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Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: due eroi contro la Mafia Jessica Sacco B.A. (Hons.) June 2013

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: due eroi contro …...Nel 1964 Giovanni Falcone vinse il concorso in Magistratura. Dal 1966 fino al 1978 Dal 1966 fino al 1978 lavorò come procuratore

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Giovanni Falcone e Paolo Borsellino:

due eroi contro la Mafia

Jessica Sacco

B.A. (Hons.)

June 2013

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Giovanni Falcone e Paolo Borsellino:

due eroi contro la Mafia

Jessica Sacco

A dissertation presented to the Faculty of Arts in the University of Malta for the degree of B.A.

(Hons.) in Italian.

June 2013

i

Ringraziamenti

Innanzitutto, desidero ringraziare il Dipartimento d‟Italiano per avermi dato l‟opportunità

di fare questa meravigliosa esperienza e anche per avermi aiutato nella mia maturazione. Vorrei

esprimere la mia gratitudine alla Prof. Gloria Lauri-Lucente, relatrice della mia tesi, per l‟aiuto e

il sostegno che mi ha fornito durante la stesura di questo lavoro. Desidero ringraziare con affetto

la mia famiglia e il mio ragazzo per tutto il supporto e l‟aiuto che mi hanno dato durante questi

tre anni universitari, specialmente in questi ultimi mesi. In fine, sono grata ai miei amici e ai miei

colleghi per il sostegno morale che mi hanno mostrato durante questi tre anni.

ii

I, the undersigned, hereby declare that the research and the compilation of this thesis was carried

out by myself under the supervision of Prof. Gloria Lauri-Lucente, a full time professor at the

Faculty of Arts, Department of Italian, at the University of Malta.

__________________

Jessica Sacco

353892(M)

1

INDICE

RINGRAZIAMENTI .................................................................................................... i

INDICE .......................................................................................................................... 1

INTRODUZIONE ........................................................................................................ 2

1. GIOVANNI FALCONE ........................................................................................... 4

1.1. Profilo biografico ................................................................................................ 4

1.2. I suoi successi e le sue vittorie ........................................................................... 5

1.3. Le sue difficoltà e le sue sofferenze ................................................................... 7

1.4. La sua tragica morte ........................................................................................ 12

2. PAOLO BORSELLINO......................................................................................... 19

2.1. Profilo biografico .............................................................................................. 19

2.2. I suoi successi e le sue vittorie ......................................................................... 20

2.3. Le sue difficoltà e le sue sofferenze ................................................................. 22

2.4. La sua tragica morte ........................................................................................ 26

3. LA LORO LOTTA CONTRO LA MAFIA ......................................................... 30

3.1. L’inizio del pool antimafia .............................................................................. 30

3.2. La fine del pool antimafia ................................................................................ 32

3.3. Il fenomeno del pentitismo .............................................................................. 33

3.4. Il maxiprocesso ................................................................................................. 36

4. IN SEGUITO ALLA MORTE DEI DUE GIUDICI ........................................... 38

4.1. La reazione degli italiani ................................................................................. 38

CONCLUSIONE ........................................................................................................ 40

BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................ 41

2

INTRODUZIONE

Ho deciso di fare una tesi su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i due giudici che

hanno combattuto contro la mafia, dopo che ho visto l‟adattamento filmico del libro Excellent

Cadavers di Alexander Stille. Presi questa decisione perché volevo sapere di più sulla loro vita, e

sul lavoro che entrambi hanno svolto. Volevo conoscere la strada che hanno percorso per cercare

in tutti i modi di sconfiggere la mafia e, soprattutto, volevo scoprire la verità nascosta dietro la

loro morte, e come ciò cambiò il modo di pensare degli italiani riguardo la criminalità

organizzata.

Per il titolo di questa tesi mi sono ispirata a due libri che grazie a loro mi è stato possibile

comprendere meglio la vita di questi due magistrati italiani. Questi due libri sono Giovanni

Falcone: un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro di Maria

Falcone e Francesca Barra, e Paolo Borsellino: una vita contro la mafia di Leone Zingales.

Questi due libri descrivono esattamente la vita di Falcone e di Borsellino. Entrambi i libri mi

hanno fornito molta informazione su ciò che Falcone e Borsellino hanno subito durante il loro

lavoro come giudici antimafia, sia i loro successi sia le loro difficoltà.

La mia tesi è divisa in quattro parti per spiegare al meglio il lavoro di Falcone e di

Borsellino. Nei primi due capitoli esamino la vita di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, e

anche delle conseguenze, sia buone sia sfavorevoli, del loro lavoro. Ho diviso entrambi i capitoli

in quattro parti per potere affrontare più attentamente ogni aspetto della loro vita prima di

diventare magistrati e anche dopo, e anche per discutere dettagliatamente dei loro successi e delle

loro delusioni sul posto di lavoro. Infine, esamino gli aspetti della loro morte e di come questi

due tragici eventi hanno influenzato la vita delle persone che dependevano da loro e dal proprio

coraggioso lavoro.

Nel terzo capitolo discuto il loro lavoro congiunto, come il pool antimafia e il

maxiprocesso, e esamino anche il fenomeno del pentitismo che aiutò molto questi due giudici per

riuscire ad avviare il maxiprocesso. Questo capitolo, come i primi due, è suddiviso in quattro

parti. Nella prima parte discuto come è iniziato il pool antimafia e di ciò che è riuscito ad ottenere

questo gruppo. Nella seconda parte, invece, affronto le cause che portarono al suo scioglimento

imprevisto. Nella terza e nell‟ultima parte, discuto del fenomeno del pentitismo e del

maxiprocesso, i quali sono due argomenti che sono strettamente legati perché il maxiprocesso

3

venne avviato grazie alle testimonianze importantissime di molti pentiti fondamentali alle

indagini contro la mafia.

Nel quarto e ultimo capitolo esamino come l‟atteggiamento della popolazione italiana è

cambiato nei confronti di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino dopo la loro tragica morte.

Questo capitolo, a differenza degli altri tre, non è suddiviso ma è composto di una sola parte,

nella quale analizzo il modo in cui la gente, dopo che ha assistito all‟assassinio di questi due

giudici, cominciò finalmente a comprendere cosa è realmente la mafia e a partecipare attivamente

nella lotta contro la criminalità organizzata.

Attraverso questa tesi intendo dimostrare il grande coraggio e l‟inesauribile impegno di

Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino verso l‟Italia, il loro amato paese. Voglio mostrare anche

come la mafia è in realtà un gruppo molto strutturato e bilanciato, con leggi che hanno protetto da

sempre i propri segreti e abitudini, tramandati da generazione a generazione per molti decenni.

4

1. GIOVANNI FALCONE

1.1. Profilo biografico

Giovanni Augusto Salvatore Falcone nacque il 18 maggio 1939 a Palermo, nel quartiere

popolare noto come La Kalsa. Era l‟ultimogenito e l‟unico figlio maschio di Arturo Falcone e

Luisa Bentivegna. Falcone aveva due sorelle, Anna e Maria Falcone, entrambe più grandi di lui.

Il padre di Giovanni era il direttore del Laboratorio chimico provinciale. Essendo l‟unico figlio

maschio, su di lui gravavano le aspettative del padre; Falcone cercava di non deluderle.

Giovanni Falcone frequentò le scuole elementari al Convitto Nazionale di Palermo e le

scuole medie alla scuola Verga; poi s‟iscrisse al liceo classico Umberto I. Durante i suoi studi

superiori, egli conobbe il professor Franco Salvo che gli insegnò storia e filosofia. Salvo era un

uomo che seguiva il pensiero illuminista e i suoi insegnamenti si rivelarono indispensabili per la

maturazione di Falcone, il quale aveva sempre un temperamento molto logico. Egli eccelleva

negli studi e praticava lo sport in ogni momento libero. Al termine dei suoi studi al liceo classico,

prese la decisione di frequentare l‟Accademia Navale di Livorno. Questa decisione non era ben

accolta dalla sua famiglia che non accettava il fatto che Falcone avrebbe dovuto lasciare la

famiglia e la sua amata Sicilia. Dopo solo quattro mesi lontano da casa, egli si accorse che la vita

militare non era adatta a lui e decise di tornare in Sicilia e di iscriversi ai corsi di Giurisprudenza.

Sua sorella, Maria Falcone, dice che allora non si potevano prevedere i pericoli insiti nella

carriera di magistrato e, di conseguenza, questa decisione del fratello venne ritenuta dalla

famiglia come una scelta da appoggiare1. Così Giovanni Falcone s‟iscrisse alla Facoltà di

Giurisprudenza dell‟Università di Palermo. Maria Falcone, parlando di suo fratello, spiega che

Giovanni cercava sempre di perfezionare il suo lavoro e si dedicava alla sua carriera con il

massimo impegno2. Falcone si laureò nel 1961, con una tesi sull‟istruzione probatoria in diritto

amministrativo.

Giovanni Falcone conobbe la sua prima moglie, Rita Bonnici, ad una festa e si sposarono

nel 1964. Il loro matrimonio durò quattordici anni, fino al 1978. Non ebbero figli ma, durante

quegli anni, Falcone ottenne molti successi sul posto di lavoro. Egli, un anno dopo il suo

1 Cfr. Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il

nostro futuro, Rizzoli, Milano 2012, p. 48. 2 Cfr. Ivi, p. 51.

5

matrimonio, diventò pretore a Lentini e riuscì a risolvere anche la sua prima indagine con

cadavere.

Nel 1964 Giovanni Falcone vinse il concorso in Magistratura. Dal 1966 fino al 1978

lavorò come procuratore della Repubblica e come giudice presso il Tribunale di Trapani. Nel

1976 cominciò a seguire le idee del comunismo sociale di Enrico Berlinguer. Nonostante ciò, nel

lavoro, Falcone non si lasciò influenzare dalle convinzioni politiche. Ritornò a Palermo nel 1979

per dedicarsi alla sezione fallimentare del Tribunale, occupandosi soprattutto di diritto civile. La

sua prima moglie, Rita, lo abbandonò poco dopo il loro arrivo a Palermo perché decise di

ritornare a Trapani. Dopo questa delusione sentimentale, Giovanni Falcone giurò alla sua

famiglia, ma soprattutto a se stesso, che non si sarebbe mai più vincolato in un altro rapporto

amoroso. Di conseguenza prese la decisone di dedicarsi completamente al lavoro. Ma, alla fine

del ‟79, incontrò Francesca Morvillo, anche lei magistrato. Si sposarono nel maggio del 1986; a

sposarli fu Leoluca Orlando, amico di Giovanni Falcone e sindaco di Palermo. Con Rita Bonnici

non riuscì ad avere figli e con Francesca decise di non averne per i pericoli che correva nel corso

delle sue indagini contro la mafia.

1.2. I suoi successi e le sue vittorie

Giovanni Falcone, nel corso della sua carriera, conseguì molti successi: tra i più grandi

ricordiamo quello nel processo Spatola3, perché grazie a questo processo il metodo innovativo di

Falcone fu riconosciuto da tutto il mondo. Un altro grande successo fu ottenere la fiducia di

Tommaso Buscetta4, noto mafioso, il cui aiuto fu necessario nelle investigazioni contro Cosa

Nostra. Queste rivelazioni sulla mafia di Buscetta diedero vita ad una nuova teoria, nota come il

“teorema Buscetta”.

Un importantissimo successo di Giovanni Falcone, che fu anche un successo per tutta

l‟Italia, fu la collaborazione che creò tra l‟Italia e gli Stati Uniti d‟America. Egli doveva recarsi

spesso in America per indagare su Rosario Spatola e per ottenere più informazioni per avviare il

processo Spatola. Come conseguenza delle sue numerose visite, riuscì a dare inizio ad una

3 I protagonisti di questo processo erano Rosario Spatola e Salvatore Inzerillo. I due erano accusati di traffico

d’eroina e di riciclaggio di denaro. 4 Tommaso Buscetta è un mafioso membro di Cosa Nostra, che in seguito diventato un collaboratore della giustizia.

Le sue rivelazioni sono state di grande importanza per riuscire a ricostruire la struttura di Cosa Nostra e ad avviare il maxiprocesso.

6

collaborazione efficace tra l‟Italia e gli Stati Uniti d‟America per abbattere la criminalità

organizzata. Questa collaborazione è considerata una delle più importanti e produttive nelle

indagini contro la mafia. Infatti, grazie all‟aiuto di Falcone, in America ebbero finalmente la

possibilità di abbattere la circolazione dell‟eroina nelle pizzerie5. Riguardo al lavoro contro la

mafia di Giovanni Falcone, Peter Secchia, l‟ambasciatore americano in Italia, definisce Falcone

come “il simbolo della resistenza degli italiani contro la criminalità organizzata”6.

Il 13 Marzo 1991, Giovanni Falcone accettò l‟offerta di lavoro che gli propose il ministro

della Giustizia, Claudio Martelli. Il ministro Martelli gli propose l‟incarico di amministrare gli

Affari Penali a Roma e Falcone accettò. Prese questa decisione perché lavorare a Roma gli

avrebbe dato l‟opportunità di rendere nota a livello nazionale la lotta alla criminalità organizzata7.

Di conseguenza, si lasciò alle spalle la sua amata Palermo. A Roma Falcone avviò nuovi

regolamenti a beneficio di chi aiuta la giustizia e grazie a questo proficuo lavoro sorse, nei profili

processuali, carcerari e giudiziari, il sistema noto come il “doppio binario”. Il “doppio binario” è

un sistema penale che “prevedeva la comminazione delle misure di sicurezza in via aggiuntiva o

esclusiva a quella delle pene”8. Con l‟aiuto del magistrato furono create anche la Direzione

Nazionale Antimafia e la Direzione Investigativa Antimafia. A Roma, Falcone si sentì libero ed

ebbe l‟occasione di godere dei piccoli piaceri, come andare al cinema e fare una passeggiata:

piaceri ai quali aveva dovuto rinunciare mentre lavorava a Palermo. Durante il suo periodo

romano allestì anche la Superprocura, organismo creato per combattere la mafia più

efficacemente. Inoltre, in questo suo periodo romano, l‟allora direttore della Stampa, Paolo Mieli,

chiese a Giovanni Falcone di collaborare nel suo quotidiano torinese come editorialista. Il

magistrato accettò l‟offerta solamente dopo le molte insistenze di Mieli e anche dopo che ebbe

chiesto l‟opinione di alcuni amici che rispettava. Alcuni di questi amici che gli diedero dei

suggerimenti erano: il giornalista Francesco La Licata, Ezio Mauro e Noberto Bobbio. Ebbe

anche l‟opportunità di diventare consigliere di Alberto La Volpe, che volle creare un programma

televisivo sulla mafia9. Falcone scrisse anche un libro sulla criminalità organizzata, intitolato

5 Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il

nostro futuro, cit., p. 69. 6 Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, Chiarelettere, Milano 2007, p. 164.

7 Cfr. Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il

nostro futuro, cit., p. 145. 8 S.a., Codice, “Treccani: L’enciclopedia italiana”, http://www.treccani.it/enciclopedia/codice/, s.d.

9 Cfr. Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il

nostro futuro, cit., p. 147; Alberto La Volpe è un giornalista che lavorava per la Rai e voleva creare un programma

7

Cose di cosa nostra10

. Questo libro è una raccolta d‟interviste fatte a Giovanni Falcone dalla

giornalista francese Marcelle Padovani.

Tutti questi successi erano per Giovanni Falcone una fonte di grande orgoglio. Tuttavia,

la sua vittoria più grande fu sicuramente la rimozione dell‟invulnerabilità che circondava Cosa

Nostra. Questa nuova vulnerabilità della mafia fu procurata dalle investigazioni condotte a

Palermo da Falcone e dai suoi colleghi del pool antimafia11

. Di conseguenza, Falcone poteva

vedere il risultato tangibile del suo duro lavoro e quello dei suoi colleghi, e capì che finalmente la

mafia si stava indebolendo e stava perdendo il suo indiscusso potere.

1.3. Le sue difficoltà e le sue sofferenze

Immediatamente dopo la morte del procuratore capo di Palermo, Gaetano Costa, una

scorta venne assegnata a Giovanni Falcone per proteggerlo. La sua famiglia era molto

preoccupata per la sua incolumità, ma Falcone non volle mai turbarla con le diverse possibilità

che potesse succedergli qualche cosa. Falcone, per la sua sicurezza, era costretto a rinunciare a

molti dei suoi passatempi, però si rifiutò di abbandonare il nuoto, il suo hobby preferito. Così

arrivò a un compromesso con la sua scorta: avrebbe continuato lo stesso a praticare il nuoto, ma

solo nella piscina comunale all‟alba o alla chiusura, però mai in orari di punta12

.

Un evento che fu fonte di grande dolore per Falcone fu la morte di Rocco Chinnici, che

venne ucciso nel 1983. Soffrì molto dopo la morte di Chinnici: per la scomparsa dell‟amico, ma

anche perché venne trovato un suo diario che riportava alcuni appunti su Falcone. Nel diario di

Chinnici furono trovati dettagli riguardo al suo lavoro, ma c‟erano scritti anche degli episodi che

riguardavano Falcone. Due di questi episodi descrivevano l‟opinione del procuratore generale di

Palermo, Giovanni Pizzillo, su Giovanni Falcone. Pizzillo disse a Rocco Chinnici che Falcone,

con il lavoro che stava svolgendo, metteva l‟economia siciliana in una posizione difficile, la stava

distruggendo; gli disse anche che le banche erano irritate dalle azioni di Falcone13

. Le note che

televisivo, intitolato Lezioni di mafia, per spiegare alla gente la struttura e i rituali di questo gruppo, e anche come si dà la caccia ad un criminale. 10

Giovanni Falcone e Marcelle Padovani, Cose di Cosa Nostra, Rizzoli, Milano 1997. 11

Cfr. S.a, Roberto Scarpinato (prefazione di), Le ultime parole di Falcone e Borsellino, a cura di Antonella Mascali, Chiarelettere, Milano 2012, p. 10. 12

Cfr. Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, cit., p. 66. 13

Cfr. Ivi, pp. 75-76.

8

fecero soffrire maggiormente il giudice Falcone, furono quelle che segnalavano i sospetti che

Chinnici aveva riguardo al suo modo di agire. Lui fu molto sorpreso da queste annotazioni, per il

fatto che durante il periodo in cui lavorò insieme a Chinnici, i loro rapporti erano buoni e anche

perché lavorando insieme raggiunsero clamorosi successi. Non riuscì a capire la ragione per cui

Chinnici ebbe dei dubbi sul suo comportamento, perché usava sempre la massima prudenza sul

lavoro e, prima di accusare qualcuno, cercava sempre di avere prove a sufficienza per non

commettere nessun errore.

Una difficoltà che Falcone incrociò nella sua vita personale fu durante il periodo in cui

cominciò a vivere insieme a Francesca Morvillo. In questo periodo, i due ricevettero molte

critiche da parte dei loro vicini. Alcuni di loro non furono per niente contenti della vicinanza di

Falcone perché erano preoccupati per la loro incolumità. Qualche vicino lo criticò pubblicamente

scrivendo una lettera ad un giornale in cui spiegava che si sentiva molto irritato dal suono delle

sirene delle auto che proteggevano Falcone che minava la tranquillità del quartiere14

.

Nell‟aprile del 1969 Giovanni Falcone attraversò un periodo molto doloroso. In questo

mese morì suo padre, con il quale ebbe un legame molto forte. La sorella di Falcone, Maria, dice

che lui di solito non esprimeva mai i suoi sentimenti, ma in quest‟occasione aveva pianto come

mai era accaduto prima15

. Falcone ebbe un altro duro colpo il 1° ottobre del 1983, quando morì

sua madre Luisa. Un‟altra giornata molto dolorosa per Giovanni Falcone fu il 6 agosto del 1985,

la data in cui fu ucciso il suo carissimo amico e collega Antonino Cassarà, conosciuto anche

come Ninni. Fu assassinato con 200 colpi di Kalashnikov di fronte a casa sua e davanti a gli

occhi di sua moglie. La notizia della sua morte fu una fonte di grande sofferenza per Falcone. I

due avevano lavorato insieme per molti anni e, di conseguenza, diventarono grandi amici. Infatti,

la sua morte fu la più difficile da accettare per Falcone16

. Cassarà aiutò Falcone a compilare un

documento con la dettagliata struttura e funzione di Cosa Nostra: un documento che fu di grande

importanza per avviare il maxiprocesso. Perciò, Cassarà fu un naturale obiettivo della mafia, la

quale doveva difendersi a tutti i costi da questo pericoloso processo.

14

Cfr. Ivi, p. 86-88. 15

Cfr. Ivi, p. 56. 16

Alexander Stille, Excellent Cadavers: The Mafia and the Death of the First Italian Republic, Vintage, London 1996, p. 171.

9

Nel giugno del 1989 Falcone fu criticato anche per il suo rapporto con i pentiti. Ricevette

alcune lettere anonime firmate “corvo” (un‟espressione mafiosa che si riferisce ai magistrati)17

,

che incolpava Falcone di essere troppo amichevole con i pentiti interrogati. Una di queste lettere

accusava sia Falcone sia Gianni De Gennaro, capo della Criminalpol, di aiutare Salvatore

Contorno (un pentito) a ritornare in Italia allo scopo di assassinare i complici di Salvatore Riina. I

sospetti di chi potesse essere l‟autore di queste lettere ricaddero sul giudice Alberto Di Pisa,

grazie a un confronto tra impronte digitali. Il caso di Di Pisa fu esaminato dal Tribunale di

Caltanissetta che condannò il magistrato a un anno e mezzo di carcerazione perché giudicato

colpevole di essere realmente “il corvo”. Nel 1993 la prova dell‟impronta digitale venne

considerata inammissibile, e di conseguenza Di Pisa fu scagionato. Falcone aveva denunciato più

volte l‟atteggiamento ostile di alcuni suoi colleghi, che non gradivano il successo che stava

ottenendo con il suo lavoro18

.

In seguito all‟uccisione di tre poliziotti nei mesi estivi del 1985, le autorità ebbero il

timore che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino fossero in grave pericolo e decisero di trasferirli

temporaneamente, insieme alle loro rispettive famiglie, nel carcere dell‟Asinara. Furono di fatto

confinati su quest‟isola con l‟espediente che in quel luogo avrebbero avuto l‟opportunità di finire

il loro lavoro per il maxiprocesso senza alcuna distrazione. Sarà Antonino Caponetto a rivelare

che il vero motivo del trasferimento era la segnalazione di un possibile attentato nei confronti dei

giudici19

. Le autorità ricevettero questa informazione da una persona fidata e solo poche ore

prima di mandare Falcone e Borsellino sull‟isola in questione. Quando tornarono a Palermo,

dopo il loro temporaneo trasferimento all‟isola dell‟Asinara, seppero che avrebbero dovuto

pagare il soggiorno e anche le spese sostenute durante il soggiorno sull‟isola. Riguardo a questa

situazione, la sorella di Giovanni Falcone, Maria, afferma che: “Come se si fosse trattato di una

vacanza! È scandaloso che proprio lo Stato chiedesse soldi a due fra i suoi maggiori difensori”20

.

Nel 1987, in seguito alla conclusione del maxiprocesso di primo grado, il duro lavoro di

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino fu criticato da moltissimi giornalisti che descrissero il loro

17

Cfr. Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, cit., p. 125. 18

Cfr. S.a, Roberto Scarpinato (prefazione di), Le ultime parole di Falcone e Borsellino, a cura di Antonella Mascali, cit., p. 9. 19

Cfr. Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, cit., p. 91. 20

Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, cit., p. 99.

10

impegno come “un certo tipo di antimafia” che era ormai diventato un caso di moda, come

sostenuto, infatti, dal giornalista Lino Jannuzzi21

. Jannuzzi, in un suo articolo scritto sul Giornale

di Napoli, scrisse che Falcone era un mafioso che presto avrebbe occupato una posizione

importante a Roma. Quest‟articolo fece soffrire enormemente il magistrato. Secondo Leonardo

Sciascia22

, uno scrittore di libri sulla mafia, c‟erano persone che usavano la mafia come un mezzo

per raggiungere i propri desideri di potere.

Il 21 giugno 1989, Giovanni Falcone riuscì a sopravvivere a un attentato. Egli, in quel

giorno, si trovava in una cittadina non lontano da Palermo, Addaura, dove prese in affitto una

villa per le vacanze. Su uno scoglio vicino all‟abitazione, qualcuno mise una sacca piena di

esplosivo che si sarebbe innescato attraverso un telecomando a distanza. Per fortuna la sacca

venne scoperta da un agente di polizia, il quale chiamò gli artificieri per rimuovere la dinamite e

così il delitto fallì. Tuttavia, da questo tremendo episodio, Giovanni Falcone ebbe la

consapevolezza che la sua condanna a morte era stata ormai decisa. Giulio Andreotti, che in quel

periodo era Presidente del Consiglio, chiamò Falcone il giorno successivo all‟attentato per

comunicarli il suo appoggio in questo suo periodo difficile. Il giudice, riguardo a questa

telefonata, rivelò ad un suo amico che la prima persona a mandare fiori e ad esprimere solidarietà

nei funerali di mafia è proprio chi ha dato l‟ordine di eseguire il delitto23

. La settimana seguente

all‟attentato dell‟Addaura, il Consiglio Superiore della Magistratura decise di assegnare a

Falcone la carica di procuratore aggiunto alla Procura della Repubblica, amministrata dal

magistrato Pietro Giammanco. Dopo che Falcone venne a conoscenza della morte di Salvatore

Lima, eurodeputato della Democrazia Cristiana, egli percepì immediatamente che la mafia si era

indebolita e di conseguenza Cosa Nostra avrebbe usato tutte le sue risorse per salvarsi dal

tracollo. In seguito a tutti questi eventi, Giovanni Falcone disse a sua sorella: “Sono un cadavere

che cammina”24

. Questa sua affermazione dimostra quanto tutto ciò lo stava fiaccando e quanto

egli si sentì solo in quei momenti perché non volle mai coinvolgere nessuno dei suoi cari nelle

sue vicende. L‟esperienza illimitata di Falcone sui casi di mafia e le sue abilità di giudice erano

21

Ibid, p. 102, 107. 22

Leonardo Sciascia non è solo uno scrittore di libri di mafia, ma è stato anche saggista, politico, poeta, giornalista, drammaturgo, sceneggiatore e insegnante di scuola elementare. 23

Cfr. Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, cit., p. 124. 24

Ivi, p. 130.

11

fonte di enorme preoccupazione per le organizzazioni criminali: per questo motivo ucciderlo fu

l‟unico modo per rendere Falcone, e anche la società, vulnerabili ad altri attacchi.

Giovanni Falcone volle che la Superprocura da lui ideata operasse nello stesso modo in

cui funzionava il pool antimafia. Egli, perciò, desiderò ricreare lo stesso ambiente in cui il pool

antimafia operò nella sua massima efficienza, prima del suo improvviso smantellamento. Ciò

nonostante, quando Falcone prese la decisione di creare la superprocura riuscì a trovare persone

che approvarono il suo lavoro, ma ci furono anche persone che non lo appoggiarono affatto, tra i

quali il suo collega ed amico Paolo Borsellino. La ragione per cui Borsellino non diede il suo

sostegno a Falcone, risiedeva nell‟eccessivo potere attribuito al Ministero nella scelta del

superprocuratore; ebbe timore di una scelta sbagliata. Borsellino diceva che la procura nazionale

poteva essere un‟istituzione efficiente, solo se a gestirla fosse stato Falcone25

. Falcone non portò

rancore nei confronti di Borsellino, anzi dopo questo evento i due risolsero le loro divergenze

amichevolmente, come fecero sempre. Infatti, il rapporto sul ruolo del procuratore nazionale fu

riscritto trentadue volte prima di diventare un documento ufficiale: per cancellare ogni incertezza

sull‟incarico del superprocuratore e anche sulla sua struttura e sulle sue relazioni con altri uffici

della procura. Tuttavia, il 26 febbraio 1992, il timore del giudice Borsellino si rivelò esatto: il

Comitato che aveva il compito di esaminare le proposte del CSM, nominò come candidato alla

carica di superprocuratore, con una maggioranza di voti, Agostino Cordova. Il Comitato scelse

Cordova, procuratore di Palmi, invece di Falcone, perché nella loro opinione egli, a differenza

dell‟ideatore della Superprocura, fu “lontano da qualsiasi centro di potere”26

. Il ministro Claudio

Martelli non fu d‟accordo con questa decisione della Commissione e non volle dare la sua

autorizzazione alla nomina di Cordova: la Superprocura fu creata e sviluppata da Falcone e

perciò sarebbe stato un suo diritto amministrarla. Paolo Borsellino decise di rivelare la sua

opinione riguardo la nomina di Cordova come superprocuratore a un suo amico giornalista,

Umberto Lucentini. Gli confidò che il candidato adatto a quella posizione era Giovanni Falcone e

non Agostino Cordova, per il motivo che Falcone aveva un‟esperienza maggiore in casi di

criminalità organizzata, in modo particolare in investigazioni di mafia27

. La cosa più strana è che

in seguito alla morte di Giovanni Falcone, il nome di Agostino Cordova non fu mai più proposto.

Inoltre, l‟incarico di superprocuratore fu molto attaccato perché ritenuto come ostacolo

25

Cfr. Leone Zingales, Paolo Borsellino: Una vita contro la mafia, Limina, Arezzo 2005, p. 68-69. 26

Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, cit., p. 46. 27

Cfr. Ivi, p. 46-47.

12

all‟autonomia della magistratura, specialmente se a guidarla fosse stato il giudice Falcone.

Tuttavia, Giovanni Falcone difese questo ruolo che, a suo avviso, non avrebbe avuto nessun

effetto negativo sull‟indipendenza della magistratura.

1.4. La sua tragica morte

Il magistrato Giovanni Falcone morì il 23 maggio 1992 sull‟autostrada A29 presso Capaci

alle ore 17.58, insieme a sua moglie Francesca Morvillo e a tre agenti della sua scorta: Vito

Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Solo quattro dei membri della scorta sono riusciti a

sopravvivere a quella strage: l‟autista di Falcone, Giuseppe Costanza e gli agenti Paolo Capuzza,

Gaspare Cervello e Angelo Corbo28

. Fu il mafioso Giovanni Brusca che attivò il telecomando che

fece esplodere i cinque quintali di esplosivo, così uccidendo il magistrato e le altre vittime.

Francesca Morvillo fu l‟unica donna magistrato ad essere uccisa dalla mafia.

Giovanni Falcone ebbe in programma di rientrare a Palermo da Roma il 22 maggio 1992,

perché volle vedere la mattanza a Favignana, che fu previsto per il giorno dopo. Gli agenti della

sua scorta però gli sconsigliarono di fare il viaggio a Favignana perché sarebbe stata

un‟imprudenza, così Falcone decise di rimandare il viaggio per il giorno seguente e partire con

Francesca, la quale si trovò anche lei a Roma in quei giorni. Arrivati a Punta Raisi, Falcone

decise di guidare lui, invece di lasciare guidare il suo autista, il quale non fu d‟accordo ma decise

di non andare contro la volontà di Falcone, sedendosi così nel sedile posteriore per la durata del

viaggio. Di conseguenza, Giuseppe Costanza, l‟autista di Falcone sopravvissuto alla strage di

Capaci, si salvò per puro caso: grazie al fatto che egli era seduto nel sedile posteriore e anche

perché prima dell‟esplosione, Falcone rallentò per dargli un mazzo di chiavi e, precisamente in

quel momento ci fu l‟esplosione che colpì la parte anteriore della macchina. Perciò fu grazie a

questi due fattori che Costanza si salvò da questa disgrazia. Inoltre, quel giorno, il quotidiano

Giornale di Sicilia ricevette una telefonata anonima, che alludendo all‟esplosione, sostenne che:

“È un regalo di matrimonio di Salvino Madonia”.29

Salvatore „Salvino‟ Madonia, figlio di

Francesco Madonia (capo mafia), si sposò nella prigione dell‟Ucciardone il giorno stesso della

strage e, probabilmente la morte di Falcone fu un modo per vendicarsi del padre che fu

condannato all‟ergastolo nel maxiprocesso.

28

Cfr. Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, cit., p. 170. 29

Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizzo, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, cit., p. 48.

13

Giovanni Brusca, il mafioso che organizzò la strage di Capaci, è un uomo che è colpevole

di molti altri delitti, come la morte di Ignazio Salvo, un impresario collegato a Cosa Nostra. Fu

responsabile anche della morte di Rocco Chinnici, perché fu lui che mise gli esplosivi sotto l‟auto

del magistrato. Brusca fu catturato il 20 maggio 1996 e, riguardo questa sua cattura egli disse:

“Sono un criminale che è stato fermato in tempo.....Ma sono anche un criminale che è stato

fermato con molto ritardo”30

. Probabilmente egli fece riferimento alla morte del giudice Falcone

e al fatto che le forze della giustizia non furono in grado di proteggerlo adeguatamente. I mafiosi

non tolleravano il giudice Falcone perché egli gli mise in una posizione molto problematica ed

era uno dei pochi che fu in grado di accedere alla struttura di Cosa Nostra e di capire il modo in

cui funzionava. La decisione di uccidere Giovanni Falcone fu presa alla fine del 1982, ma la

mafia decise di liberarsi prima di Rocco Chinnici, e poi avrebbero pensato a togliere di mezzo

Falcone. Fortunatamente, Cosa Nostra rimandò il suo piano d‟assassinare il giudice, perché a

quel tempo venne attaccata dai suoi nemici interni e perciò doveva difendersi da loro prima di

pensare ai suoi altri problemi. In seguito alla morte del magistrato Chinnici, numerosi mafiosi

rifletterono su varie opportunità di sbarazzarsi di Giovanni Falcone. Infatti, ci furono diversi

tentativi di uccidere Falcone: uno accade nel 1984, un altro nel 1987 e nel 1989 ci fu l‟attentato

dell‟Addaura, che era la conseguenza del consenso tra tutti i capi delle diverse comunità mafiose.

In quel periodo, i mafiosi capirono che Falcone stava diventando sempre più forte e quindi

dovettero pensare a un modo per liberarsi di lui al più presto possibile.

Brusca sosteneva che per capire meglio la strage di Capaci è necessario ritornare al 1984,

l‟anno in cui il mafioso Tommaso Buscetta diventò un pentito e cominciò ad aiutare lo stato31

.

Questo evento era un imprevisto che cambiò tutti i piani della mafia. Per cercare di rimediare a

questa difficoltà, Brusca andò a parlare del loro problema con Ignazio Salvo per chiedergli di

prendere provvedimenti riguardo il maxiprocesso. A questa richiesta d‟aiuto da parte di Giovanni

Brusca, Salvo rispose: “Sai, qualche amico ce lo abbiamo ancora, siamo ancora capaci di

condizionare le cose. Falcone non diventerà capo dell‟ufficio istruzione”32

. Inoltre, grazie

all‟aiuto di Claudio Vitalone e di Giulio Andreotti, alcuni magistrati avrebbero vuotato contro

Giovanni Falcone, così ostacolando la sua nomina per il ruolo di capo del pool antimafia. Di

conseguenza, non ci fu più la necessità di ammazzare Falcone, dato che con la collaborazione dei

30

Saverio Lodato, “Come ho ucciso Giovanni Falcone”: La confessione di Giovanni Brusca, Mondadori, Milano 2011, p. 9. 31

Cfr. Ivi, p. 87. 32

Ivi, p. 89.

14

cugini Salvo, Falcone non avrebbe avuto l‟autorità di continuare il suo lavoro. Il boss di Cosa

Nostra, Totò Riina, non era sufficientemente soddisfatto di questo provvedimento al loro

problema, e decise di liberarsi del magistrato ugualmente. Ignazio Salvo e Nino Salvo all‟inizio

furono d‟accordo con l‟idea di uccidere Falcone, ma col tempo decisero di abbandonare questa

prospettiva e di lavarsi le proprie mani da qualunque decisione presa da Cosa Nostra riguardo il

giudice.

La scelta del luogo dell‟attentato non fu di Giovanni Brusca, ma lui si limitò soltanto a

perfezionare l‟idea di altri mafiosi. Egli preparò tutto nello stesso modo in cui organizzò la morte

di Rocco Chinnici. Quest‟attentato era così importante per Cosa Nostra, che i mafiosi convolti

direttamente nella strage di Capaci fecero numerose prove, come ad esempio prove di velocità,

per determinare la velocità alla quale Falcone guidava su l‟autostrada di Capaci. Perciò, il

complice di Giovanni Brusca, Gioacchino La Barbera, seguì l‟auto di Falcone e quelle delle sua

scorta in parallelo per evitare di insospettirli inaspettatamente. Insieme a Giovanni Brusca e a

Gioacchino La Barbera, furono responsabili della strage anche Pietro Rampulla, Antonino Gioè e

Salvatore Cancemi. Pietro Rampulla era l‟uomo che preparò e sistemò l‟esplosivo nel posto

deciso in precedenza sotto l‟autostrada. Salvatore „Totò‟ Riina, era il più sospettato di essere il

mandante della strage di Capaci. Ciò fu sostenuto da numerosi pentiti e anche da relazioni

dettagliate alla magistratura della polizia giudiziaria. Uno dei pentiti che accusò Riina, era

Rosario Spatola, che si riferì a Riina come “il capo dei capi della mafia siciliana” e disse che la

famiglia Madonia era sua amica33

. La polizia cercò di rintracciare Riina ma senza risultati. In

seguito, l‟avvocato di Riina, Cristoforo Fileccia, confermò che Riina si trovava in Sicilia.

Paolo Borsellino venne a conoscenza della strage solo poco minuti dopo da un suo

collega. In quel momento egli era dal barbiere, ma dopo che ricevette la notizia, si alzò di colpo e

si recò in fretta e furia a casa, scioccato dalla sconvolgente informazione, alla quale non riuscì a

credere. Quando giunse a casa, dalla rabbia che egli provò in quel momento, cominciò a colpire il

muro con la sua cintura per una decina di volte, probabilmente per sfogare la sua collera. I suoi

figli furono sconvolti dall‟atteggiamento del padre, il quale gli rivelò la ragione per le sue azioni.

Lucia, la primogenita, riuscì a calmarlo, dopo di che lo accompagnò all‟ospedale in cui furono

ricoverati Falcone, sua moglie e gli agenti della scorta. Quando egli arrivò all‟ospedale, andò

immediatamente nella camera di Falcone e uscì dopo dei lunghi attimi, ancora più impallidito di

33

Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, cit., p. 156.

15

prima, e abbracciando la figlia, la informò della morte di Giovanni. Dopo qualche attimo

Borsellino vide entrare nell‟ospedale la sorella di Falcone, Maria, e mentre la abbracciò, le disse:

“È morto fra le mie braccia qualche minuto fa. Senza però riprendere conoscenza”34

.

Successivamente, Borsellino vide uscire il fratello di Francesca, Alfredo Morvillo, dalla camera

della sorella e, dal suo sguardo vuoto, capì che anche Francesca aveva appena perso la vita, e si

sentì ancora più amareggiato. Il giorno seguente, Borsellino si fermò per quasi l‟intera notte a

proteggere il cadavere di Falcone.

Il giorno dopo la strage, il giudice Borsellino cominciò ad indagare sulla morte del suo

carissimo amico e collega Giovanni Falcone, perché volle scoprire la ragione per cui fu ucciso.

Ciò nonostante, egli non aveva la facoltà d‟investigare sulla morte del proprio amico e collega,

perché questa era una competenza della procura di Caltanissetta, che sfortunatamente non era una

procura molto efficiente, tanto che era quasi come se non esistesse e, di conseguenza, non c‟era

molta speranza nelle sue indagini sulla morte di Falcone. Nelle sue ricerche Borsellino cercò di

confermare le sue convinzioni rispetto al movente della morte del collega, cioè: il ruolo

importante che Falcone possedé al ministero e anche il fatto che la sua candidatura a

Superprocuratore era più preferita di altre, poterono essere la ragione per la quale gli stragisti

decisero di terminare l‟avanzamento professionale di Giovanni Falcone. Antonino Calderone, un

mafioso che diventò anche un pentito, sosteneva in un‟intervista con il giornale La Repubblica,

che la morte del magistrato era prevista da molto tempo e che venne anche rinviata, ma poi non

potevano ritardarla per due precisi motivi: la conferma degli ergastoli di alcuni dei boss della

mafia, come Francesco Madonia, e anche il suo incarico quasi certo di amministratore della

Superprocura35

. In un‟intervista, Borsellino ammise a un giornalista che Giovanni Falcone aveva

indubbiamente dei nemici dentro la magistratura36

.

Riguardo all‟eccidio di Capaci, Charles Rose, un procuratore americano, disse che

quell‟attentato fu un‟idea solamente della mafia siciliana, e che la mafia americana non approvò

per niente le sue azioni; inoltre, sostenne che quell‟atto terroristico fu un gesto di paura e di

solitudine da parte della mafia siciliana37

. Quest‟atto, infatti, fu così catastrofico e tremendo che

intimidì i pentiti, in modo particolare i due collaboratori più importanti: Salvatore Contorno e

34

Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, cit., p. 169. 35

Cfr. Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, cit., p. 61. 36

Cfr. Ivi, p. 54. 37

Cfr. Ivi, p. 53.

16

Antonino Calderone, al punto che non erano più disposti a parlare. Tuttavia, il ministro Vincenzo

Scotti non era d‟accordo con Charles Rose, perché egli crede fermamente che la strage di Capaci

non fosse un‟idea esclusivamente della mafia siciliana, ma che invece la mafia americana aveva

dato una mano a quella siciliana a commettere l‟attentato. Inoltre, riguardo al reato di Capaci,

Scotti sosteneva che: “Non è stato né l‟ultimo né il più sensazionale delitto di mafia”38

. Il

presidente del consiglio, Giuliano Amato, credé che l‟eccidio del 23 maggio fu deciso fuori da

Palermo, perché la mafia non è un problema solo della Sicilia, ma è un fenomeno mondiale;

un‟affermazione con la quale era d‟accordo anche Scotti39

. Per onorare Falcone,

l‟amministrazione Bush senior decise di dedicargli una targa commemorativa che fu messa nella

stesso ufficio di Washington dove venne creato il gruppo di collaborazione italoamericano per lo

scontro contro la mafia.

Il 25 maggio 1992, due giorni dopo la strage di Capaci, c‟era il funerale di Giovanni

Falcone e delle altre vittime dell‟eccidio. In quel giorno, la maggior parte, se non tutti, dei

cittadini di Palermo onorarono il ricordo del giudice, sua moglie e dei tre agenti morti

nell‟esplosione. Tuttavia, la polizia non permise alla gente entrare nella chiesa per motivi di

sicurezza. Nella chiesa, tra i numerosi uomini politici, c‟erano anche il presidente Giovanni

Spadolini, il ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli, il ministro dell‟Interno Vincenzo

Scotti e il ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni Carlo Vizzini. La folla, di fronte a

questi uomini delle istituzioni, mostrò il suo dispiacere e disprezzo verso la loro incapacità di

proteggere Giovanni Falcone nel modo migliore. Durante il funerale, Rosaria Schifani, la moglie

di Vito Schifani, uno degli agenti morti nella strage, espresse il suo dolore attraverso un

messaggio che indirizzò ai mafiosi colpevoli dell‟eccidio: “Mafiosi, io vi perdono, solo dovete

mettervi in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare, di cambiare, di cambiare, dovete

cambiare, cambiare, cambiare radicalmente i progetti di morte che avete”40

. I feretri delle vittime

furono portati a spalla quasi tutti da Borsellino, tranne quella di Schifani. Nel periodo successivo

al funerale delle vittime, c‟era un‟indicazione che il messaggio di Rosaria e le sue lacrime

avevano effettivamente commosso alcuni mafiosi.

Esattamente dopo il funerale delle vittime di Capaci, venne convocata una seduta

provvisoria del assemblea generale del CSM. Fu una riunione inaspettata, troppo affrettata, come

38

Ivi, p. 93. 39

Cfr. Ivi, p. 162-163. 40

Ivi, p. 40.

17

se vollero lodare Falcone, che ora è amato da tutti solo perché è morto. Oltre a ciò, quel giorno il

Parlamento riuscì finalmente ad eleggere il presidente della Repubblica: Oscar Luigi Scalfaro, un

democristiano. Perciò la strage di Capaci, anche se era un grave incidente, fu utile per eliminare

la situazione di paralisi in cui si trovò il paese da molte settimane. L‟ambasciatore americano,

Peter Secchia, comparò la morte di Falcone a quella di Aldo Moro, il quale fu rapito e ucciso dal

gruppo terrorista Brigate Rosse, e sperò che la sua morte avesse le stesse conseguenze positive

nella battaglia contro la mafia, che la morte di Moro ebbe nella lotta contro il terrorismo. Egli

desiderò che il cinema e la televisione partecipassero anche loro alla lotta contro la criminalità

organizzata, iniziando a mostrare la mafia per quella che realmente è e non come una

congregazione rispettata. Antonio Caponetto sostenne che, secondo lui, Falcone iniziò a morire

nel gennaio del 1988, quando il Csm gli voltò le spalle e scelse Antonio Meli al suo posto per

guidare il pool antimafia e continuò a morire quando ricevette tutte quelle critiche negative sulla

superprocura e sulla sua candidatura a guidarla41

.

Giovanni Falcone teneva un diario sul suo computer in cui scriveva tutto del suo lavoro

fino al minimo dettaglio. Ciò lo affermò Giuseppe Ayala, un magistrato antimafia, che era a

conoscenza di questo diario perché gli lo confidò Falcone stesso. Anche Maurizio Calvi, Senatore

Socialista e vicepresidente della Commissione antimafia, era a conoscenza del diario di Falcone,

siccome glielo ebbe rivelato il magistrato stesso. Inoltre, il senatore Calvi era al corrente del fatto

che Falcone diffidava del commissariato di Palermo, dei carabinieri di Palermo e non si fidava

nemmeno di alcune persone dentro la prefettura di Palermo. Paolo Borsellino all‟inizio non fece

nessun commento riguardo a quel presunto diario, ma poi disse che se quel diario era personale

allora solo la sua famiglia poteva prendere la decisione di divulgare i suoi contenuti; se invece era

un diario con note utili alle investigazioni, questo diritto spettava all‟autorità giudiziaria

incaricata del caso Falcone42

. Inoltre, Borsellino sperava che tutti quelli che erano a conoscenza

delle informazioni che potevano essere d‟aiuto alle investigazioni, andassero a comunicarli a

Salvatore Celesti, il procuratore della Repubblica di Caltanissetta, e non ai giornalisti. Tuttavia,

questi appunti non si trovarono da nessuna parte inizialmente. Le investigazioni realizzate

nell‟ufficio di Falcone e nella sua casa per il diario non furono produttive. Il diario del magistrato

Falcone fu finalmente trovato il 24 giugno 1992, però non era quello digitale di cui parlò in

precedenza Ayala, ma era una raccolta d‟appunti. Questi appunti erano pubblicati in un articolo

41

Cfr. Ivi, p. 119-123. 42

Cfr. Ivi, p. 97-98.

18

scritto dalla giornalista, Liana Milella nel giornale Il Sole 24 Ore. Nell‟articolo spiega che gli

appunti glieli aveva dati Falcone in persona nel luglio dell‟anno precedente. Queste note

contenevano allusioni alle vicende accadute tra la fine del 1990 e l‟inizio del 1991. Questo

articolo dimostrò che Falcone non teneva un autentico diario, ma bensì degli appunti collegati al

suo lavoro e ai suoi incarichi processuali.

Riguardo il computer di Falcone, Gioacchino Genchi, il tecnico informatico della procura,

rivela che il computer del magistrato era stato usato qualche settimana dopo la sua morte, senza

autorizzazione, e che alcuni dei file contenuti nel computer furono scomparsi. Luciano Petrini, un

esperto che fu incaricato dalla procura di Caltanisetta ad effettuare delle ricerche informatiche sul

computer di Falcone, confermò la scoperta di Genchi riguardo ai file mancanti, e probabilmente

anche letti, del giudice.

19

2. PAOLO BORSELLINO

2.1. Profilo biografico

Paolo Emanuele Borsellino nacque il 19 gennaio 1940 a Palermo, nello stesso quartiere in

cui nacque Giovanni Falcone. Figlio di Diego Borsellino e di Maria Pia Lepanto, entrambi

farmacisti e proprietari della farmacia più antica della zona in cui vissero, egli era il secondo di

quattro figli. Aveva una sorella maggiore, Adele, un fratello minore, Salvatore, e l‟ultimogenita,

Rita.

Paolo Borsellino frequentò le scuole dell‟obbligo e poi s‟iscrisse al liceo classico

Giovanni Meli di Palermo. Durante il tempo che passò al liceo classico, diventò il direttore del

giornale studentesco, intitolato Agorà43

. Nel settembre 1958, alla fine della sua formazione al

liceo classico, Borsellino decise di iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza dell‟Università di

Palermo. Durante i suoi studi fece parte del Fronte Universitario d‟Azione Nazionale, un gruppo

universitario di destra conosciuto anche con l‟acronimo, FUAN. Si laureò con il massimo dei voti

il 27 giugno 1962 e, un anno dopo, superò il concorso che gli permise di entrare in magistratura.

Nel 1968, Paolo Borsellino sposò Agnese Piraino Leto e dal loro matrimonio nacquero tre figli:

Lucia, Manfredi e Fiammetta. Borsellino non era un cattolico intransigente, la sua religiosità fu

aperta, molto tollerante, ma per lui le feste comandate erano sacre perché in questi eventi amava

radunare tutta la famiglia. Teneva molto alla sua famiglia e perciò cercò sempre di proteggerla a

tutti i costi. Egli era un uomo a cui interessava molto la forma fisica; infatti, andava in bicicletta e

praticò anche il nuoto. A Borsellino non piaceva influenzare la volontà della gente, voleva

lasciare tutti liberi di fare la propria scelta, specialmente quando si trattava dei suoi figli, e non

imponeva la sua opinione nemmeno a colleghi ed amici.

Paolo Borsellino viene descritto da un suo collega, Giuseppe Di Lello, come una persona

inavvicinabile, in modo particolare sul posto di lavoro. Di Lello, un giudice che fece parte del

pool antimafia, dice che Borsellino “era estremamente serio nei rapporti con imputati e difensori”

e che non si concedeva mai un momento di libertà mentre stava lavorando44

. Era una persona con

un grande senso dell‟umorismo, s‟interessò molto della vita dei suoi amici, era un uomo, come

43

S.a., Borsellino Paolo, in “Le pietre raccontano”, http://www.comune.cinisello-balsamo.mi.it/pietre/spip.php?article323, s.d. 44

Leone Zingales, Paolo Borsellino: Una vita contro la mafia, cit., p. 2.

20

dice Di Lello, “di una complessità e di una umanità straordinaria”45

. Manfredi Borsellino, il figlio

di Paolo, descrive il padre come un uomo molto modesto e semplice, che lavorava sempre con

disciplina e una grande considerazione delle leggi. Era una persona molto allegra e Manfredi

considera questa sua caratteristica un grande pregio46

. Antonio Ingroia, un altro magistrato che

fece parte del gruppo antimafia, descrive Borsellino come un amico sincero, genuino; un uomo

con un carattere molto amabile, ma allo stesso tempo anche una persona un po‟ imprevedibile47

.

Riguardo al rapporto tra Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Manfredi commenta che

Falcone fu il “naturale completamento professionale” di suo padre.48

Tuttavia, erano diversi in

una cosa fondamentale: Falcone non aveva figli, mentre per Borsellino, i suoi figli

rappresentavano il significato stesso della propria vita. Rocco Chinnici e Antonino Caponetto

erano due superiori di Borsellino in quanto dirigevano il pool antimafia: con le loro capacità di

guidare il gruppo e con le loro esperienze, lo aiutarono a maturare sia come uomo, sia come

giudice. Egli era duro con se stesso, specialmente sul lavoro, eppure non esitò mai a mostrare il

suo lato spiritoso. Non era severo solo con sé, ma anche con i suoi colleghi. Alla procura di

Marsala, Borsellino si occupò principalmente d‟investigazioni di mafia. Ingroia dice che verso i

suoi compagni di lavoro più giovani, aveva un comportamento protettivo, anche se, quando era

necessario, non esitava a rimproverarli; in oltre, dice anche che i cittadini di Marsala avevano un

grande rispetto per lui49

. Ai suoi colleghi, egli lasciò un importante insegnamento: non si deve

mai abbandonare la speranza di trovare la verità, in questa ricerca si deve essere perseveranti e si

deve avere la forza di continuare a cercare.50

Paolo Borsellino credeva fermamente che per

sconfiggere definitivamente la mafia è necessario che tutti diano il proprio contributo in questa

lotta.

2.2. I suoi successi e le sue vittorie

I successi di Paolo Borsellino ebbero inizio nel 1965 quando ricevette il suo primo

compito come uditore giudiziario presso il Tribunale civile di Enna. In seguito, lavorò per due

anni alla Pretura di Mazara del Vallo, dal 1967 fino al 1969, quando venne trasferito alla Pretura

45

Ivi, p. 3. 46

Cfr. Ivi, p. 66. 47

Cfr. Ivi, p. 118. 48

Ivi, p. 66. 49

Cfr. Ivi, p. 118-121. 50

Cfr. Ivi, p. 121.

21

di Monreale. In questa Pretura ebbe la possibilità di lavorare con Emanuele Basile, un ufficiale

dei carabinieri ucciso dalla mafia. Nel luglio del 1975, dopo che cominciò a lavorare al Tribunale

di Palermo, venne incaricato come giudice presso l‟Ufficio istruzione processi penali, guidato da

Rocco Chinnici.

Nel 1986, Paolo Borsellino decise di lasciare il pool antimafia e perciò avanzò una

richiesta di trasferimento e, inoltre, al Consiglio Superiore della Magistratura, mostrò anche un

interesse verso la posizione di procuratore della Repubblica di Marsala. Il Csm esaminò le

competenze di Borsellino e si decise di assegnargli la carica di Capo della Procura. La decisione

fu presa in base alle capacità professionali e alle esperienze che Borsellino aveva ottenuto

lavorando sui casi di mafia51

. Si trasferì nella procura di Marsala il 19 dicembre 1986. Anche se

questo evento fu un successo professionale, fu anche una nomina molto criticata perché dalle

esperienze professionali invece che dal criterio dell‟anzianità52

. Il figlio di Borsellino, Manfredi,

ha in più occasioni ribadito quanto fosse importante per il padre la nomina a procuratore di

Marsala; un‟esperienza fondamentale per aiutare Borsellino a crescere come capo di una procura

e anche come magistrato53

.

Paolo Borsellino conseguì altri successi: tra gli altri merita una menzione speciale il modo

in cui conduceva gli interrogatori con i pentiti. Nel 1992, egli riuscì a persuadere Gioacchino

Schembri ad aiutare il governo ed anche a raccontare della lotta agrigentina tra Cosa nostra e la

Stidda54

. Borsellino interrogò anche il boss di Caltanissetta, Leonardo Messina, il quale era al

corrente di tutto ciò che riguardava la mafia nissena. La sua testimonianza riuscì a chiarire molti

dubbi sulle trattative segrete della massoneria che complottava con il crimine organizzato e l‟alta

finanza di riciclatori55

. Durante il suo ultimo interrogatorio a Gaspare Mutolo, protrattosi per

molte ore, Borsellino riuscì a convincere il malavitoso a mettere per iscritto le sue incriminazioni

contro Bruno Contrada, che fu un dirigente generale della Polizia di Stato, e Domenico

51

Cfr. Ivi, p. X. 52

Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, cit., p. 109. 53

Cfr. Leone Zingales, Paolo Borsellino: Una vita contro la mafia, cit., p. 69. 54

La Stidda è un’organizzazione criminale rivale di Cosa Nostra, che opera maggiormente nella parte meridionale della Sicilia. 55

Cfr. Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, cit., p. 170.

22

Signorino, che fu un giudice al maxiprocesso. Sfortunatamente non ebbero tempo e

l‟interrogatorio rinviato di giorno in giorno, non si completò mai.56

Un grande trionfo per Paolo Borsellino fu quello di riuscire ad influenzare il modo di

pensare della gente sul problema del crimine organizzato. Egli convinse la società siciliana che,

se ogni persona dà il proprio contributo, si può battere la mafia. Lo stesso Ingroia ammise di aver

appreso da Borsellino come la dedicazione per il lavoro consenta di sconfiggere mafia e

opportunismo57

.

2.3. Le sue difficoltà e le sue sofferenze

Le difficoltà professionali, e anche quelle personali, di Paolo Borsellino iniziarono il 4

maggio 1980. Quel giorno fu ucciso l‟ufficiale dei carabinieri Emanuele Basile, che fu un collega

e anche un grande amico di Borsellino. Dopo la sua morte, a Borsellino furono assegnate delle

guardie del corpo, per una maggiore sicurezza. La morte di Rocco Chinnici fu un evento

ugualmente difficile per Paolo Borsellino e anche per la sua famiglia. Manfredi Borsellino,

riguardo alla morte di Rocco Chinnici, sostenne che: “La strage ha sicuramente segnato per mio

padre e la sua famiglia un punto di non ritorno”58

.

All‟inizio del 1987, Leonardo Sciascia scrisse un articolo contro la nomina di Paolo

Borsellino a Capo della procura di Marsala. Quest‟articolo fu all‟origine di numerose polemiche

riguardo ai professionisti dell‟antimafia, come, infatti, era intitolato l‟articolo di Sciascia59

.

Leonardo Sciascia era lo scrittore preferito di Borsellino, che percepì l‟articolo come un duro

attacco nei suoi confronti e una fonte di grande sofferenza. Nel suo articolo, Sciascia sosteneva

che alcune persone stavano ricavando un personale tornaconto dallo scontro con la mafia

siciliana: a suo avviso, una di queste era proprio Borsellino. Sciascia, inoltre, affermava che il

nuovo Procuratore della Repubblica aveva ottenuto il posto grazie si molti incarichi ottenuti in

56

Cfr. Ivi, p. 182-183. 57

Cfr. Leone Zingales, Paolo Borsellino: Una vita contro la mafia, cit., p. 124. 58

Ivi, p. 69. 59

I Professionisti dell’antimafia è un articolo scritto da Leonardo Sciascia il 10 gennaio 1987 sul quotidiano Il Corriere della Sera. In quest’articolo Sciascia attacca alcuni magistrati del pool antimafia, accusandoli di essere degli opportunisti perché, secondo lui, usano la loro esperienza nei casi di mafia per fare carriera.

23

precedenza. Sarebbe invece stato preferibile nominare Giuseppe Alcamo, il quale, secondo

Sciascia, era più adatto a ricoprire questo incarico, data la sua maggiore anzianità60

.

Il 23 maggio 1992, giorno in cui fu ucciso Giovanni Falcone, fu una data che provocò

molta sofferenza a Paolo Borsellino. Egli non perse solo un collega di lavoro, ma anche un

carissimo amico che si trovava nella sua stessa situazione professionale. Borsellino si ritrovò da

solo e, di conseguenza, si sentì come un cadavere ambulante. Anche se si sentì intimorito da tutta

questa situazione, egli riconobbe sempre i pericoli e le conseguenze del suo mestiere e, con

questo suo atteggiamento, dimostrò molto coraggio. La morte di Falcone lo intimidì, ma

nonostante ciò non si lasciò mai scoraggiare e continuò sempre a lavorare con il massimo

impegno. Avrebbe voluto indagare sulla morte del suo amico, anche perché ciò lo avrebbe aiutato

a colmare la sua sofferenza; però non gli fu possibile farlo in quanto la Procura di Palermo non

era responsabile delle investigazioni sulla strage di Capaci. Trascorse molto tempo a esaminare e

a valutare i fatti della strage e persino alcune conversazioni con Giovanni Falcone, risalenti al

periodo immediatamente precedente alla disgrazia: queste gli fornirono alcune certezze riguardo

alla dinamica di quell‟evento disastroso. Borsellino continuò a cercare di scoprire qualcosa

riguardo alla strage di Capaci e, nonostante i tanti momenti di sconforto, ci fu qualcosa che lo

indusse a perseverare: il senso che la popolazione siciliana fosse con lui e con tutti i giudici

onesti.

In seguito alla strage di Capaci, Borsellino fu segnalato come la successiva vittima di

Cosa Nostra. I segnali sul suo destino continuarono ad aumentare e nei corridoi dei penitenziari

lo si diede già per morto. Ciò fu sostenuto dal maresciallo Antonio Lombardo, il quale si recò

nella prigione di Fossombrone per interrogare Girolamo d‟Adda, un detenuto, sull‟esplosione di

Capaci61

. Il magistrato, a un mese dalla morte di Falcone, chiese a Mario Mori e Beppe De

Donno, due ufficiali dei carabinieri, di cominciare un‟investigazione segreta, guidata solo da lui,

sui collegamenti tra mafia e appalti. Secondo questi due ufficiali, Borsellino prese questa

decisione perché riteneva che i rapporti tra mafia e appalti potessero essere tra i motivi principali

della strage di Capaci62

. Ufficialmente, egli non poteva avviare alcuna indagine in tale direzione,

dato che come procuratore aggiunto era responsabile solo delle cittadine di Trapani e Agrigento.

Il permesso d'investigare sulla Cosa Nostra palermitana arrivò solo la mattina del giorno della

60

Cfr. Leone Zingales, Paolo Borsellino: Una vita contro la mafia, cit., pp. 88-89. 61

Cfr. Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, cit., p. 111. 62

Cfr. Ivi, p. 113.

24

morte del giudice Borsellino. Tuttavia, ad Antonio Ingroia sembrò strano che Borsellino fosse

certo che la causa della morte di Falcone era proprio la connessione tra mafia e appalti63

.

Oltre alle difficoltà professionali, alla morte del collega e al fatto di essere un bersaglio

della mafia, Borsellino aveva un altro problema di cui si doveva preoccupare. Quest‟altra fonte di

malumore fu per Paolo Borsellino la decisione del Movimento Sociale Italiano di nominarlo

Presidente della Repubblica. Egli venne informato di questa decisione da Guido Lo Porto,

amministratore del partito e suo amico. Borsellino fu grato della fiducia che il partito mostrava

nei suoi confronti, però a suo avviso sarebbe stato necessario scegliere persone maggiormente

adatte alla politica e non fare delle mosse dimostrative. Ciò nonostante, il partito lo nominò

ugualmente, andando così contro il desiderio di Borsellino; azione che il magistrato non apprezzò

per niente.

Dopo la morte di Falcone, arrivò anche la candidatura di Borsellino alla carica di

Superprocuratore. In seguito alla strage di Capaci, il ministro di Grazia e Giustizia, Claudio

Martelli, decise di rinviare la scadenza per la presentazione delle candidature a capo della

Superprocura, per dare ad altri magistrati la possibilità di partecipare al concorso:

Bisogna riaprire i termini del concorso alla carica di superprocuratore. Ci sono decine di magistrati

validi e capaci che non avevano presentato domanda per concorrere alla carica. Non lo avevano fatto

perché davano per scontato che nessuno meglio di Falcone fosse adatto per quel ruolo. È necessario

ora dare loro la possibilità di concorrere.64

Il ministro degli interni, Vincenzo Scotti, a nome anche del ministro Martelli, volle proporre

Paolo Borsellino per la carica di superprocuratore. Questa proposta fu imprevista persino per

Borsellino che accolse questa candidatura indesiderata con un silenzio colmo di rabbia e di

dispiacere. Egli sentì che candidarsi al ruolo di capo della Superprocura e, di conseguenza,

diventare il successore di Giovanni Falcone, sarebbe stata, come poi si rivelò, una mossa

rischiosa, che lo avrebbe messo in prima linea nella lotta antimafia e che, di fatto, lo avrebbe

designato come la vittima successiva. Al contrario di ciò che sostenne il ministro Scotti, Claudio

Martelli disse di non aver raccomandato alcuna nomina, ribadendo di aver soltanto proposto al

Csm di attivare nuovamente le scadenze per altre possibili candidature. Il ministro Scotti,

intervistato a tal proposito, ribadì di non aver presentato nessuna candidatura; egli sembrò solo

63

Cfr. Ivi, p. 114. 64

Ivi, p. 55.

25

cercare di convincere Borsellino a candidarsi65

. Ingroia fu tra le persone contrarie alla nomina di

Borsellino a capo della Superprocura, perché aveva il timore che ciò lo avrebbe reso ancora più

vulnerabile. Riguardo alla candidatura di Borsellino a superprocuratore, Giuseppe di Lello

commentò che questa nomina avrebbe rappresentato una minaccia per la mafia, ma aggiunse che

Borsellino era un incomodo per i mafiosi anche a Palermo e ciò poteva essere la ragione per cui

ebbero tanta urgenza di liberarsi di lui66

.

Borsellino, dal canto suo, si considerava come un testimone e fu consapevole di certe

situazioni che decise di rivelare soltanto all‟autorità giudiziaria. Tuttavia, non sapremo mai a

quali situazioni si stava riferendo, dato che non ebbe mai l‟opportunità di riferirli all‟autorità

giudiziaria prima della sua morte. Quando la sorella di Borsellino, Rita, venne a sapere di ciò,

non capì il modo di agire del fratello; anche sua moglie, Agnese, rimase confusa tanto da arrivare

a dire: “Se fa così, lo ammazzano”67

. Durante quei giorni Borsellino lavorò moltissimo, senza un

momento di pace, tanto da dimenticarsi quasi della propria famiglia. Il 28 giugno 1992

all‟aeroporto di Fiumicino, Borsellino incontrò per caso il ministro della Difesa, Salvo Andò, il

quale lo informò che entrambi erano stati individuati come i prossimi probabili bersagli di un

attacco mafioso, secondo un‟informativa del Ros mandata alla Procura di Palermo. Questa

informazione colse il giudice totalmente alla sprovvista, anche perché Pietro Giammanco, capo

della procura di Palermo, non gli aveva comunicato niente a tal proposito. Dopo quell‟evento, si

recò immediatamente presso la procura per ottenere delle spiegazioni da Giammanco. Borsellino

aveva tutto il diritto di conoscere le minacce espresse nei suoi confronti e anche di essere a

conoscenza di altre informazioni che lo riguardava. Il procuratore Giammanco gli rispose

precisamente che la competenza era di Caltanissetta: una risposta non molto gradita dal giudice68

.

Il 13 luglio 1992, il magistrato rivelò a una sua guardia del corpo che a Palermo era

arrivato l‟esplosivo destinato a lui e anche il suo desiderio di non coinvolgere nessuno. Borsellino

era sconvolto da questa sua consapevolezza. Informò anche Don Cesare Rattoballi, cugino di

Rosaria Schifani (vedova di uno degli agenti morti nella strage di Capaci), dicendogli che il

tritolo era destinato a lui, a Leoluca Orlando e ad un ufficiale dei carabinieri, secondo quanto fu

appreso dalla Guardia di finanza. Padre Rattoballi andò a visitare Borsellino alla procura ed egli

65

Cfr. Ivi, p. 59. 66

Cfr. Leone Zingales, Paolo Borsellino: Una vita contro la mafia, cit., p. 7. 67

Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, cit., p. 117. 68

Cfr. Ivi, p. 132.

26

colse quest‟opportunità per confessarsi, poiché volle redimersi prima che gli potesse accadere

qualcosa. Il 19 luglio, il magistrato confidò anche al suo amico Pippo Tricoli dell‟esplosivo e fu

questo il momento in cui Borsellino fu davvero consapevole di essere completamente

abbandonato. Nei suoi ultimi giorni, Paolo Borsellino lavorò senza mai fermarsi, dicendo a sua

moglie della sua “corsa contro il tempo”69

. Egli volle arrivare alla verità nascosta dietro la morte

di Giovanni Falcone prima che gli accadesse qualcosa, perché sapeva che non gli rimaneva molto

tempo da vivere. Una verità, che sfortunatamente, non raggiungerà mai.

2.4. La sua tragica morte

Il magistrato Paolo Borsellino fu ucciso il 19 luglio 1992 alle ore 16.58, di fronte la casa

di sua madre in via Mariano D‟Amelio, insieme a cinque agenti di scorta: il caposcorta, Agostino

Catalano, e gli agenti Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

L‟unico agente che riuscì a sopravvivere alla strage fu Antonino Vullo il quale, dopo la bomba, si

risvegliò in ospedale in condizioni critiche. Il giudice fu ucciso nella stessa maniera in cui fu

ammazzato Rocco Chinnici, come testimoniato da Giovanni Brusca, il mafioso diventato pentito

che uccise Giovanni Falcone70

.

Il 2 giugno, la madre di Borsellino notò che nel giardino accanto al condominio in cui

viveva, c‟erano dei movimenti strani, sospetti, e di conseguenza decise di informare suo figlio di

ciò. Successivamente, egli mandò degli agenti di polizia a controllare il posto e, trovarono alcuni

tunnel nascosti sotto la superficie della strada, con segni di uso recente. Dopo questa scoperta, la

famiglia di Borsellino, era attenta ai segnali di pericolo, ma non si può dire lo stesso delle

persone che dovevano proteggere il magistrato, anzi erano negligenti. Tutti furono a conoscenza

che il prossimo bersaglio sarebbe stato Borsellino, però non fu presa nemmeno una misura di

cautela per assicurare la sua salvezza. Dieci giorni prima dell‟attentato in via D‟Amelio, il capo

della polizia, Vincenzo Parisi, visitò la procura di Palermo e anche l‟ufficio di Borsellino, e si

rese conto che dietro del giudice non ci fu un vetro blindato, bensì uno normale. Di conseguenza,

si lamentò della negligenza degli agenti nei confronti dell‟incolumità del giudice, e non perse

tempo a metterne uno blindato alle sue spalle. La poltrona in cui si sedava Borsellino fu sistemata

in un modo precario, perché dava le spalle al vetro, perciò anche questo fu un punto debole nella

69

Ivi, p. 177. 70

Cfr. Saverio Lodato, “Come ho ucciso Giovanni Falcone”: La confessione di Giovanni Brusca, cit., p. 110.

27

sicurezza del magistrato. Infatti, Borsellino si sentiva più al sicuro fuori da Palermo, che dentro la

capitale siciliana. Il giudice, nei giorni precedenti alla strage, disse a sua moglie che aveva capito

ogni cosa che riguardava la strage di Capaci; sosteneva anche che lo avrebbero ammazzato, ma

non sarebbe stata una rappresaglia della mafia: “Forse saranno mafiosi quelli che materialmente

mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”71

. Il 19 luglio, alle 7 del

mattino, Borsellino ricevette una telefonata da Pietro Giammanco, il quale lo informò che

finalmente aveva ottenuto l‟autorizzazione di lavorare sui casi riguardanti la mafia di Palermo.

Borsellino aspettava questo incarico da mesi, e stranamente si sentì turbato e arrabbiato dalla

notizia, invece che felice. Più tardi, quel giorno stesso, andò a Villagrazia, la sua villa estiva, per

passare un po‟ di tempo al sole, rilassandosi. Dopo, doveva andare a prendere sua madre per

portarla dal cardiologo, il quale doveva visitarla il giorno prima, ma non gli fu possibile a causa

di un guasto nella sua macchina. Di conseguenza, Borsellino si mise d‟accordo con il dottore di

portare sua madre a casa sua il giorno dopo nel pomeriggio, cioè il 19 luglio.

L‟esplosione in Via D‟Amelio fu sentita anche da chilometri di distanza e molte persone

rimasero coinvolte in essa. Originariamente, le prime indicazioni della polizia furono che

nell‟attentato fu coinvolto anche un magistrato, ma all‟inizio non sapevano chi fosse.

Successivamente, la polizia venne a conoscenza che il magistrato coinvolto nell‟esplosione fu

Paolo Borsellino e che egli rimase ferito. Ciò fu confermato dal fatto che l‟auto del giudice, due

blindate della sua scorta, e anche numerose auto che furono parcheggiate nella stessa strada,

furono distrutte nella strage. Molti edifici e pure la superficie della strada, furono danneggiati

dallo scoppio. La causa dell‟esplosione fu un‟autobomba, una Fiat 600 carica di dinamite, la

quale fu posteggiata di fronte al palazzo in cui abitavano la madre e la sorella di Borsellino. I

colpevoli dell‟esplosione ebbero il risultato che desideravano, cioè uccidere il giudice Borsellino.

Il suo corpo fu trovato interamente incenerito, tanto che costatare se il corpo fosse effettivamente

il suo, fu un‟impresa difficile. Tuttavia, alcuni suoi colleghi che arrivarono immediatamente sul

posto dell‟attentato, affermarono che era, senza ombra di dubbio, Paolo Borsellino. Oltre a lui,

rimasero uccisi cinque agenti di scorta, e c‟erano anche diciotto feriti (tra i quali ci fu anche

l‟agente Antonio Vullo), ma solo pochi di loro furono in gravi condizioni. La Falange armata72

,

un‟organizzazione terroristica, chiamò sia l‟ANSA (Agenzia Nazionale Stampa Associata) di

Torino sia quella di Roma, per dichiarare che furono loro ad effettuare l‟attentato sulla vita del

71

Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, cit., p. 123-124. 72

La Falange armata è un gruppo terroristico collegato a diversi disastri accaduti in Italia.

28

giudice Paolo Borsellino: “La Falange armata rivendica la responsabilità politica e la paternità

morale di quanto accaduto in via Autonomia Siciliana a Palermo, dov‟è stato ucciso il giudice

Paolo Borsellino”73

.

La sera della strage misero i sigilli all‟ufficio di Borsellino nel Palazzo di giustizia di

Palermo ed era chiusa anche la cassaforte dove, secondo la sua famiglia, metteva tutti i suoi

documenti di lavoro, in modo particolare quelli confidenziali. Alcuni giorni dopo, la cassaforte

venne aperta per esaminare i documenti posti in essa, ma non si trovò niente di rilevante per le

investigazioni sulla strage. Il giorno dopo l‟eccidio, un benzinaio rivelò alla polizia che pochi

giorni prima dell‟attentato in via Mariano D‟Amelio, un uomo si fermò a fare il pieno alla

stazione di rifornimento in cui lavorava, e gli disse che la strage di Capaci non è niente al

confronto di un evento ancora più grande che accadrà tra qualche giorno74

.La polizia iniziò a

cercare quest‟uomo immediatamente, ma purtroppo era già troppo tardi.

Secondo Giovanni Brusca, Borsellino fu ammazzato probabilmente come risultato della

negoziazione tra la mafia e le istituzioni riguardo al riesame del maxiprocesso75

. La ragione fu

che se questa proposta sarebbe stata accettata, il giudice avrebbe sicuramente impedito a tutti i

costi l‟esecuzione della trattativa. Egli seppe della trattativa in seguito alla strage di Capaci, e non

volle stare in silenzio a fare niente per impedire la sua attuazione. Lui decise di opporsi alla

trattativa, anche se gli fu suggerito di fare diversamente e, purtroppo, questa decisione gli fu

fatale. Quindi Paolo Borsellino fu un inconveniente per Cosa Nostra, un ostacolo che la mafia

decise di eliminare per assicurare la propria libertà. Lui era un bersaglio della mafia specialmente

a causa dei buoni risultati ottenuti nelle indagini sulla mafia di Trapani, che ebbe come

conseguenza il declino dell‟attendibilità di questo gruppo agli occhi di Cosa Nostra. Brusca, il

quale non fece parte del gruppo che uccise Borsellino perché era solo un mandante, disse che non

sapeva esattamente chi aveva ammazzato il giudice ma sapeva che Salvatore Biondino, l‟autista

di Totò Riina, è coinvolto sia nella strage di Capaci sia in quella di via D‟Amelio76

.

Probabilmente, secondo Brusca, chi uccise Borsellino fu a conoscenza delle sue abitudini da

molto tempo, e disse anche che secondo lui, la decisione di togliere di mezzo il magistrato, fu

73

Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, cit., p. 201. 74

Cfr. Ivi, p. 189. 75

Cfr. Ivi, p. 116-117. 76

Saverio Lodato, “Come ho ucciso Giovanni Falcone”: La confessione di Giovanni Brusca, cfr., p. 108.

29

troppo affrettata77

. Successivamente, furono condotti tre processi a Caltanissetta per la strage in

via Mariano D‟Amelio, che ebbero come conseguenza la condanna degli autori di quell‟eccidio

tragico.

77

Cfr. Ivi, p. 119.

30

3. LA LORO LOTTA CONTRO LA MAFIA

3.1. L’inizio del pool antimafia

Rocco Chinnici, un noto magistrato antimafia, espose a Giovanni Falcone l‟idea di

partecipare anche lui nelle investigazioni sulla mafia. Falcone, all‟inizio, rifiutò la proposta di

Chinnici, ma alla fine dell‟anno 1979, egli decise di accettare la sua offerta riguardo le indagini

antimafia. In questo modo, Falcone lasciò la sezione fallimentare del Tribunale e si trasferì

nell‟Ufficio istruzione della sezione penale. L‟incarico al civile lo demoralizzava, mentre il

giudizio imparziale delle circostanze al penale lo allettò, e fu per questo motivo che Falcone

decise di accettare la proposta interessante del magistrato Rocco Chinnici. Inoltre, intuì che

questo lavoro era suo obbligo farlo.78

Nel maggio del 1980, Chinnici incaricò Falcone di condurre la sua prima indagine contro

Rosario Spatola, un imprenditore ed anche un criminale sospettato di relazioni con la mafia

siciliana, meglio conosciuta come Cosa Nostra. Egli fu consapevole che questa investigazione

contro Spatola fu molto pericolosa e perciò decise che il modo migliore per condurre questa

indagine, era di usare sistemi innovativi. Una delle principali ragioni per questa sua decisione fu

di disorientare la mafia. Quindi percepì che per questa inchiesta dovette andare nella direzione

degli spostamenti finanziari. Così facendo, inseguendo i movimenti dei soldi, segnò i diversi

transiti internazionali. Falcone, con il suo metodo nuovo, riuscì a scoprire la connessione fra gli

amici di Rosario Spatola e la famiglia americana Gambino e, pertanto scoprì i legami che

esistevano fra la mafia siciliana e la mafia americana. Rosario Spatola e altri settantacinque

mafiosi, i quali avevano una connessione con il gruppo mafioso formato dalle famiglie Spatola,

Gambino e Inzerillo, furono condannati nel 1983. Tuttavia Spatola, fu arrestato solo sedici anni

dopo, nel 1999. Le inchieste finanziarie di Giovanni Falcone furono ciò che diedero inizio al

maxiprocesso. Inoltre, per Antonio Ingroia, il pool fu una novità innovativa che cambiò il modo

di condurre indagini sui casi di mafia e altri casi diversi, perché era costruito sullo scambio dei

dati relativi agli interrogatori e alle investigazioni effettuate dai membri del gruppo, e fu grazie a

ciò che il maxiprocesso fu realizzato efficacemente e con un esito di successo79

.

78

Cfr. Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, cit., p. 60. 79

Cfr. Leone Zingales, Paolo Borsellino: Una vita contro la mafia, cit., p. 122.

31

L‟intenzione di Rocco Chinnici era di riuscire a creare un‟équipe che avesse la capacità di

condurre delle investigazioni sulla mafia siciliana e sui suoi legami con la politica. Di

conseguenza per l‟intento di Chinnici, fu necessario l‟aiuto e l‟esperienza di magistrati come

Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe di Lello. Nel 29 luglio 1983, Rocco Chinnici fu

assassinato davanti a casa sua insieme a due carabinieri della sua scorta, Mario Trapassi e

Salvatore Bartolotta, e al portiere del suo condominio, Stefano Li Sacchi, con degli esplosivi che

furono messi sotto la sua auto. A far esplodere la bomba fu Antonino Madonia, figlio di

Francesco Madonia, il quale all‟epoca fu il boss di Cosa Nostra. Quel pomeriggio stesso in cui fu

ucciso Chinnici, Borsellino, Falcone e anche Giuseppe Di Lello, s‟incontrarono in tribunale per

vedere come si poteva rimediare alla mancanza di Chinnici nel pool antimafia, e tutti erano

d‟accordo che il lavoro doveva continuare al più presto, e così esigerono che il CSM trovasse un

suo successore immediatamente. Il sostituto di Chinnici fu Antonino Caponetto (nominato dal

Consiglio Superiore della Magistratura), il quale continuò ad evolvere il gruppo creato dal suo

predecessore. Egli riuscì a costruire un legame molto forte sia con Falcone sia con Borsellino. Il

pool antimafia, formato da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe di Lello Finuoli,

Leonardo Guarnotta, e per un tempo breve anche Giovanni Barrile, con la guida di Caponetto,

diventò un„associazione ufficiale nell‟anno 1984. L‟esperienza sulla mafia di Falcone si rivelò

essenziale per dare il via alle investigazioni del pool antimafia.

Paolo Borsellino, riguardo allo sviluppo del pool antimafia, disse che il pool non fu creato

immediatamente, ma che sono stati necessari tre anni di esperimenti e sforzi, per finalmente

trovare un metodo che funzionava per tutti i membri del pool80

. Giuseppe Di Lello disse che con

la guida di Rocco Chinnici non c‟era ancora un autentico pool antimafia, ma l‟aiuto di Giovanni

Falcone e di Gaetano Costa (il procuratore della Repubblica), i quali hanno cominciato a provare

nuove metodologie d‟indagine a Palermo, è stato necessario per aiutare il pool ad evolversi

efficacemente81

.

Di Lello, sulla relazione tra Caponetto e gli altri membri del pool antimafia, disse che era

basata su una reciproca fiducia tra tutti i componenti del gruppo: ogn‟uno era a conoscenza del

lavoro degli altri membri perché si fidavano l‟uno dell‟altro e sapevano che nessuna informazione

80

Cfr. S.a., Roberto Scarpinato (prefazione di), Le ultime parole di Falcone e Borsellino, a cura di Antonella Mascali, cit., p. 27. 81

Cfr. Leone Zingales, Paolo Borsellino: Una vita contro la mafia, cit., p. 2.

32

sarebbe stata divulgata al di fuori del loro ufficio82

. Continuò col dire che Falcone aveva un

autorità innegabile nel loro gruppo e che quindi, era come una specie di “primo ministro”83

. I

componenti del pool antimafia erano molto uniti fra di loro, perché ebbero un obiettivo comune

che li univa fortemente, e cioè volevano tutti rimuovere definitivamente il gruppo della mafia

dalla società siciliana e anche da quella italiana84

. Tutti i membri del pool volevano che la Sicilia

tornasse di nuovo nelle mani dei siciliani veri e onesti. Manfredi Borsellino, quando gli fu chiesto

sull‟amicizia che c‟era tra i membri del pool, disse: “Si trattava di una squadra ben assortita, che

ha lavorato bene e quindi non potevano che essere degli ottimi compagni.”85

3.2. La fine del pool antimafia

Il pool antimafia, creato da Rocco Chinnici, venne ufficialmente sciolto alla fine di luglio

del 1988, con la guida di Antonino Meli.

Il gruppo dell‟antimafia cominciò a smantellarsi quando Paolo Borsellino si trasferì nel

suo nuovo ufficio come procuratore della Repubblica di Marsala nel 19 dicembre 1986. Ciò

significa che Borsellino non era più un membro del pool antimafia. Tuttavia, come suoi sostituti,

furono scelti altri tre giudici: Ignazio De Francisci, Gioacchino Natoli e Giacomo Conte. In

seguito, nel 1987, anche Antonino Caponetto lasciò il pool, perché era vicino alla pensione e

quindi decise di ritirarsi e di lasciare il via libera ad altri magistrati. Come suoi successori si

candidarono Giovanni Falcone e anche Antonino Meli, giudice di Cassazione e perfino presidente

di sezione della Corte d‟Appello di Caltanisetta. Il 19 gennaio 1988, il CSM scelse Antonino

Meli come sostituto del magistrato Caponetto, con quattordici voti a favore, perché era giudicato

come il più adatto per occupare quel ruolo, e di conseguenza, Falcone subì un‟altra sconfitta.

Questa scelta imprevista del CSM addolorò moltissimo Falcone ed ebbe anche delle disastrose

conseguenze sul procedimento delle investigazioni86

.

Pertanto, Meli occupò il suo posto come consigliere istruttore del pool antimafia nel

gennaio 1988, e lo smembrò definitivamente nel luglio dello stesso anno. Questo era il momento

82

Cfr. Ivi, p. 5. 83

Ibid. 84

Cfr. Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, cit., p. 65. 85

Leone Zingales, Paolo Borsellino: Una vita contro la mafia, cit., p. 69. 86

Cfr. Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, cit., p. 112.

33

in cui le persone che vollero proteggere Cosa Nostra, compresero che dovevano agire per far sì

che Falcone non proseguisse il suo lavoro. Questo momento era il più adatto per cercare di

fermarlo perché era un periodo in cui aveva molti ostacoli d‟affrontare davanti a sé. Tuttavia, il

giudice Giovanni Falcone riuscì ugualmente a portare avanti le sue investigazioni, anche se

dovette lavorare in un clima così difficile e teso. Lo sbaglio del nuovo consigliere istruttore

consisteva nel non trattare i casi mafiosi con la serietà che gli spettavano, invece distrusse il duro

lavoro che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avevano sistemato insieme unendo le proprie

conoscenze. Borsellino, riguardo alla scelta del CSM, disse che: “Si doveva nominare Falcone

consigliere istruttore non per premiarlo, ma per garantire una continuità all‟ufficio”87

. In seguito a

questa dichiarazione di Borsellino sulla nomina di Meli, Falcone presentò la sua lettera di

dimissioni, una lettera che era il simbolo del troncamento della speranza che lui aveva da sempre.

Tuttavia, il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, non accettò le dimissioni di

Giovanni Falcone e, sfortunatamente, ciò non aiutò per eliminare le difficoltà che il pool

antimafia stava affrontando in quel periodo difficile.

Giuseppe Di Lello, quando gli fu chiesto se fosse possibile costruire un nuovo pool, disse:

Non credo possa ripetersi un‟esperienza simile anche perché quel pool era figlio del suo tempo. È

cambiato il contesto storico, ma è cambiato anche il codice di procedura penale. I giudici istruttori non

erano sottoposti (né sottoponibili) a nessuna forma di gerarchia, mentre ora le indagini vengono svolte

solo dalla Procura che è, per legge, un ufficio organizzato gerarchicamente.88

3.3. Il fenomeno del pentitismo

Il pentitismo è un fenomeno in cui i criminali, in modo particolare i mafiosi, collaborano

con la giustizia per ottenere dei benefici, che consistono specialmente in riduzioni delle

condanne, per renderle meno severe89

.

Il fenomeno del pentitismo ebbe un grande effetto sul concetto di omertà, perché a poco a

poco questa nozione cominciò a dissolversi ed aveva anche delle conseguenze sfavorevoli per i

criminali dentro la struttura della propria organizzazione. Questo fenomeno era molto importante

per riuscire finalmente a distruggere la struttura impenetrabile dell‟organizzazione mafiosa, di

conseguenza rendendola vulnerabile.

87

Ivi, p. 114. 88

Leone Zingales, Paolo Borsellino: Una vita contro la mafia, cit., p. 5. 89

S.a., Pentitismo, in “Grande Dizionario Italiano Hoepli”, http://www.grandidizionari.it/Dizionario_Italiano/parola/P/pentitismo.aspx?query=pentitismo, s.d.

34

Questo fenomeno del pentitismo era uno dei risultati più importanti del duro lavoro di

Giovanni Falcone. Grazie al suo atteggiamento molto amichevole, molti mafioso si sentirono a

loro agio in suo compagnia, e quindi confidarono in lui tutta l‟informazione sulla mafia di cui

erano a conoscenza90

. Paolo Borsellino, riguardo al fenomeno del pentitismo, disse che quando

questo fatto iniziò a svilupparsi, il senso d‟incolumità che i mafiosi provavano con i loro complici

svanì, di conseguenza la mutua fiducia tra i membri del gruppo cominciò a diminuire

velocemente91

. Secondo Giuseppe Di Lello, il pentitismo è un fenomeno che ha contribuito

moltissimo nelle indagini contro la mafia e, inoltre, è anche un “fenomeno importantissimo di

transizione da una cultura della morte alla cultura della vita.”92

I mafiosi prima preferivano

morire che diventare dei pentiti ed aiutare lo Stato, però la dedicazione nel proprio lavoro dei

magistrati che dovevano interrogarli, fu d‟aiuto a questi mafiosi per prendere la decisione di

pentirsi93

.

Il primo pentito, e specialmente il più importante, era Tommaso Buscetta. Egli descrisse

Cosa Nostra come “unita, compatta e dotata di una struttura verticistica”94

. Diede anche tutta

l‟informazione necessaria che rese possibile lo smantellamento dell‟organizzazione. Buscetta

venne catturato in Brasile nell‟ottobre 1983 e Giovanni Falcone e Vincenzo Geraci, un suo

collega di lavoro, partirono per San Paolo per cercare di persuadere Buscetta ad aiutare lo Stato,

ma all‟inizio si rifiutò. In seguito, Buscetta fu trasferito in Italia nel 1984 e, questa volta, Falcone

riuscì a convincerlo a collaborare. Questo era l‟inizio della collaborazione importantissima e

storica di Tommaso Buscetta. Maria Falcone, riguardo questa collaborazione, sostiene che:

Per Giovanni le testimonianze di Buscetta furono rivoluzionarie. Squarciarono un velo, delineando i

riti di iniziazione degli affiliati, le gerarchie, gli interessi. Fu finalmente possibile costruire l‟enorme

impianto processuale, nell‟ambito del quale sarebbero poi state confermate o ridiscusse le accuse in

base alle deposizioni di altri testimoni.95

Nonostante il successo nella lotta contro la mafia che risultò da questa collaborazione, Giovanni

Falcone ricevette molte critiche negative riguardo le sue interrogazioni con Buscetta e con altri

pentiti, perché fu incolpato di manifestare un‟esagerata familiarità con un criminale mafioso96

.

90

Cfr. Francesco Renda, Storia della Mafia, Sigma Edizioni, Palermo 1998, p. 406. 91

Cfr. S.a., Roberto Scarpinato (prefazione di), Le ultime parole di Falcone e Borsellino, a cura di Antonella Mascali, cit., p. 32. 92

Leone Zingales, Paolo Borsellino: Una vita contro la mafia, cit., p. 8. 93

Ibid. 94

Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, cit., p. 91-92. 95

Ivi, p. 93. 96

Cfr. Ivi, p. 70-71, 93-94.

35

Tuttavia, Tommaso Buscetta era colui che rese possibile la comprensione del modo di funzionare

delle organizzazioni mafiose. Infatti, ciò venne confermato da Giovanni Falcone in persona, nel

suo libro Cose di Cosa Nostra:

Prima di lui, scrisse Falcone ricordando quanto appreso da Tomaso Buscetta, non avevo - non

avevamo- che un‟idea superficiale del fenomeno mafioso. Con lui abbiamo cominciato a guardarvi

dentro. Ci ha fornito numerosissime conferme sulla struttura, sulle tecniche di reclutamento, sulle

funzioni di Cosa Nostra. Ma sopra tutto ci ha dato una visione globale, ampia, a largo raggio del

fenomeno. Ci ha dato una chiave di lettura essenziale, un linguaggio, un codice. È stato per noi un

professore di lingue che ti permette di andare dai turchi senza parlare con i gesti.97

La Procura della Repubblica di Palermo, per cercare di capire meglio le funzioni di Cosa

Nostra dopo l‟assassinio di Salvatore Lima nel marzo 1992, decise di chiedere delle informazioni

ai pentiti Tommaso Buscetta e Francesco Marino Mannoia, che in quel periodo furono sotto

protezione negli Stati Uniti. Paolo Borsellino si offerse per andare ad interrogare Buscetta, ma

Pietro Giammanco, il procuratore, all‟inizio rifiutò l‟offerta di Borsellino, perché egli poté solo

lavorare sulla mafia di Trapani. Tuttavia, dopo l‟ostinazione inesauribile del giudice, cambiò idea

e lo autorizzò a partire per gli Stati Uniti. Stranamente, però, Borsellino finì per non partire per

effettuare l‟interrogazione, e Buscetta verrà interrogato vari mesi dopo la morte del procuratore

aggiunto. Le rivelazioni di Tommaso Buscetta confermarono ciò che pensava Borsellino: le

dichiarazioni furono importantissime per rivelare la connessione tra la mafia e la politica.

Dopo la strage di Capaci, il ministro Claudio Martelli e il ministro Vincenzo Scotti,

presentarono un decreto a favore dei pentiti. Secondo il decreto, per i criminali che accettano di

collaborare con lo Stato la protezione è garantita e anche l‟assistenza finanziaria; tuttavia, per

quei criminali ostinati a non collaborare, non ci sarà nessun beneficio, anzi saranno tolti molti

vantaggi che avevano in precedenza, e inoltre il ministro può decidere di interrompere il

trattamento regolare del carcere98

. Sfortunatamente, queste nuove leggi (insieme ad altre imposte

dal decreto) verranno effettuate solo dopo la morte di Borsellino. Questo decreto ricevette molte

critiche negative da parte di molte istituzioni come ad esempio la Procura di Palermo e la

magistratura italiana. Il pm Roberto Scarpinato, riguardo a questo decreto disse:

Questa è una legge sporca di sangue, non mi sembra che tutto questo segni un salto di qualità nella

lotta alla mafia, sono leggi che noi chiediamo da anni. Come avevamo chiesto la legge La Torre, la

legge sui pentiti dopo l‟omicidio del giudice Livatino, non è che noi giudici abbiamo cominciato a

97

Giovanni Falcone e Marcelle Padovani, Cose di Cosa Nostra, in Francesco Renda, Storia della Mafia, cit., p. 419-420. 98

Cfr. Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, cit., pp. 81-82.

36

riflettere su queste cose solo dopo la strage di Capaci. Ecco perché dico che queste leggi sono sporche

di sangue, sono profondamente indignato99

.

Scarpinato volle anche che il questore di Catania venisse sospeso perché non lo ritenne in grado

di eseguire il suo lavoro adeguatamente: fallì nel inviare in tempo un avviso effettuato il 21

maggio riguardo un potenziale attacco terroristico su un‟autostrada siciliana100

. Il ministro Scotti

si sentì offeso da tutte le critiche negative che ricevette il suo decreto e cercò di appoggiarlo

anche di fronte a tutta quella resistenza. Ciò nondimeno, il decreto fu uno voluto da molto tempo,

e infatti, i magistrati della Procura antimafia di Palermo cercarono di far si che queste leggi

venissero approvate al più presto possibile, anche perché tra molte leggi, c‟erano pure dei

provvedimenti a beneficio dei pentiti.

Gioacchino Schembri, il pentito che Borsellino interrogò nel luglio del 1992, fu il primo

mafioso a Palma di Montechiaro (la comunità in cui si trova il suo gruppo mafioso) a rompere la

regola di omertà. Egli raccontò le informazioni confidenziali della lotta agrigentina e rivelò anche

i reati compiuti dai suoi compagni e anche dai suoi nemici, inoltre parlò anche della morte del

maresciallo Giuliano Guazzelli, e dei giudici Rosario Livatino e Antonino Saetta101

. Il compagno

di cella di Schembri, Egon Schinna (che collaborò con la polizia), svelò che Schembri era

coinvolto nel delitto del giudice del Rosario Livatino.

Malgrado l‟aiuto fondamentale alla lotta contra la mafia del pentitismo, che risultò nella

rivelazione di molti segreti di questa organizzazione criminale, la mafia rimane ugualmente una

verità problematica difficile da eliminare.

3.4. Il maxiprocesso

Il 10 febbraio 1986 fu avviato il processo penale conosciuto in tutto il mondo come il

maxiprocesso. Questo processo penale, contro il gruppo mafioso noto come Cosa Nostra, venne

concluso il 16 dicembre 1987.

Le udienze per il maxiprocesso si svolsero nell‟aula bunker dell‟Ucciardone a Palermo.

Questo processo penale è noto come il maxiprocesso perché ci furono più di quattrocento persone

accusate di avere commesso dei crimini collegati alla mafia. Inoltre, il maxiprocesso fu la prima

azione pubblica, e anche la più notevole, dello Stato contro la criminalità organizzata più potente

99

Ivi, pp. 84-85. 100

Cfr. Ivi, p. 85. 101

Cfr. Ivi, p. 168.

37

d‟Italia, conosciuta come Cosa Nostra. Antonino Cassarà fu la persona che compilò una

dettagliata descrizione della struttura del crimine organizzato, la quale conferì a Giovanni

Falcone e Paolo Borsellino abbastanza materiale per consentirgli di dare il via all‟udienza del

maxiprocesso. Falcone lavorò in molti casi contro la mafia con Cassarà, e si aiutarono avvicenda

per raggiungere la possibilità di avviare il maxiprocesso. I membri del pool avevano la possibilità

di creare questo importante processo penale, anche grazie alla cooperazione dei pentiti Salvatore

Contorno, Tommaso Buscetta e altri mafiosi che aiutarono lo Stato. Esso era molto criticato da

diversi esperti di diritto e anche da altri magistrati che non erano d‟accordo con l‟avviamento di

questo processo penale. Numerosi imputati, e anche i loro difensori, cercarono di escogitare ogni

manovra che potevano, per tentare di far rinviare le udienze ad una data più lontana possibile.

L‟11 novembre 1987 si conclusero le udienze del maxiprocesso e i magistrati incaricati di

emettere un giudizio entrarono in camera di consiglio, dove restarono in un totale isolamento per

trentacinque giorni. In seguito alle loro analisi su più di quattrocento imputati, i giudici fecero

ritorno all‟aula bunker il 16 dicembre dello stesso anno, con diverse condanne per gli accusati:

duemilaseicentosessantacinque anni di prigionia, diciannove ergastoli, undici miliardi e mezzo di

lire di multe e centoquattordici proscioglimenti102

. La corte di Cassazione confermò tutte le

condanne emesse nel maxiprocesso il 30 gennaio 1992. Questo era il primo processo penale che

finì con un risultato a sfavore di Cosa Nostra. Quella data era molto importante per tutti i membri

del pool antimafia che lavorarono duramente per ottenere un risultato così eccellente e anche

soddisfacente. Giovanni Falcone venne a conoscenza di questa sentenza quando stava a Roma ed

era molto appagato dal risultato del suo duro lavoro. Ebbe, di conseguenza, la dimostrazione che

la sua tesi, nota come il “teorema Falcone”, fu valida.

102

Cfr. Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, cit., p. 101.

38

4. IN SEGUITO ALLA MORTE DEI DUE GIUDICI

4.1. La reazione degli italiani

In seguito alla tragica e brusca morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la

popolazione italiana cominciò finalmente a riconoscere il lavoro difficile e coraggioso di

entrambi i giudici. In oltre, gli italiani iniziarono a comprendere realmente il problema della

mafia e, di conseguenza, a partecipare anche loro alla lotta contra la criminalità organizzata.

Successivamente all‟eccidio di via D‟Amelio, molti colleghi di Paolo Borsellino si

sentirono come se tutto ormai fosse finito e che la battaglia contro la mafia era ormai persa.

Tuttavia, riuscirono a tenere in vita la memoria e lo spirito coraggioso di Borsellino, che a

commosso molte persone. Il giudice Giuseppe di Lello descrive Borsellino come “un eroe

borghese”, lo stesso come molti altri giudici e uomini al servizio del paese che furono anch‟essi

uccisi dalla mafia103

. Borsellino lasciò ai suoi successori l‟ideale che ogni persona deve fare la

propria parte, ogn‟uno deve eseguire il suo lavoro al massimo delle proprie abilità, anche se ciò

può risultare nella propria fine. Questa eredità diede loro la forza necessaria di continuare il

lavoro del proprio superiore. Paolo Borsellino, racconta il figlio Manfredi, era molto ottimista

riguardo alla sconfitta della mafia, perché diceva che le generazioni nuove stavano diventando

sempre più consapevoli della realtà tremenda che circonda la mafia104

. Inoltre, il magistrato

Borsellino sosteneva che la disfatta di Cosa Nostra è solo una questione di tempo105

. Inoltre, il

collega e amico di Paolo Borsellino, Antonio Ingroia, vuole che il giudice sia ricordato come “un

eroe semplice che riuscì a costruire una grandezza dalla sua semplicità”106

.

Dopo la strage di Capaci, la gente capì che il modo migliore di ricordare le vittime era di

continuare ad appoggiare i loro principi e di fare si che le investigazioni contro la mafia

continuassero107

. Ciò dimostrò che la speranza era ancora viva nei siciliani che sostenevano il

lavoro di Falcone. Come conseguenza della morte di Falcone e delle altre vittime della strage,

nacque il comitato dei lenzuoli, un‟organizzazione dove la gente mise in mostra alle finestre della

103

Leone Zingales, Paolo Borsellino: Una vita contro la mafia, cit., p. 8. 104

Cfr. Ivi, p. 78. 105

Cfr. Ivi, p. 125 106

Ivi, p. 127. 107

Cfr. Maria Falcone, Francesca Barra, Giovanni Falcone: Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, cit., p. 183.

39

propria casa dei lenzuoli bianchi addosso ai quali ci fu la scritta „antimafia‟. Questo gruppo è

stato creato per evitare che l‟episodio atroce di Capaci venisse dimenticato e che la sua

importanza fosse sottovalutata. Un mese dopo la strage venne organizzata una veglia di preghiera

in dodici cittadine diverse, tra i quali Palermo e Roma, in onore delle vittime di Capaci. Durante

la veglia, la quale era celebrata nella chiesa di Sant‟Ernesto a Palermo, c‟era anche una

dichiarazione da parte di Paolo Borsellino. Questa manifestazione era una di proporzioni

grandissime, una cerimonia nella quale si unirono persone di diversa età e anche di diverse classi

sociali per mostrare il loro rispetto a Falcone e alle altre vittime di Capaci, e anche per mostrare il

loro disprezzo verso la criminalità organizzata. Il discorso che Borsellino fece nella chiesa toccò

il cuore di tutti i presenti, un discorso colmo di amicizia autentica verso il suo collega morto e,

anche verso le altre vittime.

Il comitato dei lenzuoli fece un‟altra manifestazione per onorare Giovanni Falcone, sua

moglie e i tre agenti di scorta, due mesi dopo la strage e invitarono tutti i palermitani a esporre

molti lenzuoli con sopra scritto degli slogan contro la mafia. Inoltre, sempre due mesi dopo

l‟eccidio di Capaci, c‟era anche un concerto per ricordare le vittime. I soldi che furono ricavati da

questo concerto contribuirono alla costruzione di una scuola in nome di Falcone e delle altre

vittime della strage. Nel dicembre 1992, nacque la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone,

grazie all‟impegno dei loro famigliari, dei loro amici e, anche del ministro della Giustizia,

Claudio Martelli. Si stava avverando ciò che Falcone ha sempre desiderato, perché egli sosteneva

che la mafia sarebbe stata sconfitta quando cambierà la società e perché ciò avvenga, i giovani

devono rifiutare quei comportamenti criminali dei gruppi mafiosi.

Il magistrato Antonio Ingroia, quando gli fu chiesto se ci saranno mai dei giudici come

Falcone e Borsellino, rispose:

Credo proprio di no. Quel che conta è che ci siano tanti allievi di Falcone e Borsellino che tengano

fede ai loro insegnamenti. E ci sono: per questo sono fiducioso. L‟importante è che non vengano

ostacolati, così come lo furono Falcone e Borsellino. E questo sta già accadendo.108

108

Leone Zingales, Paolo Borsellino: Una vita contro la mafia, cit., p. 124.

40

CONCLUSIONE

Questa tesi dimostra come nonostante tutto lo sforzo e il duro lavoro eseguito da questi

due magistrati, la mafia è ancora un‟organizzazione molto forte e potente. D‟altro canto, il lavoro

importantissimo che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino fecero per cercare di annientare il

potere di Cosa Nostra, danneggiò la struttura dell‟organizzazione e la rese vulnerabile. Due cause

principali che causarono il crollo della struttura impenetrabile di Cosa Nostra sono, il fenomeno

del pentitismo e il maxiprocesso.

Attraverso questa tesi ho notato come l‟opinione della gente sul problema della

criminalità organizzata è cambiata. Prima del lavoro svolto da Falcone e Borsellino, la gente

restava passiva di fronte ai crimini commessi dai gruppi mafiosi, però dopo il successo di questi

due giudici nei casi contro la mafia, la gente cominciò a capire meglio questo problema e anche a

partecipare nella lotta contro le organizzazioni criminali. Di conseguenza, malgrado la tragica

fine di Falcone e Borsellino, i due riuscirono ugualmente a cambiare l‟atteggiamento della

popolazione italiana verso questa situazione problematica causata dalla mafia.

Per quanto riguarda me, questa tesi mi ha aiutato a capire cosa è veramente la mafia, ma

specialmente mi ha aiutato a conoscere e a rispettare il duro lavoro di questi due coraggiosi

giudici, e anche di tutte le altre vittime della mafia che cercarono in tutti i modi di fermare il

proseguimento di questo fenomeno. Prima di scrivere la mia tesi, io ero completamente all‟oscuro

della verità che si celava dietro la questione della criminalità organizzata. Tuttavia, attraverso le

mie ricerche, ho avuto l‟opportunità di capire più a fondo questa situazione che ha colpito tutta

l‟Italia per molti decenni, e anche di conoscere la vita di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

All‟inizio non sapevo molto del lavoro svolto da Falcone e Borsellino, ma ora nutro un grande

rispetto verso questi due giudici, e provo molta ammirazione verso il loro coraggio e il loro

grande impegno verso il proprio paese.

In conclusione, mi auguro che altri come me riescano a venire a conoscenza della verità

del fenomeno della mafia e a trarre le proprie conclusioni, ma in modo particolare desidero che

tutti ricordino i due magistrati italiani che morirono tragicamente per proteggere il proprio paese

dalla criminalità organizzata: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

41

BIBLIOGRAFIA

Libri:

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1997.

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nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, Rizzoli, Milano 2012.

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Mondadori, Milano 2011.

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1993.

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Mascali (a c.) Chiarelettere, Milano 2012.

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http://www.italialibri.net/dossier/mafia/professionistiantimafia.html, 23 marzo 2001.

Articoli:

SCIASCIA LEONARDO, I Professionisti dell’antimafia, in “Il Corriere della Sera”, 10 gennaio

1987.