho alcune tcite aspettative circa cosa comporter la mia azione possibile nell'immediato futuro: sono sorpreso perch la mia aspettativa stata delusa. Questa struttura temporale della nostra esperienza stata descritta assai dettagliatamente dai fenomeno-logi ed una delle caratteristiche che torner ripetutamente nei capitoli che seguono.

    In qualsiasi percezione di un oggetto fisico, la mia percezione sempre incompleta rispetto all'oggetto: non vedo mai un ogget-to completo tutto in una volta. Chiameremo questo fenomeno "incompletezza prospettica". C' sempre qualcosa di pi da ve-dere e che resta implicito, persino nella percezione dell'oggetto pi semplice. Se mi muovo attorno a un albero al fine di ottener-ne un'immagine pi esaustiva, le differenti angolazioni dell' albe-ro, quella frontale, i lati, il retro non si presentano come fram-menti scollegati, ma sono percepiti come istanti sinteticamente integrati. Tale processo sintetico ancora una volta di natura temporale.

    Fenomenologicamente, posso anche scoprire certe caratteri-stiche gestaltiche della percezione. La percezione visiva si presen-ta con una struttura caratteristica, tale che, normalmente, si met-te sempre a fuoco qualcosa, sfuocando il resto. Metto a fuoco al-cuni oggetti, mentre altri sono sullo sfondo, o sull'orizzonte, o al-

    13

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    la periferia. Posso spostare il fuoco e far avanzare qualcos'altro in primo piano, ma solo al prezzo di sfuocare e mettere ali' orizzonte il primo oggetto che ho osservato.

    Si noti che in questo tipo di descrizioni il fenomenologo si oc-cupa di particolari strutture esperienziali della percezione, e pre-cisamente del modo in cui esse stanno in relazione con il mondo nel quale l'individuo che percepisce situato. In altre parole, per-sino quando osserva I' esperienza, il fenomenologo non si rinchiu-de in un'esperienza puramente soggettiva, separata dal mondo: studia la percezione non come un fenomeno puramente soggetti~ vo, ma per come vissuta da un percipiente che nel mondo, e che anche un agente incarnato con motivazioni e scopi.

    In aggiunta a questo tipo di analisi intenzionale del modo in cui esperiamo il mondo, cio del modo in cui ci appare il mondo, il fenomenologo pu anche indagare lo stato fenomenico dell'in-dividuo che percepisce. Talvolta nei testi di filosofia della mente ci si riferisce a questo aspetto come alle caratteristiche qualitative o fenomeniche dell'esperienza o, secondo un'espressione collo-quiale resa famosa da Nagel (1974), all"'effetto che fa" esperire qualcosa. Le caratteristiche fenomeniche dell'esperienza non so-no disgiunte dalle caratteristiche intenzionali. L'effetto che fa sta-re ad ammirare la mia auto nuova ovviamente assai diverso dal-1' effetto che fa vederla mentre viene ammaccata da un'altra auto.

    Abbiamo brevemente identificato alcuni aspetti o strutture costanti della percezione: la sua intenzionalit, il suo carattere ge-staltico, la sua incompletezza prospettica, il suo carattere feno-menico e temporale. Ci sar da dire di pi sulla temporalit (capi-tolo 4), sulla percezione (capitolo 5), sull'intenzionalit (capitolo 6), e sulla fenomenicit (capitolo .3). Si noti, per, che quel che abbiamo riassunto qui costituisce una descrizione dell'esperien-za, o pi precisamente una descrizione delle strutture dell' espe-rienza, e che, esattamente come i fenomenologi, non abbiamo fatto nemmeno una volta menzione dei cervelli che stanno dietro a questa esperienza: non abbiamo provato a dare spiegazioni in termini di quei meccanismi neurali che sarebbero la causa del no-stro percepire lauto nel modo in cui la percepiamo. In questo modo, perci, una descrizione fenomenologica della percezione qualcosa di assai diverso da una spiegazione psicofisica o neuro-scientifica. La fenomenologia mira a conseguire una comprensio-

    14

  • INTRODUZIONE

    ne e una descrizione adeguata della struttura esperienziale della nostra vita mentale/corporea; essa non tenta di sviluppare una spiegazione naturalistica della coscienza, n cerca di svelare la sua origine biologica, la sua base neurale, la sua motivazione psicolo-gica, o cose del genere.

    Questo tipo di descrizione fenomenologica in armonia con la concezione originaria di Husserl della fenomenologia, secondo cui la fenomenologia non interessata a un'analisi della costitu-zione psicofisica dell'essere umano, n a un'indagine empirica della coscienza, bens alla comprensione di ci che intrinseca-mente e in linea di principio caratterizza percezione, giudizi, sen-timenti ecc.

    Nondimeno, ed un punto importante per i nostri scopi, tale descrizione fenomenologica non irrilevante per una senza del-la percezione. Oggi pi che mai ci si rende conto che non faremo molta strada nel tentativo di spiegare scientificamente la relazio-ne tra la coscienza e il cervello senza una concezione chiara di co-sa stiamo cercando di mettere in relazione. In altri termini, qual-siasi valutazione della possibilit di ridurre la coscienza a struttu-re neurali e qualsiasi tentativo di stabilire se la naturalizzazione della coscienza sia possibile richiederanno un'analisi e una de-scrizione dettagliata degli aspetti esperienziali della coscienza. Come Nagel ha osservato una volta, un requisito necessario per qualsiasi riduzionismo coerente che l'entit da ridurre sia ade-guatamente compresa (1974, p. 173 ). Senza necessariamente spo-sare una strategia riduzionista, chiaro che se, in modo metodi-co, perseguiamo un'analisi fenomenologica che esplori con preci-sione gli aspetti intenzionali, spaziali, temporali e fenomenici del-1' esperienza, finiremo per avere appunto una descrizione di ci che gli psicologi e i neuroscienziati tentano di spiegare quando si appellano a modelli neurali, di elaborazione dell'informazione o dinamici. Infatti, il fenomenologo sosterrebbe che questo tipo di analisi metodicamente controllata fornisce allo scienziato un mo-dello della percezione con cui lavorare che risulta pi adeguato rispetto a quel che accadrebbe se egli semplicemente iniziasse con un approccio di senso comune.

    Si confrontino due scenari. Nel primo scenario, immaginiamo di essere scienziati interessati a spiegare la percezione, ma di non disporre di alcuna descrizione fenomenologica dell'esperienza

    15

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    percettiva. In che modo cominceremo a sviluppare la nostra spie.: gazione? Da qualche parte dovremmo pure iniziare. Magari inie zieremmo da una teoria della percezione gi esistente, e comince-remmo con il testare le varie predizioni fatte da questa teoria. Questo il modo in cui assai frequentemente si fa scienza. Po-tremmo chiederci da dove viene questa teoria precedentemente esistente, e potremo accorgerci che in parte essa era basata su cer-te osservazioni o assunzioni circa la percezione. Potremmo met-tere in dubbio queste osservazioni o assunzioni e, basandoci sul modo in cui riteniamo che la percezione funzioni, formulare con-troargomenti o ipotesi alternative da sottoporre a controlli. Que-sto modo di procedere sembra alla cieca, sebbene sia proprio cos che la scienza spesso avanza. Nel secondo scenario, abbiamo una descrizione fenomenologica ben articolata dell'esperienza per, cettiva come intenzionale, spaziale, temporale e fenomenica. Se-condo noi, cominciando da questa descrizione, abbiamo gi ab-bondantemente un'idea di quel che dobbiamo spiegare. Se sap-piamo che l'esperienza sempre prospetticamente incompleta e che tuttavia percepiamo gli oggetti come aventi un volume, oltre che come aventi altri lati che non possiamo vedere in quel dato istante, allora sappiamo quel che dobbiamo spiegare e disponia-mo di indizi validi su come progettare gli esperimenti per arrivare proprio a questa caratteristica della percezione. Se la descrizione fenomenologica sistematica e dettagliata, allora cominciare da una descrizione cos ricca di dettagli sembra un modo assai meno azzardato di procedere. Dunque, la fenomenologia e la scienza possono, s, mirare a spiegazioni di tipo diverso, ma appare anche chiaro che la fenomenologia pu essere rilevante e utile per il la-voro scientifico.

    Oggi, il termine "fenomenologia" sempre pi usato dai filo-sofi della mente e dagli scienziati cognitivi per designare una de-scrizione in prima persona dell'"effetto che fa" l'esperienza. Nel prossimo capitolo, mostreremo perch questo uso non metodico del termine come equivalente di introspezione sia fuorviante e che moltissimo dipende invece dalla natura metodologica della fenomenologia.

    Come abbiamo indicato, numerosi manuali di filosofia della mente cominciano passando in rassegna varie teorie sulla mente: dualismo, teoria dell'identit, funzionalismo ecc. Inoltre, pu

    16

  • INTRODUZIONE

    darsi che psicologia e scienze cognitive abbiano gi assimilato specifiche teorie della mente. La fenomenologia, invece, non co-mincia con una teoria, o con l'esame di teorie della mente, bens cerca di essere critica e non dogmatica, evitando per quanto pos-sibile i pregiudizi metafisici e teorici. Cerca di lasciarsi guidare da ci che effettivamente esperito, piuttosto che da quel che ci aspettiamo di trovare, dati i nostri impegni teorici. Ci chiede di non lasciare che le nostre preconcezioni teoriche diano forma alla nostra esperienza e, viceversa, di lasciare che la nostra esperienza dia forma e guidi le nostre teorie. Ma come non si oppone alla scienza (sebbene il suo compito sia in qualche modo diverso da quello della scienza empirica}, la fenomenologia non si oppone neppure alla teoria. Sarebbe una semplificazione eccessiva quella di considerare la fenomenologia come un insieme di metodi per la descrizione pura dell'esperienza. Usando tali metodi, nondi-meno, i fenomenologi arrivano a certe intuizioni sull'esperienza, e sono anche interessati a usare queste intuizioni per sviluppare teorie della percezione, dell'intenzionalit, della fenomenicit ecc. La pretesa complessiva di questo libro che tali resoconti teorici e le descrizioni elaborate su base fenomenologica possano avere un ruolo complementare nel dare forma al lavoro in corso nelle scienze cognitive. Di fatto, pensiamo che essi ne siano capa-ci in una maniera assai pi produttiva di quanto non lo siano le discussioni metafisiche tradizionali, per esempio quelle del pro-blema mente-corpo, che troviamo nella filosofia della mente oggi dominante.

    PROSPETI'O DEL LIBRO

    Diversamente da molti manuali di filosofia della mente e delle scienze cognitive non inizieremo con un corpo a corpo con le va-rie posizioni metafisiche e, anche se certamente familiarizzeremo con queste diverse posizioni nei prossimi capitoli, l'impostazione di questo libro sar quella di cominciare con il guardare da vicino l'esperienza e la pratica scientifica.

    Nel capitolo 2 prendiamo in esame certi problemi metodolo-gici che sono direttamente rilevanti per la pratica della scienza sperimentale. Ci proponiamo di indagare quel che realmente ac-

    17

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    cade nel laboratorio, durante l'esperimento, e come gli scien~iati procedono quando studiano la mente. Se l'esperienza entra far parte di ci che psicologi e neuroscienziati vogliono studiare, che tipo di accesso hanno a essa? Ci proponiamo anche di fornire un'illustrazione chiara dei metodi fenomenologici, cosa che hanno spesso chiesto di fare gli scienziati che sono interessati a usare gli approcci fenomenologici, ma che non hanno le idee chiare circa il modo in cui i metodi fenomenologici debbano fun-zionare. Questo capitolo, ovviamente, non assolutamente indi-spensabile per capire il resto del libro, ma tratta di alcuni temi che hanno sia un rilievo pratico sia un rilievo sostanziale per com-prendere che cos' l'approccio fenomenologico.

    Nel capitolo 3 discutiamo concetti differenti di coscienza. Nella filosofia analitica della mente contemporanea sta avanzan-do un importante dibattito sulle teorie della coscienza di livello superiore e intendiamo ripercorrere quel dibattito e proporre un modo alternativo di affrontare il problema della coscienza. Tale dibattito coinvolge domande affascinanti su temi che spaziano dalla comune esperienza di guidare un'auto a certi risultati speri-mentali sulla percezione non cosciente, a casi bizzarri di patolo-gia, come la visione cieca.

    Nel capitolo 4 esploriamo uno degli aspetti pi importanti, ma . anche pi negletti, della coscienza e della cognizione, cos come. dell'azione: la temporalit dell'esperienza. Willfam J ames aveva metaforicamente descritto la coscienza come avente la struttura di un flusso. Sostenne in aggiunta che l'istante presente dell' espe-rienza ha sempre una struttura temporale tripartita, cos da com-prendere un riferimento al passato e uno al futuro. Usando un'espressione di Clay, egli lo chiam un "presente specioso". Per i fenomenologi, questo tema tocca la struttura fondazionale stessa dell'esperienza.

    Nel capitolo 5 entriamo pi a fondo nel merito della percezio-ne. Le spiegazioni contemporanee della percezione comprendo-no un certo numero di approcci non tradizionali, non cartesiani, che enfatizzano gli aspetti corporei ed enattivi della percezione, ovvero il fatto che la percezione, e pi in generale la cognizione, hanno una collocazione in senso sia fisico sia sociale che piena di conseguenze. Cercheremo di distinguere questi approcci al fi-ne di appurare su quali temi essi sono in accordo e su quali in di-

    18

  • INTRODUZIONE

    saccardo. Questo ci porter a prendere in considerazione il di-battito tra concezioni della mente non rappresentazionaliste e concezioni rappresentazionaliste.

    Il capitolo 6 tratta di uno dei concetti pi importanti per la comprensione di cosa si intenda quando si dice che la mente nel mondo: l'intenzionalit. L'idea che l'esperienza, sia essa perce-zione, memoria, immaginazione, giudizio, credenza ecc., sem-pre diretta verso qualche oggetto. L'intenzionalit si riflette nella stessa struttura della coscienza e comprende le nozioni di atto mentale e contenuto mentale. Quello di intenzionalit un con-cetto che ha anche una rilevanza diretta per il dibattito contem-poraneo tra esternalismo e internalismo.

    Il capitolo 7 prende in esame la questione della corporeit. Esaminiamo qui le distinzioni fenomenologiche classiche tra il corpo vissuto (Leib) e il corpo-oggetto (Korper). Accanto a que-ste, ci proponiamo anche di mostrare in che modo la biologia e la stessa forma del corpo contribuiscano all'esperienza cognitiva. Vedremo in che modo lo spazio incorporato plasmi la nostra esperienza e discuteremo casi di arti fantasma, negligenza emila-terale e deafferentazione. Elaboreremo anche alcune delle impli-cazioni che tutto questo ha per la progettazione di corpi robotici.

    Il capitolo 8 mostra che una spiegazione scientifica adeguata dell'azione umana dipende da certe distinzioni fenomenologiche tra il senso di agenzia (sense o/ agency) e il senso di propriet (sen-se of ownership) dei movimenti corporei. Sosterremo, per, che l'azione umana non possa essere ridotta ai movimenti corporei e che certi esperimenti scientifici diventano fuorvianti quando l' at-tenzione dello studioso sia semplicemente ristretta a tali movi-menti corporei. Anche qui, ci sono svariati casi patologici, tra cui i deliri schizofrenici di controllo, che ci aiuteranno a comprende-re l'azione n~n patologica.

    Il capitolo 9 si occupa del problema della comprensione delle altre menti. Esploreremo alcune spiegazioni contemporanee ela-borate in termini di "teorie della mente" (la "teoria teoria" e la "teoria della simulazione") e introduciamo un'alternativa basata sulla fenomenologia che in accordo con la recente ricerca in psi-cologia dello sviluppo e con le neuroscienze.

    Nel capitolo 10 tocchiamo una questione che ha acquistato in-teresse nelle scienze cognitive: il problema del s. Sebbene que-

    19

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    sto problema sia stato per lungo tempo indagato dai filosof,,neu~ roscienziati e psicologi hanno recentemente rivisitato il tem. Ve-dremo che vi sono pressoch tanti concetti del s quante sono le teorie che li esaminano. Se vogliamo fare qualche progresso su questo tema, dovremo concentrarci sul senso preriflessivo fonda-, mentale di unit attraverso i mutamenti temporali che implicito nell'esperienza normale. Esamineremo in che modo questo senso preriflessivo di s possa frantumarsi nei casi di schizofrenia e il -ruolo che esso gioca nello sviluppo di un senso di s pi riflessivo, espresso attraverso il linguaggio, attraverso le pratiche narrative e nei contesti culturali.

    20

  • 2

    METODOLOGIE

    Ammettiamolo sin dall'inizio: le discussioni metodologiche sono soporifere, tendono a spedirci a letto. La maggior parte di noi preferisce liberarsene in fretta, per poi passare agli argomen-ti, alle "cose stesse", agli esperimenti e cos via. Ebbene, in questo capitolo non vi offriremo un noioso riassunto dei dettagli del me-todo, n forniremo un insieme di regole, bens vogliamo tuffarci direttamente nel cuore del dibattito che sta infuocando le scienze cognitive, dove qualcuno viene accusato di essere un introspezio-nista, un etero/enomenologo, un neurofenomenologo o, peggio ancora, semplicemente un fenomenologo. Recentemente, si assi-stito all'acuirsi delle confusioni terminologiche, cio a un feno-meno crescente di trasformazioni dei significati delle parole. Per esempio, un teorico escogita un termine straordinariamente ap-propriato per qualcosa e subito dopo si viene a sapere che altri teorici usano quel termine per riferirsi a un fenomeno molto di-verso. 1 Il compito che ci proponiamo in questo capitolo, quindi, quello di fare ordine tra queste diverse posizioni.

    Ci detto, sappiamo che spesso i lettori si accostano a un li-bro come questo con interessi e scopi vari. Da una parte, se siete principalmente interessati ai problemi in quanto tali, potete sal-tare la questione metodologica di come esattamente si proceda

    1. Il termine "neurofenomencilogia", per esempio, stato originariamente defi-nito da Francisco Varela (1996) per indicare un approccio alla neuroscienza della coscienza che incorpora la metodologia fenomenologica tracciata dalla tradizione husserliana. In anni recenti, comunque, il termine stato usato in un senso molto meno ristretto, per indicare genericamente il richiamo ai dati in prima persona combinati con i dati della neuroscienza. Vedi, per esempio, Metzinger (2003).

    21

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    a indagare la mente. Vi invitiamo ad andare al capitolo 3, vito che nel presente capitolo non c' nulla che sia essenziale 'alla comprensione del resto. Potete poi, magari, tornare a questo ca-pitolo pi avanti, quando le questioni di metodo vi sembreran-no pi importanti. D'altra parte, se non siete ancora sicuri .di che cos' la fenomenologia, o di come funziona, potreste legge-re la sezione "Il metodo fenomenologico", che sta pi avanti in questo capitolo. Oppure, se avete gi familiarit con la fenome" nologia e volete assolutamente sapere come viene applicata nel-le scienze empiriche, potete saltare la sezione sul metodo feno-menologico e andare direttamente alla sezione "Naturalizzare la fenomenologia".

    Pu essere d'aiuto iniziare con il sottolineare che nei dibattiti filosofici e scientifici sulla cognizione e sulla coscienza si trova spesso una distinzione tra le prospettive in prima e in terza perso-na. Infatti, le definizioni tradizionali e contemporanee del pro-blema mente-corpo, il "problema difficile", o il problema delgap esplicativo, sono state spesso inquadrate per mezzo di questa di-stinzione. Si dice che l'oggettivit scientifica richiede un approc-cio distaccato, in terza persona, rispetto ai fenomeni osservabili, e che per questo abbiamo bisogno di un buon accesso osservativo alle cose che stanno nell'ambiente, tra le quali :figurano i cervelli (un accesso che normalmente, di fatto, abbiamo). La scienza del cervello dipende, insomma, dall'adozione di una prospettiva os-servativa in terza persona. Di contro, anche se abbiamo un acces-so alla nostra esperienza dalla prospettiva in prima persona, alcu-ni :filosofi e scienziati considererebbero quest'ultimo troppo sog-gettivo perch possa generare dati scientifici. Dennett (2001) ha recentemente osservato: "La scienza della coscienza in prima persona una disciplina senza nessun metodo, dati, risultati, fu-turo o promessa. Rimarr una fantasia".

    Se le cose stanno cos, allofiCsembra che siamo di fronte a un problema reale: evidentemente, non pu esserci alcuna scienza della coscienza per s, nel caso in cui: 1) la coscienza intrinseca-mente in prima persona; 2) la scienza accetta solo dati in terza persona; 3) qualsiasi tentativo di spiegare nei termini della terza persona qualcosa che di per s in prima persona distorce o non riesce a cogliere quello che vuole spiegare. Forse, quindi, stata solo una fantasia del XIX secolo e della prima parte del XX quella

    22

  • METODOLOGIE

    di pensare che si potesse basare uno studio scientifico della co-scienza sull'introspezione accurata. Ma osserviamo queste tesi pi da vicino.

    LE CHIMERE DEU..A SCIENZA DELLA COSCIENZA

    I: osservazione introspettiva ci :ru cui dobbiamo basarci prima, durante e dopo. La parola introspezione non ha bisogno di essere de-finita: significa ovviamente guardare dentro le proprie menti e ripor-tare quel che l troviamo. (James, 1950, I, p. 185)

    Domandiamoci per prima cosa qual stato il destino dell'in-trospezione come metodo nelle scienze sperimentali della mente. La visione standard che ce lo siamo lasciato alle spalle nello stesso modo in cui ci siamo lasciati alle spalle il XIX secolo. Come scrisseJohn Watson nel 1913 (p. 158):

    La psicologia per come la vede un comportamentista una bran-ca puramente oggettiva della scienza naturale. Il suo scopo teorico la predizione e il controllo del comportamento. L'introspezione non in alcun modo parte essenziale dei suoi metodi, n il valore scienti-fico dei suoi dati dipende dalla prontezza con cui essi si prestano al-l'interpretazione in termini di coscienza.

    Anche dopo il declino ufficiale del comportamentismo, molti hanno continuato a negare che l'introspezione sia addirittura possibile; e :filosofi come William Lyons (1986) hanno diagnosti-cato l'abbandono completo di questo metodo in psicologia. Ma la situazione , di fatto, meno chiara. In un saggio recente, Price e Aydede (2005), rispettivamente uno psicologo e un :filosofo, so-stengono che l'introspezione continua a essere usata nella scienza sperimentale perch "i resoconti verbali dei soggetti [oppure i comportamenti non verbali come lo schiacciamento dei pulsanti] sui loro stati cognitivi vengono di solito assunti come evidenza per i modelli cognitivi postulati" (2005, p. 245). Per di pi, se-condo due scienziati cognitivi, Jack e Roepstorff (2002): "L'osser-vazione introspettiva non semplicemente una caratteristica per-vasiva delle nostre vite personali. Gli scienziati cognitivi usano questa fonte di evidenza, informando con essa praticamente ogni stadio del loro lavoro" (p. 3 3 3). Pu darsi che J ames si sbagliasse:

    23

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    forse non cos chiaro che cosa intendano con "introspezioqe" persone differenti. A un livello minimo, si potrebbe argomentre che tutti i resoconti forniti dai soggetti, anche se riguardano di-rettamente il mondo, vertono, in un certo senso, indirettamente, sui loro stati cognitivi (mentali, emotivi, esperienziali). Se in un esperimento psicofisico un soggetto viene istruito a premere un pulsante, o a dire "ora" quando vede accendersi una luce, allora il soggetto si sta riferendo alla luce, ma anche alla sua esperienza vi-siva. Anche se si neutralizzasse l'istruzione cos da evitare accura-tamente di menzionare uno stato d'esperienza ("Premi il pulsan-te quando la luce si accende"), l'unico accesso che il soggetto ha al fatto che la luce si accende avviene per mezzo della propria esperienza dell'accendersi della luce. In questo senso, la prospet-tiva in prima persona inerente a tutti gli esperimenti che fanno uso dei resoconti dei soggetti; e questo sembra essere quello che Price e Aydede intendono. Ci significa che simili resoconti sono tutti quanti introspettivi?

    Per esempio, lo sperimentatore pu chiedere al soggetto di di-re "ora" quando vede la luce accendersi. Come fa il soggetto a sa-pere con precisione quand' che vede la luce accendersi? Guarda introspettivamente la sua esperienza alla ricerca del particolare stato visivo del "veder la luce accendersi"? Oppure vede sempli-cemente la luce accendersi e lo riferisce? Ci si potrebbe doman-dare: "Come possibile che riferisca che vede la luce accendersi se non osserva introspettivamente che sta vedendo la luce accen-dersi?". C' una lunga tradizione nella filosofi.a fenomenologica (specificamente quella husserliana) che spiega come questo possa accadere. Siamo consapevoli di cosa esperiamo senza usare l'in-trospezione precisamente perch abbiamo una consapevolezza implicita, non oggettifcante e preriflessiva della nostra esperien-za mentre la viviamo. Nel momento stesso in cui vedo la luce, so-no consapevole di vederla. La consapevolezza in questione non basata sul fatto di volgere riflessivamente o introspettivamente l'attenzione alla nostra esperienza. Piuttosto, essa incorporata nella nostra esperienza come sua parte essenziale ed . precisa-mente questo che definisce la nostra esperienza come esperienza cosciente (per un'argomentazione pi estesa, vedi il capitolo 3). Secondo questo punto di vista, esperisco coscientemente l' accen-dersi della luce proprio quando vedo la luce accendersi. Non de-

    24

  • METODOLOGIE

    vo verificare, attraverso l'introspezione, il fatto che ho appena vi-sto la luce accendersi, poich la mia esperienza fenomenica di li-vello base gi qualcosa di cui sono consapevole nell'atto stesso di esperire.

    L'idea dei "meccanismi di ascesa" (ascent routines) suggerisce in maniera simile che i resoconti sull'esperienza non sono neces-sariamente introspettivi (Evans, 1982). Per esempio, se si chiede a un soggetto: "Credi che p? ",il soggetto non inizia a cercare nel-la sua mente la credenza che p. Piuttosto, egli prende direttamente in considerazione se p o non un fatto del mondo. Ugualmente, rispetto al percepire il mondo, il percipiente non deve guardare introspettivamente alle rappresentazioni percettive nella sua mente; pu dire quel che percepisce semplicemente percependo in maniera conscia il mondo. Se vi fosse chiesto se fuori piove, guardereste fuori della finestra invece che nelle vostre menti.

    In questo senso, non sembra corretto sostenere, come fanno Price e Aydede, che dalla prospettiva in prima persona "le espe-rienze coscienti sembrano accessibili solo attraverso l'introspe-zione" (2005, p. 246) o che "l'introspezione sembra essere il solo metodo disponibile per accedere ai qualia" (ibidem, p. 249). I re-soconti in prima persona di questo tipo non sono introspettivi, se pensiamo all'introspezione come a una faccenda di coscienza ri-flessiva. Essi sono nondimeno resoconti in prima persona, preri-flessivi, atti a esprimere esperienza. Ma, ci si potrebbe chiedere, posso anche riferire che vedo senza usare l'introspezione? Di nuo-vo, se mi viene chiesto "Vedi la luce?", posso certamente rispon-dere "S", senza impiegare la cognizione introspettiva di secon-d'ordine per assumere la mia esperienza come oggetto. Se, di con-tro, la domanda fosse: "Stai provando la luce?", ci motiverebbe in me un atteggiamento riflessivo, probabilmente allo scopo di ac-certare se comprendo l'uso della parola "provare". Eppure persi-no questo atteggiamento riflessivo non costituirebbe cognizione introspettiva, poich la mia attenzione sarebbe diretta alla parola che state usando e alla sua relazione con ci di cui sto facendo esperienza (a cui ho comunque un accesso preriflessivo), piutto-sto che essere diretta alla mia coscienza della parola o ai dettagli della mia coscienza del mondo. Se l'articolazione linguistica della mia esperienza, in questo caso specifico, pu considerarsi un tipo di riflessione, quando esperisco non concentro necessariamente

    25

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    la mia attenzione su cli essa. Piuttosto, mi sto concentrando sulla luce, sulla vostra domanda, sul suo significato. ,

    Quindi, persino nel caso in cui la coscienza stessa l' oggettO di studio, abbiamo bisogno di una distinzione tra resoconti diretti aventi a oggetto il mondo (per esempio, "La luce accesa oppure no?") e atteggiamenti riflessivi che abbiano come oggetto l'espe-rienza (per esempio, "Che effetto fa fare esperienza dell'accen-dersi della luce?"). Nel primo caso, possiamo misurare i tempi.di reazione oppure osservare il cervello del soggetto per vedere cosa si accende quando la luce appare l fuori. Nel secondo caso, stia-mo indagando la fenomenologia, cio l'esperienza stessa in prima persona. Di conseguenza, sembra che otteniamo una distinzione netta tra dati oggettivi in terza persona (i tempi di reazione, le im-magini cerebrali) e dati in prima persona (che effetto fa, su cosa si sta concentrando il soggetto). Cerchiamo, tuttavia, di esseri cauti: come scopriremo tra breve, le cose sono pi complicate.

    Per di pi, quando si indaga la coscienza, si suppone che i dati in terza persona siano sull'esperienza in prima persona del sog-getto. Dopotutto, in simili esperimenti, lo scienziato non si sta occupando della luce, ma dell'esperienza del soggetto. Anche se si tratta di un tentativo di cogliere quel che accade dentro il cer-vello, una scannerizzazione f:t\00 o una PET non ha pertinenza al-cuna per lo studio della coscienza, a meno che non sia correlata all'esperienza in prima persona del soggetto. L'unica ragione per la quale gli stati cerebrali o funzionali assumono l'importanza ri-levante che hanno dipende dal fatto che si presume siano correla-ti con gli stati mentali identificati in un altro modo, ovvero espe-rienzialmente. Senza la classificazione esperienziale e la correla-zione successiva, avremo semplicemente una descrizione dell'at-tivit neurale ed essa non sarebbe informativa come invece vo-gliamo che sia. Non sapremmo, almeno nel primo caso, se l' atti-vazione del cervello ha a che fare con la memoria, con il ricono-scimento dei volti, con il senso di agenzia, con la percezione della luce ecc. Quindi l'interpretazione dei dati in terza persona, quan-do hanno per oggetto la coscienza, richiede che sappiamo qual-che cosa dei dati in prima persona. Il terreno dell' explanandum (la cosa da spiegare) deve essere adeguatamente indagato, prima ancora che le proposte esplicative abbiano un senso.

    Nella pratica della psicologia sperimentale si d maggiore con-

    26

  • METODOLOGIE

    siderazione ai resoconti non introspettivi sul mondo piuttosto che a quelli introspettivi. Ma sono affidabili i resoconti non intro-spettivi sul mondo? In generale e in molti casi, sembrano davvero esserlo. Se uno sperimentatore applica o presenta uno stimolo sensoriale che ben oltre la soglia di percezione, il resoconto che il soggetto fa dello stimolo che esperisce come chiaramente pre-sente sembra essere al di sopra di ogni sospetto. L'affidabilit pu diminuire, per, quando lo stimolo vicino alla soglia di perce-zione, e pu dipendere dal modo in cui viene rendicontato, o da altri fattori soggettivi che caratterizzano il resoconto. Marcel (1993), per esempio, ha dimostrato che la richiesta di resoconti rapidi di stimoli vicini alla soglia, usando modalit differenti per riferirli (verbali, battito degli occhi, pressione del pulsante), d luogo a risposte contraddittorie. Quando appare uno stimolo lu-minoso appena percepibile, i soggetti, premendo un pulsante, ri-feriranno che hanno visto la luce e poi si contraddiranno con il resoconto verbale. Questo genere di risultato e, ancor pi in ge-nerale, i risultati incongruenti o contraddittori possono motivare due strategie differenti. Pi spesso, quando si seguono procedure scientifiche consolidate, i dati sono il risultato di una media otte-nuta tra le prove e i soggetti, e le contraddizioni spazzate vie. Me-no frequentemente, gli scienziati sono motivati a prendere sul se-rio i dati in prima persona e a adottare dei metodi per studiarli ul-teriormente.

    Prendiamo in considerazione una tesi metodologica sul modo in cui si fa la media dei risultati. il metodo che Dennett chiama "eterofenomenologia" (1991, 2001, 2007).2 In molte occasioni,

    2. Vedi il numero speciale di Phenomenology and the Cognitive Sciences, 2007, 6, 1-2 sull'eterofenomenologia. Dennett (2007, p. 252), nella sua replica a questo nu-mero, insiste sul fatto che l' eterofenomenologia descrive il modo nd quale la scienza empirica gi fa quel che fa, ma rifiuta la caratterizzazione ddl'eterofenomenologia come un metodo per "fare la media" dei dati di prima persona. Ma se fare la media dei dati non il modo corretto di esprimersi, allora l' "eliminazione" dei dati in prima persona un'espressione pi adatta. Dopotutto, Dennett afferma chiaramente che la coscienza non possiede quelle propriet fenomeniche in prima persona che comune-mente si pensa che abbia (Dennett, 1991, p. 375). O fatto che qualcosa abbia lllla re-alt soggettiva o esperienziale per il soggetto significa appunto che il soggetto ci cre-de (Dennett, 1993b, p. 139). Vi sono i resoconti pubblici che prontlllciamo, vi sono episodi di pensiero proposizionale e poi c', per quanto riguarda l'introspezione, l'oscurit (Dennett, 1979, p. 95). Infatti per Dennett il nostro flusso di coscienza fatto di nient'altro che di episodi proposizionali (ibidem, pp. 94-95, 109).

    27

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    Dennett ha chiarito che il suo scopo spiegare ogni fenomeno mentale all'interno della scienza fisica contemporanea. Pi speci-ficamente, la sfida che si posto quella di costruire una te_oria della coscienza convincente e adeguata sulla base dei risultati che sono disponibili dalla prospettiva scientifica in terza persona, (Dennett, 1991, pp. 52, 84). Tuttavia, affinch questa impresa ab-bia successo, abbiamo prima bisogno di un metodo chiaro e neu-trale che ci consenta di raccogliere e organizzare i dati che saran-no spiegati in seguito. Dennett ha chiamato questo metodo etero-/enomenologia. Secondo l'eterofenomenologia, dobbiamo adot-tare una metodologia rigorosa in terza persona per studiare fa co-scienza. Ci significa che l'unico accesso al regno fenomenologico attraverso l'osservazione e interpretazione di dati pubblicamen-te osservabili. Di conseguenza, I' eterofenomenologo intende ac-cedere alla coscienza dall'esterno. L'attenzione si concentra sulla vita mentale degli altri, in quanto espressa in maniera pubblica e manifesta. In altre parole, l'eterofenomenologo intervister i sog-getti e registrer i loro proferimenti e altre manifestazioni com-portamentali. Sottoporr poi i risultati a un'interpretazione inten-zionale, cio adotter l'atteggiamento intenzionale, e interpreter i rumori emessi come atti linguistici che esprimono credenze, de-sideri e altri stati mentali del soggetto. Se ci sono ambiguit, pu sempre chiedere al soggetto dei chiarimenti e attraverso questo processo sar alla fine in grado di comporre l'intero catalogo delle cose che il soggetto (evidentemente) vuole dire sulle sue esperien-ze coscienti (Dennett, 1991, pp. 88-89; 1982, p. 161).

    Per l' eterofenomenologo, i resoconti del soggetto sulle sue esperienze coscienti sono i dati principali nella ricerca sulla co-scienza: "I resoconti sono i dati, non sono resoconti di dati" (Dennett, 1993a, p. 51). Non un caso che Dennett caratterizzi l' eterofenomenologia come una psicologia della scatola chiusa (Dennett, 1982, p. 177). In senso stretto, l'eterofenomenologia non studia i fenomeni coscienti, poich neutrale circa la loro esistenza, bens studia i resoconti che pretendono di vertere sui fenomeni coscienti. Perci, Dennett ci consiglia di adottare un atteggiamento neutrale, e di mettere tra parentesi la domanda cir-ca la validit delle credenze espresse dal soggetto, e sostiene che questa mossa non sarebbe altro che una versione in terza persona del metodo fenomenologico (Dennett, 2003, p. 22).

    28

  • METODOLOGIE

    Perch tale neutralit necessaria? Dennett ci fornisce diverse ragioni. Qualche volta, egli paragona la neutralit in questione con quella che richiesta in un'indagine antropologica: cos co-me non dobbiamo pregiudicare il nostro campo di studi antropo-logici dichiarando che certe divinit mitiche sono divinit reali (Dennett, 199.3a, p. 51), non dobbiamo pregiudicare l'indagine fenomenologica dichiarando che i fenomeni coscienti sono reali. Dennett fa anche riferimento all'esistenza di falsi positivi e di falsi negativi L'accesso alla nostra mente non n infallibile n incor-reggibile. Talvolta ci rappresentiamo scorrettamente la nostra esperienza; provato che alcune delle credenze che abbiamo sui nostri stati coscienti sono false. E alcuni dei processi psicologici che accadono nella nostra mente hanno luogo senza che lo sap-piamo. Date queste possibilit di errore, Dennett pensa che sia meglio adottare una politica di moderazione e semplicemente astenersi dall'impegnarsi (2001).

    La gente pensa di avere esperienze e questi fatti, relativi a quello che la gente crede ed esprime, sono fenomeni che qualsiasi studio scientifico della mente deve spiegare (Dennett, 1991, pp. 374-.375). In altre parole, non dovremmo semplicemente assume-re che ogni caratteristica manifesta o oggetto della nostra vita co-sciente esista veramente, come elemento reale di esperienza. Adottando l'atteggiamento eterofenomenologico della neutrali-t, non pregiudichiamo la questione se il soggetto manifesto sia un mentitore, uno zombie, un computer, un pappagallo travesti-to o un essere reale cosciente (ibidem, p. 96). Perci, l'eterofeno-menologia pu rimanere neutrale circa il fatto che il soggetto sia cosciente o un semplice zombie (Dennett, 1982, p. 160); o, per essere pi precisi, siccome l' eterofenomenologia un modo di in-terpretazione del comportamento, e poich gli zombie (filosofi-ci), per definizione, si comportano come persone reali coscienti, per l' eterofenomenologia non c' alcuna differenza rilevante tra gli zombie e le persone reali (Dennett, 1991, p. 112).

    Ma partendo da questo preteso atteggiamento di neutralit at-traverso cui mettiamo tra parentesi la domanda se ci sia o no una differenza tra uno zombie e un non zombie, Dennett fa rapida-mente un passo ulteriore e nega questa differenza. Dice che gli zombie non sono semplicemente possibili, ma che, anzi, sono reali, perch tutti noi siamo zombie. Se pensiamo di essere qual-

    29

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    cosa di pi che degli zombie, ci semplicemente dovuto al fatto che siamo stati tratti in inganno e stregati da quell'insieme difet-toso di metafore che usiamo per pensare la mente (Denntt, 1993b, p. 143; 1991, pp. 410-411). E importante non fraintende-re Dennett su questo punto. Non sta argomentando che nessuno cosciente. Piuttosto sta sostenendo che la coscienza non ha le propriet fenomeniche in prima persona che normalmente si pensa che abbia, la qual cosa dipende dal fatto che non esiste qualcosa come una vera fenomenologia (Dennett, 1991, p. 375). Di conseguenza, il tentativo di indagare la dimensione della pri-ma persona fenomenologicamente una chimera.

    La stessa eterofenomenologia, comunque, ha in s qualcos,di chimerico. La chimera qui consiste nell'idea che nello studio della coscienza e della mente la scienza possa lasciare indietro la pro-spettiva in prima persona o neutralizzarla senza residui. Tentando di dire qualcosa sulla coscienza (o specificamente sull'esperienza X), l' eterofenomenologia non riconosce che le sue interpretazioni dei resoconti in prima persona devono essere basate sull'espe-rienza in prima persona dello scienziato (egli comprende a partire dalla sua esperienza che qualcosa l'esperienza di X), oppure su categorie prestabilite (e presumibilmente oggettive) che in ultima analisi derivano dalla psicologia di senso comune o da qualche forma oscura, anonima e non rigorosa di fenomenologia. Perci, come Jack e Roepstorff propongono, dal "momento in cui conce-piamo un paradigma sperimentale, tra aggiustamenti e rifiniture, fino all'interpretazione dei risultati, siamo guidati da considera-zioni che discendono dalla nostra esperienza o dalle esperienze che attribuiamo agli altri, comprese come nostre" (2002, p. 333 ). L'atteggiamento intenzionale dello scienziato, necessario all'inter-pretazione del resoconto del soggetto, non esso stesso un qual-che cosa che sia stato sottoposto a controllo scientifico; conta-minato, direttamente o indirettamente, dalla prospettiva in prima persona. Questa la ragione per cui Merleau-Ponty, nella Feno-menologia della percezione, critica l'attenzione unilaterale della scienza a ci che disponibile nella prospettiva in terza persona e la considera ingenua e disonesta, poich la pratica scientifica pre-suppone costantemente l'esperienza del mondo in prima persona e prescientifica dello scienziato (Merleau-Ponty, 1962, pp. 16-17}. Questa anche la ragione per cui fuorviante opporre, come di

  • METODOLOGIE

    solito avviene, le spiegazioni in prima persona a quelle in terza persona nd contesto dello studio della coscienza. Ci fa dimentica-re che le cosiddette spiegazioni oggettive in terza persona si otten-gono e sono generate da una comunit di soggetti coscienti. Non esiste alcuna prospettiva pura in terza persona, esattamente come non esiste uno sguardo da nessun luogo.

    IL METODO FENOMENOLOGICO

    possibile conseguire un approccio pi controllato all' espe-rienza in prima persona? Possiamo accostarci scientificamente alla coscienza? I fenomenologi hanno risposto affermativamente a queste domande. La fenomenologia qui importante, come spiega Evan Thompson, perch "qualsiasi tentativo di ottenere una comprensione estesa della mente umana deve a un certo punto confrontarsi con la coscienza e la soggettivit - con il mo-do in cui pensare, percepire, agire e sentire sono esperiti da noi stessi. Gli eventi mentali non accadono nd vuoto; essi sono vis-suti da qualcuno. La fenomenologia ancorata a una descrizio-ne, a un'analisi e a un'interpretazione accurata dell'esperienza vissuta" (Thompson, 2007, p. 16). Per comprendere quello che la fenomenologia pu offrire e per sfruttarla ai fini della scienza sperimentale, dobbiamo comprendere la metodologia che defi-nisce l'atteggiamento o punto di vista fenomenologico. Dobbia-mo poi capire come questo punto di vista possa essere incorpo-rato nella pratica scientifica.

    Osserviamo pi da vicino il metodo fenomenologico. Come il metodo scientifico ordinario, esso mira a evitare spiegazioni pre-giudiziali e soggettive. Alcuni confondono la fenomenologia con una spiegazione soggettiva dell'esperienza; ma si dovrebbe distin-guere tra spiegazione soggettiva dell'esperienza e spiegazione dd-l'esperienza soggettiva. Ugualmente, alcuni confondono una spie-gazione oggettiva dell'esperienza con l'idea che si possa compren-dere lesperienza soggettiva trasformandola in un oggetto che pu essere esaminato usando i metodi in terza persona. Il problema che questi termini, "soggettivo" e "oggettivo" sono ambigui; pos-sono significare cose diverse in contesti differenti. Nella scienza, l'oggettivit, nel senso della pratica di evitare pregiudizi e irrazio-

    31

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    cosa di pi che degli zombie, ci semplicemente dovuto al fati:b che siamo stati tratti in inganno e stregati da quell'insieme difet-toso di metafore che usiamo per pensare la mente (Dennett, 1993b, p. 143; 1991, pp. 410-411). E importante non fraintende-re Dennett su questo punto. Non sta argomentando che nessuno cosciente. Piuttosto sta sostenendo che la coscienza non ha le propriet fenomeniche in prima persona che normalmente si pensa che abbia, la qual cosa dipende dal fatto che non esiste qualcosa come una vera fenomenologia (Dennett, 1991, p. 375). Di conseguenza, il tentativo di indagare la dimensione della pri-ma persona fenomenologicamente una chimera.

    La stessa eterofenomenologia, comunque, ha in s qualcosa qi chimerico. La chimera qui consiste nell'idea che nello studio della coscienza e della mente la scienza possa lasciare indietro la pro-spettiva in prima persona o neutralizzarla senza residui. Tentando di dire qualcosa sulla coscienza (o specificamente sull'esperienza X), l' eterofenomenologia non riconosce che le sue interpretazioni dei resoconti in prima persona devono essere basate sull'espe-rienza in prima persona dello scienziato (egli comprende a partire dalla sua esperienza che qualcosa l'esperienza di X), oppure su categorie prestabilite (e presumibilmente oggettive) che in ultima analisi derivano dalla psicologia di senso comune o da qualche forma oscura, anonima e non rigorosa di fenomenologia. Perci, come Jack e Roepstorff propongono, dal "momento in cui conce-piamo un paradigma sperimentale, tra aggiustamenti e rifiniture, fino all'interpretazione dei risultati, siamo guidati da considera-zioni che discendono dalla nostra esperienza o dalle esperienze che attribuiamo agli altri, comprese come nostre" (2002, p. 333). L'atteggiamento intenzionale dello scienziato, necessario all'inter-pretazione del resoconto del soggetto, non esso stesso un qual-che cosa che sia stato sottoposto a controllo scientifico; conta-minato, direttamente o indirettamente, dalla prospettiva in prima persona. Questa la ragione per cui Merleau-Ponty, nella Feno-menologia della percezione, critica l'attenzione unilaterale della scienza a ci che disponibile nella prospettiva in terza persona e la considera ingenua e disonesta, poich la pratica scientifica pre-suppone costantemente l'esperienza del mondo in prima persona e prescientifica dello scienziato (Merleau-Ponty, 1962, pp. 16-17). Questa anche la ragione per cui fuorviante opporre, come di

    30

  • METODOLOGIE

    solito avviene, le spiegazioni in prima persona a quelle in terza persona nel contesto dello studio della coscienza. Ci fa dimentica-re che le cosiddette spiegazioni oggettive in terza persona si otten-gono e sono generate da una comunit di soggetti coscienti. Non esiste alcuna prospettiva pura in terza persona, esattamente come non esiste uno sguardo da nessun luogo.

    IL METODO FENOMENOLOGICO

    possibile conseguire un approccio pi controllato ali' espe-rienza in prima persona? Possiamo accostarci scientificamente alla coscienza? I fenomenologi hanno risposto affermativamente a queste domande. La fenomenologia qui importante, come spiega Evan Thompson, perch "qualsiasi tentativo di ottenere una comprensione estesa della mente umana deve a un certo punto confrontarsi con la coscienza e la soggettivit - con il mo-do in cui pensare, percepire, agire e sentire sono esperiti da noi stessi. Gli eventi mentali non accadono nel vuoto; essi sono vis-suti da qualcuno. La fenomenologia ancorata a una descrizio-ne, a un'analisi e a un'interpretazione accurata dell'esperienza vissuta" (Thompson, 2007, p. 16). Per comprendere quello che la fenomenologia pu offrire e per sfruttarla ai fini della scienza sperimentale, dobbiamo comprendere la metodologia che defi-nisce l'atteggiamento o punto di vista fenomenologico. Dobbia-mo poi capire come questo punto di vista possa essere incorpo-rato nella pratica scientifica.

    Osserviamo pi da vicino il metodo fenomenologico. Come il metodo scientifico ordinario, esso mira a evitare spiegazioni pre-giudiziali e soggettive. Alcuni confondono la fenomenologia con una spiegazione soggettiva dell'esperienza; ma si dovrebbe distin-guere tra spiegazione soggettiva dell'esperienza e spiegazione del-l'esperienza soggettiva. Ugualmente, alcuni confondono una spie-gazione oggettiva dell'esperienza con l'idea che si possa compren-dere l'esperienza soggettiva trasformandola in un oggetto che pu essere esaminato usando i metodi in terza persona. Il problema che questi termini, "soggettivo" e "oggettivo" sono ambigui; pos-sono significare cose diverse in contesti differenti. Nella scienza, l'oggettivit, nel senso della pratica di evitare pregiudizi e irrazio-

    31

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    nalit, importante. uno dei motivi per i quali negli esperimenti si usano i controlli, e ci sono vari passaggi metodologici che si pos-sono intraprendere per conservare l'oggettivit. Anche la fen

  • METODOLOGIE

    stemologiche connesse con qualsiasi approccio in prima perso-na alla produzione di dati: se dovessero comparire delle incon-gruenze tra due insiemi distinti di dati, non ci sarebbe modo di ri-solvere il conflitto. Pi specificamente, Metzinger pensa ai dati come a ci che viene ricavato dal mondo fisico attraverso stru-menti tecnici di misurazione. Ricavare dati comporta una ben no-ta procedura intersoggettiva, avviene all'interno di una comunit scientifica, qualcosa che viene sottoposto a critica e che cerca costantemente mezzi di verifica indipendenti. Il problema della fenomenologia, secondo Metzinger, che l'accesso in prima per-sona al contenuto fenomenico dei propri stati mentali non soddi-sfa i criteri che definiscono il concetto di dati. Di fatto, la nozione stessa di dati in prima persona una contraddizione in termini (ibidem, p. 591).

    Ma proprio vero che la fenomenologia classica basata sul-l'introspezione? Si considerino le Ricerche logiche di Husserl, una pietra miliare indiscussa nella filosofia del xx secolo e senza dubbio un'opera di filosofia fenomenologica, che Husserl stesso intese, infatti, come il suo "approdo" alla fenomenologia. Quali analisi vi si trovano? C' il famoso attacco di Husserl allo psicolo-gismo e il suo rifiuto, una difesa della irriducibilit della logica e dell'idealit del contenuto, un'analisi delle rappresentazioni figu-rative, una teoria della relazione parte-intero, una sofisticata spie-gazione dell'intenzionalit e un chiarimento epistemologico della relazione tra concetti e intuizioni, tanto per citare alcuni tra i molti temi trattati nel libro. Chiunque legga le Ricerche logiche dovrebbe rispondere che Husserl non utilizza il metodo intro-spettivo e che questo non un libro di psicologia introspezioni-sta, poich chiaramente vi si trovano argomenti e analisi filosofi-che. Invece di concludere che questo.non un-libro.di-fenomeno-logia, si dovrebbe invece riconsiderare la troppo affrettata identi-ficazione tra fenomenologia e psicologia introspezionista.

    Le dispute fenomenologiche, cos come quelle tra fenomeno-logi, sono filosofiche, e non hanno a oggetto l'introspezione. Sa-rebbe esagerato sostenere che le analisi di Husserl nelle Ricerche logiche hanno trovato un consenso universale presso le genera-zioni successive di fenomenologi, ma non noto alcun esempio di qualcuno che abbia rifiutato la posizione di Husserl perch si appellava alla "migliore" evidenza introspettiva. Al contrario, le

    33

  • LA MENTE FENOMENOLOGICA

    analisi di Husserl hanno dato vita a un intenso dibattito tra i filo-sofi fenomenologi e molte di esse sono state successivame~te mi-gliorate e affinate da pensatori come Sartre, Heidegger, Lvinas e Derrida (vedi Zahavi, Stjernfelt, 2002). Ci in contrasto con la tesi di Metzinger secondo cui quello fenomenologico non pu~essere un metodo capace di generare accrescimento di conoscenza, dato che non si pu in alcun modo conseguire un consenso inter-soggettivo su affermazioni come "questo il blu pi puro che si possa percepire", e alla replica "no, non lo , ha una leggera vena-tura verde" (Metzinger, 2003, p. 591). Questo tipo di affermazio-ni semplicemente non si trovano nei lavori dei fenomenologi e suggerire alcunch di diverso rivela una certa mancanza di fami-liarit con la tradizione in questione.

    Anche se la fenomenologia si interessa di fenomeni, cio del modo in cui le cose appaiono (o come amano dire i fenomenologi, del modo in cui esse sono "date" o presentate al soggetto nl-1' esperienza), e delle loro condizioni di possibilit, i fenomenologi tipicamente sosterrebbero che una fallacia metafisica quella di collocare il regno fenomenico nella mente, e suggerire che per avervi accesso e descriverli si debba guardarsi dentro (introspi-cio). Come Husserl aveva gi rilevato nelle Ricerche logiche, la stessa disinvolta idea di una divisione tra un dentro e un fuori originata in una metafisica ingenua, di senso comune, fenome-nologicamente sospetta ed inadeguata se usata per comprende-re la natura della coscienza (Husserl, 1900-1901, II, pp. 226-227, 529). Eppure, l'idea di questa divisione qualcosa di cui la parola "introspezione" sembra non potere fare a meno. Quando si parla di introspezione sembra che si stia tacitamente avallando l'idea che la coscienza sta dentro la testa, mentre il mondo fuori. Si pu trovare la stessa critica in Heidegger, il quale nega che la rela-zione tra esistenza umana (Dasein) e il mondo possa essere colta con l'aiuto dei concetti di "dentro" e "fuori", (Heidegger, 1927, p. 102), e in Merleau-Ponty, che nel medesimo contesto di discor-so dice che impossibile tracciare una linea divisoria tra interno ed esterno (Merleau-Ponty, 1962, p. 522). Infatti, tutti i maggiori esponenti della tradizione fenomenologica hanno negato in ma-niera aperta e inequivocabile di essere impegnati in una qualche forma di psicologia introspezionista e di stare usando un metodo . introspezionista (vedi Gurwitsch, 1966, pp. 89-106; Heidegger,

    34

  • METODOLOGIE

    1919-1920, pp. 11-17; Hussert 1906-1907, pp. 201-216; Mer-leau-Ponty, 1962, pp. 101-102). Husserl, che rifiuta in maniera ca-tegorica che la nozione di intuizione fenomenologica sia una for-ma di esperienza interna o un'introspezione (1911, p. 31), sostie-ne addirittura che il pensiero che la fenomenologia sia impegnata a restaurare il metodo dell'introspezione e dell'osservazione in-terna (innerer Beobachtung) sia posticcio e perverso (Husserl,-1913, p. 833). Vi sono molte ragioni che stanno dietro a questa ca-tegorica presa di distanza. Per comprenderne alcune, dobbiamo ritornare al problema del metodo fenomenologico.

    La riduzione fenomenologica Si suppone che la fenomenologia si occupi di fenomeni e ap-

    parenze e delle loro condizioni di possibilit, ma che cos' preci-samente un fenomeno? Molti filosofi intendono il fenomeno co-me la "datit" dell'ogg