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1 Francesco Fulvio Frugoni I fasti del miracoloso S. Francesco di Paula descritti dal padre lettore Francesco Fulvio Frugoni www.liberliber.it

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Francesco Fulvio Frugoni

I fasti del miracoloso S. Francesco di Paula descritti dal padre lettore Francesco Fulvio Frugoni

www.liberliber.it

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http://www.e-text.it/ QUESTO E-BOOK: TITOLO: I fasti del miracoloso S. Francesco di Paul a descritti dal padre lettore Francesco Fulvio Frugoni AUTORE: Frugoni, Francesco Fulvio TRADUTTORE: CURATORE: NOTE: Tratto da opera pubblicata in formato immagin e dalla Bibliothèque nationale de France, <http://www.gallica.fr/> DIRITTI D'AUTORE: LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/ TRATTO DA: I fasti del miracoloso s. Francesco di P aula descritti dal padre lettore Francesco Fulvio Frugoni di Francesco Fulvi o Frugoni IN VENETIA, ET IN MILANO Per Giuseppe Ambrogio Maietta, a S. Radegonda, 1681 CODICE ISBN: mancante 1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 27 gennaio 2003 INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità media 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO: David Ramanzini, [email protected] REVISIONE: Claudio Paganelli, [email protected] PUBBLICATO DA: Claudio Paganelli, [email protected] Stefania Ronci, [email protected]

Informazioni sul "progetto Manuzio" Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell'associa zione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque voglia collaborare, si pone come scopo la pubblicazione e la diffusione gratuita di opere letterarie in formato elettronico. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito Internet: ht tp://www.liberliber.it/

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[i]

I FASTI DEL MIRACOLOSO

S. FRANCESCO DI PAULA,

DESCRITTI DAL PADRE LETTORE

FRANCESCO FULVIO F R U G O N I

Minimo, Consultor', e Qualifica- tore del Sant'Officio.

DEDICATI

ALL'ILL. MA SG.RA CONTESSA

D. IPPOLITA ANNONA VISCONTA BORROMEA.

* *

IN VENETIA, ET IN MILANO

Per Giuseppe Ambrogio Maietta, a S. Radegonda CON LICENZA DE' SUPERIORI.

[ii] Reimprimatur Fr. Michael Pius Torres S. T. Magister, & Commissarius S. Offitij Mediolani. Iacobus Saita Canonicus Basilica Sancti Ambrosij pro Reverendiss. Capitulo Sede vacante. Franciscus Arbona pro Excellentiss. Senatu.

[iii]

AUTOR OPERI

Exurge Liber,

4

Nefastos nec timeas Dies, cum fastigatos proferas Fastos,

Fur non rapiet furens Superborum ventus hæc folia,

Suo quæ Humilitas pressit pondere, impressit Gloria.

Ea sunt FRANCISCI portenta, ut pereant monstra.

HUMILIS IN SVBLIMI Prosternet sublimes in humili.

AUDITOR FORTIS iuvabit sua.

PRODIGIUM MULTIS sibi ipsi prodigiorum prodigus fiet.

OMNIBUS OMNIS Sibimet totus erit.

Per Liber tot enim inter Miracula evades Liber:

Nec te vincula rapient Mortis, Qui vinctos nasceris soluturus

ad Vitam.

⊗⊗⊗

[iv]

* * *

INNOCENTIO PEREGRINO

Al Libro

**

E Diamantes engastado, A un alto precio subido, En cada oja escojdo, Eres Libro bien librado: Por tu estilo blazonado, No sujeto a corta Edad,

D

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Como Feniz de Piedad, Viviras del todo hermoso, Volando muy Glorioso A un gran SOL de CARIDAD.

**

[v]

ILL. MA SIG.RA

lla destra protettrice di V. S. ILL.MA porgiamo riverenti questa piccola Opera e per altro grandissima in riguardo alle opere miracolose d'un Santo, che ha riempito il Mondo di meraviglia ne' suoi miracoli, e la sua Religione di gloria. D'un

S. FRANCESCO DI PAOLA, che ha gareggiato con quel d'Assisi nei fervori Serafici di carità, e coi Serafini medesimi ne' ferventissimi amori verso il suo Dio. Tutto è, che all'anime pie debbonsi dedicare le Opere Sacre, e sì come le cime de' Monti consecravansi a Giove supremo, così all'eminenza del di lei spirito tributiamo la fatica del [vi] più sublime soggetto, & Autore, che impugni penna tra Scrittori del nostro tempo. Ed a chi meglio poteansi consacrare i FASTI di questo Eroe di PAOLA, Fondatore de' P.P. Minimi, se non a chi tra tutte le Eroine più nobili di questa Città è segnalata per Massima, e per divozione verso di questo gran Santo; se non a quella che visse, e vive non meno esemplare, che spiritosa, e d'animo grande nell'operare? Poscia, che chi in ogni tempo conobbe V.S. ILL. MA, incontrò un Esemplare di modestia, e maestà, in cui hebbero da imitare, e riverire le Dame nostre Concittadine un decoro sposato con una virile Magnificenza. Sino le lingue forastiere l'hanno sempre detto, che nel di lei animo gareggiava con lo splendor de' costumi un contegno sì grave, che spirava indole di Principessa. La generosità della sua destra ha confermato il commun parere; perché ha liberalità con cui benefica chi la serve, [vii] e la carità con cui sovviene a' Penuriosi l'acclamano per ambidestra. Lo diranno anco gl'Infermi del suo vicinato qual sussidio prendano a' loro morbi, i Poveri che ricovero per la loro mendicità, che o ardano quegli per calor febrile, o tremino questi per rigor di Verno, nella Casa di V. S. ILL.MA trovano confederato l'amore col refrigerio. Da questa come da portici di Betsaide abbonda a tutti una perenne sorgente di beneficij. Gli Operarij da lei ricevono gratie con le mercedi, i Servi la protettione con lo Stipendio, chi la supplica, non chiede più d'una volta, chi spera gratie, senza aspettarle le conseguisce, pochi di quelli, che ricorrono a Dama sì generosa (benché abbattuti dalla sfortuna) desperano, e confidando nell'Amparo di Fauttrice sì degna tengono le disgratie per buone fortune. Se a tutte le cose convengono appropriarli i suoi nomi, che penuria per povertà

A

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trova [viii] nel Nome, e nel Cuore di V.S. ILL.MA un'ANNONA cortese; cioè, un'abbondanza caritativa compartita a' Mendicanti Religiosi, e sopra ogni altro una divota, anzi fiorita liberalità verso la Vergine del Rosario, alla Beata Panacea, & al Santissimo, illuminato con splendidezza in più Altari, & a' Sacerdoti proveduti di sacre Elemosine in più Monisteri. Creda V. S. ILL. MA alla publica fama, che poche sue pari ponno star in parità di tante doti, che la coronano, in cui tra tutte le virtù, la Prudenza, che tiene in lei il Maggiorasco senza derivarla dal Serpente della gran famiglia VISCONTI, ella la contrasse da' suoi Natali, per questa sa regolare con maniere sì giuditiose lo stato dell'anima propria, con le cure temporali, e sempre con animo superiore a tutte le avversità. Noi dunque non habbiamo errato in offerirle questo Libro, che ben si doveva un'opra, che spira santità alla pietà [ix] d'una Matrona sì degna, che tutti edifica con le sue regolate operationi. Iddio la feliciti per sempre col Santo di PAOLA suo specialissimo Protettore, & Avocato, e le conceda nello stato Vedovile la mano provida di quelle saggie Vedove, che trassero con filo industre dalla sinistra del Mondo le sostanze misteriose, per trasportarle alla destra di Dio, a tesoreggiare nell'Eternità. Quel Santo, che predominò ne' Mari alle tempeste conduca i desiderij, ed i fini di V. S. ILL.MA in porto, & abbonacci tutte le turbolenze, che mai possano inquietarle la serenità della mente. Tanto le auguriamo ossequiosi, e con profondissimo inchino ci rassegniamo.

Di V. S. ILL.MA

Divot.mi, & obl.mi Ser.ri Li Padri Minimi del Convento di S. Anastasia.

Milano il 4 Giugno 1681.

[x]

************************

Al Pio, & Ingegnoso Lettore.

ccomiti redivivo con un'Opera, nella quale più, che nell'altre mie, ho stemprato il midollo del mio Ingegno, e sviscerate del mio cuore le fibre. Tanto richiedeva l'assunto di essa, e l'obligo della mia gratitudine, la quale m'impone a

sborsar' in questi fogli, quanto di dovitioso habbia in sé l'erario della mia mente. Questo è un tributo, che pago al mio Santo, il quale non esigge meno da me, che l'anima tutta, la cui sostanza, se il corpo è di terra, è tutta d'oro, e perciò l'ho battuta, e conniata in questi caratteri, che portano l'impronte del mio gran Patriarca per impiegarli nella Fiera dell'Eternità, e farvi un mercato di Gloria.

E

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Non parlo di quella Gloria, della quale tanto millantano gli Scrittori, che pretendono, e sperano con le lor penne di volar' all'ultima Tule, e di strascinarsi in trionfo espugnato il Tempo, perché questa, secondo me, non è altro, che un sogno imaginario, & una fumosa chimera se pur non è anche un tormento, & una tortura, poiché molti Autori sono, come Aristotile, lodati dove non sono, e dove sono son cruciati. Di quella Gloria [xi] favello, ch'è frutto delle buone Opere; ond'è ch'io non diffido per haver fatta quest'Opera buona di haverne dalla Bontà Divina quel premio in Cielo, che non mi può dar una terra, la quale non mi germina sol che triboli, e spine.

Vanti non sono questi vani, e ventosi, ma rimostranze ingenue della mia nativa schiettezza, mentre non presumo di lodarmi, bensì mi glorio di abbattermi con una seria protesta a confessarmi col dovuto riconoscimento assistito dalla mano di Dio, la quale ha guidata la mia penna nella formatione di questi Caratteri, con l'essemplare dinanzi agli occhi così perfetto del mio Santo: appunto come suol fare il Maestro per insegnar a ben iscrivere al Fanciullino; e Fanciullino posso dirm'Io, perché singolarmente nelle cose dello Spirito, per la mia non dirozzata imperfettione, puer sum, & nescio loqui.

Io soglio dire per attesto della mia debolezza, & a più di un grand'Huomo, che mi ha sommamente esaltata la struttura di questo Libro, ch'ella non è mia certo, ma del mio gran FRANCESCO, il quale sopra una pietra così scabra, e cotanto humile, ha voluto innalzar la Colonna de' Fasti suoi Gloriosi. Ho sensibilmente provata l'assistenza prodigiosa della sua destra, la quale se quaggiù arrestò nell'aria librate le rupi, di lassù si compiacque di sollevar un sasso così pesante come il mio intelletto, e di sostenerlo così sublime fuori del basso suo centro. Con chimica miracolosa egli ha convertito il mio piombo in [xii] oro; e fissando il mio Mercurio, per esser FRANCESCO polve pretiosa de' veri Sapienti, che tale il rese la sua sovrana Humiltà, l'ha cangiato in Sole. E certo non si potea che con uno stile solare, & aureo abbozzar una luce così pura, & Orientale come la di lui Santità radiante, che sull'Ecclitica dell'Eternità fiammeggiando rifolgora.

Il mio FRANCESCO dunque è stato il Dedalo della mia penna d'Icaro, la quale più volte, benché si sia così sollevata, all'ardore della di lui Carità portentosa è caduta meco in un mare di confusione. Egli è stato l'Apollo della mia Musa, e se vivendo mortale non ricusò di cantar con ispiritualissimo metro sulla Passione del Redentore, sì come ne fanno fede le di lui divotissime Compositioni, che imperlate dalle di lui lagrime, e vergate dal candor del di lui inchiostro, si conservano pretiose nella Biblioteca del Re de' Galli: io so bene, che dovendo effigiarlo tanto consimbolo al Crocifisso, ha spirato al mio petto Celesti ardori, e dalla cenere della mia pallida Dicitura ha fatto prorompere purpureggianti scintille.

Corrono già quattr'anni, ch'io tengo questo Componimento sotto la penna, e mi è convenuto stancar l'impatienza di tanti, che lo sospirano, perché dipingendo un Alessandro di Santità, dovea portarmi da Apelle, non

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da Protogene: Così ho ritoccata ogni linea con accuratezza guardinga; e se non mi è riuscito di formar'in prospetto il Ritratto del mio Santo, ho procurato almeno d'effigiarlo in profilo, [xiii] e mostrarmi Apelle, se non se nell'illuminar la pittura, nel farla almeno spiccar con l'ombre, ottemperando con queste così gran luce per renderla delicatamente visibile. Io posso dir senza fasto, perché ho adempiuto il mio debito, che per esprimere i Fasti di FRANCESCO sulla pietra piana della mia mente col mio cuor di macigno ho stemprati i colori, colti nella minera del mio Ingegno, e divelti dalle vene più cupe del mio sotterraneo sapere. Come Apelle espongo la tavola al giudicio più critico dell'Unversità Letterata, e sotto di essa mi nascondo tutto, perché tutto mi sono svescerato per lavorarla con gli sforzi della mia debolezza; Quindi attendo il sentire da chi ha il senno fiorito, il demorsos sapit ungues, di cui Persio si servì per celebrare un compiuto Componimento. Se poi si trovasse tal uno di proboscide così affilata, che presumesse di censurar questa mia sacra fatica, non posso far altro, che consigliarlo a ritirarsene, perché gli Elefanti agli albori dell'Orizonte, benché di nuvoletti contornati si curvano riverenti; e perché non si possono specchiare nello stagno limpido, procurano prima di bere d'intorbidarlo col naso. Sfido chi si sia a far prima atretanto, o meglio, e poi si vedremo.

Molti hanno scritto del mio Santo, ma pochissimo, hanno spiegato volo degno di una tanta Eminenza di Merito. Il Suggetto quanto più fu humile in terra, per la ragion de' contrari, tanto più è sulime nel Cielo; ond'è, che rari sian giunti con l'Eloquenza volante [xiv] alle falde di questo grand'Olimpo di Santità, non che al mezo di esse; gli altri tutti collo stile loro pedestre son rimasti infangati nelle bassezze palustri delle loro vene mocchiose. Non pretendo già di screditar chi si sia; perché come Diogene soglio lodar anche quelli, che fan male qualche mestiere, e perciò da tutti scherniti, essendo meglio il non oprar bene, che l'oprar male. Il non sonar ben di tromba, è meglio del sonar d'arpa: cioè del rubare. Dio volesse, che tutti gli otiosi fossero attuati anche senza frutto, perché almeno viverebbero senza colpa. Ma tronchiamo queste Parenesi, perché i declamar' ai Catadupi è un logorar il fiato col tempo.

Torno a me. Io non millanto qui, né mai l'ho stilato nell'altre mie Opere, & attioni, benché honorate da tanti applausi più per favore de' miei partiali, che per condignità de' miei parti, d'haver fatto miracoli; ma dico ben sì, che gli ha fatt'il mio Santo Miracoloso, perché quest'Opera è sua, e non mia. Egli l'ha benedetta col suo influsso, e tutto il buono, che v'ha, il riconosco dal Cielo affluente per la di lui efficace intercessione.

Qui troverà ogn'uno, di qualunque conditione, pascolo proportionato. Il Dotto vi troverà sostanza, l'Ingegnoso fiori, il perspicace lumi, il facondo elocutione, il Penitente Viole, il Celibe Gigli, il contemplativo Ligustri, il Sapiente sali, il sottile acutezze, il fiorito descrittioni, l'acrimonioso invettive, il mistico documenti, l'afflitto consolationi, il ferito balsami, l'abbandonato assistenza, il [xv] curioso maraviglie, il Theologo divinità, il

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Morale precetti, & il Politico Christiano Massime d'Eterna Vita; ma tutto è dono di FRANCESCO.

A' i Divoti di esso ho intessuto Elogi, se non se adeguati per l'espressiva, infiorati almeno dalla riconoscenza. Io qui lodo di passaggio tutti i Principi, tutte le Città Cattoliche, e tutti i Partiali del Santo, de' quali m'è penetrata qualche notitia; e so che molti, de' quali non ho potuto arrivarla, potrebbero forse lagnarsi, ch'Io gli habbia con indegna trascuragine trasandati. So, che in ogni luogo FRANCESCO ha i suoi Acati, ma se non gl'involo qui negli Elogi con gli altri, la mia è un'ignoranza invincibile, e non suppina. Se coloro a' quali può incombere mi faran pervenir la notitia de' trasandati Benefattori, e Partiali del Santo, procurerò quando si ristampi il Libro, di farlo comparir anche in questa circostanza compiuto. Nel rimanente le mie lodi sono sincere, e perciò non interessate. La mia penna non fu, né sarà mai venale, & io nell'encomiar la Virtù non posso, e non voglio valermi dell'Adulatione, tanto più in materia di Pietà, perché son'estremi troppo discordanti, che non si possono unire.

Quando poi biasimo il Vitio, io mi prefiggo l'Idea di esso per flagellarla colle mie sferze spinose, ma non ho mai per iscopo alcun suggietto individuale di quello: Così rinnovo sempre le mie Proteste, & intendo con tutto lo Spirito di detestare, & abolir ogni neo, che possa dall'altrui livorosa interpretatione restar'affisso [xvi] a qualsivoglia particolare: sì come ritratto quanto da me fosse qui, od altrove stato scritto, non solo contro al buon concetto, che debbo haver, e conservo di tutti gl'Individui Honorati, & anco di coloro, de' quali le attioni sono sospette, non toccando a me l'esserne il Giudice; ma anche tutto ciò, che mi fosse sdrucciolato dalla penna contra il Prescritto della Chiesa Cattolica, non intendendo colla mia semplice autorità di recar altro credito, che puramente historico a quelle attioni, che non sono da essa approvate: Benché in quest'opera quasi tutte le narrative di essa convalidate sussistano dal consentimento di quella.

Per ultimo Io mi volto a certi Ladroncelli assassini delle mie sostanze per invitarli con un tondo Sarcasmo a metter subbito a sacco questo novello fondaco di letteraria opulenza, ch'io apro alla Fiera dell'Eruditione nell'Emporio delle Scienze. Io mi glorio bensì, che alcuni Predicatori de' più classici habbiano voluto honorare le mie fatiche, con valersene opportunamente sul pulpito, poiché l'hanno confessato i medesimi anche doppo il fatto, con mio encomio. Che i Cigni si vagliano delle penne degli Aghironi per comparir più vistosi, va bene; ma che i Corbacci neri, a' quali la natura non insegnò solo, che il garrire e 'l rubare, si cuoprano delle piume de' Colombi candidi, per accreditarsi dissomiglievoli da loro medesimi, è intollerabile. Io ho sentito da cert'uni di nome indegni recitarmisi sul volto interi squarci della mia Parigina, senza rossore perché si [xvii] suol dire, che carta non erubescit, che perciò colle mie pagine in faccia non si vergognarono. Anche de' miei Panegirici alcuni, come tre singolarmente del mio Santo: cioè il Proteo, il Chimico, il Sole Pittagorico, e l'altro di S. Francesco di Sales, che presto veranno a luce, sono stati da

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cert'uni sfrontatamente, come proprij loro, portati sul Pulpito, col rinovato successo del Verso.

Sic vos non vobis fertis aratra boves; ma io l'intendo con questo sentimento: che i Buoi, cioè gl'Ignoranti, valendosi degli altrui solchi, & addossandosi l'altrui aratro, vogliono indovutamente qualificarsi per laboriosi giornalieri nel campo delle Lettere, e pure si son sempre trattenuti nella Stalla ad impinguarsi con le altrui prebende. Non posso se non dolermi di questi dolosi, che aliena rapiunt, & assassinando i Peregrini, se non gli uccidono, li divolgano estinti, per non esser colti col furto addosso. Via dunque, o dimestici Filoni, o simulatori Fileti, eccovi nella presente Opera l'occasione prossima di un Saccomanno! A voi, che qui v'è da far buon bottino; ma avvertite, che come al Corvo non vi cada un giorno con quell'infamia, che non istimate, di bocca la preda. Ho voluto dichiararmi per hora con questi moderati, e modesti termini, perché per tutte le Leggi un Autore può ripetere ciò ch'è suo; non v'essendo particolarmente cosa più propria, che i parti dell'intelletto, i quali non cadono sott'altr'impero, che quello di Dio.

Ma tu perdonami, o mio riverito Lettore, [xviii] se ti ho trattenuto soverchiamente in questo preliminare. Se tu sei discreto non è bisogno, ch'io ti cohonesti le mie doglianze giustificate da' miei torti; e se Saggio sei, mi condonerai l'haverti informato della qualità del mio Libro, c'hai per le mani, perché co' miei istruttivi preamboli ti veggo già stimulato a passeggiare, ma non a correre la lettura di esso, per esser congenito a' Sapienti, che sono le Api, e non i Fuchi de' Libri, non partirsene così presto quando vi trovano abbondanza di mele. Il Cielo ti colmi di quelle dolcezze che sono providi effetti delle sue sovrane benedittioni, per viver felice. Addio, & a rivedersi.

*

[xix]

FR. BALTHASSAR STRYCHER,

Ordinis Minimorum in Provincia Sereniss. Venetiarum Dominij

Corrector Provincialis, Vic. Gener., & S. Inqui-

sition. Consultor.

11

Cum ex commiss. Rever. P. Sebast. Quinquet. nostri Ordinis

Correctoris Generalis Opus hoc inscriptum; I Fasti del Miracoloso S. Francesco di Paula, &c. duo huius nostrae Provinciae Theologi RR. PP. Anastasius Parenti, & Ioseph Mabellinus a nobis deputati approbaverint, de eiusdem Reverendiss. P. nostri Generalis licentia, quantum nostra interest, ad Dei Optimi Max., & Beatiss. ac prodigiosiss. eiusdem Patriarchae nostri maiorem gloriam, permittimus imprimi. In quorum fidem &c. Datum in nostro Venetiarum Conventu Octavo Kalendas Iunias 1668.

Fr. Balthassar Strycher Cor. Provin. & Vicar. Generalis.

[xx]

AL PRODIGIOSO

S. FRANCESCO D I P A U L A

PER GLI SUOI GLORIOSISSIMI

F A S T I S O N E T T O

DELL'ECCELL. E SPIRITOSISS. SIGNOR

GIO. BATTISTA V I D A L I .

ASTI, ma d'Humiltà: Trofei, ma Santi,

T'apron, FRANCESCO, un Campidoglio in Cielo; E quivi trionfando in aureo velo, Fansi ruote al tuo Carro Orbi rotanti.

Del superbo Aquilon gli orgogli infranti,

Austro di Carità, spiri alto zelo; Che se pianti ne' Chiostri un'humil Stelo Di Lucifero altier lo Stelo spianti.

Da la Stellata Coda, onde quel fiero

Scosse il Ciel, tu ripari i danni vasti, Traslato in Stele il tuo Sacrato Zero:

Quinci a' Trionfi tuoi la Gloria hor basti,

Che in note d'Astri, in Libro d'Hemispero I Fasti son del Vincitor de' Fasti.

F

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[xxi]

ALL'AUTTORE SONETTO

DEL P. LETTORE F. GIO. BENEDETTO

P E R A Z Z O DE' PREDICATORI.

ULVIO Leon, che con ruggiti eterni

Del umile FRANCESCO i Fasti esprimi. E con fauci melate espressi imprimi Di Fede, Speme, Amor concenti alterni.

Ed oh quale d'applausi sempiterni

Eco risuona a' detti tuoi sublimi, Onde a Stige, a l'Empiro, al Mondo intimi Nuovo duol, nuova gioia, e nuovi scherni.

Magnanima pietà! Chi non ti pregi

Del gran Leon di Giuda emulo? a' Divi Ei dà la gloria, e Tu di gloria i pregi.

Quindi con aureo stil qualor descrivi

Del Massimo de' MINIMI i be' fregi, Tra' MINIMI scrittor Massimo vivi.

[xxii]

I F A S T I DEL MIRACOLOSO

S. FRANCESCO D I P A U L A;

SPIEGATI NELLA DIVOTIONE

DE' TREDICI VENERDÌ

PARTE PRIMA.

F

13

[1]

RICORSO A DIO

NELLE ANGUSTIE DI UN CONVERTITO,

Spiraglio certo, onde gli prorompa

il respiro.

PROLUSIONE I.

DDIO, che secondo Agostino (Aquila de' Dottori, come Giovanni de' Vangelisti) è tutto lume, perché Tutto vede: è tutto mani, perché del Tutto fu Fabbriciere: è tutto piedi, perché per tutto si trova: Aggiugnerò Io, con altrettanta Verità, quanta

riverenza, che anche sia tutto orecchi, per ascoltare le nostre suppliche: tutto cuore, per compassionar le nostre miserie: tutto viscere, per commoversi a' nostri [2] gemiti; e tutto ale, per volar' a soccorrerci ne' nostri infortunij.

Quel Divinissimo Sole, che non ha luce solo, che da sé stesso, e movendosi in sé medesimo, equilibrato dal suo Sapere preponderante, a tutto libratamente eguali dona le mosse: che di sé solo Epiciclo, e Sfera, colla sua sola Intelligenza infinita, nel solo immenso suo cuor si raggira: che non havendo termine, il Tutto principia, e non havendo fine, il Tutto finisce: che smisurato, ogni cosa misura: innumerabile, è l'origine di ogni numero; & incircoscritto, circoscrive ogni effetto, da lui causato, che non ha causa: Quello, che ha per Vita l'Eternità, la cui sussistenza è il suo Essere, il cui Potere è la sua Volontà, la cui Esistenza è la sua Natura: che in sé contiene con perfetta Eminenza ogni specie creata; non potendo lasciare di essere ad ogni sustanza individualmente intrinseco, non solo nel procrearla, ma nel custodirla; tanto più con ispeciale concorso assiste alle sue Ragionevoli Creature presente, quando necessitose, & afflitte con viva Fede, e con Isperanza non palpitosa a lui si presentano.

È l'Huomo, scintilla durevole della Fiamma inesausta, che da un Nume, il qual tutto è Lume, a rischiarar l'Universo per nostro beneficio sempre divampa; È un riverbero di quell'inesausto Splendore, [3] che sempre ad illuminarci prosorge dall'Abisso degli splendori: È un riflesso di quel Serenissimo Volto, in cui si specchiano gli Angioli; Dunque non può mai scordarlo il nostro buon Dio, poiché sempre il rimira, e spande, Benefico Luminare, a' Popoli anche più opachi la fulgidezza abbondante de' raggi suoi.

I

14

Porta l'Ethiopo adusto la Notte in visto, per haver troppo in faccia il Sole, che mentre il ravviva, e 'l fomenta, l'abbrustolisce, & abbronza. Porta bene spesso il Fedel'oscuro la notte nell'Anima dalle tenebre della colpa caliginosa, o dall'ombre cadenti della Tribulatione formata, perché torcendo l'occhio interiore dal Sole Eterno, a queste fugaci Larve inconsideratamente, lo volge. Tal fia di lui, che tralasciando di esser Astronomo in prender la giusta misura del Cielo, si rivolta Geografo a compassare troppo avidamente la Terra.

Dunque il ritornar con la faccia dell'Anima a Dio, per rinovellar'in quella offuscata l'Impronto della Gratia, Foriera del Paradiso, è l'unico mezzo a dissipar le fuligini, che con Egittiana Tirannide tenebrosamente l'opprimono.

Ad un baleno di un raggio, che s'imprima nel nostro affetto, disperge il nostro amabilissimo Amore, purché dall'interno venga implorato, la nebbia folta, che alla nostra carne fangosa, dall'esalatione [4] del Senso, svapora. Per disseccar quelle feccie, che c'impaludono il Cuore, basta scoprirlo a lui, accioché ne disgorghino in lagrimosi rigagni gli umori peccanti, che vi ristagnano a far velenoso covaccio agli Aspidi sordi de' Peccati Homicidi.

Recisa la colpa, che può chiamarsi l'unica radice d'ogni sciagura, ecco l'Anima rifioreggiare, qual Pampinosa Vite di Engaddi, e maturar li suoi Grappoli per le Vendemmie Beate: Sì come allo sbarbicarsi dal vicino Napello, l'Antora medicinale, più vigorosa s'infronda.

Questa è la prima, e l'ultima dispositione ad introdurre la Forma della Gratia santificante, senza la quale tutte le mondane felicità son tormenti.

Vuo' tu essere fortunato? Cerca in Dio la Fortuna, e con un Chiodo del Crocifisso compianto fermala nel tuo Cuore compunto.

Ha egli sempre le braccia aperte a raccorti Pietoso, e spiega le sue grand'ale, per proteggerti ad ogni momento, quando non sia momentaneo il ricorso a lui. Se torni ad essergli Figlio, non dubbitare, ch'egli non ti fia Padre; e collo strignerti al suo Petto, per te sviscerato, non ti converta in un Saggio Economo, se prima fosti un Prodigo Fuoruscito.

Oh qual divario è fra l'Amor Sacro, e 'l Profano! Volesse il Cielo, che non havesse [5] tanti occhi, che acciecano questo Lascivo, che porta ne' vezzi la Morte, e nelle lusinghe le perdite. Egli è un Fetonte, che incende il Mondo, perché non sa governare i lumi, & abbruccia, in preludio del Fuoco Eterno, l'Anime incaute.

Ma il nostro Castissimo Amore è tutto raggi refrigeranti: è tutto Sole, accioché tu possi risorger dalle tue ceneri, e di Verme tramutart'in Fenice: Che se pur'ha tal volta a gli occhi la benda, intessuta da' nostri Errori, stretta dalla nostra Ostinatione, se la leva ben tosto, che a lui ricorriamo pentiti, per fasciarne, dopo di haverle con l'olio della sua Carità medicate, le nostre Ferite Mortali.

Habbiamo un Nume veggente, e con più occhi benefico, che non ha piaghe il Genere humano trafitto. Non è mai così bella la Misericordia di Dio, che quando si trova l'Huomo nel colmo della Miseria. Ella si abbiglia, come di Perle, di lagrime, & i singhiozzi delle nostre Preghiere le fan

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Monile: De' nostri sospiri s'intreccia il Diadema, dal nostro rossor prende il minio, al nostro pianto s'incandidisce.

Se l'Anima s'apre al Cielo coll'Oratione, a guisa di una Conchiglia, nel mare amaro de' suoi travagli, la Misericordia le si versa nel seno tutta in rugiada colle profusioni salubri delle sue dolci Beneficenze.

[6] Il Crocifisso è l'Ardo baleno, che fa cessare i diluvij: è la Cetera, che implacidisce i furori: è la Stella, che dissipa le procelle: è l'Organo, per cui si versan le Gratie: è la Pietra, colla quale si abbattono i Goliatti: è il Libro, in cui si leggono le Vittorie: è la Nave, su cui veleggiano i cuori sicuri: è il Bastone, a cui si appoggiano gli Spiriti deboli: è l'Horiuolo, su cui si contano le hore felici: è la Nuvola, che disgorga piogge fertilizzanti: è lo Scoglio, nel quale si frangono i flutti irati: è la Spada, con cui si recidono i nodi Gordij: è la Stadera, onde si pesano i voti supplici: è il Cilindro, in cui si riflettono i raggi Empirei: è il Compasso, con cui si misurano i giorni Eterni: è l'Astrolabio, per prendere l'altezza de' gradi perfetti: è la Chiave, con cui s'aprono le Cateratte Clementi: è l'Ancora, che salva ne' naufragi pericolosi: è la Tavola, cui si attaccano i Peccatori sommersi: è la Verga, che stermina tutt'i Serpenti mortiferi: è la Lancia, colla quale si atterrano i Nemici orgogliosi: è la Saetta, con cui s'imbroccano gli scopi finali: è il Carro, su 'l quale si trionfa degli Emuli vinti: è la Tromba, che fa cader le mura di Gerico: è la Scala, per cui discendono gli Angioli: è la Porta, per cui si ha l'entrata alla Gloria: è la Torre, da cui pendono mille scudi: è l'Argine, onde si riparano le innondationi: è l'Ariete, che spiana tutti gli Hostacoli: [7] è il Polo, su cui si regola tutto il Cielo: è l'Aratro, con cui si solca l'Eternità: è l'Olmo, su cui si adagiano le Anime Viti: è lo Scudo, con cui si disfanno gl'incant'infernali: è il Ponte, per cui si passano i rapinosi Torrenti: è la Palma, da cui si colgono Frutti dolcissimi: è l'Alloro, che tien lungi gl'irati fulmini: è il Terebinto, sotto cui si sepelliscono gl'Idoletti delle proprie Passioni: è l'Ulivo, che presagisce le Paci: è l'Arca, sulla quale si salva l'Humano Genere: è la Catedra della Patienza, e della Sapienza: è il Rosaio, che reca Primavera: è il Ginepro, sotto cui riposano i Perseguitati: è l'Ancìle, che protegge tutti gli oppressi: è il Palladio, che difende ogni bersagliato: è il Legno, che raddolcisce l'acque più amare: è il Trono, su cui la Misericordia si asside.

La Misericordia si asside su 'l Crocifisso ad accorci con braccia aperte. Basta divenir Bambino coll'Innocenza, che le Mammelle della nostra Balia amorosa sempre son piene, stan sempre pronte.

Se Dio non havesse pensier di noi, non sarebbe il Dio de' pensieri: se non ci volesse salvi, non ci harebbe redenti. Sposò l'Humana Natura affin di regenerarci, e versò dal Sacco sdrucito del suo Divinissimo Corpo, su 'l Banco della Croce, tutto il Tesoro del suo pretiosissimo Sangue, per riscattarci. Si fe' aprir'il Petto, per risarcir [8] le nostre ferite, e come Madre passionata di ben nodrirci, moltiplicò le sue Poppe nelle sue Piaghe. Imparentati con lui, col mezo dell'Incarnatione ineffabile, habbiamo affranchito l'accesso a chiederli con Fiducia non che le mercedi, ma il merito, che di queste solo ci può costituire capaci.

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Christo figurato simbolicamente ne' Santi Quattro Animali di Ezechiello, anche ci prefigura gli aiuti, co' quali solleva Chiunque alla di lui Pietà fa ricorso. Huomo nell'Incarnatione, Bue nella Passione, Lione nella Risurrettione, Aquila nell'Ascensione: Come Huomo compatisce le nostre miserie, perché portolle su 'l dorso: Come Bue aleggia i nostri Travagli, perché per noi piegò il collo al giogo della Croce: Come Lione svegliato si riscuote contra gli Orsi infernali, perché per noi dormì un sonno di Morte: Come Aquila ci anima al volo, perché per noi poggiò in Cielo a prepararci un nido di Vita.

Coraggio Afflitto, che quando ti si chiudano tutte le porte quaggiù del soccorso, non è mai per mancartene una di rifugio, che ti sta sempre aperta nel Paradiso. Da un Dio sdegnato non puoi sottrarti, che con metterti nelle mani di un Dio placato. Egli, misticamente, le ha fatte al torno, perché flessibili a dare i favori, più che a punire i delitti: Colmate [9] le ha di Giacinti contra le Pesti delle Tribulationi, che serpeggiano ad infestarci sotto il Clima corrotto di un Secolo infetto: Le tien forate per ispargere senza risparmio i suoi Doni a que' Cuori, che senza hostacolo si fan degni di riceverli consolati anche col dimandarli importuni.

O Mortale (Iddio chiaramente te 'l fe' intimare dal suo Profeta) non confidar nel Mortale, perché non può dar vita chi per lo più suol vivere con la Morte dell'Anima in seno. Se tu fondi le tue speranze ne' Principi, vendi la tua libertà, per fabbricarti il precipitio nell'Eminenza. I figliuoli degli Huomini non han salvezza per te: sono Vasi di Creta fragili, che ad un urto si rompono, ad una caduta si frangono, ad un soffio si spezzano, ad un crollo si fendono; Dunque mal fai riponendo in essi la tua Ventura. Sta sol la vera tua Sorte nelle mani, che tengono la tua Vita. Il tuo aiuto dipende solo da quel Signore, che fece il Cielo, e la Terra: questa, perché tu la calchi Peregrinante: quello, accioché tu 'l cerchi Perseguitato.

Ah nasconditi nel Costato del Salvatore, e non temer di pericolare nel luogo della Salute! Quivi sol puoi trovar la tua quiete, perché quivi solo è il tuo centro. Uscinne il Sangue, che ci die' la Vittoria: uscinne l'acqua, che ci diede il Candore. [10] Dall'Acqua havrai refrigerio, se sei afflitto: dal Sangue medicina, se sei lebroso. Dal Sangue il nodrimento, se sei famelico: dall'Acqua la bevanda, se sei assetato.

Deh ricovrati all'ombra della Croce, più, che del Potente, poiché là sotto si raccoglie la Mirra, onde ti preservi da' Vermini, che ti rodono; e non imputridischi nelle miserie, che ti sepelliscono. Là troverai l'Inferno imbrigliato, & avvinto quel Cerbero, che non può morderti dove fu vinto. Sotto il Vessillo del Dio degli Eserciti non puoi attendere che Vittorie. Se delle spine del Crocifisso ti formi una Siepe al Cuore, non dubbitar, che v'entri il Serpente antico per infestarti. Col Fiele del Redentore puoi raddolcir'il tuo Spirito amareggiato. Con que' Chiodi, che fissarono la nostra Felicità, poi crocifiggere il Mondo, che ti rende infelice. Con quella Lancia, che ti percosse morta la Vita, puoi Vincitore trafiggere viva la Morte.

Questo Mondo è un Egeo senza Porti: Dunque verso il Cielo spiega le vele sulla Navicella del tuo Corpo debole, poiché non ponno mancarti i

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Corredi delle Virtù vigorose: E già, che la Salma, che porti, è l'Alma, che spiri, riscattata col valsente di un Dio, spirato per darti spirito, e spirante, accioché tu respiri, non paventar i Turbini, che ti turbano: non ti [11] sbalzino i soffi, che malignosi ti spingono: non t'inhorridiscano le Orche, ad ingoiarti anhelanti: non ti dian pena le Seccagne insidiose: non ti assopiscano le infide Sirene: non ti spaventino gli Euri minaci. Dirizza la Proda a quella Tramontana, che non tramonta se non solo a chi passa sotto la Zona Torrida della Carne, e si allontana dall'Equatore dello Spirito. Tratta di tener'attenti gli affetti a que' Monti Eccelsi, da' quali nascono l'aure ausiliarie. Procura di trovar'il Porto colla Carta del Vangelo, e colla Bussola della Pietà, & ancorandoti col Crocifisso, non temer più di perderti, che non rimarrai sommerso se non solo nell'abbondanza delle Gratie Divine.

Le nostre Suppliche a Dio sono spedite dall'Intercessione da' Santi.

PROLUSIONE II.

h che gran Corte è quella del Cielo, dove non sono Intrighi, né Frodi, né Adulationi, né Insidie, né Gare, né Fintioni, né Invidie, né Politiche, né Peripetie, né Rivolutioni, né Ingratitudini, né Dissimulationi, né Stratagemi, né

Dispareri, né Livori, né Odij, né Martelli, né Gelosie, né Strabalzi, né Precipitij, né Cadute, né Disgratie, né Sdegni, né Ingiustitie, né Tirannie, né [12] Partialità, né Differenze, né Controversie, né Machine, né Rovine.

Il Principe è così Sovrano, come Padrone, e così Padrone come indipendente da chi si sia. È Serenissimo non per lo titolo, ma per la Realità: la cui Altezza non ha pari per esser Egli l'Altissimo: la cui Maestà non ha simile, perch'egli è l'Unico: il cui Saper non ha eguale, essendo Egli la stessa Sapienza: il cui poter non ha limiti, per esser Egli l'Onnipotente: la cui presenza non ha termini, per esser Egli l'Incircoscritto: la cui Bontà non ha paragone, perch'Egli è l'Ottimo: la cui richezza non ha numero, essendo Egli l'origine d'ogni Tesoro, il Tesoro d'ogni origine, la Miniera d'ogni Bene, il Bene d'ogni Miniera.

Nel Gabinetto segreto dell'Augustissima Triade, dove in Tre distinte Persone un Dio solo indiviso presiede, si trattano incessantemente materie di Stato Eterno, e si risolvono le Missive importanti al Governo dell'Universo. La Providenza detta i Rescritti: la Giustitia vi fiscalizza; e la Misericordia è la benignissima Segretaria, che riparte gl'Indulti, e nella Segnatura di ogni Gratia sottoscrive ogni Supplica.

Anche lassù si va per via di favori; ma in altra maniera di quello, che qui a basso si pratica. Assistono i Santi, Cortigiani non finti, a quel Re de' Secoli, a' cui piedi, [13] velati dalle ale Serafiche, curvano spennato il volo le Aquile della Terra. Fumano i Monti, tocchi da quella mano, che fa palpitare palpante, e fe' risolvere in fumo tanti Regi fumosi.

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Sono que' Palatini Celesti tutti di un volto, e di un cuore: con questo adorano affettuosi il loro gran Principe: con quello svelatamente, faccia a faccia lo godono.

Ei gli ama, e gli honora, & a ciascuno riparte la Portione della loro Felicità a proportione del loro Merito. Hanno tutti libero a lui l'acesso, perché portano, Camerieri d'Honore, la Chiave d'oro della Gratia, che Gloriosi li rende, e non Vani, Alti, e non Alteri, Sublimi, e non Superbi. Per essi non v'ha Portiera, e quelle Tenebre, che formano all'Increato Sole Nascondiglio, si abbattono, e si dileguano al Lume, che li circonda, e gli eleva. Tutti li mira Iddio con indifferenza illuminadrice; ma a chi più, e a chi meno, come suol far amorevolissimo Principe a' suoi Dimestici, apre i Tesori ineffabili della sua Sapienza, e del suo Potere.

A questi dunque bisogna ricorrere, per impetrar'il Divino aiuto nelle presenti, e pressanti disavventure. Noi li preghiamo, ed Eglino, che sono i Colombi in Caverna Maceria, della Beatitudine, sicuri in quel Nido Felice, in cui non ponno [14] entrar'i Serpenti, che ne furono discacciati, intendono i nostri gemiti, s'impietosiscono a' nostri singhiozzi, pur che questi siano di Colombi candidi per la Purità della Vita, che gli abbellisce, come quelli lo sono per la fulgidezza della Vitalità, che gli adorna.

In quel gran Libro della Prescienza Voluminosa leggono i Santi li Nomi nostri funestati sovente da' calamitosi vapori, co' quali gli oscurano le nostre colpe, & impetrando a queste il Perdono, da quelli ne scancellano le sciagure. All'impeto di quell'inesausto Nilo, che travasando da Triplicato Fonte non ha, che una Origine, e scorrendo sonoro rallegra la Città di quel Dio vivo, che si diffonde a' Beati, non divenuti questi Catadupi, ma raffinato l'udito, esaudiscono pronti le nostre richieste dolenti.

Come le Stelle, etiandio le più tarde, o di minor mole, ancorché paiano ascoste, non sono otiose a pro della Terra; così non v'ha nel Cielo Spirito alcuno Glorificato, che lasci di versar'alle nostre fervorose Preghiere salubri 'nflussi; tanto maggiormente, perché si trovano vicini a quel Polo acceso di Amore, sotto cui non alligna freddezza alcuna Settentrionale di Mondo.

La Bontà indeffettibile del nostro Nume, sempre adorabile, è tutta così eccessiva, che ha multiplicati gl'Intercessori, [15] per multiplicarci le Gratie. In quello Specchio tersissimo di Empirea Luce mirano, que' Venturosi Guerrieri, che vinsero la loro Carne ribelle; gli affetti nostri riverberati, quando non ribelliamo allo Spirito; e se col cuor si voltiamo a Dio, Essi co' gli occhi si rivoltano a noi.

Se tu stai per cadere, oh quante mani benefiche a sostenerti! Se ti trovi oppresso, e legato, oh quante braccia forti si stendono al tuo sollievo, & a sciorti! Se sei Infermo, oh quanti sono i Semplici, che ne' Giardini Eterni alla tua salute prosorgono! Se sei Calunniato, oh quanti Eloquenti Declamatori del vero la tua riputatione difendono! Se sei Esule, oh quanti Benignissimi Protettori ti accolgono! Se sei insidiato, oh quanti Scudi a chi ti bersaglia si oppongono! Se sei Povero, oh quanti Providi Dispensieri ti ripartono il sustento! Se sei sterile, oh quanti frutti dall'Albero della Vita ti spuntano! Se sei Naufrago, oh quante Tavole per salvarti a te si presentano!

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Se sei ferito, oh quanti Esculapij preparano il Balsimo alle tue Piaghe! Se sei tiranneggiato, oh quante Città di rifugio stanno aperte a riceverti! Se sei Errante, oh quante guide sicure ti si offeriscono! Se sei deriso, oh quanti a consolarti mesto ti arridono! Se sei Moribondo, oh quanti per convoiarti al passaggio estremo si schierano! [16]

Folli gli Heretici pervicaci, che si privano, colla Fede, di que' soccorsi, che i veraci Cattolici sperimentano tanto frequenti. I Meriti de' Santi suppliscono il difetto de' nostri; e già che più non hanno a pregar per loro, ben volentieri s'impiegano in esercitare la bella Virtù dell'Oratione per noi, affin di ottenerci, come ci fa sperar la nostra Fiducia, di poter giugnere dove non può arrivar la nostra Giustitia.

Habbiamo un grande Avvocato (& è vero) che basta, & è la stessa efficacia a difenderci appresso l'Eterno Padre. Col semplice Testo delle sue Piaghe faconde, marginate di Sangue eloquente, per noi favella; Ma questo gran Mastro habilitò anche a nostro vantaggio, a perorare per nostra difesa tutt'i Santi nostri 'nvocati, partecipando ad essi per Privilegio, ciò, ch'a lui solo appartiene per Eminenza, come al Capo de' Predestinati, & al Promotore de' Beneficij: Così nella Ruota Sovrana s'impiegano que' Felici Oratori per farci ottenere favorevoli le Decisioni, ugnendola coll'Olio della Misericordia, accioché non istrida sul Polo dell'Ira contro di noi. Son tutti hora residenti nella gran Signatura di Gratia, finché venga il tempo di quella rigida di Giustitia, all'hora, che di Avvocati Propitij si convertiranno in severi Giudici.

E che fai dunque hora tu, o miserabile [17] Angustiato? Confiderai ne' Principi della Terra, più, che non farai ne' Principi del Cielo? Appoggierai le tue speranze alle Canne vote, più, che sopra le Basi ferme? Adorerai gl'Idoli dell'Ambitione, più che i Divi della Felicità? Sconsigliato, se 'l fai, poiché col correre dietro alle Larve non puoi, che cadere nell'ombre.

Non senza qualche Teseo puoi uscire dal Laberinto di un Minotauro. Quando solleciti al tuo sollievo i Mortali caduchi, chiami 'n tuo aiuto i Titani superbi. Sono cert'uni come il Demonio, mentre non esiggono meno, che l'Anima, quando soccorrono; e liberando da un momentaneo pericolo, astringono chiunque li supplica a patire un perpetuo Supplicio. Rivolgiti dunque a quegli humili esaltati dalla loro Virtù, che col temporaneo profitto ponno impetrarti eterno il guadagno: a quelli, che altro interesse non hanno, che di sottrarti più dalla miseria di quelle Perdite eterne, che ti sovrastano, che dall'oppressione di quegl'infortunij presenti, che ti conclucano.

Come un Pulcino di Rondinella grida, se sei spennato, che il Cielo ti darà l'ale per ispiegarle ad una Primavera ridente. Ha l'Altissimo tanti Orecchi quanti Beati; non dubitare perciò, ch'Egli non ti senta. Se non havesse munite di Santi Protettori le Città sue Fedeli come di fortissime Torri, dalle quali pendono a migliaia [18] gli Scudi, veglierebbero in darno a premunirle i Custodi.

Ah sappi, che per allentar l'Arco teso della Divina Giustitia, bastano quelle Anime Spose, e Sorelle di Dio, che gli ferirono il Cuore con un

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occhio amoroso, e con uno de' lor capelli: cioè con una Vita Penitente, e Disciplinata.

Di Nostra Dama, e di tutti gli altri Beati, la Protettione efficace, superficialmente

descritta.

PROLUSIONE III.

a gran VERGINE MADRE Figlia, e Sposa di Dio, col partorirci feconda il Bene nel Benedetto suo Frutto si fe' Antemurale a difenderci da ogni nostro disastro. I Colpi delle Colpe, che son le Pene, non si pon meglio rispignere, che con

questo tersissimo Ancìle della Torre di David. Ella è dell'Onnipotenza l'ultima linea, che non potea tirarsi più retta, o

più perfetta formarsi, poiché si racchiuse in Essa l'Ottimo Massimo. Quell'immenso, che non capisce nell'ambiente vastissimo delle Sfere, poiché dagli spatij ancora imaginarij travasa, nell'Augustissimo Grembo di MARIA si racchiuse, per renderla più Eccelsa de' Cieli, havendola scelta de' Cieli più pura. Più pura, & anche [19] più benefica, poiché ne provengono influssi più salutari alle Anime nostre, di quelli, che cribrano le Sfere a' Corpi sottolunari.

Della carne mondissima di questa Divina Donzella si fece una Cifra a rinchiudere abbreviato quel Verbo, che procedendo dal Padre immenso tutto Parola, nacque dalla Madre ineffabile tutto Fatti per nostro Amore. Dolcissima Genidrice, che strignendo nelle sue illibatissime Viscere la Misericordia, se ne costituì provida Tesoriera. Arteria dello Spirito Santo, col mezo della quale fa tutti li suoi movimenti la Gratia. Rosa di Gerico, che presagisce infallibile la Primavera, Giglio fra le Spine, che stillandosi nella clemenza, guarisce di quelle le trafitture. Cedro incorruttibile, che ci preserva dal fracidume del Vitio. Cipresso altissimo, che ci addita la Via Celeste. Palma Trionfale, che si piega animandoci alle Vittorie. Oliva Speciosa, che ne' Campi delle Battaglia c'inaugura le Paci. Platano verdeggiante, che ci protegge colla sua ombra. Cinnamomo odorifero, che ci ricrea colla sua fragranza. Scala di Giacobbe, alla quale si appoggia il Signore, e per cui discendono a soccorrerci gli Angioli. Nuvola chiara, che nell'Egitto di questo Secolo illumina a' veri Israeliti la Notte. Colonna di Fuoco, che serve di scorta fida al Popolo fedele di Dio. Stella [20] splendente, che non mai tramontando è la Tramontana a' nostri viaggi così fortunosi in un Pelago tanto sconvolto. Verga di Iesse, che flagellato discaccia il Serpente Infernale. Castello Fortissimo, a cui refuggendos'i Cuori incalzati dalle Disgratie, sono sicuri. Trono Reale, per cui si poggia al Mistico Salomone ad impetrarne generosi i Favori. Colomba candidissima, che portando il Ramo di Ulivo, dinota cessato il Diluvio. Arca Noetica, in

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cui si salva il Genere Humano. Iride Bellissima, che ci rende sereno il Cielo alla Terra confederato. Nave, in cui si veleggia senza periglio al Porto del Paradiso. Sole fulgidissimo, da' cui raggi, disperse le tenebre opache, ci si prenuntia l'Eterno Giorno. Luna non mai macchiosa, che sempre piena della luce di Gratia, non mai si ecclissa per la Terra interposta tra quella, & il Sol di Giustitia, poiché lo miro sempre direttamente, a continuarci di quello splendente il Lume. Piscina Probatica in cui discese l'Angelo del Testamento a movere le acque della Gratia salubri, onde si risanarono tanti Languidi, e tanti Paralitici si rinforzarono. Aurora luminosissima, allo spuntare de' cui albori, forieri della Luce sovrana, dispariscono le Strigi delle Ombre caliginose, & infeste, e compariscono a discacciarle le Aquile dell'Empireo schierate, e fauste.

[21] Dopo questa gran Reina de gli Angioli sieguono questi per ordine fulgidamente agguerriti, a soccorrerci pronti, se si dichiariamo del partito di Essi, e non habbiam parte cogl'innabbissati Ribelli del Cielo. Quelle Intelligenze Spiritosissime, che con movimento addoppiato, e direttamente a noi sono inviati, e circolarmente si aggirano al loro termine interminabile, son così officiosi per la nostra prosperità, che non cessano di fiancheggiar la nostra fralezza.

I nostri Custodi singolarmente sono gli Olmi costanti, a' quali si appoggiano le Viti delle Anime, e de' Mortali le Vite. Eglino ci servono di veritieri Mercurij, per insegnarci la strada certa ne' Trivij fangosi del nostro travaglioso Peregrinaggio. Sono i Dedali, che ci prestano lo Scudo a disfar gl'Incanti: Sono i Monti, a' quali inalzando gli occhi ne imploriamo l'aiuto: Sono gli Astri benigni, che co' loro influssi amorevoli van mitigando i nostri disastri 'nfelici.

Innumerabili sono le Falangi de' Santi, che sotto lo Stendardo del Crocifisso venturosissimi Venturieri, dopo i loro legitimi Campeggiamenti, Vittoriosi, godono in Primavera Eterna negli Empirei Quartieri Fruttuoso il riposo. Questi [22] son que' felicissimi vaticinati dalle Profetiche Predicenze, che delle loro Spade fecero Aratri, e le Lancie convertirono in Falci: quelli, che seminarono lagrime, e mietono gioie, e tenzonando Guerrieri nel Mondo contro a' Capitali Nemici, trionfano Pacifici nell'Empireo, coronati i Capi di Aureole Verdeggianti. Ma non deposto peranco il Genio bellissimo, e bellicoso, tenenti alla mano lo Stocco dell'Intercessione, s'offrono a pugnare per noi; prodi non meno di pronti, e valorosi altretanto, quanto robusti ad una Virtù, che trasse dalle debolezze le forze. Non havendo hora più, che hosteggiare per loro contra il Gerione insidioso, che havendo tre teste richiede triplivate le resistenze, invocati ci assistono a debellare il Principe delle Tenebre, che cospira rabbioso colle sue tetriche Squadre, a farci perdere quella Luce, ch'egli benché Lucifero portar non seppe, indegno del Lume accesso, che in lui fu spento da' soffi gelati dell'Aquilone.

Trasando qui la seriosa Serie di tanti Celesti Togati, che colla loro Fortezza Heroica, se già furo Colossi di Fede, hora risplendono Fari di

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Gloria, per darci fulgidi Segni nelle Procelle Notturne da poter prendere senza naufragio il Porto sicuro.

Inesplicabili Martiri, che furono Marti del Crocifisso, son tutti habili, a schermirci [23] da' fulmini della tonante destra Divina, solo in frapporre tra 'l Signore aditato, e noi palpitosi, le loro Laureate Intercessioni, accioché possiam placarlo adorato.

Tacerò que' taciturni Romiti, che, se concentrati, vissero nelle Selve, invisibili, per essere tutti Spirito, hor tutti Voce, per essere pieni del Verbo, fecondamente si spiegano, & impietositi si piegano a patrocinare il Genere Humano oppressato.

Delle Truppe Verginee, che co' loro passi candidi, come festivi, van seguitando, ovunque vada, l'Agnello Divino, celebri al pari di Celibi, è troppo nota, per esser nata a non paventar' il Ferro Barbarico, la fortissima Intrepidezza, terribile come un Campo volante di ben disciplinata Militia. Queste Amazoni generose, che si recisero la mammella del Senso, per hasteggiare più francamente, contra il Mondo odiato da Esse, perché immondo, hanno il Petto sì tenero per compatirci, come l'hebbero sodo a patire. Coronate di Gigli Empirei ci mirano cinti di Spine agute, e con placidezza innocente s'inchinano supplici allo Sposo loro Reale, per alleviarci dalla Tribulatione gravante.

Ma de' Confessori Celesti, che vissero in carne come Angioli, qual hora esser debbe la sveltezza a soccorrerci, se quando quaggiù portarono Vasi lotosi, furono [24] così agili in sollevarsi ad impetrar le Gratie opportune? Oh come sono quelle belle Mummie di Penitenza medicinali alle soffocationi del Cuore?

Ogni Apostolo, come scelto fra tanti meritevole d'entrare in Dozzina, perché non fu Dozzinale, se conversò quaggiù all'intimo col suo Divinissimo Maestro, e seguendol Fedele, ne calcò le Vestigia inostrato, saprà lassù ben conoscerlo non solo per tenerlo a sé stesso Beante, ma per trattenerlo ancora a nostro profitto Benefico: Ché se costumarono in terra que' Spiriti niente terreni di essere Pescatori degli Huomini, si può ben credere, che tuttavia di lassù stendano le Reti, e tendano gli Hami, per far di Essi preda all'Empireo, e liberarli dalle fauci dell'Orco infernale, e dalle insidie del Mondo Fellone.

Luci del Mondo i Dottori sublimati sul Candelabro d'Oro della Beatitudine, grandi perché ferono le Opere, che insegnarono, oh quali risplendono con doppio lume di Dottrina, e di Gloria a rischiararci 'l Cammino cotanto limaccioso, & oscuro! Ché se colle loro Penne ci danno le ale per volar'al vero riposo, colle loro intercessioni ci avvivano ne gl'intoppi, che a noi si frappongono, accioché possiamo infaticabili pervenirvi.

Le Vedove Tortorelle, che in quel Soggiorno di Casto Amore hansi trovato [25] Immortale lo Sposo, ci presagiscono, non più gementi, ma dolci, 'l finimento dell'Invernata, che ci molesta, purché intendiam di quelle Voci, colle quali c'invitano a spiccar volo da un'Africa di tanti Mostri, come fanno le Rondinelle, alla Terra Ferma delle Virtù, perché quivi solo alligna un'incolpabile Felicità.

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Per conchiuderla, tanti occhi ci miran pietosi, quanti lumi sfavillano intorno al Trono della Misericordia, che ha tante pupille, quanti Beati, e tanti Forieri, quanti Dimestici. I Santi si pregiano di essere nostri Avvocati presso di Essa; ma se noi non si curiam d'imitarli, deh non procuriam d'invitarli ad assisterci; perché meglio s'inducono ad esserci Ufficiosi col fervor delle buone Opere, che colla frequenza de' Prieghi distratti.

Di alcuni Santi Particolari, che ci

proteggon sovente implorati, Encomio succinto.

PROLUSIONE IV.

abbiasi pure l'Inferno insidioso scatenate le Furie per

agitare l'Huomo Peregrinante: Irato il Cielo frement'i Fulmini a bersagliarlo Colpevole; che a lui non mancano mille, e cento Propugnatori Celesti a difenderlo supplicati: cento, e mille

impenetrabili Scudi a [26] proteggerlo pronti. Io non presumo già di traspiantare i Cieli sopra de' Fogli; ancorché

Fogli sieno i Cieli che narrano le Glorie di Dio, col cantarne in Eterno le Beneficenze inneffabili. Goderò bensì, che vengano quelle Anime belle, tutte stellanti per le Virtù, e tutte per lo merito fulgide a stamparsi più sovra i cuori, che nelle pagine; e che sien meglio impressi dalla Divotione nel tuo Affetto, o Lettore, che dall'Eloquenza espress'in questo mio Libro, piccole bensì per la Mole; ma grande altrettanto per l'Argomento.

Pur trasandar non ne debbo alcuno, come suol far tal'hora Chi di contar tutti gli Astri voglioso, in annoverarne i più singolari, abbagliato si arresta, se non si appaga.

Stella della prima grandezza mi sfolgora al cuor divoto la grand'Heroina del Crocifisso MARIA MADDALENA, mare di contritione, ma, che dà lena con l'aura delle sue gratie spiranti più de' favonij favorevoli a' Peccatori abbandonati, che non si salvano, se non fanno un dolce naufragio, come fe' pur'ella, nelle loro lagrime amare. Questa è quella gran Donna forte, di cui andava facendo l'inchiesta il Savio ne' suoi Proverbij: Donna, che vinse il Sesso fragile coll'intrepidezza di un petto impetrito dal suo dolore, per imitar colla sua costanza la fermezza [27] di quella mistica Pietra, ch'ella fe' sfavillar, da suoi baci battuta; e fe' innondar cannali di gratia percotendola co i sospiri. Amorosa Pirausta, che raggirandosi intorno al Candelabro di quella luce, che illuminat omnem hominem, restò incenerita dalla Penitenza, poiché dall'Amore combusta. Aquila di grand'ale, di guardo perspicacissimo, che incavernandosi nelle grotte della Provenza fe' tante volte prova de' purgati suoi lumi col affissarli nel Sol Divino. Fenice, che sulla catasta delle sue colpe spargendo aromati, arse d'incendio beato ai riflessi del Sol'Eterno, portando la cenere nel macerato suo corpo, & il rogo nell'avvampante suo cuore. Serafino ardentissimo, che velò i piedi al suo Dio, assiso dell'Humanitade sul trono: che velò il capo al suo Nume, nel

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letto del sepolcro prosteso: che volò con le penne delle sue pene, e delle sue penitenze dove comprensione humana non giunge; poi che quel dilexit multum, prosperità di essa dal Verbo, rispetto cui ogni altra espressione non è più capace d'ingrandimento, canonizò l'amore di Madalena così celeste, che quando lasciò d'esser terreno più non ritenne nulla di terra. Felicissima Arciera, che colle punte di tanti strali dorati, quanti furono i suoi capelli ferì quel gran cuore, che fu l'Erario della Sapienza infinita, e lo scudo frapposto per ischermo dell'anime a rintuzzar [28] le saette della Giustitia sdegnata. Conchiglia monda, perché non più mondana che al cader dell'Empiree rugiade apprestò candidi, e pretiosi monili nelle sfilate sue lagrime alle piante ossecrate del Salvatore. Perla d'incomparabile prezzo, che si strusse nel pentimento all'amoreggiato suo Dio, per essere fatta degna di comparir sulla mensa intellettuale del Paradiso. Cristallo purgatissimo, che si andò congelando nella spelonca di Marsiglia al proseguito gocciare di quel gran pericranio, che si stillò tutto in acqua purissima col fomento di tanto fuoco, che divampava da un petto fedelissimo innamorato di quella bellezza immortale, a fronte di cui gli astri son neri nei, & agonizanti carboni. Hor se a questa gloriosissima Amazone si schierano ossequiose le Angeliche Gerarchie; e se Christo risorto le disse noli me tangere, nundum enim ascendi ad patrem meum, il che fu virtualmente un prometterle, che lassù le ripartirebbe senza risparmio quegli abbracciamenti vitali, co' quali lo stringono i Cherubini, che con le penne intrecciate gli forman Soglio: chi non farà sicuro ricorso ad una Intercessora così possente, che a' suoi divoti fedeli bellissima Aurora, sparge dall'Orizonte della Gloria nembi di Gigli Empirei, & influssi di doni temporali, e sovrani! Io posso attestar, bench'indegno, al paro d'ingrato a questa mia generosa [29] benefattrice, che debbo ad essa tutte le svisceratezze del mio debolissimo spirito tributarie, poiché ravvisandomi la generosa più d'ogni altro colpevole ha voluto far pompa della sua efficace intercessione in patrocinar la mia vita, che potrei chiamar'un'Iliade, quando havessi le virtù, sicome ho patito gl'infortunij d'Ulisse. Fui peregrino, già son diec'anni, a quell'antro beato, che Santa Bauma dal Provenzale si rappella, e mi sentij, colà giunto, scoppiar fra que' tuffi assodati questo mio cuore insassito. Mi grondarono a disgorgo dagli occhi le lagrime, poiché vidi là, che que' sassi per insegnarmi la penitenza, che dalla loro gran Romita haveano appresa, cogli stillicidi continui d'acque in diverse vene fervidamente mi provocavano a piagnere pullulanti. Passai alla Città di S. Massimino, dove nella Regia Chiesa coltivata con sommo decoro da un choro d'Angioli dell'augustissima, dottissima, e nobilissima Religione Domenicana, che imita Dio anche nell'abito candido interiormente, e coperto nell'esterno di tenebre, si conservano le Sacrosante, le ammirate, le adorate reliquie di Madalena, come frantumate portioni, ma sempre lucide, e sfolgoranti, di quel tersissimo Specchio di Penitenza. Belle rovine di quella machina di alabastro, che sotto la zona torrida dell'Amore celeste incarbonchiandosi potea [30] dire: nolite me considerare, quod fusem sum, quia decoloravit me Sol; poiché Madalena hebbe sempre a perpendicolo sopra il suo capo, come sul cuore il suo divinissimo Sole, in

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cui fissando ogn'hora gli sguardi, non è stupor s'ella haveva continuamente gli occhi suoi lagrimosi. Occhi tanto più fulgidi, quanto più ammorzati nel pianto; e di colomba, perché accompagnata da' gemiti, e di fenice, perché coronati da' raggi. Occhi guizzanti stelle nell'onde, astri sorgenti dal mare, asterismi di una bell'Orsa, che fissa in Cielo, e non mai tramontante, sempre aggirossi fedele al Polo. Adorai quel suo Capo Eccelso: Eccelso perché piegossi a' piedi, che calzati dal Sole calcano il fermamento per indorarlo: gran Capo, e Capo di buona Speranza a' peccatori agitati dalla marea della carne spumosa, nella fluttuatione della coscienza fremente, tra le seccagne della disperatione vorace. Capo in cui, come in fucina, ma senza fumo, e pur così di lagrime ridondante, si temprarono tanti folgori a fulminare i peccati; & in cui, come in fornace avvampante all'incendio di un petto bollente di sdegno sacro si stemprarono tanti affetti a smaltare la gratia, & a smaltire la colpa. La grande Simetria di quel volto, che imprime un pio ribrezzo nell'animo di chiunque il contempli, m'indusse a formar concetto, che Madalena di corporatura eccedente, [31] non a caso fosse così alta di statura, come di Spirito, per poter cogliere dall'albero della Croce tanti frutti di vita; e che il Calvario hebbe al paro del Termodonte le sue Amazoni, perché il Sesso femmineo vantar potesse ancora la sua Martesia nella Sorella di Marta. In quel vasto cranio meditai un Cielo stabile, non perché mancasse d'intelligenza, ma perché nell'intrepidezza fu senza trepidatione più fermo del Fermamento. Io vidi bene, che Madalena fu donna di così gran testa, che in essa portò tutto il Paradiso; e notai con le inumidite palpebre arsiccia bensì la fronte dal giro di tanti Soli, aduste le gote dal corso di tanti Secoli; ma in quella sola parte, su cui strisciarono con dolcissima rispinta le dita Onnipotenti del Salvatore, rampollar'ancora rosata, e fresca la carne, che forma una Galassia stellante in quell'Ecclitica luminosa, che premuta dal Sol del Sole ancora sfolgoreggianti spande i suoi lampi. Bacciai con ferventi, ma riverentissime labbra quel braccio robusto, che resse quelle Colonne vitali, sotto le quali, perché vi si curvano i Serafini, vi s'incurvò la Madalena, e mi avisai nel ravvisarlo così smisurato, che la grand'Heroina di Madalo (che di Madalo? Dell'Universo) era alla lettera quella Dama forte, che roboravit brachium suum; riflettendo pure, ch'ella così efficace sovviene a chiunque l'implora per haver le [32] braccia sì lunghe. Ammirai con riverentiale stupore ristretti dentro a cristallina custodia que' capelli felici, che per haver tocca la vera pietra filosofale, all'hor che tersero a Christo i piedi, ad onta del tempo, che inrugina, e consuma gli acciari, si conservano d'oro. Chioma, fulgida chioma, che merita d'esser inghirlandata degli Stelleggianti Piropi, che ingemmano il Serto favoloso di un'Arianna, poiché quella più assai splendente della chioma di Berenice sognata formò velo al Sole Divino, & in contrasegno di ciò ancora spruzza raggi pretiosi. Che ne dite infedeli? Che brontolate Hebrei? Che bestemmiate Heretici? Voi, voi qui tutti disfido: voi, che negate con esecrabile allucinamento, con istupidezza ostinata, con coruciosa protervia la verità della Cattolica Fede. Gite, e vedete! Ma non son degni que' vostri sacrilegi arcigli di curvarsi per maraviglia di verace stupore a'

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moli così sovrane, che quanto più fan piegar chi le adora, tanto più di rimbalzo il sollievano al Paradiso. Voi soli, voi Fedeli divoti accorrete. Voi peccatori contriti mettetevi all'ombra di Madalena; ché s'ella sta dicendo sub umbra illius, quem desideraveram sedi, scarsa d'ombra non è, per proteggere; se pur può dirsi; c'habbia alcun'ombra questa Stella divinizata, che consumò le tenebre tutte negl'influssi, splendidi all'egual di splendenti, de' lumi suoi.

[33] Osservo ne' più sublimi poggi dell'Empireo festante un groppo di Stelle intralciate, un intreccio di una Costellatione benefica, una Congiuntione massima di tre Luminari sovracelesti, GIOACHIMO, ANNA, e GIUSEPPE, che formano una Triade Sacra di altissimo Merito, & un Trino aspetto così fausto al mondo, come fulgido al Paradiso. Gioachimo Padre di Maria: che vuol dir Santo Stelo della verga di Iesse. Anna Madre di Maria: che vuol dir conchiglia di quella mondissima perla, che fu l'Unione dell'humane perdute alle divine ristoradrici sostanze. Giuseppe Sposo di Maria: che vuol dir Giglio divelto dal tronco di Giacobbe ad esser'unito con celibe innesto alla Rosa di Gerico senza spine. Gioachimo Genitore di quella Vergine, che fu la Cinosura della Gratia comparsa a scacciar l'Arturo della colpa. Anna Genidrice di quella Vergine, che fu l'Aurora del Sol di Giustitia, e per conseguenza principio di quel giorno felice, che s'imporporò colle augustissime murici di quelle vene Sacrate, che profusero la luce della Misericordia tutta rugiadosa, e fiorita all'anime talpeggianti. Giuseppe Sposo di quella Vergine, che fu il trono d'avorio non mai macchiato, su cui si adagiò con soave riposo il mistico Salomone. Giuseppe Padre putativo di Dio: honor così alto, che in divinis è incommunicabile [34] il titolo personale di Genitore; e pur quaggiù, per quanto poté consentir l'esigenza del gran Mistero dell'Incarnatione ineffabile, fu communicato a Giuseppe: ché se l'Eterno Padre dice in quella immensa espressione con cui eternamente lo genera al suo infinito Unigenito sede a dextris meis, per esser'il Verbo tutta la virtù dell'inesplicabile Genitore: Giuseppe anche disse più volte a Christo, siediti, o Figlio, qui al mio lato destro come il mio Dio; che perciò cantò argutamente divoto un dolcissimo Cigno del Tago a Giuseppe rivolto:

Y estando a la mensa vuestra Pudisteis dezir al Hijo, Para darle de amor muestra Hijo sientate a mi diestra.

Di qual vaglia sien questi tre, le lodi de' quali sol ponno spiegarsi

armoneggiando sulle cetere d'oro da Cherubini più melodiosi, che son le Sirene di quel gran mare di Luce, in cui s'immergono Gioachimo, Anna, e Giuseppe, lo dimostra il grado intimissimo della parentela, c'hanno con Christo, & in risulta quello della gloria, che li sublima per haver meritato così altamente; che perciò non mai può mancare la loro possente intercessione a chiunque ad essi affidato faccia ricorso.

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Ma dove lascio il gran BATTISTA, che Lucerna de' Santi dovea precorrerli [35] nella comparsa, come colui, che rischiarò il cammino del Sole, di cui fu il Paraninfo foriero? Giovanni, che nascendo voce fe', che ammutisse il suo Genitore per far paralello al Verbo; poiché se il Padre Divino lasciò di favellar ne' Profeti all'hor, che Incarnato nacque il suo Figlio nella pienezza de' tempi: tacque Zacaria all'hor, che fu concetto Giovanni, che fu l'Echo prenuntia dell'increata parola. Giovanni, che fu il Fosforo luminoso di quella luce, che non ha occaso; la tromba sonora di quel Duce, al cui cenno si schiera l'Empireo in guerra, & alla cui comparsa sconfitto l'Inferno sospira: l'Imbasciatore del Re de' Regi, che recò al mondo le fauste novelle dell'imminente redentione: il precursor dell'Agnello Divino, che spiegò il volo candido, come la Colomba dell'Arca, e portò in bocca il ramo d'ulivo delle solitudini del diserto per contrasegno, ch'era cessato il diluvio dell'ira celeste: il Giglio purissimo, che rampollò dalle spine di un ventre sterile a prevenir la Primavera della Gratia nascente nell'horto virgineo: il Doppier dello Spirito Santo, che sfavillò composto di cera Vergine a discacciar senz'alcuna fuligine di peccato le caligini della colpa: il Cathedratico della Penitenza, l'Horiuolo della Santità, lo Specchio della Pudicitia, l'Organo del Paradiso, l'Hercole dell'Astinenza, l'Achille de' [36] Martiri, l'Ermellino de' Celibi, la Colonna de' Patriarchi, l'Oracolo de' Profeti, il Rationale de' gran Sacerdoti, la Perla de' Vergini, la Fontana de' Cherubini, la Squilla degli Anacoreti, la Sferza degl'Incestuosi, il Diamante della Verità, la gloria della Chiesa, & il maggior di tutti gli huomini puri. Dunque chi a lui si volge con le pupille dell'anima confidente ne riporta senza ripulsa que' doni, che può dispensar'una destra, che additando in terra l'Agnel di Dio immacolato lo stringe glorioso nel Cielo.

Ecco là sulle cime de' monti eterni come sfolgoranti prosorgono i Principi degli Apostoli PIETRO, e PAULO, il Castore, & il Polluce del Cielo Ecclesiastico: l'Atlante, e l'Hercole della Chiesa: i Poli della Cattolica Verità: i Tropici del Sol'eterno: i piedistalli della Christiana Religione, & il maggior addoppiato fasto della grandezza Romana. Ecco un GIOVANNI, che fu la pupilla di Christo, & il pupillo della Vergine, che vide nel cupo, & interminabile centro della Divinità così profondi misteri, & hebbe per Madre raccomandata sopra il Calvario la gran Regina, a cui non in vano si raccomandano i tribulati. Ecco un ANDREA crocifisso per amor di Giesù con tal tenerezza fervente, che fino all'ultimo suo deliquio amoreggiò con la Croce, che li fu in uno talamo, e sposa. Ecco [37] un BARTOLOMEO, che fe' vela della sua pelle verso la Florida sempiterna. Ecco un GIACOMO, che fu prontissimo a bere il calice amaro, ma molto più amato, e perciò dolcissimo della Passione, per abbeverarsi eternamente a quel fonte, che scaturisce ad insoavire l'anima deificata dal destro lato del Crocifisso. Ecco un altro GIACOMO, che ancora dall'Empireo contra gl'infedeli schiera le Stelle, e sul gran Corsiere dell'immortalità, colla spada alla mano dell'intercessione sbaraglia l'hoste nemica. Ecco un TOMASO Tesorier del costato del Salvatore, che non più palpitoso la mano il palpa, ma fortunato il disserra a farne scaturire tesori. Ecco un FILIPPO semplice perché divino,

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divino, perché semplice, ma collo Spirito dupplicato, che raddoppia le consolationi sovrane a chi supplichevole di sollecitarlo non lascia. Ecco un TADEO, che havendo Dio nell'anima più che nel nome, diè l'anima sua per Dio, in contrasegno, che a gara degli altri Apostoli così ben seppe amarlo, che si trasformò tutto in esso. Ecco un MATTEO, che godendo di haver lasciato per Christo così lucrosamente il telonio, Usuraio celeste con più fortuna, che non fu mondano, coll'haver trovato nell'Uno il cento, adesso conta il cento per uno. Ecco un SIMONE, che delitiando finite le pene, ancorato in una calma di Latte dopo [38] un naufragio di Sangue respira carico di trionfi, e sollevato da' suoi trofei. Ecco un MATTIA, che secondo l'opinione fondata dall'Alessandrino Clemente, fu il Zaccheo del Vangelo, asceso hora sull'albero della Vita vagheggiante il Redentore senza disturbo; e se quaggiù di Publicano divenne publicator del Vangelo, poiché li cadde addosso l'empirea sorte, come al contraposto di un Giuda fellone, hor lassù, con un raggio di luce non solo, ma con un pelago di splendore segnalato rifolgora. Ecco un BARNABA gran Trombettiero del Crocifisso non più sudante nell'Oriente, ma respirante nell'Orizonte. Ecco un LUCA più fortunato, & ingegnoso pittore colle pennellate degli sguardi intellettuali formar l'imagine di Dio vivo nell'anima sua senza scuri con le lacche oltracelesti dipinto in luminosissima somiglianza. Ecco MARCO alato Lione volante per gli spatij dell'Eternità interminabili, & in quel gran Zodiaco di lumi mostruosi per la santa bellezza, coll'haver'in sua casa il Sole, o pur perché in casa del Sol si trova risplendere per tutti i Secoli felicemente infiammato. Tutti questi grandi, ch'appiccioliti metto in prospetto co' tratti fugaci della mia penna stridente, son più che valevoli, o mio Fedele, a stender sicura tutela sopra il tuo essere bersagliato da malignosi disastri, perché [39] quelli son Astri, alla comparsa de' quali cessano le procelle più turbinose, e tramontano i più funesti Orioni.

Hai tu bisogno d'intrepidi, che ti difendano? Eccoti pronti quanti Martiri tanti Marti, che si possono senza ingrandimento appellar Gradivi, perché graduati nella militia celeste sono gli officiali del Dio degli Eserciti, e degli Eserciti di Dio; e fra questi uno STEFANO dalle pietre ingemmato, che co' suoi sassi t'innalza un'argine contro ai torrenti torbidamente gonfiati dalle disgratie innondanti: Egli, che morendo aprì con le occhiate i Cieli a' suoi prieghi, molto meglio hor, che vive, potrà spalancarli co' suoi prieghi a' tuoi voti. E se annagrammatizato il nome coronato di STEFANO PROTOMARTIRE, senza licenza esprime SANTO MORTO FRA PIETRE, glorificata la di lui anima, senza l'ombra di un neo rappresenta un Santo vivo fra le delitie immortali, e più intrepido che mai fosse a far petto di scoglio per tuo riparo ai turbini delle sventure, altretanto pronto a pregar per gli amici tuoi, quanto fu facile ad orar per i suoi nemici. Ecco un IGNATIO, che formento di Christo fu macinato dalle mole de' Leoni per divenire pane fiorito nella mensa Celeste: come pane non mancherà di sfamare il tuo digiuno anelante; e di fortificare il tuo cuore debilitato. Eccoti un LORENZO, [40] che dalle sue ceneri rinacque bella Fenice di Gloria, e tramutati i carboni roventi in carbonchi gemmanti, se nella notte della sua

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morte non hebbe sol, che chiarezza, hora nell'auge della sua vita, in quel giorno che non ha sera, sopra un letto di rose empiree risplende di non ecclissabile fulgidezza fregiato. Eccoti un VINCENZO, che intinta nell'ostro del proprio sangue la Levitica Stola, vinse col cuor robusto, più che col nome guerriero l'Inferno tutto, che contra di lui cospirò nello spirito di un Tiranno perverso: hor laureato Campione nel Campidoglio del Paradiso forma col peso della sua Gloria delle palme, che in quella sovrana Iduma frondeggiano gli archi trionfali alle sue vittorie. Eccoti un SEBASTIANO, che dalle saette alato vola per gl'immensi spatij della Beatitudine gloriosa, e benché s'innalzi al Meriggio ardente del Sol Divino, non perciò spennato abbatte le piume, perché gli si radicarono nelle viscere cogli strali. Eccoti un TOMASO di Cantuaria, il cui petto incrollabile fu baloardo vivo dell'Immunità Ecclesiastica. Angelo dell'Anglia, ma di tal Patrocinio indegna, il di cui sangue celibe, come quello di un giusto Abele, mescolato a tanti purpurei rivoli di vene innocenti, ancora grida vendetta da quella terra, che all'hor cominciò a divenir infedele, e per conseguenza infelice, [41] che fu bagnato co' Sacri correnti diffusi dalle sacrileghe spade, e dagli acciari ciechi de' Regi tiranni, e de' Tiranni regnanti. Eccoti uno STANISLAO Paolo della Polonia, che smembrato dall'empietà di un Principe, coronata Megera, e Tesifone di una Reggia, in cui bastava esser'un Ermellino per venir lacerato da' cani seguaci di un Cerbero: hor nel Paradiso intero collo Spirito fiammeggiante converte le sue ferite in iscudi dispostissimo ad accorrere in tua difesa.

Ti si esibiscono pronti non meno, tra i Santi Pontefici, quel gran SILVESTRO che infuse con l'acque battesimali nel gran Costantino cattolica la costanza della guerriera più valorosa. Quel grande GREGORIO, che s'hebbe vivente la Colomba divina all'orecchio, hor ha l'Aquile a' fianchi celesti per isbaragliar colla sua intercessioni tonante, non meno, che colla sua penna fulminea i Corbi infernali. Quel gran LEONE, che fu simile a quel di Marco per haver l'ale, & a quel di Sansone col mele in bocca. Quel NICOLÒ, che soccorse con aurea mano la Pudicitia pericolante, e con tante miracolose assistenze liberò dalle perdite i suoi Clienti divoti vigoroso Avvocato nel Paradiso. Quel grand'AGOSTINO, che fu il miracolo della Gratia, di cui fu il Dottore miracoloso: Mostro degl'Ingegni, & il più bello, che mai producesse [42] l'Africa portentosa: Mastro de' Saggi, & il più dotto, che mai premesse col peso delle ponderationi la catedra della Sapienza. Annibale delle Lettere sacre, Achille del Liceo cattolico, Hettore della Fede intrepido, che colla penna della sua spada su i campi de' fogli sconfisse i Manichei ribellanti, e coll'aceto acuto della sua Dottrina, preservadrice dall'hereticale contaggio, spezzò le rôcche alpine de' cuori ostinati, per ispianarsi la strada alle gloriose conquiste dell'anime. Quel gran GIROLAMO, che co' suoi penitenti ruggiti, Santo Leone, dalle grotte di Palestina fe' gelare gli Orsi Montani, e le Tigri spietate, che laceravano la veste inconsutile del Salvatore. Quel grand'AMBROSIO, che coll'eloquenza grondante di nettare nelle sue pagine, diffonde ancora le sue salubri rugiade nella sua dolce intercessione.

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Mira colle pupille costanti della consideratione divota quell'ANTONIO, robusto Alcide, benché ti sembri Vecchio sfiancato, poiché colla clava del suo bastone infranse il capo superbo al Lione rugghiante dell'Erebo, e colla face della sua Oratione rintuzzò le gole fumanti dell'Hidra infernale. Osserva il chiaro Romito di Tebe, PAULO, che fu il secondo Elia con un'anima tutta di fuoco sotto un corpo tutto di cenere, pasciuto da' corbi nell'ombre solitarie del'Eremo, & [43] hora satiato dalle Colombe nelle luminose campagne del Cielo. Accorri al gran Patriarca de' Patriarchi BENEDETTO, che si può dir l'Abramo de' Regolari, sotto il cui manto stellato si ricovrano tante Ecclesiastiche Gerarchie, che ben si può chiamar'anche l'Archangelo de' Chori Monastici, ne' quali sono tanti Angeli in carne, quanti Religiosi per l'intelligenza, e per lo candore s'illustrano. Implora il Solitario BRUNO, l'Arpocrate Sacro, il Tacito del Vangelo, che non favella, e pur è tutto pieno del Vero, e senza parole si può dir tutto fatti, co' suoi concentrati seguaci, che spirano un santo horrore, prima sepolti, che morti; anzi vivi perché sepolti. Invoca i NORBERTI, i ROMUALDI, i PIETRI NOLASCHI, i Beati FILIPPI, Servi di Maria, con cento, e mille altri Confessori, che furono in terra Generali di Militie sì prodi nelle opere come sacre nell'istituto, e non paventar, che ti abbandonino le assistenze sovrane.

Non ponno mancarti mai tutelari dovunque ti aggiri, se pur al Ciel ti rivolti. Mi rifò da capo per rincorarti, rimostrandoti ancora, che in MARTINO hai un gran Marte, che s'ei quaggiù colla Spada pietosa divise la sua cappa al povero per coprir Christo nudo, lassù stende intero il suo manto per proteggere il Christiano spogliato. Nell'invitto ATTANAGIO, [44] che patì tanto per la Fede, & hor opera tanto per i Fedeli, havrai un asilo sicuro, se sei fido a quel Nume, che quegli, per haverlo sempre contro agli Ariani (Tifei orgogliosi, che alzarono montagne d'empietà contra il Cielo) difeso, hebbe sempre a lato indeficiente difenditore. Il Taumaturgo GREGORIO, che mosse, divino Anfione, co' suoi prieghi le rupi, fermerà colle medesime i monti, che già ti cadono in capo. Quel grande GRISOSTOMO, che sgorgò dalle labbra ingemmate torrenti d'oro, hor dalla provida mano diffonde fiumi pretiosi di gratie. Dal Nazianzeno GREGORIO, che con occhio di lince penetrò i secreti della più profonda Teologia, saran ben vedute nel più cupo del cuor'afflitto le altrui tenebrose miserie. Porta l'hilarità nel nome per rallegrarti, o mesto, il dottissimo S. HILARIO. Se ti mancano remi per giungere in porto sicuro, te gli esibisce col nome, ma più coll'intercessione il facondissimo S. REMIGIO. Non puoi sperar, che ventura buona dal Serafico BONAVENTURA, honor delle Porpore Claustrali, quelle, che fanno più resistenza alle palle vomitate dalla perfidia degli Heretici contro al petto, & al capo della Chiesa Cattolica. Non puoi trovar sol che dolcezza in BERNARDO, che colla spruzzata di latte virgineo, prudente Vangelico stillò il [45] mele più soave, che possano fabbricar le pecchie più ingegnose dell'Hibla Sacra; e dalla sua Chiara valle havendo sgorgati tanti splendori di Santità, e di facondia, hor da i colli del Paradiso divampa fulgidezze felici,

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siché può dirglisi in supplicarlo: illuminans tu mirabiliter a montibus, aeternis.

Innalza lo sguardo della contemplatione a quel gran campo di gigli tutto stellante, tutto di stelle ingigliato. Vedi lassù quell'AGNESA, che se fu Agnella in terra, hor è Agnola in Cielo, sempre seguace di quell'Agno casto, a cui se fu vittima già svenata, hora si unisce sposa felice. Vedi CATARINA colle sue ruote, che premon gli Astri, come trionfa, e tien sotto il piè luminoso fiaccato il capo del pervicace Mezentio. Vedi CECILIA, che inghirlandata di ligustri celibi, con melodioso concerto spiega canora la voce sull'organo della Beatitudine nella Cappella Sovrana; a cui la mano inneffabile di tre dita indivise, benché distinte, dà la battuta, & havendo agli occhi dell'anima armoniosa un registro regio, intuona senza nota le note, che non hanno cadenza, o fuga, semicroma, o sospiro. Vedi LUCIA, che divenuta tutt'occhio s'imprime tutta in quel Sole, per lo cui raggio acciecossi al mondo fulgidissima sluminata, e quanto più cieca tanto più amante di quell'amore, che tutto [46] è lumi. Vedi AGATA, che colle poppe quaggiù recise fu la vera Amazone del Crocifisso per combattere francamente; hora lassù colle mamme turgide fa pompa di un petto, candido più del latte, e pieno di quel buon Dio, che tutto è lattea dolcezza a' suoi nodriti Beati. Vedi ROSALIA, che porta nel nome le rose, & i gigli nell'anima, formar da sé sola col diletto suo Christo candido come il Giglio, e rossegiante come la Rosa, una Primavera di Gloria. Vedi la fiorita Vergine DOROTEA, che colla sua rinomanza d'oro arricchisce di pregio le minere del Paradiso, e con man di calta coglie in que' giardini pensili fiori eterni. Vedi MONICA la gran Zenobia del Vedovatico Santo, che al bel meriggio della Carità havendo asciugate le lagrime, che furo le perle, onde fu impretiosito il Diamante di Agostino, divenuto al piagner della gran Madre, che regenerollo con gli occhi, di Dio amante, coll'aspetto sereno arride a chi mesto, ma confidato l'implora. Vedi FRANCESCA la gran Romana, che seppe cotanto agere, & pati fortia, così famigliare agli Angioli, che se gli hebbe compagni visibili in terra, hor gli ha corteggiatori ufficiosi nel Cielo. Honora le due ELISABETTE Reine, che permutate le Corone Regali nelle Spine del Crocifisso amato, regnano con più sicuro, e non efimero Impero sul trono [47] sublime della Beatitudine sfolgorante.

Oh quanto beneficio ti disgorga, o mio Lettore, da' Chiostri, ne' quali tanti Soldati del Crocifisso fanno le imboscate all'Inferno colle Virtudi, & argine alle piene innondanti degl'Infortunij colle Preghiere.

Uscì da questi quel Valoroso Campione DOMENICO, il Can Celeste della Cattolica Chiesa Custode, che co' suoi latrati terribili, e cogli assalti indefessi, perseguitò le Colpe mordenti, non men, che gli Heretici trafugati. Colla Stella della Fede in fronte, foriera del Sol Divino, fe' dileguar le vaporose tenebre delle Colpe, e colla fiaccola in bocca della Dottrina, prenuntia di quelle Notitie visive, che ci discoprono il Sommo Bene nella Patria Beante, dissipò le fuligini dell'Ignoranza caliginosa. Il di lui Santo Protratto, che in Soriano si adora, è un Aureo Vello di cui bene spesso fan la Conquista gli Argonauti Spirituali. A questo Grande del Paradiso ricorri pur

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o Fedele, né temer punto de' tuoi Nemici, ch'Egli col Valor de' suoi Meriti così numerosi, e col Seguito de' suoi Legionarij sì prodi, i quali sotto un Manto di tenebre (Sopravesta all'ombre Stigie temuta) chiudono un'Habito candido di luce, e di lana monda, mentre campeggiando fioriscono, e fiorendo campeggiano, ti renderà felicissimo Vincitore. [48] Ma non debbo già qui, per illustrar pienamente queste mie pagine, tacer di quel gran TOMASO d'Aquino, ch'io non discerno se porti più in testa, che in petto il Sole. Tomaso il Dottor degli Angeli, l'Angelo de' Dottori, lo scudo della Fede, la Torre di David, l'Organo della Teologia, il Salomone de' Claustri, il Martello degli Heretici, l'Ancora della nave di Pietro, la Custodia del Pane vivo, il Tabernacolo della Verità, l'Ape del Paradiso, lo Specchio della mondezza, l'Ermelino della Gratia, il Fonte della Scienza, il Nilo delle Dottrine, il Conciliatore de' Santi Padri, la Siepe della Vigna Evangelica, la Cetera della Virtù, la Tromba degl'intelletti, il Cherubino delle Scole, l'Apollo de' Letterati, il Faro luminoso nelle caligini degli errori, la Colonna di luce nel diserto delle difficultadi, l'anima de' Concilij canonici, la Bossola de' naviganti Scolastici, l'Hercole delle Lettere Sacre, l'Achile de' Dottori Cattolici, l'Alessandro degli Scrittori Teologi, il Dedalo de gl'ingegni Christiani, il Giasone de gli Argonauti Celesti, la Tramontana de gli Studiosi 'ngolfati, l'oro purgatissimo della Sapienza, il Colombo dell'Indie sovrane, l'Aquila delle penne più candide, la Fenice del Liceo più sublime, l'Intelligenza della Teologica Sfera, il Paride casto de' giudicij più saggi, il Toro Celeste contro all'Inferno [49] cozzante, il Saggittario divino bersagliatore del falso, il forte armato, che munisce l'atrio della Chiesa, il Cherubino acceso del Paradiso della Scrittura, il fidissimo Acate del Crocifisso, il difenditor degli Articoli della Fede co' suoi articoli miracolosi, che sono spade affilate sovra la mistica Pietra; e finalmente il Sole del Vero, che stendendo i raggi purgati delle splendenti sue linee sulla Galasia delle sue candide pagine, mette in fuga le tenebre opache dell'ignoranza, dilegua il ghiaccio dell'Heresia, dissipa i vapori erranti dell'opinioni erronee, ravviva gli Spiriti degli animi soporosi, e rischiara coll'indefesso fulgore dell'aureo suo lume tutto l'Emisfero Ecclesiastico. Scegliti dunque Tomaso per protettore: Egli è quel Sol, che refulsit in clypeos aureos, che sono i suoi libri, & i suoi meriti, co' quali si schermisce il Saggio dalle saette dell'Heretico empio, & il Divoto si premunisce contra i colpi delle sventure affilate sopra le cote delle colpe letali.

Né debbo disgiunger qui dal Sole del gran Cielo Domenicano le Stelle, perché circa Solem Choreas ducunt. Stelle tutte d'influssi benefici rugiadose, di favorevoli aspetti espressive, di gloriosi raggi avvampanti. Un PIETRO MARTIRE, che imporporò col suo Sangue il manto alla Fede Reina, è Stella nel proprio caso costante, nel suo occaso sorgente. Pietro [50] Stellante di empirea luce nell'empireo Theatro: stillante di gocciole sanguinose nel suolo, che ancor grida vendetta al Cielo inzuppato dalle murici di questo candido Abele, massacrato da un Cane, non da un Caino. Un GIACINTO non mai giacente, ma sempre in continuo moto per ravvivar col suo lume puro Evangelica face il Mortale assopito nella tomba del vitio:

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Giacinto efficacissimo contra il contagioso malore del peccato pestifero: Giacinto, che per essere Spirito di Dio ferebatur super aquas; Giacinto, che galleggiando ne' fiumi fu Pietra d'Aquila; o pur Aquila di Pietra per essere senza senso; anzi Aquila di spirito, perché non hebbe di carne, che un'ombra, ond'è, che fu leggiero, ma non vano: leggiero, di corpo per le sue penitenze; non vano di mente per esser tutto pieno di Dio: Giacinto, che innestato nella Corona del Re de' Secoli, per tutti i Secoli sfolgoreggia, e col peso della sua gloria eterno fa curvar le Sfere alla terra benefiche, e le venefiche impressioni fa dileguare dal Christiano Clima, con la virtù dei suoi meriti, co' meriti della sua Virtù svaporare.

A questi due grandi del Paradiso, che fra tanti altri sotto il vessillo Domenicano campeggiarono valorosi, & hora si accampano fortunati, accoppiar si debbono le due celesti Celibi CATARINA da Siena, e ROSA da Lima, che fra tante altre [51] il Giardino della Vergine, cioè la sempre florida Religione del gran Patriarca Domenico infiorano. Catarina Ritratto del Crocifisso, estratto della Gratia. Alba del Sol Divino, che diffuse il soave odore de' suoi ligustri, le rugiade grondanti delle sue lagrime, gli alberi candidi de' suoi affetti, le viole pallide delle sue penitenze. Catarina a cui non mancò il martirio nel digiuno, né la nodritura nel Sacramento; Che come Pecchia verginea si alimentò del fior'Eucharistico; che come mistico Giglio fu dalle Spine assiepata; che come vaporatione di mirra ascese a ricrear l'olfatto degli Angioli; che come Aquila bianca s'incavernò nelle piaghe del Redentore; che come fulgida Cinosura non mai tramonta ai Fedeli, che la rimirano fidi.

Hor, che dirò di ROSA, il cui pregio tutto in due termini si racchiude con asserirla consimbolo a Catarina? Rosa, che nata nel Perù si può chiamar Rosa d'oro, e rampollata in Lima si può dalla Fama preconizare per somma. Rosa, c'hebbe la Verginità per istelo, per Alba la Vergine, per zeffiri gli Angioli, per odor la virtù, per rugiada la gratia, per Giardiniere Christo, per Ape lo Spirito Santo, per Vaso la Fede, per verde la Speranza, per humore la Carità: che se non, hebbe le Spine intorno delle colpe letali, hebbe le salubri del Crocifisso per cinto, che la [52] premunirono agli assalti degli Scarafaggi infernali. Rosa candida per la purità, purpurea per la passione, fragrante per la divotione, languente per l'amore, medicinale per le Virtudi, vivace per l'affetto, retta per l'osservanza, curva per i prieghi, concentrata per la contemplatione, svelata per la modestia, rugiadosa per le lagrime, doppia per lo spirito, semplice per l'innocenza, sollevata per gli estasi, spirante per i deliquij, mortificata per la penitenza, ridente per la Gloria. Rosa di un giorno, ma senza fine; di un Sole, ma senza sera; di un meriggio, ma senza caldo; di un'aura, ma senza vanità; di un'Aurora, ma senza nubi; di un giardino, ma senza fuchi; di una coltura, ma senza pompa; di una Primavera, ma senza turbini. Rosa Reina, c'hebbe l'ostro dal sangue del Salvatore, per trono il tronco della Croce, per corona quella del Crocifisso, per Regno la Verginità, per Corte il Chiostro, per Cortigiani gli Angeli, per Damigelle le Virtù, per Dama d'honore l'Oratione, e per Isposo il Giglio delle Convalli, & il Re de' fiori immortali. Rosa non caduca per la colpa,

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non fastosa per la bellezza, non pungente per l'invidia, non marcita per l'accidia, non tumida per la superbia, non fievole per la vanità, non frale per la tentazione, non efimera per l'incostanza, non abortiva per [53] l'inconsideratione, non isfiorita per la dissolutezza, non isvenuta per a lascivia, non isvanita per la vanagloria, non divelta per la presuntione, non secca per lo fomite, non impolverita per la morte. Rosa non tinta col sangue di Venere impuro, ma incandidita col latte della Vergine Celibe: più sublime di quelle, che nascono su l'alto Pangeo: più di quelle, che rampollano nel Milesio suolo fragrante: più di quelle di Cirene, e di Preneste odorosa. Rosa, che come quelle di Pesto nacque ne' frutti, e portò nella Primavera l'Autunno, e nell'Autunno la Primavera. Rosa a cui si addattano meglio con ispirituale allusione gli Elogi descrittivi di Anacreonte, per esser'ella con più ragione Rosa Eterna, honor decusque florum, ma di que' Fiori, che germogliano in Paradiso, coltivati dall'Agricoltore celeste, innaffiati colla gratia, e fregiati di gloria. Rosa cura, amorque Veris, perché tanto curata, e tanto diletta da Christo, che nelle sue piaghe spiegando la Primavera amorosa, amò Rosa perché impressa nel cuore delle di lui piaghe rosate. Rosa Caelitum voluptas, perché negli Horti pensili dell'Empireo si rallegrano i Beati al fioreggiar di un Fiore, che traspiantato dall'Indie terrene nelle celesti, coll'esprimere la Passione del Redentore più al vivo toglie alla Granatiglia miracolosa il pregio di singolare. Rosa flos, odorque Divum per [54] esser ella un fiore de' Santi, & una Santa de' fiori: Opus laborque vatum, perché gli argutissimi Orfei del Paradiso, gli Angioli canori della Tebe sovrana, gli Arioni melodiosi di que' gran mari di luce, che son solcati dagli Astri veloci, e da' Pianeti velieri, non cessano armoneggiando felicemente di celebrarne gli honori. Rosa medicina certa morbis, perché ricorrono gli egri ad impetrarne la sanità, i tribulati a conseguirne il ristoro, poiché defendit haec sepultos quelli, che vivono tumulati negl'infortunij, che come morti puzzano al Mondo per la povertà, od al Cielo per la colpa imputriditi nella tomba del vitio. Haec tempori resistit, perché l'età più vigorosa l'ha resa: Huius senecta suavem servat iuvente odorem, perché invecchiata rampollò più fresca, e conservò nel verno degli anni le delitie innocenti di una pargolezza fiorita. Oh come fulgida spunta ne' giardini sovrani del divino Alcinoo! Oh come vaga fioreggia sopra lo stelo stellante del Crocifisso! E ben fu a ragione, che se al tempo di Dorotea trasmise il Paradiso le sue Rose alla terra, hor con iscambievole dono restituisse la terra al Cielo le Rose. Che se il vecchio Mondo diede alla Gloria le sue Rosalie, doveva il nuovo delle sue Rose farla partecipe. O bellissima Rosa, che basta sola a recare la Primavera! O pretiosissima Rosa, che sola basta a dovitiare chi la possiede. Rosa [55] di Diamanti per la costanza, per la Verginità, per la Fede, per lo patire, per tanto lume, che la chiarifica, smaltata del sangue del Salvatore, & illustrata da una Lima, che per lo spatio di tanti lustri lustrolla a farne donativo reale all'Imperatore dell'Universo: Ben degna, che il gran Clemente Nono in tempo, che fea rinascer la Pace sopra la Senna, e sul Tago, la producesse Beata, perché la Rosa è Simbolo di Clemenza, e di Amore.

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Tu vedi un Povero Scalzo nel gran FRANCESCO di Assisi, e se pensi, ravvivandolo colle mani trafitte, e col petto cicatrizzato, ch'Ei non vaglia a giovarti, o non ti voglia soccorrere, sbagli a bandiera. Con quella Corda, che il cigne, ruvida zona di raccozzato Sacco, pien di Tesori, strigne la gola al Drago infernale, accioché non t'ingoi; e Serafino ardente, benché coperto di cenere, può liberarti dagl'incendij dimestici, e da' ghiacci letali. Deh come colle innumerabili Truppe de' suoi Bellicosi Seguaci, non men, che colle numerosissime Schiere de' suoi Affetti Pietosi, basta, quando tu ti ricovri al di lui Costato, a conquidere tutti gli Eserciti delle Colpe, & a ripulsare tutti gli approci delle sciagure.

Figlio specialissimo di Padre sì degno è il prodigiosissimo ANTONIO DA PADOVA, che nato di là dall'Herculee Colonne, passando per arricchire l'Italia [56] colla pretiosa sua Salma, lo Stretto d'Abila, e di Calpe, vi portò seco il Non plus ultra delle Maraviglie Vangeliche. Arca in vero del Testamento nuovo, & Eterno, ch'emulando quella dell'antico Testamento adempiuto, e consumato, dovunque vien riverita, & accolta fa innondare a disgorgo le Sovrane Beneficenze. ANTONIO sì, che non per altro Simbolo, nelle Ceneri del suo Corpo, Giglio purissimo da Casto Amore combusto, conservò la sua Lingua intera, e qual fiamma purpurea, vivace, che per impiegare la sua possente Intercessione a nostro beneficio, e difesa. Antonio, che strignendosi al petto Gesù bambino, fu quel Gigante di merito, che giunse col cuore là dove arrivano appena l'Aquile dell'Empireo, che a' piè di Gesù pargoletto stesero l'ale prostrate. Egli formò delle braccia culla a quel Dio, a cui le sfere son fasce anguste, e resse col petto retto quel Grande sub quo curvantur, qui portant orbem. Quindi stupor non è, s'egli hebbe poi tanta lena, che mosse il Mondo a sua voglia, e maneggiò gli elementi con la sua vaglia. Inviscerandosi con quel Verbo, il cui dire è fare, la cui parola è Onnipotenza, hebbe Antonio tanto potere, che rapì alla morte le vite, al Demonio l'anime, perché non mai parlò, che non operasse, né mai operò, che non operasse prodigij. Prodigij di gran Dottrina, di cui fu Mastro, [57] portenti di gran Santità, di cui fu Mostro: Gran Taumaturgo del Tago, il quale dove si sepellisce, indorò la culla ad Antonio: gran Taumaturgo dell'Eridano, che dove Antonio ha la tomba, piega riverente per adorarlo humiliato le corna d'oro. Io fui nella famosa Città, che vanta le fondamenta da Antenore, ma la sua fermezza da Antonio, & ivi adorai quell'Urna beata, in cui si chiudono degli sfortunati le sorti; e nel sepolcro di Antonio, non so dir, se osservassi, o sepolta la morte, o risorgente la vita. Succhiai da quella pietra, in cui si adorano chiuse l'ossa venerabili del Santissimo Heroe, succhiai colle labbra ad un riverential ribrezzo tremanti, e palpitose al sintomico abbronzamento d'una Terzana addoppiata, la mia rinvigorita salute, sentendomi intepidire le vene aduste all'hor, che divampommi l'anima accesa nella lingua oratrice, con la quale sclamai nel tenore delle mie flebili note

O sasso amato, & honorato tanto, Che versi la pietà, pietra del Santo!

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Così sfavillando questa da' miei baci percossa, m'accorsi all'hora, che l'anima mia era tutta di acciaro, arruginita dalle sue colpe; onde considerai la bontà di Antonio, che non abborriva il mio cuore, di quel sasso più duro, se questo formava l'Echo salubre a' miei prieghi. Sentij da que' fori esalar le fragranze di quel candido [58] Giglio, le quali m'istupidirono il senso, & in quel sasso, dove le calamitadi fanno naufragio, e periscono assorbiti i pericoli, trovai delle mie passioni la calma, nelle mie tempeste il porto. Considerai, che quel mistico Giacobbe, colmo di benedittioni celesti, e quella Tomba vitale, esuberante di rugiade gratiose, feriano olezzando il fiato de' miei delitti, ch'evaporavano co' miei sospiri, e colle mie lagrime si struggevano. Spezzai contrito il mio cuore su quell'avello, che perciò franse un macigno l'altro, e su quella ferma pietra, la quale forma il piedistallo ad una colonna di alabastro, così sublime, ch'ivi regge in terra il Paradiso curvato a beneficio del Mondo Cattolico, stabilij solla mia salvezza già dirupata, nonché vacillante, il proponimento d'essere sempre più divoto di Antonio, mio singolarissimo tutelare. Serviti dunque, o Lettore, di questo avviso per istruttione della tua ricorrenza ad una fontana di miracoli tanto innesausti.

Vorrei qui hora haver Geografica Penna, ma che mi servisse di carta il Cielo, per delineare quel robustissimo Atlante della Fede Cattolica, il gran XAVERIO Apostolo dell'Indie Orientali, tanto tempo perdute, su quelle sue infaticabili spalle, che furono tutte petto, il Mondo trovato. Che dissi spalle? Sbagliai. Portollo in testa, se pure non fu [59] nel cuore: Vero Colombo, che in competenza più felice di quel famoso Ligustizo, recò a' que' Popoli tetri l'ulivo colla Pace Vangelica, più che altro non trasse della conquiste degli Occidentali l'Alloro, e l'oro col Ferro Martiale. Invittissimo Alfiere di quella gran Compagnia di GESÙ, che tutto giorno, e colle Lettere l'Ignoranza, e colla Santità sconfigge l'Inferno. Felici que' tutti, che di Campion così bravo ricovransi all'ombra tanto luminosa, e sicura.

Oh quanti, oh quali mi si oggettano in questo procinto all'imaginatione divotamente curvata, che Vittoriosi all'egual d'Invitti, col solo cenno di un guardo sono valevoli a sbarragliar chi ci assedia col solo intento di perderci?

Mi si presenta, Honor del Piceno, lo stellato NICOLA, che miracolosamente, a somiglianza del Salvatore, tante Turbe dall'afflittione più, che dalla fame, turbate, con piccoli, e pochi Pani ravviva, accioché non isvengano nel cammino della Salute.

Non fu così mai fiammeggiante la Sacra Porpora, che quando fu veduta coprir'un Mongibello di Zelo Empireo sul dorso, tanto più Eminente, quanto più humile del Santo Pastore CARLO, il Fasto più Insigne de' Nobilissimi Borromei, e della Fedelissima, e Gloriosa Città di Milano. Dirollo Massimo, perché Carlo de' [60] Magni più grande non hebbe mai altra Massima, che d'ingrandirsi nel Cielo, coll'appicciolirsi nel Mondo. Co' fregi innumerabili delle sue Virtudi Esemplari, accrebbe all'Insubra Mitra gli ultimi pregi; e col capo in terra sempre piegato, col tergo sempre piagato se portò all'Ovile tante Pecorelle smarrite, non isdegna hora di guardarle da'

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Colli Eccelsi del Cielo in queste Valli di Miseria raminghe, affin di renderle, colla sua Protettione, sicure da' Lupi 'nfernali.

Né debbo da Esso disgiugnere il di lui coetaneo FILIPPO, Giglio fragrantissimo di Candore Celeste, e Celibe, che spuntando nella Bella, non men di Nobile Città de' Fiori (con Politica sempre sana, governata da Medici Augusti, e Sommi di sapere, come di polso) hebbe un'Indole così pura, che gli putiva da lungi tutto ciò, che non olezzasse di Casto: Huomo Divino, perché similissimo a Dio Humanato, Candidissimo di Costumi, come Nero di Nome, e perciò accolto fra i Candidati più celebri dell'Empireo.

Ma si spiuma, & abbronza la Penna in aggirarsi all'acceso lume, con cui divampa, ma senza fummo, benché Ahumada, la gran TERESA di GESÙ, Teresa, Aquila dell'Avila cavernosa, dirò meglio Colomba dello Spirito Santo, Fiamma del Paradiso, e Fama del Crocifisso. Hebbe la Generosa Viragine per Cuore un [61] Cilindro, perché fatto a punte, in cui si unirono tutte le linee delle perfettioni mistiche. Hebbe per Petto uno Scudo, in cui rintuzzarono tutte i loro Strali le Avversioni. Hebbe per Anima una Fenice, che rinascendo dalle ceneri della Penitenza, volò con penne dorate nell'Arabia Felice de' Santi. Hebbe per suoi Pensieri tante Pirauste, che si aggirarono sempre all'Eterno Lume. Hebbe una Mente si fulgida, che di Discepola si fe' Compagna de' Cherubini. Hebbe un Intelletto così veloce, che assottigliato lo sguardo, volò colle più sublimi Aquile all'Empireo. Hebbe una Volontà così retta, che venne diretta sempre, come Sfera di tante Stelle, di quanti Affetti, dalle Intelligenze Sovrane. Hebbe una Memoria così feconda, che pullulò co' Fiori del Celibato i frutti del Merito. Hebbe una Fede così costante nelle Tempeste del Mondo, che mai non perdette di vista il Polo del Cielo. Hebbe una Speranza sì verde, che mai seccossi fra gli ardori de' desiderij, & alle combustioni infernali. Hebbe una Carità così fervida, che non mai agghiacciò fra le Nevi, & arse meglio fra le Spine de' Patimenti, formando Ella del suo purissimo Corpo, non che un Tempio divoto, un Roveto avvampante al suo Dio. Hebbe una Giustitia cotanto esatta, che camminò sempre sopra l'Ecclittica della Legge Divina. Hebbe una Prudenza così occhiuta, [62] che non lasciò mai abbagliarsi dai trasparenti bagliori del Senso, né smarrì mai la strada in mezo a' dirupi delle insidie caliginose. Hebbe una Fortezza così virile, che fu l'ammiratione del proprio Sesso, & a sembianza di scoglio immoto infranse l'onde procellosissime delle Persecutioni più amare. Hebbe una Temperanza così soave, che raddolcì l'asprezza dell'Astinenza col desiderio di maggior'austerezza, e mitigò colle pene i dolori, che furono gli alimenti della sua vita, e gli Elementi de' suoi respiri. Hebbe una Pacienza così indefessa, che stancò colla Sofferenza i Travagli, stuzzicò ne' sfinimenti gli affanni, svegliò col divisarli i tormenti, sfidò con amarli i disprezzi, avvivò col nodrirla la Morte, estinse con mortificarla la Vita. Visse morendo, e morì vivendo: morì vivendo, perché non viveva. Non viveva, perché morta al Mondo, non moriva, perché viva a Dio: Viva a Dio perché morta al Mondo: morta al Mondo, perché viva a Dio. A Dio viva, perché di Dio amante: al Mondo morta, perché dal Mondo odiata. Odiata dal Mondo,

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perché Amante di Dio: Amante di Dio, perché odiata dal Mondo. Dal Mondo odiata, perché monda, e monda per esser di Dio Amante. Di Dio Amante, perché Serafica, Serafica, perché tutta fuoco di Eterno Amore. Oh Prodigio [63] di Santità! Oh grand'Amazone del Celibato! Oh gran Vergine del Carmelo! Non so, non so, s'Ella più vivesse, o morisse: s'ella più fra le Spine morisse, o fra i Gigli vivesse. Crocifissa col suo Redentore, se non hebbe le mani trafitte, hebbe il Cuore ferito, e colla Cetra alla mano di quella Croce, sulla quale cantò, fatto Musico il Verbo, in tuono di Passione sopra le note delle sue Piaghe, alla battuta della Giustitia Sovrana, l'Altissimo Mistero dell'Humanità riscattata, Ella se ne sta hora cantando le Misericordie del Signore in eterno; Né può temere, che le s'infievolisca la voce, perché sempre fu tutta petto; ed hora si trova più, che mai stretta al suo Divinissimo Sposo, che fu sempre per lei tutto cuore, e tutto le si è donato, perché fu sempre Teresa per lui tutta affetto; ond'è che come sua tanto favorita, può ben obbligarlo ad esserci in ogni nostra estremità favorevole.

Non parlerò qui se non di passaggio, né scriverò se non di volata, del gran Pelicano di Carità, TOMASO di Villanova, che tanti Pulcini famelici, passaggieri, e spiumati accolse sotto le sue ale pietose; e perciò sempre aperte a nodrirgli sviscerato dalla Clemenza; Et hora colle pupille elevate non si astien dal mirare i Pupilli oppressi, ancorché sia tutto intento a bevere i sorsi luminosi di Gloria, che scaturiscono dal Fonte inesausto di [64] Luce. Figlio ben degno di quel Divino AGOSTINO, che dispensò tanto Pane di sustantiosa Dottrina ad innumerabili Pargoli Cathecumen, e nelle sue Pagine, che mai non saran depennate dall'Odio livido dell'Hereticale Perfidia: e ne' suoi seguaci, che cinti i lombi di pelle dura, portano nelle mani Lucerne ardenti di Merito Eterno, ancora in terra insegna, e risplende. Hor di Tomaso, che fu di così gran Padre il Cadetto, come di un Generoso Tesoriero della Benefica Providenza, non disperare, o Afflitto gli aiuti; poiché, se l'altro Tomaso chiuse incredulo con un dito il Costato del Salvatore, questi liberalissimo col pugno avvezzo a sparger, non men le gratie, che gli ori, prontamente il disserra.

Non debbesi trascurare, perché tanto pensiero ha de' suoi Divoti, il Famosissimo GAETANO TIENE, Fasto immortale della Nobilissima, & Eloquentissima Religione Teatina, così regolata nell'Osservanza de' Consigli Vangelici, come Regolare nel Titolo, ch'ella porta più nel cuore, che in fronte. Hor questo Alessandro di Santità da sé solo basta a recidere qual si sia Nodo Gordio, che ti si avvolga, o Mortale, d'intorno al cuore.

E tu FRANCESCO, che col tuo SALE, colto nell'Empiree Miniere, e da te portato più che nel Nome, nella tua lingua, e nella tua penna, preservasti tante [65] Anime dall'incarognir nelle Tombe de' Corpi: Alcide indefesso, che di così dure, come durate fatiche, arricchisti la gran Virtù della Sofferenza, e colla Clava della Dottrina Cattolica, l'insuperabile controversista, fiaccasti 'l capo orgoglioso a quel rugghiante Lione, che coll'insidioso suo circuire tenta tutt'hora di divorarci: E col Fuoco vivo del tuo Apostolico Zelo estinguesti più Capi alteri all'Hidra ripullulante del

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velenoso Lago Lemano, troppo inimitabile ti sei descritto nelle tue Opere, come imitabile ti rendesti nelli tuoi Fatti. Ah, che a te solo basta rivogliersi, accioché ti dimostri un Hercole ancora dal Paradiso in abbattere l'Inimico Trifauce, in prostrar l'Anteo della Colpa, & in fugar le Stinfalidi delle Sventure.

Di questi fra gli altri molti Heroici Santi, e come il Merito Eccelso, la Protettione efficace; quindi è, che

non bastando ad encomiargli slombata succinta, e fugace Eloquenza, come la mia, nel riverente silentio, colla penna

abbattuta, riconcentrato gli adoro.

[66]

DEL MIRACOLOSISSIMO PADRE

S. FRANCESCO DI PAULA

EPILOGATA LA VITA IN ANGUSTO ELOGIO.

PROLUSIONE V.

a viva Iddio, sempre mirabile ne' suoi Santi, che fe' un

Compendio delle sue Maraviglie nel gran FRANCESCO DI PAULA, nuovo Taumaturgo per eccellenza, e con ragione appellato.

Ogni momento, ch'Ei visse, hebbe del Miracolo: Ogni movimento, ch'ei fe', pizzicò del Divino. Fu Miracoloso, perché sussistette così lungamente Digiuno nel Mondo senza sustanza: Fu quasi, che puro Spirito, perché respirò dalla Carne sempre mai separato. Tutti li suoi respiri furono sospiri di Carità: Tutte le sue Attioni furono Atti di Fede: Tutte le sue Giornate furono condotte dalla Speranza.

[67] La sua Vita, non sol pretiosa, perché tutta Virtù: non sol Eminente, per essere tutta Humiltà, fu di Angelo più, che di Huomo, perché tutta Spirituale travasando da' confini della Natura si alimentò più di Dio, che nel Mondo.

Quinci adorollo il Mondo medesimo, incurvato alla mole immensa di tanti Prodigij da quello operati, che ripartiti fra molti basterebbono a qualificar molti per Semidei.

M

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Impetrato dall'Intercessione del Serafino d'Assisi doveva nascere tutto Fuoco, e tutto impetrito alle morbidezze del Senso. Tale preconizzollo sul di lui tetto paterno Fiamma Celeste, discesa ad esprimere questo Concetto raro il Misteriosissimo Nascimento.

A dinotar, che nella di lui Genitura hebbe il Ciel, se non tutta, la miglior parte, Angioli Paraninfi si udirono armoneggiare alla di lui Culla mottetti arguti. Emulò di essi col viso Angelico le arie sovrane: ben degno, per essere Giglio all'Anima, come Rosa nel Volto, che sopra di lui si posassero le Api del Paradiso.

Sin da Bambino cominciò, qual Hercole, a schiacciar le creste a' Serpenti infernali; & appena con tenera, e tremula mano sopra il suo petto spiegò l'Augustissima Croce, che piegò il collo humil', e riverente, già di Christo seguace, a portarla sopra il suo dorso. L'hebbe nel cuore [68] all'istante medesimo, che gli penetrò nell'Idea, e negli occhi non men, che dell'Intelletto del Corpo, percosso in uno di essi da doloroso Appostèma; ma ne ricovrò la salute all'intercessione di quel Francesco, del quale doveva essere la Pupilla, sicome ne fu, con questa seconda gratia Dono addoppiato.

Fanciullo fu tutto Senno, tutto Pietà, tutto viscere, gittando le fondamenta incrollabili del profondo Timor di Dio, Base fermissima della verace Sapienza, per ergervi sopra l'eccelsa Machina di quella Scienza Mistica, che solo si legge nelle membrane del Crocifisso, Libro aperto di Vita, & Indice infallibile di tutta la Perfettione.

Entrato nell'Anno Dodecimo cominciò ad uscir affatto del Mondo, in cui non si era insinuato, che sol col piede. Benché coperto di cenere nell'Habito Votivo di que' Minori, che son co' Fatti Maggiori de' Grandi, spettabile alla serietà de' Costumi puri, nella Città di S. Marco si fe' conoscere un Lioncino, nato coll'ardor nelle fibre a far gelare di spavento l'Inferno.

Si fe' vedere ne' primi aspetti, & a' suoi riflessi avvampanti, limpido Specchio, per la diafanità del suo cuore ingenuo: Parabolico per lo candore del suo lume ingenito; ma non fragile, perché Adamantino di tempra, come per la temperanza purgato.

[69] Apprese la Disciplina Monastica nell'Osservanza de' più Provetti, se pur non si fe' loro Mastro alle chiarissime prove della sorgente Sua Santità, dimostrate sopra la Catedra della sua Faconda Innocenza.

Ad un tempo medesimo veduto in due luoghi di quel Religioso Convento, meritò di restar'accolto ne' cuori di tutti, & ammirato dagli sguardi di ognuno. Portò nella Tonaca illesa, come Carbonchi freddi, Carboni roventi per lo Turibolo alla Sagrestia, mercè, che nell'Oratione, non so, se più facilmente distratto, o felicemente applicato, hebbe l'Incenso, ascendente a tutt'hore al Trono Sovrano. Cosse, pur ivi, senz'alcun altro fuoco, che quello della sua Fede, la Caustrale Civaia: che bastava l'approssimatione sola di esso a riscaldar'i Cuor, non che i Cibi di quella Regolare Adunanza.

Elevato di terra con estatico rubamento da Dio, accostumossi a lasciarsi rapire dalla memoria di quelle Delitie, che solo si godono in Cielo.

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Seguiva la di lui Carne, senza colpa leggiera, lo Spirito di giusto peso tutto aleggiante nel sublimarsi dalle panie di un Secolo ingiusto.

Compiuto l'Anno di quel Soggiorno, dopo l'adempiuta promessa, andò cogli Honestissimi suoi Genitori, non so, se Peregrino, o Corsaro, per adorar'in quel Tempio Famoso di Assisi, l'Imagine del Crocifisso, nel Corpo Sagro del Serafino [70] piagato, e per saccheggiar'ivi tutti delle Indulgenze i Tesori.

Indi ascese a Monte Cassino, e quivi all'odorifera Pianta del gran Patriarca Benedetto, carica di Tiare, e di Mitre, adagiandosi Passaggiero, sentissi rinvigorire lo Spirito, e fra quell'ombre romite concentrossegli all'Anima più intensamente la Luce della sua Celeste Vocatione.

Di là passossene a Roma, Santo Romeo, a quella gran Città de' Miracoli, dove Maestosa la Religione Cattolica gode con giustitia del Diritto di Capo, perché vi ha la sua Venerabile Sede l'Intelligenza dello Spirito Santo: Dove la Venustà nel Volto adorabile della Chiesa, senz'alcuna ruga di Errore vivacemente risplende; Nel Volto sì della Chiesa, tanto più robusta, quanto più antica, e quanto più decrepita, tanto più retta. A confusione dell'Hereticale Protervia, che non cessa cogli stili affilati sopra la cote dell'Ostinatione indurita di tentar, benché in vano, di sfigurarla. Oh quanto profonda, s'impresse a FRANCESCO in quell'Emporio della Religione infallibile, la Pompa amabile del Paradiso col vagheggiarne così da vicino il Protratto più somigliante!

Nel suo ritorno alla Patria diede al Mondo l'ultimo calcio, ricovrandosi nel Diserto a viver'Agnello fra' Lupi per restituire a' Mortali, in un Secol di Piombo, il Secolo d'Oro.

[71] Iddio lo guidò a quella incolpabile Solitudine per favellargli al cuore, accioché il Mondo più non gli parlasse all'orecchio; Et lui, a sembianza di un'Aquila ritirata, si applicò FRANCESCO in una povera Grotticella, nascosta a i raggi solari, esposta alle Illuminazioni Celesti, a premeditare il Nido de' suoi Pulcini.

Macerò fra que' Sassi la Carne: Indurì fra que' Tufi 'l Petto, raffinò fra quegli horrori la luce. Stemprò al gorgoglio dell'Isca, Fiumicello di quel Territorio Selvaggio, gli Affetti teneri, & al mormorio di quell'onde garrule apprese i Segreti di un Eloquente Silentio.

Trescò fra le spine, per non sentir le punture del Senso: Scherzò fra le Penitenze, per non provare le Pene del Pentimento: S'impinguò col Digiuno, per far immagrire il Fomite ingordo: Si nutricò di Radici, per isradicarsi affatto, per sempre dal Secolo: Si adagiò sopra il Suolo, per volar meglio svegliato al Cielo: Si flagellò con severe sferzate, per correre più veloce su l'intrapresa Carriera: Si abbeverò di lagrime, per essere, Isacco novello, della sua Genitrice, la Chiesa, il riso: Si fe' inimico giurato del Sonno, per conservarsi desto l'Imagine della Morte: Si esercitò sulla Sveglia, per meditar fra' tormenti l'Imagine della Vita: Si curvò nell'Oratione, per imbroccare, teso qual Arco, colle Saette de' suoi Affetti lo [72] Scopo Eterno: Si sviscerò co' sospiri per unirsi Amante al suo sviscerato Amore: Si assiepò i lombi con un Cilicio spinoso, per conservar'illibato il suo Fiore

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Vergineo: Si coprì di ruvida lana, per divenire Pecora Eletta: Si cosparse il Capo di cenere, per mantener' inestinguible il suo Fuoco: Si fe' di una Pietra guanciale, per rompere la durezza del Sonno: S'innabissò nel profondo dell'Humanità, per sublimarsi nella cima del Merito. Così nel corso di sei Anni nelle angustie di quella Scuola segreta apprese le Scienze; che non gonfiano l'Anima, ma colla Caritade Ingegnera edificando l'elevano, & in quella Palestra Solinga si addestrò a combattere in campo aperto contra l'Hoste Infernale.

Là cominciò con generoso coraggio a fiaccar le corna lussureggianti di quel Toro licentioso, che somiglievole all'altro favoloso di Europa, senza favola, perché colle favole, lusingando, coronato di fiori efimeri, le Anime incante, nel mare del senso le ingolfa, e poi le gitta alle spiagge sterili dell'Infamia.

In quell'agghiacciato Torrente attuffò con rossor dell'Abisso tutt'i bollori della Concupiscenza spumante, e ne uscì tutto freddo all'amor profano, e più, che prima acceso all'Empireo Incendio; che perciò fu osservata ascender'ad un medesimo tempo con Esso delle acque Colonna [73] ignita, Simbolo espresso della fortezza di un Cuore così fervido, come intrepido.

Vittorioso all'hora il coronarono gli Angioli di caste Calte, e di Gigli Celibi, portandogli dal Cielo il Disegno di quel Capuccio, Nobilissimo, e Santo, ad onta di Chi ne lacera il Nome, e ne contamina il credito, su cui come in Elmo d'impenetrabile tempra per Chiunque degnamente se n'orna il Capo, si rintuzzano tutti i colpi delle Tentationi, che da ogni parte assaliscono; abbattendosi anche con esso que' fiumi, che vaporando dalla Palude dell'Ambitione, ad offuscare il lume del proprio conoscimento, si elevano.

Testimoni fedeli dell'Innocentissima Vita di FRANCESCO, Mortal Nemico del Fasto, furono i mitissimi Cavrioli, che insidiati da' Cacciatori gli si arrestarono a' piedi, senza che osassero sforzar le mete della Spelunca, i Levrieri anelanti. Ma molto più la testificarono quelle Anime staccate dal Mondo, che corsero le prime all'Antro Celeste, per farsi arrolare da questo Gedeone Christiano sotto l'Insegna insigne del Crocifisso, ch'Egli tenea già piantata nella sua Carne confitta.

Esce perciò dalle Selve con agguerrita, benché ristretta Falange, ma quanto più unita tanto più forte, & al Demonio terribile; e già principia a tirar le linee d'inespugnabil Fortino nel giro angusto di un [74] sagro Tempio; Ma perché cresca più vaso a proportione del gran cuor di FRANCESCO, gli manda Iddio lo stimatizzato Ingegnere, che lo consiglia a far la Pianta più grande, poiché doveva essere molto il Frutto: Quindi provida mano il soccorre con l'oro, mentre il Signore gli si dichiara evidentissimo Fabbriciero, e gli traspira così gran Luce da cinque Finestre di Paradiso.

Toglie, in erger la machina al Cielo più cogli affetti, che colle pietre, a queste il peso nativo, e le fa volare leggiere, accioché s'innalzi velocemente la Stanza a quel Dio, che sulle Penne de' Venti cammina, e sopra le Piume

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de' Serafini si asside. Furono più frequenti in questa Struttura i colpi delle maraviglie, che diè FRANCESCO, che quelli de' Martelli vibrati dagli Operai; onde più Martellate n'hebbe l'Inferno distrutto, che il costrutto Edificio.

Ma quanto più questo gran Minimo si estolle col Merito, tanto più coll'Humiltà si profonda. L'ammirano a' chiari rimbombi della di lui Santa Fama le Provincie vicine, & Egli, qual Canna rauca, si reputa degno d'irrisioni, ma non d'applausi. Vola per tutto il suo Nome, ed Egli d'altro grido non cura, che di quello con cui chiamollo sopra la Croce, a portarla seco, il suo Nume.

Se n'entra fra le fuligini ascendenti di [75] rovinosa Fornace, e ne ristora intrepido, le fenditure roventi. Scherza fra quelle vampe di fuoco, come se fossero fiati di Zeffiro: calca que' Tizzi accesi, come se fossero Rose purpuree: e n'esce illibato ad abbagliar Chi lo mira attonito prorompere a guisa di Sole, che sorga dall'infiammato Orizzonte.

Apprende la Fornace medesima a non divorare gli Agnelli, poiché non ha potuto divorare FRANCESCO; Che perciò vivo gli restituisce quello, la cui polpe dente villando, la cui ossa fiamma vorace, meno però della Gola ingorda, havevano tranghiottite. Egli lo chiama con accenti pietosi, e l'ode tantosto rispondere con belati giulivi, mentre se n'esce da quell'Incendio, come il Monton di Frisso col Vello d'Oro. Ma non istupisca il Lettore, perché a FRANCESCO, che havea di già l'Innocenza risuscitata, fu ben anche più facile a farne rinascere il Simbolo in un Agnello risorto.

Ad un altro pure restituisce l'aura vitale, che morto sulla groppa di una Giumenta se ne portava legato un Incredulo brontolante, convinto con questo nuovo stupore del successo del primo Miracolo fra quelle Genti diffuso. Hor, che ne pensi, o Divoto? Non mostra forse pateticamente FRANCESCO di essere Pastor buono, mentre non iscortica gli Agni, ma gli ravviva?

[76] Innumerabili furo i Prodigi da lui operati nel Fuoco, calcandolo come se fossero piume le Vampe, e gigli i Carboni col piede ignudo. Più fiate l'estinse col fiato, l'ammorzò colle piante, colle palme lo strinse senza lesione: Verificando in sé stesso, tutto rovente il petto d'Amor sovrano, l'Assioma Filosofale Rigettarsi l'estraneo da ciò, che nell'interno si cova.

Moltissimi di questi Avvenimento ammirabili nella Vita di lui si rincontrano che forse non sembrano rari, perché frequenti; onde conviene a FRANCESCO la qualità piraustica di scherzare, ma senz'abbronzarsi, alle fiamme intorno non sentendo l'esteriori, per esser'Egli tanto dall'intime riscaldato.

Non men fe' stimarsi nell'Acqua, che nel Fuoco possente. Sopra lo sdrucito suo Manto, Palischermo di Fede, passò con due affidati Seguaci, fatto Piloto, e vela, quel tratto infido di Mare, guardato da due latranti Mastini Cariddi, e Scilla. All'hora provò coll'Esempio esser Pennigera (come la descrive il Dolcissimo Ambrosio) la Carità, coll'Olio della quale rammolcì le Tempeste di quel Golfo fremente, reso nell'avvenire più

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solcabile a' Pini audaci, che all'invocato FRANCESCO, come al vero Polluce, rivolti lo passano frequentemente sicuri.

Ei fe' in Paterno rimontar l'acque contra [77] il suo corso nativo. Ivi fe' pure sfilar le stagnanti, che imputridivano impaludate, ad impallidire quel Clima, marcando a quelle facile lo sboccatoio, con una striscia del suo Bastoncello possente. Altre di amare alla di lui Benedittione dolci divennero, in contrasegno, che la Croce di un Giusto basta ad insoavire ogni Assentio. Altre rimasero Medicinali, perché pullularono alla Carità di FRANCESCO colate, come le Minerali, per l'Oro.

Alle picchiate fervide del di lui vigoroso Bastone, come di Verga Mosaica, disgorgarono dalle aride fibre delle Pomici aduste, in più fresche sorgenti, humori vivaci ad abbeverare le secche labbra de' Popoli inarsicciati: In ciò di Mosè, FRANCESCO, non so, se più felice, o più provido, poiché nella medesima guisa con ammirato profluvio rinuova l'ondoso Prodigio, che con vena d'argento, ancora della pretiosa Santità di FRANCESCO favella.

Nella rasa Campagna un gran Diluvio punto nol bagna mercè, ch'Egli arido non fu mai. Fa, che in angusta Fossa, dilagata si stringa, ammorbadrice Pozzanghera, che l'accesso impediva al di lui Convento, perché tante fiamme celesti nel brieve recinto del di lui piccolo Cuore si concentravano.

E che dissi piccolo Cuore? Sbagliai. [78] Così grande fu il Cuor di Francesco, che fu Trono di Dio immenso, & Organo dell'ineffabile Onnipotenza.

Ed ecco la ragione in pronto, perché a' prostrati Elementi con assoluto Impero, delegatoli dal suo Sovrano, comanda. Oh quante volte destò ne' Sassi l'Ubbidientiale Potenza, altrettanto Potente sopra le Creature FRANCESCO, quanto Ubbiediente colla sommissione al suo Dio! Ancor si mira con ciglio inarcato hoggidì protestarne il Vero in Paterno Rupe sfiancata, che scordatasi del suo centro, Penisola in aria, sulle penne di questa non mai cadente, e sempre caduca si posa, perché la santa mano, che con un dolce cenno arrestolla, con un perpetuo Miracolo la sostiene; Et ivi pur dirupato Scoglio, che dalla vicina Montagna sfendevasi ad opprimere l'Edificio Claustrale, immobilito a mezo corso trattenne, togliendo il moto colla tenerezza de' suoi Sentimenti veloci alle Pietre insensate, e dandolo a' Cuori 'mpietriti.

Oh Fede di FRANCESCO de' Monti stessi più stabile, mentre li muove! Si apparta un Colle al di lui comando, né più si oppone alla Fabbrica del Convento, precipitandosi nel Torrente contiguo. Deh quanta Vaglia ha il semplice Precetto di un Semplice Ubbidiente, la cui mano imitadrice della Divina fa dissolvere i Monti in acqua, se quella fa, che vadano in fumo.

[79] Un altro pure ne appiana; e ben professa l'Indole della sua profonda Humiltà in dimostrarsi nemico delle Altezze Orgogliose. Ferma a mez'aria un Muro, che rovina staccato, essendo FRANCESCO nato solo ad edificare col suo religiosissimo Esempio, e colla sua Virtù così ben fondata.

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Maneggia il Milazzo, come lievi fiscelle, Pietre sì gravi, che ognuna di quelle havrebbe sfiancata a ben venti dorsi robusti la lena; E le consegna compaginate, come se fossero pagine, nell'Edificio, formandone gli Archi più allo stupore, che al Tempio. Una delle medesime da lui consagrata col Segno della Croce Divina, di questa riman'impressa indelebilmente, e di pesante si rende leggiera, per segno, che la Croce non pesa a' veraci servi di Dio.

Ma non ho Miracoloso lo Stile, come FRANCESCO il Potere, per portar qua tutt'i Sassi, che l'ubbidirono pronti, scordandosi dell'innata gravezza: Molto men tutt'i Cuori inassiti, che si spezzarono alle di lui Esortationi, da' quali, come da Pietre, cavò colle dolci Vergate della Miracolosa sua lingua, abbondanti profluvij di lagrime, convertendo in acqua purificante quel fuoco impuro, che tanti affetti mondani accendeva.

Trasanderò volentieri, come incapaci di venir ristretti tra l'angustie di questi fogli, [80] tanti, e tanti Pesci, che gli diguizzaron di mano, ancora ch'estinti, e più volte cotti; ravvivati alla di lui viva Fede, e negli stagni scherzanti; Ma ben'anche tante, e tante Anime morte, che ritornarono in Gratia nel gran Vivaio della Contritione, col di lui mezo, attuffate.

Volarono le fuggitive Cervette, più che non corre la mia Penna sulle di lui Glorie, a rifugiarsi alli di lui piedi, che per non dar mai in alcun inciampo, promettevano certa la sicurezza. Né qui toccherò le Vespe moleste, che da lui minacciate si ricovrarono altrove a logorare i lor pungoli, & a consumarsi in sussurri; non convenendo, che allignassero vicine a quest'Ape ingegnosa, che nelle cellette del suo dolcissimo Cuore, candido più della Cera Hiblea, fabbricava il Mele del Paradiso.

Non dirò degli Uccelli famelici di rapina, che insidiati, al posarsi, sul di lui pugno, furo non meno parchi, che salvi, compiacendosi più tosto di digiunar con Esso astinenti, che d'infierir nell'aria rapaci.

Lascio addietro le Serpi livide, da lui trasportate, a piene maniche, per più di un miglio a vomitar'in erma foresta il veleno, come tocche da quelle mani, che tanti Farmachi medicinali, e così antidotali Rimedij sempre stillarono.

Non fo comparire schierat'i Tori feroci, [81] che nella di lui mansuetudine morbida rintuzzarono le corna cozzanti, e piegat'i colli si sottoposero dimestici al Giogo. A questi accozzerò il Demonio, quel gran Bue, che prima Cherubino, affettò superbo il soglio sopra le Stelle, & hor confinato nelle Stalle d'Averno rumina tanto fuoco quanto hebbe fumo: quegli fu lungamente fatto lavorare dal Santo, che ridusse una volta ad edificare colui, che sempre distrugge.

Mi arresta la riflessione l'intendere, ch'Egli ancora, come scherzando (a dinotar la facilità de' Miracoli) soleva apparire Miracoloso per vezzo trattando le Maraviglie. Fa da ruginoso Manescalco ferrar'una volta il suo mite Asinello, e perché non ha moneta, che di Preghiere a concambiar la fatica dell'Operaio, che a tutti modi brontolando chiede la paga, o 'l Somiere in deposito; accenna FRANCESCO al fedel Giumento, che restituisca la ferratura; ed ecco, che ubbidientissimo quello, crollante i piedi, sopra il

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suolo, la lascia al Mastro indiscreto, mostrando, che questi più di lui meritava di esser ferrato.

Deh qual mi opprime di tante Geste del mio FRANCESCO, insopportabile al mio Stile slombato, voluminosa la mole! Il veggo in ogni genere, a qualunque procinto, in tutte le maniere abbondar così di Miracoli, fin'a ducento, e trecento tal [82] volta il giorno, che par di questi haver le Miniere aperte nel seno.

Oh quanti Ciechi aprirono gli occhi a' purificanti spiragli di questo Luminare Divino! Io non ho lumi a descriverli, come FRANCESCO ad illuminarli. Oh quanti Muti prosciolsero della lingua stupida i nodi a' prieghi industri di questo Celeste Facondo! Io non ho svelte le parole ad esprimerli, come FRANCESCO a farli parlare. Oh quanti Demoniaci furono liberati da questo Humilissimo Austero, che a' piedi scalzi calcava intrepido il capo all'antico Serpente? Io non ho spiriti così puri a radunar in racconto tutti gli Spiriti immondi, che FRANCESCO discaccia in effetto. Oh quanti Morbosi acquistarono la Salute a' rimedij pietosi di questo Santo Esculapio! Io non ho l'Eloquenza sì amena per infiorarli, come FRANCESCO i Semplici floridi per guarirli.

Corrano i numerosi Zoppi, a' quali Egli diede il moto, a publicarne retti, come divennero Essi, gli Encomij. Parlino tanti Languidi Agonizzanti, che respiraro spiranti allo Spirito di FRANCESCO sospiroso al Cielo, per prolungare ad Essi la Vita. Né sieno ingrate le Città intere, che furono liberate da contagiosa influenza, o colla di lui presenza, o col di lui Merito, a protestargliene l'obligo eterno.

Irracontabili per la moltitudine mi si [83] oggettano i Monchi, e gli Storpiati, che rassettati dalla di lui giusta Virtù, con una virtuosa giustezza, liberati non men dalla pena, che dal deriso, si proportionarono più, che le Figure Rettoriche a celebrarlo.

Solo, fra molti, espongo alla vista di tutti uno svisato Carname, massa indigesta di Mortalità mostruosa: Bambo infelice, dirò più tosto Orsaccino informe, a cui distinse FRANCESCO il volto colle sue dita, e colla sua Saliva (poiché la di lui bocca succhiava i Miracoli dal Costato del Crocifisso, Fonte di Vita) gli diè l'humana sembianza, in ciò somiglievole a Dio, mentre formò un Huomo ad imagine di sé stesso.

Fra tanti da FRANCESCO, in più parti, risuscitati, e dalle Tombe rivocati agli Altari, anche di lassù dove Glorioso passeggia su gli Astri, metto solo in prospetto quel Giovine, infaustamente caduto in Paula dal sommo di un alto tetto, alle cui membra lacere, e fredde, congiungendo le sue dalla Penitenza sdrucite, e dalla Caritade accese, restituì, novello Eliseo, l'Anima separata.

Oh Spoglie rapite alla Parca da un Parco, Trofei di Morte cangiati in Trionfi di Vita, meglio col Silentio divoto, che colla Facondia confusa vi concepisco, ed ammiro!

Esca per divertirsi, oppressa dallo stupore, [84] l'Imaginatione a vagar per le selve; e pur là si presentano ad eccitare le maraviglie l'Opere Illustri di questi Insignissimo Taumaturgo.

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Divide ad un sol fedente del suo, se non se imperiale, imperioso Bastone, Pedale Annoso, & unisce due Fratelli rissanti, che col ferro nudo alla mano, pretendendo ciascuno di Essi di posseder quella Pianta solo, stavano già per isquarciarsi alternamente le Viscere interessate.

Per un Piè di Castagno, con subita usura ne rende sette, che sorgono istantanei al Padrone del primo a frondeggiare sublimi, havendo il Santo in sette fossicelle cavate col suo bastone fecondo, sotterrati altrettanti Frutti di quella Pianta; onde si cangia subito in riverentiale stupore la stupidezza scortese di colui, che impediva a FRANCESCO, colle rampogne l'uso dell'Albero già reciso.

Fa nascere intempestivamente, Vertunno provido, le Fragole, che spuntan mature, e refrigeranti più assai di quelle, che la Natura fiorita tempestivamente produce, poiché guarisce FRANCESCO con esse i Febricitanti; mostrando, che non sol tiene sotto i piè gli Elementi, ma le Stagioni ancor sulle mani, mentre prorompe da queste a suo comando la Primavera, ancorché sia di Decembre.

Oh come pieghevole a' di lui prieghi divoti, come a' suoi comandi efficaci delle [85] Creature Insensate l'Ubbidienza s'inchina! Anche hoggidì si presenta in Paula Albero antico, robusto benché decrepito, che sempre più verde s'inchioma; E pur sopra le radici, e sotto le frondi di quello s'incende, tre volte l'anno, a cuocer la calce Fornace ardente, fabbricata dal Santo, a cui non si scorda di ossequiare il Fuoco avvampante; sicome anche seguì in Caieta dove fu estinto il vorace da meza Imagine di FRANCESCO, che vi fu gittata, e poi ricavarne illesa, a mortificar gli ardori di un'altra Fornace con danno prossimo de' convicini fiammante.

Anche là nella Gallia rinovellossi un Prodigio sì bello, quando fu dagli Heretici, sempre freddi, ancorché sempre fumanti, dato alle fiamme il di lui Mantello, che, avvezzo a coprir maggior fuoco in FRANCESCO, non abbruciato si estrasse, profilato con auree striscie da quelle vampe, che non ne morsero rabbiose un pelo, ma ne baciarono riverenti il lembo.

Non son di minor'energia le prove, ch'Ei fe' nel multiplicare provido i Cibi. Più di una volta senza fuoco li cosse, come seguì singolarmente in Paterno, pascendo più gli animi di maraviglia, che gli stomachi del nudrimento. Et ivi pure colla metà sola di un Fico, ch'indi non rimase scemato di un granellino, rese satolli vent'Operai [86] stupiti, perché parve appunto, che FRANCESCO havesse colto quel frutto dall'Albero della Vita. Crebbe in Corigliano l'ammiratione, dove satollò ben Trecento Operieri con un altro Fico, che nel fine di refettione sì strana, per l'interezza di FRANCESCO rimase intero. Tanto seguì di un Pane, onde vennero le fameliche brame de' medesimi Trecento un'altra volta appagate, dichiarandosi Egli coll'unir l'abbondanza al risparmio Economo vero del Paradiso.

E non imbandì FRANCESCO, Vivandiero Celeste un Pesce, preso con l'hamo della sua Fede, in quell'acque, che son sopra i Cieli, per un improviso Convito, apprestato alla Marchesa di Arena, alla Comitiva della medesima, ponendo sopra la Tavola diece Pani, cotti dalla Providenza nel

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Forno, a quel punto crudo, che si trovò dalla nobil'Hospite sovrapreso? E dal suo Convento di Paterno non rimandò ben pasciuta, ma non satia di benedirlo, con poco pane una gran moltitudine accorsa ad ossequiarlo? E non lusingò anche tal hora colle svogliatezze il palato difficile di alcuni Nobili, rendendo ad un istante gl'imputriditi Meloni non solo sani, ma dilicatissimi al gusto? Forse perché le putride Coscienze di alcuni di Essi, con tal Esempio divenissero buone, e non più marcissero nelle colpe. E non durò, senza punto corrompersi [87] per lo spatio di cinque anni, un Pane, che nella manica gli fu trovato, a confermar'il cuore dell'Huomo nella Fede di Dio? Pane di Propositione, cavato da un Tabernacolo di Pietà, e da un Santuario di Virtù, atto ad alimentar la Divotione di chi cibossene le pupille fedeli.

E che vuoi più Lettore? Parmi di vederti attonito, & hai ragione, M'imagino di sentirti gridar: Non più! Perché ti stanca l'apprensione il racconto; e ti abbaglia lo sguardo il fulgòre di Geste sì luminose.

Dovunque cerco FRANCESCO, il rincontro fra Lumi, ch'Egli per tutto accende, perché tutto Fuoco. Tutto Fuoco, perché tutto Dio. Illustra perciò la Calavria, ma più l'incende, e lascia dove trascorre arso ogni cuore nella cenere della Penitenza sepolto, infiammata ogni anima dalla Tomba del Vitio sorgente.

Ei si rende invisibile a' soldati del Re di Napoli, che andavano a prenderlo, e restarono preda, e que' lacci, che portarono per legarlo, convertirono in ritorte ossequiose a' loro petti prostrati alla Santità di FRANCESCO, che comparì come Agnello fra tanti Lupi, per convertirgli in Pecorelle mansuete. Gran Miracolo cangiar il Ferro crudo in Oro purgato, che tanto è appunto tramutar un Soldato Sgherro in un buon Cattolico.

Ma non doveva FRANCESCO esser [88] Legato, che nell'Empireo. Come tale s'introduce nella Corte del Rege Napolitano, e di Ulisse più prode non si tura l'orecchio per non sentir di Partenope le Sirene, ma coll'aprir la bocca le fa divenire stupide, e mute. Tali rimasero i Cortigiani di Ferdinando, alla cui presenza, fa dalle Monete spezzate grondar'il Sangue, che havean succhiate le voglie ingorde, dalle vene de' Popoli smunte. Mentre FRANCESCO tormenta l'Oro, confessa quel Porporato nel suo pallore il suo fallo, e stilla altrettante lagrime di compuntione dal cuore indurito, quante gocciole vede cadere da quel Metallo adorato. Arrossisce confuso a quell'oggetto sanguigno, e palpitoso nel suo pentimento tremante conosce non haver di Re, che il Reato, mentre del suo Sovrano scordandosi, vede ben chiaro, che gli sta contro, ogni suo Diletto divenuto Delitto, e che sono perdite eterne i temporanei guadagni. Così ravvedutosi, mentre chiude gli occhi, per un poco alla Vanità, si assicura nel suo timore, ma non persevera nel suo proposito.

Usciamo pure con FRANCESCO da questa Corte, poiché con zelo vaticinante non vi predice il Veridico, che Sterilezza di Prole Scettrata, effetto di Colpa, feconda solo di Mali, e dall'oppressione de' Sudditi afflitti l'abbassamento de' Principi infastositi.

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[89] Accompagniamolo verso Roma, dall'Ubbidienza verso la Santa Sede, ma non dall'Aura di un regio invito sospinto. Ei lascia, pria di partire dal Regno, con un carbone delineata l'Imagine di sé stesso, che gli vien richiesta, sopra di una parete: Forse ad esprimersi in quelle botte caliginose, coll'Humiltà sua nativa, per huomo oscuro; O perché da quella nerezza fuliginosa più fulgido, come dall'opposto, il di lui candore risplenda; O pure per figurarsi tutto di fuoco, poiché si dipinge col suo carbone più chiaro, ch'Io non so fare col mio inchiostro.

Io sì, che allucinato il perdo di vista fra i lumi di tanti Miracoli, che a numerose schiere accende in quel suo Viaggio Famoso, ma non fumoso, benché con un Carbon si sia pinto, & al gran polverio, che gli s'innalza d'intorno, per l'affluenza di tanti Popoli, che accorrono a riverirlo dovunque arriva.

Entra nell'Alma Città più in Equipaggio di Trionfante, che di Mendico, e fa ben Roma conoscere, che sa tributar gli Honori alla Virtù vera; E che maggiori Vittorie riportarono mai gli antichi Romani, de' loro Nemici domi, di quelle, che questo Povero Scalzo ha ottenute di tutto l'Inferno? Si strascina dietro FRANCESCO sul Carro, che gli fabbricarono le Virtudi, il suo Corpo lacero dal Cilicio, il suo Fomite legato dalla Ragione, [90] il suo Senso disfatto dall'Astinenza, il suo Intelletto cattivato dalla Fede, la sua Volontà catenata dall'Amore, la sua Memoria ruminante l'Eternità. Non gli mancano Lauree, come ad un Martire di Penitenza: Gli sovrabbondan le Palme, come ad un Espugnatore del Vitio: Gli ridondano i Trofei, come ad un Campione della Virtù.

Il gran Sisto Quarto, Gloria di quella Quercia, che ha tanti frutti d'oro, e di Merito, quanti pullularono Germogli del suo Pedale, coronato di due Tiare, fregiato di Porpore, guernito di Spade, c'hebbe gli Scettri per tronchi, & i Pastorali, co' Generalitij Bastoni, per Rami, l'accolse con Vaticano schierato, preconizzandolo colle lodi prelusive degli Atti, co' quali il gran Leon Decimo Protettore de' Letterati (accioché si vedesse questo ardentissimo Sole, se prima in Vergine, dipoi 'n Lione) doveva canonizzarlo. Festeggia quell'Heroico Popolo la presenza di questo Minimo Massimo, acclamandolo Santo prima, che ascenda a coronarsi di Stelle, perché gli vede in faccia un riflesso diretto del Sol'Empireo; ma Egli sempre più vile, sempre più tenebroso si ostenta; e si professa Larva di Nulla, quando sol pare Fantasma per l'Austerezza. Non si gonfia agli applausi, perché non ha orecchio, che per sentir le divine lodi; e benché paia nel suo continuo Digiuno nodrito [91] d'aura, non si pasce però di Vento.

Di quel Vento è sol vago, che spira da' Colli del Paradiso. Non gli manca mai questo, perché senza questo FRANCESCO non vive. Il suo respiro, è il suo Dio; e con questo veleggia sicuro verso il Porto Beato. Imbarchiamoci dunque seco, né temiam di naufragi, perché FRANCESCO sommerge i pericoli, fa camminar lontani gli Scogli, incatena le Procelle, dissipa i Turbini, e stermina le Tempeste.

Gli ubbidiscono i Venti nel Viaggio ch'Ei fa verso Francia, ed egli tutto mite incalma quell'onde irate, che sovente appresero da questo

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soavissimo Agnello ad esser Pecore mansuete. Gli diè non la Sorte, ma il Merito, come ad un Nettuno non favoloso, l'Impero sovra il Pelago borrascoso; Et Egli col Tridente Mistico delle Tre Virtù Sovranaturali fa dormire gli Euri frementi, mentre risveglia i Favonij più favorevoli. Non la Fortuna di Cesare, ma la Gratia di Dio l'accompagna: Non porta nell'Otro chiusi gli Aquiloni rapaci, ma nel Cuore i Celesti Afflati riceve. S'increspa ridente il Mare, e con ispuma di argento gli tappezza il sentiero ondoso, parendo, se ben tutto placido, che tocchi 'l Cielo, & ascenda se non se turbato, fastoso fino alle Stelle, perché fortunato, e non più fortunoso, tien sopra il dorso, quello a cui già [92] per privilegio haveva baciat'i piedi indolcito.

Al passar di FRANCESCO per Genova, la Religiosa, la Fedele, la Bella, la Maestosa, la Modesta Reina del Mare Ligustico, la benedice colla presenza, assicurandola di quella Libertà, che le havea già predetta Vaticinante, col metter su quelle sponde il suo piede. Ivi col suo Pijssimo Genio tanto della Croce invaghito, vedendola in quel Serenissimo Cielo porporeggiare, splendente fra i Grifi alati, che la riportarono in Gerusalemme col possentissimo loro aiuto Vittoriosa, applaude a quella gran Città, che come da Giano fabbricata, o denominata si può dir, c'habbia addoppiat'i lumi; e per esser fondata più, che sugli Scogli, sopra le Leggi Divine, & Humane, non può mai soggiacere a cadute. Si compiace il Giusto nella sua brieve dimora di osservar quell'Augusta Republica, Saggia Moderatrice in ogni tempo de' suoi fedelissimi Sudditi; Così retta nel suo Governo, tanto Cattolico, quanto Politico, che non havendo mai separata dalla Pietà la Giustitia, può servir'ad ogni Sovrano da Prudentissima Idea, e di Gloriosissimo Esempio.

Nel sontuoso, e regio Palagio del Nobilissimo Principe Doria, la cui Casa fu sempre, come Seminario di Heroi, aperta a ricevergli, & a trattarli con ogni più [93] magnifica Splendidezza, fu con divotissimo accoglimento FRANCESCO alloggiato. Indi sopra il Colle acclivemente vicino, detto Monte Sano, per convertirlo in un Monte Santo, destina il suo Convento di Gesù Maria, specchio di Osservanza non finta, e Fonte di Scienza non vana.

Hor via seguiamolo verso la Francia! Ma qui protesto, che bisogna interpollar la Giornata, mentr'Egli per tutto vien dalla Divotione de' Popoli trattenuto. Lascia in ogni parte l'orme venerabili della profonda sua Santità, come nella Provenza le pietose vestigia delle sue Piante, che nude evangelizano la Verità, solita sempre a camminare spogliata, e povera.

Accorrono precipitosi a folla i Popoli di Bormes a tagliarli l'Habito intorno, che raccorciato fino al ginocchio, prorompe immediatamente profuso alla lunghezza primiera, tessuto coll'invisibile Spola dell'Onnipotenza, ne' suoi Lavori maravigliosamente instantanea.

Ivi così alla rinfusa le Turbe l'opprimono per esaltarlo, che si rende ad esse miracolosamente, più d'una volta, invisibile; Pur come Sole, benché coperto, non lascia di comunicar'a quel Clima li suoi influssi salubri, purificando l'aere, non sol di Bormes, ma di Fregius ancora, dal Contagio crudele contaminato.

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Al picchio provido del suo bastoncello [94] debole fa zampillare nel Delfinato Fontana limpida, per abolire l'arsura torrida, e perniciosa, onde que' Nationali gemevano adusti, & incommodati.

Entrò alla fine nella Corte de' Galli, a guisa di un'Aquila, e vi si mantenne come un Colombo. Qui mi cade di pugno la Penna, che non le basta il volo a seguirlo fra gli applausi universali, e, benché volgari, non bassi, perché si sollevano fino alle Stelle, co' quali la Francia il sublima.

Horsù FRANCESCO non se' più Minimo, poiché ti veggo così magnificato da Dio nel cospetto de' Regi. Ma, che farai nella Corte Scuola di Doppiezza, e di Frode, tu, che sei così Semplice, & Ingenuo? T'intendo sì: Questa è la Corte de' Gigli; non ricusasti perciò di mettervi il piede per fecondargli, & accrescerli co' tuoi purissimi non incespati, e tanto odorosi. Deh più non si canti

Esca di Corte Chi vuol esser Pio; poiché tu v'entrasti a renderla Santa. Ma non è Cortigiano FRANCESCO, ancorché nella Corte sia, perché

non adula. Sentasi con quale franchezza dice al Re Franco, Infermo: Sire non ho Miracoli, né rimedio per voi. Pur gli medica le piaghe dell'Animo, e l'incoraggia a disporsi alla Morte, da quello prima tanto temuta. Con l'aurea Facondia della sua lingua gl'indora una Pilola, appresa pria [95] molto amara, presa poi così dolce, a salutari raccordi di questo Hipocrate Sovrahumano.

Là non mancarono a FRANCESCO Insidie, perché nella Corte basta essere un Ermelino, per haver dietro insidiose ciurme di Cani latranti, e mordaci. Le superò Egli colla Patienza, le disperse colla Modestia, le sterminò colla Virtù, e le fe' cessare colla Perseveranza.

Fu per FRANCESCO Pietra, non di Scandalo, ma di Paragone la Corte. Su questa coppellossi l'Oro dell'eccessiva Carità di lui, che fu trovato finissimo, e senza lega d'inganno; sicome conobbesi, e ben tosto, esser piombo il livore, palliato di zelo, che a perseguitarlo astiosamente accignevasi.

Il Medico Regio mal vedeva, che il Buon Huomo (così chiamollo Luigi Undicesimo: Nome, che dura ancora a' Minimi di Nigione) aprisse gli occhi di quel Monarcha, ch'Ei, come Cieco, voleva condurr'a sua posta. Benché facesse professione di Semplici, era il più doppio d'ogn'altro, che approcciassero quel Monarca, ond'havea in odio la Semplicità di FRANCESCO, comparso ad immascherarlo per esser quegli un Hipocrita Cortigiano. Prevalsero le Ricette del Buon Huomo a' Consulti di quel Maligno Impostore. La Candidezza del Santo fece arrossire la Petulanza dell'Empio. Non [96] potea prepararsi antidoto più diretto a' morsi lividi di quel velenoso Serpente, che tutto si svincolava in perfidia, e si raggirava in astutia; Ma non istette saldo al prospetto di un Colombo sì puro, e bisognò, che i di lui sibili cessassero tosto agli Ensalmi di questo Incantatore Divino.

Col peso delle Calunnie s'innalzò FRANCESCO, come la Palma alle Gloria. Sotto quel Cielo Benefico dilatò la sua Religione, che Minima, come un grano di Senapa, crebbe Maggiore omnibus Oleribus, & ampliatasi in

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Pianta ferace die' ne' suoi rami profusi l'accoglimento a' tanti Uccelli del Paradiso, che vi si adunarono a farvi 'l Nido. Così vide pria di morire, questo mistico Abramo, multiplicato il suo Seme Spirituale, come gli Astri del Fermamento.

La di lui Vita fu Specchio a' Principi, che vi carminarono dentro le lor Coscienze: Fu Filo agli Sviati, che uscirono dagli Errori di un Laberinto come la Colpa: Fu Stella a' Naufraghi, che sfuggirono le seccagne voraci del Senso spumante: Fu Face agli Oscuri, che si rimisero sul cammino di Penitenza: Fu Caduceo a' Rissanti, che baciandosi pacificati vomitarono come le Serpi, divenute amanti, il veleno. Fu Collirio a' Ciechi, che aprirono gli occhi al Sol di Giustitia, e stillarono le Cateratte degli humori peccanti in lagrimosi rigagni di compuntioni [97] divote. Fu Medicina agl'Infermi, che risanati nel Corpo ammorbato, acquistarono ancora la Sanità dell'Anima languida.

I Miracoli, ch'Egli fe' in quel Paese, nel di lui Soggiorno felicitato, furono tanto più vigorosi, quanto più si avvalora il Moto avvicinandosi al fine.

Sciolse colla Scienza infusa, Saggio Idiota, le Quistioni difficili, propostegli da due Classici Dottori della Famosa Sorbona, a' quali cattenò il cuore di modo, che gli furono poi Protettori benefici, se prima l'haveano assalito Fiscali importuni.

Non presentossi alcun Egro a' suoi piedi; o non presentossi Egli di alcuni di essi al Capezzale, che non ne partissero, o non ne rimanessero tutti sanati; Né riccorse Afflitto al di lui Consiglio, che non se ne ritornasse contento. Egli era un Giardino di Semplici per ogni Morbo, un Favo di Mele per ogni Assentio.

Ogn'uno procurava di toccarlo, come già feano le Turbe verso il Salvatore, che havea nel suo Servo trasfusamente infusa la Virtù di curar gli Ammalati, e di risuscitar, se non se come Pietro i Morti, coll'ombra del suo Corpo, colla luce della sua Santità, che sarà sempre da' Posteri venerata Prodigiosa.

Santità; ma non di superficie; non di [98] cerimonia, non d'inorpellatura: Di fondo, di proposito, di valuta. Troppo abborriva FRANCESCO gl'Hipocriti, per divenirne l'Imagine. Non curvava il collo per pescar credito a capo chino: L'Età piegar glielo fe', non l'Hipocrisia. Non disvelava mai mesto il volto, per accreditarsi Austero: La Giovialità gli rideva sul labro, gli brillava nell'occhio, per contrasegno, che sempre si rallegrava con Dio. Non mormorava degli altrui diffetti, ma li compativa, e quando non valeva a correggerli cogli avvisi, colle lagrime gli scancellava. Non pregò mai come il Fariseo, ma sempre come il Publicano, percuotendosi il petto si accusò Peccatore, e pure fu del Peccato il più capitale Nemico.

La Sua Purità gli mantenne sempre sul capo vivaci le Calte. Il suo Celibato assiepogli sempre di Gigli il cuore. La sua Modestia gl'infiorò sempre di Rose il viso. La sua Penitenza gli cinse sempre di spine il corpo. La sua Mortificatione empiegli ogn'hora il sen di Viòle. La sua Astinenza

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mantennegli verdi gli spiriti sotto le nevi del Crine. La sua Humiltà l'innalzò: La sua Fede il nodrì: La sua Speranza il ravvivò: La sua Carità gli diè l'ale per volar'al riposo Eterno. La sua Vigilanza gli aprì la mente per fissarla nella Beatitudine: Il suo Digiuno avvezzollo a cibarsi delle intellettuali notitie: [99] La sua Giustitia lo sollevò tanto più, quanto più il fece di peso. La sua Prudenza, come Sale d'ogni Virtù, lo rese così saporito nelle Conversationi, come contrario alla Putridezza. La sua Temperanza lo raddolcì di maniera, che la soavità de' suoi detti corrispose sempre al temperamento de' suoi affetti: La sua Fortezza di tal modo l'avvalorò, che si fe' temer dall'Inferno, li cui assalti, non che ad atterrirlo, furono sempre vani per atterrarlo.

Fu Superiore, tutta sua Vita, della sua Religione, ma più Servo de' Figli suoi, a' quali lasciò il Crocifisso morendo, accioché non si scordassero mai di lui, che ne fu l'Imagine. Candido come un Cigno per la sua venerabile Canutezza, ben fe' veder fino all'ultimo, che non hebbe mai fumo in testa. Come Cigno appunto salmeggiando se ne morì con un finale deliquio, più di Amor, che di forza, in Età di novantaun Anno, carico più di Meriti, che di giorni.

Oh dolcissima Morte, poiché spirò FRANCESCO in braccio alla Vita. Gli colse l'Anima il Redentor con un bacio, così pretiosa, che meritava di esser rapita da chi l'haveva redenta colle sue Piaghe, e tanto abbellita colle sue Gratie. All'hora, e nel Giorno medesimo del Venerdì Santo, in cui Christo spirante depositò il suo Spirito nelle mani del Padre, deposita [100] FRANCESCO il suo nelle mani del Figlio, non sapendo scordarsi, anche morendo, di raggirarsi a' quei forami vitali, che furono sempre i Poli de' suoi Pensieri amorosi.

Oh che felicità! Muore con Christo perché con Christo fu Crocifisso, e la di lui Vita non fu, che una Passione continua, martorizato per poco meno di un Secolo da un'Astinenza non intermessa, da una Penitenza continuata.

Ma se gli fu, mentre visse, veduta sfolgorar sopra il Capo Tiara fulgida, oh quante, oh quali hor, ch'egli più che mai vive, son le Corone, che nell'Empireo lo cingono! Ah, che quel Dio, il quale mandogli quaggiù per l'Arcangelo suo Michele la Divisa di sé medesimo, nello Scudo della Carità fiammeggiante, con cui visse da quello sempre indiviso con cui vinse sempre a quello Confederato, hor gli s'imprime tutto nello Spirito Glorioso, come già fe' nel di lui Cuore acceso.

Quel Nume, che gli havea data la perspicacità profetica di prevedere nelle caligini opache de' suoi profondi giudicij, l'individuale successo di molte cose, dalla differenza lontana dell'avvenire velate, hora palesemente, aprendogli altissimi li Tesori della sua Essenza Infinita, gli mostra i Segreti ineffabili della sua Bontà Beatifica.

[101] La funebre Bara, che servì per portar'alla Tomba la Salma monda di questo Santissimo Heroe, cangiossi in Carro di maestoso Trionfo, mentre tirossi dietro innumerabil'Infermi dalla Tirannia di varij Morbi per lo di lui merito liberati; Ma l'Anima Vittoriosa, indiademandola gli Allori Eterni, fregiandola quelle Palme, che non si seccano, ma sempre

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verdeggiano nel Meriggio della Visione Beante, col corteggio fiorito delle Angeliche Schiere, venne introdotta in quel Campidoglio di Pace, in cui non è coronato chi legitimamente non ha combattuto.

Perseverò quel puro Cadavere, per molti giorni insepolto, parendo, che non osasse coprir la Terra la Spoglia Sagra da cui contatto scaturiva a disgorgo, come da Fonte Vitale, ad ogni necessitoso il rimedio implorato.

Il Sepolcro destinato a quell'Ossa così dalla Carne, e per l'antipatica aversione, e per l'austerissimo esercitio disgiunte, fu candido, ma non tanto, quanto quel Giglio, che accolse in seno. Ben parve di Pietra viva, mentre fu spinto da Virtù occulta, più che strascinato alla Chiesa di Tours con cinque Cavalli soli, che agevolmente il tirarono, benché per altro diciotto paia di Buoi aggiogati appena l'havessero fatto movere.

Ivi dimorò, quel gran Deposito di Penitenza, [102] incorrotto, & inviolato, finché l'Hereticale Perfidia spietatamente il rapì per darlo alle fiamme, accese dal suo furore baccante, con quelle faci, che suol vibrare una Megera tanto Infernale. Ma non può rimaner combusto quel Santo Corpo, che col Fuoco del Paradiso; onde bisognò che quelle mani sacrileghe svellessero i Crocifissi dagli Altari, che havevano profanati, per preparare adeguato il Rogo alla Vittima. Tal esser dovea la Pira per questa gran Fenice dello Spirito Santo, ch'esalando non men'estinta, che viva fragrantissimi odori, hebbe una Tomba di fuoco divino in Francia, se nella Calavria gli havean formata la Culla fiamme celesti.

Mentre ardeva l'Anima in Cielo dentro un incendio refrigerante, godeva, che ardesse, con eguali sorte, il suo Compagno, sopra la Terra, che come indegna di haver'appresso quel gran Tesoro lo tramandava alla Sfera dell'Etere, come al suo Centro.

Restarono solo quaggiù l'Ossa ricuperate da' Cattolici ch'estinsero colle lagrime quelle fiamme sacrileghe, e raccolsero quelle Ceneri sagre per mantenerle tiepide co' sospiri, parendo che, o vivo, o morto, l'Innamorato FRANCESCO gelar non potesse mai.

Delle innumerabili Gratie, che questo fulgidissimo Sole diffuse dall'Auge della [103] sua Gloria, e va proseguitamente spargendo a chiunque Divoto l'implora, l'Evidenza chiara, più, che la mia Penna oscura formi 'l racconto. Ho voluto sol con un Tirso misurar la Grandezza in una Pianta di questo Sublime Colosso di Santità, e come da un'unghia sola far capire qual sia questo bravo Lione di Merito, che così terribile, col solo suo Nome invocato, si rende a' Demonij, e così generoso col suo solo aspetto discaccia le Traversìe.

Serva, per hora, a chi legge, appunto come un Indice frettoloso, questo Ragguaglio diminuito. Forse arridendo il Cielo a' miei sincerissimi Voti, e ridendo la Sorte a' miei travagliatissimi Studi, seguir potria, che se per hora ti sono andato su questo Suggetto, così fecondo, stuzzicando la fame, con istil più facondo havessi, tal giorno fortuna di appagarti la sete.

Quanto sia efficace l'Aiuto di questo gran

Santo contro ogni sorte di Mali, si

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prova di trascorso con alcuni de' moltissimi suoi Miracoli

dopo Morte.

PROLUSIONE VI.

ntrapresa sarebbe non men disagevole, che temeraria, il voler rappresentare, [104] benché di scorcio, tutti gli Egri, & Afflitti, tutt'i Cagionevoli, e necessitosi, che furono da questo Provido Limosiniero della Beneficenza Divina, quando Egli visse

Mortale, prontamente assistiti. Votò gli Spedali, Celeste Medico, & empì le Chiese: Spogliò le

Tombe, e vestì gli Altari: Chiuse le Piaghe, & aprì le Bocche: Scacciò le Febbri mortifere, & introdusse gli Amori Celesti; e su la Scena del Mondo comparve sempre grand'Operatore di Maraviglie: Le fece a fasci, le produsse a cataste, onde non ponno portarsi tutte, per esser tanto voluminose, che co' grandi Volumi; nè rappresentarsi, se non i Monti, ma non con disegno chimerizato, come pretese fare Stasicrate di Allesandro.

Crebbero ancora più dopo, che FRANCESCO deposta la Salma caduca se n'andò col suo Spirito Amante a calcar le Stelle, & a rendere al Mondo anche più propitia l'Eterna Pietà col suo Merito singolare, il quale cominciò a spiccare interissimo quando nel fin degli Anni apparve consumato.

Di lassù non si scordì di comandar'ancora vitalmente alla Morte, come succedette in Napoli, in Amiens, in Milazzo, & altrove, rivocando a respirare quest'aere l'Anime già separate, all'invocatione del suo gran Nome, o col contatto delle sue Reliquie Sagrate.

[105] A questi si aggiungano i Moribondi, di numero innumerabile, che stando già per cader nel Sepolcro corsero ravvigoriti al Tempio per prestar'Omaggio della Gratia ricevuta, & in evidente rimostranza della salute ricuperata.

Tal fu la Moglie di un Regio Consigliere in Amiens, che, con istupor della stessa Natura prostrata, trovandosi arsa dalla Febbre le vene, chiusa dall'Opilatione le Viscere, soffocata il Cuore dalla flussione, ulcerata il Fegato dall'Acredine, quando già stava per ugnerla il Sacerdote con quel Sant'Olio, Simbolo della Misericordia, che Dio benignissimo, in quell'estremo procinto, al Peccatore riparte, al solo contatto di un Berettino del Santo, dalla cospiratione di tanti morbiferi affetti, ad un tratto maravigliosamente fu liberata.

Lo stesso succedette, pur'in Amiens, col medesimo Antidoto, ad una Fanciulla, che per la deforme Enfiagione del Corpo infetto, respirando sol co' sospiri s'incamminava alla Tomba.

Ivi un altro Bambino ricuperò parimente la Sanità perduta per l'oppressione di un contagioso livore; Sicome rihebbela, poco appresso, agli afflati di un Astro così salubre la Moglie, spirante sol per momenti, di un Senatore. Venendo indi ridonata a moltissimi, sotto quel Cielo, la memoria

I

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de' quali fastosamente [106] felice si va giornalmente rinovellando, alle nuove Gratie, che da FRANCESCO, suo Protettore, riceve quella Città sua Divota.

Troppo fiacca è la Penna per far'il giro di tutto il Cielo Cattolico, ad annoverare ne' termini angusti di queste linee que' tutti, che riportarono, col ricorso a questo Prodigo Dispensator degli Empirei Doni, la Salvezza, e la Vita.

Deh venga Mallevadore di tanto impegno, fin dalla Stìria Annibale Chippi, Capitan Valoroso del gran Guerrier Vincenzo Gonzaga, e port'in mano il suo Ritratto, foggiato sopra lastra di argento, per trasmetterlo a Tours a protestar sempre fresco il candore della sua obbligata Divotione; Et ad accompagnare le numerose votive Imagini di Regi, e Principi, di Reine, e Dame qualificate, che coronano la Cappella del Santo, per renderlo grande anche in Effigie nella presenza de' Grandi. Siasi l'Epigrafe sotto la Statua del Chippi di tal tenore: Io sono Annibale; Ma sol per FRANCESCO Vittorioso. Tante volte Egli liberommi dalle Saette del fiero Trace, quant'Io scoccai verso lui le giaculatorie Preghiere. S'Io fui per lui tutto petto, Ei fu per me tutto Scudo. Trovandomi attorniato da' Cani, questo sol'Agnello salvommi. Egli saldò le mie piaghe, ma più il mio cuore; e rendendolo intrepido ne' conflitti, lo rese ancora sicuro nel timor dell'Altissimo. [107] Col Sole della sua Carità ravvivò il vigore della mia debolezza, e fe' al mio cospetto impallidir quella Luna, che sempre crescente, sempre è più scema. Già stava per mietermi non ancora maturo di pensiero, e di etade, colla sua Falce arruotata, la Morte in herba, e FRANCESCO, il mio gran Protettore, gli si oppose, perch'Io potessi dar frutti di Penitenza.

Accorra dal Principio (un de' Colli Latini rinomato per lo maestoso Convento della Trinità de' Monti) il Padre della Motta Minimo, crudamente sbudellato, nell'ultimo Sacco di Roma, in cui la Pietà Religiosa pianse con lagrime di Sangue le sue stragi cruente, e prostrandosi in Tours alla Tomba del suo gran Padre alla quale si è fatto condurre più dalla Fede aleggiante, che dall'ufficiosa assistenza di chi accompagnollo, mentre si sente ristabiliti i suoi rovinosi intestini, sclami in questo modo: Eccomi tutto sviscerato più, che prima non fui, a professarvi l'obbligo, che mi risulta da queste viscere, che sanaste, o mio gran Patriarca, a cui debbo nell'avvenir più, che prima tutto il filo della mia Vita, poiché voi così benignamente raccozzato l'havete.

Si produca da Nivers Madama di Sciatiglione, Claustrale Benidittina, che senza favella, per cinque giorni, già s'accigneva a cambio del letto col cataletto: Ravvivata al semplice tocco di un Berettino [108] del Santo, mentre se ne vola contenta dalle piume agli Altari, esprima al suo Provido Ristoratore la sua Gratitudine in questi termini. Io porterò sempre il mio adorato FRANCESCO sopra la testa, poiché colla sua Beretta sanommi. La parola mi restituì, ed Io tutta impiegherolla in magnificarlo così divota, com'Ei mi fe', col darmi la Vita, obbligata.

Presentisi dalla Saggia non meno, che antica Pisa il Medico Vigna, che non trovò miglior Semplice di FRANCESCO per la guarigione felice della sua mortal Malatia: & al suo Liberatore rivolto, del seguente tenore

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spieghi 'l suo Debito. Non più seguirò gli Afforismi d'Hipocrate, ma i Vostri, o mio Divino Esculapio, che trovandovi hora nel vero Giardino de' Semplici, di tanti rimedi abbondate a' vostri adoratori fedeli. Procurerò nell'avvenire d'imitar la vostra Pietà nel medicare gl'Infermi; ma già che fui sotto la vostra cura, vi priego a tenermi sempre sotto la vostra custodia.

Si esibiscano, ad autenticar il mio Assunto, dalla Città di Milazzo Donna Elisabetta di Alarcon, col Dottor Arcangelo Costanza, seguito dalla sua Moglie, e tutti e tre si confessino trasferiti da Morte a Vita, per haver'ammorzati li loro Sintomici ardori, che già stavano accinti a ridurgl'in cenere, nell'acqua del Pozzo fatto cavare, e poi benedetto dal Santo, a [109] cui favellino grati di questa tempra. O Pozzo prodigiosissimo di Miracoli, FRANCESCO riveritissimo, onde sempre disgorgano acque vive di Gratie, perché Dio solo è la vostra vena, deh cangiate l'onda salubre con cui estingueste le nostre Febbri in tanto fuoco divino, in cui ardano i nostri cuori; e non permettete, se ci allungaste il respiro in Terra, che restiam privi di quello, che così dolce si esala in Cielo.

Non sieno scarse le lodi, come il nome di Modica, dovute da questa all'Intercessione del Santo, per la Salute improvisamente ristabilita a D. Giovanni Liuzzo, Sacerdote di credito di quel Paese, da cui agonizante colla sola Imagine di FRANCESCO, postagli sovra, fu scancellata quella, abbozzatali già dalla Morte sul viso. Ma sentiamolo com'Egli ne professa dal più intimo della riconoscenza l'aggradimento, colla seguent'espressione. Passa l'Huomo in figura, & Io mi fermo sotto la figura di un Angelo. Dall'ombra di quest'Imagine Sagra, a me fu resa la luce vera. Giacqui semimorto nel letto: mi sollevò redivivo la Copia di un Originale di Santità, & a' riflessi così salutari di FRANCESCO mio chiaro Sole, tornai a veder'il giorno, di cui mi fu l'aurora foriera la di lui effige adorata. Hor vivo per miracolo, non per merito, e poiché sopra questa Tela vitale ho veduto raccozzarmisi lo Stame già già reciso, procurerò in l'avvenire, che la medesima [110] mi sia vela per condurmi al Porto desiderato.

Tali furono anche gli aiuti co' quali assistè FRANCESCO a' suoi Partiali; non tanto vago di procurar ad Essi la temporale Salute, quanto l'Eterna.

Era Egli, di poco salito ad accrescer fomento alle Fiamme Empiree col suo Spirito, tutto impinguato di Carità, quando scese nella Città di Loxa in Andaluzia, per favorire colla sua Visita secondo la promessa, che gli ne havea fatta per lettere, il Gran Capitano D. Gonzalo di Cordova. Scrivo di quell'Invittisimo, che visse intrecciato di Allori il crine, e morì (oh Peripezie dell'Incostanza Mondana!) di Cipressi coperto il Cuore. Ma FRANCESCO, verace Amico gli si presentò al capezzale, cambiandogl'in tante Palme, corroborando quel Petto heroico coll'abbondanza pretiosa de' cordiali raccordi, accioché, il Prode Campione, dopo tante Vittorie non si curasse d'altro Trionfo, che del Celeste. Tanto Egli fe', & allo sparir di FRANCESCO restando cogli occhi pieni di luce in questi luminosi sentimenti proruppe. O mio Santo, o mio caro, o mio Prodigioso Avvocato. Hor Io muoio contento, non più di dolor, ma di gioia, che mi rende pretiosa

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la Morte, poiché voi colla vostra comparsa a liberarmi da questo Mondo Nemico, mi acceleraste la dipartenza, mentr'Io dispongami a seguitarvi sulla traccia de' [111] vostri raggi. Più non pavento l'ombre Infernali, dissipate dal vostro fulgido aspetto: più non curo le Larve Mondane, da voi disperse nella mia mente da' vostri chiari consigli. Andiamo Gonzalo, andiamo, che se FRANCESCO ci è guida, non potiamo certo terminar, che nel Paradiso.

Alla stessa maniera accorse il Santo in Amiens ad un celebre Avvocato del Parlamento di Parigi, il quale non havendo potuto vincere contro alla Morte la lite commune, havea già perduta la parola, di cui tanto prevaglionsi arditi, quelli di così degno Esercitio, nel Foro strepitosamente facondi. Con una Reliquia di FRANCESCO ricuperolla, per detestar le sue Colpe, & aggiustar la sua Causa con Dio prima di comparir'alla gran Camera di quell'inappellabile Tribunale, in cui tremant'i Demosteni si confondono, & i Baldi intrigati balbettano.

Nella sovrascritta Città di Amiens si replicò in appresso con moltissimi altri sì fausto evento; Et ivi si tien per Principio infallibile, non poter'finir male chiunque viva sotto la Protettione di questo Minimo Augusto, né morir senza Sagramenti, chi alla Tutela di FRANCESCO si raccomanda.

Da Esso, anche di lassù, dove splende, furono accesi, come da vivacissimo Sole, gli estinti lumi alle faccie oscure: Il che fu ammirato in Alama, in Lecce, in [112] Amiens, in Boemia, in Barcellona, & altrove, havendo molti ricuperata la Vista smarrita, & alcuni aperti gli occhi alla luce, non mai veduta, col solo collirio dell'Invocatione a questo fulgidissimo Luminare.

Qui come in proprio luogo, non debbo omettere que' raggi salubri, che traspirano da' venerabili Occhiali del Santo, li quali si conservano nel Convento Principale di Genova. Da questi applicati alle pupille fuliginose, furono dissipate le travveggole, e l'ombre: Occhiali più prezzabili assai di quelli del Galileo, poiché non discoprono, dalla lontana, ma levano, da vicino, le macchie ne' lumi.

Servami di gran Testimonio, fra tanti, maggior d'ogni Merito, & Eccettione, il Nobilissimo Gio. Luca Spinola de' Signori Duchi di S. Pietro in Galatino, Fratello del fu Eminentissimo Cardinal di S. Cecilia, Arcivescovo di Genova, a cui sommi meriti ha tanto tempo, che si arrossisse, per non coprirli ancora, benché vicina, la Porpora. Hor quel gran Cavaliere a cui la Religione de' Minimi, come a suo principalissimo Benefattore erge gratissima una Statua viva di cuori, tra i Favori frequenti, che professa di haver ricevuti da FRANCESCO suo singolarissimo Protettore, a cui deve una lunga Vita, e del cui colore andò per alcuni anni coperto, ravvigorì [113] gli occhi suoi già divenuti come di vetro, al contatto divoto di que' Cristalli maravigliosi, che sono degli Astri più salutari.

S'Io volessi cercarle, troverei non solo in Praga, ma in altre Regioni diverse, le lingue mutole fin dalla Culla, che snodate furono da

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FRANCESCO, il quale diè la favella a' Pargoli scilinguati, accioché lodassero facondi il Signore in questo suo gran Santo ammirabile.

Parlino in Elogio di lui ben a tuono que' Pazzi farnetici, a' capi de' quali, più veramente, che non fe' Astolfo, restituì dalle Sfere il Cervello. Contasi fra questi un tal Cola Chiulla della Terra di Palazzo Adriano, che andava baccante per la Calavria, agitato da interna face, e più furioso (perché senza Poetiche Inventioni) di Orlando; ma giunto a Paula partinne colla mente rasserenata da un Zeffiro soavemente Divino, spiratogli in fronte dall'Imagine di FRANCESCO miracolosa.

Corre rapido in Lecce, nel Dì Festivo del Santo, alla Cappella di questo un Tale da' maligni Spiriti funestamente invasato, per sepellir'in un altro Pozzo, ma di Gratie sovrane, quegli stessi sotterranei Misantropi, che dentro a Pozzo profondo, da cui cavollo FRANCESCO con aiuto opportuno, l'haveano frementi precipitato. Attesti costui (con altri copiosissimi, [114] che andarono ricevendo soccorsi consimili, nell'essere liberati dagl'infesti Demonij) quanto il Santo vecchio col suo bastone, come con Clava Herculea, sia terribile a' Mostri infernali.

Ma non men tale si fe' provar da' Nemici del suo Istituto, & a' Persecutori della sua Religione. Tralascio il Vicario Generale dell'Arcivescovo di Palermo, che nel 1611 fu scopo de' giusti risentimenti di FRANCESCO, che volLe con punirlo corregerlo, e col periglio salvarlo. Solo pongo in prospetto l'Arciprete di Favromina D. Melchiorre Coniglio, che nel 1615 molestando antipaticamente il Monastero del Santo, all'apparirli di questo una notte irato, ma di quello sdegno, che fa fiammeggiare, ma non iscomporr'i Beati, percosso da' colpi di quel bastone sovrano, ma più dal timore assalito del minaccioso Sembiante, restò nel vomito del proprio sangue sommerso; indi nelle sue lagrime penitenti, per indulto pietoso, prima di morire, salvato. Così fe' veder FRANCESCO con evidenza, come sian Conigli codardi tutti coloro, che ardiscono di pigliarsela contra le Aquile del Paradiso.

Deh come, per la ragione de' Contraposti, si fe' provar FRANCESCO favorevol', e mite a' suoi partiali, & ossequiosi! Implorisi pur da questi in ogni congiuntura più angusta, ad ogni cimento [115] più stretto, che si presenterà pronto, e benevolo a validamente giovare.

Tale sperimentollo, fra molti quasi, che innumerabili, non meno di Carlo Ottavo Re della Francia sul Taro, Vincenzo Gonzaga Duca di Mantova nel Settentrione: Da' perigliosi Conflitti campando illesi amendue consagrarono al loro fausto Conservatore gli Allori votivi.

Nelle Rivolutioni sì strane, come nefaste del Regno Napolitano libera FRANCESCO in Lecce nel 1648 dall'invasione ondeggiante di un Popolo ammutinato, la Notte della sua Festa, con aprirgl'insensibilmente le Porte della sua Chiesa, il Segretario della Regia Udienza, che vi si ricovrò, con salvaguardia tanto sicura, al coperto da un diluvio di sassi, e da una tempesta di spade.

Eccederei di molto le mete, che mi ho prefisse, quando volessi raccontare con esattezza tante volte il mare incalmato, & i Navili, non solo

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condotti a Porto dall'Aura favorevole di FRANCESCO, ma miracolosamente ancora schermiti dagli artigli grifagni di quelle fetide Arpie, che per far crescere la loro sacrilega Luna, scema di Fede, vivono corseggiando di proseguite rapine.

Oh, quante volte, oh quante, ruppe FRANCESCO le Catene, & i Ceppi, nelle Masmorre, e ne' Bagni di Algieri, di Tunigi, e del Levante, facendo spiccar' [116] anche nell'Africa la sua Santità portentosa!

Trasmetto il mio Lettore a riconoscere quelle prove, che qua non addùco, nella Vita di lui, dentro la quale ad ogni mossa di sguardo s'incontrano montagne di Maraviglie; Ch'Io non ho tanta lena da portar'in mostra tutt'i Ferri spezzati, de' quali le di lui Sagre Imagini si coronano, tirati da' piedi, e da' colli de' miserabili Schiavi, col Magnetismo solo del di lui Patrocinio possente.

Lascio da parte gl'irracontabili per lo gran numero della Peste sanati, non havendo potuto i Carboni resistere, senza distruggersi, al fuoco di questo Celeste Ignito; né restare, senza svanire, i Bubòni, al balenare di questo Fosforo acceso.

Trasando gl'Incendij, tante volte ammorzati, le Pioggie tante volte grondanti al Merito di Francesco sublime.

Trascuro le gravi cadute dall'assistenza di questo Angelico Spirito rese leggiere.

Trascorro de' Calunniatori, lividamente infami, le sviluppate Imposture, gli ordegni, e le trappole, gl'intrighi, & i lacci contro agl'Innocenti, recisi, e disciolti da questo Alessandro Magno di Santità.

Trapasso i Trattati di conseguenza conchiusi, le Mine sventate, gl'Infortunij svaniti, i Matrimonij aggiustati, le Paci ristabilite al soccorso di questo Santo Prodigioso.

[117] Ommetto le lagrime asciugate, i gemiti dispersi, i sospiri incalmati, i Turbini dileguati, i Cordogli spenti, i Perigli distrutti, gli Affanni proscritti, e le tenebre interiori fugate da questo Sole Divino.

Mi ristringo, in fine, a fartelo vedere, benché di scorcio, Patrocinante Giusto le Liti, risolvere con buon'esito i Processi voluminosi, e stentati, quelli, che sono gli Orchi voraci, onde le intere Famiglie sono inghiottite. Si mostrò FRANCESCO non solo in Siviglia, in Milasso, & altrove Procuratore sollecito de' suoi fedeli Divoti, ma singolarmente nella Corte del Re Cattolico con un successo altrettanto ammirabile quanto vero.

Trovossi in Madrid, al tempo, che regnava Filippo Terzo, più grande per la Pietà interminabile; che non fu per gli Stati immensi, un Finanziere, o vogliam dir'Assentista, che citato a dar conto del suo maneggio nel Tribunale di quella Camera Regia, vide mancarsi nella rassegna delle proprie Scritture la Signatura Reale sotto una Cedola di cinquanta mila Ducati, che haveva speso in servigio, e per comando Sovrano. Oh Dio come impallidìal riverberare di quella Carta funesta, che senza le note supposte il fe' cadere di tuono, trovandosi senza colpa dannato, e senza fallo fallito! Già stava per perdere in quelle righe intrigate, come in un Laberinto [118] mortale, dopo la parola la Sede, dopo la Facultà, la riputatione; e quando

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meno per sentirselo tramutare in una Carcere oscura fino alle tenebre della Tomba. Ma non mancogl'in FRANCESCO un Dedalo, che invocato gli porse il Filo per farnelo uscire felicemente. Spinto dalla Confidenza vivace, più, che dagli stimoli del suo dolore mortifero, corse l'Afflitto alla Chiesa della Vittoria, per non restar'isconfitto dal suo Disgusto, e boccone gittandosi dinanzi la Statua dell'usato, ma sempre più nuovo suo Protettore, stemprò co' caldi singhiozzi il cuore, stillò gli affetti in lagrimose preghiere; e da fatidico impulso incitato, pose segretamente in una manica del Santo le sue Scritture; indi partissi, ma solo col piede, lasciando l'anima col pensiero nelle mani del Supplicato. Ritorna il giorno appresso, e si ripiglia l'Invoglio, non so, se col braccio più riverente, o tremante: Rassegna que' fogli coll'occhio tra palpitoso, e sereno: gli scorre colla mano tra timida, e lenta: Incontra, e vede la Cedola (oh prodigio!) colla sottoscrittione del Re signata. A quella Firma miracolosa gli si confermò il cuore, da quell'Inchiostro acquistò la sua candidezza col credito già scancellato, e da que' Caratteri, come se fossero Magici, ma Celesti, gli furono restituiti gli Spiriti già perduti. Pianse di giubilo, se prima di malincuore: [119] sospirò di gioia, se pria di scontento, e non cessando di esaltar colle lodi, di adorare co' voti, di ringratiare co' prieghi il suo Provido Mallevadore, empiè tutta quella Corte di applausi ad un Fatto sì celebre, che multiplicando colla Divotione il ricorso a FRANCESCO, propagonne ancora l'Assistenza patrocinante.

Aggiungo a questo notabilissimo Caso il Quadro, esposto nel Tempio de' Minimi di Torino, nel quale si esprime dentro una Torre del Castello di quella Città, fra Cancelli Ferrati, un Prigioniero di conditione, che colle mani giunte, & al Cielo tese, ringratiando il Santo invocato, esprime le formali parole Scritte sul fondo della Pittura a spiegar la libertà rihavuta: Per Intercessionem Sancti Francisci de Paula liberavit me Deus a falsis Testibus, & a Persequentibus me.

Conchiudo la Prolusione colla Fama narrante, che Monsieur il Principe di Condè, Padre del Prode vivente, essendo lungamente arrestato nel Bosco di Vincennes, d'ordine regio, con innaspettato spiraglio vide la vigilia del Santo prorompersi la Gratia così sospirata. Assistendo a' Primi Vespri nella Chiesa de' Minimi in quel ricinto, ne ricevette l'annuncio fausto, ond'hebbe motivo d'insisuar la sua voce festiva al Choro alternante de' Religiosi, cantando allusivamente al suo gran Minimo ossequiato: Feciti mihi magna [120] qui potens est, & Sanctum Nomen eius.

Per singularissimo Privilegio ottiene il

Santo da Dio la Fecondatione agli Sterili.

PROLUSIONE VII.

ono del Cielo FRANCESCO, e conceputo più per lo

vigor della Gratia, che per quello della Natura, fu fissamente destinato da Dio, a guisa di Stella pronuba, a fertilizzare gli D

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Sterili Steli de' sol fioriti Himenei. Vivendo Mortale comprovò, fra tante altre dimostrationi, questa

infallibile Verità, perché Francesco Primo, il gran Re de' Galli, fu fior, e frutto dell'Intercessione di FRANCESCO DI PAULA, il gran Santo de' Miracoli, che vaticinollo alla Madre di quel Monarca Aloisia di Savoia, la quale in riconoscenza fedele impose al suo Concetto felice il Nome del suo Tutelare implorato.

Tal si palesò il gran FRANCESCO a Madama la Duchessa di Borbone, Figlia di Luigi Undicesimo, coll'impetrarle la Prole.

Tale a Francesco Primo, & a Claudia, Regi de' Galli, coll'inaugurare ad Essi un Delfino, che al suo comparire, come venuto dal Cielo, recò la calma, all'opposto [121] di quelli, che spuntando dal Mare recano le Tempeste.

Tale a' Principi di Salerno, & ad altri foltissimi, che a lui ricorsero, ottenendo la felicità disiata d'essere Padri lieti, multiplicò la Divotione crescente degli Spirituali suoi Figli, & ampliò colla profusione de' suoi favori l'abbondanza de' suoi Divoti.

In questo (sì come in tutte le altre sue Geste) convien professarlo mirabile, s'ha da proclamar l'unico, non che il raro. Quindi a lui tocca direttamente il Titolo di SANTO FECONDO, con cui dalla Pietà Cattolica individualmente si cole. Il pregio della sua ferace Verginità guadagnolli l'Attributo di fertilezza. Egli sempre dimorò fra le Spine incolto; e pure fruttificò fra le preghiere ossecrato. Amico de' fiori pudichi, tramutogli in frutti soavi, e fe' pullulare gli estinti semi al fervore de' suoi raggi non mai estini.

Asceso a gioir'immortale non tralasciò di fecondar'il Mortale gemente. Col suo benefico influsso, poiché trovossi nel Trino Aspetto di un Dio svelato, colmò la Terra di Benedittioni salubri. Fe' rigermogliare gli Scettri, che parevano inariditi, correr le piene, che sembravano inarsicciate. Ravvivò le Famiglie, che apparivano estinte: raccozzò le Linee, che si deploravano tronche: suscitò le Stirpi, che languivano spente: ristorò le [122] Case, che dirupavano rovinose. Ravvivò i Talami, che divenivano Tumuli: Fortificò i Troni, che crollavano deboli: Sostenne le Corone, che cadevano titubanti.

Così diranno, arricchiti da FRANCESCO, Generosa Stella, arridente alla Genitura de' Principi, li Duchi di Mompensiero, Sovrani di Dombes, che per lo mezo di Esso, ben supplicato, ottennero la gran Dama, Madre della Spiritosissima Principessa vivente, Primogenita del Famoso Gaston di Borbone, Duca di Orleans Defunto, unico Fratello del Re Ludovico il Giusto, non ancora sepolto nella memoria, ma risorgente tutt'hora per la sua Pietà rediviva, e per essere stato così partiale al nostro Heroico Santo.

Così li Conti di Vaudemonte impetrarono Henrico Marchese di Atona; e poi Carlo, e Francesco Principi di Lorena.

Così li Duchi di Nivers dopo la deplorata sterilità, furono Padri di Nobilissima Figliolanza, che ristabilì la Gloriosa Sede del Mantovano Dominio, colla fulgidissima Posterità; e die' alla Polonnia, al Palatinato, &

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all'Austria Reine, Principisse, & Imperadrici, capaci per lo senno, come meritevoli per la Nascita di reggere tutto il Mondo.

Così li Duchi di Lorena, Henrico Secondo, e Margherita Gonzaga, hebbero la Duchessa Nicòla, Dama d'immortale [123] memoria, Specchio di Purità, di Costanza, di Religione, e di Fede.

Così Achille Herbolano, Consigliero, e Patrimoniale Regio nella Brettagna, e la Divotissima Moglie di lui, consigiandosi colle preghiere con l'invocato loro FRANCESCO, stabilirono, nel successore bramato, il lor Patrimonio abbondante.

Così li Duchi di Medina Sidonia D. Alonzo Perez di Gusmano il Buono, e D. Anna di Silva Migliore, si professarono grati.

Così li Duchi di Vejar D. Francesco Lopez di Zuñiga, e D. Giovanna Marta Capistrana di Mendoza, propagarono la loro Chiara Prosapia allo splendore inesausto di questo Lume Immortale.

Così quel Celebratissimo Principe Francesco Maria della Rovere, Secondo di Nome, e Primo di Merito, incomparabile Duca di Urbino, e fra tutti li Potentati del suo Tempo il più Urbano, dalla Duchessa Livia, Pronepote del gran Giulio Secondo, che fe' tremar la Terra col suo gran Cuore, e fermar'il Cielo al suo risoluto comando, hebbe il Figlio Federico Ubaldo, desiato rampollo della sua Quercia Sagra, che ancora, mal grado l'invida Parca, spiega in Firenze le sue Vittorie, quanto più pacifiche tanto più Grandi, e tanto più belle quanto più virtuose; & in Genova bipartiti i suoi Rami [124] Eccelsi, che abbondano di frutti d'oro, e di valor riveriti, nelle due preclarissime Famiglie de' Signori Marchesi Gio. Battista, e Clemente della Rovere, d'una delle quali è un inclito germe il Marchese Giulio vivo compendio, per esser così gran Cavaliere, di tutti gli aviti suoi Fasti.

Così Ferdinando Terzo, e D. Maria Anna, Imperatori Augustissimi, spirando ad Essi, qual Austro fertile, l'aura di quest'Astro Propitio, videro concetto de' loro Voti, più, che delle Viscere loro. L'Austriaco Ferdinando Quarto Re de' Romani; che per un Anno intero, vestito dell'Habitino di Minimo, fe' balenar le Speranze primitiali di crescer Massimo; come appunto seguì non bastandogli le Altezze più sublimi del Mondo; Peroché cedette il Trono Imperiale all'Invittissimo Leopoldo Regnante, inclito Germe pur pullulato al calor di FRANCESCO, della Pijssima Casa d'Austria Partialissimo Protettore.

Così rampollarono li due Germani Arciduchi del Tiròlo, Figli del Prudentissimo Leopoldo Arciduca Austriaco.

Così l'Altezza Elettorale di Massimiliano Duca di Baviera, dopo l'estinta Loteringia sua Moglie, che lo lasciò doppiamente Vedovo, perché senza Prole, unitosi con sagro nodo a Marianna Arciduchessa dell'Austria, benché raffreddato dal Verno prossimo dell'Età canuta, [125] accalorato da' fomenti divoti dell'invocatione di FRANCESCO, suo Benefico Tutelare, vide fruttarsi le fervorose richieste nell'Augusto Elettore, che hoggidì con tanta Gloria risplende, accoppiato alla gran Principessa Adelaide, Fiore il

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più bello, il più virtuoso, il più fragrante, che mai producessero le Alpi sublimi del Piemonte Reale.

Così dal Saggio Principe Francesco di Lorena fu conseguito il Principe Carlo, Speranza di quel Valoroso Ducato.

Così la gran Reina, Anna d'Austria, Madre del Potentissimo Re de' Galli Luigi Decimoquarto, essendo rimasta tra li suoi Gigli, per lo spatio di Ventidue Anni infruttifera d'utero, ma non di capo, né di cuore, dopo una Primavera lungamente noiosa, diede alla Francia un Autunno, tanto più lieto, quanto più sospirato.

Così Filippo Quarto il Grande, Glorioso Re delle Spagne, lasciò infiorato il suo Trono da un rampollo tenero, che va crescendo alle Celesti rugiade per istabilimento felice di quella vasta Corona.

Così D. Giovanni di Gesù Ibarguen, e D. Catarina di Molina in Baeza, nella Vigilia del nostro Santo celebrarono la Festa di un vezzoso Bambino.

Così D. Alonzo di Armenta, e Zuniga, con D. Menzìa Teglio, Cugina, e Sposa, contra l'opinione Galenica, furono Genitori contenti.

[126] Così D. Francesco Cid di Molina, e D. Maria di Ervas, testificarono col Nome del Santo, imposto alla loro nata Delitia, che dalla officiosa Carità del medesimo la riconoscevano con gratitudine al Beneficio corrispondente.

Così D. Rodrigo di Villa Franca, e D. Maria di Paro in Lisboa si rallegrarono da FRANCESCO felicitati.

Così da Principi di Scilla della Sterilità si evitò la Cariddi. Così da' Principi di Buccheri fu raccozzato lo Stame della loro

Discendenza già quasi tronco. Così li Conti di Scialano, Marchesi di Lenoncurt provarono l'effetto

della loro candida fede, e della divotione ferividissima, che professano al Santo, di uno de' cui Conventi se sono hereditarij fondatori, quegli della loro Casa altrettanto nobile quanto pia è stabilissimo fondamento.

Così nella Città di Fermo confermarono i Vanti di questa fecondatrice Influenza il Cavalier Francesco de' Pedibus, che empennò l'ale, non meno al cuore, che al piede a ringratiarne il Santo; E Doralice Valeriana sua Virtuosa Consorte, la quale d'altra Valeriana, ad abolir la sua sterilezza, non si prevalse, che dell'Oratione ardentissima a questo provido Intercessore.

Così la Marchesa di Vitrì: la Principessa di Condè Carlotta Margherita [127] di Memoransì: la Duchessa di Nemurs, e di Aumala Anna di Lorena: l'altra Duchessa di Nemurs, e di Aumala Elisabetta di Vandomo: La Marchesa di San Giorgio Giovanna d'Aloy, & altre moltissime, nella Francia, furono dal Cielo esaudite.

Così la Contessa di Nassau ne' Paesi Bassi con altre Dame, e Principesse, non solo nella Fiandra, ma nell'Alemagna, e nella Polonia, nelle Spagne, nell'Italia, e nel giro di tutta l'Europa; oltre infiniti di minor conditione colsero la Messe de' loro affetti votivi, e de' loro Semi fertilizati.

Così D. Olimpia Principessa di Rossano ottenne dall'ossecrato FRANCESCO il Principe Borghese, splendore de' Fasti avìti, e Gloria de' Fatti Romani.

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Così Gio. Filippo, e Veronica Spinoli Principi di Molfetta, hebbero dal Cielo in Dono Francesco Maria Duca di San Pietro in Galatina, frutto d'alte Speranze, & herede di Ricchezze immense, pari alla Nobilissima sublimità del suo Stelo, fiorito, e fecondo di tanti Heroi.

Così anche vantavasi nato, come ne fe' al mio orecchio fede costante, il Principe Hercole Teodoro Trivultio, Grande per la Virtù non meno, che per lo Titolo, e per lo Merito Insigne, come per la Stirpe preclaro.

Così fu ottenuto un secondogenito dal Marchese Anton Giulio Brignole Sale, quel grand'Ingegno, che prima così caro [128] alle Muse rabbellì le Lettere sfigurate colla simmetria de' suoi vaghi componimenti, e poi rimasto Vedovo della nobilissima, e virtuosissima Sposa, tocco nel cuor da un estro divino, lasciato il Permesso per lo Calvario, e per Gesù abbandonando Apollo, divenne Tromba del Crocifisso, e col suo sale purgato, e stemprato nella facondia Vangelica, attese a condire le sciapitezze de' Peccatori, armoneggiando ogn'hor più eloquente a guisa di Cigno incandidato da una esemplarissima vita fino alla morte, che appunto come Cigno fe' sulle sponde del Pergamo al disgorgo di un Sacro Meandro, che scaturiva dalla sua bocca eloquente, e dal suo petto avvampante di zelo empireo.

Così la gran Christina di Francia, Figlia, & imagine per la Saggezza di un animo Intrepido al pari di generoso, di Henrico Quarto il Grande, Sposa Reale del Prudentissimo, e Pijssimo Duca Vittorio Amedeo, partorì per l'Intercessione di FRANCESCO un Giacinto, che fu traspiantato ancor tenero nel Giardino del Paradiso; Indi Carlo Francesco Emanuele Secondo, Diamante per l'intrepidezza del suo cuore, su cui si stabilisce l'augusta Casa della Savoia.

Così dalla Virtuosissima Maria Giovanna Battista, del medesimo degna Consorte, si cole hora nato da' Popoli ossequiosi Vittorio Amedeo Francesco, Fiore [129] de' Principi, e Principe de' Fiori, perché nato nel cuor del Maggio, onde concorsero le Rose Reine ad imporporargli la Real Cuna cogli ostri loro nativi.

Così le nobilissime Eccellenze di Carlo Emanuel Filiberto di Simiana, e di Giovanna Maria de' Grimaldi: Figlio quegli del gran Marchese di Pianezza, in cui diramato si honora l'augusto sangue di Savoia: Cassiodoro del nostro Secolo, che ha sposato così bene la Politica al Vangelo, e la Ragion di stato al timor di Dio, & il più singolare Individuo, che vantar possano mai le Virtudi; poiché nelle sue perfettioni assorbe quanto di cospicuo si ammira nell'humana Specie disperso: Sorella quella di Luigi Principe di Monaco, Duca, e Pari di Francia, che fa campeggiar con tanto splendore la generosa gloria de' Fasti aviti, ottennero nel giorno appunto del Santo, l'anno 1667 il vezzosissimo Marchesino di Montasia, consolatione opportuna de' Genitori dolenti per la perdita amara del dolcissimo Marchesino di Castelnuovo, che volossene al Cielo pargoleggiando ad esser'un Angelo tutelare di quella Heroica, & antichissima Discendenza, & a sollecitare col mezo di FRANCESCO lo ristabilimento di quella gloriosissima Casa.

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Chi maggiore Induttione richiede di tanti, che ottennero da FRANCESCO invocato felicemente la Prole, appaghi la [130] divota curiosità nelle Geste di lui descritte, e nelle memorie di Esso, che in tante Cittadi, e Luoghi sono più sopra i Cuori, che nelle Pagine impresse.

Conchiudo dunque cogli Esempi, accennati così alla sfuggita di tante Madriperle, che alle rugiade di questo grand'Astro, coll'aprir le bocche divote nelle preghiere, si trovarono fecondate, convenirsi a lui giuridicamente, e con eminenza, per privilegio specialissimo concessogli dal suo Sovrano tal Attributo: Che FRANCESCO singolarmente, colla Gratia Divina, sia quello, che habitare facit sterilem in Domo Matrem Filiorum laetantem.

Come frequentemente sia condotto a buon Porto dal Nostro Santo il Parto disiato.

PROLUSIONE VIII.

hi dà la Forma, contribuisce per conseguenza i

conseguenti alla Forma. Non doverà dunque controvertersi, se concedendo FRANCESCO a' suoi Supplicanti la Prole desiderata, Egli col suo Patrocinio la cavi sicura alla luce, e fra

le tempeste perigliose del Parto la scorga al Porto felice. Ma più anche si stende la di lui assistenza, mentre non interpellato al

Concetto, porge la forza di poterlo spiegare fra le [131] procellose angustie di Morte a respirare tranquille l'aure vitali.

Provonne il vero fra le moltissime la Baronessa di Anlesy nella Francia, che mandò poi un Espresso per esprimerne i Convenevoli alle Ceneri ancor'ardenti del Santo, & a protestar quella Tomba di Santità una Culla di Vita.

Gl'innumerabili Bambi d'argento, che pendono intorno dalle pareti de' di lui Sagri Altari, cogli Habitini votivi, e colle candide Cere, sono dimostrationi, non che apparenze dell'irrefragabile Assunto; non meno che tanti Pargoli, che vestiti da Minimi sovente per Christiana Sfera s'incontrano.

Vagliami qui, per moltissime, la memorabile Gratia, subitamente impetrata, alla sola presenza del venerato Capuccio del Santo, che opera frequentemente in Genova maraviglie; dal Signor Angelo della Porporata, e Nobilissima Famiglia de' Lomellini. Palpitava di questo Cavaliero la Moglie in estremo deliquio, per le insuperabili pressure del Partorire; ma con fortunato non men, che improviso successo al comparire di quella prodigiosa Reliquia si trovò in salvo col naufragante suo Parto; Che perciò il Marito di essa trovandosi Padre felice liberò la sua Fede, e coronò la sua Divotione, col pronto sborso di Mille Scuti d'Oro effettivi, per estinguere parte di tanto Debito, a beneficio [132] di quel Monastero, Casa di refugio agli Afflitti.

C

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Leggesi nelle Geste Famose di questo Grande, che colle Candelle Benedette da lui solite a ripartirsi, precautionasse dagl'imminenti pericoli molti, che ad Esso ricorsero; E singolarmente copiosissime Parturienti da alcuna delle quali non potendosi, che con funesta Carneficina estrarre la Genitura, furono quelle da tanto Infortunio preservate, nell'avvenire: Così da FRANCESCO, Ape soave del Paradiso, non pure s’hebber le cere, ma ancor dolci i Favi, non solo il lume ma ancor la soavità, che gustaro que' tutti, che l'invocarono.

In Madrid, Corte del Re Cattolico, il Bastone della Statua del Santo, portato a molte, che agonizzano ne' cimenti perigliosi del Partorire, come Verga di Iesse, o di Aronne, produce subito il fiore, e la maraviglia.

Così nelle altre Regioni, gran parte delle quali è stata da me trascorsa, ho notitia, non solo astrattiva, ma ancora evidente, che oltre gl'Infermi di varij Morbi, vengano anche al contatto divoto dell'Habito di FRANCESCO, o di qualche altra sua Santa Reliquia, le femmine al partorire, con sensibile alleviamento soccorse.

Formò Egli già collo Sputo in Cosenza, (come accennai di sopra) un Bambo [133] svisato; & un altro poi dall'Empirea Magione, in Milazzo coll'Olio solo della sua Lampada, riflettendo dall'alto in quell'Embrione, per chiarificarlo, i suoi lumi, e segnando sul viso informe di quell'indigesto Carname la luce del volto divino, per cancellarne le tenebre dell'originale Peccato.

Lo stesso Prodigio replicossi in Messina sopra un Pargolo privo d'occhi, e di naso, e colla bocca socchiusa, che se prima pareva Pietra impulita di Paragone, fu poscia tal in effetto, mentre vi si coppellò sopra l'Oro finissimo dell'Intercessione valsente di FRANCESCO: il quale, se quando visse quaggiù Mortale accese tal volta la Lampada dinanzi all'Altar senza lume, dopo che visse immortale allumò gli occhi estinti coll'olio solo della sua Lampada; & anche questa mantenne accesa senz'olio, come accadette in Palermo; bastando soverchiamente a tutti questi mirabili Effetti il lume ardente del di lui Merito chiaro, e l'Olio puro della di lui Carità diffusiva.

Qui pongo per termine d'interminabile Maraviglia la Madre di Blandina Gualtiera, Vecchia di Anni Settantacinque, e Vedova di trenta, le cui poppe grinze, si trovarono piene di latte a nodrire il Bambolo suo pronipote già moribondo per seguir la Madre senza alimento in laguidezza estrema caduta. Alzò la sfiancata [134] Donna più il Cuor, che gli occhi a FRANCESCO per chieder mestissima aiuto in un diserto di affanni, come un'altra Agàr nella Selva, e sfolgorandole quest'Angiolo salutare sentì scaturirsi, non che uno, due fonti in seno di vena candida. Tanto fu il cavare l'humor vitale dalle due secche Mamme, come da due Pomici aduste. Sembravano quelle due Seccagne di Morte, & ad un tratto si cangiarono in un Porto di Vita. Se il Fanciullo fissava il guardo nella Barbuta Beffana, lo discacciava subito la paura: se figgeva la bocca nella mamella feconda trattenevalo subito la dolcezza. Spettacolo degno di scherzo, ma pio: di riso ma sagro, vedere, con istupor della stessa Natura rinata, succhiar'un

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Bambino la Vita da una figura di Morte, e da uno Scheletro così magro rimaner'impinguato il Pargoletto vezzoso. Non mai comparve rosa più rugiadosa in una macchia di spine; né mai si videro unite disuguaglianze sì contraposte. Fra que' solchi senili si ravvivò questo seme già spento, e da quelle selci scabrose proruppero zampilli refrigeranti. Da quelle pomici aduste sorsero torrenti vitali, e veleggiò la Gratia su quelle poppe, che nel porto di un seno senile affondate si sollevarono a portar'alimenti così opportuni agli assediati spiriti del pargoletto spirante. Prodigio non più mai veduto, che dalle glebe [135] arsiccie spuntassero viveri così providi, e che da due pietre scabre percosse da due fievoli labbra scintillassero faville sì chiare a riaccendere le pupillette ammorzate del bambolo moriente. In questo fatto rinovò FRANCESCO dal Cielo la maraviglia, con cui fe' più volte in terra dalle selci più secche scaturir le fontane più limpide. Favola fu, che da una Lupa famelica fosse lattato Romulo infante; ma non è favola che da una Capra grinza sia stato lattato questo tenero Agnello. Capra più di quella, che allevò Giove, degna di esser fregiata di Stelle, poiché se quando il Sol fiammeggia in Leone, la nascita di quel Segno sidereo suol recar la morte per mancanza dell'esausto humore alle viti semisvenute, la vecchia nodrice del figliuol'arido di Blandina languente, sorgendo decrepita in tempo, che il Sol divino in FRANCESCO, Leone di Carità, sfolgorava, recò il vigore ad una vita semimorta, e giacente. Spruzzato il cielo dalle mamme di una Giunone lattante Amore fe' pompa candida di una via seminata di gigli, e tempestata di perle, accioché le sfere, che secondo molti son solide, havessero come la terra i loro Hesperidi; e che secondo alcuni son fluide, havessero come l'acqua i loro Eritrei; Ma non invidia la terra al Cielo le sue delitie, poiché le nacquero in grembo, ancorché nel verno d'età spinosa, i giardini pensili [136] in due mamelle cadenti; Et anche ne' secchi scogli vi comparì succosa la via di latte, a cui formarono stellette brillanti le redivive pupillette del bambolo ravvivato da un Sole. All'hora verificossi un'altra volta la Profetia, mentre que' due colli incolti stillarono latte; e l'Aridezza convertissi in Vivaio. Ciò seguì nell'Anno 1597 in Milasso a rinovellar lo stupore della Decrepita Elisa, se non in partorire, in alimentare un Infante, che come Giovanni uscito dalla foresta, fu tutto voce nella Città per gridare, quanto nel nostro prodigioso FRANCESCO, Iddio si sia fatto conoscere, per ogni verso, & in ogni tempo, mirabile.

Obligationi divotamente professate al

Santo da tutto il Christianesimo.

PROLUSIONE IX.

isognerebbe correre spatiosa la Terra, più che fermarsi su questa Relatione accorciata, affine di gustar nelle piene sorgenti delle notitie diffuse, più che ne' rivoletti mendici di queste linee fugaci, le profusissime Gratie, che isgorgarono

sopra diverse Nationi da questo Fonte miracoloso.

B

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L'Italia, che diè la Culla a FRANCESCO, non può mai nell'oblio sepellirne la rimembranza, poiché tutto dì vedendol [137] rinascere, ne' di lui Prodigij, immortalmente ravvivato l'adora.

La Spagna, che in Carne nol vide, lo riverisce Spirito valoroso a felicitarla bastevole qual'hor infelice l'implora. Più illuminata dal nostro Fosforo di Santità, che non è dall'Hespero suo luminoso, se riceve ogni anno l'Indie navigate dall'America dovitiante dalle Miniere del Paradiso, che le discoprì questo vero Colombo, trahe tutto giorno Tesori di Gratie Divine.

La Germania, la Moravia, la Boemia, la Fiandra, la Carintia, e la Stiria, non meno della Polonia, con altri freddi Paesi del Settentrione gelato, più si riscaldano a' raggi di questo Sole avvampante, di quello che la agghiacciano predominij dell'Orsa algente.

La Gallia, che die' a FRANCESCO la Tomba, come posseditrice della maggior parte di Esso in quel Deposito di Penitenza, può ben vantarsi, che non le sia funesto un Sepolcro, da cui, come dall'Arca del Testamento, le travasano tanti Beneficij Celesti.

Anche di là della Zona Torrida passò l'ardore di questo Luminare Benefico. Gemeva sotto flagel di ghiaccio, punita dal Cielo nel suo Territorio l'Havana, Città dell'Indie Occidentali nel 1628, e parea, che là, dove solevano lussureggiare Pomona, e Cerere, havessero ceduto [138] il Talamo in Campo a Tesifone, & a Megera. Si risolve per tanto quell'Adunanza di procacciarsi dalla Sorte uno Scudo Sovrano, che schermisca il Paese dalle frequenti, non men di frementi tempeste. Muove pietosa l'Urna le Schedolette confuse, impresse de' Santi Nomi di que' Venturosi Beati, che senza confusione schierandosi in Cielo vengono dall'Ecclesiastico Rito nel giro di un Anno solenneggiati. Ed ecco di neto fanciullo candida mano per l'Innocenza fiorita, se non se per la pelle adusta, estrarre IL GLORIOSO S. FRANCESCO DI PAULA a' 2 di Aprile. Ristanno quelle Turbe sospese, e perché tenebrose, non men ne' cuori, di quello, che sieno ne' volti, di così fulgido Sole non hanno sol che un barlume; onde credendosi più sorprese dal Caso, che favorite dalla Ventura, riggittano il Bullettino nel Bossolo, e dopo haver questo ben'isconvolto commettono un'altra fiata alla prova il successo, la Divotione alla Sorte. Esce di nuovo il Nome del Santo a ricondur seco più in fatto, che nello scritto l'Aprile; onde alla raddoppiata comparsa riconosciuto, rischiara, e felicita quell'offuscato, & infausto Clima. La Primavera in risulta vi si marita all'Autunno: Si dissolvono i nembi sdegnosi ad un'aria ridente: Le Grandini si disfanno in rugiade: I turbini si convertono in Zeffiri, & i diluvij dell'acque si cangiano [139] in Influssi di Gratie. Non più mugghiano le Nuvole gravide di Procelle in partorir'abbondante la Sterilezza: Non più fischian gli Euri frementi di rabbia a svegliar palpitoso il terrore: Non più stridono i gemiti de' guaiolanti Foresi in deplorare le loro Messi prima colpite, che colte. Le Vendemmie stillavano pianto, e non vino: Le Viti producevano spine a traffiggere l'animo, e non pampini a rallegrarlo. Trovandosi que' Popoli i loro poderi adhuggiati, senz'herba si riducevano al Verde, senza pascoli si vedevano in secco. Ad un tratto si varia la Scena, e

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dove strepitavano gli Aquiloni scherzano i Favonij; dove baccava il furore indomito si adagia Bacco sopito, dove la Bruma intempestiva cadeva spuntano i Fiori ameni, e le Biade s'indorano pretiose. Apprende il Cielo da FRANCESCO ad esser Sereno, l'Aere tranquillo, il Suolo ferace, placido il Mare, e dove pria di Pandora il Vaso versavasi straboccato, il corno di Amaltea si rovescia fecondo.

Entri qua hora a cantar le lodi del suo frequentissimo Benefattore la fida Sirena del famoso Sebeto, che co' fasti, degni della Grandezza Partenopea, accolse FRANCESCO nel numero de' sublimati suoi Protettori, o per dir meglio, fu dal medesimo accolta nel numero delle sue Città favorite.

Agghiaccia la Città di Nocera al mirar [140] l'aere inviperito dall'atro livore del Vesuvio vorace nel 1631, e mira col cenere in faccia scagliarsi da quell'Encelado, non più fulminato, ma fulminante, Trave rovente ad incenerirla; ma poi arde solo di giubilo, che colle sue fiaccole geniali protesta, poiché fu veduto ammorzar quel periglio ignito il Santo Vecchio, che tante volte quaggiù, con piè caduco, con man mortale, estinse i roghi, & accese i voti.

Grassava nell'ammorbata Città di Malaga nel 1637 il Contagio sì fiero, che già la Parca famelica havea con falce rotante alla Giustitia Divina un'Ecatombe di quindici mila Vite sagrificato: Ma comparendo con processional'Equipaggio la Statua del Santo dalla lagrimosa Divotione di quel Popolo semicadente portata intorno, ecco che l'Angelo Sterminatore rinfòdera la Spada dentro a tante viscere intrisa, e resta di quella Città FRANCESCO DI PAULA per sempre l'Angelo Tutelare.

Non debbo trascurar qui quanto fu da me inteso da Relatori non meno fidi, che gravi nella Regia Metropoli della Sardegna. Di Cagliari scrivo, dove germogliarono tante Palme innaffiate dal Sangue de' Martiri: dove rampollarono tanti Gigli assiepati dalle Spine de' Confessori. Emporio più ch'Esilio di Santità, a cui più Innocenti, che sbandeggiati, si ritirarono tanti Campioni di Christo, come [141] a Steccato delle loro Vittorie, & a Campidoglio de' lor Trionfi. Correvano già molti mesi, che quella fertilissima Regione solita per l'abbondanza, singolarmente delle Messi, ad emular l'Arabia Felice, stava per pareggiar la Difesa. Le Glebe senza humore insassite sotto la sferza cocente di una Canicula, fiammeggiante in Aquario, esprimevano la durezza de' Globi Etherei, che divampavano sterile il fuoco. I Cieli risplendevano con aureo lampo, e pur'erano divenuti di bronzo, ma solido ancor nell'Incendio. Quanto più sereni tanto più procellosi con Cataclismo di ardore assorbivano l'herbe adhuggiate, e con fendenti di fiamme uccidevano moribonde le biade. Brandiva il Pastorale di quella Maestosissima Chiesa Monsignor Macino, gran Regolare dell'Ordine, che per la sua tersa Eloquenza nella Corte del Rege Hibèro haveva acquistatosi il Sopranome di Pico de Plata, sicome il Mastro Santiago della medesima Religione, l'havea meritato per la sua pretiosa Facondia di Pico de Oro. Prelato Dotto all'egual di Pio, senz'altri fumi, che quelli del Timiama, senz'altra fame, che quella della salvezza delle sue Pecore, alle quali non

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pelava la lana, ma la donava, e non le smugneva, ma le nodriva. Haveva Egli imbanditi diversi pascoli di Penitenza alle sgomentate da' fischi dell'Ira [142] accesa, con cui rosseggiavano i folgori pronti nella destra divina; ma non si scorgeva ancora alcun segno di Pace, perché non v'era un nuvolo da imaginarvisi sopra possibile un'Iride di Clemenza. Piagnevano gli occhi molli, e se ne ridevano i Cieli asciutti: Pioveano a disgorgo le lagrime, e non grondavano le piogge salubri: Copriva mestissima Nube ad ogn'uno il viso, ma non ne compariva nell'aere pur una lieta per colorirvi sopra l'Arco baleno: Si vedeano bensì l'Arco, e 'l Baleno, ma separati, perché balenava il Sole fervente, e scoccava l'Arco di Dio sdegnoso Saette ignite. Magniavan que' Miseri più pene, che pane; e questo più di dolor, che di nodrimento, perché mentre lo consumavan sul desco in Casa, miravano con humido ciglio il Grano secco sul Campo. Venne il giorno prefisso, secondo il giro determinato, a portar la Statua del Nostro Santo processionalmente alla Cathedrale: Hor'Ecco che l'Alba, non dalle altre dissimile, comparisce coronata di fiamme, e non più, come già soleva, di Rose. Cresce il Meriggio senza un'ombra di compassione a sferzar co' raggi la terra, e la Fede si accende più che non fe' mai a gareggiar coll'ardor più, che prima intenso. Mentre tramonta il Sole spunta la Divotione delle Turbe anhelanti, colle faci alla mano colle palpèbre piovose, per provocar a pietà le [143] Stelle, corteggiando un altro, ma più bel Sole, nella Figura di FRANCESCO sorgente. Oh mirabil Peripezia! Appena dalla Chiesa de' Minimi passa portata per que' vicoli dalle preghiere sonori l'Imagine dell'Implorato, ch'Ella sembra un'Jade sorgente della pioggia foriera. Tanto seguì per appunto. Veloss'il Cielo ad un tratto, e col nascondersi mostrossi placato. Cominciò l'aria cogli spruzzoli inhumidita a scherzar piacevole pria, che la Statua acclamata fosse introdotta nel Duomo. Non così tosto fuvi adorata, che non più per ischerzo, ma con traboccanza inondante, versarono le Nubi l'acque salubri. A così lieto preludio volle quell'Arcivescovo, che rimanesse per alcuni giorni, esposta all'adoratione commune l'Effigie del Santo, cagione dell'universal Beneficio. Perseverò la pioggia coll'Oratione; ma già stanche di pregar le ginocchia, non però i Cieli di piovere, perché di soverchio haveano i prati bevuto, intimò il buon Pastore Macino la restitutione della Sagra Imagine al proprio Nicchio. E pur a tal funtione raddoppiossi il favore di un Astro così propitio, perché comparso appena di ritorno al suo centro cessarono l'acque, e ricominciaro gli applausi: Si dileguaro i vapori, ma non isvaporarono i Voti: rasserenossi l'Aere, e rinverdì la Campagna: Arrisero gli Elementi, e risero i Colli; e [144] se fu benefico il Cielo, fu FRANCESCO il Benefattore.

Negli horribili terremoti, che scossero l'Anno 1638 con terror così tetro le due Calavrie, & inghiottirono tante Cittadi, e Castella, fino al numero di cent'ottanta FRANCESCO si mostrò stabile in Cielo, sua Patria vera, pronto a protegger'in Terra la sua Patria nativa. Pareva all'hora riconfermata l'errante opinione Copernica, mentre la Terra medesima così sensibilmente movendosi, quasi che tornar volesse all'antico Chaos, sembrava immobile il Cielo alle querule strida di quelle Nationi agitate.

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Fremeva il suolo sconcosso, e gemeva il cuor palpitoso. Il Suolo apria mille bocche all'hora per divorare quel Popolo afflitto; e quel Popolo afflitto; scioglieva a migliaia le lingue per supplicar l'Altissimo irato. Le Case si cangiavano in Tombe; dentro alle quali giaceano gli habitanti prima sepolti, che spenti. L'horrore serpeggiava per tutto a lasciarvi colle sue Striscie il ribrezzo: Ogni Sibilo d'aura, era annuntio di morte: ogni movimento di Terreno era invito alla Sepoltura: ogni crollo recava cadute: ogni caduta esterminij. La Parca non più si serviva di falce a recider Vite, ma di trappole a coglierle, e tendendo le sue reti ne' Campi con funestissimo scempio disertava l'Humanità fuggitiva, che quanto più cercava il rifugio, tanto più incontrava [145] il pericolo: Tremavano i petti, che non havevano più fermezza, imitando i piè vaccillanti: Lagrimavano gli occhi, che non haveano più scopo, mentre languivano gli animi, che non havevano più Speranza. Più naufràgi si pativano in terra, che in mare, & era più sicurezza cercar il porto nelle tempeste, mentre mancava il fondo nelle Campagne. Hor'a primieri vacillamenti si vide in Paula la Statua marmorea del Santo collocata sopra la porta, che guarda il lido dell'onde, volgersi in dietro per contrasegno di Salvaguardia: siché mostrando FRANCESCO la faccia a' suoi Cittani, scacciò da essi il timore difendendogli ad huopo; e dando le spalle al mare accennò, che si opponeva, qual argine, a' gastighi del Cielo. Terminati quegli Esterminij si rimise all'ultima scossa la Statua nella sua positura di prima, in contrasegno, ch'era finito il cimento colla difesa. Rimase Paula illibata da' morsi del Terremoto, come pur seguì delle Terre Limitrofe, Foscaldo, Guardia, Cetràro, Bonofati, Malvìto, Fagnàno, S. Marco, Rota, Lattaricò, Montalto, Vacarizo, Belmonte, Longobardi, Lende, Santo Fili, Falconara, Amantèa, Fiume freddo, e Santo Locito, le quali tutte a schiere piagnenti, col cuor nelle bocche, e co' flagelli alla mano, ricorsero, e s'invotarono al gran Francesco loro efficace Conservatore.

[146] Corrasi tutto il Reame di Napoli, e quello della Sicilia, che ad ogni passo si rincorreran le vestigia fresche della calda Protettione del Santo.

In quasi tutte le Città dell'Italia riverito, a par di possente, FRANCESCO si fa conoscere, e nella Spagna non meno, che nella Francia, & in tutto l'Orbe Catholico, cinto di fulgidi raggi, e spandente Gratie ogni giorno a' divoti suoi, religiosamente si honora.

Iddio, che lo rese in vita cotanto amabile a' Pontefici, a' Regi, & a' Principi, molto più lo rende ad essi venerabile in Cielo. Le Maestà Cesaree, Cattoliche, Christianissime, e Polonesi: le Altezze Reali, e Serenissime della Terra a lui si curvano, singolarmente nel Dì festivo di esso come pur fanno moltissime Cittadi, & Adunanze Europee, che non si possono dir nascoste dal calore di questo Sole.

Chi brama più distinte le prove di quanto ho finito d'insinuar con questo superficiale trascorso, conti li numerosi Conventi, fondati all'Ordine de' Minimi da' Regi, e Principi, da Signori, e Divoti grandi, particolarmente nella Gallia, e se bene di minor numero, non perciò di minor fasto, nella

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Spagna, con generosa Magnificenza, in segno di grata protestatione al Santo, & a' loro Posteri di raccordo, d'un'Obligatione immortale.

Sarebbe assai lungo, onde riuscirebbe [147] importuno il racconto quando volessi far qui un honorato Cathalogo de' Magnanimi Fondatori, che con erger'in terra case, e Chiese a FRANCESCO, l'impegnarono a ricambiarneli con favori continuati, & ad esser lor Fabbriciero nel Cielo. La memoria di essi meglio leggerassi descritta nel Libro della Vita, che non verebbe impressa su queste Pagine, dov'Io col silentio li riverisco, perché non ho caratteri d'oro da stamparvi sopra la Gratitudine.

Non debbo però fra tanti, come singolare di Merito, tacer per marca di debito eterno la gran Dama, D. Olimpia Aldobrandina, Principessa di Rossano, affin d'ingemmar queste carte con un Nome così preclaro. Hor questa brava Amazone d'ogni Virtù, e così chiaro ornamento di nostro Secolo, havendo abbellita in Roma con una Fabrica sontuosa, al pari di Vaga, una Chiesa, a questo prodigioso Santo, suo Protettore, merita per questa, come per tante altre sue Geste Heroiche, di haver una Statua nel Campidoglio, & un Nicchio nel Paradiso.

Conchiuda la Fama con una delle sue Penne più candide, mentre non basta la mia, che non professa candor di Eloquenza, ma solo di Verità; in memoria sopra tutte le altre gloriosa di Madama Reale Christina di Francia, a cui replicati, e non mai stanchi, si debono, in questi fogli [148] sinceri, gli Homaggi. Fra le bell'opere della sua Pietà Trionfante, che, le tennero sempre aperta la mano, degna di strigner lo Scettro di tutto il Mondo, sì come lo strinse di tutt'i Cuori, si riporrà sempre dalle postere Etadi la Chiesa, che la gran Donna Reale ha fatto innalzar Superba in Torino a questo grand'Humile sublimato, colle annue Fondationi di Convento, e di Messa perpetua. Principessa Immortale, degna di essere, come di Meriti, di Anni Fenice, che fra tanti beneficati, mirò vivendo così di buon occhio i suoi Minimi, & honorolli morendo col ricordarsene negli Atti estremi della sua Volontà Generosa. Non più, che nelle lagrime si sommerge lo stile.

La Divotione al Santo, e singolarmente, quella de' Tredeci Venerdì ad honor di

esso praticate per conseguir le Gra tieDivine.

PROLUSIONE X.

ntico, e sempre più rinovato costume, instituito

dall'ammabile SAN FRANCESCO DI PAULA, è il visitare le di lui Chiese per Tredeci Venerdì proseguiti, e come per tanti gradi ascendere all'Eminenza della Spirituale Felicità, affin di

arrivare al Trono della Misericordia Divina, per conseguirne contra [149] tutti li Generi de' Travagli, favorevoli, come pietosi, gl'indulti.

Lo sperimentarono tanti, e tante, che ne sarebbe malagevole, perché innumerabile, la Narrativa. Tutti, o la maggior parte almeno de' Personaggi,

A

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di sopra accennati, si valsero di questo Antidoto salutare, per impetrar dall'Altissimo il sollievo dalle oppressioni, e dalla provida mano del Padre de' Lumi, illuminadrici le Gratie nel tenebroso peregrinaggio di questa Vita infelice.

Continuato giornalmente si osserva un Esercitio sì Pio, come fruttuoso, e non solo per Tredeci, ma per tutti ancora li Venerdì dell'Anno, germoglia sì divoto il concorso in alcune parti alle Chiese de' Minimi, che a questo Santo Miracoloso si fa Seria Festa ogni Feria Sesta.

Genova, quella Famosa Città, da me proposta, come sempre riverita mia Patria, la prima che nella frequenza delle Opere Pie a tutto il Mondo insieme non cede; sì come nelle Machine de' suoi Regali Edifici; ma più colle sue Glorie sempre più eccelse, s'innalza, novella Cibele, tutta fastosa alle Stelle, mi vaglia per mille di credito, mentr'Ella porta, come la Maestà nella Fronte, la Fede nel Cuore. Sono que' Nobilissimi Genij, che con tante aspirationi, concordi al publico beneficio, formano unisoni 'l grave concerto di quella Politica Cetra, così alle belle Intraprese [150] del Culto Divino tutti rivolti, che sembrano i Cherubini al Santuario affissati. Fra le moltissime intrecciano la Divotione giurata verso il nostro Santo; e ne riportano aiuti, che si possono dir di Costa; poiché nella Costa di FRANCESCO, che nel Monastero di Gesù Marìa si conserva, un gran tesoro di aiuti si cole: Non meno dal Capuccio prodigioso di Esso, fonte di miracoli si cavano sorgenti di vita, e rivoli di Salute, li quali con torrenti d'oro, que' grandi Limosinieri, propagano. Le Dame, Angioli a' costumi, & a' volti, Veneri, ma Celesti, e purissime di quel Mare in cui non patì la Fè mai naufragio, accorrono sovente all'Altar di FRANCESCO, come ad un vero Propitiatorio; e gran parte di esse ha riportato frutti fecondi, nel coltivare per Tredeci Venerdì una Divotione così fiorita. Non mai stanca Munificenza di quella spiritosissima, Nobiltà, di quella Pijssima Cittadinanza, oltre i giornali Sussidij, & i Legati, che sciolgono dalle Pene purganti, spande a mani piene un profluvio d'Argento nel Dì consagrato al Santo, che con tutto il Concorso più che de' passi de' cuori, solenissime vi si festeggia.

Bisognerebbe sfiorar i giardini dell'eloquenza s'io volessi degnamente infiorar la memoria di que' generosamente divoti, e divotamente generosi, che tributarono [151] in Genova al gran FRANCESCO DI PAULA co' loro prieghi ferventi i loro providi doni. Ma non debbo tacer, fra gli altri, che registrati si leggono negli annali della Gratitudine de' Minimi, e ne' volumi della retributione celeste, il Senator Giacomo di Negro, che per tanti lustri fino all'età decrepita continuò la divotione al Santo, e l'assistenza al di lui Convento, procurando singolarmente, che i due di Aprile fossero in quel Tempio Sonori per l'esibizione dell'aurea, & argentea affluenza, lasciando impressa ne' suoi nobilissimi Figli, tra' quali due ne donò a FRANCESCO, per dargli ancor le sue viscere, questa geniale inclinatione. Venga la facondia più luminosa ad intrecciar un serto stellante alla rinomanza riveritissima del gran Luca Spinola; Principe di Molfetta, Padre de' Poveri, e così generoso alla mano aperta, come maestoso al sembiante reale. Io, c'hebbi l'honore d'essergli famigliare per più di un lustro con ossequiosa

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assistenza fino all'ultimo suo respiro poiché mi esalò quella grand'anima fra le braccia, posso asseverar senza hiberbole di non haver conosciuto mai un altro petto così propenso a donare, essendo il cortile del suo Palagio quasi sempre bollente di mendici, che non mai ne uscirono sconsolati, e le di lui anticamere ogni giorno innondate da' Mendicanti, che ne riportarono tanti [152] soccorsi, essendo sostenuti i Monasteri cadenti da questo Alcide famoso della Pietà, la qual ei fe' spesso sfavillar verso i Minimi, per la sua divotione verso FRANCESCO. Non tacia l'obligatione con cento bocche, perché non tace la Fama con le sue cento nel celebrarlo, il gran Cavalier Gio. Filippo Spinola, pur Principe di Molfetta Cognato, e Genero del generoso Luca lodato, che alla sua morte immatura, onde fu tanto accerba la perdita lasciò al Convento di Genova per terminarne la gran salita, per cui vi si ascende, più di tremila scudi, & hereditaria la sua fervente divotione nella sua nobilissima Sposa, e nel suo virtuosissimo Figlio in cui rifiorisce la gloria paterna. Aggiungo qui come principale Benefattore de' Minimi il già celebrato, e sempre degno di lode Gio. Luca Spinola, Splendor della Nobiltà, che più volte assistito dal Santo non si stancò mai di riconoscerlo grato co' votti colmi di gratie, e con le mani di limosine ridondanti, dovitiando gli altari di quella Chiesa vero asilo de' tribulati, e Drogheria per gl'infermi, che da un Semplice, come FRANCESCO, di virtù cotanto efficace a folla ricevono la salute, come la giornale sperienza, più assai, che la mia penna spennata può farne fede. Spennata è la penna mia, e perciò inhabile al volo per giungere a celebrare tante Famiglie chiarissime, che coronano [153] quella Repubblica Gloriosa, e rendono quella Città così Pia l'Emporio delle Virtudi, & il Teatro della Magnanima Magnificenza. Parlerò di tutte, e de' preclarissimi loro Individui nella mia Galleria Ligustica, se tanto mi permetterà la sorte, o la morte.

Ma qui non debbo obliare in proposito della Divotione verso FRANCESCO l'augusta Casa del Famoso Principe Doria, di cui Protettor'il Santo particolare a perpendicolo le sovrasta nel Monte Sano. Ella, che diè al mare più di un Nettuno dopo l'haver accolto FRANCESCO, che fu Nettuno nel mare, fu il primo refugio de' Minimi, che nel primo ingresso in quella Heroica Patria vi furono ricevuti, e poi sostentati per lunga serie di tempo si denominarono Religiosi del Principe Doria. Hor continuando ne' Grandi successori la relatione pijssima, non cessò mai ogn'uno di essi di tener FRANCESCO nel cuore, e di portarlo sul capo. D. Giannettino Doria non degenere figlio di quel D. Carlo Duca di Tursi Generalissimo del mare, Intrepido come il Padre, che fu ne' naufragi un Cesare, e ne' conflitti un Alessandro: Aquila nell'onde, e Generale della Squadra di Sicilia non mai soleva scioglier l'ancore alla partenza, che prima non fosse a prender inginocchione curvato, dovunque fosse, dal Superiore de' Minimi la [154] benedittione, praticando il medesimo stile dopo haverle gittate.

Entri qua hora a decorar maggiormente i Fasti del mio prodigiosissimo Padre quell'invitissimo, quell'immortale, quel grand'Ambrosio Marchese Spinola: quello, che non professò mai altro commercio, che con la Gloria: quello che fu il Ligustico Marte, non so se più prode in istringer'il ferro, o se

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più prodigo nello spander l'oro, che innesausto come il suo nobilissimo Sangue con tanta fulgidezza hereditario egli possedeva: quello che col rimbombo del suo nome tonante fe' tremar l'Olanda, e colla chiarezza del suo gran consiglio illustrò impareggiabile la militia: quello, che sollevò col suo governo così rinomato i Paesi bassi, e fe' pullular'al suo capo gli allori nel Settentrione, alla sua mano le palme nell'Occidente, quello di cui per bandir le geste sono fievoli, e scarse della Fama le trombe, poiché il valoroso, e l'assennato Guerriero superò gli Achilli colla bravura, il Milciadi co' Trofei, & i Temistocli con le vigilie; quello finalmente, che redivivo si ammira hoggidì nel suo gran Pronipote D. Paulo Marchese Spinola, Duca di Sesto, Governator di Milano. Hor quell'Heroico Generale d'eserciti, che fu Scipione in guerra, e Catone in pace, trovavasi venuto di Fiandra in Madrid, Corte della Cortesia, e della Pietà Cattolica, [155] e correva il tempo di quella Santa Settimana, in cui la Chiesa con Sacra gramaglia celebra in anniversaria doglianza i funerali del suo Sposo sepolto: Il gran Marchese Spinola, sicome havea dati già tanti saggi del suo valore nel Campo, volle ancora in faccia di quella Villa Reale produr gli attestati palpabili non meno della sua indeficiente divotione, che della sua vigilanza indefessa, poiché nella Chiesa de' Minimi della Vittoria, essendo egli Padrone del Choro di essa, & havendo quel luogo, come della Vittoria, per proprio il Vittorioso, perseverò in piedi per lo spatio consecutivo di ventiquattr'hore, dal mezo giorno del Giovedì, fino a quello del Venerdì Santo, & a chiunque l'interrogava di quel pijssimo eccesso rispondea sorridendo: Io posso bene per servire il mio Re star'otto giorni intieri a cavallo alla brina, e nel fango, e non potrò per servir'il nostro Dio, Re del mio Re, e di tutti i Regi, starmene qui per lieve tratto al coperto a meditare quanto per noi ha patito? Poi soggiungeva: Io so bene, che il mio Santo Vecchio S. FRANCESCO DI PAULA in queste occasioni era solito a non dormire, e che passava, non solo i giorni, ma anche le Quaresime intere senza cibarsi sol che di affetti. Imparino i Grandi, e sappiano, che il valor senza la Pietà, è un corpo senz'anima.

Fu questa Massima ben capita, e con [156] esattissima formalità praticata da quell'altro fulmine di Bellona, uscito dall'Arsenale Ligustico il gran Marchese Gio. Francesco Serra, che a tante Lauree sue militari (ed oh come intempestivi, e così tempestosi) intrecciò i cipressi ferali. Gran Soldato di petto Hettoreo, di cuor Cesareo; d'animo Epaminonda, d'ardire Lisimaco, di Prudenza Leonida, e di Religione Carlo Magno eguagliando, fu di FRANCESCO tanto invaghito, che lo chiamava la sua sentinella, e ben sovente ne fea correr di notte il nome per i quartieri, riputandolo per tante prove l'intelligenza della sua Militia, & il Cherubino infiammato delle sue Truppe custode.

Purpureggia qui per ultimo Serto de' Fasti Liguri abbreviati, per coronare FRANCESCO la gloriosa memoria dell'Eminentissimo Cardinal Durazzo, la quale dura, e durerà sempre intagliata ne' Cedri del Libano eterno. Egli è frutto purpureo di quel generoso Pedale, che diramandosi in palme, frondeggiando in lauree, spolpandosi in Pastorali, & intrecciandosi

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in corone, carico di frutti di merito serve alla Virtù di ricovero con l'ombra sua luminosa. Stefano inghirlandato dal proprio nome, che fe' al fulgòre della sua porpora, ma più al lampo della sua pietà arrossir'il vitio, & impallidire l'Invidia: Degno di quel concetto con cui la Fama per accreditarsi veridica il divolga [157] per lo più candido nella Vita, che spirasse all'aura di questo Secolo così macchiato: per lo più heroico nella morte, che trionfasse con gli affetti del Mondo vinto. Morì appunto come FRANCESCO stringendosi al Crocifisso, che portò sempre fisso nella sua mente, Croce sulla quale dalle Virtù veramente in lui Cardinali gli venne inchiodato il timor di Dio, & il zelo del culto celeste. Né mai si potè discernere s'egli fosse, o più buon Pastore pronto a dar l'anima per le sue pecore, od Agnello più innocente disposto a sacrificarsi per esse. Nel Capitolo Generale de' Minimi, che celebrossi, corrono già cinque lustri, in Genova, al quale fu dalla Sede Apostolica deputato Presidente, egli si fe' conoscere tutto viscere verso la mia Religione, e tutto sviscerato verso il mio Santo del quale non si stancava di esaltare le geste prodigiose. Io hebbi la sorte di sostener'alla di lui presenza humanissima l'ultimo atto delle Conclusioni Theologiche dedicate alla di lui Eminenza, & in questa, come in altre funtioni, fatte al di lui cospetto da me, posso attestare, come anche per molte notitie, che il di lui pijssimo cuore portava nelle sue fibre stampato profondamente il mio Patriarca.

Altrettanto dir posso dell'altro famosissimo gran Purpurato Lorenzo Imperiale, che fregia la sua nobilissima Stirpe di [158] splendori sempre più fulgidi. Egli è quell'invitto, che nella sua gran mente stellante raggira tanti astri quanti pensieri, degno di reggere un Mondo perché nel suo capo d'intelligenza eccessiva dà il moto alle sfere de' negotij più gravi. Capo, ch'è tutto petto per l'intrepidezza: petto, ch'è tutto capo per lo sapere. Sapere, che non ha fumo, e perciò senz'ombra; che tutto è fuoco per lo Spirito acceso, ma fuoco, che avviva, e non consuma; che non incenerisce ma indora; che purifica, e non affumica; che ascende, e non serpeggia; che balena, e non fulmina; che rimbomba, e non tempesta; che riscalda, e non rilascia; che risolve, e non danneggia; che risplende, e non affumica; che abbaglia, e non accieca. Anche purgatissimo fuoco può dirsi Lorenzo (poiché Lorenzo va così ben col fuoco unito) per l'ardentissima sua Pietà, singolarmente verso FRANCESCO, che avvezzo ad entrar'illeso nel fuoco, nell'igneo cuor di Lorenzo se ne sta riverito.

Qui viene naturalissima la rimembranza honorata di un altro Lorenzo, che tutto è lume perché tutto è Raggi. Raggi, che illustrando con raddoppiata luce la Porpora Vaticana, così fulgidamente s'incerchieno al Sole del Cattolico Cielo. È quell'Eminentissimo un fonte di Raggi vivi, perché dal di lui cuore disgorgano tutte quelle Virtù, che svegliano come [159] i Raggi gli occhi assopiti. Sono i Raggi flagelli dell'ombre, che le discacciano, e gli strali più proprij di questo Apollo, co' quali saetta i Pittoni de' Vitij per immortalarsi con la sua gloria. FRANCESCO in terra fu veduto coronato di raggi, & hora all'adorata memoria di lui non mancano Raggi

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mai, perché Lorenzo, che tutto è lume cinge con la sua Divotione FRANCESCO, che tutto è fuoco.

Potrei qui di tanti altri luminosissimi Porporati, che inostrano il manto della Liguria, & illuminando i sette colli ferono in ogni tempo fiammeggiar colla loro magnificenza, ricchi d'ingegno, e d'oro, di Pietà, e d'honore formar racconto. Ma troppo è scoscesa, e lunga la carriera heroica, alla mia penna Pedestre. Sono congeniti al Ligure gli Ostri, che spremuti dalle murici del merito fanno arrossire l'Invidia. Le Pontificie Tiare, che ornarono i capi de' successori di Pietro sono familiari a quell'inclita natione, che ne' suoi generosi, & heroici Fieschi s'innalzò al più sublime posto dell'Universo, co' suoi Cibo nobilissimi apprestò cibo alla Gloria più eccelsa, e colle sue Roveri di quella di Dodona più reali, e più sacre diè gli Oracoli a tutto il Mondo, e fe' ombra alle palme d'Idume più vittoriose, & agli allori di Eurota più trionfali.

Sarebbe tratto d'ingratitudine mostruosa [160] il coprir col silentio la chiarissima Pietà, della Bipartita preclarissima Famiglia de' SS. Viali, che a tanti Governi della sua gran Republica in più rilevanti maneggi addossati ad essa, ed a tante volte replicate Senatorie Toghe si è qualificata un Seminario di Catoni. Viva eterna la memoria di Francesco, di Benedetto, che nel Serenissimo Zodiaco Genovese furono Gemini luminosi, fregiati di tante Stelle di quante virtù si mostrano sempre adorni, e singolarmente d'un ardentissimo affetto avvampati nella Divotione del particolarissimo loro Avvocato FRANCESCO DI PAULA, al quale avvezzarono fino da pargoli a curvarsi sviscerati nelle preghiere i loro nobili germi, che con tanti celibi fiori, e con tanti frutti di bontà eccessiva germogliano al Paradiso. Tra questi, che con signoril decoro reggon le Case, primogeniti formati ad imagine vera de' Genitori, splendono singolarmente Nicolò, & Agostino: questi per l'ingegno amenissimo, & acuto, Stelo di Rose fiorite: quello per l'integrità; e per la pijssima indole; amendue ottimi Cavalieri, e veracissimi Cittadini di una Republica, che tra tanti suoi Fasti annovera la partialità riverentialissima, che a FRANCESCO, gran Protettore di quella Città Heroica illibatamente fervorosa conserva.

Mi stimula ancora la gratitudine tanto [161] mia congenita amica ad infiorar qui fra tanti heroici Cavalieri Genovesi l'honoratissimo nome dell'Eccellentissimo Signor Giorgio Zoagli, presentemente Governatore di Corsica, il quale ha in una lettera di putno del mio gran FRANCESCO un vallido passaporto per la Horia. In que' caratteri sacri, stillati da quella mano ardentissima, che lambiccò sempre le quintessenze della Carità più succhiosa, conserva quel pijssimo, e prudentissimo Cavaliere una franchigia contra i disastri più fortunosi, perché quelle lettere son astri tanto felici, che chiunque le strigne, e le bacia, si può dire, che tocchi 'l Cielo, e che volti le Stelle a suo beneficio. Ma tanto merita chi ha tanta virtù: Figlio di un Padre così saggio, e così giusto, che appunto, come Michele, seppe sonar la tromba canora, maneggiar la lancia della penna, e regger la bilancia della Giustizia: E Figlio non mai degenere, poiché nel Cielo Serenissimo della sua Gloriosa Republica, anch'Egli sfolgorante risplende non mai retrogrado;

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ma sempre ascendente; così puro per la sincerità, come regolato per la rettezza, fulgido ai raggi della modestia, & ai riflessi della gentilezza native; e tutt'acceso all'ardor divoto del mio Heroico Santo, suo singolarissimo Protettore.

Savona, e Serazana, che son le due pupille della Liguria, fedelissime, e chiare [162] per i lor pregi, e singolarmente per esser Seminarij di lumi Pontificij, e Purpurei, di splendori mitrati, e guerrieri, perché sempre fisse in FRANCESCO: cui si spiegano illuminate, & a cui si piegano accese, non dovevano qui nel silentio restar oscure; ma poco io narro perché se bene mi preme l'obligatione, mi opprime ancora il peso di que' Trofei, che ferono sudar l'Oriente infedele, e posero il giogo ad un Mondo nuovo. Basti per hora dell'inecclissabile Pietà Ligustica questa di passaggio strisciante notitia, e passiam'oltra, sicuri di non trovar'il termine mai a' Fasti Empirei del nostro prodigiosissimo Taumaturgo.

Venetia la fastosa Reina dell'Adriatico, seconda le prove del mio facile assunto colla Pietà del suo devotissimo affetto. Ogni Venerdì corrono, fra le Turbe affollate, que' preclarissimi Nobili al Tempio di FRANCESCO come ad un vero Arsenale di Giove, contiguo al famoso Arsenale di Marte; perché se da questo si cavano ferri guerrieri, e bronzi fulminei da contrastar'al nemico, da quello si hanno Scudi impenetrabili per ischermo contra di esso, e folgori possenti per bersagliarlo. Ardono que' canali di ardor celeste, e divampan quelle acque alle fiamme, che i partiali del Santo portano in seno di amor divino. E ben con ragione tengono in loro fuoco sì puro, perché FRANCESCO [163] solito a star negl'incendij, & a galleggiare sull'onde, da essi non si diparta, & ivi sempre sublimato si honori dove tanti favori diffonde. Veggonsi le pareti di quella Chiesa, dall'imo al sommo, tutte incrostate di Tabelle Votive, che vi appesero i Salvi da' naufragi diversi, della Terra, e del Mare; e per havere sfuggiti li perigli di un Mondo, che ha tanti venti quanti superbi, tanti scogli quanti Ostinati, tante seccagne quant'Infedeli, tante onde quanti lascivi, tante alghe quante frodi, tante arene quante colpe, tante reti, quante insidie, e tanti insidiosi Corsari, quanti Ladri rapaci.

Si è veduto il Serenissimo, FRANCESCO Molino (Molino a cui non mai mancò l'acqua delle gratie in FRANCESCO, che n'è la chiusa) Capo di quella invitta Republica negli ultimi Anni trascorsi, non intermettere mai lo stile, anche nella Senatoria Pretesta continuato, di andarsi a prostrar'ogni Venerdì alla capella del Santo, per esaltar, come giusto, quell'honoratissimo Corno, il quale cozzando sì lungamente contra gl'infami dell'Ottomanica Luna, prende il vigore singolarmente da FRANCESCO, Virginale Alicorno, che si dichiarò sempre, e con più maraviglie, in Otranto, & altrove, degl'Infedeli Cani nemico: Cani infedeli, che latrano al vero Sole in Lione, sempre più fulgido, e [164] fulminante. Nel lione di Marco alato, che col suo grido fa sentirsi per tutto il Mondo, mentre co' suoi vapori sulfurei pretende in vano di ecclissar nell'Oriente quel Sole, il quale se già vi nacque in Vergine non sia mai, che vi tramonti nel Sagittario, perché stationario vi fiammeggia in quel bravo Lione, che tanto è della Vergine amico, & ha per

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istinto di custodir la Virginea Fede di Christo, che della Candia è il vero Giove tonante. Tonante co i folgori di guerra, che si accendono al fuoco sacro di FRANCESCO, e sono somministrati dal Lione Aquilino di Marco, fra quali fiammeggiante per lo valore dell'heroico braccio, per la prudenza del saggio consiglio, per la pietà del divotissimo cuore, per la liberalità della provida mano, risplende l'intrepido, il famoso, il forte, l'invitto Giron Francesco Marchese Villa, che terrore degli Ottomani, perché ha cento mani nella Virtù, come un Briareo, ha così ben difesa la causa commune del Christianesimo. Egli è divotissimo di FRANCESCO, e tanto basta per accennarlo vittorioso, & uno de' baloardi più vivi, c'habbia fatt'argine all'inondatione sotteranea di tanto incendio, e di così numerosi Traci, che coì loro fumi infernali han resa Candia più candida, & il nome di questo cattolico Alcide sempre più chiaro.

Più chiaro sempre per lo stesso motivo [165] sfolgora quello ancora del gran Marte del Mare il Cavalier Gio. Francesco Morosini, che nuovamente in una prodigiosa Vittoria ha insanguinato l'acque di Sfacchia con lo svenato nemico, & imporporato il generalitio suo manto con le murici di un gran Cane come Durac il rinomato Corsaro, il quale non ha potuto durare a fronte di un Capitano sì valoroso, che nel notturno combattimento meritava di haver il Cielo, Argo stellante, per attonito spettatore; Ma fra gli Astri dell'Empireo gli arrise FRANCESCO DI PAULA come singolare Avvocato, e fe', che le tenebre tetre, al lampo fulmineo d'una spada affilata dalla Virtù Heroica sopra la cote della militare costanza gli partorissero fra le procelle frementi de' bronzi accesi, e degli acciari fischianti un bellissimo giorno di gloria.

Non debbo trasandar qui la memoria, che può rendere memorabil di FRANCESCO i Fasti singolarmente in Venetia dove così venerato si adora. Io mi ricordo, che sett'anni sono predicandovi nel giorno di esso, ancorché slombatamente serpendo, le di lui Glorie inesauste alla presenza dell'Ambasciator Cattolico, l'Eccellentissimo Marchese di Manzera, splendor fra gli altri luminosissimo della gran Famiglia di Toledo; e presentemente Viceré del Perù, così partiale di FRANCESCO, che 'l volle stationario [166] nel suo stato, col ristorargli una casa, di cui la pietà de' suoi preclarissimi Antecessori fu fondatrice, formò l'Echo sonora alle mie fiocche voci un accidente prodigioso, ma non insolito al patrocinio ch'esercita così gran Protettore su i suoi Divoti. Un Fruttaiol se ne veniva in quel mentre, nell'affluenza del bollente concorso, ad offerire al Santo le sue fruttuose preghiere, come al suo Vertunno adorato, quand'ecco li fu scaricato da un suo nemico addosso un Pistone, che gli vomitò nel petto l'inferno; Ma le palle avvampanti gli si fermarono stupide nel trasforato grembiale, di cui era cinto, e lacerandone la tela accanite, gli lambiron la pelle mansuefatte da quella mano invisibile, che palpò quaggiù vestita di carne tante volte illesa le fiamme voraci. Ella insensibilmente le strinse, & in ribatterle con opportuna assistenza fe' comparire, che il piombo dell'odio all'oro della sua carità cedea vinto. Svegliossi sonoro il rimbombo di questo fatto, e mentre il Fruttaiuolo corse ad appendere col grembiale il suo cuore

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all'Imagine di FRANCESCO accorsero i Fedeli ad inghirlandarla di affetti fioriti, per accoppiare a' frutti dell'intercessione in Aprile, colti da questa pianta del Paradiso, i fiori de' prieghi germogliati nel Giardino della Divotione improvisi, per contrasegno, che FRANCESCO, il quale vivendo in [167] terra seppe unir'agli autunni le primavere, vivendo in Cielo con più agevole dispositione misticamente unite le produceva.

Canti dunque Venetia, Sirena dell'Adriatico, a FRANCESCO grata, e da FRANCESCO gradita, dolci, & armoniose le lodi, svegliando i suoi Cigni canori e soavi, Re de' quali, e d'ogni altro, che si abbeveri al sagro Caistro è l'Eccellentissimo, il Clarissimo, l'Ingegnosissimo mio Signor Gio. Battista Vidali, che colla sua penna d'Aquila, se pur se non debbo dir di Fenice, sen vola così altamente per lo ciel della Gloria al Sol della Sapienza, che lo perdon di vista, ancorché sieno degl'intelletti più perspicaci, le humane pupille abbagliate. Io non dovea negar'a queste mie pagine, per renderle maggiormente preclare un nome cotanto illustre, & un lume sì fulgido, non solo per debito di sviscerata amicitia, onde così mi pregio, & honoro, ma anche per dovere di gratitudine, poiché questo sublimissimo Ingegno ha più volte svegliata la sua candida Musa a celebrar di FRANCESCO prodigiosamente i prodigij; né dorme mai colla sua occulatissima divotione, con cui ogni Venerdì fissa lo spiritoso suo cuore nel Santo suo individualissimo Avvocato, prostrandosi riverentemente al di lui altare miracoloso. Così a questo gran Delfino di Santità, che [168] in quel gran mare di luce empirea, stellante di tanti meriti, sfolgoreggia, non manca nel famoso Vidali un Arione celeste, che colla sua cetera arguta, non meno, che colla sua mente accesa l'implora.

Entri qua hora con una delle sue penne più candide, e più svelte la Fama a manlevar la mia slenata, & oscura per descrivere in superficie di abbozzo semplice poiché non le può circoscrivere nelle angustie di linee brievi le Glorie immortali del Cavaliere Battista Nani Procurator di S. Marco, & uno de' più fulgidi Luminari, che mai splendessero, e che hora sfolgoreggino nel Serenissimo Veneto Cielo. Oh come si avverrà in esso l'omnes in unum poiché tutti i raggi diretti, e riflessi delle Virtudi più heroiche si uniscono in questo chiaro Cilindro. Chi brama di veder in un solo Individuo tutta la specie il rimiri: che se ad Anacarsi, presso Luciano, già disse Toxari, mentre quegli cercava di andar curioso lustrando col guardo tutte le grandezze di Athene: Omnia viso Solone conspexisti: haec sunt Athenae, hoc est ipsa Graecia: per veder'in un solo Solone tutta Venetia, più gloriosa d'Athene, basta mirare il gran Nani. Egli è un Nano di nome, & un Gigante di merito: Nano per antifrasi, poiché tocca le Stelle col capo, e regge il fermamento politico con la mente: Nano, che [169] ha dell'Alcide, perché colla clava dell'herculea sua penna sconfigge l'oblio, colla face dell'accesa sua lingua abbate l'ignoranza: Nano robusto come un Atlante, sublime come un Olimpo, nato a sostener col suo vigoroso ingegno il decoro della Sapienza, col suo animo intrepido a riputatione della sua Patria. Egli è Battista, e come Battista è Lucerna, Lucerna a sgombrar l'ombre, a dissipar le caligini, a rischiarar'il Consiglio, a guidar gli erranti,

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ad illuminar gli offuscati. Lucerna, ma senza fumo per l'affabile gentilezza: Lucerna d'oro per lo sapere purgato: Lucerna scintillante di gemme per i fregi delle Virtudi innestate: Lucerna più pretiosa, che quella di Epitèto, più famosa, che quella di Callimaco, più degna, che quella di Cleante, più filosofica di quella d'Aristofane, più morale di quella di Diogene. Lucerna ardente per la pietà, lucida per la prudenza, inestinguibile per l'honore chiarissima, per la nobiltà, elevata per lo merito, & immortale per la gloria. Lucerna al cui bagliore l'Aquile sono Farfalle, & i Cigni sono Nottole; poiché volando innamorate del fulgore di essa a corteggiarla ossequiose, se pur se non debbo dir'abbagliate, le menti più aquiline; & i più candidi ingegni col guardo rintuzzato abbatton l'ale per venerarla prostrati. Parli la Gallia, e dirà, che non vide mai nella sua Regia Corte [170] chi de' Regij Ministri, Ambasciadori sensati fosse più grande di questo Nano, che pareggiò i Giganti col fasto dell'ostentatione, e superolli coll'eminenza del credito. Favelli la Germania, e confesserà, che questo Nano fu più candido, e più sublime delle di lui Alpi, delle quali egli superò la fortezza col petto heroico, penetrò le freddure col genio focoso, sorpassò l'altezza coll'ingegno elevato. Parli tutta l'Italia, & il Mondo tutto favelli; e che potrà dir'in concerto di tutte le lingue più terse, come più vere? Che il Nani è, una Sirena, se pur non è un Ulisse nell'Adriatico; una Pecchia delle più operose, che in bocca di un gran Lione, come quello di Marco, più di quel di Sansone famoso formino i favi; una Fenìce fra le Aquile, uno Fosforo fra le Stelle un Mercurio, se pur se non debbo dir'un Giove fra i Pianeti. Un Cigno per la candidezza, per l'armonia, per la penna, per la stanza, per la purità, per lo celibato, con cui liba il Cielo, svellendo il piè dal fango del senso, e spiccando il volo alla sublimità dell'Empireo; E con ragione arguta egli spiega un Cigno nel Gentilizio suo Stemma, essendo proprio de' Nani, come ad essi connaturale, il candore de' Cigni; Che se questi, per testimonio del medesimo Luciano, furono Assessores Apollinis: hor rinovato si vede questo attributo ne i Nani, che di Apollo son Consiglieri; E se già favoleggiò [171] la Poesia, che Giove per amor di Leda in un Cigno si trasformasse, hor dimostra la verità, che per amor di Minerva un Cigno si cangia in Giove, perché cotanto giova Battista Nani alla sua Republica verace Minerva. Ma ristringerò con lo scorciatoio una lode, che nell'immensità potrebbe ampliarsi diffusa, e dirò, che questo gran Cavaliere sia l'Achille della Religione Politica, e della Politica Religiosa, poiché né il più pio, né il più saggio può rinvenirsi nelle rivolutioni di un Secolo, nelle quali la Virtù più divota, e la Divotione più virtuosa ha in pochi sicuro, e grato l'accoglimento. Esprimerò tutto asseverare, che FRANCESCO sia Protettore benefico del Nani, e che il Nani sia un Protettor generoso, un Benefattor cordiale dell'Ordine di FRANCESCO: quando non per altro, per questo solo motivo doveano ingemmarsi questi miei caratteri con un nome così preclaro, & ingioiellarsi queste mie pagine con un elogio così dovuto.

Napoli, con tutte le Città di quello splendido Regno, non minori cava gli aiuti da questo suo potentissimo Protettore, di quelli, che somministri fedelissima al suo gran Rege; E quel generoso Cavallo, che qual Hippogrifo,

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sempre più vivaci rimette le penne, si solleva, ancora che carico, al Cielo, per [172] esser ivi FRANCESCO, che gli riparte il vigore.

Quell'inclita Nobiltà ne' cui preclari individui si conserva la specie della Cavalleria più gentile la gentilezza più cavalleresca, fulgida per tanti Principi, che sono le stelle della maggior grandezza in quel Cielo, porta scolpito, fra gli altri suoi Santissimi Tutelari, profondamente FRANCESCO ne' cuori. Cuori così pij, che si alimentano d'aure celesti; così grandi, che bastano a nutrire l'Aquila Ibera. Respirano questi nelle loro angustie collo sospirare a FRANCESCO, che li soccorre pronto, perché l'implorano fervorosi, refrigerandoli, perché ardenti nell'invocarlo. Io sentij più volte alcuni di essi stemprarsi in prieghi colle fauci anelanti, come chi aspira assetato al fonte, di cui li gorgoglia nell'orecchio dolce il zampillo, nell'adorar l'imagine del nostro Heroe sclamare pietosamente: AH, S. FRANCESCO: AH S. FRANCESCO AIUTAMI.

Vagliami per fede d'ogni eccettione, & ingrandimento maggiore la gran Pietà del gran Cardinal Carafa, che hoggidì co' suoi raggi fa fiammeggiar così pura la Porpora Vaticana, e Legato memorabilissimo di Bologna, col sapientissimo, e dolcissimo suo governo la scioglie da tante cure, e l'incatena con tante gratie. Quest'Hercole della Chiesa prende il suo [173] vigore singolarmente dalle sollecitate assistenze del nostro Santo prodigioso, a cui s'inarca assai spesso orante in prelusivo augurio del sicuro trionfo, che spera, & ottiene dall'efficace assistenza di quello nelle sue generose intraprese.

Palermo, e Messina, le due Città Polari della Sicilia son da FRANCESCO illustrate co' suoi bellissimi favori, come li due occhi bellissimi di quel Reame, che se nel suo Mongibello, Polifemo de' Monti, apre un occhio fulginoso, & acceso da sulfureo vapore, ne' suoi divotissimi Popoli, e nella sua gentilissima Nobiltà, par un Argo Celeste ingemmato di lumi: gli spiega tutti al suo FRANCESCO attentissimi, singolarmente nel Venerdì, che quell'Isola Maestosa tramuta giorno di Passione in giorno di gioia, per l'opportuna consolatione, che riceve da un Esercito sì Pio, onde ne' numerosi Conventi de' Minimi, fra le altre molte forze, che la muniscono, ha tanti propugnacoli per sua difesa.

Tutta la Marca festeggia il Santo, e non fa, che una Fiera di guadagno sensibilissimo quando ogni Feria Sesta a lui fa ricorso, per non fallire con Dio, per pagar i suoi Debiti, e per multiplicar'il capitale delle Gratie, onde si trova arricchita.

Ancona fastosa di tanti suoi pregi gli abbatte tutti per maggiormente sollevarsi [174] a' piè di FRANCESCO, & il gran Cardinal Conti, che n'è il Pastore, havendo sul dorso tinta dal suo nobilissimo Sangue, tessuta dal suo merito eccelso, e fregiata delle sue Virtù così fulgide la Sacra Porpora, la rende più vivace col lampo, che dal FRANCESCO suo gran tutelare li si traspira.

Pesaro, che può chiamarsi una Città veramente di peso per le sue sodissime, e non punto lievi prerogative, librata dalla bilancia di Astrea, come un gruppo di Stelle nelle sue Famiglie preclare, per rendersi più

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ponderata, e per conseguenza incrollabile alle scosse del tempo, & alle rivolutioni de' Secoli, a FRANCESCO si volge, e con fervorosa divotione l'implora. Qui mi viene la gratitudine a regger la penna troppo pesante, mentre sopra di Pesaro aggirasi, perché la gravano i Beneficij, che con tanto cumulo l'Eminentissimo Vidmani adunò a FRANCESCO in quella Chiesa de' suoi Minimi ristorata, abbellita, & ornata dalla generosa Pietà di quel Candido Porporato, la cui riverita memoria intagliata in que' marmi, e fulgida per que' fregi eretti, e donati al Santo, oltra le innumerabili qualità di quell'animo così grande, viverà sempre immortale.

La Toscana, venerando ogni Venerdì colla memoria di FRANCESCO adorato, discaccia i morbi, & acquista il respiro [175] a' cuori soffocati nelle Passioni, e tra gli affanni spiranti. Fiorenza la Città Nobilissima, da cui si forma Reggia Fiorita alla Virtù Florida de' suoi Principi Saggi, che sono i Senechi del Trono, infiora colle preghiere l'Altare di questo Taumaturgo adorato, per impetrarne Frutti di sapore celeste. Più volte la gran Vittoria, che può chiamarsi la Decima Musa, e la Quarta Gratia: La Serenissima gran Duchessa, che spiega le Palme nel Nome, & il Trionfo nel Merito, Principessa delle Virtù, Gloria dell'Honestà, è rimasta Vittoriosa del Mondo calcato con Fasto Pio, col ricovrarsi all'ombra di questo Santo suo Tutelare. Anche la Spiritosissima gran Principessa della Toscana, Rosa di odor così puro, e di Bellezza sì maestosa fra quante pullulassero mai sopra il Regio Stelo de' Laureati Borboni, provò FRANCESCO, che tanto favorì sempre la Real Casa di Essa, efficacissimo, e grato. Si rasserenano queste mie pagine, perché spunta in esse, per renderle un Orizonte di albori, un Sol Porporato nel Serenissimo Principe Leopoldo, il quale sulle sue spalle intrepide, che non vacillerebbero alla mole di un Mondo, rende più fulgido l'ostro del Vaticano. Non ha tratti la penna ad effigiarlo, perché non può mai pennelleggiarsi nell'auge il Sole. Egli è tra le Muse l'Apollo: tra gli Eloquenti [176] il Mercurio: tra le Scienze il Trismegisto: tra le Gratie il Giove: tra le cortesie il Marte, per lo canto, per la facondia, per lo sapere, per la magnanimità, per la vittoria, che riporta de' cuori. Leopoldo, Leone, ma di quegli alati, che più sublimi dell'Aquile volano: Leone che prostra a' suoi piè d'ogn'uno gli affetti; Leone; che sfolgora nel Zodiaco de' Principi Toscani segno Celeste, e col suo virtuoso calore ogni petto accende ad ossequiarlo; Come pur fa il Serenissimo Mattia gloria del Principato, e non punto degenere alla grandezza del gran Ferdinando, che co' due gloriosi germani formando un Trigono luminosissimo, fa che fiammeggiano triplicati a FRANCESCO gli honori.

Pisa la Dottissima Mastra delle Scienze, annovera fra' suoi semplici Medicinali l'Intercessione di FRANCESCO, coltivata singolarmente nel Venerdì, possente a risanar gli Egri, a scacciar la Morte, a guarir le palpitationi del cuore, a ravvivare gli Estinti, come ne fe' spesso fede sotto quel Cielo l'esperienza.

Pistoia, che coronata di glorie porta nel cuor impressa la fede al suo Principe, è nella fronte, che piega fedelissima a Dio, spiega la riverenza verso FRANCESCO, entri a colmarne i Fasti miracolosi. Città benedetta dal

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Cielo; anzi Cielo di benedittioni, poiché nel gran [177] Pontefice regnante versolle al Mondo. La preclarissima Famiglia Rospigliosa, che s'instella di tanti lumi siderei, quanti sono i Suggetti fulgidi, che da lei sorsero ad innalzarla, hor giunta all'auge della grandezza del clementissimo C L E M E N T E I X ., che si è sublimato all'auge della Virtù vera, e per conseguenza del Merito sussistente, può vantarsi d'haver'in esso un luminare maius, all'Orbe Ecclesiastico sfolgorante, mentre s'aggira indefesso sul carro trionfale della Maestà Pontificia, sopra l'Ecclittica della Giustitia, intorno alla via lattea dell'Innocenza, tra i Tropici della rettezza, fra i Poli della Carità, e della Speranza, ed esaltatione della Fede, col trino aspetto della fiammeggiante Tiara nel venturosissimo Vaticano. Vero Clemente, alla cui zelantissima Santità scaturisce di sotto il piè dell'Agnello Divino il vivo fonte della Clemenza. Vero Pastore, che solleva le sue pecorelle con provida ridondanza di cibo temporale, e celeste. Vero Sacerdote, che si esibisce vittima per i suoi Popoli. Vero capo della Chiesa, perché tutto mente: intelligenza verace della medesima, perché tutto spirito. Vero Pontefice, che forma del suo petto l'altare, del suo cuor'il turibolo, delle sue preghiere il timiama, dell'anima sua l'holocausto in sacrificar senza fumo le proprie viscere sviscerate per la salute del [178] Christianesimo a Dio. Vero Cherubino, che custodisce la via del legno della Vita, & il mistico Paradiso della Chiesa. Vero Vicario di Christo, per esser pietra vivissima, su cui si appoggia la Religione incrollabilmente fondata. Vero Pescatore degli huomini colla sua esemplare bontà; sicome fu sempre Pescatore de' cuori colla sua officiosissima gentilezza, e colla sua magnanimità generosa. Vero Aronne dell'Apostolico Soglio, poiché vi ascese da Dio chiamato a riempirlo colla Beatitudine del Ministero sovrano. Vero Salomone del sacro Trono, perché con esso vi si assise la Sapienza. Vero Mercurio del Giove non favoloso, perché fe' spuntar la Pace qual Iride sulle torbide nubi, che minacciavano co' tuoni guerrieri tempeste di sangue, e di fuoco. Vero Padre de' Principi, perché con genialissima providenza procura d'unirli al soccorso di Candia, per discacciarne que' Traci, che agognano a divorarla, ma se ben ancora circuibunt Civitatem, famem patientur ut canes, perché il gran Clemente colle preghiere la custodisce, e con assistenza esemplare a premunirla concorre. Vera Ape, ma senza pungolo, che nel giardin della Chiesa ha fatto subito spuntar le R O S E beate, e melificando nel Lione di Marco, produce al Cattolicismo la Primavera. Hor questo Santissimo Heroe fra gli altri tanti suoi pregi, [179] che l'ingrandiscono al Sommo, fe' sempre sfolgorar la Divotione verso di FRANCESCO, suo Protettore non so se più favorevole, o favorito. Quind'io in segno di humilissima gratitudine verso un così glorioso Principe di Santa Chiesa appendo nel Tempio della Fama questo

*

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[180]

Alla Santità di N. S.

CLEMENTE IX. Pontefice Ottimo, e Massimo.

SONETTO.

tella de' Cigni fosti, & hor sorgente

Splendi, fulgido Sol, nel Vaticano: Clemente al nome, & a l'aspetto humano: Caro a l'Aquila ardita, al Gallo ardente.

Da' tuoi sereni rai tosto rispente

Fur le faci d'Erini a un Marte insano: Aperto a Giove il Tempio, e chiuso a Giano; Tanto sol far potea Saggio un CLEMENTE.

Stella in Sol ti cangiasti: Ah l'empia Luna,

Per te scema, s'ecclissi horché sì pronti Spirti al Leon'il tuo calor raduna!

Deh non sia, che sì chiaro a noi tramonti!

Sta gli anni almen, con più vital fortuna, Che stier le Stelle a tramontar da i Monti.

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[181] Né debbo qui velar col silentio ingiusto la partiale adherenza,

che tutto l'inclita Famiglia Rospigliosa professa al Santo, poiché non debbe un Cielo di tante stelle restar coperto per me dalle atmosfere indegne dell'ingratitudine vaporosa. Risplende in quella l'Eccellenza pijssima di D. Camillo Castore chiarissimo del Sacro Polluce dalla mia penna qui sopra superficialmente lodato. Castore, che quanto più si concentra tanto più giova, e quanto più nell'auge vuol parer minimo tanto più sfolgoreggia. Egli non ha mai intermessa la divotione verso FRANCESCO suo particolarisimo Tutelare, il quale con l'affluenza degl'influssi celesti, nelle cordiali acclamationi di Roma festosa, che gli forma un Campidoglio di affetti esultati, & un arco trionfale di Gloria dal Cielo lo benedice.

Sotto quest'arco pur', e con ragione, trionfano agli applausi festivi dell'Universo Cattolico i tre gloriosi Fratelli Rospigliosi, Giacomo, Eminentissimo più per la Virtù, che per la Porpora, Don Fra Vincenzo, e D.

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Tomaso, più per lo merito, che per lo titolo Eccellentissimi. Questo gran Ternario di lumi candidi, perché non fumosi, con religiosissimo ardore fiammeggia, a rischiarare, ad accendere il Christianesmo. Bisognerebbemi stemprar le stelle per abbozzar'un Trigono così stellante, ma questa mia pagina [182] somiglievole alla via lattea per lo candore, seminata di tremuli, perché riverentiali asterismi, non è capace di quelle lodi, che richiedono le sfere per fogli, e per Panegiriste le Intelligenze. Solo dirò, che se il gran Clemente è l'Atlante Santissimo della Chiesa, il gran Giacomo n'è il sacro Alcide. Giacomo, che havendo un nome tonante, ha una lena invincibile d'animo, una fulgidezza abbagliante d'anima, un rimbombo chiaro di acclamationi. Hor questo Fosforo Porporato, che precorre dovunque arriva, la luce solare, del suo gran Zio, & Hespero fido le va facendo luminoso la retroguardia, fu così sempre, co' non degeneri suoi fratelli, di FRANCESCO, e del di lui Ordine partiale, che ben dovea la mia penna indorar del mio Patriarca i Fasti coll'auree strisce di questi Elogij, ancorché scarsi, ma non mendicati da un Mendicante.

Parma, che ha la Palma Hereditaria ne' valor degli Heroici, & Invitti Farnesi, Principi, che sempre sposarono la Virtù, e campeggiarono anche in Pace Gloriosissimi, riverisce FRANCESCO, che la protegge, e conserva, prosperando quell'Inclita Stirpe, che tutta intrecciata di Allori, sempre più fruttifera, e vigorosa s'infronda. Qui non debbo lasciar'obliata la gran Principessa Margarita di Toscana, Vedova del famoso Odoardo, la quale vive a FRANCESCO, & alla di [183] lui Religione con genialissima pietà cotanto inclinata, che dal suo grand'animo fa rifolgorare l'ingenito amore della Virtù, di cui ella per tutte le circostanze può addimandarsi un'Amazone valorosa.

Comparisca qui ancora a coronar di FRANCESCO i Fasti la Real Margarita, Principessa di Savoia, primiera Sposa del nobilissimo Rannucio regnante. Ah che bisognerebbe, che queste mie linee fossero filze di Perle per intrecciar lacrimosi serti alla memoria funesta, ma sempre più chiara di questa Dama immortale. Margarita sì, che nelle porte della celeste Gerusalemme può inaugurarsi innestata, o nel purissimo vezzo di quelle perle, che generate nella conchiglia della divotione, al rugiadoso stillicidio de' prieghi, forman divelte da queste limacciose, e basse maremme all'Alba eterna il monile. Tale si dee piamente credere, che sia Margarita, & io potrei esserne testimonio di asseveranza severa poiché, tra le altre prove, ch'ella diè sempre della sua bontà non fucata, la vidi più volte pender'affabile dalla mia voce scabra evangelizante in Torino, gran contrasegno di quell'indole religiosa, che la rendea sfavillante stella stationaria in faccia del Sol'eterno nella Tribuna di S. Giovanni, mentr'io come vapor opaco mi raggirava in quel Pergamo asceso. In Parma poi la riverij di passagio pochi mesi prima, ch'ella passasse [184] ad arricchir l'Eritreo della Gloria, e tacendo gli honori, che la generosa si compiacque di ripartirmi, l'osservai, nel tributarle i convenevoli della mia osservanza, tinta di un pallor prenuntio di morte, ma però sempre sfavillar, come stella appunto sul tramontare, non meno spiritosa nella frizzatura delle vivaci parole, che spirituale nell'espressiva de'

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suoi concetti: Felice il Mondo se havesse così felicemente la saggia saputo esprimere quelli del corpo, come fea quei dell'anima. M'incaricò strettamente di dover pregar per l'Altezza sua, c'hor senza la nuvola della mortalità si può chiamare più propriamente Serenissima, e m'ingiunse con replicata anelanza, ch'io la raccomandassi al mio Santo, principalissimo suo Avvocato, pregandolo, che nelle fluttuationi di una vita ondeggiante in questo procelloso mare del Secolo si degnasse di scorgerla al porto della vera salute. Così seguì appunto, e quella gran Principessa, che indorò la Dora col suo splendore, fe' svenir la Parma col suo deliquio, accrescendo a questi due fiumi lagrimata gli humori.

Piacenza, che porta in fronte il Nome di Pia, essendolo ancora di fatti conserva nel cuore la Divotione del gran FRANCESCO, da cui, nel Venerdì particolarmente supplicato riporta sensibilissimi Emolumenti.

[185] Mantova, Nido de' Cigni, e Reggia dell'Aquile, cole FRANCESCO sopra il suo Lago, qual Cigno candido, e nel suo Cielo qual Aquila proteggidrice. Son a lui troppo cari gl'Imperiali Gonzaghi per non iscordarseli mai: Gli hebbe in Francia suoi Fondatori, e per gratissima corrispondenza in Italia li conserva ristabiliti. Quel purissimo Sangue, da cui si accrebbe cotanto lo splendor alle Porpore non può mancare nelle sue augustissime Vene, perché FRANCESCO il fomenta colle sue Divinissime Gratie. L'Austriaca Isabella Clara Arciduchessa Reggente compendia nel suo gran cuore la pietà di tante anime generose, che coronarono quel nobilissimo Trono. A FRANCESCO deve quello Stato felice il virtuosissimo Duca sorgente, che negli albòri di un rischiarato Orizonte, scorto da un'Aurora così fiorita di senno come l'Imperiale sua Genitrice non mutuata luce Sol della Reggia già purpureggia.

Qui farei torto alla gratitudine più dovuta, se non istellassi queste mie pagine col fulgido nome del Principe Alfonso, Conte di Novellara, Fondatore benefico di un Convento all'Ordine Minimo, e di FRANCESCO sviscerato divoto, gareggiando colla nobilissima Principessa sua Sposa nella fedelissima Divotione verso il Miracoloso lor Protettore. È quella gran Dama figlia heroica [186] del famoso Principe di Massa di Carrara Alderano, e Sorella di quel gran Cardinal Cibò, che ha fatto sepellire nelle sue valorose Legationi la fellonia, e risorgere la Giustitia. Queste due famosissime Famiglie hanno havuto sempre, e conserveranno ogn'hora più fervoroso, pijssimo l'affetto verso FRANCESCO, che arridente dal Cielo le prospera, e benedice.

Bologna, la Minerva Italica, Centro delle Lettere, Scuola di Sapienza, Sfera di Nobiltà, e Teatro di Religione, honora FRANCESCO ad ogni tempo, e precisamente ogni Venerdì, perché tante volte, in quel giorno in cui pianse il Sol ecclissato all'hor, che morì la Vita, le si mostra FRANCESCO, Sole più bello, in dar la Vita alla Morte, chiaro, e ridente. A portar qua di Bologna le Glorie si stancherebbe non solo della mia penna la fievolezza incurvata, ma sì piegherebbe anche la clava herculea de' più facondi Alcidi, che reggano le sfere dell'Eloquenza. È quella gran Città un regolatissimo Cielo, a cui mai non manca un purpureo cardine, che la sostenga. Sono que'

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gran Cavalieri Astri così fulgidi, che ancora risplendono in faccia al Sole. Quel maestoso Senato è composto tutto di Stelle benefiche, e così chiare, che mai non fan movimento, che non influiscano luminose. Splende fra queste il gran Senator Carlo Luigi Scappi, di cui può dubitarsi [187] se sia più saggio, o più pio; più huomo, o più gentile; più luminoso, o più sodo; più direttore, o più retto. Per lui ha Felsina il suo Seneca, com'hebbe in Roma, il suo Solone come la Grecia. Egli è un Quaranta, che val per mille; e se più d'una volta fu Confaloniere della sua Patria può esserlo sempre della Virtù. Questo fugace, ma veridico Elogio, tributo della mia ossequiosa obligatione, non giunge ad un merito, che per esser'interminabile non può ristringersi nell'angustia di quattro linee. Fugge le lodi chi è solito d'encomiar sé stesso con le opere, e le geste d'anime grandi sono periodi più sonori, che quelli dell'aureo Panegirista del gran Traiano. Tacio perciò i pregi de' nobilissimi Marchesi Camillo Senatore, e Giuseppe gran Croce de SS. Mauritio, e Lazaro dell'insigne Famiglia Paleotti, e di tante altre generosissime stirpi, che con singolarissima Divotione si curvano a FRANCESCO in Bologna, non con affettata pompa di affetti, ma con affettuosa sincerità di preghiere.

Ma tacer già non debbo l'Eccellenza nobilissima del Signor Marchese Riario, in cui come nel Rio della Plata si disgorgano i tesori della Fortuna, e della Virtù, mentre gareggiano ambe per ingrandirne la piena, e per renderlo non tralignante dalla sua augusta sorgente. Ad un alveo così maestoso, e purgato aggiunge questo [188] gran Cavaliere una Pietà congenita, & una particolarissima Divotione verso FRANCESCO, ch'egli non cessa di venerare come suo fortissimo Protettore.

Coroni la pijssima gloria della nobilissima Regina dell'Italico Reno il nome gemmato del Conte Senator Gio. Francesco Isolani, Nipote del rinomato, & honorato tanto Marchese Cornelio Malvasia; e Cavaliere di Singolarissimi pregi, nel quale concorre con la riputatione la nascita, con l'ingegno il giudicio, con la gentilezza il decoro per renderlo degno della sonora sua fama. Egli un Idolo delle Muse, un Paraninfo delle Gratie, un Protettor delle Lettere, & un Lince delle Scienze più curiose. Ma s'ei si fa sentir sul Parnaso Cigno armonioso per la canora sua vena, si fa scorger anche nel Tempio Cigno divoto sotto la Protettione di FRANCESCO, da lui come suo Sacro Apollo implorato.

Modona, de' Valorosissimi, e Nobilissimi Estensi Purpureo Trono, non cessa d'inchinarsi a FRANCESCO, perpetuo Protettor di que' Principi, che così Principali, come degni dell'Impero di un Mondo per la Virtù, son'anche degni d'essere custoditi da FRANCESCO per la Pietà, con cui l'invocarono sempre divoti, e nell'alloggiarlo splendidi in Terra l'obligatione ad esser loro splendente in Cielo. Viva l'immortal memoria degli [189] Alfonsi, che furono di FRANCESCO tanto ferventi, che ferono traspirar l'ardore verso di esso generosamente inesausto. Vivano pure negli annali della gratitudine gl'incliti Estensi, che o fiano Aquile bianche per la candidezza dell'animo, o nere per l'heroica Stirpe sempre fissarono il guardo pio in questo Sole divino. Le due gran Principesse Spose successive di

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Rannucio, il gran Farnese, Sorelle di Virtù, come di Natali, Figlie non malignanti di Francesco l'invitto, il Saggio, il valoroso Italico Marte, l'una perché defunta, per ceder'il talamo all'altra, da riverirsi come Aquila nera, ma candida per i costumi, se non se per lo volo: l'altra da encomiarsi come Aquila bianca per haver rinovata dell'estinta Suora in Parma con la sua presenza la candidezza, e risarcitone felicemente l'ali reali, che dalla Parca maligna furono troche; hor queste all'altar di FRANCESCO, che adornarono con magnanima munificenza, il Tempio di FRANCESCO, che concorsero a riedificare con providenza limosiniera, più volte si presentarono ossequiose, e ne riportarono doni votivi.

Angusto è questo foglio per rimostrarvi sopra della gran Lucrezia Barberina Colonna le glorie, che sono intrecciate alla prudenza di un'anima veracemente romana. Ella, che honora il Sesso con la virtù sua maschile, e più divoto il rende [190] con la sua pietà sfolgorante, Tortora solitaria, dirolla meglio Aquila solare, a FRANCESCO sovente si eleva per consolar le tenebre del suo intrepido Vedovaggio. Qual Aquilino, che ha già spiegate regie le penne col proprio materno esempio solleva il generoso Rinaldo, in cui redivivo il gran Genitore si ammira, Principe degno della fortuna di un Alessandro per haverne il cuore; alla grandezza del cui petto regale, e di un merito già maturo nel fior degli anni, angusto sarebbe un Mondo, ma egli, che ha saputo impugnar lo scettro di tutti i cuori si è reso padrone del più nobile impero.

Entri qui hora fastosa a laurear di FRANCESCO i Fasti Laura la spiritosa, la pia Duchessa Reggente, non men partiale del Santo di quello, che sia la gran Principessa di Contì sua Sorella, che si può dir nella Gallia Minerva. Minerva pure può dirsi Laura, madre se non figlia di un Giove, che tal va crescendo il vivente Duca in una così accurata educatione della gran Genitrice a' suoi Stati. Che se di Giove è simbolo l'Aquila, con qual gran volata comincia il nobilissimo Giovinetto ad emular del valor avìto i trionfi, poiché non gli manca la destra hereditaria de' fulmini di guerra, & ha le pupille così perspicaci per fissarle nel Cielo, in cui già contempla FRANCESCO suo Protettore.

[191] Ma per espor'in epilogo tutte del regij Estensi le glorie, basta produr il purpureo nome del gran Rinaldo Principe Cardinal d'Este, splendor così vivo dell'Ostro sacro, Astro così luminoso dell'Ecclesiastico Cielo. Rinaldo, che tutto è Specchio, ma di Diamante, in cui balenano i riflessi di una mente fulgidamente soda, e così sodamente fulgida, che non si può discernere nell'abbagliamento, che vibra la di lui grandezza s'egli sia più intelligente, o più maestoso. Egli è Rinaldo, e ciò basta. Rinaldo, che com'Aquila sua genitliaca stende le penne a volar duvunque la Fama arriva, e stringendo in vece di fulmini i Gigli d'oro, che son de' fulmini i più temuti, e più sfolgoranti, è del Gallo Reale il foriero. Hor'egli come Specchio da FRANCESCO DI PAULA singolarmente tira ne' raggi di esso col implorarlo il vigore; e come Aquila con la sua pijssima Altezza, quanto più si abbassa supplichevole a questo gran Minimo, tanto più sublime s'ingradisce, e s'innalza.

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Ferrara, che sotto un Nome di Ferro ha innumerabili pregi d'oro, sotto il Mantello di questo zelantissimo Elia ricovrata, mentre ha la sorte di bacciarli l'habito, discaccia i morbi letali, s'illustra colle nobilissime Discendenze propagate dal Santo Fecondo, e non mai arruginita nella Divotione verso di Esso, qual hora, [192] singolarmente nel Venerdì lo ricerca necessitosa, favorevolissimo lo rincontra; Sarebbe qui troppo suppina dimenticanza il silentio ingrato del merito, che la Purpurata Famiglia Rossetti con una così lunga prescrittione possiede in ordine al Patrocinio del Santo, non minor di quello, che accumula giornalmente per le sue singolari prerogative nell'estimatione del Mondo. Il gran Cardinal Rossetti, che fu l'Edipo Italico in iscioglier gli enigmi della Sfinge Anglicana: il Teseo che seppe uscir glorioso del Laberinto Inglese col filo della prudenza, la quale fu sempre la sua Arianna, senza temer il Minotauro biforme dell'Heresia. Quello, che prima intrecciò le lauree al suo capo, filosofante, che i fiori dell'età più ridente, degno negli animi suoi giovenili dell'Elogio, che Plinio il giovane scrisse a Serviano di Fusco Salinatore in quelle succinte, ma succose parole: Ipse est studiosus, literatus, etiam disertus, puer simplicitate, comitate iuvenis, senex gravitate. Parlo di quel Rossetti, che fe' arrossir l'Invidia col suo candore, e pria, che li pungesse la lanugine il mento trafisse l'Ignoranza con le acutezze Scolastiche del suo ingegno fiorito. Quello, che rende più grave la Porpora col suo sapere, più fulgida col suo splendore, più maestosa col suo portamento, più venerabile col suo decoro, più sensata col suo giudicio, e [193] più sacra colla sua Pietà. Pietà, che serve di specchio a Faenza, religiosamente rabbellita in osservarlo con una riverente osservanza, aggiunger riflessi alla mitra colla sua luce, e lustro al Pastorale colla sua mano. Pietà, che singolarissima sfolgora verso di FRANCESCO, cui ha fatto nel suo gran cuore un tempio, e nella sua divotissima mente un Sacrario. Non tralignante da esso si acclama l'ingegnosissimo, il compitissimo suo Nipote Francesco Marchese Rossetti fiore de' Cavalieri, & honor delle Muse fiorite delle quale è la Pecchia soave, poiché nell'alveare di un Gabinetto mellifica con l'acume della sua vena melodiosa, e fa rimbombar le scene con l'argutezza della sua dolcissima vena. E perché le Muse son per lo più delle Gratie compagne, singolarmente quando volano senza fuchi, essendo l'Api sempre amiche de' fiori, & i fiori sposi dell'Api, a questa Pecchia di Pimpla è toccato in sorte Consorte un Fiore di Saba: voglio dir che alla Musa del Marchese Rossetti, si accompagna una Gratia nella nobilissima Giulia Trotti, che ben si può chiamar fior di Saba per la fragranza delle Virtù, e per lo spirito della Pietà; e ben si può dir Gratia perché celeste, & ornata di tutti que' fregi, che decorono una modestissima, & esemplarissima Dama. Da FRANCESCO, Divino Aristeo, prendon la legge queste [194] due Api, per lui sviscerate; e perché il Santo fu sempre gelosissimo della gratia più pura, vedendone nella divotissima sua Marchesa Giulia il candore, dal Cielo la benedice, mentr'ella non intermette di presentarsi orante per lungo spatio tutti i Venerdì al di lui prodigiosissimo Altare, e di baciar quell'habito miracoloso di esso, del quale vanno le Gratie vestite.

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Io so, che doverei qui a tante Famiglie chiarissime, che indoran Ferrara colla genitliaca lor fulgidezza intesser'un Elogio fiorito per coronarne la partialissima Divotione, che professano al Santo a titolo di Pietà, e di gratitudine; ma mi perdonino s'io le lascio in bianco, perché del candor amiche abborrirebbero forse la tetrichezza del mio inchiostro, il quale non può con le sue ombre colorire la luce, ancorché vaglia nel contornarla, a fare, che maggiormente nell'Orizonte della Fama risplenda.

Tanto succede a Padova, la gran Città; Emporio delle Scienze, e Steccato delle Dottrine: A Vicenza Fulgida per sue Chiare Prerogative, & Illustre per le sue Famose Famiglie, la quale a FRANCESCO con beneficenza pijssima erge un Convento per alloggiarlo, e per haverlo Stationario in sua Casa: A Verona grande per lo giro, ma più per lo merito, che professando la Verità nel suo nome, e l'Honor ne' suoi Fatti, non partorisce [195] l'Odio, ma genera l'amore in chiunque la vede così Nobile, e Virtuosa: A Brescia, Pallade Armata, e Bellona Bella: A Bergamo, Pergamo non dell'Africa ma dell'Italia, che qual virtuosa Fenice in Religioso Rogo combusta a questo Sole di Carità spiega l'ale: A Lodi, che sempre lodevole ha molto suggetto di lodar FRANCESCO, il quale colle sue Beneficenze la fertilezza: A Como, che non sa come render piene le gratie a' favori, che da FRANCESCO riceve ancor più inesausti, che l'acque del suo vasto Lago: A Cremona, che per la sua Fortezza detta da Tacito Propugnaculum adversus Gallos, hebbe da un Santo, che fu tante volte Propugnacolo de' Galli stessi contro a' Galli medesimi la Difesa sulle sue Mura. Ad Alessandria, che generosa secondo il suon del suo Nome, ma più valorosa secondo il tuon del suo grido, quanto più attiva, tanto più resistente, hebbe più lancie che paglie per discacciar il nemico, c'hebbe più paglie negli occhi, che lancie nelle mani quando la cinse, mercè che FRANCESCO entro ad essa rinchiuso, non vuol esser assediato con arme, ma con preghiere: A Pavia, che havendo nel Tempio di Marco in FRANCESCO un Lione fe' ritirare sovente il Gallo, & abolì col contrario effetto l'Historia mendace, che s'intimorisca a fronte del Gallo, benché Re de' Piumati il Lione Re delle Fiere.

[196] Viterbo, che dalla Vite trahendo il nome appresta continuate vendemmie di divotione all'agricoltore sovrano, havendo nell'Eminentissimo Cardinale Brancacci un così provido Vignaiuolo, si appoggia per innalzarsi pampinosa, e fruttifera ad un Olmo così sublime di Santità come FRANCESCO, che stende i proteggenti suoi rami così profusi sovra le Stelle; E quel gran Porporato, che colle sue virtù fulgidissime le innamora, così sviscerato il cole, che delitiando nella fioreggiante memoria delle di lui geste ammirabili, condisce quasi sempre la frugale sua mensa colla leggitura di quelle, forse perché allo stupor della mente s'istupidisca il palato, e la bocca attonita più s'apra dalla maraviglia inarcata, che al cibo intenta. Così havendo un Parco alla sua tavola verticale vuol, che l'astinenza sua Economa gli trinci le moderate vivande, le quali attinge con sobria mano: con quella mano, che sapendo pescar l'anime colle gratie, si è resa degna di quell'Anello Piscatorio, che nel suo breve giro compendia la vastità

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delle sfere, e colla sua pietra viva, simbolo del Redentore, fortifica incrollabilmente la Chiesa Cattolica, a cui communica la fermezza sua vigorosa.

Tutte le lodate Città, e quasi, che tutte quelle, che fan corona alla Lombardia, riconoscon FRANCESCO per Salvaguardia, [197] onde frequentano le di lui Chiese come tanti Argini alle innondationi nemiche, come tante Scaturigini di Gratie celesti; e colla Divotione de' Tredici Venerdì, rifioriscono ne' loro Cittadini divoti, malgrado le rivolutioni de' Tempi sconvolti.

Ma degno fra tutte, come singolare, di singolar'Elogio Milano, sicome di tutto figura il Capo, merita sopra tutte di portar la Corona, Milano la Grande, la Forte, la Nobil, la Ricca, la Pia, la Virtuosa Città, che può chiamarsi Italico Parigi, il Decoro della Terra, la Maestà delle Adunanze, la Pietra del Paragone Politico, la Sfera della Religione Cattolica, il cuor della gentilezza urbanissima, il Corpo dello Spirito più divoto, & il centro di tutte le linee più giuste, non mai a bastanza lodata, perché sempre più lodevole, ingrandisce se stessa ancora coll'uscire dalle sue mura a riverire FRANCESCO, parendo, che faccia Pasqua nella Quaresima, in cui più singolarmente lo solennizza, e Domenica nei Venerdì, giorno nel quale particolarmente lo cole. Chi vuol gratie dal Cielo ricorra al FONTE dove raddoppiate disgorgano, e da MARIA, che è Mare di Gratie, e da FRANCESCO, che n'è il Canale. Il Cielo collocò nella Chiesa de' Minimi della FONTANA un Vivaio di vita: Se quivi la Vergine è la Piscina Probatica, [198] FRANCESCO è l'Angelo, che muove l'acque. Vi accorrono i languidi, gli ammorbati, gli afflitti, gli aridi, i Ciechi, se non di corpo, di mente, i zoppi, se non di piede di spirito; & ognun riede sano, o contento, perché in quell'onde fa naufragio il pericolo, si ammorzan le febri, si levan le macchie, si attuffano l'ire, si sommergono gli odij, e si dissolvono gl'Infortunij, FRANCESCO è il Giardiniero di quell'Horto Mistico, ed a lui tocca far correre i rigagni di quel Fonte salubre.

Fra tanti, che fer ricorso assetati ad abbeverarsi di gratie in quella Fontana di maraviglie, & ad attigner le acque da un Pozzo di Miracoli, come FRANCESCO, oltre a molti gran Cavalieri, e Dame Principali di quella Città famosa da' quali fu, in ogni tempo, riportata sorte felice, tacer non debbo l'Eminentissimo Litta, nuovo splendor della Porpora Vaticana, Gemma delle più fulgide, e virtuose, che mai sfolgorassero in quella gran Mitra Arcivescovale. Prelato, ch'empie la Sagra Sede, e la converte in venerabile Trono colla Maestà, che gli splende in volto, colla Nobiltà che dalla Nascita in lui deriva. Pastor'Urbano, e Giusto, Heroico, e Saggio, Cavaliero, e Dotto, Generoso, e Prudente, Religioso, e Discreto, Zelante, e Divoto. Divoto singolarmente di FRANCESCO suo particolarissimo [199] Protettore fin dalla Nascita, dal cui benefico aspetto, come dalla Stella sua Verticale aspettò sempre benign'Influssi, e sempre li ricevè a seconda del suo gran Merto, e della sua Pietà interminabile. Hor egli appunto si trovava finita la Divotione de' Tredici Venerdì, quando si trovò fiammeggiar sul capo l'Ostro Divino. L'ultimo di que' giorni consagrati al Santo gli recò

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l'Aurora Purpurea, e quando si rivolgeva a FRANCESCO, Polo de' Supplichevoli, si sentì dichiarato Cardine della Chiesa.

Io passerò, affin di accorciar il cammino, ancorché molte cose mi lasci addietro, in Piemonte per incontrar FRANCESCO a' piè delle Alpi, più delle Alpi medesime, sublimato. Torino l'Augusta Città, che più risplende in Terra per gli suoi Principi, che non fa nel Zodiaco il Toro per le sue Stelle: Quella, che vanta Fasti Sovrani, e Glorie indelebili, Dotta, Nobile, Pia, Religiosa, & Illustre, Deposito della Santissima Sindone, e perciò Erario del Paradiso, e Partialissima di FRANCESCO, ad esempio degli Augustissimi suoi Padroni, che lo chiamarono a sogiornar appresso di Essi per haver vicino un Genio così felice, e lo providero di sontuoso Albergo in un Tempio, degno di chi fabbricollo, e del Titolare, a cui venne dedicato. Quelle Altezze Reali l'impretiosirono moltissime volte colle loro Regie [200] Presenze, e non contente di abbellirlo co' loro Doni, l'ornarono co' loro Voti, l'honorarono colle loro Grandezze all'hora più Alte, quando si curvarono al Re de' Regi, & al Santo degli Humili; e più Reali quando posero la loro Corona a' piè di FRANCESCO, affinché Questi per renderla incrollabilmente perpetua la riponesse nelle mani di Dio, nelle quali stanno singolarmente le Sorti de' Principi.

La gran Christina di Francia, non mai a bastanza lodata, innumerabili Venerdì, e Novene offerì a FRANCESCO, e ne conseguì sempre i bramati intenti, come l'accenna l'Iscrittione del grand'Altare, così Magnificamente inalzato da essa al suo Santo, in questi formalissimi termini, spiegati colla penna di una Fenice, cioè con quella del mio carissimo, e riveritissimo Signor Conte D. Emanuele Tesauro:

Sancto Francisco de Paula Christiana a Francia, Quid pro se, Regiaque Prole, Saepe invocatus, semper affuit Æternum sacrat. E di fatto propagata, la Regia Propagine della Savoia, dalla Protettione

Verticale del Santo, sempre prontissimo a benedirla, nel novello Principe di Piemonte rifioreggia Pomposa, e come in Epitome espone, al favor di FRANCESCO, epilogata, non che proseguita la Serie de' suoi Heroici Personaggi.

[201] Nacque Vittorio Amedeo Francesco, in giorno di Venerdì, tutto luminoso col Sole a dimostrar di esser Parto de' Tredeci Venerdì con tanto fervore santificati dalla Regale sua Genidrice. La Pietà di Maria Giovanna Battista sfolgorò così bella, che innamorò gli Astri fulgidi del Paradiso a colmarla d'influssi fecondi. FRANCESCO arrise alla Genitura, come Stella de' Principi; e nel giorno, a lui dedicato, si fe' vedere tutto propitio. Tredeci Venerdì così dolcemente infiorati dalle preghiere dovevano haver per termine i quattordici di Maggio tutti fioriti. Mentre la Stagione ridente spargeva sulla Culla del nato Principe tempeste di Rose odorose, FRANCESCO arridente la colmava co' nembi di Gratie Divine. A lui tocca singolarmente conservarlo, perché singolarmente impetrollo; accioché se il

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Bambino hora tenero è il riso de' Genitori Sovrani, robusto ne sia la Gloria vera, e Glorioso ne sia il contento perfetto. Né questo mio Vaticinio si rende vano perché comincia a verificarsi con l'evidenza, che nuovamente si è resa fortunatamente cospicua, perché questo gran Principino sul confin di due anni nel corrente del 68, assalito da mordacissima febre già stava per accrescere collo spirito suo spirante una stella alla Galassia del Paradiso, una Rosa al Giardin dell'Empireo, quando a' due di Aprile, giorno [202] destinato ai Fasti di FRANCESCO DI PAULA respirò con sensibilissimo afflato del Cielo il regio Fanciullo all'aspiratione di tanti fervidi voti, che supplicarono il Santo a salvarlo da quell'ardente naufragio; così se un Maggio il diè come un fiore mirabile, un Aprile il ridonò come un frutto miracoloso; e FRANCESCO, che l'haveva impetrato tra i fiori delle preghiere, si compiacque di restituirlo tra i frutti delle allegrezze.

Pria di partir da Torino convien fissar di passaggio lo sguardo riverentissimo nella gran Principessa Lodovica di Savoia, che accoppiando ad un Senno Virile una Pietà d'Angelo, sicome perseguita valorosa nella Selva le Salvaggine fugaci Diana casta; così protegge nella corte le Virtù favorite Minerva Pia. Ella è partialissima di FRANCESCO, a cui prostra sovente tutta pietosa il suo cuore; Et havendolo per tanti Venerdì venerato Divota, obligollo ancora a conservarla felice; Né può presumersi mai, che il Santo non la rimiri dal Cielo con occhio dolce, per esser Ella il Deposito della Bontà virtuosa.

Dopo un così gran volo, che la mia penna innestata all'ale dell'Accademica Fama ha fatto per tutto il Mondo letterato, si raggira pur'anche in Piemonte, per lodar quella Casa Reale, sol'affin di pagar, [203] o almeno di confessar il debito, che la mia Religione ha contratto per le generose beneficenze di essa, e per la singolare Divotione, ch'ella al mio FRANCESCO professa.

Si raggiri pur la mia penna medesima là dove nella Chiesa de' Minimi si custodisce il cuore del Duca FRANCESCO, GIACINTO, in contrasegno, che la gran Christina di Francia donando a FRANCESCO in deposito il cuor del suo cuore, accoppiando sempre il suo a quello del suo Francesco, nol separava mai da quello del suo Giacinto. Essendo uniti questi due nomi in terra, come que' due spiriti in Cielo, doveano anche restar congiunti i cuori di FRANCESCO, e di Giacinto; e perché la gran Dama non mai staccò il suo cuor da FRANCESCO, per non dividerlo da Giacinto volle, che il cuor di Giacinto per non allontanarsi mai col pensiero de quello fosse riposto là dove la magnanima benefattrice havea collocato il suo cuore, per verificar l'Assioma classico del Liceo: Qua sunt eadem inter se sunt eadem uni tertio. Ma di giustitia toccava il cuor di Giacinto a FRANCESCO, poiché FRANCESCO haveva rapita l'anima di Giacinto; che se con questa come con gemma pretiosa adornò la Corona del Re de' Secoli, con quello come con pietra reale gittò le prime fondamenta della regia sua Chiesa.

[204] Io favello di cuori reali, e perciò non può riputarsi solo che cordiale, sol che reale questa mia lode. I cuori de' Grandi sono sempre correlativi, quindi è, che nel Tempio de' Minimi di Torino si conserva pure,

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oltra quel di Francesco Giacinto, quel cuore, che fu più grande di tutta Roma. So, che m'intende chi legge, se pur'intende. Parlo per chi nol sa, e perciò parlo con pochi. Pochi son que', che non sappiano, che il cuore dell'augusto Principe Mauritio di Savoia, è il suggetto del mio discorso, è il predicato dalla mia penna. Io favello di quel cuore che bastò ad empier col suo fatto una Roma, Theatro degli Heroi. Mauritio, che con un cuor più grande, che non fu quello di Hermogene, rese angusto il Campidoglio all'hor, che dilatando gli splendori dell'ostro sacro col raggio fulgido del sangue regio, fe' velar col l'ale dell'Aquila Austriaca il suo Cavallo Sassonico a far de' sette colli un Permesso, aprendo nella sua Corte un Parnaso, e facendo scaturire non meno rivi d'eloquenza dall'altrui bocca, che fiumi d'oro dalla sua mano. Dalla di lui famosa Accademia uscirono i Porporati più celebri, i Prelati più facondi, & anche i Pontefici più eloquenti. Regnavan l'Api quando le Rose della Savoia, Reine de' fiori purpureggiavano in Roma, che perciò si vedeva questa diventata un'Hibla di Letterati. [205] Ogni Talia era divenuta stipendiaria ancella della Virtù, né questa affamava spogliata negli atrij, ma si scaldava pasciuta ne' Gabinetti. Ogni Pane, ancorché agreste, purché havesse una rusticana Sirigna alla mano, si ricovrava al rezzo di un Platano così grande come Mauritio, che sotto l'ombra della sua Protettione accoglieva i Regni, non che i Filosofi, né mai per lui alle Muse mancò provianda, né Cerere a Minerva, né Bacco ad Apollo. Ma tronchiam perché digressivo l'Elogio, e trattiam della Divotione di Mauritio singolarissima verso FRANCESCO. Mauritio, che candido qual Ermellino di genio, si adagiò sovente co' suoi ricorsi a FRANCESCO in grembo. A FRANCESCO appunto parea, che disponesse di donar'il suo cuore, perché frequentemente moveva i passi ne' di lui Claustri, e parea, che dicesse con affabil sorriso: Hor'il lascio, hor'il depongo qui dove ha destinato il Cielo, che sia sepolto. Ma se FRANCESCO era il tesoro spiritual di Mauritio, ben conveniva, che presagisse, che presso di FRANCESCO depositar doveva il suo cuore. Anche più alla lettera si può intendere ciò, che testè ho detto, perché vivendo Mauritio cominciò a diffonder'il suo tesoro nella Chiesa di FRANCESCO, impiegandolo in far sorgere una sontuosa Cappella, a Nostra Dama del buon [206] soccorso: Quivi dunque conveniva, che il di lui cuore havesse il proprio suo luogo, perché ubi thesauras vester est ibi, & cor vestrum erit.

A questi due gran cuori, se ben' estinti ancor luminosi, succedeano nell'elogio due altri gran cuori avvampati tutti di gloriosissimo ardore. Io so ben, che l'esperto Lettore mi prende al motto, e capisce subito, ch'io favello de' due Serenissimi Principi Filiberto, & Eugenio, il primo Principe di Carignano, & il secondo Conte di Soessone, Figli dell'invittissimo Principe Francesco Tomaso di Savoia, il Marte Alpino, dell'Alpi assai più candido, e forte. Egli che fra' suoi principalissimi Tutelari annoverò FRANCESCO, di cui ostentava più con l'opere, che col vanto religiosissimo il nome, trasfuse col Sangue nella sua Prole augusta non meno la Pietà, che il valore. Filiberto di Savoia è un Principe che sa favellar meglio con la destra, che con la lingua, e più col cuore, che con la bocca Principe al baleno della sua spada

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fulminante in guerra, al lampo della sua magnanimitade tonante in pace: Saggio egualmente, e forte: prudente all'egual di pio, con la sodezza della sua mente base della Virtù, colla sensatezza del suo capo capitollo dell'Honore, e tutto in uno Colonna del Principato, la cui maestà sa così ben sostenere, che non mai, benché pieghevole per l'affabilità [207] decorosa, si lascia veder vacillante per la serietà sua serena più, che severa. Severa è bensì la di lui religiosa divotione, singolarmente verso FRANCESCO, nel cui Tempio sovente si curva orante con esemplarissima rimostranza del suo pijssimo, e gentilissimo genio, a cui debbe il mio ossequio obbligato, non che la sincerità di questi caratteri veri nella continuatione de' miei affetti dalla riverenza temprati. Tanto posso dir di Eugenio Conte di Soessone, Principe, a cui l'Italica riputatione tanto è tenuta, poiché la fa campeggiare tra i Gigli d'oro, volando egli tra i Galli più sublime di un'Aquila, & appunto, qual Aquila, sollevandosi a venerare FRANCESCO, suo chiaro Sole.

Non debbo qui trasandar'i due chiari Lumi di quell'augustissimo Sangue, che splendono con gare alterne di luce, ad illustrarne maggiormente le glorie. Son questi D. Gabriello, D. Antonio di Savoia: il Castore, & il Polluce del Ciel Alpino: Fratelli per l'ascendenza della Nascita; ma molto più per la somiglianza del Merito. Son eglino i Gemini di quel Zodiaco sfolgorante; e ben con Homero può la penna descriverli come i Gemini:

Iovis è caelesti semine natos, perché Figli di quel Carlo Emanuello, il quale dal Soglio sassoso

dell'Alpi, con perpetua bellicosa tempesta, avventò colla [208] mano intrepida, & ambidestra, splendida al par di splendente, cotanti fulmini, e profuse tanti tesori. Come fulmini appunto di valor', e d'ingegno, uscirono i due incliti Germani da quel Giove tonante; e se il primo è un fulmine in guerra, il secondo è un'Iride in pace. Fulmine il primo, poiché sconfisse con generose prodezze (onde si accreditò per un Marte vittorioso) più volte i nemici; Iride il secondo, poiché co i colori delle Virtù più nobili (onde si accreditò per un Mercurio eloquente) balenò sempre sereno. Il primo, come fulmine, riconosce da FRANCESCO, (Santo veramente di fuoco, e non mai di fumo) il vigor', & il Lampo: Il secondo, com'Iride, trahe da FRANCESCO (inecclissabil Sole di Santità) con singolar divotione la fulgidezza.

Di voi non parlo, valorosi, Nobili, forti, e gentilissimi Cavalieri Piemontesi, e Savoiardi, perché la mia penna non ha tratti bastevoli ad abbozzar né meno una striscia del vostro ardentissimo lume, del vostro luminosissimo ardore, con cui fiammeggiando ossequiosi, & ossequiandolo fiammeggianti a FRANCESCO accendete il cuore. Voi, ne' quali si epiloga con epitome spiritosa la Virtù militare, la Cavaglieria virtuosa, siete gli Astri indefessi, che vi aggirate sempre a FRANCESCO. Né men parlerò di voi preclarissime Dame del Piemonte, e della [209] Savoia, che formate la via di latte, perché il mio inchiostro è troppo dissimile dal vostro candore. Voi Stelle purissime, che vi lasciate rapir dal Cielo, e mover da un'Intelligenza,

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come FRANCESCO, il quale si può dir, senza ingrandimento, la Stella più verticale di quella famosissima Corte.

Con occhio non meno grato mira FRANCESCO la Regia Corte de' Galli, a protegger la quale Egli stende l'ale, qual Aquila, dal Paradiso. Ricordevole quanto vi fosse già ben'accolto nel Mondo non può scordarsene mai: L'accoglie perciò supplichevole ne' voti, che ad Esso porge; e fa spedir favorevole le Richieste, Mastro di esse nel gran Tribunale della Misericordia Divina, in cui si assolvono i Rei, Avvocato di prima Classe in quel Parlamento Celeste, così Saggio, perché vi si favella coll'Intelletto, entra tutto giorno in ringhiera a patrocinar le cause degl'innumerabili suoi Divoti, che, singolarmente ogni Venerdì, si presentano a' di lui Sagri Altari, per impetrar colla di lui Santa facondia gratiosi i Rescritti.

Parigi quella Città impareggiabile, ch'Io non so se la chiami un Mondo di Popolo, od un Popol di Mondo: una Città di Provincie, od una Provincia di Città, di un Capo di un Regno, od un Regno di un Capo: per la sua Confusione distinto [210] dalle altre Adunanze, e per la sua adunanza confuso nella distintione di tante Genti, che quanto più varie, son tanto più folte; e quanto più vaganti di piede, tanto più stravaganti di Genio: Mostro, ma bello, e perciò curiosamente veduto Hidra, che, quanti Borghi, ha teste, sempre più pullulante di Nationi; non velenosa, né fiera, ma alletadrice, e cortese Mare, benché sconvolto, sempre più navigato, che per la sua Grandezza tien l'Isole in grembo; fra le Turbe infinite, che vi ondeggiano come flutti, conta numerosissimi Divoti del Santo, da' quali, come Stella foriera di eterna Luce, particolarmente nel Venerdì, vien tutto l'Anno con frequentissima sollecitudine riverito.

Accorrono que' Principi bravi, quelle Principesse Divote, que' Cavlieri valorosi, quelle Dame fioreggianti; e que' Borghesi Limosinieri alla Cappella di FRANCESCO, come ad un Fonte di Consolationi; e mentre la fanno sfavillare di lumi, più accesi ne' candidi affetti, che nelle Cere stillate, sentono refrigerarsi l'interno al provluvio delle Gratie profuse, che scaturite da così fausta Sorgente, ricevono quelli con isgorgo abbondante.

Anna d'Austria, la gran Madre Reina, che tanto candor, e fermezza accrebbe a' Gigli Reali, impetrò a questi da FRANCESCO la fertilezza (poiché, secondo [211] Plinio, Lilium seritur lacryma sua) Coll'abbondanza delle lagrime sue Votive, che sparse, per un anno intero, ogni Venerdì nella Chiesa de' Minimi della Piazza Reale: dove cibata del Pan degli Angeli, alle sonore preghiere del nostro Celeste Arione fe' comparir finalmente sopra la Senna un Delfino.

E che dirò di Teresa la gran Reina Regnante, vivacissimo Simulacro della Virtù, Aquila di Nascita, Colomba di costumi, Fenice di Pietà. Stella di Bellezza, e Sole di Gloria? A FRANCESCO suo Tutelare, fra gli altri tanti, ancor fe' ricorso, e ne riportò l'assistenza. Nel giorno di tutti i Santi hebbe un Frutto di tutt'i Voti; e partorendo alla Francia un Giglio, portò in Novembre la Primavera; & esponendo alla Reggia un Delfino, diede al Mondo un Heroe, che non men fie valoroso de' suoi Ascendenti, poiché si schierò tutto il Cielo, come in Battaglia, a fiancheggiarne la felicissima Genitura.

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Si stancherebbe la Penna, se volesse intraprender'il volo sopra tutta la Gallia a raccor le notitie della Divotione de' Tredici Venerdì, così fruttuosa nell'esito come fiorita nell'esercitio.

Non meno si stancherebbe se calandosi in Aix, ch'è la Minerva della Provenza, volesse lodar la Pietà di quel Capo sacro, che per essere tutto mente può senz'adulatioria inorpellatura chiamarsi di Aix la [212] Minerva. Io m'avvego, che son inteso, perché favellando di un Lume purpureggiante qual Hespero, non può la notte dell'ignoranza coprirlo agli occhi intellettuali. Parlo di quel gran Cardinale Geronimo Grimaldi, Arcivescovo di quella Città famosa, il qual le accresce colla sua presenza la Fama, e col suo Pastorale l'honore. Egli è quel grande, che non degenere da la sua generosissima Stirpe, vola con l'Aquila sua Genitliaca per lo Ciel della Gloria, e col mele purgatissimo del suo merito sustantioso è di tanta pastura all'Api del Vaticano, e co' sudori fulgidi della sua saggia fronte recò tanto inaffiamento a' Gigli Reali. Con un petto di diamante ben fe' conoscersi per Cavalierone, che tal sovranome fastoso porta la sua Famiglia, Heroina, che generollo come un Hettore della Porpora, e come un Achille della Virtù. Se la verità de' di lui pregi impregiabili mi sprona a lodarlo, la modestia del discreto suo spirito m'impone il silentio. Ma tacer non posso quando si tratta d'encomiar un Atlante così vigoroso della Religione Cattolica, e della Immunità Ecclesiastica. La Porpora, che 'l veste di fiamma, molto più il zelo, che ha per l'esaltatione della Chiesa, l'accredita un Serafino. Tal si è dimostrato in tanti Conclavi; e tal si fa venerar nella Prelatura. Come Serafino humanissimo, e così asceso, [213] che ama con genial'inclinatione FRANCESCO, il qual può chiamarsi Serafino divinizato nel suo refrigerantissimo incendio, e però così verticale alla Gallia, che sul partorire Genij cotanto focosi, e divoti al riverbero della Vita esemplare con cui l'infervora questo gran Cardinale, che nell'età sua più cadente, sempre più retto dall'Universo nella Francia si ammira.

Parli qui hora per tutte le Città di quel florido Regno, come antichissima, e di tanta riputatione, la sola Tours, che conservando le ceneri di FRANCESCO, mostrar si debbe per FRANCESCO più ardente, sì come per FRANCESCO è più chiara. Dica pur'Ella con qual'Affetto fiammeggi a far risplendere i Venerdì nelle Chiese di quel suo Minimo, da cui si trova tanto ingrandita. Da quella Tomba tanto honorata cava sovente la Vita sicura, e par ben, che FRANCESCO sia solito a far, che scaturiscano le fontane da' Sassi ad isgorgo, mentre da quella Pietra salubre fa sgorgar le gratie correnti.

Chi non si appaga ancora di queste cose, vada a radunar maggiori dimostrationi là nella Spagna, dove FRANCESCO, non minori forse, che nella Francia sparge i suoi Doni, colla frequentissima Divotione de' Tredeci Venerdì in quelle Città fedeli solenizzato.

[214] Madrid, che se ben porta il Nome di Villa, è il Centro della nobilissima Civiltà, e fondata sulla Pietra focaia cava il lume fin dalle sue Fondamenta: detta per Vanto Madre de todos, perché, qual Madre feconda, per tutti ha poppe; come Bambina lattante non sa staccarsi mai da

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FRANCESCO, che, qual Madre Amorosa, a ripartirle celesti alimenti l'accoglie in seno, & a prosciorla da cure infeste la stringe al Cuore.

Fra molti maestosissimi Monasteri degli Ordini Dottissimi Regolari campeggia quello della Vittoria, in cui sono i Minimi Massimi per l'Osservanza non finta, e per la Scienza non gonfia, in cui FRANCESCO nella Porta del Sole si fa veder luminoso; & havendo da un lato Nostra Signora della Soledad, dall'altro Nostra Dama del buon Successo, non può presagir sol, che felici, e sicuri Eventi: in quel così vasto, e chiaro Zodiaco, dove son tanti Mostri di luce, unito questo gran Lione, che fu vivente un Augello alla Vergine, fa splendere co' suoi raggi benefichi, gli ardori della Misericordia Divini. Ogni Venerdì è per FRANCESCO Festa Solenne, per esser Festa di un Sole: e pur FRANCESCO par, che all'hora meno riposi, per essere, il Venerdì, quel giorno, in cui maggiormente si fa conoscere attento nell'operare.

Tanto fa nell'Imperiale Toledo, nell'antica [215] Burgos, nella vasta Vagliadolitte, nella Dottissima Salamanca, nella Saggia Alcalà di Henarez; Et in tutti due giri della vecchia, e nuova Castiglia, dove non invecchia mai, e sempre più si rinova la memoria immortale di FRANCESCO maraviglioso.

Così succede nella bassa, e nell'alta Andalogia, dove s'inalzano con abbassarsi a FRANCESCO, tante Città Famose. Malaga, il riverisce, come un mar di Miracoli: Siviglia il cole in quattro Conventi principali, come un Cardine di quattro Angoli, a renderla sempre sicura. Granada sotto la Serra nevata arde di fervorosa Divotione nell'adorarlo. Anduxar nelle di lui Vergini l'honora fecondo di meriti, e ne' di lui Altari l'implora ferace di Gratie. Cordova lo sperimenta humanissimo nel soccorrerla con opportune sortite nelle avventure. In cento Città, e mille luoghi di quel diffuso Paese il Nome di FRANCESCO, che forma un'Echo ai di lui Fasti, trionfa.

Tutto il Regno di Aragona sovente si inchina a FRANCESCO, perché da FRANCESCO sovente vien sollevato. La Real Saragosa, che merita di esser, chiamata Augusta più per a Vergine, che con un Pilar la sostiene, che per la denominanza havuta da Chi fondolla riconosce in FRANCESCO un Cesare valoroso [216] a difenderla, e principalmente nel Venerdì, ch'Egli dà maggior Udienza, l'implora.

Il Regno delitiosissimo di Valenza fiorisce più per la Divotione verso FRANCESCO, che per la Verzura de' suoi Giardini, poiché se questi fan pompa di Primavera a' fiati de' Zeffiri, si seccan di State ai bollori della Canicola: ma quella, anche nel cuor dell'Estivo Meriggio, s'inghirlanda di candidi Gelsomini, e nel sen dell'Inverno gelato si corona di Rose fragranti.

Il gran Contado di Barcellona ha da FRANCESCO più afflati salubri, che non ha da' Favonij di Primavera: E quello di Rossiglione coglie più frutti da questa pianta celeste, che canne delle sue pallustri pianure.

La Maiorica divien Maggior di sé stessa, e fatta per questo Minimo grande, lo tien nel suo Capo adorato, e nel suo cuor lo conserva, perché non mai lo Spirito Vitale le manchi.

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La Sardegna lo chiama, quando lo supplica, S. FRANCESCO BELLO, con vezzo tutto particolare; e con ragione, perché non v'ha Bellezza maggior della Santità. Fu Bello FRANCESCO nelle fatteze del Corpo, che lo circoscrissero più, che humano; ma più bello assai a quelle dell'Anima, che lo accreditarono per Divino. Cagliari, Capo di quell'Isola fertile, amoreggia FRANCESCO, [217] che la fortifica, e la difende dalle Vertigini della Fortuna, di cui tien Egli sotto i piedi la ruota. Tutti li Venerdì sono a quella Città Venerabili per la memoria di FRANCESCO, alla cui statua si curvano quegl'Isolani Divoti, come chi beve assetato ad un Fonte di humori refrigeranti.

È questo generoso Benefattore un Albero Sagro, piantato sopra la riva di quel gran Fiume Beatifico, al cui gorgoglio sonoro si rallegra la Città di Dio vivente, così abbondante di frutti, che mentre l'un gli matura, l'altro gli spunta, e le mani pietose, che si spingono a coglierli, ne colman sempre, singolarmente nel Venerdì, delle Anime i seni.

Più tempo richiede la Descrittione de' Fasti di FRANCESCO in tutta la Spagna, che il trascorrerla in ogni sua Parte, dov'Ei si mostra sempre Prodigioso. Su 'l Manzanares, su 'l Tago, su l'Hebro, su 'l Pisverga, su 'l Guadiana, su 'l Guadalete, su 'l Guadalquivir; e su cento altri Fiumi di quel Paese Famoso la Fama di FRANCESCO fiorisce; e son tante le Gratie, che dalla di lui piena intercessione travasano, quante son l'onde, che in quelle Correnti profuse s'increspano.

Con Epifonema dovuto io debbo coronar l'Hispano devoto. Ho peregrinato per una gran parte dell'Europa, e non ho trovato ancora, chi sorpassi, se pur non [218] deggio dire chi eguagli la Pietà Spagnuola: Natione la più Religiosa che mi sia occorso di praticare giammai. Religiosa così, che il Religioso in Ispagna, vien osservato come riverito, e non come censurato. La capacità de' Capucci, che son teatri delle più sode Scienze, e la Dottrina de' Chiostri, che sono Reggie delle più Sacre Minerve, eccita col sapere l'ammiratione, e col decoro il rispetto. Que' Grandi si honorano di frequentar le Case de' Regolari, perché sono quelle tanti Areopaghi, & ogni Claustro può dirsi un Portico di Salomoni, un Porto di Letterati. Ma favellando individualmente del mio Ordine, che nella Porta del Sole in Madrid tanto luminoso risplende, Io posso attestar testimonio occulare, che que' Titolati di maggior fasto il depongono tutto a' piè di FRANCESCO. Più volte l'Almirante, & il Contestabile di Castiglia: i Duchi di Ossuna di Usseda, di Vejar, e molto altri di egual rinomanza, e grandezza, e deposta la spada, mi hanno servito di Ministri nell'adorabile Sacrificio dell'altare, abbattendo con gli Angioli l'ale della celebratione di così alto Mistero. Il Duca dell'Infantado Ambasciator Cattolico in Roma, dopo l'haver Io predicato alla di lui presenza, di tutta la sua Casa, e della Fattione Spagnuola, in Castigliano Idioma un Sermone del Sacramento Augustissimo, in cui digressivamente [219] m'insinuai ad encomiare la Pietà di quella Natione, degnossi al discender, che fei dal Pergamo di divertir il passo ad incontrarmi con queste esageratissime, ma generose espressioni: Muy bien a dicho V. P. como si hubiera naçido en España; y mucho nos a

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honrado mas que si fuera Español. Non isdegnò il medesimo all'hora, che argumentai nell'Atto celebre delle Conclusioni dedicate al Re Cattolico dal Padre Manero eletto all'hor Generale, & Assistente di esse nell'Araceli, il giorno di Pentecoste, di spiccarsi nel fine ad honorarmi con lodi procedute dalla magnanimità del suo cuore, non già dalla fievolezza del mio merito. Per la Veneratione singolare, che quel Grande professava al mio FRANCESCO proromper soleva in questi eccessi di cortesia tanto indovuti alla mia insufficienza, quanto proprij della sua Divotione. Per questo solo motivo la mia gratitudine mi ha sospinto a svagar in questo racconto.

Ma non ho certo svagato; né sarà vanità l'aggiungere, che l'Eminentissimo Cardinal di Aragona, quello al cui dolcissimo freno il Cavallo Partenopeo così pieghevole fe' voli altissimi d'Hipugrifo; & alla cui vigorosissima Intelligenza si muove così regolata la Cattolica Monarchia, non degenere dalla sua Regia Famiglia, la quale in un così preclaro Individuo compendia, se pur se non dilata [220] le sovrane sue Glorie nell'affetto sviscerato verso FRANCESCO, non cede a chiunque si sia. Ben l'ha fatto conoscere ad ogni emergenza, e singolarmente in Roma, dove ha fatto sorgere al Santo una sontuosissima Cappella, che ne' candidi marmi simboleggia la sodissima Divotione di lui, così partiale de' Minimi, che trovandone un altro gran Cardinale, nell'Anticamera di quello assemblati alcuni per l'udienza disse per vezzo ad Aragona, se si facea Capitolo quivi? e quegli rispose Esta es mi honra; honorandosi di honorare, con genialissima indole l'Ordine di quel Santo al cui honore non fu mai pigro.

Non debbo per la stessa ragione lasciar qui correre la memoria negletta di due nobilissimi Porporati Spagnuoli, fra gli altri tanti, che ha immortalati la Fama, & ha segnalati la Divotione verso FRANCESCO. Il Primo è l'Eminentissimo Cardinale di Sandoval già Arcivescovo di Toledo, Prelato, che addimesticò la Moderatione nella sua Corte, e convertì col suo esempio in Monastero il Palazzo: Il Secondo è l'Eminentissimo Cardinal Pimmentelli, che dal Claustro all'Ostro, e dalla Scola alla Mitra portò i fulgori. Questi due Grandi sono così benemeriti di FRANCESCO, come mi consta per l'honore c'hebbi di riverirli, il primo in Xaen & il secondo in Cordova, all'hor che servij nella Visita il mio Generale, [221] che li sentij fatti Panegiristi del Santo esprimere nelle lodi geniali di esso in una purpurea facondia una candida mente colorita da un pijssimo affetto verso la Religione de' Minimi. Per far compiuto il trisagio ad un gran Ternario, accenno qui la riveritissima rimembranza di quell'altro Augustissimo Cardinale Arcivescovo di Siviglia. Prole ben degna di quel gran Marchese Spinola, ch'essendo un'Aquila fulminea, generò una Colomba pacifica, e di genio così mite, così innocente, come quel gran Purpurato, che quanto di gloria diè la Guerra al Padre famoso, altretanto di fama diè al Figlio Sacro la Divotione. Quella, ch'ei professò a FRANCESCO fu tale, che in mia presenza disse al mio Generale, il quale gli havea portato il Palio mandatoli dal Sacro Pontefice Innocentio X. Padre Generale io posto nel più intimo del mio cuore la veneratione del Santo; e ciò basta per assicurarla, che

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sempre mi sta a cuore, un Ordine, che ha un così gran Fondatore, il quale co' suoi Miracoli ha stancata la Maraviglia.

Qui quando penso di haver'il mio Viaggio finito, eccomi nuovo suggetto di correre, perché mi si spiana all'occhio della riflessione il Basso Paese, su cui a cataste s'inalzano le Maraviglie da FRANCESCO operate. S'estolgono con pia Superbia per gli favori ricevuti dall'humilissimo [222] Santo cento Cittadi, e cento, che s'incatenano tutte colla Divotione verso FRANCESCO, e coronandosi nel Venerdì, per presentarsi ad esso, de' Fiori della Passione, colgono dinanzi a lui, che sparge nembi di Gratie, i Fior delle Maraviglie.

Brusselles il corteggia amoroso, colla sua Gentilissima Corte; e que' Gentil'huomini, che per la loro pietà non han nota alcuna d'huomini gentili, fanno a questo Grande del Paradiso convenevoli ossequiosi. Grande del Paradiso FRANCESCO, e perciò quasi sempre dipinto da' Pittori col Capo coperto. Grande perché quel Dio, che depose dalla Seggia sublime i superbi in Lucifero, in FRANCESCO, che fu il contraposto adeguato di quell'Orgoglioso fumante, esaltò gli humili ardenti.

Anversa a FRANCESCO s'inchina per rimaner sollevata dalle cadute delle colpe più rovinose, che quelle degli stati; E quella gran Città Mercantile, che si può chiamar l'India del Negotio, non ha Contrattione più utile di quella, che ha con FRANCESCO, il quale puntualissimo corrispondente non mai la lascia fallire. Così non lascia ella passar Venerdì, che nol segnali con qualche Traffico di Rilievo nella Fiera dell'Eternità, passando i suoi conti con questo Mercatante Celeste, a cui dando a cambio le sue Preghiere, con sensibile usura ne riporta il cento per uno, [223] da Dio promesso; e co' suoi Voti, multiplica a migliaia le gratie, che da FRANCESCO riceve.

Lo stesso a tutte le altre Città della Fiandra accade felicemente, perché in quel Cielo di Marte sempre si son goduti gl'Influssi di questo Giove; e 'l fragore dell'Armi non ha punto offuscato il tuono delle Preghiere, che, singolarmente ne' Venerdì si sono a FRANCESCO offerte Votive. Egli con sodezza maggiore di quella, che habbian le Dighe a rintuzzar i flussi delle crescenti Maree, rispigne gl'Influssi sdegnosi de' celesti furori; e sempre su quel basso suolo esaltato FRANCESCO, a que' Popoli fidi, a que' Pijssimi Genij, a quella Nobiltà ingenua risplende.

Mi si accolora lo Stile; e pure mi appresso al Norte, perché veggo la Germania ardere tutta nella Divotione verso FRANCESCO; e così avvampante nel cuore, come gelata clima fiammeggiar tutta accesa, nel Venerdì principalmente, per festeggiarlo.

Vienna, che ha la Fortuna di Cesare, con haver Cesare per fortuna: Corte nel Settentrione dell'Austro, che Spira dalle Maestà Imperiali, Zeffiri della Fede Cattolica, Serenissimi afflati; all'Aura di FRANCESCO, non come a quella de' suoi Venti nativi, ma tutta dolce, come ad un Salubre Favonio, si chiarifica tutta felicitata. Piegansi riverenti que' Palatini a [224] FRANCESCO per invocarlo; e come al loro Palladio a lui fan ricorso ossequiosi Que' Cattolici Principi, unendo alla Carità di FRANCESCO

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avvampante la loro purissima Fede, riportano da questo perpetuo Benefatore li frutti della loro ferace Speranza. L'Augustissima Imperatrice Leonora, che spiega l'honore del suo gran Nome, Leonza magnanima, anzi Aquila veramente Imperiale, poiché per lo suo gran senno ha due capi, e col nero ammanto oscura la fama delle Artemisie, volando così altamente con l'alta sua mente, che la perdon di vista i Linci più arguti, è un Panegirico fioritissimo del merito sublissimo di FRANCESCO. Ella, che ha la Maestà congenita, la perspicacità luminosa, la generosità familiare, la Prudenza usuale, e la Religione internata, è l'ammiratione del Secolo, la Fortuna del Sesso, la Tutelare della Virtù, la gloria delle Principesse, l'Heroina delle Gratie, è l'Amazona della Fede Cattolica. Ella è l'Aurora dell'Austro, la Pallade delle Muse, la Tramontana del Norte, la Stella del Settentrione, la Minerva delle Scienze, e la Serafina della Divotione. Helena del suo Secolo, se non Madre, Sposa di un Cesare, che se non fu Costantino nel nome, fu nelle geste grande, e pijssimo al paro di Costantino, trovò la Croce negl'incendij illibata, e ne accrebbe il culto, e dalle ceneri del [225] suo Palagio spiegando volo come Fenice al Sole Divino, portò la Croce racquistata, con la pietà d'un Heraclio alla sommità di quel culto, che si debbe a quel Santo Legno di cui fabricossi l'arca della Salute, così miracolosamente salvato in un diluvio di fuoco, che dileguando l'oro lasciò illeso quel Tronco da cui pendè la Vittima dell'Amore. A disfar i ghiacci della Germania, che l'algente Heresia impetrisce su i cuori alpini, basta questo novello prodigio, & è soverchio l'ardore, che fa sfolgorar dal suo petto per la Religione verace questa Dama Reale, così della Croce invaghita, che stringendola al seno fervente, non può a meno di abbracciarsi a FRANCESCO, che sempre alla Croce si strinse. Dicano i Minimi dell'Alemagna con qual cordiale svisceratezza honori la gran Leonora il gran Santo suo Tutelare; e con qual innesausta beneficenza dell'Imperiale Clemenza di quell'Austriaca Reggia sien sempre stati favoriti, e protetti.

L'Augusto Elettor di Baviera, fra gli altri tutti sfolgoreggia Sovrano, quanto per la sua sublimatissima Nobiltà, tanto per la sua humilissima Divotione, che singolarmente a FRANCESCO professa. L'alloggia ne' suoi stati, per haver'in essi una salvaguardia sicura, & in ciascun Monastero del di lui Ordine riverito un Alessifarmaco antidotale contro a' Veleni [226] dell'Anima, & a' malori del corpo. Ogni Venerdì vien FRANCESCO dall'Astronoma Divotione, che sempre si volge al Cielo, osservato, per esser quello il giorno più proprio, in cui questo bell'Astro di carità, fa i suoi movimenti vitali.

Ma non ha l'Arte del Dire così fini li suoi colori da ben pennellegiar sulle Carte la Pietà fina, e non finta, con cui Adelaide la Virtuosissima Principessa, splendor del suo Regio Sangue, Gloria del suo Nobil Sesso, Ornamento del suo fulgido Trono a FRANCESCO suo Tutelare singolarissimo, Sempre più retta si curva. Da FRANCESCO conosce particolari assistenze, & a FRANCESCO protesta continuate le obligationi. Da FRANCESCO ottenne la Prole per ristabilire lo Scettro Bavaro; & a FRANCESCO ogn'hor la presenta per conservar le sue viscere generose

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negli Augusti suoi Figli. Oh quanti Venerdì durono da Essa accesi co' prieghi, & infiorati co' Voti, accioché non le mancassero lumi, e frutti: Tanto appunto le avvenne. Hora regna contenta da FRANCESCO protetta, e da FRANCESCO protetta spera di regnar immortale.

Finisco la Prolusione, e me ne ritorno in Italia donde partij; che troppo bello è quel suolo a dimorarne lungamente lontano.

Per terminare colla Virtù stessa, siami [227] Mallevadora una Dama Forte, un'Amazone al petto intrepida, una Stella allo splendor della Nascita, uno Specchio al riflesso dello Spirito, una Perla alla purità del candore, un Diamante alla fermezza dell'Animo. Scrivo di Madama Aurelia Spinola, Grimaldi, Doria, Duchessa di Valentinese, e Principessa di Monaco Saggia al paro di Pia, Pia al paro di generosa, generosa al paro di Nobile, Nobile al parto di Sfortunata. Di quella, che rimasta in Fiore fra' Triboli, hebbe da una fatale Fortuna tante percosse, che sarebbero state bastevoli a spiantar le Quercie più radicate, spianar le Rocche più dure. A sembianza delle Vite feconde di Engaddi, priva nell'Età verdeggiante del Gloriosissimo Olmo Marito, appoggiossi alla Pianta soavissima del Crocifisso; Et havendo perduto un Hercole in Terra, trovò in ogni Santo Avvocato, particolarmente nel Nostro un Anteo Celeste, Artemisia del suo Secolo accordogliata, eresse all'estinto suo bene un pudicissimo Mausoleo del suo Cuore; Più fortunata ne' suoi Travagli; che altre molte nelle loro Prosperità; Onde mostrò in pratica quella gran Massima così poco praticata per la fiacchezza da tanti: Che la Constanza della Virtù non ha miglior paragone degl'Infortunij: Essendo questi, mentre coppellano un'Anima, che sia ben nata, Pietre, che la rendono più luminosa, perché quando toccano, illustrano; [228] & all'hora che paiono unirsi a formar la Tomba, si congegnano ad ergersi in Trono. Hor Aurelia, che più del Nome ha lo Spirito pretioso, e che nel Titolo professa la Valentia dell'Animo imperturbato, e che sa governar se stesso: Rosa non meno alla Bellezza Modesta del Regio Viso, che alla fragranza purissima delle spiritose, e spirituali sue Doti; come Rosa appunto, avvezza a star tra le Spinte, che intorno ad Essa, più che non la conservarono, la trafissero, dalle celesti rugiade sol riconosce il suo vigor coraggioso. Di questo (fatta Spettacolo di Fortezza da stancare la Maraviglia) diè tanti, e sì chiari Saggi, che ferono stupir l'Invidia più tetra, & inarcar le ciglia al più spietato livore. Sempre pugnante colle Sciagure, ma sempre Vittoriosa, fu Scoglio immobile in un Mar di affanni, fu Aquila trescante in un Ciel tempestoso, fu Palma innalzata da ingiusto peso, fu Lauro verde a' fulmini delle Traversie, fu Lume inestinguibile a' Venti opposto, accioché l'Età nostra non invidiasse all'Antica le Zenobie, le Penelopi, e le Amalassonte. Di queste dovute lodi al di lei gran Merito, benché scarse, die' la Prudente Magnanima ad ogni rincontro prove soverchie: singolarmente in faccia della Corte di Francia, dove propagò cogli Esempli della sua Indole tutta Pia, e tanto affettuosa, quanto non affettata [229] verso il Culto Divino, l'Osservanza Monastica ne' Chiostri delle Vergini Celibi, alle quali, se non impresse il rossore co' chiari riflessi della sua Candidezza, accrebbe il Candore co' verecondi riverberi della propria Modestia. Nel Monastero di

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Bella Caccia in Parigi, ritirata con altre Qualificatissime Dame, e Principesse (secondo lo Stile di quel Paese) non sol fe' preda di aiuto Celeste, ma di credito inestimabile, non così facilmente da moltissime, perché troppo corsero, sulla Carriera della discretezza, arrivato. L'encomiò la Reina Madre, che ben conobbe, in più Conferenze intimissime, lo Spirito d'oro di Aurelia, purificato dal fuoco de' patimenti; e l'Ingenuità impareggiabile di un Genio grande, che superò l'Infelicità colla Patienza, la Patienza colla Pietade. La coronarono di Elogi que' principali Magnati, e le Dame più alte di quella Reggia Sovrana, perché ammirarono in Aurelia una Bontà senza fuoco, un fuoco senza fumo, una Perspicacità senza fuligine, un Naturale senza artificio, una Sincerità senza maschera, una Parità senza nota, una Condotta senza inciampo, una Maestà senza superbia, un'Intelligenza senza errore, una vivacità senza balzo, un'Equalità senza intervallo, una Maturità senza sprezzo, un'innocenza senza neo, un Candor senza nero, un'Affabilità senza disegno, una [230] Semplicità senza scorza, una Scaltrezza senza raggiro, & una Pietà senza Hipocrisia. Hor questa Virtuosissima Principessa, havendo arrolato FRANCESCO fra' que' Santi suoi Difensori, che nell'Empireo possenti, vengono da lei tutto giorno, implorati: ossequiatolo anche colla Divotione de' Tredeci Venerdì, si è valsa di un Mitridate così vigoroso per contraveleno alle Vipere, e di Antidoto alle Cicùte.

Conchiudo il Peregrinaggio della mia Penna, mentre mi fermo nel Luogo Nativo del Santo per appenderla in voto al di lui Sagro Altare, intorno al quale pendono tanti cuori di argento, poiché non oso, e non debbo mettervi il mio di Piombo.

Paula, che può dirsi Minima delle Terre, ma come Paulo, che si diceva Minimo degli Apostoli; Sol se non le si aggiusta la Profetia sopra Bettelemme del nequaquam Minima, perché se ben in essa un Minimo nacque, fu Massima dall'hora, che partorillo, perché FRANCESCO, Imagine di Gesù viva, la fe' simile a Bettelemme medesima: e più fastosa per la Nascita del suo FRANCESCO, che non fu Itaca per quella del suo Ulisse. Non ha Fabbriche Eccelse nelle sue Case honorate, ma vanta un Colosso di Maraviglie nel suo Santo Miracoloso. Più famosa di Memfi, ha tanti Obelischi, quanti sono i Prodigij da FRANCESCO nel suo Territorio [231] operati, e più Piramidi innalza, che Babilonia Superba, nelle Gloriosissime Geste del suo Humile sublimato. Ha ella sulla sua riva un Faro di lume in FRANCESCO, che nel tenebroso Egitto di questo Mondo infelice addita a' Naviganti Mortali sicuro il Porto nel Paradiso. Ivi FRANCESCO, come nel suo Epiciclo, tutto luminoso si adora, e spande più raggi benefichi in terra, che non fa il Sole nell'Apogèo. Accorrono a venerarlo con Romerie Divote i Fedeli, e da lui partono colmi di Benedittioni Divine. Tutt'i Venerdì sono in Paula così solenni, che più risplendono per la Carità di FRANCESCO, che per la luce del Giorno.

Ma non deggio partir da PAULA senza appender'a quel Tempio, in cui hebbe la riverita mia Religione la culla, un Elogio sincero alla nobilissima Casa Spinelli, Padrona antichissima di quella Città, di Foscaldo, e di altre

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Cittadi, e Luoghi nella Calavria, e nel gran Regno di Napoli. Famiglia, che stanca le penne della Fama per la vastità della sua chiarezza augustissima, & accresce fulgidezze alla Gloria colla sua Pietà sì preclara, tutta festosamente compendiata negli Heroici Marchesi di Paula hoggidì viventi.

Nacque il mio Sovrano FRANCESCO, e visse fedelissimo Suddito degli [232] Spinelli, sempre fedeli sudditi a Dio; e fu da essi favorito, e protetto; come la Rosa, che naturalmente dalle spine è difesa: Ed anche in ciò egli svelò il suo genio; che havea di patire fin dalle fasce, spuntando all'ombra delle spine alla luce. Ma queste spine, imporporate da tante honoratissime Rose, sicome non recano sterilità, ma ornamento, così furono sempre intrecciate ad assiepar vigorose, e curve a questo Giglio fragrante del Paradiso. FRANCESCO perciò le benedice sempre dal Cielo, accioché sieno sempre fruttifere (sicome ne constano evidenti, e numerose le prove in una continuata, e miracolosa assistenza) e con ragione perché gl'incliti Spinelli sono i primarij, & i principali suoi Fondatori; Quindi è, che la cura più accurata di esso sia tutta intenta a conservare stabile, e florido uno Stelo così glorioso, che co' suoi rami carichi di Trofei, spinoso al nome, e ferace di merito, attrahe colla sua Divotione l'igneo FRANCESCO a sfolgorare, senza, che restino mai combuste, & incenerite, tra le sue fioritissime Spine.

So, che doverei qui nel finire spiegar, come Fasto di FRANCESCO particolarissimo, gli Elogi del di lui Ordine, perché gloria patris, est Filius sapiens; ma la mia Eloquenza sfiancata non giunge ad affasciar in succinte linee ciò, che richiede la vastità di ampli volumi. Io, che sono [233] fra i Cigni una Rondinella non posso in un piccol nido di creta, come questo mio corpo frale, o pur'in quello dell'angusta mia cella, tra l'arsicce paglie delle mie pagine armoneggiar canoro, per celebrar la fama di tanti, che la Penitenza fe' Martiri, tra' quali molti versarono il sangue svenati dagli Arabi, e dagli Heretici, e molti gl'inchiostri svenati dallo studio, e dal zelo d'ingrandire la Fede Cattolica. Parleranno per me le Storie: ma meglio quelle, che nel gran Libro della Vita, impresso sotto il torchio dell'Eternità con caratteri di Stelle si leggeranno ad un'occhiata veloce nella Visione Beata.

Coronò questa Prolusione, per indorarla, col riveritissimo nome del gran Cardinale D. Flavio Ghigi, che con Pontificia Maestà purprureggia nel lampo del suo nobilissimo Sangue, e nello splendore dell'ostro suo luminoso. Egli con l'Eminenza del suo merito s'innalza più sublime d'ogni Elogio, e mentre i suoi genitliaci monti toccan le stelle, non può se non radere 'l piè di quelli questa mia vaporosa, e non istellante Eloquenza. Ristringerò tutte le di lui Glorie nel divoto silentio; anzi spiegherolle in un motto con chiamarlo vero Protettore de' Minimi, che vuol dir Massimo, perché super omnem gloriam Protectio. Egli è Protettore della Religion di FRANCESCO, & in conseguenza il Cherubino custode di un terrestre [234] Paradiso, ma non si fa veder in forma di spada fulmineo, bensì di scudo radiante. All'ombra de' di lui monti si ricovra il mio Ordine; e ben può dirsi

Maioresque cadunt altis de montibus umbra,

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perché la Protettione di esso, è sempre maggiore; né a quest'ombre manca la luce per esser dalle stelle illustrate. Son però stelle, che non fan notte, ma che come il Fosforo portano il giorno, e splendono ancora in faccia del Sole. Le Stelle di questo Cardine hanno virtù magnetica di tirar a sé i cuori, e di far, che la Religione de' Minimi calamitata da' loro influssi nel volgersi ad esse habbia quiete. Così questa non può temer di non trovare sicuro il porto, perché veleggia con la scorta di Stelle sì chiare, e cotanto benefiche. Viva dunque felicissimo chi sa felicitar così generoso, e siano i Voti de' Minimi sempre rivolti al Cielo, perché queste Stelle mai non tramontino, poiché sono il Diadema più fulgido, che dalla Divotione intrecciato di questo gran Cardinale scintilli in terra al gran Patriarca FRANCESCO DI PAULA sul capo.

*

[235]

Perché il Venerdì sia destinato a così Salutare Divotione.

PROLUSIONE XI.

l Venerdì già profanato dal Nome d'impura Venere su

consagrato col Sangue Verginale del nostro purissimo Nume. Giorno segnato con quelle Perle, che stillò da' suoi Fonti

lagrimosi, & spirante l'allegrezza del Paradiso: Marcato nella Faretra della Croce con cinque Gemme di prezzo infinito nelle Piaghe adorabili del nostro amor Crocifisso.

Giorno, che nel Meriggio hebbe l'Alba coronata di Spine, e tempestata di Rose, tutta rugiadosa di Sangue, che spuntando nuda da un Monte, nelle tenebre dell'Universo confuso recò la luce al Genere Humano redento.

Giorno, in cui squarciatosi dall'imo al sommo il velo del Tempio non v'ha Portiera, che impedisca l'accesso a Dio.

Giorno, in cui all'Ecclisse del Sole si manifestò la Luce del Mondo, & al tremor della Terra si stabilì la Salute dell'Huomo.

Giorno, in cui si spezzano co' sassi i cuori, e dalle Coscienze fetenti, non meno, che dalle putride Tombe i corpi svegliati, fa risorgere l'Anime incarognite.

[236] Giorno, che ruba alla Morte anche i ladri, non che le spoglie rapite, e favorisce gli Assassini, ma Penitenti, che saccometton'il Paradiso in quel punto, in cui stavano per essere messi a Sacco già nell'Inferno.

Giorno, in cui si videre le Stelle di mezo dì, perché quel Dio, che stese il suo Cielo, come una pelle, stese la sua pelle come un Cielo, in cui sono

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tanti Astri fissi, quante Cicatrici impresse; e tanti ripercossi splendori, quante livorose sferzate.

Giorno, in cui fra le nubi del Ciel'oscuro, dopo un diluvio cruento comparsa l'Iride, in segno dell'Altissimo confederato con l'Huomo, & della Divina Giustitia pacificata con noi.

Giorno più chiaro per le sue tenebre, che non son gli altri per la lor fulgidezza: che nell'horrore risplende, delle ignominie si gloria, colla Morte si avviva, a' deliquij s'inforza, per le bassezze si esalta, sotto i flagelli s'inostra, fra le spine s'infiora, dentro al fiele si raddolcisce.

Giorno, in cui l'Eterno Padre, per islegar gli Schiavi, legò alla morte il suo diletto Unigenito, più con catene d'immenso amore, che non fe' il Giudeo co' lacci d'odio maligno.

Giorno di ubbidienza, in cui piegò il collo sopra una Croce il Re de' Secoli, a cui si curvano tutte l'Empiree Schiere: & [237] il Mistico Isacco chinò la Testa alla Spada della Giustitia Divina, dal Mistico Abramo vibrata.

Giorno di Sacrificio, in cui si fe' Vittima il Sacerdote, e su l'Altar della Croce l'Hostia cruenta non fu diversa dal Ministro candido, e rubicondo: Candido per la sua impeccabilità, e rubicondo dal proprio Sangue, in cui lavò la stola della sua Humanità lacerata.

Giorno d'Innocenza; ma nell'Agnello di Dio svenata; che quanto più stracciata tanto più bella, ancora, ch'esangue, si coronò di Viole pallide, e di smorte Peonie, e si fe' conoscere tanto più pura, quanto più intrisa.

Giorno di Tesori, perché si aprirono squarciate da' ferri tutte le Miniere del Paradiso, e nel Divino Eritreo si ritrovarono tante Perle, quante furono l'anime riscattate.

Giorno di Pace, perché cominciò fra gli Ulivi, ma terminò fra le Spine: perché il Cielo abbracciò la Terra: perché dall'Arca della Croce fissata sopra di un Monte, dopo un diluvio di Sangue, uscì la bella Colomba dell'Anima del Salvatore a recar le novelle liete dell'Ira Divina cessata.

Giorno di Guerra, perché il Principe della Luce pugnò col Principe delle Tenebre: perché con una lanciata fu passato il petto al gran Dio degli Eserciti, che [238] colla sua morte die' la rotta agli Eserciti de' Demonij: perché cadette il Goliatto Superbo, vinto dall'humile, e mansueto Davitte: perché l'infernal Sisara si trovò inchiodate le tempie: perché s'inalberò la bandiera del Crocifisso, sotto di cui si schierarono tanti Venturieri Campioni, quanti venturosi Predestinati.

Giorno di Trionfo, perché su 'l Carro della Croce l'Imperatore degli Elementi, & il vero Augusto, coperto di Porpora s'incaminò al Calvario, che più del Campidoglio honorato, meritò d'havere per Ispettatore l'Empireo, e per Ispettacolo lo stesso Dio.

Giorno di Fortuna, perché con quattro Chiodi fu la nostra Sorte fissata, e si fe' da noi più guadagno colla Morte del Redentore, di quello che fosse la perdita, a cui ci astrinse del Peccato la Morte.

Giorno di Riscatto, perché sul Banco della Croce si sborsò il prezzo sovrabbondante della nostra copiosa Redentione.

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Giorno di Misericordia, perché si spalancarono le cateratte del Cielo a disgorgar sopra tutti li Condannati di Perdono.

Giorno di Pietà, perché Iddio perì accioché si salvasse l'huomo: patì l'Innocente, perché non patisse il Reo: si appiccinì l'Immenso per ingrandire il Nulla, fu derisa la Sapienza, per compassionar [239] l'Ignoranza: fu spento il Lume per dar a Ciechi la Vista: fu condannata la Giustitia, perché fosse assoluta la Fellonia: fu confitta la Gratia, perché restasse sconfitta la Colpa.

Giorno di Sangue, che imporpora: di tormento, che bea: di Passione, che rallegra: di oscurità, che rischiara: di Ecclisse, che illumina: di pena, che felicita: di deformità, che abbellisce: di Povertà, che dovitia: di nudezza, che veste: di strage, che ristora: di Morte, che avviva: di obbrobrij, che honorano: di ferite, che guariscono: di Piaghe, che risanano: di flagelli, che fregiano: di guanciate, che innostrano: di abbassamenti, che sublimano: di canne, che sostengono: di spuri, che ingemmano: di macchie, che purgano: di lividure, che adornano: di cadute, ch'esaltano: di punture, che raddolciscono: di ambascie, che consolano: di scorni, che nobilitano: di tristezze, che confortano: di tenebre, che illustrano: e di dolori, che imparadisano.

In questo Giorno il Salvatore, secondo l'opinione di molti concetto, anche fu Crocifisso, in segno che il fine dell'Augustissima Incarnatione altro non fu, che il redimerci dal Peccato.

Le pijssime riflessioni, che potrei fare a' riflessi di un Dì, che dalle sue beate caligini fa proromperci tanti lumi, son tali, e tante, che mentre le concepisco, mi [240] abbagliano; onde convienmi venerarle col Silentio profondo, più che descriverle con Eloquenza offuscata. Restrignerolle tutte alle parole rosate, che fra tanti suoi fiori congegnò il melato Bernardo, per intrecciarle alle spine del Crocifisso, a coronar le Glorie di questo Giorno, ancorché di Morte, Immortale.

Posso ben Io (scrive il grand'Abbate di Chiaravalle, rivolgendosi al suo bell'Amore Confitto) ah posso ben'Io aggirarmi sulla Terra, e nel Cielo, per l'Aere, e sopra il Mare, che non vi troverò, mio Diletto esangue, se non attaccato per me ad una Croce, dove per aspettarmi vi feste configger'i piedi, e per non punirmi vi feste traffigger le mani. Qui voi dormite disteso: qui vi nodrite di pene; e su questo durissimo letto adagiato dal vostro tenerissimo affetto, nell'ardente Meriggio della vostra Carità fiammeggiante, trahere ogni cosa a voi; e nel vostro sonno finale sommergete le nostre chimeriche fantasie. In questo sol Legno di Vita Chiunque vi cerca, vi rinviene; A questa Pianta Divina l'Anima co 'l vostro Corpo resta sospesa, & ascendendovi sopra tutta pentita, e divota raccoglie i Frutti delle vostre Gratie tutte fiorite, & officiose.

Questa Dottrina fu praticata con eminenza dal nostro Santo, così appassionato del Crocifisso, che si crocifisse al Mondo [241] per imitarlo; e per non mai separarsi da quello, portò la Croce nel cuore, se non sul dorso, e nelle viscere i Chiodi, se non nelle mani, e ne' piedi. Non gli mancaro flagelli, stretto con dure funi alla Colonna di una Durissima, e stabile Penitenza. Hebbe le spine d'intorno a' lombi, se non sul capo: come Christo

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fu schiaffeggiato; & annoverò fra' suoi Discepoli qualche Giuda. A sembianza di Christo, se non fu strascinato a' Tribunali dell'impietà, fu dall'Impietà degl'Impostori bersagliato nelle Corti, nelle quali si suol sempre tirar'al bianco; e quando non fieno giuste, pareggiano quella di Herode, & al Palagio dell'Empio Pilato, quando si lavano i Principi le loro mani del Sangue degl'Innocenti.

Il Venerdì accolse FRANCESCO nascente: il Venerdì accolse FRANCESCO spirante. L'uno, e l'altro può dirsi Santificato, perché nell'uno nacque l'Innocenza, e nell'altro morì la Santità in FRANCESCO. In Francesco, che dovea conformarsi al Verbo Incarnato dalla Culla alla Tomba. Tomba fu la Culla di FRANCESCO, perch'egli nacque a morir ogni giorno al Mondo, come l'Apostolo, mortificato: Culla fu la Tomba di FRANCESCO, perch'Ei rinacque a vivere Glorioso nel Cielo.

Morì appunto in quell'hora, di cui non trovossi fra tutti gli Horoscopi la [242] più fausta, perché la Stella verticale della Clemenza in essa fe' tutt'i suoi Movimenti. Hora, che nel suo brieve giro rovesciò sovra il Mondo tutte le Beneficenze Sovrane. Hora, che rise nel pianto degli Elementi, perché in essa pianse degli Elementi il Fattore. Hora dell'Hore Reina, perché imporporossi del Sangue, che stillarono le murici del Paradiso lacerate da' Cani. Hora Principessa dell'Hore, perché l'altre tutte le resero Vassallaggio, mentre la videro coronata di Gioie ne' dolori, che patì l'Allegrezza del Paradiso. Hora d'incenso, perché l'Oratione dell'Agonizante Messia ascese al Cielo nel cospetto del Padre a placar l'Ira della Giustitia, & a cangiar'i fulmini dello Sdegno, in piogge di Gratie. Hora di cui l'Horiuolo fu il Corpo di Christo così ben regolato nelle ruote delle sue Potenze animastiche, smaltato col Sangue; a cui non mancò la corda nel corso, né il suono ne' prieghi, né la battuta ne' flagelli, né lo svegliarino nelle percosse, né alcun dente negl'improperij, né la catena nella Prigionia, né la cassa nel Carcere, né il Tempo nel patire, né la Saetta nella lancia, né la Chiave nella Tomba.

Horiuolo da Sole, c'hebbe tante linee, quante sferzate sul tergo candido: il cui Stilo fu il Chiodo: la cui ombra fu luminosa: il cui Geroglifico fu la Misericordia il cui Motto fu I. N. R. I.

[243] Passa il Peregrino Mortale, e vedendo l'hora, ch'Ei pensi di restituirsi al Paradiso, da cui lo scacciò la Colpa, così legge affidato: Io Non Ritornerò In Vano. Passa il Fedel compunto, e spezzando il suo cuor'ad un colpo di affetto legge Pentito: Il Nostro Redentore Innocente. Passa il Rubelle a Dio, e vibrando il guardo severo legge impetrito: Io Non Rimiro Ingrati. Passa l'Impenitente fellone, e legge con l'occhio asciutto: Ie Ne Retournerais Iamais. Passa il Teologo, e legge con senso profondo: Inde Nata Redemptio Iniustis. Passa il Ricalcitrante alla Gratia, e legge con sovrasalto: Ite! Non Rispondete Infidi. Passa il Giusto Fedele, e legge con giubilo interno: Iddio Nostro Ristoro Infinito. Passa il Mistico contemplativo, e legge con attentione: In Nomine Regis Iustitia. Passa il Divoto, e ricordevole della Gratitudine al nostro Salvatore dovuta legge con affetto: Ille Nos Redèmit Innocens. Passa il Cattolico vero, e legge con verità: Infinita Nostra Restaurationis Imago.

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Tutti leggono in quelle Note l'hora dell'Horoscopo Universale, & interpretandole ciascuno a suo modo ne fa il Giudicio sicuro al suo stato. È vero, che il tenor Letterale di esse altro non ispiega, che Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum: Sommario di quel Processo crudele, e di quell'empia sentenza, con cui la Giustitia fu condannata dalla Perfidia; ma Christo [244] non volle altro Regno, che i suoi Fedeli seguaci, che leggono tutti uniformi: In Noi Regna Innocenti.

Egli sul Tronco della Croce, Trono d'Ignominia e Re de' Dolori coronato a spine, e come tale a FRANCESCO gli rese sempre humilissimo Vassallaggio. Anzi usurpatasi la Corona del suo Sovrano; all'hor gli fu più fedele, che disiò con isvisceratissimo affetto di levarlo dal Soglio, di spogliarlo dell'Ostro per rivestirsene, di torgli la Corona per adornarsene.

Ogni Venerdì l'assalto singolarmente co' baci, l'assediò co' sospiri, il pose cogli abbracci alle strette, il colpì co' voti divoti, il ferì co' guardi pietosi, co' cilici il cinse, il prese per fame, e l'imprigionò nel suo cuore.

Che più? Così possente fu FRANCESCO ne' Venerdì, che si fortificò colle Astinenze, si avvigorì co' deliquij, si ravvivò colle mortificationi, si sollevò al Cielo coll'atterrarsi, s'imparadisò col penare, si sprigionò col legarsi, s'infastosì coll'Humiltà, s'impinguò col Digiuno, riposò colla Veglia, spiccò colla ritiratezza, s'innalzò coll'abbassarsi, s'ingrandì coll'annientirsi, s'immortalò col morire.

Morì FRANCESCO nel Venerdì, all'hora di Sesta per morire con Christo; Anzi per vivere eternamente con lui. Il [245] Sole non si ecclissò come al Redentore spirante all'hor, che spirò FRANCESCO, perché, se alla Morte di Christo, come a quella del suo Creatore patì la Natura gemente, se piansero gli Elementi confusi, se comparvero le tenebre sopra la Terra, perché moriva la Luce del Mondo: alla Morte di FRANCESCO, come a quella del suo Diletto, rise la Gratia fiorita, gioirono gli Egri sanati, fuggirono i Demonij invasanti, festeggiarono gli Angioli lieti, si rallegrarono i Confessori Beati.

Morte degna d'Invidia! Le Vergini accorsero a Drappelli Volanti ad infiorar nell'entrata, che fe' in Paradiso quell'Anima Celibe. Gli Anacoreti accolsero il gran Solitario tutti festosi, per haverlo compagno in Cielo da poi, che l'hebbero imitatore in Terra. I Martiri l'abbracciarono nell'incontrarlo, perché con un lungo Martirio il videro laureato. I Penitenti l'aspettarono affettuosi, perché l'osservarono sempre nelle Pene felice. I Troni gli ferono Seggio dell'ale. Le Dominationi gli presentarono lo Scettro del Regno. I Principati lo sublimarono al Soglio di Dio. Le Potestà l'ingrandirono nella Vaglia de' Miracoli. Le Virtù lo correggiarono nel Trionfo. I Cherubini gli aprirono affatto il Libro dell'Eterna Sapienza; Et i Serafini lo cinsero di fiamme vitali, perch'Egli ardesse nell'Arabia [246] Celeste, in faccia del Sol Eterno immortal Fenice.

Il Venerdì fu sempre Miracoloso a FRANCESCO, o per FRANCESCO Miracoloso. In tal Dì, sempre a lui Solenne fe' i principali Miracoli. Per gli altri fu Giorno di Passione; per lui di Gloria; E sì come gli Astri sogliono ne' lor periodichi circoli, benché sempre splendano fulgidi,

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far talora movimenti più luminosi, così FRANCESCO, tutta la sua Vita Chiaro, ogni Venerdì si fe' veder abbagliante. Quindi è, che i Fedeli conoscendone l'Indole Geniale, l'attendevano singolarmente al Venerdì, come fan gli Astrologi, che mirano ad occhi fissi le Stelle, all'hor, che più si muovono a cribrar benefiche influssi salubri.

Lo stesso costume si proseguisce ancora Hoggidì, perché nelle Chiese di FRANCESCO, ogni Venerdì s'aprono le Chiuse del Paradiso, e ne disgorgano le Gratie a torrenti.

Vide la Città di Napoli in uno di questi Giorni, nel 1610 L'Altare del Santo convertito in Cuna di Vita ad un Bambino estinto, che a rivaggir ritornando, aprì di nuovo la bocca socchiusa a celebrar perfettamente, nel suo balbettar elegante il poter di FRANCESCO, che ben potea, sciolto lo scilinguagnolo, chiamar Padre, poiché FRANCESCO gli die' la Vita.

[247] Per terminarla: Io posso attestare, per quanto val la mia Fede, che molti Divoti del Santo, ne' Venerdì particolarmente, raccolsero i frutti delle loro Speranze, e che nel giorno di Passione si sentirono l'Anime loro colme di Gioia col prospero incontro di successi felici.

Perché sia prefissa la somma di Tredeci

Venerdì a questo Santo Esercitio.

PROLUSIONE XII.

l Numero Tredicesimo fu, non solo da' Pittagorici; ma da gli altri Saggi ancora, Greci, & Hebrei, dell'Antichità superstitiosa, annoverato fra' nefasti, e marcato col carbone, non colla perla. Teocrito se ne valse a spiegare la Stolidezza d'un Huomo stupido,

a cui l'anima, benché milensa, serva solo di sale a preservare il di lui Corpo, benché insensato, da imputridire.

Nacque Caino; il Prototipo de' Reprobi, nel giro dell'Anno Decimoterzo, da che cominciaro le Rivolutioni del Primo Mobile; Et alla Terzadecima Tappa il Giudaico Popolo, scosso il giogo dell'Egittiana Tirannide, cominciò a brontolare di Dio, e di Mosè, gorgogliando più delle Pentole, che già fea bollire piene di carni là in Babilonia; e per l'Ingratitudine più fetente delle Cipolle, e degli Agli, [248] che havea lasciati; onde ne restaro i più criminosi da giusto incendio assorbiti, nella loro concupiscienza, più che nella cenere, con gastigo esemplare, sepolti.

Io non mi mescolo, per hora, in istrigare la Verità di queste osservationi; né men porronne un'altra sul Tappeto così ridicola, come il proscrivere da' Conviti il Tredicesimo commensale. Quando Giuda fu nel Cenacolo, non fu infausto il numero di Tredici, perché fu felice quando caddè la Sorte sopra Mattia, che fu sostituito dal Cielo nel Ministero, e consagrò la Sedia, che il Traditor'havea profanata non mancandovi lo Spirito Santo come capo a coronare quel numero, & a supplir la presenza del Redentore asceso alla destra del Padre. La differenza si ha perciò da prendere dalla qualità del Suggetto, non dalla quantità dell'annoverato, e può

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ben'essere, che si rincontrino Tredici, che sien Giusti, e rendano per conseguenza felice il numero, e che fra Tredeci vi sia un Empio: il che non basta a vitiar'il Merito degli altri Compagni; Anzi, sì come un cespo di Rose non manca di essere vezzosamente fiorito, ancorché fra molte ve ne sia una languidamente sfiorita: così accade nel nostro Caso. E chi dirà mai, che una Pianta di frutti carica tutti maturi non sia ferace, perché da essa ne cada alcuno marcito? Se dentro ad uno Sciame di Pecchie s'intrude [249] un Fuco, lascierà perciò d'essere stimata, e melliflua quella volante Repubblichetta, che con dolce Politica si governa, e con aculeati pungoli si difende? Un Napello, che si abbarbichi fra le Antore medicinali, non ne invalida perciò la Virtù; ma col suo contraposto l'inforza. Un losco fra gli occhiuti fa brillar le altrui pupille più vaghe, & una Cometa, che fra le Stelle serpeggi codata, rende al prospetto le striscie di quelle più chiare. Il zoppicar fra' diritti, fa parer gli altri camminanti più retti; e qual'hor si mischia un Corbo co' Cigni, fa spiccar meglio di questi il candore, & il Canto.

Stia pure, che il Numero Tredicesimo sia per altro contaminoso, o contaminato. Il Verbo Eterno accinto a morir'in carne il purgò colla sua Passione, e purificandolo col suo Sangue, lo rese illustre, & incerchiandolo delle sue Spine, lo fece florido, e vestendolo colla sua Nudezza, lasciollo ornato, e cospargendolo del balsimo delle sue vene, convertillo in salubre. Christus (scriveva Ugone di S. Vittore nelle sue Miscellanee) Tertiadecima transgrediens, tertiadecima passus est: ad Vesperam anticipans comedere Pascha fecit pro nobis Sacrificium Vespertinum, ut de Vespere Mortis nos produceret ad Matutinum Vitae.

Eccoci dunque giustificato il numero Tredicesimo, che prima pareva reo: Eccolo [250] cangiato di nefasto in fausto, di superstitioso in sagro, di abborrito in accolto; e perciò dedicato colla Divotione de' Tredici Venerdì, che a Christo Morto nel Mondo per noi, & a FRANCESCO morto al Mondo per Christo santificati si presentano da' Fedeli con un intreccio di Spine, come Vittime di Passione, perché su l'Holocausto de' nostri affetti versi provido il Cielo nembi di fiori nelle sue Gratie Divine.

Io non discordo qui dall'Opinione, che così divoto Istituto sia per honorar la Vita Miracolosa, che questo gran Taumaturgo trasse nel Mondo. Vita, che qual Vite di Engaddi produsse non vana con fogliatura infruttifera, ma ricca di grappi succhiosi di Merito una pretiosa Vendemmia. Vita, che spirò tante maraviglie quanti respiri; da ogni cui momento prendendo l'Eternità, hebbe quanti giorni, tanti Secoli di Gloria in quella guisa, che ne' semi si contengono gli Alberi. Vita, che qual Rosaio di Pesto, benché tutta spinosa germogliò quelle Rose foltissime, & olezzanti, delle quali si coronano con Primavera perpetua i Beati. Vita, che quanto più sfrondata, tanto più fruttuosa, quanto più grandinata dalle Sferze; tanto più feconda, quanto più incolta, tanto più ferace, Pianta d'Innesto sovrano, fruttificò fra gli sterpi senza grassura, e sotto le brine non adhuggiata, [251] quanto più vecchia, tanto più florida, a guisa di Palma si curvò co' suoi frutti di Penitenza, e s'inalzò co' Trionfi delle sue Glorie.

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Hor questa Vita così fastosa per le sue maraviglie, così maravigliosa per gli suoi Fasti, nella Divotione de' Tredici Venerdì, con mistica, e misteriosa allusione si celebra; Perché sicome la Corona della Vergine nostra Reina si compone di Sessantatré Ave Maria, corrispondenti agli Anni Sessantatré, che la gran Principessa degli Angioli visse ad imparadisare colla sua presenza la Terra: Così ne' Tredici Venerdì si contano appunto Novant'un Giorni, che portano relatione agli Anni Novant'uno, che visse il Santo.

Di Tredici Anni Egli si ritirò nel Diserto a macerar le sue tenere membra sotto di un Sasso: il che ci ha da servir di motivo per una ritirata dal Mondo.

Hassi dalla Santa Scrittura, che il furbacciotto Ismaele d'anni Tredici fu circonciso: in documento nostro, che dobbiam recidere nel nostro cuore tutti quegli affetti, che come i virgulti dell'Ellera, se si lasciano crescere, aggraticchiandosi all'Anima, la spiantano dalle fondamenta delle Virtù.

Se questi Tredeci Venerdì si debbono solennizzare, secondo la loro Istitutione, prescritta dal Santo, in memoria del Salvatore, e de' Dodici Apostoli, bisogna [252] imitare il Salvator'e gli Apostoli, come imitolli FRANCESCO.

Il Salvatore peregrinando in terra fu l'Esemplare delle Virtù; anzi la Virtù stessa: Dunque bisogna dar bando a' Vitij, e divenir Coppie co' lineamenti della Gratia di un'Imagine sì perfetta. Fu Specchio senza macchia, & espressione della Divina Bontà, che tutta in Esso fu corporalmente, cioè non ombratilmente ristretta: Dunque bisogna purificarsi, e risplendere per ben ricevere i riflessi di quegli splendori sovrani, che dall'Humanità Sagrosanta del Redentore travasano. Le Colpe, e le Gratie non mai si accompagnano; & il Peccato è un argine, che si oppone a' celesti profluvij. Chi vuol, che il Ciel sereno gli arrida, non ha da offuscarlo a' suoi lumi interni co' vapori del Senso. Se brami, che Iddio ti senta, fa cessar nel tuo cuore lo strepito delle Passioni tumultuose; e se vuoi assiderti a Nozze, senza pericolo di esserne discacciato, indossa una Veste candida. Dimanda in figura di mitissimo Cagnolino, le minuzzaglie, che cadono dalla Tavola, & haverai con ripartita Munificenza dalla mano divina, que' cibi, onde fu sfamata la Cananea. Cangiati in Pecorella Innocente, se voi cibarti de' pascoli delle Consolationi celesti; e lascia di camminare per gli precipitosi dirupi, se desideri fermar il piede sicuro.

[253] Imitando gli Apostoli, bisogna lasciar le Reti. Chi vuol far pesca nel Cielo ha da fuggire il Mare di un Secolo, in cui Chi s'ingolfa non può patir, che naufragi, e Chiunque a pescar s'intrattiene non prende per lo più che Granchi retrogradi, & Histrici acuminosi.

Christo corresse singolarmente Pietro, che cogli altri due Discepoli dormiva nell'Horto, e rimproverollo con dirgli, che non poteva un'hora vegliar con lui, perché soleva Pietro andar a pesca tutta la Notte, e poi tornarsene col nihil capimus.

Così va nel Mondo! Per pregar'un'hora con Christo habbiam sonno; e per vegliar col Demonio siamo tutt'occhi. Si stanchiamo subito

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nell'Oratione, e siamo infaticabili nella dissolutezza. Per prender un nihil: Pesce che stupidi ci rende la sembianza della Torpedine, eccoci tutta la notte laborantes; per far acquisto del Paradiso: Pesca di Perle, simboli di giubilo, e non di pianto, non habbiamo <…>. Siam dilicati alla Penitenza, e robustissimi all'Impietà. Per correre a tutto sprone sulle carriere del senso siam più, che barbari, e per dar un passo nel Sentiero della Virtù diventiam Ronzoni.

Si trovano nell'Isola Formentera certi Asinacci di pelo liscio, e di corporatura così smoderata, che paiono Dromedari di Madian, e di Epha. Al ragghiare [254] sembrano Trombe, che chiamano a battaglia l'Infingardaggine: Colle zampe quadrate rassomigliano gli Elefanti di Ethiopia, e di Tingitàna. Risuonano Tamburri vivi col ventre pieno, più che non farebbero Tamburri morti col cuoio voto. Hanno certi orecchioni, che s'ergono come le Guglie di Menfi, e formano due Piramidi da scrivervi sopra il Non plus ultra della Fortezza; Ma poi quando s'infrenano alla fatica trambasciano alla veduta del Peso, sudano prima, che sieno carichi, si sepelliscono cadutti sotto la Soma, e vogliono più tosto, che star sotto il Basto, accosciarsi sotto il Bastone; onde dietro l'impulso all'Adagio Spagnuolo: Boricos de Formentèra, que en viendo la carga sudan. Tanto ne fan cert'uni, per non dir molti, che per pascere delitianti l'herbe solstitiali de' Piaceri, tondi, ma non perfetti; di gran schena, e di poco vigore, alla comparsa della <…> sudano per la lor debolezza, es<…> regalo, e giacenti sotto una carica così dolce si piegano; non per Divotione, ma per fiacchezza.

Non così fero gli Apostoli: non così FRANCESCO, che visse al Mondo una Vita Apostolica, Incontrarono la Croce con allegrezza, e prima di strignerla al corpo la concentrarono al cuore. Sudarono per la Gloria, prima l'humor della fronte adusta, che quello delle vene traffitte. [255] Si spogliarono degli Habiti del proprio affetto, per vestirsi alla Livrea del loro Sovrano.

Tratta tu dunque di far il simile; e quanto sollecito fosti a tracciar'i Piaceri vani, e svaniti, tanto fervoroso dimostrati in seguir le Penitenze vere, e severe. Senza Croce non si dà la Scalata al Cielo: I Violenti 'l rapiscono: Cioè coloro, che fanno forza a loro medesimi: che col freno della Legge eterna arrestano le loro Passioni sbrigliate: che peregrinando in terra col piede, volano al Paradiso con l'animo, per trovar ivi FRANCESCO, che nelle loro necessità li soccorra; e Dio, che le loro Suppliche con benigni rescritti esaudisca.

Rito di praticare la Divotione de' Tredici

Venerdì ad honore del Santo.

PROLUSIONE XIII

traditione antica, registrata nel Convento de' Minimi di Tolosa (come attesta il Benedetto Padre Bonaventura di Martina Minimo, che nella Città di Roma pochi anni sono morì con tanto È

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odore, & applauso della sua purissima, & austerissima Vita, di cui l'Operetta degli Opusculi di S. FRANCESCO DI PAULA, e non del P. a Seclis Minorita, benché in fronte ne porti il Nome) che il Santo [256] costumasse di consigliar molti a lui ricorrenti nelle afflitioni, onde si sentivano oppressi, il pretioso rimedio della Divotione de' Tredeci Venerdì colle seguenti sue formali parole.

Per Tredeci Seste serie confessate le vostre Colpe, e ristoratevi col Sagrosanto Eucaristico Sagramento ad una Messa, che procurerete di far celebrare, per domandar' al Signore il Sollevamento dalla necessità, che vi opprime. In quel mentre reciterete, per Tredici volte l'Oratione Domenicale, e la Salutatione Angelica ad honore, & in riverenza di Gesù Christo Crocifisso, e de' Dodici Apostoli. Apporrete altresì due bianche Candele di cera alla Messa, che si dirà, secodo il vostro intento, in contrasegno delle due Virtudi, Fede, e Speranza: La Terza Candela accesa voi terrete alla mano, nel tempo, in cui direste le sudette Orationi; e si reciterà la Messa, in protestatione della Carità, con cui dovete amar Dio, e dimandargli le Gratie; perché così vi concederà il fine de' vostri giusti Disij.

Questa è la Formola prescritta dal Santo, per condurci in questo Divoto Esercitio, da me letteralmente portata; in maggior'espressione, di cui aggiugnerò le Osservationi infrascritte.

La prima, e più certa Dispositione, per obligare il Santo ad impetrarci 'l favor Divino, è presentarsi col fine primario di chieder le cose Eterne pria delle temporali; [257] e molto più quelle di queste. Al Re de' Galli, che una volta gli disse: Mio buon Padre vi raccomanno il Regno, e l'Anima mia, da sagro furore pacificamente irritato, rispose così FRANCESCO: Erraste, o Sire: Prima l'Anima, e poi 'l Regno.

Dimanda dunque, prima di tutto la salute dell'Anima, che tutto il resto, quando non discordi da quella, ti verrà conceduto. Questa è la Dottrina della stessa Verità; onde non si ha da mettere in controversia, ma in pratica. Quaerite primum Regnum Dei; & hac omnia adijcijntur vobis: Ma Chi cerca il Regno di Dio, non ha da pretendere, che il Mondo più regni in lui.

Christo, che fu il Mastro, e l'Esempio di questa Massime, si voltò una volta, con un dolce rimprovero a' suoi Discepoli, e disse ad essi: Fino a quest'hora non mi havete mai chieduta cosa alcuna in mio Nome: E pur si ha dal Sagro Vangelo, che gli havean dimandato di far piover dal Cielo il fuoco su i Pervicaci: di scacciar con inutil congedo la Sirofenissa gridante: di seder a' fianchi di Esso nel di lui Regno; Ma ciò non era chiedere in nome di Christo. Intendevano di farsi tenere per Valentoni, o di liberarsi dall'importunità di una Supplichevole; o di haver posto migliore degli altri, per farsi stimare di credito: Tutti motivi d'Interesse Mondano.

[258] Tu vai a pregar FRANCESCO, che da Dio t'interceda la Prole; ma con qual fine? Per istabilirti un Herede, o per impegnar'il tuo Sposo a pregiarti come fruttifera, o per haver, chi sostenga cadente la tua Vecchiaia, o per geniale istinto di propagar sé stesso, che la Natura innestò nell'Huomo. Non cerchi no, di haver Figli per multiplicar Servi al Cielo, per educarli nel Santo Timor dell'Altissimo, per arricchirli di Virtù, ma di Hazenda.

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Tu dimandi a FRANCESCO la Sanità del tuo Corpo infermo, ma non la salute dell'Anima febricosa: Hai nelle vene il Sangue, che bolle acceso dall'intemperie delle qualitadi sconvolte, prieghi, che ti sia refrigerato l'ardore, e trovandoti abbrustolito in un letto, cerchi che FRANCESCO, il quale fu un altro Lazaro in terra, & hora si adagia nel sen del mistico Abramo, venga a recarti qualche rimedio; ma con qual Disegno? Per liberarti dal pericolo della Vita, dal soffrimento del dolore, dalla noia del dispiacere, che hai di sentirti mortale. E quando havrai ottenuta la Sanità, che farai? Tornerai all'usato stile di prima; e se ben prometti di cangiar costumi, quando haverai ricuperate le forze, te ne varrai ad offendere il Cielo. Ripiglierai gli amori, le usure, il Giuoco, l'odio, l'ambitione; e come Volpe, c'habbia perduto il pelo, quando ti sien caduti co' capelli dal capo, [259] per cagion della Malattia, i Vitij dal cuore per paura del gastigo tornerai a rimettergli, e quanti peli ti spunteranno dalla colottola, tanti peccati ti sorgeranno dalla volontà.

Fatta proportionevolmente questa Induttione in ogni altro genere di Ricorrenti al Santo, si ha da dedurne questa Propositione infallibile: Che chiunque non intende intrinsecamente di lasciar il peccato, non ha da intraprendere questa salutare Divotione. La colpa è diametralmente opposta alla Gratia; e sicome questa è la Fontana di tutt'i beni, così quella è la sorgente di tutt'i mali. Per ischermirsi da questi bisogna servirsi di quella come di Scudo: Non si accordano mai la Ribellione al suo Principe, & il favore di esso: Et il voler unire due così discrepanti estremi, come il Mondo, e 'l Paradiso, è un far nel suo concetto Chimerico enti di ragione, tanto più irragionevoli nel Discorso, quanto più impraticabili nell'effetto.

Si trovano cert'uni così ridicoli, che pretendono col zoppicar da due lati, camminar per due calli. Tengono un piè su quello dello Spirito, e l'altro su quello del Secolo; e perciò non vanno diritti né sul l'un, né su l'altro: Danno a Dio cert'hore, che si riservano per astutia, e tutte l'altre al Demonio, a cui servono per interesse.

[260] Bevono ad occhi stretti li sudori del Prossimo, succhiano il Sangue de' Poveri, spogliano i Pupilli dell'Heredità, si usurpano i Poderi delle Vedove, fanno stentar a chi li serve più, che la fatica, la paga: Sono Uccelli di Rapina voraci, che in quattro beccate portano via le interiora alla presa: Son'Arpie fine, se non di Fineo, perché non v'ha finezza, che non sappiano per ghermire. Son Volponi, che stanno in aguato, sotto manto di Pecore, e non v'è Gallina, a cui non levin le piume, Pulcino che non ispennacchiano, quando lor non vien fatto di tranghiottirseli interi. Sono Gramigne, che serpeggiando si attaccano, e dovunque arrivano fan diserto. Son'ellere tutte braccia, che svellono, non che le Piante dal Suolo, le Case dal fondamento. Son Darij, che pigliano; onde possono chiamarsi Longimani, per haver così lunghe le mani, che arrivano nella Borsa del Prossimo; e nelle Viscere dell'operaio; E poi pretendono di cancellar tutte queste note con certe loro estrinseche Ciurmerie, & se affettate dimostrationi di una Pietà inorpellata, che come l'Oro canterino fa strepito, e non ha prezzo; e depennar tutte queste Partite (Huomini ancora tristiquando

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fan bene, ma falso) con le Limosine, che son più forse mendicate da Essi, che da chi le riceve da loro; e mendicanti 'l credito, più che fruttuose di Merito, perché [261] le fanno in publico a suon di Tromba, come de' Beni di rappresaglia, messi all'Incanto.

Colui, che rubava i Buoi, e ne offeriva poi a Giove le Corna, non so, se per placarlo, o per ischernirlo, fu riprovato, come temerario Sacrilego, e provato un solennissimo ladro, provocò lo sdegno del Cielo anche più stuzzicato dall'Impudenza. Fu, questa, Favola sì; ma vera altretanto nel mitologico suo midollo, quanto finta nella sua superficiale corteccia, & ha tanti Esempli patetici, quanti coloro, che svaligiano il Prossimo, che non trattano, solo che di frodi, che girano intorno, come il Demonio per divorare chi inciampa in Essi; che non cercano altro profitto, che il temporale; che per lasciar'agiati gli Heredi incommodan tutti, che non fan conto se non di sussistere sulle rovine degli altri; che come Diagora non riconoscono Dio, se non quando ne han di bisogno, che professori nell'apparenza della semplicità stimano più d'una Doppia, che l'Anima, benché l'Anima loro sia Doppia.

Povere Creature affascinate dall'Interesse assassinate dalla cupidigia, scorticate dall'Avaritia, gonfie dall'Ambitione, ammaliate dall'Invidia, impolmonite nell'Accidia, marcite nel regalo, infangate nel guadagno, immerse nelle delitie, non vi accostate a Dio, perché tanto gli [262] siete opposte: non pregate per cerimonia, perch'Egli non esaudisce i Peccatori, e non riparte le sue gratie a coloro, che poi se ne servono per offenderlo. Peggio per Essi quando son prosperati; & è questo un Mistero ben cupo della Prescienza Divina, che ne' suoi gorghi profondi assorbisce gl'Intelletti, anche più velieri, de' Serafini. Tanto importa la Serie della Riprovatione sovrana, & è un tratto singolare della Giustitia suprema; e della Misericordia infinita, premiar'in questa Vita qualche buona Operuccia, che ferono i Reprobi, e punirgli anche meno de' loro demeriti nell'altra con eterno gastigo per la loro Impenitenza finale.

Ma trattienti mia Penna, né t'ingolfare ne' grandi Abissi degl'imperscrutabili Decreti del Cielo, e torna a rader il Suolo, per incontrarvi tanti, che sono attaccati alla Terra, e poi presumono, quando si trovano in pene d'inalzar le mani con gli occhi a' Santi ad implorarli benevoli in loro aiuto. Il conto non va, bene, perché que' grandi Limosinieri di Dio non ispandon Tesori a voto, e per arricchirne i nemici loro, che ad essi sono cotanto di costumi contrari.

Come può mai essere, che alcuni Epicurizanti habbiano tanta fronte di presentarsi agli Altari, se tutti ventre sono Vittime per l'Infermo, impinguate dalla crapula, & abbalordite dalla Gastrimargia. [263] Che spirito ponno mai havere que' Sibariti Gnatoni, che sempre si ravvolgono fra la Carne: che più pensiero, e diligenza consumano per la Mensa del Corpo, che per quella dell'Anima: che svegliano gli Elementi per ispogliarli: che si accendono d'ira, quando la Bevanda non è gelata, e gelano di sdegno, quando i piatti non sono caldi, fumando più della loro Cucina, nella quale si fa l'Ecatombe delle Salvaggine alla Gola, e con Macello continuo si svenano tanti Animali a nodrir lautamente questi Epuloni. E poi pretenderanno di passar'in credito

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di huomini Spirituali colla mera apparenza di una Pietà senza fondo, se sopra le loro porte crudeli lasciarono affamare i Poverelli giacenti, ed interizzir i nudi piagati, se pur non li ferono scacciar prima da tanti Cani, quanti sono i loro Servi indiscreti, la natura de' quali, è di lacerare, prima d'ogni altro, i loro Padroni.

Secondariamente, se vuoi, che il Santo con occhio sereno risguardi 'l tuo lagrimoso, hai da presentarti a lui così puro, accioché i raggi di questo Sole possano entrar, come per un Christallo, a scacciar le tenebre dal tuo Cuore offuscato. Egli è un Agnello, che pasce fra' gigli un Ermellino, capital nemico delle lordure; un Cigno, immortal amico della candidezza; un Angelo, a cui dispiace il fieto del Senso; [264] un'Aquila, che sdegna di volar fra' vapori, una Fenice, che nell'odor si ricrea.

Vivendo in Terra, fu così amico della mondezza, che sì come, non hebbe mai, benché caminasse fra fanghi e spine, i piedi laceri, o lordi, così non hebbe mai gli affetti infranti, o macchiati. Il di lui Genio fu tutto innamorato della Purità, perché tutto innamorato di Dio. Santità fu la sua così vera, che fu, secondo la diffinitione della Scuola Teologa, ab omni prorsus labe incoinquinata Munditia. Tal dichiarolla co' Rescritti Celesti lo Spirito Santo, e per bocca del suo vivo Oracolo nel Vaticano, all'hora, che s'unirono le pompe di tutta la Terra ad esaltar'i Fasti di FRANCESCO nel Cielo. La Magnificenza del Re de' Galli, impennò l'ale dell'Aquile per sublimar'i Trofei di FRANCESCO a volo. Volò la Colomba dal Cielo a portar sull'Imagine Sagra di FRANCESCO l'Aureola: Volarono le Colombe dal Suolo, per portar a FRANCESCO le Suppliche. Sprigionate le Tortorelle pudiche furono Simboli di quell'Anima Casta, che uscita dalla gabbia della sua Carne smunta, & arsiccia, sormontò festiva le Stelle a far sentir la sua Voce nella Primavera del Paradiso. L'Apparato fu così sontuoso, come la Festa Solenne. Gli Arazzi intessuti d'oro, di disegno isquisito, e meglio espressivi, [265] che se fossero pennelleggiati da gli Apelli, o da i Buonaroti, dono della Francia Munifica, ancora si ammirano, come i più singolari di quel Guardaroba, così sontuoso ne' Mobili, come Sagro ne' Riti.

Tornando all'Assunto, ma non senza ragione intermesso: a proposito della Genial Purità di FRANCESCO, maraviglioso fu il Caso, Anni sono, succeduto in Napoli, e riferito da Giano Nicio Eritreo. Celebravasi la Festa del Santo, nel Principalissimo Convento di S. Luigi di Napoli, Seminario di Letterati, Emporio delle Virtù, e Splendore dell'Habito Minimo, da cui come da un Nido delle Sirene uscirono tante bocche Eloquenti. Esposto, secondo il solito, a' baci divoti del Popolo pio, e della Nobiltà fedelissima si venerava un Dente di questo Parco: Dente, che se non servì quasi mai a FRANCESCO Mortale, gli servì tanto più di poi che revisse, perché morse tante volte i Demonij, facendogli fuggire al solo contatto da gl'invasati. Forse questo è quel Dente, ch'ei si diverse al partire verso la Francia, per lasciar'alla sua Buona Sorella, che ne 'l richiedè, qualche memoria di sé medesimo. Memoria, che rodeva sempre i cuor'all'afflitta per la lontananza dell'Amato Fratello, il quale, col lasciarle un Dente, le lasciò anche da masticare ne' Salutari raccordi [266] quel Cibo, che alimenta l'Anime Sante.

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Hor nella folla del numeroso concorso presentossi, fra gli altri, una di quelle Femmine, che servono di trabocchelli al Demonio, di quelle, che sono Navi, e Naufragi in terra, di quelle, che dal Latino son dette Scorta, perché sono scorta all'inciampo, e guidano al precipicio chiunque la seguita; Ma nel figger le labbra (oh gran Prodigio!) nell'Osso puro, con sensibile crepito a' Circostanti, questo si ruppe stridendo, & ancora ne appariscono quadripartite le fenditure da un filo d'oro ristrette. Mi fermo qui, ch'Io non debbo passarmela così a Dente secco, senza gustar la dolcezza di quello vaghissimo, e tanto istruttivo Miracolo. Oh come FRANCESCO si mostrò in questo fatto della Carne immortal Nemico! Non la volle morta sul Dente vivo: non la volle viva sul dente morto. Se già fu Fabola, che da' denti della Serpe uccisa da Cadmo nascessero gli Huomini armati, dal dente di FRANCESCO le Serpi furono estinte. Le labbra di quella Impudica, ch'erano solite a stillar mele, non si dovevano unir'ad un dente, che fu solito ad abborrir la dolcezza amareggiato dalla Penitenza. Il bacio di quella Vipera velenosa, nascosto sotto i fiori adulteri d'un Viso osceno, fu rintuzzato da quell'Aurora Virtuosa, che se ben senza humore vivifico discacciava i Serpenti [267] letali. Il Bacio impuro fu chiamato da Eusebio Emisseno Morsus Diaboli; come dunque potea soffrirlo il dente di quella bocca, avvezza ad essere colle piaghe del Crocifisso baciata da Dio? Spettacolo fu FRANCESCO, quando visse nel Mondo, di austerità, che perciò ancora morto non potè sopportar la mollezza di un labbro. Alle Rose di questo, sfiorate dalla Lascivia, non si affacevano le Spine di quello, che sempre s'unirono a' Gigli del Celibato, fioreggiante nel suo Candore. Potea ben dirsi, in quell'Atto, che de' Beati ancora stridano i denti ad una bocca d'Inferno vicini. Si risentì di quell'Osso pudico al sentirsi violare da un morso laido; e con notabile scoppio fe' risonar le Glorie della sua Verginale mondezza. Per conservarsi intero si ruppe in pezzi, e per discacciar da sé lungi il Nemico Sacrilego si fe' una palla, che nel colpire quadripartita si franse a quadruplicare il suo colpo. Hor Io vo' credere, che si trovassero già Soldati cotanto bravi, che mancando loro la Munitione in tasca si valesser de' denti, come di palle, svellendoli dalle mascelle, a bersagliar l'Hoste avversa, poiché miro FRANCESCO servirsi di uno de' suoi per abbattere tanti Demonij, quanti Peccati dentro a quella Rocca d'Impudicitia. Spezzò, col rompersi il dente, quel cuor sì duro, nelle tenerezze impetrito, che non havean potuto [268] mai frangere tante lingue, alle martellate della Sinderesi ogn'hor più fermo; e pur una volta colla Contritione andò in polvere mortificato, solo perché FRANCESCO col suo Dente miracoloso gl'impresse il rimorso. Non voglio assicurar, che sia vero col sangue dell'Hirco spezzarsi il Diamante; ma trovo ben evidente, che hora si spezzi col dente di un Agno. Agno FRANCESCO, che ancora paventa le Lupe, perché freme co' denti, quando si appressano; Ma non le paventa, poiché le vince, e già, che non più colla lingua le può correggere, col dente, che parla più della lingua, le persuade a lasciar la colpa, & a cangiarsi, col di lui esempio, in Agnelle.

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Senza più andar frizzando colla Penna sul Fatto, basti questo per prova autentica, fra tante, che potrei addur dalla di lui Vita, quanto sia FRANCESCO amator della candidezza, e contrario all'oscenità; & in consequenza, quanto purificarsi debbano prima que' tutti, che per Avvocato l'implorano, e bramano d'intraprendere il fruttuoso esercitio di questa Santa Divotione.

Ciascuno de' Tredici Venerdì ti condurrà in una Pratica, così utile, per renderla tale, colla Meditatio di una delle Virtù del Santo, le quali l'uniformarono al Crocifisso. Procurerai dunque, non solo di contemplarla, in tutta la Settimana, [269] ma di seguirla al possibile, formando di esse, come di Semplici, un pretiosissimo Unguento alle Cicatrici dell'Animo inulcerato. T'imaginerai perciò, in presentarti all'Altare dove s'adora di FRANCESCO l'Imagine, ch'Egli parli insensibilmente a' Supplici suoi Divoti col detto dell'Apostolo: Siate di me Imitadori, come Io di Christo.

Oh quanto è facile questa Dottrina a Chi si governa colla Politica del Paradiso, e non con quella di Satanasso! I Santi furono di Carne come noi, portarono ne' loro Corpi, Vasi di Creta: Hebbero ne' loro lombi la Legge della Concupiscenza, contradicente a quella della Gratia: Strascinarono attaccato alla Cintola il Cane del Fomite: Si trovarono (per servirmi de' termini espressivi Francesi) dans le grand Monde; e pure conservarono illeso lo Spirito, la Coscienza retta, gli affetti puri, il senso suggetto, la volontà ubbidiente, la ragione predominante, il candor illeso, il corpo domato, e l'Anima bella, per conformarsi alle Massime della Perfettione, da Essi con proseguito Studio tracciate.

Entri dunque ogn'uno in sé stesso, prima di entrare in questa Divotissima pratica, & esaminando con esattezza le sue Attioni, procuri di correggerle se sono ree, di migliorarle se sono rette.

Se sei un Principe, non t'introdur con [270] fasto dinanzi a FRANCESCO, perché i gran Monarchi della Terra s'humiliarono a lui, ancorché Mortale. Iddio magnificollo nel cospetto de' Regi, mentre i Regi s'impiccolirono al di lui cospetto. Oh quante volte si vide FRANCESCO prostrato a' piedi 'l Re supplicante de' Galli singhiozzar, qual Colombo, gemendo sulle sue Colpe, che gli cavò FRANCESCO dagli occhi in tante lagrime, con amaro profluvio stillanti. Imitando, questo gran ritratto del Crocifisso, intreccia alla tua Corona le spine, sposa il tuo Scettro alla Croce, raffina la tua Porpora nel Sangue di Christo confitto, sia la tua Reggia non come quella di Herode, ma degli Henrichi, de' Lodovichi, degli Stefani Santi. Un Sovrano, che non ha sopra di sé altri, che Dio, a Dio perciò debbe sommettersi grato, e non offenderlo più degli altri, perché più degli altri l'Altissimo lo fe' Grande. Sia la tua Ragion di Stato il Vangelo, il tuo Tacito il Crocifisso, che più favella colla bocca socchiusa, e colle Sanguinose sue Piaghe, di quello che parlino i più facondi per istruirti nel Principato. I tuoi Cortigiani siano somiglianti agli Apostoli nel haver lasciate le reti. I tuoi sentimenti siano di Vita Eterna, e tutte le tue Geste dirette a regnare nel Paradiso più che sul Trono, che calchi, il quale se appoggierai alla Croce, non temer, che vacilli mai. La [271] Religione da quella Base, su cui tu

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fondi ogni tuo Pensiero: Senza questa i Reami rovinano, gli Scettri si seccano, le Corone si piegano, gli Ostri si scoloriscono, e gli Stati stato non hanno. Più si ricerca a fare che un Re sia Retto, che Reo; Ma felici que' Principi, che sono prima Re di loro medesimi, che de' loro Sudditi, che sanno regger le loro passioni, più che i loro Popoli, che sublimano le Virtudi, e deprimono i vitij, che temuti da tutti, e da tutti amati, più di tutti temono, e più di tutti amano Dio. Intendete, o Regi, intendete! Iddio vi pose la Corona sul capo, dunque non bisogna mettersi Dio sotto i piedi. Iddio vi scelse preferiti dalla Sua Gratia ad infiniti Huomini, come voi Mortali; dunque bisogna preferirlo a tutti, & essere fra tutti, perché più beneficati ancor più perfetti. Il Principato del Verbo, non fu [secondo il Profeta] sul capo, nelle mani, o ne' lombi, ma sopra l'homero, in segno ch'Egli incarnandosi, non doveva ostentar, con fastosa Superbia, il Diadema Reale, con assoluta potenza d'autorevol comando: con dissoluta libertà le inclinationi disciolte quando fosse stato capace di tutto questo; ma portar i suoi Sudditi sulle spalle al Cielo, & alla Croce curvato il dorso, insegnar l'Humiltà, la Mansuetudine, e l'affettione verso de' Popoli. Viva la memoria del Pio Goffredo, che non volse entrar'in [272] Gerusalemme da lui conquistata, che col Capo cinto di spine, assomigliandosi al Re de' Regi con quest'Atto così esemplare, e degno per questo Fatto, più heroico della sua Vittoria, di haver le Trombe dell'Empireo in concerto a lodarlo tanto più alto, quanto più abietto dinanzi a Dio, alla cui presenza depongono le Corone i Monarchi, perché quegli è Signore dell'Universo.

Se sei un Cavaliere, che ricorri al Santo considera, ch'Egli non è punto amico del fumo. La tua Nascita, benché dall'altre volgari distinta, non ti distingue però nella tua Morte dagli altri. Il morire è commune a tutti; e Chi fu impastato di terra si ha necessariamente da risolver' in polvere. Fuggi, se puoi, dal taglio di quella falce, che con giro rotondo miete senza divario. Gigli, e Ginestre. La tua Genealogia, ch'altro non ha forse di vero, che l'aria, con cui ti gonfia, è un grand'Albero frondoso di foglie, che ti fan ombra, perché sotto di esso adagiato tu vada facendo ogni giorno Sogni; ma mira un poco ogni Frutto di esso, che lo troverai pieno di cenere appunto come i Pomi di Sodoma. De' tuoi Antenati, che havevan tanto del Grande, non hai hereditato sol, che la Vanità, che ti empie di un nulla. La Discendenza, che professi, per non dir che millanti, da Essi, nel solo nome porta discapito: Se li pareggi ne' vitij [273] non sei, come furono quelli, che per l'Infamia famoso, e fumoso per l'ambitione. La sola Virtù è la Nobiltà più verace, il solo timor di Dio è contrasegno d'esser ben nato. Vuol raccontare la Sagra Genesi, la Genitura di Noè Patriarca, e comincia a dire: Hae sunt Generationes Noe. Hor a noi! Intendiamo chi fu suo Padre, come si nomasse il di lui Avolo, qual fosse il Ceppo de' suo' Maggiori? Ecco la narratica, che fa succedere misteriosa: Noe Vir Iustus, atque Perfectus cum Deo ambulavit. La Giustitia è quella, che nobilita più del Sangue: L'esser Perfetto è molto più, che l'esser Nobile; & è quello un gran Cavaliere, che veramente è amico di Dio. Ma per esser'amico di Dio bisogna far tutto ciò, ch'Ei comanda, & amarlo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, e con

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tutta l'anima tua. Hor come potrai tu dire di amarlo, che fai tante parti del tuo cuore diviso in tanti (già, che sei un huomo di gran cuore, come professi, benché vaneggiando) e la minore ne doni a Dio? Come l'amerai con tutta la tua mente, se non hai altro nella tua mente, che il mentire, per ingannare il tuo Prossimo; l'insuperbirti, per deprimerlo; l'avanzarti, per lasciarlo addietro, & il sublimarti, per conculcarlo? E pur nel tuo Prossimo vilippeso Iddio offeso si chiama. Deh come puoi amar Dio che non vedi, se non ami il [274] tuo Fratello, che vedi? Il vedi, e lo sprezzi, perché non risplende per la nascita, & è sozzo per la Povertà. Egli però, è di carne impastato come tu sei; & è ben facile, che sia miglior di te senza tanti titoli, più chiaro al Cielo, più caro a Dio senza tante sfumature. Come, per ultimo, potrai amar il tuo Creatore con tutta l'anima tua, se questa serpeggia con l'odio, s'infanga colla Lascivia, s'intralcia coll'Interesse, si accende coll'Ira, s'avvelena coll'Invidia, si allorda con la Crapula, e s'impegola colla colpa? Buon per te, se divieni così Nobile di costumi, come presumi di esserlo per gli Natali. Con questa sola condittione puoi accostarti a porger Suppliche a Dio, & a farla prontamente spedire col Mezo efficacissimo di FRANCESCO.

Se sei una Dama vana perché l'importuni, essendo una Dama, che fuggi gli strali di quell'Amore Divino, che tante volte ti ha ferita, e non mai ti ha traffita? Deh specchiati un poco nel Crocifisso, già, che sei tanto vaga dello Specchio, e mira quanto ti ha diformata la tua Bellezza, questi tuoi occhi così brillanti, non per altro sono Stelle vivaci, che per recar ad altri la notte quando sfavillano. Questa tua fronte di Alabastro, oh quanti pensieri ha col suo candore anneriti! Queste tue Chiome d'oro, perché a peso d'or le comprasti, ahi quanti ferono impoverire, [275] per tributarti co' loro affetti, i loro regali! Legarono tante Anime all'Inferno, come lacci del Demonio, qual hora tu pretendesti di apparire con quelle un Angelo. Ondeggianti cagionarono le tempeste, intrecciate portàro gl'intrighi, prosciolte indussero alle prigionie, codate minacciarono le rovine. Fosti Cometa che ti tirasti dietro tanti vapori quanti desiri. Fosti Orione, che spuntasti sempre ad improcellar le Coscienze. Fosti Civetta, che havesti intorno mille Uccellacci. Fosti Aquila, che di cuori non mai satolla, tanti ne ghermisti, quanti di amar ne fingesti. Fosti Lionza, che tante viscere lacerasti, quanti colle tue arti, se non cogli artigli, petti assalisti. Fosti Lupa, che della Carne ghiotta, festi altretante prede lasciva, quanti passi vagante. Alle tue labbra di rose furono intorno tante spine, quante parole, colle quali pungesti tanti Mosconi, quanti Amatori. La tua Vanità ti empiè la testa di vento; la tua Ambitione ti colmò il capo di fumo; la tua Sensualità ri radunò nel cuore tanti carboni accesi, quanti pensieri avvampanti. Fosti un'Helena, che cagionasti gl'Incendij. Fosti un'Europa, che ti lasciasti rapir da' Tori. Fosti un'Isabella, che sempre havesti appresso il Zerbino. Fosti un'Angelica sempre col tuo Medoro. Fosti una Venere, a cui, se mancò un Adone, non mancò un Marte. Fosti [276] una Semiramide, che fe' la Città, Babilonia. Nel Tempio ti festi idolatrare da' tuoi seguaci, & incensare da' cuori impuri. Ardisti, di presentarti a Dio, quando ardesti in rogo di fiamme illecite, & in faccia del Sol'Eterno, fra gli odorosi profumi, sulla catasta delle tue Colpe, ti

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riputasti di Bellezza Fenice, e non fosti, che un Verme di sordidezza ravvolto nelle tue ceneri, e serpeggiante sopra la Terra. Impolverata i capelli, ti gittasti la polve negli occhi più, che sul crine, poiché non vedesti i tuoi precipitij; e coperta di seta, & adorna di Gemme, fosti tanto più nuda, e povera nell'interno, quanto meglio apparisti nell'esteriore addobata. Oh te felice, se tanto studio havesse consumato il tuo Genio in abbellire l'anima tua quanto tempo perdesti in coltivare il tuo corpo! Hor, che cominciasi ad infienare, dov'è il frutto, dove, di tanti fiori? Ti penti di haver peccato; ma più forse ti affliggi di non poter più peccare. Consideri, che tutta tua Vita passò come un'ombra, & hor'apri gli occhi al Cielo, giaché comincia a non più mirarti la Terra. Sospiri curva agli altari, non so se più dalla debolezza degli anni, o per la Divotione degli affetti. Vedi sfiorita la tua Giovinezza, e non piagni le colpe passate, ma le sciagure imminenti. Se ti fosse data balìa di chiedere, o di esser rinovata d'età, o d'esser'assoluta dal reato [277] de' tuoi Delitti, non metto in dubbio, che accetteresti più che il secondo, il primo. Questi tuoi ricorsi a Dio son più, perché ti conservi la Vita, che per impetrarne la Gratia. Hor, che comincia ad albeggiar il tuo pelo, vorresti poter'imbianchire il tuo cuore; ma se per tanti anni vi fe' fuoco l'Amor Profano, altro vi vuol, che una man di latte per abolire tanta caligine. Quante son le tue macchie, tante han da essere le tue lagrime; e quante acque stillasti per mantener succoso il tuo bello, tante dei lambiccarne per incandidir'il tuo Spirito denigrate. Così potrai comparire ad obbligar FRANCESCO, che Protettore ti sia; non havendo Egli Merito, per Chi non ha dolor, ma perfetto, di haver'offeso quel Dio, che fu da lui tanto, con ogni mondezza servito.

Se sei un Prelato, ma non qual dovresti essere, che fai al Santo ricorso, rifletti nelle tue circostanze, & osserva te stesso torcendo gli occhi alle procedute della tua Vita passata. Mira se fosti chiamato all'Honor della Prelatura, come un Aronne, o pur se vi fosti balzato, come un Simone, volando al tuo Precipitio. Se fosti promosso dal Merito, o dal Favore. Se per haver corteggiato il tuo Principe, o per haver servito il tuo Dio. Se i tuoi Talenti dell'Arca, o pur quelli dell'Animo ti comprarono la Dignità. Se per la [278] Porta entrasti nell'Ovìle, o per la Finestra. Se scorticasti le tue Pecorelle, o pur le vestisti. Se pascesti te stesso più della Greggia. Se fosti della Corte della Terra più, che del Cielo. Se ti attaccasti all'Interesse più, che al dovere. Se servisti alle Dame più, che agli Altari. Se promovesti a' Beneficij li tuoi dipendenti più, che gli altrui Meriti. Se i tuoi Dimestici furono Colombi, o Grifi. Se la tua Mensa fu Parca, per abbondar maggiormente di pane a' Poverelli, o per ucciderli colla fame, come con falce nel discacciarli dalla tua porta, mentre i Parasiti, gli Adulatori, & i Turcimanni tuoi hebbero sempre per quella franco l'ingresso. Se studiasti più nel Libro de' Conti, che de' Vangeli. Se per lasciare ricchi i Nipoti, impoveristi i Pupili. Se fu in te la Sagra fame dell'Oro più che non fu la sete della salute del Prossimo. Se intrecciasti il Mirto alla Mitra, e l'Ellera al Pastorale. Se in vece di perseguitare il Peccato per estirparlo, perseguitasti il Denaro per possederlo. Se la tua Cancelliera fu l'Avaritia, e non l'Equità. Se

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la tua Famiglia fu sordida, e non Innocente. Se le tue Visite durono Caccie di Monete, e non d'Anime. Se li tuoi Scudi furono della Scrittura Doppia, e non della Semplice. Se trattasti di accumulare più contanti nell'Arca, che Anime al Paradiso. Non più; che basta la tua Coscienza più, che [279] la mia Penna a traffiggerti per farti ravvedere, e tornar'in dietro, prima di produrti a chieder a Dio le Gratie per l'interpositione del nostro Santo.

Se sei Ecclesiastico indegno del Grado dignissimo, esaminando i tuoi falli commessi, prima di esibirti a FRANCESCO, procura di corregerli con emenda opportuna, per non incontrare una giusta ripulsa. La tua Ignoranza nodrita dal regalo, la tua Vita passata fra le delitie, la tua rilassatione ampliata dalle commodità, tutt'altro, che Gratie debbono chiedere a Dio, se non procuri di essere qual'esser dovresti. Fosti Scandalo vivo col mal'Esempio: fosti Pecoron morto col mal'odore. Osasti mescere diferenze così contrarie come il Ministero di sagro, e la Profession di Profano. Scialacquator del Sangue Divino, bevesti la morte al Calice della Vita, mangiasti le tenebre alla Mensa del Sole. Nodrito dell'Agnello Eucaristico divenisti ogn'hor più Lupo famelico; e del Pane degli Angioli pascendoti, come un Cane, latrasti più, che non pregasti, nel recitar indevoto la Santa Messa; & in offerire quel Sagrificio incruento, non ti mondasti in quel Sangue purissimo, che lava tutte le macchie, e leva tutti li nei dell'Anima, che dalla Gratia è condotta ad un bagno sì salutare; ma t'intridesti colla stessa purità, ti oscurasti colla luce, ti avvelenasti [280] coll'antidoto, ti ammalasti colla salute, ti feristi col balsimo, ti danneggiasti col rimedio, e ti uccidesti colla Vita.

Se sei un Regolare solo di Nome, fa un circolo della tua riflessione, col ritornare in te stesso, e vederai, che nel Chiostro non sei più, che un numero, un Zero. Et a che unisti, o inutile Giornaliere? Perché stai qui tutto dì otioso, e non fatichi nella Vigna Vangelica? Lasciasti il Secolo, o pur lo portasti teco? Sei un Vomito del Mondo, che come inutile rifiutotti; & a guisa di corpo morto, fosti gettato su queste rive per ammorbarle, ne' tuoi costumi fetente. Ti strinse un cingolo i lombi all'hor, che doveva una corda strignerti il collo, perché mentisti quando giurasti al Signore d'essergli fido, poiché tante volte l'offendesti, quante il tradisti. Il Tradisti perché gli promettesti la Povertà volontaria; ma dopo di haverla lasciata nel Secolo, da cui ti discacciò la necessità, unisti a Saccheggiar'un Commune intero, & ad usurparti ciò, che non è tuo, mietendo ciò, che non seminasti, e raccogliendo ciò, che coltivar non sapesti. Sei un gran Bue, e pur ti mostri tanto nemico del faticare, che non puoi sopportar'il gioco, e strascinando l'Aratro, non sai tirare solco diritto. Meglio dirotti un Somiere, già che vai: sempre colla carica, più delle tue colpe; che de' tuoi Governi, ne' quali [281] t'intrudi, colla Politica del Demonio, che non reca solo, che fumo. Perché non sai esser Pecora nell'Innocenza, procuri d'esser Pastore coll'Ambitione; e perché sei vano, e fumante galleggi, & ascendi. T'inorgogli fastoso, e non ricordandoti de' tuoi Principij, che furono così bassi, benché originati dalla Montagna, appunto come disceso da un Monte hai sempre in testa il fine di sovrastare. Oh te Beato, se non cercasti altra Eminenza, che sul Calvario, e

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se havesse il tuo Spirito appreso ad abbassar il capo dal Crocifisso, il quale fatto ubbidiente fino alla Morte, altra Prelatura non volle, che su la Croce. Il tradisti ancora perché promettersti di assiepar'il tuo Celibato di spine, ma cercasti di sepellir'il tuo cuore nelle Rose di Eliogabalo. Il tradisti pure, perché gli voltasti il tergo, e ti festi veder nel Mondo vagante, & attuffatto fino alla Gola negl'Interessi Secolareschi, e per essere Libertino, temesti forse, che i Chiostri ti cadessero in testa, perché così di rado vi dimorasti. Non havendo di Religioso, che l'Habito, havesti tutti gli Habiti di un Mondano, & insoportabile per la tua rustichezza nativa, non mai ti rallegrasti nel Signore, perché cercasti di offenderlo, quando dovevi servirlo, e fuggisti dal suo Costato per incavernarti ne' ridotti de' Peccatori a darti buon tempo; ma non ti avvedesti, che quegli stessi, [282] i quali ti furono compagni nel gongolare, ancorché della tua farina, si scandelazzarono della tua sbrigliatezza. O pazzo in effetto, che qual Luna in quintadecima tosto ti muti, perché non mai sai star fermo; ma vai sempre in peggio: dov'è la tua Religione, se quasi mai non la vedi? Dov'è la tua Modestia, se così sfrontato dimostri la tua Impudenza? Dov'è la tua Carità, se non ami sol, che te stesso, non cerchi sol, che il tuo Commodo, non procuri sol che 'l tuo Interesse? Dov'è il suo Studio, se altro Studio non fai, che di mantenerti contento, & altra applicatione con hai, che alla Vanità? Dov'è la tua Astinenza, se t'immergi nel cibo a guisa di Bruto, e ti sommergi nel Vino come un Sileno? Dov'è il tuo Silentio, se come le Vespe ronzando t'aggiri ogn'hora, e come i torrenti sassosi non sai camminar senza mormorio? Dov'è la tua Humiltà, se non havendo alcun Merito, cerchi con tutte l'Arti di haver ogn'un Suddito, e non essendo, che spuma sempre sovrasti? Dov'è la tua Oratione, se altro non mediti, che il mantenerti in posto, altro non rumini, che di tenerti in piedi, altro non pensi, che di goder il presente, e di aspirar al futuro Dominio; & in vece di procurare d'esser sinceramente perfetto, sempre con inganno procuri d'esser Prefetto? Dov'è la tua Ingenuità, se ti rode l'Invidia dell'altrui Virtù, e [283] come Nottola fosca guaisci, perché non puoi soffrir gli splendori dell'altrui Merito? Dov'è la tua Semplicità, se vai sempre colla maschera, doppio nel cuore, doppio di volto, Scorzone di molte scaglie, Anfesibena di due teste, Camaleonte di più colori, Serpente di numerosi raggiri. Dov'è la ritiratezza, se Vagabondo trascorri, errante di piè, come d'intentione, e per esser'Individuo Vago, sei così bruto, che chiunque ti mira, si stomaca. O Mostro degenerante dalla tua Specie, deh mira come mal comparissi così diverso da tanti, che la decorano. Fissa l'Attentione in tanti ottimi Religiosi, che spirano Maestà nell'esser Humili, la Purità ne' costumi, la Santità nelle Opere, & il Sapere nelle Fatiche. Non Simulati, non Hippocriti, non fumosi, non tramanti; ma schietti, sinceri, luminosi, e retti, e pur non bastano co' loro chiari riflessi ad imprimerti nel viso il rossore. E perché dunque se' tu Napello fra l'Antore? Perché sei Feccia fra tanti rivoli così purgati? Perché sei Lucciola vagante fra tanti Astri fissi? Perché sei Vapor impuro fra tante stelle preclare? Perché sei Avvoltoio fra tanti Cigni? Perché sei Fuco fra tante Pecchie? Perché sei Giuda fra tanti Apostoli? Se indossi un Habito Nero, perché non

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lo stelleggi di lumi esemplari ad emulatione de' tuoi [284] Fratelli? Se il porti candido, e perché ti vesti dentro di tenebre, tralignando da tanti, che professano interiore, nel Claustro, più ch'esterna la Candidezza? Se vai coperto di cenere, perché non covi nel petto quel fuoco sagro, con cui ardono tante Fenici di Penitenza? Se la tua Tonaca è di color di terra, perché non ti sepellisci dentro, morto al Mondo il Spirito, e mortificate al Senso le tue Passioni? Ah che non imiti punto l'esemplare del tuo Istituto, e per conseguenza l'Istituto del tuo Esemplare. Quando tale tu sij non ricorrere a' Santi, perché questi non esaudiscono Chi non vuol camminare a pregarli sopra le loro Vestigia. Quelle di FRANCESCO furono tutte diverse dalle pedate, che tu stampi, come tutta diversa è la strada, su cui t'inoltri.

Se sei un Cortigiano, che a lui t'inchini per ottenerne l'assistenza opportuna, entra ben nel tuo cuore col tuo pensiero, e quivi discorri sulla tua Vita passata. Errai, che non hai cuore, perché se n'andò tutto in fumo, e non havesti mai Vita perché sempre moristi nella Speranza. Ma se tu non sei nella Corte come un Issione sopra la ruota, figgi pur il tuo Genio nel Paradiso, che vi troverai FRANCESCO pronto a soccorrerti. Egli, che bazzicò, ma senza cader, nelle Corti, sa che pochi san bazzicarvi senza cadere. L'esser [285] un Huomo di Desiderij Celesti come Daniele in mezo a' Lioni giubbati, che degrignano i Denti per divorarne l'Innocenza, e per lacerar il Merito agguzzando le Unghie, è spettacolo da provocar i Beati a dar aiuto, e da mover Dio a mandar gli Angioli per provederti di quel Pane di Consolatione, che conferma il cuore dell'Huomo. La Corte è un Mare, dove un'onda procura di disfar l'altra, e di spignerla a consumarsi sopra la Sabbia: Dove sono insidiosi gli Scogli, e sempre tese le reti: Dove la spuma galleggia, e si affonda l'oro: Dove, chi è voto, sovrasta, e chi è pieno, è sommerso: Dove son Orche voraci, Tritoni accigliati, Glauchi tempestosi, Balene ingorde, Sirene infide, Venti scatenati, Alghe infruttuose, Flutti superbi, Acque amare, Calme fallaci, Zeffiri brievi, Corsari scaltri, Aquiloni torbidi, Nebbie oscure, Nubi fulminee, Flussi frequenti, Maree incostanti, Seccagne nascoste, Fondi profondi, Pescadori notturni, Vele gonfie, Tridentati Nettuni, Cani dentati, Galatee vane, Delfini storti, Conchiglie sceme, Granchi retrogradi, Cappe tonde, Porpori tenaci, Echini spinosi, Anguille guizzanti, Torpedini oscure, Tonni balordi, Naufragi Certi, e Porti pericolosi. Parlo della Corte, che non è Santa, che non ha per Carta il Vangelo, che non ha per Tramontana la Gratia, che non ha per lido la Religione, che [286] non ha per aura lo Spirito Santo, che non ha per continente la Continenza, che non ha la Fede per moto, che non ha il Cielo per meta. Se tu ti trovi in questo gran Mare ingolfatto, rivolgiti a FRANCESCO Stella Polare con tutto l'affetto compunto, o non dubitar, ch'Egli non si salvi, se sei agitato, e quasi absorto dalle tempeste, che t'improcellano l'Animo. Ma bisogna, che in questa Corte tu sij Crocifisso con Christo, o che tu n'eschi come Pietro a piagnere d'haver tante volte negato il tuo Dio, quante più, che a lui, hai servito al tuo Principe, così da quello diverso. Deh quante Veglie patisti, quante Voglie havesti senza alcun frutto? Oh te fortunato, se così bene havessi servito al Cielo, e se il tuo

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Martirio di tanti anni, ti havesse prodotta un'Aureola in Cielo, mentre quaggiù ti ha lasciate le Palme nude, e secchi gli Allori. Buon per te, se fossi stato Cortigiano del Paradiso, & havessi dato il tuo Spirito ossequioso, la tua Servitù stentata, i tuoi giorni svaniti al gran Principe dell'Empireo, che per un sospiro ti dà un Regno, per una lagrima di dolore, ti rende un fiume di contentezza, per un atto di Amore ti dà un possesso di Gloria. Ancora ti trovi in tempo; ma non perderlo più, e già che FRANCESCO seppe mortale ben dar consiglio a' tuoi pari, tanto meglio potrà di lassù darti aiuto, & inspirarti [287] il respiro, perché tu eschi delle angustie, e porgerti il filo, accioché non ti perdi nel Laberinto, in cui ti trovi ravviluppato.

Se sei un Mercatante, ma criminoso, considera, che tante volte hai fallito con Dio, quanti traffichi hai havuto col Mondo. Rivolgi le tue Partite, e vedi, se sono più i Debiti, c'hai contrati, che i Crediti c'hai descritti. I tuoi guadagni ti ferono perdere; le tue Contrattationi ti resero intrattabile, le tue Merci ti caricarono più la Coscienza, che il Fondaco, le tue Monete ti comprarono la Dannatione, le tue Fiere ti ferono divenir una Fiera co' Poverelli, i tuoi Conti ti ridussero a non far conto dell'Eternità, i tuoi Cambi ti cambiarono in huomo animale, che non capisce il Negotio, che più importa, le tue Usure ti ferono per la temporanea Sorte smarrir l'eterna, i tuoi Monopolij ti cospirarono contro, più che tu non festi co' tuoi adherenti contra il ben publico, i tuoi numeri si convertirono in Zeri, perché sommando bene dopo havere perduto il Cielo dedurrai un Nulla. Dunque fa il conto meglio, & intendi quella gran Massima del Crocifisso. Quod prodest Homini si universum Mundum lucretur, animae verò suae detrimentum patiatur? Acquistar' tutto il Mondo, e far gitto dell'Anima, oh che delirio! Ben pur, se puoi loto il Rio della Plata, che sempre sarai [288] tormentato dalla Sete dell'Avaritia; ma quel, ch'è peggio dalla Fame di un Dio, che doveva esserti l'alimento più sustantioso nell'altra Vita. Nell'altra Vita, oh Cielo! Ma se tu non la credi, e tutto il tuo pensiero si fonda in questa, che mentre ti piace fugge, e mentre ti arricchisce ti spoglia. Ti spoglia della Gratia, Tesoro così pretioso; e pur da te sì negletto. O delirio! O Scempiezza! O milensagine! Deh cangia di partito, e non volere, per lasciar'agiati gli Heredi, incommodart'in eterno. Dimanda a FRANCESCO la tua Salute, che questo è l'affare, che più ha da premere a chi è creato per la Gloria, e non per la Terra. Per la Terra, che tanto t'impania col suo fango; che alla fin non è l'oro, sì come ne porta il colore, che fango sodo; ma non perciò atto a farvi su fondamento, perché quanto più sopra il pensier vi fermi, tanto più presto ti manca.

Se sei un Soldato, oh come bisogna qui abbatter l'armi per presentarti a FRANCESCO tutto pacifico, e mite. Non è amato da un Humile Chi porta il cimiero. La tua Spada ha la Croce affissa nell'elza; ma non so, se tu v'habbi mai creduto. Non ti ricordasti di Dio, se non quando spergiuro ne giurasti il Nome adorato. Il Nome Santo; e terribile, a cui si curvano tutte le ginocchia Celesti, Terrestri & Infernali; se pur tu non tremasti quando [289] nel pronunciarlo fremesti. Il rinegasti i rinegasti più volte, e 'l facesti un fulmine de' tuoi sdegni, quando meritasti, che si convertisse in folgore a

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punire le tue bestemmie. Ah Dio volesse, che tu potessi spargere tante lagrime quanto sangue spandesti. Huomo avvezzo a star sotto la corazza non ne contrahesti altro, che durezza. Il tuo brando fu terso, e la tua coscienza fu ruginosa. Havesti il capo carico di chimere più, che di piume, e 'l cuor più di piombo crudo che le tue palle crudeli. La tua bocca vomitò più polvere, che quella della tua Pistòla, e la tua lingua, che quella del tuo Archibugio. Deh se tal valore havessi mai tu a dar la scalata al Paradiso, quale l'havesti a correre primo di tutti alla breccia di un Muro. Per un poco di Gloria terrena fosti tutto braccia, e per un Immenso di Gloria eterna fosti tutto Polmone. Le Trombe Martiali t'incoraggiarono alla Battaglia contra il Nemico, e le Vangeliche ti assopirono verso il Demonio. Gli Allori del Mondo, i quali non fruttano solo, che Bacche amare, ti ferono passar per mille pericoli, e quelli del Cielo, che son feraci di frutti dolci, non bastarono a farti soffrir una Penitenza. Versasti il Sangue per amor del tuo Principe a gorghi, e non sai stillar a gocciole il pianto per amor del tuo Dio. Non ti pesò l'Usbergo, e ti pesò il Vangelo. Sapesti frenar'un Corsiero sboccato, [290] e non il tuo calcitroso Appetito. Non cadesti agl'incontri delle lancie, e ti atterrasti ai colpi delle colpe. Fosti un Marte in Battaglia, & un Adone in Città: Come Adone ti lasciasti sbranar dal Cinghiale del Fomite: come Marte ti lasciasti cogliere dalla Rete del Vitio. Soffristi intrepido le ferite del petto, ma non sopportasti insensato le sferzate della Sinderesi. Riputasti Infamia il non batterti in Duello col tuo Nemico, e ricusasti codardo di battere al pentimento il Demonio. Duro più dell'acciaio fosti alle percosse de' Divini gastighi, e trahendo col brando scintille dall'Elmo del tuo Contrario, non sapesti mai trarre col pentimento una favilla dalla selce della tua ostinatione. Campeggiasti, vincesti, trionfasti; ma non a Dio. Oh te glorioso, se havessi espugnato quel Forte, che tanto in te resiste alla Gratia? Hor cerca di ritirarti a quartiere, perché si avvicina il tempo hormai di essere riformato. Sciogli il Cingolo della Militia terrena, per cignerti quello della Legge Celeste. Il Paradiso per assalto si prende; & il Tempio è la parte più facile per l'Intrapresa. Sia la tua Scala la Croce, quella che ti presenta FRANCESCO; e non dubitar di un successo fausto, perché se un ladro all'ultimo de' suoi respiri scalò l'Empireo, ben anche potria seguire, che vi giugnesse a forza di Penitenza un Soldato.

[291] Se sei un Giudice ingiusto, oh qual t'attende il Tribunale della Giustitia Sovrana. Violando le Leggi di questa torcesti la Verità col Diritto, che ti servirà, se non cangi sentiere, per andartene diritto all'Inferno. I tuoi Codici, furono gli strumenti (per servirmi del terminiglio Spannuolo) della tua Codizia. Mugnesti i Clientoli fin a cavarne l'ultimo Sangue, e gli lasciati esausti, perché li riducesti all'ultimo fiato. Hai tranghiottiti più Pupilli, che non hai vergati Paragrafi; e fosti l'Herode di tanti Innocenti, quanti furono quelli, che uccidesti colla punta della tua Penna crudele. I tuoi Libri ti somigliarono, con esser Corpi senz'Anima, solo da te dissimili perché legati, e tu dissoluto. Le tue Sentenze furono cieche, e sorde. Cieche perché non videro la Bella Astrea: Sorde perché non sentirono la Giustitia gemente. Fissasti l'occhio più che nel Cielo, nell'oro: Apristi l'orecchio più

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all'Interesse, che alla Religione. Hai più peccati nella Coscienza da digerire, che Digesti nel tuo Studio da masticare. Hai più note nell'animo da cancellare, che postille ne' Decretali da leggere. Hai più Liti da sciorre con Dio, che non ne intrigasti nel Mondo. Mira un poco le pandette dell'Anima tua, che vederai quante Decisioni contra te se ne cavano, e da quanti Articoli sei proscritto, Huomo dishumano, che scorticasti tanti, quanti a torto dannasti, [292] e perciò così doppio, e di tante scorze, perché ti sei foderato con tante pelli. Ma già la Ruota del giro eterno per gastigarti ti attende. Se fosti un Radamanto feroce, sarai un Issione dolente. Già ti prepara il Giudice inappellabile la tortura, per farti confessar tanti torti, che alle sue Leggi tu festi, e per condannarti al Patibolo attroce di una Morte Immortale. Rifletti, se ti sta meglio confessar torturato dal tuo Pentimento, o dal tuo Delitto: Se ti torna più a conto pendere dalla Croce con Christo, o da una Ficaia con Giuda. Da una Ficaia, che maledetta dal Salvatore doveva servir di Forca, per non haver alcun frutto, ad un Ladro, Fellone, che con far condannar l'Innocenza, morì nell'Impenitenza dannato. Horsù non più, ch'Io vuo' dar isfogo dopo la mia Suasoria al tuo pianto. Parmi di vederti già humide le palpebre, perché figgi una volta gli occhi nel Sol di Giustitia. A sospirar ti lascio, & a risarcir l'altrui danno coll'Equità, a lavar colle lagrime le tue sozzure. Se vuoi vincer questa gran Lite, che ti muove la tua Coscienza, prendi FRANCESCO per Avvocato, che sarai appellando dalla Giustitia, alla Misericordia Divina, col di lui mezzo assoluto.

Così far debbono, tanti, e tanti altri, ch'Io qui non adduco con questi, più, che a corregere ad istruire. Da ciò, che scrivo [293] qui di sopra, ogn'uno secondo il suo Stato, potrà emendar'il suo fallo, e formarsi a suo talento le pratiche, per prepararsi al Divoto Esercitio de' Tredici Venerdì, ad impetrare dal Santo, prima d'ogn'altro dono, la salvezza dell'Anima.

A questo intento ha da precedere una stringatissima Confessione: Non già di quelle, che si fanno per vezzo, e senza il ramarico, con cui si debbono, come col Sale, condire, per renderle incorrotibili. Bisogna entrare nel Confessionario, come nell'Arca, & uscirne Colombo, e non Corbo. Colombo, che gema, e non Corbo, che gracchi.

In proposito del Corbo, Simbolo in tutto del Peccatore, singolarmente recidivo, fu osservato dal Caietano, tirandone la Notitia del Testo Hebreo, che dopo cessato il Diluvio trasmesso a riconoscer l'aria da Noè, exivit eundo, & redeundo. Cominciò a svolacciare, quel Neron de' Pennuti, e riconoscendo la Campagna ancora innondata tutta di cadaveri galleggianti, non trovando alcun ramo da far calata, s'intimorì, e fatte alcune spire nell'aere, tornossene all'Arca, ma dalle Carogne col puzzore allettato riprese il volo, e cominciò a posarsi sovra un Carname, & a trinchiarlo alla sua famelica voracità con quattro beccate; ma rimirando intorno, e non iscorgendo alcuna sicurezza per lui da posarsi in asciutto il [294] piede s'intimorì di nuovo, & all'arca la seconda volta si rese; Ma ghiottò della Civaia, andò, e tornò tante volte tra la brama, e 'l timor'indeciso; che alla fin fine se ne restò sopra le Carogne. Hor tanto fa colui, che per timor si

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confessa; Va, e viene; si pente, e riede al peccato, e più la carne all'ultimo, che la paura del gastigo l'arresta.

Chi volta le spalle alla Pentapoli della Colpa, stia in cervello, e non vi torca più il guardo. La Moglie di Lot, fu convertita in Statua di Sale, perché diede un'occhiata contra il divieto divino a quel Luogo, dove lasciava il cuore. Con quel Sale volle Iddio condir la milensagine di coloro, che pensano di esser tosto, che sono assoluti dal Confessore rinati, quasi modo geniti Infantes. È vero, che tutto può la Gratia; ma se poi si riede a morire, che farà? Un'altra volta tornar'a vivere confessandosi. Indi, che ne avverrà? Far di nuovo un passo alla morte. Ahi quante son poche le Confessioni, che sieno perfette; e principalmente per una tal insensibile Indeliberatione di più non peccare.

Non parlo qui dell'Atto di Contritione. È costato la Vita a Dio per meritarci il farlo, & il farlo bene, e con tutta l'energia dello Sforzo più intrinseco. Oh Sommo amabilissimo Amore, così vi sapessi amare, come vi ho saputo offendere: [295] Così sapessi dolermi di havermi offeso, come so conoscervi di non havervi amato. Se non vi fosse né Paradiso, né Inferno pur Voi, o Bontà infinita, sareste amabile senza eguale, perché siete il mio Dio. Voi mi creaste di un nulla, & io per un nulla vi offesi. Hora vorrei pentirmi; ma non so come, perché il Peccato ancora mi tiranneggia. Protesto però, che se potessi col morir non haver peccato, morrei volentieri; E se peccando dovessi salvarmi, e non peccando perdermi eternamente, vorrei più presto perdermi, che salvarmi, per non offendervi.

Con somiglievoli affetti ti disporrai a formar un atto di Contritione, che tanto più fie perfetto, quanto più svelto intimamente dall'imo delle tue viscere, e dal più profondo dell'Anima tua. Indi, tu preparerai a quel Sagro Convito, che in un boccone esibisce imbandito, benché velato, quanto si mangia per tutta l'Eternità nella Gloria.

Iddio non sol si compiacque di appicciolirsi nell'Incarnatione, ma volle ridursi ad un minimo Indivisibile, perché nel tuo cuor'indiviso tu l'accogliessi. Di Creatore si fe' Redentore, di Redentore Alimento di Pastore divenne Agnello, di Agnello si cangia in Pane. Oh che Pane di Vita a Chi degnamente se ne nodrisce! Oh che Pane di Morte a Chi sacrilegamente se ne fa Cibo! Cibo d'ogni sapore, disceso dal Cielo, come la Manna, in cui [296] si gusta in epilogo tutta quella Dolcezza, che nella Beatitudine coll'Intelletto chiarificato si gode. Pegno della futura Gloria, che tanto vale, quanto la Gloria medesima. Questo è il Favo, che in quattro parole distillò dalle labbra dello Sposo dell'Anima. Questa è la Mammella, onde succhiano latte i Regi. Questo è il Fonte, a cui bevono per refrigerarsi gli assetati del Paradiso.

Prima di attuffar il tuo Spirito in quell'acque della Gratia, che ne dirivano, considera, che sono queste, come quelle del Nilo, che correvano torbide, e sanguinose all'Egittio, limpide, e salubri all'Hebreo. Se sei uno Scarafone non riposare su questa Rosa, dal cui candore puoi ben comprendere, che per libarla dei haver la purezza di un'Ape Verginale, che ne succhia il mele, quando il Ragno ne trahe il Veleno. Il Sol Divino si veste

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dell'Alba monda negli Accidenti, a dinotare quanto delle tenebre sia Nemico. Se sei una Nottola non ti appressare, che ti trafiggerà quella Luce, che alletta le Aquile. Un Cibo è questo, che si converte in Medicina a Chi si trova ben preparato, & in Morte a chi è pieno di humor peccante.

La Messa, che tu farai celebrare, secondo la Formola premessa, ogni Venerdì, sarà del Santo quando non sia il Giorno legitimamente impedito; ma quando non [297] possa, secondo il rito ecclesiastico, esser tale, colla Colletta sempre di S. FRANCESCO, verrà, secondo la tua intentione, applicata.

Se non haverai modo, di farla dire, la sentirai con divotissimo affetto, sacrificando il tuo Cuore svenato dal Pentimento a' piè del Crocifisso sopra l'Altare, e per esser gradito offerirai all'Eterno Padre, col Sacerdote la Vittima del suo Diletto Unigenito.

Quando ti trovi dalla necessità costretto a non poter presentare le tre Candele, ciò non ti affligga. Basta, che ardano i tuoi candidi Affetti in faccia del Santo. È questa una Cerimonia estrinseca, connotativa de' Lumi interni di Fede, Speranza, e Carità. Se questi fiammeggiano nel tuo Spirito, importa poco, che non possano splendere nel loro Simbolo. Accendi pur tu le tre Potenze dell'Anima tua con queste tre Virtù: l'Intelletto colla Fede, la Memoria colla Speranza, la Volontà colla Caritade, che non ti mancheran Luminari, per farti ben veder da FRANCESCO, gran Professore di queste tre Virtuosissime Prerogative, quando fu Mortale, & hora, che Vive in Eterno, dalla Carità tutto acceso.

Se ti costrignesse l'urgenza ad interporre uno, o due Venerdì, de' Tredici prefissi, non accade ripigliarli da capo, ma dei proseguirgli: il che non par convenire in [298] evento, che per incuria disaccurata, o con interstitio troppo sensibile, venissero separati; onde giudico per tratto più decente, e sicuro, in tal suppositione ricominciarli.

Colle sovrascritte Circostanze dimanderai al Santo, che si compiacia d'esserti intercessore all'Altissimo della Gratia, che chiederai con ogni Humiltà; non secondo il tuo senso, ma nel Nome di Gesù Crocifisso, e per lo Merito di FRANCESCO, E quando tu non l'ottenghi, tieni per infallibile; che la negativa, più che il Dono conferisca tuoi interessi, non solo eterni, ma etiandio temporali.

Non ti raccordo qui la Gratitudine del Santo per essere così nota, che se ne potria far crescere un grosso Volume. Leggi la di lui Vita, e troverai, che ad imitatione del Rimuneratore Sovrano, ha dato sempre cento per uno, facendo Usura pijssima de' Prieghi, che gli si porgono, e de' Benefici, che alla sua Religione si fanno. Si sa in molti Luoghi (& Io potrei giuridicamente attestarlo) che molti Divoti di FRANCESCO lasciarono Herede il di lui Ordine delle loro Facoltà, o gli disposero, negli atti dell'ultima Volontà rivelanti Legati, quando fosser mancate le loro Linee: e che i Figliuoli di Essi evidentemente, e per molti anni essendo vivuti sterili, e cagionevoli de' corpi loro, hebbero ricorrendo a FRANCESCO, [299] con divoto stupor di ogn'uno, felice Prole. In contrasegno, che il Santo ancora nel Paradiso amator dell'Humiltà Povera ne' suoi Minimi, non gusta di

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mirarli, che colle ricchezze spirituali ingranditi; o pure perché corrisponde, senza interesse, come Beato amorevolissimo, a Chiunque confida in lui, ancorché ne risultino pregiudicij notabili a' suoi Monasteri.

Per ultimo ti ammonisco a non ti tenere per riggittato, quando tantosto non conseguisci dall'esercitio di questa gran Divotione l'intento. Non ti stancare, ma riprendi l'istanza; e come la Cananea opportunamente importuna. So Io, che molti, replicando più volte questa fruttuosissima Pratica, come Caccia Spirituale, arrivarono alla fine la Preda, e con una Santa, e pertinace ostinatione espugnarono il Cielo, le cui Porte ad un sol picchio, non vengono mai aperte. Iddio gode di essere ossecrato, e vuol, che crescano i Doni alla misura de' Voti; Et il

Crocifisso, Mistica Pietra, colle goccie continuate del pianto cavandosi apre a disgorgo la

Vena delle sue ineffabili Misericordie.

[300]

Aggiunta per innavertenza lasciata.

Alla pagina 171. immediatamente

prima di Napoli (Lettor cor- tese) ti compiacerai di

legger così.

Qui mi convien di affasciar'in uno ristrette molte Glorie di FRANCESCO, che nelle principali Città del Christianesimo spiegate più dall'evidenza, che della Penna, si ammirano. Corra il Peregrino l'orbe Cattolico, che incontrerà FRANCESCO per tutto maraviglioso.

Roma ne' suoi tre famosi Conventi, come in Trino aspetto, fulgidamente benefico Luminare l'adora, e valendosi della Divotione de' Tredici Venerdì, ne riceve consolata benigni influssi; onde non cessa d'ingrandir'il suo Minimo, che tanto la favorisce sopra i suoi Monti, & anche di sublimarlo nelle sue Valli, infiorando quelle Fratte fruttifere, nelle quali si adora questo austerissimo Penitente.

S'io volessi qui far un intreccio di lodi alla Pietà di tante auguste Famiglie, che coronano in Roma la Divotione verso FRANCESCO, bisognerebbe, che questo mio Volumetto crescesse a toccar le Stelle. Sono Stelle della prima grandezza quelle nobilissime Stirpi nelle quali si [301] conserva l'avito splendor de' Fasti Romani. Sono que' Principi, e que' Cavalieri appunto della natura degli Astri, perché quanto più vicini al Polo della Fede, tanto più splendono vigorosi. Son quelle Principesse, e quelle Dame appunto come le Stelle, perché, all'opposto della Luna, quanto più son prossime al Sole della Chiesa, tanto più fiammeggian divote.

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Una per mille mi vaglia d'esempio, e questa sia la virtuosissima Principessa Maria Mancini, Sposa del gran Contestabile Colonna, honor di quella gran Casa, che appunto come Colonna sostien la Virtù, e sublima il Merito con l'incrollabil fermezza de' suoi virtuosissimi, e meritevolissimi Principi. Colonna su cui può scriversi il non plus ultra della Nobiltà, Colonna piantata dagli Hercoli del Valore, Colonna senza macchia, benché candida purpureggi, e purpurea conservi sempre il natio candore. Colonna coronata dalla Dignità, intrecciata di palme, e di allori, carica di Trofei, e d'Imprese, intagliata di geroglifici regij, e d'imagini gloriose. Colonna della quale non hebbe Memfi una più sublime, che fa colla sua eminenza mentire la favoleggiata altezza delle colonne, che sostenevano la Reggia decantata del Sole, sublimibus alta Columnis. Hor su questa gran Colonna la Principessa Maria si fa veder brillante come [302] una Stella. Stella che spiritosissima è tutta intelligenza, ogni cui tratto è un raggio di luce, ogni cui detto è un cumulo di scintille. Stella, che col suo aspetto benigno divampa Modestia maestosa, e col suo favore benefico dà vigore alla gratia gentile. Ma singolarmente Stella perché fissa nel Cielo colla Divotione senza nuvola di Superbia, senz'ombra di vanità, senza deliquio di lume, senza occaso di splendore, e senza notte di vitio. A FRANCESCO questa fulgida

Stella si accende, e come Stella di un Mare d'ogni virtuosa affluenza, che appunto il porta

nel nome, ma più nell'animo heroico, ha per Tropico celeste FRANCESCO,

che suol tirar'a sé le Stelle più pure, e più sfavillanti.

Il Fine della Prima Parte.

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[303]

I FASTI DEL MIRACOLOSO

S. FRANCESCO DI PAULA,

SPIEGATI

NELLA DIVOTIONE DE’ TREDICI

VENERDÌ

PARTE SECONDA. [304]

[305]

* * * * * *

V E N E R D Ì P R I M O

D E D I C A T O

A L L ’ H U M I L T À

D E L S A N T O .

he il Fondamento d’ogni Virtù Cattolica sia l’Humiltà interiore è Propositione per sé nota, e d’una Eterna Verità, poiché questa, non solo canonizolla colla sua bocca, ma qualificolla ancora col proprio Esempio.

Anima trausatamente Superba arresta perciò li tuoi passi orgogliosi, & erranti a’ piè di Gesù confitto; e con que’ Chiodi, che gli squarcian le fibre fissa una volta la Ruota della tua Vita Chimerica, & incostante.

Eccoti il vero Dio della Gloria, a cui formano fulgido Trono i Cherubini avvampanti sovra le Stelle, nel Calvario abbassato sopra una Croce in mezzo a due Ladri.

[306] La Natura freme crucciata a così discrepante divario. Il Cielo, per non vederlo, chiude i suoi Lumi con tenebroso deliquio. La Terra nol sopportando trema sconcossa; e poiché così abietto sentono gli Elementi

C

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confusi il lor Creatore Sovrano, tutti si prostrano addolorati, & alla di lui humiliatione stupiti, par, che intendano di far ritorno a quel Nulla di dove uscirono.

Oh stupore! Si curva l’Empireo a Spettacolo così mesto, e piangono amaramente gli Angioli della Pace: Pur’ancora Guerriero l’Huomo Fastoso alza superba la cervice per far di sé Contraposto al suo Dio, che china il capo sopra di un Tronco.

Ah Superbia ventosa, che generata dagli horridi Monti dell’Aquilone sommergesti prima tanti Spiriti veleggianti in un mar di Gloria; indi sbatutta agli Scogli dell’Herebo ardente propagasti fra quelle vampe oscure i tuoi fumi per sollevarti sopra la Terra ad annerir tante Anime, Misera di te, che sempre addosso tirandot’i fulmini, nelle tue ceneri ti sepellisci.

Huomo Mortale ascolta. Tu sei di polve impastato, e pur’ardisci come se fossi di cedro, stender’altero le voglie a minacciar quelle Stelle, che torve ti mirano nel tuo fango ravvolto, ergere contro al Cielo, qual Hidra, tante creste, quanti pensieri.

[307] Tutto, tutto il contrario se’ di FRANCESCO, che apprese dal suo gran Mastro ad esser Humile, e mite di cuore. Da un Originale, così esemplare, cercò di tirar le linee di tutte le sue Virtù, e principalmente di questa, che come già fe’ di Christo, tanto esaltollo.

Una sovranaturale Filosofia ce l’addita Minimum quod non. Di lui non potè mai rinvenirsi un Minore in terra, e di lui ben pochi Maggiori si ponno trovar’in Cielo. Egli si fe’ un zero per unirsi a quella Unità, che tanto multiplica Chiunque ad essa si accosta. Si annichilò con tutti, per essere tutto col Tutto. Si prostergò per venir messo nelle prime fila di que’ Venturieri Beati, che formano il Corpo al Dio degli Eserciti.

Col Magnetismo dell’Humiltà attrasse le Benedittioni del Cielo, gli Applausi dal Mondo. Perché fuggì sempre come punture di Cantaridi, come Canti di Sirene, le acclamationi de’ Popoli, meritò di godere, raddolcimento del tedio humano, le Canzoni degli Angeli, che tante fiate gli ferono un Paradisetto nella di lui povera Cella Melodiosi.

Attribuì li moltissimi, e così mirabili, suoi Miracoli, hor’alle naturali Cagioni hor’alla Providenza Celeste; e non alla sua Intercessione. Fortunato, che con Chimica, Saggia al pari di Santa, seppe far Oro del Piombo, disprezzando l’humana [308] Gloria, e pretendendo di smaltir per Piombo l’Oro della sua Carità, ché dilettossi sempre di smaltare coll’Humiltà delle sue parole.

Nelle Facende Dimestiche, accorse sempre alle più Servili, e pur’era il Padre Venerabile della Famiglia. Andò cercando sovente, come Diogene solea fare colla Lucerna, colla Lampada ardente della sua Carità, non un Huomo, ma un Bruto, che il maltrattasse, affine di convertirlo col suo mistissimo Tratto in un Angelo: sì come succedè molte volte. Chinò la testa tal’hora alla petulante baldanza di un Paltoniere, Colui che vide prostrarsi a’ suoi piedi supplichevoli i Regi, e riverenti ad ossequiarlo i Principi Grandi.

Ricusando il Carattere Sacerdotale, rimase caratterizzato dall’Humiltà sua profonda, non meno che consagrato dalla Santità sua

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sublime; Quindi si rese così singolare, che sì come non si trovò nel di lui concetto alcuno ad Esso inferiore, così non vi fu mai alcuno del suo Secolo, che lo sorpassasse nel Merito.

Portò sovente colle palme illese il fuoco avvampante, perché non hebbe mai nel capo orgoglioso il fumo superbo. Non mai fu veduto gonfiarsi a tant’aura di stima, con cui riverillo attonito il Mondo. I suoi passi eran di Agnello, la sua Voce di Tortora, la sua Semplicità di Colomba, il suo Candor di Ermellino, la sua [309] abiettione di Pecora.

Tante Virtù gl’infiorarono il cuore, quante furono le Calte le quali, più d’una volta visibilmente, gl’incerchiarono il Capo. La Castità le havea colte, se l’Astinenza le havea innaffiate: le congegnò l’Humiltà, se l’Innocenza le haveva prodotte.

Fu Massimo, perché Minimo, e perciò istituì, che i suoi Seguaci si appellassero Minimi, perché fossero Massimi. Massimi nella Virtù, se Minimi nel Titolo. Quindi proscrisse da Essi la Superbia, che di tutti gli altri Vitij è la Madre, perché va sempre gravida, e tronfa. Non volle per questo i suoi Religiosi Pettoruti, né capitosti; e solo bramò, che havessero gran Petto contra i Demonij, gran Capo contra gli Heretici. Vietò ad essi il chiamarsi Mastri, perché bramò, che fossero veri Discepoli della Sapienza, la cui cathedra fu la Croce, & in conseguenza l’humiltà. Così molti, e molti procurarono di seguitar le vestigia del loro gran Fondatore, potendo vantarsi la Religiosissima Religione de’ Minimi d’essere annoverata fra le Grandi, per l’Osservanza, per la Pietà, per la Dottrina; e fra le Grandi singolarissima per l’austerrima Penitenza di una perpetua Vita Quaresimale. Vita di cui non può essere, nella Chiesa di Dio, altra più spinosa, poiché si alimenta sempre di Pesci. Vita di cui non debbe dirsi alcun’altra [310] più Spirituale, perché non si alimenta di Carne, Ella è perciò Vita, che non vive sol, che di una Morte continua. Privandosi di quante Delitie creò l’Autore della Natura può acquistarne, quanta ne riparte il medesimo, come Autor della Gratia. Per alimentar l’Humiltà non vi voleano che i Cibi vili, che l’Herbe serpeggianti, che i Pesci sciolti a star nel fondo.

Io mi dispenso più dal far’un Elogio alla Religione Principalissima de’ Minimi, per non far’un altro Volume. Tutta la Chiesa Cattolica sarà mallevadora del mio debito; e dove mancherò colla Penna, supplirò colla Divotione. Non voglio esser tacciato di Partiale; ma non debbo come Mutolo esser taciuto. Parlo coll’Opere più che co’ detti; e son pronto a scriver col Sangue, più, che coll’Inchiostro per colorire gli Elogi della mia Madre, di cui potrei, come di una Vezzosa Rachele, essere il Beniamino, perché il più Minimo (mi consenta l’error la Grammatica) se le mie colpe non mi rendessero il più abborribile, perché il più tristo. Deh piacesse al Cielo, che potessi svenar’il mio cuore, come il mio Ingegno, per imporporarla col sangue, come la chiarificò coll’Inchiostro. Mi pregierei di poter’intrecciar la mia Penna alle Palme di tanti Martiri, che l’illustrarono nel Settentrione, nell’Iberia, nella Gallia, [311] e di piegar il collo alla spada di un Carnefice, poiché così mal volontieri m’incurvo al commando di un Superiore. Così sarei miglior Vittima, che buon Sacerdote, e professerei

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colla prova quell’humiltà, che non so provare, come tanto imperfetto, coll’esercitio. In questa guisa haverei qualche tratto del mio Fondatore Augustissimo, di cui non ho mai procurato di osservarne la Regola. In faccia di tutto il Mondo accuso i miei falli, assai maggiori di quello, che vagliano ad ingrandirli i miei Scritti. Protesto perciò, che son il maggior colpevole di tutt’i Minimi, perché di tutt’i Minimi sono il più obligato a Dio.

Tornando a noi, per iscordarmi di me, che son così degno di oblivione: Eccoti nel mio gran Padre un Ritratto del Crocifisso; già che in me, che ne son Figlio cotanto indegno non puoi considerar, che il Ritratto di un Giuda, per haver Io tante volte tradito il mio Redentore, quante ho peccato. Deh riguarda, se vuoi assomigliarti all’Esemplare, la Coppia. FRANCESCO è l’Imagine viva di Christo Morto. Tale la pennelleggiò l’humiltà, ch’egli professò dalla Culla alla Tomba, non con un brieve passo, ma strascinandosi sempre, per novant’un anno, sopra la terra come un Serpente abiettissimo, e pure fu sempre un’Aquila sorvolante.

[312] Entra dunque in te stesso coll’uscir dall’Ambitione. Abbassati se vuoi inalzarti, mettiti sul piano se brami di fuggir le cadute. Considera, che di rado, o non mai fe’ naufragio il Navile, che spiegò poca vela, e senza ingolfarsi nell’alto Mare, andò radendo la bassa sponda del Lido.

Se vuoi esser Vaso di Elettione, procura di renderti più profondo, per essere più capace delle Gratie Divine. Imita il Sole, che quanto più monta sopra il Zodiaco, meno veloce si raggira nel moto; Così tu sopra il convesso degli Honori, e nell’Eminenza della Sorte, frena que’ movimenti orgogliosi, che ti fanno precipitare all’Occaso.

Deh s’imprima nel tuo Spirito risvegliato questa infallibile Massima: Che quel Sovrano, da cui furo scimierat’i Superbi, e schimerati gli Ambitiosi, piantò fissamente gli occhi della sua Prescienza sovra gli Humili, & abbassati, a’ quali distribuì, nell’esaltarli, le Sedi Empiree, dopo di haverne con irreparabil rimbalzo depost’i Possenti.

Presentandoti dunque, con queste dispositioni, al Trono di Dio, (e tanto più presentatovi da FRANCESCO,) non potrai temere, che quello non ti esaudisca; e sul tuo Niente non fabbrichi il tutto, che brami. Confessati cenere, con Abramo; se vuoi, che di te si formi un [313] Cristallo, in cui brillino i raggi delle Gratie Divine diretti; e con tal Salvaguardia non paventar’i fulmini, che son vibrati dagli Altari contra gli Alteri, prostrandoti a’ piedi di essi tutto cuor; e non tutto capo, ti si cangeranno le saette in rugiade, & i gastighi in consolationi.

Così preparandoti a ricevere quel favore, che tanto brami, dopo di esserti stemperato in sospiri al calor del Sole Sagramentato, corona la tua Pietà co’ seguenti

AFFETTI AL CROCIFISSO.

Mio buon Dio! Eccovi qui un’Anima disanimata, perché senza

Spirito, la quale al vostro cospetto non è solo, che un’Ombra; e senza voi non è solo, che un Nulla. Voi scendeste dal Ciel’in Terra per me, & io

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presumo d’inalzarmi dalla Terra al Cielo contra di voi! Voi sopra di una Croce per discendere in una Tomba; & Io fra le nuvole delle mie Chimere, per precipitar nelle mie rovine! Voi nella forma di un Servo; & io in figura di un Dominante! Voi fatto a sembianza degli Huomini bassi, e mendichi; & Io a somiglianza degli Angioli Apostati, temerari, e fumosi! Voi trovato in habito d’huomo nudo; & Io coll’habitudine di una Fiera Superba! No, no, mio Dio: Questo Contraposto non quadra a voi, [314] perché sete il Padrone: non quadra a me, perché son lo Schiavo. Io non merito d’esser’humiliato, per imitarvi; perché trovandomi senza voi, mi trovo privo di una Virtù così alta, come l’Humiltà; Pur la sospiro per arrivare dove voi siete, voi che diceste di non trovarvi, che fra gli humili vostri Servi. Abbassate dunque questo mio cuor’arrogante per sublimarlo; e se conoscete, che la Gratia, di cui vi supplico, contribuisca alla vostra Gloria, deh concedetela, non al mio Merito, ma ben sì a quella grande Humiltà, con cui tanto vi piacque il vostro fedelissimo Amante FRANCESCO.

SUPPLICA AL SANTO.

E voi mio gran Minimo (vi chiamo con questo Nome, per esser

quello, che più vi piace) deh non ricusate d’impetrarmi tal Gratia, in Virtù di quella Santa Abiettione, che tanto vi fe’ simile al Crocifisso, e così grato a Dio. Abbassate lo sguardo da’ culmini delle Stelle a me, che mi trovo nel profondo delle angustie, perché troppo ho voluto dilabar le mie pretensioni. L’Anima mia tutta fuma, ma senza odore, non può ascender’a Dio senza voi, che sempre vi alzaste coll’abbassarvi. È sterile di Merito la mia Fede, senza la vostra, che fe’ fruttar la terra in Decembre: È tarda nel movimento [315] senza voi, che feste caminar le Montagne, sdegnando come tanto partiale dell’Humiltà di vedervi l’Eminenza su gli occhi: È pesante senza il vostro aiuto, che fe’ galleggiar sul mare i vostri Compagni. Deh siatemi Padrino, e Padre. Annoveratemi fra gl’inumerabili, che soccorreste; E se resiste il Signore a’ miei Voti, come di una Mente Superba, supplite voi colle vostre Suppliche, o mio caro Implorato, avanzandomi col merito di quelle Humiliationi, che tanto vi sulimarono, di que’ disprezzi, che così vi accreditaro con Dio. Tanto confido in voi, quanto da voi spero, mentre nelle mani vi pongo con questo mio cuor, ogni mio interesse.

*

[316]

VENERDÌ S E C O N D O

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D E D I C A T O

ALLA MORTIFICATIONE

DEL SANTO.

ai non si vide così mortificata la Vita, che quando Christo sposò la Morte nel Talamo della Croce. Spogliato della pelle, non che de’ panni: Lacero, sanguinoso, & esangue: Mucchio di Piaghe spezzate; anzi una Piaga

intera: deriso piangente, sitibondo, masticato, patì per tutt’i Carnali nella sua Carne, e perciò patì tanto nella sua Passione, dopo gli Stenti da lui peregrinante sofferti; Quindi fu, che per tutti Morto, sopportò per tutti il gastigo; e perdè per tutti la Vita.

Oh spettacolo da tanti osservato, e lagrimato da così pochi! Scandaloso al Giudeo pertinace, stolto al protervo Gentile, e trasogno al Fedele Infido.

Beate mani, che havete i Poli ne’ Chiodi. Piedi adorati, che inchiodar vi feste per aspettarci. Petto amoroso, che squarciato ci attendi ad accorci. Bocca socchiusa, [317] che se ben’intinta nel fiele amaro spunti sì dolce. Capo spinato, che germogli rose per coronare Chi ti traffisse, Voi siete tutti Caratteri di una Mortificatione vivifica, che debbe professare Chiunque ricorre a Dio.

Oh come FRANCESCO corse fra’ primi anhelante, benché dalle Penitenze sfiancato, a cercar’il suo Signor sulla Croce, per imprimerlo a sé tutto nell’Anima sua, morto al Mondo, e Mortificato al Diletto. Non mangiò mai Carne, perché nodrissi sempre di Spirito. Si scordò del Latte, perché succhiollo solo Bambino. Il Pane duro il sostenne, per esser’Egli nemico della mollezza, L’Acqua pura gli piacque, perché considerolla come Istrumento, e Simbolo della Gratia. Infermo aggiunse l’Herbe col pugno scarso alla Mensa parca, com’espressive delle Speranze, che il ravvivano, mentre mortificava il proprio Appetito. Gustò tal’hora qualche campestre Legume, perché di Natura Provida frutto Minimo.

I di lui piedi furono sempre nudi, perché seguaci di Christo inchiodato. I di lui affetti furono sempre inchiodati, perché seguaci di Christo nudo. Cercò colle piante le spine per coronarsene il capo: Portolle di continuo serrate d’intorno a’ lombi, per assieparne i suoi Gigli puri; Se ne cinse il Cuore, perché fu [318] Cuor di FRANCESCO il Crocefisso spinato.

Della Terra Ei non volle, che quanta bastogli a corcar il suo Corpo, per haver sempre, non sol sotto gli occhi, ma anche sotto le membra, il Sepolcro. Un Sasso servilli da capezzale, per fondarvi sopra la sodezza de’ suoi pensieri. Così vide novel Giacobbe discender gli Angeli per gli gradi delle sue Meditationi, e Dio sulla Scala della Penitenza, che il benedisse, con tutto il suo Seme Spirituale. Tal’hora si adagiò su i Sarmenti, perché non servono ad altro, che a nodrir vivo il fuoco. Tre volte, ogni notte con tempeste di ferro flagellò le sue spalle; e quanto più grandinato, tanto più fe’

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frutto, raccogliendo da que’ solchi Messe di Gloria. Trambasciò più fiate sfiatato sotto le fruste, amando meglio di soffrir’i deliquij della sua Carne, che la ribellione del proprio Senso.

Oh FRANCESCO! Oh FRANCESCO! Mostro di Penitenza, quanto più deformato, tanto più bello, s’Io ti rimiro mi abbagli, perché la tua continua Mortificatione mi pare un proseguito Miracolo, non che un perpetuo Martirio. Riflesso nell’Austerezza della tua Vita l’Imaginatione confusa, e piango percosso da tanti raggi, onde sfolgoreggi, la mia così rilassata, e codarda, che ad ogni minimo tedio apparente fugge dal patire [319] ritrosa. Osservo il tuo animo così perfettamente mortificato, che nol rinvengo mai nel gran Periodo de’ tuoi anni divertito da un oggetto mondano: quinci mi volgo a me così dissimile dall’obligo, che professo, e vorrei, essere così pronto col mio Spirito ad imitarti, come col mio Senso a risentirmi.

Hor’eccoti qui mio Mortale un abbozzo in FRANCESCO del Crocifisso. Deh perché non ti scuoti una volta dal tuo letargo? Tu dormi sepolto nelle Delitie, perciò non osservi FRANCESCO fra le Spine ravvolto. Sempre più vivo al Mondo, altro sentimento non hai, che del tuo Senso insensato. Regali la tua Carne, e pur ti tradisce. Questa è la Dalida, che non ti leva la forza, quando l’Anima tua le si adagia in seno. La tua morbidezza ti snerva, il tuo piacer ti contamina, la tua felicità di sommerge. Non puoi sentir la puntura di una zenzara: molto meno la piccatura di un motto; e poi pretenderai di portar le Stimmate del tuo Signore in questo tuo Corpo così malamente mortificato, in questo tuo Spirito così di piaceri studiosamente nodrito.

Tu godi quaggiù il tuo Paradiso. Ma il voler coronarsi epicurizando di quelle Rose, che marciscono, quando si colgono; e poi di quelle, che sempre fiorite, sopra lo Stelo della Gloria rampollano, è una mera Pazzia, che accieca, una vera [320] menzogna, che ti delude.

Christo discendendo dal Taborre dove apparì per una succinta dimora glorificato, ingiunse a tre suoi Discepoli di non palesare la Visione, prima ch’Ei fosse risorto, perché, in certo modo, pareva che si arrossisse di haver gioito, benché per tratto sì brieve, pria di patire. E Pietro, che volea lassù dirizzar Tabernacoli, per dimorarvi a darsi bel tempo, non sapea ciò, che si dicesse; perché pretendeva d’imparadisarsi prima di haver sofferto, dopo tante altre pene, il Martirio.

Risolviti dunque tu a mortificare le tue Passioni. Catenale come Schiave dell’Intelletto. Infrenale con un Chiodo del Crocifisso. Domale sotto il giogo della Croce. Coronati di Spine, che non ti mancheran poi le Rose: Né ti lagnar se peni, tal volta, troppo dilicato, & impoltronito nelle tue sodisfattioni; ma ti dolga il non essere fatto degno di patir’un po’ poco di quanto FRANCESCO mortificato soffrì per Dio. Pregalo dunque, ch’Egli supplisca col merito delle sue interne, & esteriori Austerezze alla tua fiacchezza, dalla quale se non ti dà l’animo di cacciar forza, per mortificar la tua Carne colle Penitenze, per abbatter’i fumi del tuo cervello colla

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mortificatione, procura almeno con votive svisceratezze di cavar gl’infrascritti

[321]

AFFETTI AL CROCIFISSO.

Amoroso, ma non amato mio Dio, Mortificata mia Vita. Io dunque ardisco di mirarvi così vermiglio nel vostro sangue, col restar sempre più nelle mie delitie affogato? E non impallidisco più per l’horrore delle mie Colpe, che per lo dolor delle vostre Piaghe? Voi per me tanto patiste, & Io tanto peccai contra Voi: Io fra i piaceri, voi fra le pene: Io fra le gioie, voi fra i tormenti: Voi confitto, & Io senza freno: Voi satiato di opprobrij, & Io non mai satio di Honori: Voi cicatrizato dall’Impietà, & Io regalato dalla Dilicatezza. Oh quanto sono le Parti mal ripartite! Et ancor ardisco di chiedervi consolationi fugaci, quando sì poco conto fo dell’eterne? Deh se quanto vi chiedo non è per salute dell’Anima mia, nol chiedo più. Comincierò a mortificarmi, per cominciar a seguirvi; o prenderò per mia Scorta FRANCESCO, che tanto fu vostra Imagine. Chi sa, che non concediate al Merito della di lui somma Austerezza, ciò che giustamente negate al Demerito della mia rilassata Coscienza.

[322]

SUPPLICA AL SANTO.

A voi dunque sta, o incolpabile Penitente, il patrocinarmi in questo Procinto. La mortificatione della vostra gran Vita, che vi rese tanto temuto dall’Inferno, è ben soverchia a meritarmi qualche favore del Cielo. Deh fissate lo sguardo in quest’Anima mia così povera di Spirito, perché così poco nella Carne mortificata. Questa mia Volontà, che seguita sempre l’Appetito, e non mai lascia guidarsi dalla Ragione, mi strascina fra le Rose delle Delitie Mondane, alle Spine della Dannatione perpetua. Ah mio gran Peccatore, voi, che vivendo tanto Mortificato vi ravvolgete fra le Spine, offerite a Dio quelle punture, che

vi traffissero, per abolire in me quelle Morbidezze, che mi distraggono: Così sarò degno di compassione,

purché voi per me presentiate la vostra Passione, cotanto

simile a quella del Crocifisso.

[323]

VENERDÌ TERZO

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D E D I C A T O

ALL’AMOR DEL SANTO VERSO DIO.

on si può meglio esprimere l’Amore dell’Huomo a

Dio, che nella figura del Crocifisso. Eccoti Gesù sulla Croce, che delle sue braccia

formando un Arco, e del suo Spirito una Saetta, colpisce il cuor dell’Eterno Padre, per renderlo di sdegnato contra la Colpa, all’Humana Natura Pietoso.

Nudo si mira, perché l’Amore gli ha fatto depor le vesti, per entrar in lotta colla Giustitia Divina, e superarla cogli sforzi della sua Carità valorosa.

Ah, che ben volentieri si fe’ Vittima, e Sacerdote per supplir’il difetto del nostro Affetto, sacrificando per noi tutti freddi, e sacrificandosi per noi tutto fuoco. Ma chi appicò mai tanta fiamma a così sovrano Holocausto? Non altri, che l’Amore colla sua Face. Chi legò la Vittima con [324] tanti scorni, che l’infucò con tante ritorte, chi strascinolla con tanti lacci? Non altri, che l’Amore colla sua forza. Chi scorticolla colle sferzate, che l’infranse colle percosse, chi la confisse sopra di un Tronco, chi svenolla con tante Piaghe? Non altri, che l’Amore co’ suoi ordigni. L’Amore contorse le Corde per legar Gesù nel Getsemani: L’Amore colla sua fiaccola guidò i Sicarij fra l’ombre ad imprigionarlo: L’Amore il precipitò nel Torrente di Cedronne, per refrigerar’in quell’acque sagre tanto ardor di patire: L’Amore il condusse a’ Tribunali dell’Impietà: L’Amore lo spogliò delle fruste: L’Amore il fe’ comparire con una canna alla mano, coperto d’ostro ignominioso, scettrato Re de’ Dolori: L’Amore colse le spine per fargli cerchio funesto alle tempie afflitte: L’Amore fabbricò i Chiodi per conficcarlo sopra di un Legno: L’Amore formò la Croce per innalberarlo sopra di un Monte: L’Amore mietè la Mirra per abbeverarlo nel suo deliquio: L’Amore temprò la Lancia per trapassargl’il Costato dopo la Morte: L’Amor finalmente fu quello, che in figura di un Angelo gli presentò nell’Horto il Calice della Passione, e fegli nel Calvario, col consumatum est, dopo di haverlo Christo tutto bevuto, chinar il capo.

Questo Sagrificio fu esattamente in sé stesso da FRANCESCO imitato. Egli [325] fu così appassionato del Crocifisso, che lo portò nelle viscere accese da un intensissimo Amore. Arse Fenice Amorosa in perpetuo incendio, e fu la sua Catasta la Croce. La sua Vita fu tutta uno Spiraglio di Ardore. Sotto le ceneri delle sue Penitenze hebbe sempre vivo il fuoco Divino. Pallido ogn’hora, non solo come Astinente, ma come Amante, se pur’hebbe in viso qualche rossore, fu negli Estasi così frequenti, che il rapiro alla terra, qual innamorata Pirausta, a raggirarsi d’intorno all’amato Lume.

Iddio il marcò coll’impronto di sé medesimo; e se non gl’impresse sensibili nelle membra le Piaghe del Crocifisso, gli stampò nell’Anima

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profondamente la forma della sua confitta Divinità. La Carità di FRANCESCO fu così prodigiosa, che l’ammirò la stessa Natura insensata ne’ Sassi, negli Alberi nelle Fiamme, nell’onde. Con la sua Carità fe’ FRANCESCO un perfetto circolo; peroché con quella aggirandosi sempre a Dio, Iddio si congiunse a lui; e non sapendosi spiccar mai, l’invaghito del suo Dilettissimo Nume, dal contemplarlo, oh quante volte, oh quante sviscerato da’ baci nel vezzeggiarlo trambasciò sulla Croce, e suggellò la sua bocca orante colle Piaghe adorate del suo Signore. Contemplandolo, non solo della pelle, ma dell’Anima, non che per gli Amici, ma per gli stessi Nemici [326] spogliato, a tanto eccesso di Carità languiva d’Amore, onde scendevano gli Angioli ad assieparlo di fiori, & a caricarlo de’ fruti, ch’Egli meditando havea colti, in tanta abbondanza, dall’Albero della Vita.

Come l’Amore, da Platone descritto, andò FRANCESCO sempre co’ piedi scalzi, per esalar le vampe de’ suoi affetti vestiti di fiamme; e non si curando d’altro nel Mondo, che di amare il suo Dio, sprezzò questo Secolo con una dotta Ignoranza, e lo schernì con una saggia Pazzia.

Fe’ singolarmente tante maraviglie nel Fuoco, perché questo fu il suo proprio Elemento. Strinse con man sicura Carboni accesi, perché gli cinse il cuore abbronzato un’ardentissima Carità. Questa fu la Verga con cui, Mosè Novello, comandò all’Universo, e se non divise con quella il Mare, l’affossò al suo passaggio; e se non cangiò con quella l’acque nel sangue, convertì il Sangue de’ Peccatori in acque di Pentimento. Se con quella non fe’ venir le zanzare, scacciò le Vespe: Se non uccise i Serpenti, li portò nelle mani che svelenati. Se non fe’ morire i Primogeniti dell’Egitto, fe’ nascere i Primogeniti delle Famiglie: se non fe’ piovere il fuoco dal Cielo, colle sue piante l’estinse: Se non fe’ inondare le Rane le fe’ saltare: Se non uccise i rubelli, risuscitò i [327] Devoti: Se non attrasse i Cimici puzzolenti, smorbò le coscienze delle fetide colpe. Fe’ sgorgar più volte dalle Pomici l’onde; ma più volte, e più da’ cuori di felce le lagrime. Entrò nelle Fornaci a raffinar l’oro della sua Carità, senza abbrucciar un pelo de’ suoi capelli, non havendo timor’alcuno, perché sapeva, che perfecta Charitas foras mittit timorem, e che il Signor disse a’ suoi Diletti: Vestri Capilli omnes numerati sunt: nolite timere.

Ogni parola di FRANCESCO fu articolata dalla Carità, e l’hebbe sempre foriera, e mentre non aprì mai la bocca, che non cominciasse; Per Carità. Le sue aspirationi; le sue Sincopi, le sue prove, i suoi sospiri, i suoi sdegni innocenti, i suoi zeli discreti, & i suoi furori pacifici dalla Carità sola sempre furono originati.

Hor tu Anima algente, che geli ancora a’ riflessi di tante fiamme, se non vuoi nell’eterno incendio seppellire la tua freddezza, apprendi da FRANCESCO ad amare il tuo Dio; né sdegnare di haver per Mastro quello, che implori per Protettore.

Amasti, o Sensuale, i tuoi commodi; e per un piacer fuggitivo ti sfiancasti non mai satio: e di un diletto impuro ti satiasti non mai stanco. Stanco non mai di offendere Chi ti creò: satio non mai di amare Chi ti distrugge. Ti attaccasti all’Oro per andar’al fondo, non sollevandoti [328]

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mai a tesoreggiare nel Cielo. T’impaniasti nelle lordure degli appetiti, & infangato nelle tue paludose passioni, non mai spiegasti volo al Calvario per adorar’amante il tuo Amor Crocifisso. Che disse il tuo Amore? Il tuo Amore fu l’Interesse. Per un Danaro tradisti un Dio, per un’ombra perdesti la Luce, per un Sogno ti giucasti la Visione Beata. Havesti timor ch’ogn’uno fuor, che di Dio; & ogni altro amasti, che lui. Co’ tuoi guadagni perdesti il Paradiso: co’ tuoi Passatempi rinunciasti all’Eternità. Vestisti viscere di ferro, e sol le infocasti colla Concupiscenza della tua Carne. Ingrato Mostro di Fellonia, deh come hai pagato sì male Chi per te fu piagato sì bene.

Ma se brami di rinovar la tua Vita, purifica prima il tuo cuore col fuoco di quell’Amore, che consuma tutte le Colpe. Impara da FRANCESCO ad amare, chi ti amò tanto, mentre s’incarnò per separarti dalla Carne, morì per darti la Vita. Christo amoroso sopra la Croce pianse più le tue perdite, che le sue Piaghe. Del suo Costanto aperto ti fe’ un fonte vivo, che spruzza l’acqua mondissima ad ammorzare le fiamme oscene di quell’Amore Profano, che ad altro non tende, che a farti passar dagli ardori illeciti, all’Incendio Infernale.

Indossa dunque la Livrea del Crocifisso, se desideri, ch’egli ti conosca per suo [329] Servo fedele. Quel Cavaliere Spagnuolo, che fu dal Terreno Amore realmente ferito in morte, mentre gli fu passato il petto da Strale aguto, comparì un Carnevale in Maschera nella Corte con un vestito tutto tempestato di Reali; e tanto più ricco, quanto più coperto di Pezze, col Motto allusivo al suo pazzo intento in queste parole: Mis Amores son Reales. Hor tu fa’ una Divisa al tuo Spirito più confacente: Copriti tutto di fiamme celesti, per dichiararti di Dio vero Amante, e porta in bocca questo bel detto, non punto pericoloso; Mis Amores son Divinos. Di questo modo FRANCESCO non ricuserà di presentarti al Trono della Gratia, al quale prostrandoti tutto amoroso, ne darai la prova con somiglianti

AFFETTI AL CROCIFISSO.

O mio adorabile Amore, che saettate dal Cielo tonante, e flagellato

appariste in Terra, deh chi vi fe’ deporre placato i fulmini; per impignar moribondo i Chiodi? Ah non altro no, che il Disegno di farvi conoscere un Dio Amante. Voi discendeste per mettere il Mondo a fuoco; e pure questo mio cuor di paglia vano, e leggiero, non arde! Non arde no; che perciò si rinova il prodigio in esso dello Spinaio nel Sinai; perché coll’esservi, tante volte voi sceso a darmi la Legge, non si consuma sol per amarvi, ma solo si [330] strugge, qual cerca, al calore del fomite, e se ne va in fumo, qual fieno, alla vampa del Senso. Misero di me: Che fui? Che sono? E che sarò mai? Fui ghiaccio al vostro ardore: son’ombra al vostro Sole: sarò cenere, senza il fuoco del vostro santissimo Amore. Ah Santissimo Amore, accendimi, ardimi impolverarmi, pria che la Morte mi estingua, mi raffreddi, m’inceneri.

SUPPLICA AL SANTO.

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E voi mio caro FRANCESCO, Immortal’Amante di Dio vivo, che

colla vostra Carità feste fermar le Rupi insensate, perché non movete il mio cuor così sensuale? Se galleggiaste sull’acque, perché vi die’ l’Amor Divino, per farvi uno Smergo del Paradiso, deh sollevate il mio Spirito così pesante, perché tutto pieno di terra. Vivificate il mio Affetto morto, voi che restituiste la vita a’ Defonti; e non ricusate, se feste già risorger gli Agnelli divorati, e combusti dalle fornaci, che l’anima mia divorata dalla Carnalità, combusta da fiamme illecite, risorga tutta Innocente per mezo vostro dalla fornace della concupiscenza, divorata da’ miei appetiti, ad intercedere col vostro Merito, spargendo belati di Pentimento, quelle Gratie, che come un’Agna mansuetissima vi dimanda.

[331]

VENERDÌ QUARTO

D E D I C A T O

ALL’AMOR DEL SANTO

VERSO LA SALUTE DEL PROSSIMO.

i sa per certissimo, che i due Poli della Religione

Cattolica sono l’Amor di Dio, e del Prossimo. Chi non travia da questi due Tropici può dir di correre perfettamente tutta l’Ecclitica della Legge.

Da questi due Punti fissi si deducano paralelle le Linee della Perfettione, le quali vanno a terminarsi con quella dell’Eternità interminabile. Tutte le altre, ch’escono fuori della Proportione di esse, dal vero Centro obliquando, non sono capaci di rettitudine, onde rimanendo interrotte, o stravolte si perdono erranti: appunto come Alfeo, che si sotterra vagando senza legge di corso: Simbolo degli Amanti del Mondo, che cercando per intorti, e limacciosi sentieri le vaganti Aretuse [332] delle lubriche Contentezze.

Questa fruttuosa Dottrina si coglie dall’Albero della Croce. Quando si trattò di riscattare l’Anime Schiave, di tirar’al Cielo l’Anime schive, venne il Figliuol di Dio nella Pienezza del Tempo, ma più dell’Amore, a correre con passi di Gigante la carriera della Passione. Passò per tutti li segni del Zodiaco Mistico, come il Sole per quei del Celeste. Entrò nel Segno di Vergine coll’Incarnarsi: Nel Segno di Pesci nodrito dall’Astinenza: Nel Segno di Acquario, quando convertì l’acqua in Vino; o pur quando pianse alla Morte di Lazaro. Nel Segno di Cancro, quando fu bestemmiato

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dal retrogrado Hebreo: Nel Segno di Scorpione, quando fu baciato dall’esecrabile Giuda: Nel Segno di Ariete, quando sull’Altar della Croce fu Vittima bella come Innocente: nel Segno di Libra, quando sulla medesima Croce, Statera facta Corporis sodisfece al rigore della Divina Giustitia: Nel Segno di Gemini, quando fu alzato fra due Ladri confitto: Nel Segno di Capricorno all’hor, che fiaccò l’orgoglio del Principe delle Tenebre: Nel Segno di Toro, quando con tremendissimo grido, rimproverando, all’Huomo l’Ingratitudine sua, clamans emisit Spiritum: Nel Segno di Sagittario, quando con una lancia, non so s’Io la chiami cruda, o soave, unus Militum latus eius aperuit: Nel Segno di Lione, [333] quando vibrando impassibile i suoi raggi più fulgidi risuscitò dalla Tomba gloriosamente Immortale.

Tutte queste fatticose Carriere corse l’Eterno Sole per la salute dell’Huomo. A cavar la Pecorella perduta dalle zanne del Lupo Infernale, entrò il buon Pastore per le spine; passò per le punte, sudò sangue, votò le Vene, stillò le lagrime, perdè la pelle, e per non finir l’Amore finì la Vita.

Deh miralo fissamente, ch’Egli colla sua mutolezza ti rimprovera la tua Ingratitudine; perché tu il pagasti di colpe, e di nuovo colle colpe il piagasti, quanto a te, per cui di nuovo, se non soverchiasse il Merito della sua Morte, tornerebbe al morire, per tornar’a darti la Vita.

Ma non abbusò già FRANCESCO di un tanto Amore, che a lui servì sempre di un Santo Esempio. Oh quanti rapì alle fauci di una Morte letale: oh quanti sottrasse del Peccato agli artigli! Entrò con coraggio Vangelico nelle Corti, e ne snidò col zelo di un Elia le Passioni. Chi non fu solito mai di restar’abbagliato a’ fulgori dell’Oro, non hebbe mai paura de’ folgori della Corona. Per guadagnar’i Regi all’Empireo intraprese Viaggi, ben’opposti al Genio della cara sua solitudine: si mischiò nella folla del Mondo per cacciarne i Giornalieri del Senso.

[334] L’Amor del suo Prossimo fello scordar di sé stesso; e per ministrar col consiglio all’Anime il Cibo si scordò di mangiare. Ma tanto poco era il di lui Nodrimento, che ben facile gli occorrea lo scordarselo. Cavò dal capo degli ammorbati i Vermini velenosi; ma più volte, e più da’ cuori de’ Delinquenti le Verminose Inclinationi.

Non fu canna vota per l’astinenza; ma benché debole servì a molti cadenti di appoggio. Portò nella bocca il Mele per la dolcezza delle parole faconde, ma non fucate; vi portò i Pungoli nell’acutezza de’ suoi penetranti Ricordi: Così fu Ape, che andò a gli altri più, che a sé medesimo mellificando. Il suo disegno fu sempre di preparare, come Giovanni, al Signore una Plebe perfetta.

Anche una Maliarda accrebbe le conquiste di lui, che seppe svellere le Anime dall’Abisso. Una Strega, di quelle, che nel Reame di Napoli chiaman Magare, forse perché son Megere, e Furie non favolose dell’Erebo, a’ Salmi di FRANCESCO divoti cadette i suoi Ensalmi Sortilegi. Coronata d’Aspidi il cuore, se non il capo, li fe’ tutti scoppiar colla Penitenza a cui l’indusse con Eloquenza Celeste il Santo, Prodigioso più nel muovere il petto di una Donna insassito, che non fu in Paterno col fermar le Rocche nell’Aria. Spettacolo degno del Paradiso, [335] veder’un’Hecuba di costumi

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fetidi, cangiarsi tosto in un’Helena di Bellezza interiore. Questa spietata Medea, che vantava di poter fermar nel Cielo la Luna, e di sconvolgere l’ordine della Natura, divenne una Taide Penitente, fissando gli occhi nel Sol’Eterno, che la fe’ lagrimare co’ raggi delle sue ispirationi, traspirati per lo mezo di un Cristallo così puro, come FRANCESCO. Disfè i suoi circoli l’Incantadrice profana, pensando al circolo dell’Eternità, propostole da questo Santo Archimede, che l’abbagliò collo Specchio del Crocifisso, e la gittò, prostrata, a’ suoi piedi, per chieder’a Dio perdono. L’ottenne, perché fu Mediatore FRANCESCO, il quale tramutò in Agna colei, che tante volte solea cangiarsi in Lupa. Sorda non più, non più sordida lasciò l’Arte nera de’ suoi fumicosi Prestigi, mentre sentì le voci, de’ Divini Precetti.

Di tal maniera FRANCESCO, a tutti coll’Apostolo si fe’ tutto: e riputò quel tempo perduto, in cui non ampliò al Crocifisso le Truppe, e non iscemò le Falangi all’Inferno. Deh come logorò le ginocchia sul suolo, fatto immobile Statua nell’Oratione, per disimpetrir tanti cuori nella colpa indurati. Scarnificò le sue spalle per provocar la Misericordia con l’ossa nude ad assolvere i Rubelli del Cielo. Trafisse le sue Viscere co’ Cilicij, [336] le sviscerò co’ sospiri, per impetrar la Salvezza de’ Peccatori.

Ma tu, che fosti sempre tutto l’opposto, e sempre festi al tuo Prossimo il Trabocchello per precipitarlo nel Baratro, perché a tanto fuoco non ti arrossisci? Se sei stato un’Anima vaneggiante, deh qual incendio non cagionasti nella Città, al brillare di tue pupille, che scintillando accesero così vane; & a guisa di Lucciole andarono sempre vagando per l’aria a farti correr dietro que’ tutti, che come fanciulli insensati pendettero cogli sguardi dalle tue Mamme, le quali, come Lamia, snudasti per allatar impudicamente tanti, che come fossero tuoi Cagnolini dietro ti corsero.

Impura, che dirai tu, se quanto più bella in viso, tanto più brutta in mente, anche nel Tempio profanato da’ tuoi sozzi Amori, tingesti tanti col fumo de’ tuoi pazzi capricci? Et a’ piè della Vergine vera Minerva, andasti girando il capo come Civetta, per uccellare que’ molti, che ti ferono intorno con petulanza sacrilega, in faccia del Re de’ Reggi, il corteggio? Ahi quanti smarrirono il vero Polo per seguir le tue Stelle, Callisto oscena, che osasti condurre colle tue striscie impudiche, i vaporosi affetti di tanti cuori a coprir irriverenti la faccia del Sol Divino?

Consimilmente ragiona (o Lettor mio) [337] se festi il mestier di guadagnar seguaci al Demonio, che ha tanti Procuradori, quanti son quelli, che spingono, o coll’Esempio scandaloso, o con Consiglio perfido, o coll’Adulatione fallace l’Anime incaute a prevaricare. Dunque non ti appagasti di perder la tua, senza multiplicarne il Reato, col promover Complici de’ tuoi Delitti, dilatando non gli spatij della Carità verso il Prossimo, ma del Peccato contra di Dio.

Gemi dunque in te stesso, o cuor deluso dalle tue arti nefande, e non sia fugace il dolore come il diletto di veder altri nella tua pania inveschiati. Ah, che ti penti, e menti, se non son fissi i tuoi Pentimenti. Risarcisci dunque i passati Danni col procurar al tuo Prossimo presentanei guadagni; e

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sei vuoi trovar le Gratie, che cerchi, cerca di trovar l’Anime, c’hai perdute, e di ridurle insieme teco, escrimendo questi tenerissimi.

AFFETTI AL CROCIFISSO.

Mio Dio, tanto Sangue, tante Pene, tante Piaghe? E perché? E per

chi? Per riscattare li vostri Schiavi: Et Io sono stato, così sovente un laccio da imprigionar tanti miei Fratelli? Ah mio Pastore Amoroso, voi vi feste scorticar per le vostre Pecore; & Io mi sono ingegnato di metterle in bocca al Lupo? Alla vostra Greggia [338] doveva Io ridurre le traviate; e pur le ho condotte al Macello? Questi vostri piedi piagati son pur contrasegno, che voi camminaste sulle punte per rinvenirle. Et Io ancor non apprendo da voi ad haver sete sopra la vostra Croce della Salute del mio Prossimo? Mio amatissimo Redentore, infondetemi con una stilla del vostro Sangue amoroso quella Carità, che tanto mi manca, & in voi fu cotanto eccessiva. Deh fate, che amando Voi, ami ancora Chi voi amate: E poiché volete, che ogn’un si salvi non permettete, che più mai per me pericoli alcuno, e che col mio Esempio alcuno vi offenda. Concedetemi questo favore prima di ogni altro; e poi, se così vi piace, se non è di pregiudicio alla mia Salvezza, quello, che con tutte le mie viscere vi dimando.

SUPPLICA AL SANTO.

E voi, mio caro Beato, Pietà di quest’Anima, che senza il vostro

Merito di conseguirla diffida. Vorrei ben, che il dolore d’haver’offeso in tante guise il mio Dio, e singolarmente per non haver’amato, ma precipitato il mio Prossimo, andasse del paro colla confidenza, che ho nel vostro potentissimo Patrocinio riposta. Pure non mi sdegnate, benché sia bersaglio sol degno dello sdegno eterno, poiché così vi mostraste ardente nella Carità [339] verso il Prossimo, come nella Carità verso Dio. O mio gran Tutelare, son qui a’ vostri piedi, e mi pongo nelle vostre mani, accioché in tutto mi soccorriate, pregandovi a consolarmi con quella efficacia, che fu sempre propria del vostro aiuto.

VENERDÌ QUINTO

D E D I C A T O

ALL’AMOR DEL SANTO

VERSO IL CROCIFISSO.

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on s’ha da controvertere, se in Christo, nostro Sovrano l’Amor riflessivo di sé medesimo fosse di Compiacenza, quando si trasfigurò sul Taborre: di Compassione, quando morì sul Calvario.

Sulla Gloriosa Montagna ardendo di gioia, benché vestito di neve, conformò gli atti della sua Volontà a quelli del suo ingenito Genitore, sentendosi encomiare [340] da quella Voce, che come feconda, e tonante, uscì d’una nuvola. Sopra il Mortifero Colle vedendo il suo Sagro Corpo in poter de’ Profani: la sua impeccabile Divinità nelle forze de’ Criminosi; Velato gli occhi dalla confusione non meno, che dalla Modesta, singhiozzò, qual Colombo, che dagli Avoltoi rapaci miri ghermita, e lacera la sua pudica Compagna.

Così frequentemente meditava FRANCESCO; e tutto innamorato del Crocifisso, libava co’ baci dalle Piaghe del suo Signore, come da Rose stillanti di celesti rugiade, qual Ape, che non hebbe mai altro pungolo, che della Carità, li soavissimi humori delle Contemplationi Divine.

Oh quante volte sclamò col gran Martire Ignatio! Dunque il mio Amore fu Crocifisso? E per Chi? Per la mia Ingratitudine, che può produr’altro, che Chiodi, e Spine.

Ma taccia, il fervidissimo Amante del suo caro Confitto, perché santamente delira. Ingrato no, se da che vide la Croce, non sol’adorolla, ma caricossene subito il dorso, e se n’impresse vigorosamente lo Spirito.

Oh che spiritual Metampsicosi in lui si ammira! Si cangia nel Crocifisso, perché il Crocifisso in lui si converte. Vive morendo, perché vivendo non muore: muore [341] vivendo, perché morendo non vive: Non vive, perché muore in Christo: non muore, perché in Christo vive.

Ah sì, che muore; ma muor con Christo, nel Venerdì Santo all’hora di Sesta, sopra una gran Croce disteso, rassegnando il suo Spirito nelle mani del Figlio, come havea fatto il Figlio nelle mani del Padre.

Morì FRANCESCO, ma Crocifisso. Tal fu la sua chiarissima Morte, qual fu la sua pretiosissima Vita. Visse ogn’hor Crocifisso al Mondo, e volle morir Crocifisso a Dio. Chiuse la bocca co’ Gigli, perché l’apri nell’ultimo suo respiro co’ Nomi candidi di Gesù, e di Maria. Passò con sospiro acceso al suo Creatore, e perché così sospirar sogliono l’Alme di Fuoco: Parve, che morendo dormisse in pace, perché la sua Morte fu soave riposo, terminata sì lunga Guerra.

Entrò nell’Empireo Trionfante in Equipaggio di Crocifisso, e dalla Croce innalzato fe’, che si spalancassero alla di lui grande Humiltà quelle porte, che si chiudono in faccia a’ Superbi.

Hor, che t’imagini tu: Partecipar della medesima Sorte, se sei così nemico di que’ Mezi, che tanto servirola FRANCESCO per conseguirla. Sbagliasti; che non si ammettono colasù coloro, che non portan sul dorso la Croce, che per potervi arrivar’è la Scala.

[342] Per essere uniformati dalla Predestinatione all’Imaginatione del Figliuol di Dio Glorioso, bisogna portarlo quaggiù Crocifisso nel Cuore. Deh pazzo tu, che pretendi di poter’entrar in Carrozza nel Cielo, mentre il

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tuo Dio v’andò in Croce. Alla guerra, alla guerra, se vuoi coronarti degli Allori del Crocifisso.

Di Christo lasciò scritto il gran Tertulliano, che favos post fella gustavit; e tu vorrai, senza gustar una goccia del di lui fiele, saporeggiar le di lui dolcezze nel Paradiso? Se non l’amasti in terra, come potrai strignerlo in Cielo?

Gli Amici del Crocifisso si chiamano nella Scrittura Sagra Case di Avorio; Ma perché non più tosto d’Oro per la Carità: di cristallo per la Purezza: di Gemme per le Virtù: di pietre per la fermezza: di Cedro per l’incorrottibilità: di Setin per la fragranza? Domus Eburneae sì; non sol per la lor candidezza, e per la loro costanza; ma (secondo il parere del facondissimo S. Girolamo) ancor perché nisi Ebur radatur Limis, dividatur Serris obscurum est; così se il Christiano non è limato, e da se stesso diviso, per tutto unirsi al Crocifisso, non può essere Casa di Dio.

Intendimi o Dilicato. L’essere un vero Cattolico non consiste nel credere, e non nell’operare; ma nell’operare, & ancor nel patire: Benefacere, & mala pati Christianorum est lasciò scritto Filone il Carpatiano [343] per documento. Christo nella sua Vita fe’ sempre, e tutto, bene: Bene omnia fecit; e patì sempre, e quasi da tutti male; e per far bene fu Crocifisso.

Ma tu non vuoi capir questa massima per non praticarla, onde sei quello appunto di cui cantava il Profetico Rege: noluit intelligere, ut bene ageret: Deh come presumerai di veder’il volto di Dio Glorioso, se torcesti col piè lo sguardo, per non vederne, né seguitarne il dorso piagato: Diede una volta Mosè all’Altissimo un Memorialetto di tal tenore. Mostratemi una poco, o mio Bellissimo Nume, la vostra faccia, vo’ dir la vostra Divinità, così luminosa ostende mihi faciem tuam. Non (rescrisse il Signore) non. Posteriora meae videbis: Prima mi vederai flagellato, che glorioso.

Sì sì la Gloria è un Regno, il quale vim patitur; dunque bisogna bloccarlo co’ patimenti, assediarlo colle Penitenze, batterlo co’ sospiri, brecciarlo colle lagrime, scalarlo con le Croci, & entrarvi non colla baldanza di un Satrapa, ma nella positura di un Humile.

Il Crocifisso ti fe’ il sentiero; & altra strada non v’ha per giugnervi, che quella da Esso aperta. Tu ti presenterai alla porta del Paradiso per esservi ammesso, e ti si darà la ripulsa, perché non sarai come Christo coronato di Spine. Le tue morbidezze haveranno per termine un letto [344] duro per tutta l’Eternità, perché non mai ti adagiasti colla consideratione sopra la Croce. Morirai, e delle tue Rose molli, e marcite, altro non ti rimarrà, che gli sterpi a passarti il cuore. Morirai, e trovandoti al capezzale, quel Crocifisso, che tenne sempre le braccia aperte ad accoglierti penitente; le schioderà per fulminarti sdegnoso, poiché tante volte ne rifiutasti l’Amore.

Morirai, & apprendo gli occhi, come la Talpa, non ti vedrai d’intorno, che terra d’ombra, che ombra di morte, perché mai non fissasti il pensiero nel Cielo, Terra di Promissione, e di Luce. Morirai; & i tuoi fumi svaporando con l’estremo respiro, ti vedrai cinto di una perpetua caligine, perché mai non volesti mirar quelle fulgide Piaghe, che sono lumi del

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Paradiso. Morirai; & il peggio è, che morrai sempre di fame, e di sete, poiché tanto satiasti li tuoi appetiti, tanto abbeverast’i tuoi gusti; senza mai accostar la bocca degnamente al Pane Vivo del Crocifisso, a’ Fonti dolcissimi delle di lui Cicatrici Beate.

Per finirla. Non morrai, come FRANCESCO, con Christo, perché con Christo mai non vivesti. Non morrai, come FRANCESCO, col Crocifisso, perché non mai ti crocifiggesti con lui.

Deh cangia Vita, se vuoi cangiar Morte. Procura di fare per quanto puoi la [345] Vita di FRANCESCO, simile a quella del Crocifisso, se vuoi far la Morte di FRANCESCO, al Crocifisso così somigliante.

Siati dunque d’hor’in appresso meta il Crocifisso, ch’Io replicatamente ti nomino, per imprimerlo nell’Anima tua; e per proportelo scopo di fruttuosa Imitatione, e Barsaglio di Santo Amore. Inspice, & fac secundum Exemplar. Se dell’Amor perfetto è proprietà il rassomigliar l’Amante all’Amato, deh tu crocifiggi hor mai queste tue mani, scolanti del Sangue altrui, se non isvenato col ferro, coll’Interesse bevuto. Crocifiggi questi tuoi piedi, che corrono così veloci sulle carriere del senso, così retrogradi sul cammino della Virtù. Cigni questo tuo capo di spine, accioché dalle trafitture di esso svaporino tanti fumi di Ambitione, che te l’ingombrano. Solca queste tue spalle colle sferzate, se brami, che la tua Carne fruttifichi nelle Penitenze spinose frutti di Gloria. Abbevera questa tua bocca tanto attuffita nelle dolcezze amare dell’infame piacere, col dolce fiele del Redentore, se brami poscia gustarne i favi.

Sia il Mondo a te crocifisso, considerandolo non habentem speciem, neque decorem: Sij tu Crocifisso al Mondo, non havendo più movimento, né Senso. Mett’in Croce i tuoi Vitij, crocifiggendo le [346] tue carni col Santo Timor di Dio, le tue Passioni colle tue Penitenze; che così potrai ottener le Gratie da Dio, a cui ne farai risolutoria Protesta con gl’infrascritti

AFFETTI AL CROCIFISSO.

A’ vostri piedi, si abbata, o dolcissimo mio svenato, ogni machina di

questo mio cuore insassito; e sopra di Esso si pianti solo la vostra Croce adorabile, come Trofeo del vostro Amor’infinito. Amor’infinito, poiché non si finì colla Morte: non si fermò co’ chiodi, non si arrestò fra le spine: non fu legato con tante corde: non fu abbattuto con tante sferze: Ah mio Redentore confitto: Voi per me sviscerato, & Io per voi senza Viscere! Voi per me tutte Piaghe; & Io contra voi tutto Colpe! Voi per me spirante; & Io non mai sospirante per voi! Se i Predestinati alla Gloria debbono esser conformi alla vostra Imagine: Io che fui sempre una Talpa cieca, come potrò somigliarmi a voi, che apriste tanti occhi per mia salvezza, quante piaghe vi fe’ la mia crudeltà. La vostra Croce non si può stampar nel mio petto, perché l’ostinatione nell’offendervi l’ha reso sì duro, quando il vostro ardentissimo Amore dovea incenerirlo. Hora mi pento; non so se tardi, mentre voi sete più pronto al [347] perdono, di quello, ch’Io fossi pronto al Peccato. Mi vi stringo dunque tutto al mio cuore, ne vi lascierò mai, finché

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non habbiate benedetta quest’Anima, che tanti Tesori vi costa, perché vi costa tutto voi, che sete d’ogni Tesoro l’Abisso.

SUPPLICA AL SANTO.

Deh perfettissimo Simulacro del Crocifisso, a voi sta l’infiammare la

mia detestevole tepidezza. Voi, che tanto foste innamorato della Croce, che sempre l’haveste in seno, mirate questa mia volontà così schiva de’ patimenti, e rendetela tanto pieghevole al giogo, che voi portaste, quanto fu inflessibile alla Legge di quel buon Dio, a cui voi serviste. Errai, mio gran Protettore, & i miei falli non hanno numero; ma più innumerabili sono le Divine Misericordie, delle quali voi sete il Depositario. Impetratemi dunque Pietà: Pietà da un Dio, che morì per me, poiché mi pongo nelle di lui braccia aperte, sapendo bene, che non mi gastigheranno perché trafitte; non dovendo aspettar’il mio inciampo finale nelle mani di un Dio vivo, che convertirà in fulmini i Chiodi ad isterminarmi. Et accioché più non mi divertano quelle humane Passioni, che tanto mi crocifissero, stampatemi nello Spirito la [348] Passione del Crocifisso, e fate, che ne sia così amante nell’avvenire, per meritarne i favori, come ne fui per l’addietro rubello ad irritarne gli sdegni.

VENERDÌ SESTO.

D E D I C A T O

ALLA RIVERENZA

DEL SANTO

VERSO L’AUGUSTISSIMO SAGRAMENTO EUCARISTICO.

on può considerarsi perfettamente Christo

Sagramentato sopra l’Altare, senza raffigurarselo confitto sopra il Calvario. Son relative l’Hostia, e la Croce: Amendue del paro adorabili, perché quella ce l’esibisce, ogni giorno

nel Sagrificio; e questa ce l’espose, una volta, Sagrificato. Gli Accidenti venerabili del Pane, che restano, sono i Chiodi

Santissimi, che il configgono. Sol si tramezza il divario, [349] che nella Croce apparì stirato coll’Humanità sanguinosa; e nell’Hostia raccolto, col suo Corpo incruento, sotto un Indivisibile si rannicchia. E coronato di Spine atroci, qui di Gigli candidi: Là Spettacolo di derisione all’Hebreo blasfemo, qui Oggetto di Divotione al Catolico riverente: Là veduto con dispregio, qui invisibile con maraviglia: Là Pastor, che combatte contro a’ Lupi infernali,

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qui Agnello, che nodre l’Anime Pie: Là dall’Empietà lacerato, qui dalla Fede creduto intero: Là fra due Ladri, qui fra’ Chori de’ Serafini: Là colle labbra inzuppate nel fiele, qui d’ogni dolcezza grondante: Là bevente il Calice della Passione; qui, che porge il Calice della Gratia: Là colle mani trafitte da’ duri ferri, qui piene di Giacinti, per versarli sopra i suoi Cari: Là co’ piedi forati da’ crudi acciari, qui co’ passi svelti per accorrere in nostro aiuto: Là scopo di una Lancia, che gli apre il Costato, qui di un affetto, che dolcemente glie lo ferisce a farne prosorgere profluvij di Doni.

Deh chi potesse haver condecente il fervore per appressar’ardente la bocca a quel Carbon Mistico, che purificò, ancorché solo in figura, l’immonde Labbia di un Esaia, & infiammò cotanto le viscere di FRANCESCO amorose!

Oh quali furono le Dispositioni di lui [350] ad introdur nel suo Stomaco riverente una Forma così ineffabile! Divampa fuoco da gli occhi, quando si appressa alla Mensa del Sole, che l’accende Serafino Humanato che tutto divinizandosi nell’oggetto goduto, stende l’ale del cuore per abbracciar’il suo Dio velato degli accidenti. Sotto di questi considera meditando quella sostanza infinita, ancorché ristretta, & immensa, benché indivisibile, la quale per tutta l’Eternità, con alimento beatifico mantiene gl’Intelletti Beati. Mentre si ciba nel suo cibante si cangia. Non sai discernere, s’egli più viva, che solo a’ sospiri. La palpitatione del cuore lo fa parer più tosto moribondo, che vivo, dopo haver mangiata la Vita. Nel breve Circolo di quell’Hostia raccogliendosi il di lui Spirito abbandona il di lui corpo, che scade, in amoroso deliquio, e mentre lascia, sul suolo trambasciata la salma, l’Alma sen vola al Cielo col suo Signore, così avvolticchiata con lui, come un altro Giacobbe, che mai nol lascia senza esserne benedetto; anzi perché sempre lo benedice nol lascia mai.

Vola sovente estatico sopra la terra, perché il sollevano gli Angioli, come animata Pisside, in cui adorano il loro Pane. Fu sempre solito FRANCESCO a riceverlo tutto tremante, per confermarne il suo cuore tutto divoto.

[351] Impallorito in un sagro ribrezzo, che lo sorprende, secondo lo stile de’ veri Amanti; mostra, che il Sangue tutto gli è corso alle più intime fibre per soccorrerlo pronto ne’ vitalissimi svenimenti di lui, che muore havendo nel cuor la Vita. Con dolcissima Sincope soavemente giacendo boccone sul pavimento, dopo haver messo la bocca in Cielo, solleva al Cielo l’Anima sua sublimata, mentre abbandona il suo Corpo sopra la terra, dall’Amore abbattuto, e prostrato dall’Humiltà.

In questo modo nodrito di quella Manna, che gli è piovuta nello spinoso Diserto dell’incolta sua Carne, passa le intere Quaresime senza gustar Cibo alcuno mortale, poiché gli serve di alimento il suo Dio.

Con una corda annodata dal suo collo pendente, trattò sempre di legarsi, in quell’Atto terribile al suo Bene Sagramentato; e ricordandosi, che il suo Christo dalla Cena fu strascinato con funeste Funi alla Croce, egli pure legato si presenta dalla Croce alla Cena, per protestarsi volontario Schiavo di Dio, senza una minima libertà di coscienza.

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Ma tu, che tale il contempli: tu Anima, quanto più dissoluta ne’ tuoi errori, tanto più dalle tue passioni legata, perché non fremi con pio furore contra di te considerando la tua tepidezza al confronto [352] di un contraposto sì ardente?

Ahi quante volte, e quante rinovasti in te stessa l’antico Chaos rimescolando le tenebre colla luce sopra gli Abissi de’ tuoi peccati. Fosti una Talpa, & osasti cibarti di Cielo. Fra que’ Ligustri Sagramentali Vipera livorosa ti ravvolgesti. Ardisti Nottola opaca di sostener’i raggi di questo Sole. Entrasti Cornacchia nel Nilo delle Colombe. Non havesti l’Habito Nuttiale della Virtù, e t’intrudesti alla Mensa del Paradiso?

Oh Miserabilissim’huomo, dal tuo proprio senso disumanato. Vivesti da Bruto, e poi pretendi di cibarti da Angelo. E perché ti avanzi a baciar il Figliuol della Vergine, con que’ stessi labbri, co’ quali baciasti la Figliuola di Venere? Sei Scarafaggio nero, & hai ardire di metter la bocca impura sopra un Giglio sì candido? Sei un Corbo satollo di carne, e pur t’aggiri alla Mensa dell’Aquile, dove si pasce lo Spirito. Sei un Giuda, & osi baciar’il tuo Dio, non per amoreggiarlo, ma per tradirlo. Sei un Verme di Morte, e metti il dente nell’Albero della Vita. Sei un Mastino, & osi lacerar colla bocca immonda così pretiosa Murice. Sei un Serpente, che strisci sempre sopra la terra, e presumi di entrarne con tante scorze, senza deporle prima, nella caverna della Maceria. Sei un Ragno, e t’inoltri a succhiar veleno dove [353] succhiano le Api il mele. Sei un Lupo del Demonio, e ti fai pascolo dell’Agnello di Dio.

Ah cangia, cangia la spoglia peccaminosa, di cui ti vesti, se voi gustar degnamente il cibo, di cui ti nutri. Deh non mangiar più il tuo Giudicio, con mordere così sacrilegamente il tuo Giudice. Preparati a riceverlo degno in forma di Pane vero, se non vuoi provarlo severo in forma di Giove, non favoloso, quando verrà di fulmini armato ad incenerir tutto il Mondo.

Deponi l’Huomo vecchio, per vestir l’Huomo Dio. Siati Veste interiore la Gratia, per ben cibarti del Pan della Gloria. Metti più studio in aggiustare le tue partite col Fisco Eterno, che in calcolar il Bilancio de’ tuoi Negotij col Secol fallito. Tutt’i tuoi numeri diverran zeri senza il tuo Dio: tutt’i tuoi zeri diverran numeri, se a quello ti unisci communicandoti con Fede vera, con isperanza, viva, e con carità perfetta, come faceva FRANCESCO.

Lascia, deh lascia il Mondo, o Anima così vaneggiante, come delusa. Mira il tuo Sposo, che ti guata guardingo, respiciens per fenestras delle Specie Sagramentali: prospiciens per cancellos degli accidenti Eucaristici;

E per segno di sua gran Gelosia, Ei v’è, ti vede, e par, che non vi sia. [354] Non l’offendere dunque più fornicando cum Amatoribus

multis: coll’interesse, con l’odio, collo sdegno, coll’orgoglio, col fasto, col senso, coll’appetito, coll’inganno; e con tanti altri vitij, co’ quali ti strignesti nel separarti da lui, al quale chiederai perdono lagrimosa, e contrita con questi divoti

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AFFETTI AL CROCIFISSO.

Caro mio Redentore, dunque non vi bastò di haver lavata nel vostro

Sangue l’Anima mia sul Calvario, che voleste ancora abbeverarla col medesimo nell’Altare. Non contento di esservi fatto configgere sulla Croce, per amor mio, con quattro durissimi Chiodi, vi feste affigger nell’Hostia per mia maggiore confusione, con quattro onnipotenti parole. Et Io son quello, che con tanti miei Vitij vi ho crocifisso, e con tanti vostri favori vi ho disprezzato. Per me voi vi feste Pane, & Io contra voi mi son fatto Sasso. Voi sete il Verbo abbreviato nella Carne; & Io son il Peccatore, che nella Carne mi dilatai. Voi più anche abbreviato nell’Hostia, per poter capir tutto in questo mio cuore ingrato; & Io anche più fellone ampliai le mie colpe co’ beneficij vostri; e se vi piagai sulla Croce una volta, nell’Hostia molte vi lacerai. Pur non isdegnate ancor’hoggi di [355] discendere nel mio petto a colmarlo delle vostre Misericordie, & essendo questo un Inferno pieno di fiamme impure, e fumanti, voi vi degnate di convertirlo in un Paradiso colla vostra Presenza adorata. Ma deh, ch’Io non merito tanto. Non sia Paradiso no; Limbo sì per la sua tetrichezza, & a voi tocca empirlo d’Innocenti pensieri.

SUPPLICA AL SANTO.

E voi, mio Miracoloso FRANCESCO, non ignorate, che senza le

vostre generose influenze non può l’aridità del mio Spirito produr una Spiga, che sia degna della Messe del Paradiso. Ahi, che temo assai, senza la vostra assistenza, che il Grano del Formento degli Eletti caduto nelle mie Spine, seminato nelle mie pietre, non mi germogli alcun frutto, & in quest’Anima mia cotanto terrena non renda solo, che paglia ad accenderle intorno il Rogo sempiterno de’ Reprobi. Deh non mi abbandonate, voi, che con tante lagrime inaffiaste questo Seme Divino, onde vi produsse così gran raccolta di Gloria. Voi, che formaste sovente un’Iride, a’ riflessi di questo Sole Sagramentato, rendetelo a me Pacifico. Non permettete, che banchettando Io alla Mensa degli Angioli, perisca eternamente di fame, in mezzo a’ Demonij, privo della Visione di [356] quel Dio, che sempre satia, e non mai disvoglia i Beati, fra’ quali voi che il gustaste così amorosamente quaggiù imbendato, & imbandito nel Sagramento, hora il godere svelato, e rivelato nel Cielo. Impetrate dunque al mio cuore, che si disgeli ad un divoto fervore verso un

Dio così amabile, che per esser tutto sostanza si fe’ alimento; e che al

calore di questo purissimo Sole si dilegui l’afflittione

intorno al mio Spirito,

che

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come nebbia oscura l’ingombra.

*

[357]

VENERDÌ SETTIMO

D E D I C A T O

ALLA DIVOTIONE DEL SANTO

VERSO LA VERGINE NOSTRA SIGNORA.

endette Gesù Bambino dalle Poppe beate della

Verginale sua Madre: Pendette afflitta Maria dalle Piaghe amorose del suo Figliuol Crocifisso. S’ella gli canta alla Culla Nenie soavi, sotto la Croce il deplora con funesti Epicedi. Se

nodrillo Bambino col Latte, adulto il lava col pianto. Se colle fasce infantili lo strinse nella Capannuccia di Betelemme, nelle funeree bende il ravoglie dentro il Sepolcro sotto il Calvario.

Costante al par di dolente sotto il durissimo Legno, che le si pianta nel cuore, se ne sta immobile, come un Tronco; & a tanta procella di sangue, che tutta le diluvia sull’Anima, non si ritira, perché que’ Chiodi, che fissano il Corpo Divino del suo moribondo Unigenito nel Calvario, arrestano i passi della Gemente, poiché [358] traffiggono la più cara parte delle di lei viscere sviscerate.

All’hora sì, che parve sorgente Aurora, perché Stabat, più intrepida dello stesso Sole, che provò l’Occaso nel caso del suo Fattore, restando a mezo Cielo sepolto, quando vide l’Eterno nel mezo delle Terre fissato. Ma stava incrollabile a tanti colpi la gran Donna celibe, col solo appoggio del suo stabile Amore, havendo ritenuto il concetto delle sue Potenze quando gli Elementi l’havean perduto.

Provò nulladimento que’ dolori alla Morte assistendo del suo Diletto, che non haveva patiti nel partorirlo; e ben poteva dirsi angosciata, perché si sentiva morire il suo cuore. Si vide ammorzar sì gli occhi la sua pupilla; ma con ispettacolo non degenere dalla Patienza del Figlio, si dimostrò tanto

P

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dalla Compassione battuta, e non atterrata, quanto dalla Passione fu Christo abbattuto, e non atterrito.

In tal positura la meditava sovente FRANCESCO; & oh quante volte con reiterati singhiozzi replicò l’Eco pietosa a’ gemiti mesti dell’accordogliata Colomba!

Non sapeva no, l’accesso Contemplativo, meditar sulla Croce tiepido il Figlio, e non compatir a’ piè della Croce, qual ghiaccio, irrigidita dal suo dolore la Madre.

[359] Questa gli serviva di stilo per trovar l’Hore della sua compuntione divota nell’Horiuolo Solare del Crocifisso, vero Orizonte dell’Anima innamorata di Dio. Spiegò veliera la mente in quel tempestoso Mare del Redentor naufragante sopra di un Legno; e la di lui Stella, fra tante caligini dense, onde vedeva coperto il Mondo, fu sempre la Vergine, più scintillante all’hora, che ritrovossi vicina al Polo.

La prefisse FRANCESCO i suoi Pensieri bellissima Cinosura non mai offuscata, etiandio quando fu spento il Sole. Ella fu sempre l’obbietto di attributione d’ogni Gesta di lui; & Egli non mai operò maraviglia di tante, che ferono rimaner attonita la Natura, che non le appropriasse a Maria, come di tutte le Gratie la Dispensiera.

Gesù, e Maria furono i Cardini de’ di lui Affetti: furono i Tropici de’ di lui movimenti; & havendo Egli ottenuto dalla Santa Apostolica Sede, che l’Ordine suo s’intitolasse de’ Minimi, vi aggiunse (come osservò Genebrardo) di Giesù Maria, per ingrandirlo con una Santa Ambitione; A fine ancora (cred’io) di radolcirne con questi due Favi melliflui, l’asprissima quaresimale, perpetua, Astinenza, così temuta, e rifuggita con tanti raggiri dal Secolo molle, e codardo.

Non fe’ ricorso alcuno a FRANCESCO, [360] ch’Egli non gli additasse, in rifugio, la gran Madre della Clemenza. Con questo mistico Platano, che ha le foglie a foggia di scudi, apprestò le difese a’ perseguitati. Con questa elettissima Mirra condì l’Anime morte, affine di preservarle dall’imminente putredine. All’odore di questo gran Cedro esaltato nel celeste Libano, discacciò delle Colpe serpenti le morditure venenifere. Con questa Palma eccelsa di Cades inaugurò trionfali Vittorie all’Humanità militante. Con questo Ulivo ferace de’ Campi Empirei recò la Pace a tanti Spiriti combattuti dalle loro Passioni.

Ben vedi hora tu da queste Premesse la conseguenza, che cavar dei, per ottener’a’ tuoi Voti l’intento. Se fai ricorso al Crocifisso non puoi trovarlo senza la Vergine, che fu l’amata, e l’animata sua Croce, con cui sui strinse più molto incarnandosi, che coll’altra in morire; Ne mai lasciolla di vista, ancorché negli ultimi sfinimenti; e finché negli occhi hebbe la pupila viva, hebbe moribonda la Madre.

Se richiedi a FRANCESCO, che t’interceda a’ tuoi fini successo fausto, bisogna, che il prieghi ancora ad esserti favorevole, colla Tesoriera della Pietà, come tanto di lei favorito.

Ma ti trovi forse d’haverla così mal servita co’ tuoi poco rispettosi ossequij, [361] che con ragione disperi di riportar da quella (benché

160

l’interpositione di FRANCESCO sia grande) le gratie, che chiedi. Esclama la tua Sinderesi, che non meriti alcun Rescritto benigno dalla celibe Principessa degli Angeli, perché sei tanto impaniato nelle lordure del senso, e tante volte ti sei co’ Demonij confederato, quante contra il tuo Creatore peccasti. La tua impurità non ti rende, che meritevole de’ fulmini dell’Aquila Divina della Giustitia, e non degli sguardi amorevoli di una così candida, e bella Colomba.

Maria è la Madre Castissima; hor come presumerai d’esserle Figlio, se fosti della Castità cotanto nemico, e persecutore! Maria è lo Specchio della Giustitia; Hor qui riflessi potrai ricerverne in te, che sei così opaco per l’Impietà. Maria è Genidrice del Redentore; Hor se tante volte offendesti il di lei Figlio, che ti salvò, hai anche offesa la di lei Madre, che ti protesse. Maria è la Vergine, per Antonomasia Fedele; Hor tu, che sei tanto infido, e non vivesti mai, che d’Inganno, perché l’implori al tuo bisogno benefica? Maria è Vaso Spirituale; Hor tu vaso di carne, pieno di senso, non sei capace, non di ricever’in te le consolationi, che da quella si diffondono agli Spiriti Honesti, e purificati. Maria è Vaso insigne di devotione; Hor tu cotanto indevoto, che ti stanca una Messa, che non sia breve, una Predica [362] di un’hora; ma non una Commedia di sei hore, un Libro di cento fogli, e di mille laidezze, qual’Indulto puoi ottenere, così dissimile, dalla Supplicata Reina, hor, che la necessità, non la Pietade, ad inchinartele ti costrigne.

Cangia dunque tenore; e tieni per fermo, che non esce il Dispaccio alcuno di quella gran signatura di Gratia, che Maria nol faccia pria suggellare coll’impronto di quelle Piaghe Divine, che può ben chiamar sue, poiché le cagionarono tanto dolore, e nella di lei carne purissima restarono impresse.

Hai questa sorte, che FRANCESCO ti sarà Mediatore, per farti suggellare la gratia bramata; ma mentr’Egli ne prega la Madre, tu vogli il tuo cuore al Figlio, pregandolo con simili sviscerati

AFFETTI AL CROCIFISSO.

Deh perché vi rimiro ancora cogli occhi asciutti lagrimoso, ma non

lagrimato mio Dio? E tanto più mentre veggo con voi, confitta dal suo dolore, la vostra cara Madre, che geme più sopra le mie Piaghe, che per le vostre, poiché le vostre sono salubri, e le mie letali. Pur ardisco di ricorrere ad essa, come a rifugio de’ Peccatori accioché mi nasconda da’ vostri sdegni col manto della sua Protettione. Ah che non può mai la somma pietà di lei lasciar, [363] che perisca chi fu riscattato col vostro pretiosissimo Sangue, che dalle purissime vene di quella ha la sua Sorgente. Né voi mio Nume, così prodigo delle vostre Misericordie, potete lasciar di abbondarmele col mezo di essa, che, non sarebbe la Madre dell’Innocenza, e del bello Amore, se questo non fosse nato per mia ingratitudine forza, e quella non si fosse humanata per mia colpa. Ah mio Santissimo Salvatore non mi abborrite per

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gli meriti tanto sublimi della vostra gran Genidrice, a cui essendovi degnato di ubbidire in Terra, tanto vi piace di compiacere nel Cielo.

SUPPLICA AL SANTO.

E voi, mio Gloriosissimo Protettore; non mi abbandonate in questo

rincontro, ma rendetemi colla vostra Intercessione propitia la vostra adorabile Protettrice. Io mi presento qui co’ miei Affetti prostrato alla Croce, come all’Asilo de’ Tribulati, e perciò mi sono appressato alla Vergine, che alla Passione del suo Diletto non seppe staccarsene mai; & a voi, che la portaste sempre nel vostro Spirito Crocifisso. Se il Redentore spirante, raccommandò alla sospirante sua Madre il Discepolo amato: Voi, che anche nel morire tanto vi assomigliaste al vostro confitto Amore, raccomandate alla Vergine quest’Anima [364] mia così afflitta, e degna più di gastigo, che di perdono. Il mio Christo non ricusò nella Croce di condur seco un Ladro nel Paradiso, perché lo vide ver’ quella parte dove stava Maria; Hor s’Io mi ricovro verso di Essa, benché così scelerato confido d’impetrar’ogni Gratia, e di vedermi aperta la Gloria. Ah non dispero, no, perché ricorro ad un Dio Crocifisso, che mi apre le braccia: ad una gran Protettora, che mi stende il manto; e finalmente a voi, che così partiale di

Giesù, e di Maria, nel pronunciarne i Nomi soavissimi moriste per andar’a gioire con Essi, & ad

essere Avocato degli Afflitti come

son’Io, che vi dimando così

dolente, come affidato il Soccorso.

*

[365]

VENERDÌ OTTAVO

D E D I C A T O

ALL’UBBIDIENZA DEL SANTO.

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l primo Adamo prevaricando dalla Morte fu vinto: Il Secondo Adamo coll’ubblidire sconfisse la Morte. L’uno stese la Mano a carpir’un Frutto, che fe’ sterilir’il Genere Humano sfiorito: L’altro la porse ad esser trafitta da un Chiodo, che fe’

rinverdire l’Humano Genere fertilizzato. Le dita di tutti noi, nella palma infruttifera del nostro primiero Padre prosciolte, restarono punte in cogliere un Pomo spinoso; ma tutte l’Anime nostre, nel capo de’ Giusti comprese, rimasero sane per la virtù infinita di un Giglio stillato.

Christo fu Vittima di Ubbidienza, combusta sull’Altar della Croce; Né potè dirsi all’hora, che l’Ubbidienza fosse miglior delle Vittime, perché tutte le passate, e le venture adeguarono, o nella figura, o nel figurato quell’Holocausto, essendo una cosa stessa l’Immolato coll’Immolante, e colla Vittima l’Ubbidienza.

L’Ubbidienza in Christo svenò la Vittima; [366] e la Vittima sagrificò l’Ubbidienza. Questa gli fe’ incurvare i Cieli a discendere. Discese, come la Neve nel notturno silentio, essendo muta l’Ubbidienza? Stillò se stesso qual mattutina rugiada; e pur venne più veloce di un fulmine, e col lume più fiammeggiante del Sole, perché la perfetta Ubbidienza sempre reca seco Splendori. Comparì nel più cupo della Notte più tacita, benché fosse Luce; più fredda, benché fosse Fuoco: Perché l’Ubbidienza vera, non fa mai pompa; e non mai si raffredda. Gelò interizzato Bambino al ghiaccio della Stagione Senile; e pur era colui, che i suoi calorosi fomenti all’Estiva riparte. Scense un Fienaio per Reggia, una Mangiatoia per Trono, agresti Armentieri per Cortigiani; e pur era il Re dell’Empireo, che ha il Paradiso per Reggia, i Cherubini per Trono, e per Cortigiani innumerabili Legioni di Angeli, che ad ossequiarlo riverenti si schierano.

Tutti questi furono Tratti di quella Ubbidienza così esatta, che professò il Signore, dal primo istante della sua Incarnatione Augustissima, fino all’estremo respiro della sua Pretiosissima Vita; in segno di che volle alla sua Nascita presente un Bue, che col sottomettersi al Giogo, è Simbolo usato ad esprimere un Ubbidiente.

Dalla Culla alla Croce passò così volentieri, [367] che gli parve di haver fatto un sol passo per ubbidire; e pur trovossi co’ piè tutti trasforati: Et in fatto corse così veloce ad incontrare la Morte, che con impatienza stimoladrice motteggiò il Traditore di troppo lento.

Carico il dorso di Croce, più dalla sommessione, dalla fievolezza abbatuto, diè più volte del petto in terra; e si lasciò crocifiggere senza lagnarsi, perché l’Ubbidienza non sa dolersi.

Provocato dall’Hebreo contumace non volle scendere dal Legno ignominioso, stimando più il consummare coll’Ubbidienza la Vita, che accreditarsi Nume imperante.

Per non perdere l’Ubbidienza, perdè la Vita medesima, e chinando il capo, volle morire in atto di Ubbidiente, e professarsi Ubbidiente fino alla Morte.

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Hor se non hai, o Mortale, lume bastante da fissar l’occhio dell’Anima nel Crocifisso, che fu dell’Ubbidienza il Prototipo; osservane almeno compuntivamente in FRANCESCO il Protratto.

Fu Egli così geloso, così zelante di questa Virtù Celeste, che sentendosi chiamar da Dio internamente negli anni teneri della sua Pargolezza, rispose, novel Samuello, prontissimo con un Eccomi. Appena hebbe un barlume di Ubbidienza, che la seguì, come Stella foriera della Perfettione. Sposolla Celibe per prolificar’Affetti [368] di eterna Vita: Se la strinse al cuore come Diletta: La vezzeggiò come Amante, la vagheggiò come Amata: L’infiorò come Vittima de’ cuori: La riverì come Principessa della Virtù: L’Honorò come Promotrice de’ meriti: La sublimò come Fabbrica dell’Osservanza: L’osservò come Regola della Bontà: L’esaltò come base dell’Humiltade.

Benché fosse Padre, e Superiore perpetuo di tutto l’Ordine, niente più si stimò, che di tutti il Minimo mettendosi sempre al posto de’ piedi, forse per insegnare, che ben non sa comandar chi non sa ubbidire; e che nel Claustro l’Ubbidienza ha da reggere il Corpo Mistico, e non l’ambitione di sovrastare.

Quando il Capo è buono per esser piede, non v’ha pericolo di cadute; ma quando il piede pretende di farsi Capo, non v’ha, che pericolo di disordini. Chi vuol sempre comandare è segno, che non vuol mai ubbidire. Non sa governare altrui, chi non sa governar sé stesso; e non sa governar sé stesso chi non sa governare altrui. Non sa governare altrui, chi non sa governare le sue Passioni; e non sa governare le sue Passioni chi si lascia sormontar dall’Ambitione, nemica giurata dell’Ubbidienza.

FRANCESCO ancora comandando ubbidì, perciò seppe comandar’ubbidendo, & ubbidir comandando. Il Cielo deputollo [369] Superiore a tutti, perché di tutti il più Humile; e perciò il più Ubbidiente, & in conseguenza il più perfetto di tutti. Fu Lume, ma senza fumo: e per tanto si rischiarò, non annerì col suo governo la Prelatura.

Il Re de’ Galli, Luigi Undicesimo istantemente il chiamò in Francia, e vedendol restio, gl’inviò espresso il Maresciallo di Brandicourt, Governadore della Borgogna, che l’invitò per parte del suo Principe, colle più riverenti richieste al Viaggio, ma in vano. Interpose perciò, quel Monarca, gli Uffici del Re di Napoli, ma senza effetto; Ché l’aura de’ Grandi non mosse mai lo Spirito di FRANCESCO fissato in Dio. Il Cielo stesso con rivelatione particolare svelò al Santo il Decreto della Prescienza Divina di andar alle Gaule a convertir’il Gallo altero in Colomba gemente; nulladimeno Egli attendè il comando, sono il merito di Santa Ubbidienza del gran Pontefice Sisto Quarto, dalla cui Quercia sagra, che co’ suoi rami d’oro baciò le Stelle, ricevette l’Oracolo.

L’ultimo giorno precorso a quello della sua Morte, così pretiosa nel cospetto di Dio, correndo la Solennità della Cena dell’Agnello, strascinossi qual Pecora a capo chino, sull’appoggio del suo bastone alla Chiesa. Quivi febricitando più d’Amor Immortale, che di mortal [370] Malatia, cibatosi del Pane de gli Angioli, che ne’ deliquij dell’Anima la rinforza, Viatico di

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Vita, che non lascia temer la Morte, hebbe precetto da quel Superiore Conventuale di ritirarsi alla Cella, accioché il vigore della Divotione, non prostrasse affatto la debolezza del corpo. Ubbidì senza replica; e pur’era il Generale dell’Ordine, e l’Ordine Generale, col suo solo Esempio, de’ Sudditi; sulle braccia de’ quali passò indi a poco a quelle degli Angioli. Così ricondotto al suo nido antico a morirvi come Fenice di Santità multiplicò i giorni suoi, negl’interminabili spatij dell’Eternità Gloriosa.

Hor’eccoti FRANCESCO come Pietra di paragone per copellarvi sopra il tuo cuore a provarlo, se ha buona lega, nell’esser ubbidiente alla tua Sinderesi; o se pur è slegato senza il cingolo dell’Ubbidienza: Virtù trascendente, che ad ogni genere di Conditioni è così spiritualmente utile, come moralmente dovuta.

La piegatura dell’Arbitrio dell’Huomo, che nato libero, e lasciato da Dio in mano del di lui Consiglio, nacque col Dominamini in testa, è così difficile, che senza la machina della Croce, non può curvarsi a l’impero della Volontà. L’ubbidire ad un Angelo è debito che la costitutione dell’Universo richiede; ma l’ubbidire [371] ad un Bruto è contra tutta la dispositione della Natura. Abbassar la testa a chi non ha di capo sol, che il fumare, è una ripugnanza innestata nel Genio Nobile, che non nacque a servire. Mettersi sotto i piedi di un Giuda, come fe’ Christo per lavarli, ancora che sordidi, se non coll’acqua dell’Urna, colle quintessenze spremute dalla negatione di sé stesso, è un imitar l’incarnata Sapienza, che tante volte s’inchinò all’Ignoranza: è un rendersi simile all’humiltà di un Dio, che così sovente fu conculcata dalla Superbia.

Deh quante volte, e quante negasti tu la propria Volontà, per un honor momentaneo; e non mai la negasti per un Bene infinito. Sdegnasti di curvar’il tuo Spirito ad un Dio, che ti creò; e tante volte l’assoggettasti ad una Creatura, che ti distrusse. Ubbidisti alle sregolatezze del Senso, più che alle regole della ragione: Più alla forza dell’Interesse, che alla dolcezza della Convenienza: Più alla Legge del Mondo, che a quella di Dio. Per non mortificar la tua Carne volesti essere prontamente ubbidito; e per non ubbidir’al tuo Redentore non volesti essere ancorché leggiermente mortificato.

Apprendi dunque da FRANCESCO nell’avvenire a metter’in pratica la negatione del tuo volere caparbio. A lui [372] ubbidì tutta la Natura, come se fosse stata sua Serva, perché fu egli sempre ubbidiente al suo Dio, di cui riputoss’inutile Schiavo; catenatissimo da’ Precetti Sovrani. Poiché fu, come Christo Ubbidiente fino alla Morte; & alla Morte di Croce, poiché morì crocifisso dalle sue Penitenze, Iddio l’esaltò sopra i culmini della Gloria.

Hor se tu brami di sovrastare, ubbidisci. Ubbidisci, non alla tua Inclinatione distorta, ma ben sì alla Rettitudine Christiana, Apprendi dal Crocifisso a piegar il capo: da FRANCESCO a curvar’il Genio. Sarai un Re nel Paradiso con Christo, se non rifiuti nel Mondo di essere Servo di Christo. Ma chi è Servo di Christo non debbe più ubbidire al Demonio; e chi ubbidisce al Demonio, non mai negando la sua volontà, sempre riniega il suo Creatore. Incurva dunque l’orgoglio della tua mente libera, e libertina al

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tuo Signore per te legato, e confitto; e con questi humilissimi sentimenti offerisci la svisceratezza de’ tuoi

AFFETTI AL CROCIFISSO.

E tu ardisci ancora, o mio Cuore, di presentarti al mio Dio, senza

haverlo, quasi mai ubbidito, perché se perpetuamente inclinato alla ribellione di quelle Santissime Leggi, che quanto più stringono, [373] tanto più sciolgono dalla colpa, & assolvono dalla pena. Ah mio Redentore tante volte da me negato, quante negar non volli per amor vostro la mia volontà, degna di esser trattata come Schiava, perché fu troppo libera, come serva, perché volle sempre il comando, come rubelle, perché sempre si rivoltò contra di voi superba, e non mai a voi si mostrò suggetta; deh condonatemi tanti falli, tanti errori, tante trasgressioni. Per troppo amar me stesso, non vi ho amato: Per haver troppo condesceso al mio Senso, son tanto disceso, che mi sono avvicinato all’Inferno; e per discostarmi da voi, ch’io doveva prefiggermi ultimo mio fine, come mio primo Principio, mi sono accostato al Demonio, che tanto ha tentato di perdermi, quando voi foste, etiandio nelle offese, ch’io vi faceva, sempre pronto a salvarmi. Hor son qui tutto un altro, e vi prego a sommerger nel vostro Sangue l’Amor di me stesso, per farne risorgere l’Amore verso di voi. La Conformità, ch’Io son tenuto di voi professar’al vostro santo volere, sia la misura d’ogni mio operare. Deh facciasi la vostra Volontà dalla mia, come da’ Beati nel Cielo è fatta la vostra.

[374]

SUPPLICA AL SANTO.

È così vero, o mio riverito FRANCESCO, che il Verbo humanato sempre fu così vostro, che mai non haveste altra volontà, che la sua, perché foste sempre tutto di Dio. E perché la volontà del medesimo Verbo, fu sempre uniforme a quella dell’Eterno Padre, voi all’Eterno Padre sempre ubbidiste. Perché sempre al Padre Eterno ubbidiste, piegaste, come l’Eterno Figlio, anche il capo a coloro, che vi doveano star sotto i piedi. Vi ubbidì perciò la Natura Serva, e vi servirono gli Elementi ossequiosi. Hor, che Iddio vi rimunera dalla vostra Ubbidienza esaltato, non isdegnate di piegar lo sguardo al mio Spirito così dalla Disubbidienza abbattuto. Voi negaste sempre la vostra Volontà, perché non l’haveste mai, mentre feste sempre, come gli Angeli in Cielo, Angelo in Terra, quella di Dio; Et Io sempre fei la mia, perché questa prevalse tiranna alla Ragione conculcata da’ miei Appetiti, e legata dalle mie sfrenatezze. Hora ritorno in me, e per ben ritornarvi, ritorno a voi, accioché m’impetriate il predominio dell’Anima sopra la ribellione del Senso, e le gratie del Crocifisso, colla negatione di me medesimo.

[375]

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VENERDÌ NONO

D E D I C A T O

ALLA CASTITÀ DEL SANTO.

’alessifarmaco contra la Libidine, che tanto

predominio ha nel Mondo, è il Crocifisso, che tanto patì per l’Impuro. A quest’Hidra di tanti capi, che si accovaccia nella palude del Senso, si oppose l’Hercol Divino colla Face di quel

Fuoco, che portò dal Cielo in Terra, per accender l’Anime di Amor Celeste, e per estirpar da’ cuori l’Amor Terreno.

Il veder questo ben Fior Verginale fitto sopra di un Tronco genera nel Lascivo un ribrezzo di sentirti piantato nel fango. Egli è un Agno casto, che non si può sentire d’intorno i Lupi carnali. Egli è un Giglio candido, che alligna fra le siepi spinose del Celibato. Egli è un puro Ermellino, che abborrisce le sordidezze dell’Appetito. Egli è un’Aquila, che sdegnando di volar fra’ vapori della Carne s’inalza sopra la Regione più purgata dell’Animo.

[376] La Pudicitia, che traspirar ci debbe dagli occhi, non ha le Spetie intentionali più intere, che dalle membra augustissime del Salvatore lacerate sotto le Sferze. Patì nel suo rossore la nostra impudenza: Sopportò ne’ Chiodi le trafitture delle nostre Impudicitie: Corresse nella sua Nudezza la nostra Oscenità. Nelle sue Spine soffrì le punture delle nostre Rose: Hebbe le labbra ammareggiate dal fiele per quelle bocche sboccate, che ne’ favi della dolcezza fugace lasciano impressi i pungoli della Morte letale.

Ah Dio, e quanti pochi, hoggidì, si avanzano nella Carriera del Crocifisso, perché non vogliono crocifigger le lor passioni, & inveschiano l’ale dell’Anima nelle panie della Sensualità.

Non così fe’ FRANCESCO. Egli corse al Palio della Gloria sul Sentier della Gratia, senza sdrucciolar mai nelle Pozanghere degli Appetiti, né infangar mai gli Affetti, che sono i piedi dell’Anima nelle lordure del Senso.

Fu Egli di tal Continenza, che (come si ha dal di lui Processo) non di Carne, ma di Spirito parea formato. E pur’era formato di Carne, e di Spirito; ma di Spirito niente Carnale, di Carne tutta Celeste. Di Carne tutta attaccata allo Spirito, di Spirito niente attaccato alla Carne.

Ma che dissi Carne in FRANCESCO, [377] se non mai volle assaggiarla in cibo, per separarla affatto dalle Ossa spolpate coll’Astinenza! Scheletro vivente più per miracolo, che per altro respirante, pareva una bella Larva di Penitenza, un chiaro Spettro di Candidezza.

Il di lui Corpo fu sempre un Giglio in mezzo alle Spine. Parea di neve; ma non istruggevasi sol, che a’ raggi del Sol Eterno. Le sue Piaghe

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fresche, come le Rose di rugiadoso mattino, onde l’infioravano ogni notte i flagelli, spiravano con fragranza soave purezza interna. Era un Angelo di costumi, e l’offendeva il fieto de’ Vitij.

Le Intelligenze incorporee con lui famigliarizzaro come consimbole, e gl’intrecciaro più volte ghirlande floride al crine, perché gli pullulavano sempre più vivaci i Ligustri dal cuore.

Estinse, Giovinetto Romito, nel Torrente semigelato i bollori del fomite gorgoglianti. Attuffò per gran tempo nel freddor di quell’Acque il suo Corpo, per accendere maggiormente con Antiperistasi gloriosa l’ardor dello Spirito. Uscì dall’onde, come l’Aurora, albeggiante, coronato di Caste Calte; e come il Sole splendente, all’hor, che rinasce senza vapori. Se i terreni son generati dall’acque, i sensuali dall’acque furono estinti. Lo Spirito del Signore, che nell’Esordio dell’Universo solea galleggiar sopra l’acque, [378] all’hor, che FRANCESCO, si gittò in esse, vi si sommerse; Anzi vi fu dal Signore sommerso FRANCESCO, il quale per conservar la sua purità non potea trovar miglior centro; e per agghiacciar affatto agli ardori della Concupiscenza, non dovea cercar posto migliore.

Con austerissime Penitenze repilogando nella sua Grotta una Nitria fe’ svanir da’ suoi pensieri le Fantasme, non men, che dagli occhi i Prestigi di una Bellezza Chimerica, presentatagli dal Demonio, ma ben facile ad isfumar dileguata, se la reale è così suggetta ad andar in fumo disfatta.

Portò, da quel procinto, in avvenire precinto il Cingolo strettissimo della Castità, con tanti nodi, quanti proponimenti di consagrar tutta la sua Vita Celibe a Dio. Sotto zona così temperata le Stelle delle di lui Virtù luminose si mossero velocissime verso il Polo dell’Anima; e con influssi purissimi inaffiarono quella mente, la quale a guisa di Conchiglia ferace, non mai ricettava in sé una Stilla di Celeste rugiada, che non la convertisse in una Perla di divino candore.

Morì come Cigno, perché visse come Colombo: carico d’anni, ma più di Gigli. Le sue sferze gli si convertirono in palme, verginali per la Castità Trionfante. Fu Martire, perché fu Vergine: fu Vergine, perché fu Martire. Fu Martire, [379] perché confisse la sua Carne colle sue Concupiscenze: fu Vergine perché trafisse il suo Spirito co’ suoi Tormenti. Tormenti, ma dolci, perché pativa per Dio, a cui patendo si conservava illibatamente fiorito.

O gran FRANCESCO, o grande! Gloria del Celibato, Splendor della Purità, Riflesso di Dio Unitrino, Honor della Pudicitia, Coronna della Castità, Colonna dell’Innocenza, Base del Merito, Tempio della Gratia, Stella di Verginità, Sol di candidezza, Angelo humanato, Huomo Angelico, ah che la mia Penna non ha il candor dello Stile, come del vero, per celebrar degnamente una minima parte de’ tuoi Castissimi Affetti; e si arrossisce il mio Inchiostro in vergar queste Carte con l’ombre oscure, quando tu le fai tanto splendere co’ Fasti tuoi luminosi.

A te hora mi volgo, o Mortale, che ti presenti a FRANCESCO in questo giorno, e per lo Merito senza neo della di lui purissima Castità pretendi d’impetrar fausto alla tua Richiesta il Rescritto. Ma pensa un poco

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alla tua Vita così spensierata, e perciò incorsa, cotante volte, negl’impudici pensieri di un’Anima così libera, perché così nella Carne ravviluppata.

Che verecondia professasti tu mai? Sempre negli affetti del Sangue ti ravvolgesti, [380] e non mai ti arrossisti. Fosti un Prodigo scialaqquator della Gratia, che dissipasti la Sostanza dell’Anima tua lussureggiando nella Regione del Senso, così lontana da quella della Ragione; e ridotto a guardare la Greggia immonda de’ tuoi Appetiti lascivi, disiasti di satollarti di quelle Ghiande, che avvanzano a tanti Porci, fatto Porcaio, e Porcile. Hor ritorna al tuo Padre Sovrano, che ti prepara la Stola dell’Innocenza perduta, e ti fa imbandire un pinguissimo Vitellino, nell’augustissimo Corpo del suo Unigenito Sagramentato. Prima però t’hanno da far la Strada i Sospiri di un Penitente Cordoglio, e non hai da dire il vadam ad Patrem meum, senza il peccavi in Caelum. A lavare tanta Laidezza oh quante lagrime si richiedono! Ma il Fonte del tuo cuor si è seccato alle adustioni focose della tua sfrenata Concupiscenza. Deh come piagneran gli occhi tuoi, se come Farfalle vaganti si aggirarono sempre a que’ lumi, che fumeggiano più, che non isplendono, per abbronzarti l’ale, e per annerirti lo Spirito.

Misero di te, torci un poco addietro lo sguardo della riflessione, & osserva se di tanti piaceri passati sia rimasto il pentirti, o solamente il dishonore, e la perdita della Salute, delle Facultà; e voglia il Cielo, che non sia dell’Anima ancora. Che frutto havesti, se non vergogna, di que’ [381] traffici osceni, che proseguisti col Mondo? Di tante Rose fetenti, & imputridite da te raccolte, altro non ti restò, che le Spine ad accenderti l’eterno incendio, a trafiggerti il cuore impuro.

Ben chiamò Tertulliano i diletti profani: Libidinum evaporata momenta. Ahi momenti, che ti ferono perder l’Eternità della Gloria! Ahi vapori, che ti coprirono la faccia del Sol Divino! Momenti, che ti saran sempre tanti chiodi acutissimi per configgerti sulla Ruota della Giustitia finale. Vapori da’ quali non ti pioverà mai altro, che grandine, e fuoco.

Noè dopo il diluvio, in cui fu annegata quasi, che tutta la Carne, e quella tutta, che corruperat viam suam, per placar’affatto il Signore, e rendergli le gratie dovute di haverlo salvato, fe’ sagrificio de volucribus, & pecoribus mundis; & il Testo sacro soggiugne, che odoratus est Dominus odorem suavitatis. Hor tanto appunto da far hai tu. Dopo di esser campato da un diluvio di Carne, lascia le Carogne a’ Corbi, e presenta al tuo Dio la Mondezza de’ tuoi affetti volanti al Cielo, & ubbidienti per accompagnar sull’Altare la Vittima, che fai offerire per te dell’Agnello Divino, dalle tue impudicitie svenato.

Prorompi in gemiti di Colomba, se vuoi che FRANCESCO ti senta. Trasformati [382] colla Penitenza in un Agnellino, se brami ch’Egli ti faccia risorgere dalla Fornace della tua ardente Concupiscenza. Inchinati a lui per sollevarti dalle tue Miserie fra le quali ha da essere, come la maggiore, anche la più sensibile, l’havere in tante guise offeso il tuo Dio. Chiedi, chiedi a FRANCESCO, ch’Egli t’ispiri una portione di quel mondissimo Genio, c’hebbe di non offenderlo mai: Dimandali com’Ei fe’ a cogliere tanti

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Gigli, ad affasciar tante Palme in un Campo, che non produce, per ordinario, sol, che Napelli, & Ortiche.

Pregalo, che ti sia Secondo, se vuoi batterti in Duello colla Carne, e col Senso; né dubitar di non riportarne gloriosa Vittoria. Non ti stancare di supplicarlo, ma con labbra pure, se desideri ch’egli ti ascolti, e porga, a tuo nome le tue Richieste ne’ seguenti

AFFETTI AL CROCIFISSO.

Troppo presumo, troppo, o mio Castissimo Amante, quando

pretendo, che facciate degna de’ vostri Doni quest’Anima mia così ribelle alle vostre Leggi, e tanto macchiata dalle sue sordidezze. Non ho cosa in me, che vi piaccia, e pur ardisco di supplicare, che la vostra Bontà mi esaudisca. Se fossero sempre stati i miei pazzi pensieri candidi come i vostri [383] saggi Precetti, potrei sperar, che le vostre Gratie abbondassero sopra i miei Voti; Ma voi abborrite di modo l’impurità, che (per testimonio del vostro Apostolo) vi sete fatto più sublime di tutt’i Cieli, che non son mondi nel vostro cospetto, poiché vi peccarono gli Angioli Apostati. Che farò dunque, o mio Dio, se così mi trovo da voi colla mia impudicitia lontano? Attenderò a penar nelle mie Miserie, o pur aspetterò a respirare nelle vostre Misericordie? Ah viva in me il Crocifisso: e muora in me quell’Impuro Affetto, che a vagheggiar le Piaghe del mio Caro Svenato, per succhiarne la Purità co’ vostri sguardi divoti. Le vostre Piaghe sì, che debbono esser, o Dio, i Poli della mia Fede, e le Fontane dell’Anima mia, che ad esse può solo refrigerar la sua sete, senza bever più le scolature immonde di quelle terrene Cloache, nelle quali sì lungamente mi ravvoltai.

SUPPLICA AL SANTO.

E voi fragrantissimo Giglio di Purezza Celeste, e Celibe,

FRANCESCO, Fiore de’ Vergini, che coronaste sempre co’ vostri floridi Affetti l’Agnello di Dio, non permettete, deh, ch’egli mi si converta in Lione, aizzato dalla mia Sensualità, per lacerare questo mio Spirito, tanto Carnale, [384] così corrotto da’ miei Appetiti, tanto sfrenati. Deh frapponetevi, o mio gran Protettore, perché il mio Giudice, alla fragranza di tanti vostri Meriti, non senta il fieto di tanti miei Vitij, onde mi punisca con perpetuo supplicio, sì come io l’offesi con immondezza continua. Se non mi soccorre la vostra Intercessione così scarseggia la mia Giustitia, che mi sentirò prima sommerso, che salvo. Deh siatemi voi Avvocato per le mie Colpe, per essermi poi Sollevamento alle mie oppressioni. Voi, che tante volte ammorzaste co’ piè nudi il fuoco avvampante, metteteli su questo mio cuore, per estinguervi tante fiamme cocenti. Ah mio Candidissimo FRANCESCO, sarò un Ermellino, se voi m’impetrate un riflesso di quella Purità, che vi adorna, e fu sempre l’abbiglio vostro interiore. Fate, ch’Io viva non più macchiato come Pantera, ghiotto della Carne, ma purificato come Colomba, invogliato dalla Bellezza del Crocifisso. Ottenetemi

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l’Interezza de’ miei Sentimenti, & i Sentimenti della vostra Interezza, ch’Io non dubito poi di non conseguire col vostro mezo l’intento d’ogni mio Desiderio.

§ § § § § §

§ § § § § § § § §

[385]

VENERDÌ DECIMO

D E D I C A T O

ALLA POVERTÀ

DEL SANTO.

on v’ha cosa, che renda altrui più ridicolo al Mondo della Povertà esteriore: non v’ha cosa, che renda altrui più spettabile al Cielo della Povertà interna.

Sozza si chiama l’una, che è generata dal mancamento delle Ricchezze: Bella si chiama l’altra, che partorisce l’abbondanza delle Virtù.

L’Huomo, che è Povero, come Scommunicato è fuggito; perché la necessità (secondo il Proverbio Spagnuolo) tiene cara de Hereie; ma più ha faccia d’Heretico chi con torvo sostegno, e con accigliate occhiaie la mira. Ogn’un è solito ad abbandonare il Povero, perché questi non ha che donare, e come da vecchia, e rovinosa Casaccia, ogn’un ne passa lontano per timore, che non gli cada in testa. Chi non ha Giove chiuso nell’Arca, e stillatogli in pioggia d’oro nel grembo, è cacciato via da’ Conviti, come un Vulcano [386] affumato, costretto a zoppicare affamato. Nelle Corti non entra la Povertà, che fu anche favoleggiata star alla porta giù dell’Inferno, perché fra tanti Pavoni, & Avoltoi, che s’aggirano nelle Reggie non istà ben quell’Oca spennata; e fra tanti, che merleggiano lusinghieri, non ben s’intrude una così garrula Gazza. Oh come Sparuta cagiona horrore a chiunque non la vuol seco, perché l’Avaritia tanto amica di mugnere, e scorticare incontra senza pelle, né latte la Povertà, che come Fantasma errante, Scheletro nudo, e Larva odiata si aggira, e perciò la schernisce, e discaccia.

A questa nulladimento si strinse il Verbo humanandosi; e benché fosse il Rege dell’Universo, non fe’ la sua Entrata nel Mondo, che in Equipaggio di Mendicante. Limosinò la Culla, & hebbe per Trono un Presepe. Il fieno tappezzogli agreste la Stanza, & un Giumento infingardo fu il Cameriere. Accorsero Bifolchi Montani al Corteggio del Principe della

N

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Gloria, ristretto, in povere fascie, e necessitoso, per iscaldarsi, dell’alito di un Giovenco. O Prodigio! O Stupore! In così strano Apparecchio fiammeggiò fulgido l’Amor Divino, della Povertà innamorato, ne’ suoi Cenci così luminoso, che tanto non brilla il Sole nel Cielo, fra quelle nubi squarciate, che procurano di oscurarlo.

[387] Tutta, tutta la Vita del nostro Christo fu continuato Esercitio di Povertà. Patì nel Diserto volontariamente la fame, nella Croce volentieri la sete. Si vide nudo sopra il Calvario, e perciò come povero impudentemente; ma non impunemente, deriso. Non isdegnò di haver per Compagni i Ladri nella sua Morte, perché soliti a spogliar’altri, & impoverire, chiunque incontrano.

Di una Stella fu sol Proprietario nascendo, benché le havesse tutte create: onde dissero i Magi: Vidimus Stellam eius. Di un’Hora fu sol Padrone morendo, benché fosse il Signor de’ Tempi: così attestollo il Cronista Celibe, di lui favellando: Sciens quia venit Hora eius; Ma la Stella di Christo fu così sprezzadrice delle Ricchezze, che se ben verticale portolli l’Oro di Saba dall’Oriente, Egli se ‘l fe’ presentar da’ Magi a’ auoi piedi in contrasegno, che volea calpestarlo. Fu l’Hora sua così d’ogni bene spogliata, che lo spogliò anche della pelle: All’hora, ch’ei non trovò un cappezzale su cui appoggiasse il capo cadente, né pietosa una mano, che gli ammorbidisse il labbro spirante.

Fulli ben sì presentata una Spugna inzuppata di Aceto; ma la rifiutò stomacato, come Simbolo dell’Avaritia vorace. Volle morir come nacque: Se nacque in paglia, morì nelle spine: se il Bettelemme [388] fu stretto in anguste fasce, sul Golgota fu confitto da’ chiodi aguti: e per morire mendico affatto, come affatto nacque mendico, sempre andò scalzo dalla culla alla Croce: e fu saccheggiato dall’Impietà più barbarica, che gli svenò nel Sangue pretioso un infinito Tesoro.

Così per noi si fe’ Povero, famelico e sitibondo: e fu veduto, benché Fattore degli Elementi, mendicar gli Alimenti, solo per arricchirci cogli Elementi della sua Gratia, e per nodrirci cogli Alimenti della sua Gloria.

Hor su questa gran Base della Povertà capace di Machine così sublimi, fabbricò FRANCESCO l’Edificio della sua Santità, eresse il Colosso della sua Vita, che giunse a toccar le Stelle col di lui Merito.

Detestò FRANCESCO gli Honori mondani vago sol de’ Celesti. Avvolticchiato alla Croce non vi trovò, che nudezza: e pur riportonne tanti ornamenti. Non vi colse, che spine sterili pungenti, e pur coronossi di Rose immortali.

Concentrossi Fanciullo in un Antro, per imitarne spogliato la Povertà. Nelle viscere di una Spelonca apprese le tenerezze delle sue viscere. Sopra fi un Sasso posò le sue stanche membra, perché non può imaginarsi letto più molle da Chi, [389] della Povertà innamorato, dove la trova l’abbraccia. Un garrulo fiumicello, benché vestito di argento, gli andò col gorgoglio intimando la ritirata dalle ricchezze, mentre si ravvolgeva humilissimo col serpeggiar fra le Pietre.

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Andò sempre FRANCESCO camminando co’ piedi scalzi, per conformarsi al Sentiero da lui calcato. Lasciò cogli Apostoli molto, per haver deposto il desiderio di posseder tutto. Altro interesse non hebbe, che della salute dell’Anime, e tutto il suo Tesoro fu il Crocifisso. La Cella di lui fu tappezzata di Discipline, dipinta di Sangue, guernita di Cilicij. Il di lui letto fu il nudo suolo: non poteva perciò dormire sonno più duro. Tal’hor anche fu di Sarmenti: non poteva stendersi letto più povero.

Non sentì con l’orecchio incerato dalla Povertà gl’Incanti del Rege delle Sirene, che pretese al suon dell’Argento trattener questo Ulisse, il quale, se haveva già prostrato il Polifemo della Superbia; all’hora deluse la Circe della Ricchezza. Il Re de’ Galli nol mosse al canto dell’Oro: dell’Oro, che fa caminare meglio le Selci, marchiar i Tronchi, e volar le pietre, che non feano gli Orfei, perché il suon delle Lire, è più possente che l’armonia delle Cetere. La Lira che fe’ mover FRANCESCO fu quella Croce sulla quale, Musico il Verbo, sopra il Registro [390] della sua Carne, rubricata di Sangue, cantò l’ultimo, e più alto tuono, clamans voce magna, della nostra Redentione.

Il Fuoco prova l’Oro, e questa volta l’Oro provò il Fuoco. Il medesimo Re di Francia volle, ad istanza de’ Cortigiani, che sempre cavan la mina ad abbatter i Giusti, provar FRANCESCO colle reiterate missive dell’Oro inviatoli; ma egli stette sempre a coppella, e si potè dir all’hora che fosse coppellato il Paragone coll’Oro, e non l’Oro col Paragone. Sprezzò FRANCESCO i Donativi in Francia, come spezzò in Napoli le Monete. Da queste fe’ uscir il Sangue; in quelli fe’, ch’entrasse la maraviglia.

Stupito quel Monarca a tal Continenza inviò a FRANCESCO una grande Statua di Nostra Dama tutta di Oro ingioiellata, e carica di Pietre Pretiose. S’inchinò il Santo alla Vergine, non all’Oro: rifiutò la Statua, e ritenne l’Imagine: L’Imagine della Vergine, che si portata sempre impressa nel cuore; non già l’Oro, che non mai v’hebbe impresso. Si rise del Dono, & arrise al Mistero adorò la Vergine, non come nell’Oro effigiata, ma come Madre della Purità, e dell’Oro più pretiosa. Non l’allucinò il bagliore di quelle Pietre, che non fecero colpo, perché FRANCESCO non si lasciò mai ferire, che dalla Pietra del Crocifisso.

[391] Io non penso, che possa trovarsi in tutta la Sfera degli Huomini puri un altro più disinteressato di lui. Hebbe sol mira al profitto eterno: del temporaneo mai non fe’ conto. Una stupidezza sì santa parve ch’Egli innestasse dal Ciel ne’ suoi Minimi, il quali non affettano d’ingrandirsi con le ricchezze nel Mondo, ma colla Povertà di arricchirsi nel Paradiso. Non han raggiri, perché son Punti; né stendono vaste circonferenze, perché sono Centri. Centri dell’Humiltà, e perciò poveri: Centri della povertà, e perciò Minimi!

Tali li vuol FRANCESCO; e supplicando essi tutto il giorno il Signore con quelle profunde parole: da nobis alta non sapere, non si sollevano come Humili, non si arricchiscono come Poveri. Non cercano perciò d’haver molta entrata quaggiù, ma quanta sol basta a vivere

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penosamente, aspirando solo ad havere quella al fine lassù, con cui felicemente si vive.

Del Barone di Brandicourt ricusò FRANCESCO le rendite generose, per rendere i suoi Religiosi, men carichi, nel cammino della Perfettione, su cui volle, che si avanzassero svelti, e non si fermassero pingui. Volle leggiere le Tavole de’ suoi Minimi, perché non fossero soggette al naufragio: Le Camere strette, perché non vi entrasse la Vanità: L’Habito [392] abietto, perché no ‘l gonfiasse il Vento.

In lui si osservò sempre Augusta, e non mai angusta la Povertà, mortal nemica di quella fallacissima Hipocrisia, che quanto più suol comparir rappezzata, squallida, e curva, tanto meno è intera, ingenua, e retta.

Ma col privarsi di tutto FRANCESCO, di tutto FRANCESCO si fe’ Padrone: & hebbe gli Angioli providi Vivandieri, quando mancarongli scarsi gli humani sussidij.

Hor tu Mortale tanto più Povero, quanto più ricco, perché ti consumi per ciò, che lasci, lasciando ciò, per cui ti consumi? Infelicità degli Huomini Goccioloni (scriveva Agostino) propter que peceant morientes hic dimittunt; & ipsa peccata secum portant. Sognano sempre, ancorché non dormano, e non mai dormono, perché sempre sognano. O tu, ch’entrasti nel Mondo Povero, nudo ti partirai com’entrasti. Entrasti senza entrata, e partirai co’ tuoi falli fallito. Chimereggiasti, tutt’hora, per arricchirti; & alla fine non porterai teco dal tuo fuoco, che fumo, dalla tua terra, che ombra, dal tuo Oro, che peso. Succhiasti, o Migniatta avara, il Sangue di mille operai: Svenasti tanti Mendichi, quanti ne dispregiasti. Arpia rapace divorasti il tuo Prossimo; e bastò l’esser tuo Vicino per [393] esser da te distrutto. Come la Pece ti attaccasti, e tingesti; onde si potè dir di te il vero ancora scherzando: dum tangit tingit. Hor potrai un poco teco il tuo Palagio sotto la cui Fabrica spallasti mille Giornalieri scorticandoli col non pagarli, che a prezzo basso, e stentando più che non fossero le pietre gravi, e strascinate da essi, più che quelle da loro, da te strascinati, mentre ne bevesti i sudori, & havesti più calli alla coscienza, che alle mani i medesimi, tante volte a maledirti proclivi, quante tu fosti a rimunerarli restìo. Portati li tuoi scrigni pieni d’oro, le tue casse gravide di monete, i tuoi Poderi, Paradisi delle tue delitie, le tue Mense superbamente fumanti, i tuoi Vini dolci, le tue commodità studiate. Ah, che laggiù nell’Inferno non entran gioie; e se ben Plutone delle Ricchezze fu finto il Dio, laggiù si muor di sete, di fame, di caldo, e di freddo. Di sete della perduta Beatitudine, di fame della Divinità eternamente invisibile, di caldo cagionato dall’ardore della propria concupiscenza, di freddo lasciato nelle fibbre dell’Anima da quel frigidum Verbum meum, che sempre articolò l’Avaritia.

Oh Microcosmo più fortunoso, che fortunato! Huomo, che quanto più vivi ricco, tanto più muori povero; e dopo di haver ben’empiuti i tuoi sacchi, tu alla fin resti in sacco; e di tante tue delitie [394] non puoi portar teco, che la memoria tormentadrice, non di haverle lasciate, ma di haverle seguite: e di tanti tuoi Diletti non puoi recar in tua compagnia, che i Delitti:

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Che fai, che pensi, che risolvi? Aspettano i tuoi Heredi la tua disfatta finale, e sospirano, perché ancora non muori: Hor considera, se vorranno piangere alla tua morte. Dunque per lasciargli agiati vorrai restar’incommodato per sempre? Ingannasti molti; ma più te stesso; e quanto più acquistasti di Capitale, tanto meno havesti di Capo per conoscere le tue perdite. Quanto più di Credito fosti, tanto meno credesti, più puntuale cogli Huomini, che con Dio; a cui mancasti tante volte la Fede, per vergognarti d’essere a quegli infido. Se ben non so, se mai mantenesti la Fede al tuo Prossimo, poiché violasti quella del tuo Sovrano.

Deh come puoi pretendere di veder il tuo Creatore, se ti acciecò l’Interesse, col gittarti negli occhi dell’Anima tanta polve. Deh voglia il Cielo, che il tuo Danaro non t’habbia dannato. Il Paradiso per forza, e non per inganno si prende; e tu fosti sempre un Volpone, che ti aggirasti a far prede, per essere al fin predato.

Ma la mia penna trascorre, perché gli si apre il campo di fare su questo Assunto, col suo volo un Volume. La ristringo [395] alla Pratica, e così, con chi legge, di questo modo discorro, e do questa gran Massima per Ricordo. Se tu sei Ricco di Facultà, sij Povero di Spirito: E per Contraposto sij ricco di Spirito, se sei Povero di Facultà. Questo è un bellissimo Documento del gran Santo di Sales, che portò di FRANCESCO il Nome, e ne fu legato col Cingolo, partialissimo Divoto, & imitatore di esso. Sarai Povero di Spirito, se non haverai le Ricchezze nel tuo Spirito, né il tuo Spirito nelle Ricchezze. Sarai Ricco di Spirito, se non havendo Ricchezze nello Scrigno, haverai Dio nel tuo Cuore, Gesù Mendico nella mente, FRANCESCO Mendicante nel tuo pensiero, per amar’il Primo, per imitar il Secondo, e per supplicar il Terzo, a presentarti, con questi amorosi

AFFETTI AL CROCIFISSO.

Io sì, che sono, mio vero Sole, una Talpa cieca, poiché mi son cibato

sempre di terra, e nella terra sempre restai sepolto. Povero è questo mio Spirito, perché mai si ridusse a servirvi: Infelice questo mio cuore, che mai s’indusse ad amarvi Nuda quest’Anima mia, che mai si condusse a vestir co’ vostri Santi Precetti la vostra pretiosissima Gratia. Perché vi vidi piagato i piedi, sdegnai di seguirvi; perché [396] spogliato, v’incontrai sulla Croce, ricusai d’imitarvi; perché tenere il ferro nelle mani, e non l’oro, da voi mi appartai. E pur le piaghe de’ vostri piedi sono i Poli della mia Salvezza: la vostra Povertà mi arricchisce; & il Chiodo, che vi configge, mi bea. Oh bontà di un Dio senza pari! Oh malvagità di un Peccator senza fine! Non più mio Redentore; non più! Voi non più Pene, & Io non più Colpe. Deh sia svelto da me tutto ciò, che non pullula da questo Tronco di Gloria, in cui l’Ignominia si è resa nobile, l’Obbrobrio adorabile, e la Mendicità dovitiosa. Mio Dio! Non vi chiederò mai altra ricchezza, che voi, il quale per me impoveriste fino all’estrema goccia del vostro pretiosissimo Sangue. Da voi dunque spero Perdono: Voi solo chieggo perdono; e strignendomi a voi,

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spogliatomi d’ogni altra Passione, che della vostra, non diffido poi di ottenere tutte le Gratie, ricorrendo a voi, che ne sete il Fonte.

SUPPLICA AL SANTO.

Al Fonte delle Gratie, a cui tante voi ne bevesti mi accosto, adorato

FRANCESCO, e mentre tanto presumo, vi prego di torcere que’ pretiosi canali a disgorgar su quest’Anima così secca, & innaridita. So, che non merito i vostri [397] sguardi, perché non ho internamente l’Habito di quella Povertà Volontaria, che cotanto vi piacque. Deh compatite; e se fu per l’addietro ribelle il mio Senso al suo Dio, impetratemi nell’avvenire la riforma de’ miei costumi mondani, e l’ornamento delle Virtù sovranaturali. L’Interesse di questa Vita cauda colla sua vampa mi ha seccate le lagrime; e l’Avaritia col suo freddore mi ha gelate le Viscere; perciò non piango, e non ardo. A voi tocca, che tanto ardente vi disfaceste in lagrime a’ piedi del Crocifisso, communicarmi una portione del vostro Spirito, così povero nell’humiltà e così ricco di Divotione. Voi severissimo Amante di un Dio Nudo, vi spogliaste d’ogni affetto mortale: quaggiù abbracciando povero Crocifisso, per goderlo lassù Tesoro glorificante. Impetratemi dunque col vostro aiuto una Virtù, che vi rese così perfetto, accioché col mezo di essa Io vaglia a discacciare quella Tribulatione, che tanto mi tiene afflitto.

*

[398]

VENERDÌ UNDICESIMO

D E D I C A T O

ALLA MANSUETUDINE

DEL SANTO.

eh quanto si rese ammirabile il nostro dolcissimo Salvatore ne’ suoi Costumi Vangelici, che ci persuase a seguire non solo colla Dottrina de’ suoi Consigli, ma molto più coll’Esempio delle sue Geste. Spiccò fra le altre, qual

fulgidissima Stella del primier’ordine, quella inalterabile Mansuetudine, con cui, sempre humanissimo, diè singolarmente fra tante, una prova evidente della sua Divinissima Essenza.

D

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Iddio sempre in sé stesso placido, non mai si turba, perché non è suggetto a tempeste quel Mare immenso, in cui spira l’Aura dello Spirito Santo; che perciò vi si godono sempre calme di latte. Né a quel Cielo Sovrano, che si aggira in sé medesimo con tanti Astri quanti Attributi, ascendono mai Vapori, che possano turbarne il sereno, & improcellarne l’aspetto.

[399] Discese perciò ad incarnarsi da quel suo Cielo il Verbo, sicut pluvia in vellus: che vuol dire come la Neve, di cui non può addursi a spiegar la Mansuetudine simbolo più soave, qual hora dolcemente albeggiando imbianca, cadendo senza strepito alcuno, la Terra.

Come della Mansuetudine tanto amico, venne il Diletto, quemadmodum Filius Unicornium, a posarsi mitissimo in grembo della Pulcella Davidica, che coronollo de’ suoi Castissimi Gigli, spiranti fragranza celibe di mansuetissimi Affetti.

Fra le fasce ristretto, spirò, bel Pianeta di Amor Eterno, da’ due lumi brillanti tranquilla Pace. Ogni suo Vagito fu Tromba del Paradiso, ma non di Guerra. Crebbe suggetto non sol alla Madre verace, ma anche al Padre presunto: E quello, ch’era il Fabbro dell’Universo, non isdegnò, che il reputasse l’Universo Figlio di un Fabbro, negletto, e povero.

Si famigliarizò co’ Publicani, mangiò co’ Peccatori, trattò co’ suoi Nemici sempre soave, sempre amoroso, sempre trattabile. Se dal suo Tempio discaccia i Profanatori di Esso, non istringe un fulmine, come potria, de’ più roventi, ad incenerirli; ma congegnando di funicelle intorte flagello lieve, più colla Maestà del sembiante, che colle sferzate del braccio li disperde abbagliati, più che percossi.

[400] Sceglie un Campo di Ulivi, tutto pacifico, per entrar in conflitto contro alle Colpe, che gli si schierano in faccia orgogliose a ferirlo, & a bersagliarlo. All’approcciar di quell’Ingratissimo Parricida, che ardisce di mettere la bocca d’Inferno, con empio bacio, nel Cielo, esibisce Gesù tutto placato, e sereno il Viso; e pur gli si affigge in Giuda un Orione sì tempestoso, che gli diluvia sopra un nembo di ferro. Chiama amico il Traditore per convincerlo con un termine così mite, per compungerlo con una parola così mansueta: Et abbatte in un deliquio di più dolcezza, che di terrore le Turbe armate con due pacifici motti, che sono moti di amor tranquillo ver’ chi l’assalisce con odio fiero.

Legato non si riscuote: flagellato non si lagna: Spinato non si duole: Strascinato non si risente: precipitato non si solleva: Conficcato non si lamenta: bestemmiato non si turba: amareggiato non s’inagrisce: Oh Stupidezza Divina! Oh Mansuetudine Empirea! Oh Soavità Impareggiabile!

Mite non men di Muto, non solo non tuona, il Verbo, ma non favella, quando un Popolo contumace pria colle lingua ingiuste, che co’ chiodi crudeli l’ha Crocifisso. Come un Agnello, non solo si lascia tondere, ma ancora scorticato si sente senza aprir la bocca ad un Ahi. È [401] coronato Re de’ Dolori, e pur non appar dolente; anzi gode, perché patisce, né si querela, perché trionfa.

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Curva le spalle ad un Legno duro, e pur non apre le fauci ad un tenero ohimei sfiancato, ma non ritroso, cadente, ma non restìo: nella debolezza costante, negli scorni ridente, più dalla Modestia, che dal proprio Sangue vermiglio, irritato, ma non irato, è sempre il medesimo; & in tanta varietà di tormenti conserva illesa l’Egualità sublimissima della Mansuetudine imperturbata.

Tale fu la Temperie del nostro Divinissimo Amante da FRANCESCO esattamente imitata; e corrisposta con una dolcissima consonanza, per far’Echo, in tutto, al Crocifisso colla sua Vita tanto ammirabile in tutto.

Coll’Incanto delle armoniose parole unì gli Animi più discordi. Parea, che havesse in bocca favi di Mele, non solo come Prudente, ma come Mansueto. Non mai si vide turbato, perché non fu mai Superbo. Il Vento dell’Ambitione non l’alterò: Il Sangue non mai fugli acceso dall’Ira al cuore, perché la penitenza ogn’hora più raffreddollo alla passione del Senso, e più infiammato nell’Affetto di Dio.

Fu pecorella per esser’Eletto dalla Gratia: Fu Agnello per somigliarsi a Gesù: Fu Colombo, che non sentissi mai [402] fremere per lo sdegno, ma singhiozzante nell’Oratione. Hebbe un Genio di latte; e pur non lo gustò solo che Bambino; e benché solesse d’herbe amare spesso nodrirsi, favellò però sempre colla dolcezza sovra le labbra.

Un tal Carbonello se n’entra, acceso di ardir fumante, ad insultar a FRANCESCO nel Claustro con ingiuriosi attentati; ma non per tanto bastò a sconvolgere la tempra dell’Huomo Divino, che colla tenerezza delle risposte infranse le Bombardate dell’Insolente. Ma molto più sentissi questi ammollito, quando essendosi il Santo ricovrato nella sua povera Cella come Burchielletto, che quando insorge temporal procelloso, al Porto ritirarsi, udì melodiose le gare degli Angeli, accorsi, per intrecciar’alle Palme fiorite del gran Mansueto i loro Plettri sonori. Così attendendolo, che ne uscisse, prostrosegli a’ piedi, e con mille singulti detestò la forsennatezza del suo falso giudicio, legata dalle strette ritorte di un Pentimento verace.

Anche soffrì FRANCESCO, non mai degenere dalla sua placidezza, le procedure indiscrete di un tal Neofito, che nel Convento di Tours, per esser promosso indovutamente di salto alla Dignità di Superiore Locale, si diè ad istuzzicare la Mansuetudine del Santo, per levarla di [403] tuono, ma restò fulminato da un Ciel Sereno.

Ciò, che più concorre ad accrescer la maraviglia è il considerar FRANCESCO domante l’Infero colla Mansuetudine della Croce. Altri Ensalmi non adoperò mai per discacciar da’ Corpi invasati gli Spiriti infesti, che: Per Carità uscite! Partitevi per Carità! Così non valendo essi a resistere, né più potendo persistere, se ne partivano flagellati dalla Dolcezza, e fugati, non che confusi dalla Mansuetudine di FRANCESCO.

Il Demonio irritato dirocca dal sommo di una Montagna una grossa Pietra a sepellir l’Edificio del Claustro sorgente; e FRANCESCO vedendola precipitosa discendere, senza turbarsi punto, comandava quella l’Arresto nell’aria con queste parole dalla Mansuetudine articolate: Fermati Pietra

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Sorella per Carità! Qui colla Pietra mi fermo ancor Io sospeso; già, che come la Pietra sono cadente; e così stupito diviso. E come può dirsi mai Sorella di FRANCESCO una Pietra? Una Pietra dura oh come male ha un Fratel di tal Tenerezza! Forse perché la Pietra è Simbolo di Christo, di cui FRANCESCO per addottione è Fratello, di FRANCESCO è Suora; Ma basta, ch’Ella sia Creatura di Dio, perché FRANCESCO l’honori: basta, che FRANCESCO sia Servo di Dio, perché gli ubbidisca [404] la Pietra. Sorella Pietra sì, perché FRANCESCO pur è di pietra per la sua fermezza, per la sua Castità, per la sua Povertà, per la sua Vita così percossa, e non mai vacillante, per essere fondamento delle Virtù, Fondatore della Religione de’ Minimi tanto esaltata sotto di un Humile; ma di Pietra ancora per la sua Mansuetudine, mentre non si muove punto risentito alle ingiurie; apprendendo anche le Pietre a fermarsi dal petto di lui così mansueto.

Buon Dio che Placidezza! Hor come presumi tu di haverla propitia nel Santo, se non ti curasti mai d’imitarla, ruvido sempre di maniere orgogliose, & agresti verso il tuo Prossimo?

È una gran Virtà Morale l’Egualità del procedere in un Huomo, che di sua natura nunquam in eodem statu permanet. Il conservarsi Scoglio fra le Tempeste, è un Miracolo della Prudenza Politica, Monastica, & Economica. Non v’ha maggior contrasegno, che uno sappia imbrigliar le proprie Passioni del non turbarsi mai a qualsivoglia disconvoltura. È praticar un grand’Imperio della Ragione sul senso, & un tener suggetta la parte inferiore dell’Anima alla suprema. Colui può dirsi un Hercole di Virtù, che sa catenar un Cerbero come l’Irascibile, che latra con tante gole con quanti appetiti si muove.

[405] Ma rari son quelli, che siano Eminenti nel professare questa Mansuetudine eguale, questa Egualità Mansueta: Apparent rari nantes in gurgite vasto: Pochissimi son coloro, che galleggino nel Mare del Mondo senza esser sommersi dalle proprie tempeste, e da’ Venti, che lor si levano contro da’ tutti i lati. Se tal un se ne trova è una Fenice del suo Secolo; e tutti gli altri, che si turbano ad ogni fiato, son onde, ma senza sale, son piume, ma senza concetto, son nuvoli, ma senza humore, son Venturieri, ma senza guadagno, sono Campioni, ma senza alcuna Vittoria.

Senti la Dottrina Sana al paro di Santa dell’Eloquentissimo Ambrogio, nel Libro Quinto sopra il Vangelo dell’Apelle di Christo: Quum deposuero omne Peccatum, & eruero omnem malitiam, & Simplicitate contentus fuero inops Malorum, superest ut mores temperem; Quid enim mihi prodest carere sceleribus, nisi fuero mitis, atque Mansuetus. Vuol dir’il Sagro Facondo, che nulla ci giova lo spogliarci della Colpa, se non indossiamo quest’Habito di Mansuetudine, fatto alla Moda del Crocifisso, che dice: Discite a me quia mitis sum; & al Modo di FRANCESCO, che fu vivo Ritratto della Placidezza, & in conseguenza di Christo.

Ma si trovano alcuni, per non dir molti, che sempre minaci, e torvi, non sanno mirar diritto il Prossimo loro, e come tanti [406] Lioni giubbati degrignan le zanne per divorarlo. Sotto le arcate de’ loro sguardi severi fanno passar’ i loro Fratelli oltragiati. Sputano ampolle, perché ogni loro

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parola è piena di vento; e come gli Euri scatenati da Eolo sempre fremono irati, e sempre si adirano frementi. Non si sa come trattar con Essi, perché sempre maltrattano. Divorano il Povero colle occhiate, e stimano che la fierezza, onde son temibili, faccia stimar Huomini di Vaglianza, e di Credito, e pure sono abborriti, come Nembrotti, come Neroni, e come Vitelij, perché hanno sempre i nembi nel volto; senza candore nelle Attioni, e sono Buoi nel sapere, e Somieri nel calcitrare. Il primo carattere della Prudenza è l’Egualità nel procedere; & il primo contrasegno della Nobiltà è la Dolcezza de’ Costumi. Con queste due Propositioni ho detto quanto si può più dire contro a coloro, che qui di sopra ho descritti.

Conchiudo, che Iddio scacciò i Superbi e gli Alteri da’ Seggi sovrani, & sedere fecit mites pro eis, come ci avvisa lo Spirito Santo al quinto Capo dell’Ecclesiastico; e come ne adoriamo in FRANCESCO felicemente adempiuto il successo.

Ah, ch’i Mansueti, & i Miti sono coloro, a’ quali tocca (secondo il Testamento di Christo nelle Otto Beatitudini) il posseder la Terra promessa, di latte, e di mele stillante: Simboli amendue, non che nodrimenti [407] di una Mansuetudine mite, e di una Mitezza mansueta.

Finiamola, perché forse ti tedia il sentir più lungamente divisar di ciò, che tanto a Dio piace: Vuoi tu conseguire i Doni Celesti, senti, che il Savio ne’ suoi Proverbij dà per raccordo, che Dio Mansuetis dat Gratiam. Chiedila dunque; ma nella suppositione d’essere Mansueto nell’avvenire, ad imitatione di FRANCESCO, con somiglianti

AFFETTI AL CROCIFISSO.

Io tutt’Assentio, mio Dio, e voi tutto Nettare! Io tutto Fiele, e voi

tutto Manna! Io tutto torbido, e voi tutto Sereno! Io Tempestoso, e voi placido! Io così risentito ad un guardo opposto: voi così sofferente ad una innondatione di obbrobrij! Oh Follie discrepanti di una Musica troppo discorde! Oh disconcerti di tuoni pur troppo dissoni! Ah mio caro Dio, non ho, non ho ancora assuefatto l’orecchio al dolcissimo suono della vostra armoniosa Passione. La battuta di tanti flagelli sul vostro dorso non ha potuto ancora abbattere l’alterigia degli arroganti pensieri sopra il mio volto. Tal mi dimostro di fuori, qual nell’interno, pieno di turbini, perché ad ogni vento mi muovo, ad ogn’incontro mi turbo. E non saprò dunque regolar mite le mie Passioni sopra il Registro soave [408] delle vostre Piaghe dolcissime? Deh comandate a’ Venti delle mie affettioni disordinate, che farete insorgere la tranquillità nel mio cuore così procelloso: Sì come vi priego, nell’avvenire le mie parole tutte melate, i miei tratti tutti pacifici, i miei trattati tutti pacieri, poiché per l’amarezza del mio procedere voi haveste il fiele sulle labbra. Concedetemi, che non mi adiri contra de’ miei Prossimi, ma de’ miei Vitij; e siatemi liberale, mio caro Dio, di quelle Gratie delle quali tanto necessitoso mi trovo.

SUPPLICA AL SANTO.

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Basta sol, che il vogliate, o mio riverito FRANCESCO, per

impetrarmi quanto, con viva Fede per vigore del vostro Merito, Io cerco al mio Dio. Al vostro, dirò meglio, da cui vi supplico colle viscere nella lingua da ottenermi una pace interiore, che mi traspiri dal volto mite, per mostrar al Mondo, ch’Io son Figliuolo rigenerato del Crocifisso. Deh non isdegnate questo mio Cuore, benché quasi sempre suggetto a sdegnarsi. Egli non si vuol più turbare nell’avenire, che contra me stesso, perché mi turbai sempre per lo passato contro al mio Prossimo. Ahi quanti, ne ho sconsolati colle torbide mie procedure! Ma tocca a voi raddolcire quell’acque amare, col legno di quella Croce, [409] che vi rese dolce ogni assentio. Deh voi, che foste Semplice, e placido come Colomba, non permettete, ch’io viva più nero, e crudele, come Cornacchia. Cangiatemi in Cigno, se son un Corbo, e fate, che de’ favori divini, come di rugiade sovrane felicemente pasciuto, habbia per nido Eterno il Costato del Crocifisso.

VENERDÌ DODICESIMO

D E D I C A T O

ALLA PATIENZA

DEL SANTO.

on è la Patienza una Virtù sola, come il Nome la circoscrive; ma un Aggregato di tutte le Virtù, come la pratica lo dimostra. Ella, essendo di tutte l’Anima, in tutto si trovano, e tutte si trovano in Essa. Appunto come la

Prudenza per le Morali, la Patienza è trascendente per le Celesti. La Verginità non fiorisce, la Povertà non germoglia, l’Ubbidienza non frutta, la Continenza non pulla senza di Essa. La Mansuetudine è Spettro, l’Astinenza è Larva. L’Oratione è Sogno, [410] la Modestia è Fantasima, la Divotione è fumo, la Fede è vapore, la Speranza è Cadavere, la Carità è Chimera senza la Patienza. Questa tutti i colpi rintuzza, a guisa di Scudo; da tutti i fendenti difende, come celata; tutte le punte ribatte, come corazza; da tutte le ferite schermisce, a guisa di maglia.

Non ne cerchiamo le prove, che nel nostro Patientissimo Amore. Predisse il Profeta di lui, che dovea satollarsi di obbrobrij; Tertulliano il descrive ghiottissimo di Patimenti: Così discese quegli quaggiù d’ingiurie famelico, per iscontare l’innumerabili fatte dal Genere Humano, disumanato, e degnere, per l’Ingratitudine continua de’ Peccatori contra la Bontà Eterna del nostro Dio.

N

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Oh quanto pretiose, e belle ci adornano del nostro accordogliato Confitto le Pene atroci, fabbricate, e battute nell’Officina della Patienza, dove Mastro di Dolore, a forza di Martellate, sopra l’Incudine della Costanza, col fuoco Divino, a’ fiati avvivato del desiderio, formolle!

Christo sciolse, legato; Honorò oltragiato; Assolvè giudicato; Redimette comprato; Decorò flagellato; Rammolcì spinato; Mosse inchiodato; Esaltò humiliato; Sanò Infermato; Ravvivò esanimato; Risuscitò interrato: E di tante Machine così belle la Patienza sola fu l’Ingegniera.

[411] Ma deh quanti, e quanti pochi dalla Sommità del Calvario osserva il Crocifisso seguaci, che ascendono colla Croce Patienti. La Dilicatezza del Mondo cerca di coglier le Rose, e di lasciare le Spine; che rari son quelli, come FRANCESCO, a quali fu il non patire morire.

Cominciò il nostro Santo la sua Vita morendo nelle angustie di una Penitenza non intermessa, né mai la raddolcì con un lieve regalo; non mai refrigerolla con un respiro mondano; non mai la rilassò con un lecito divertimento. La strascinò fra gli Sterpi fiorita: l’alimentò coll’inedia satolla, la logorò co’ sassi dormendo, la lacerò co’ flagelli vegliando; né stimò mai più gran Festa per lui, che quando fece Vigilia.

Oh quante volte il rinvenne sol di preghiere nodrito, sulle stesse ginocchia curvo, il Sole, che cadendo l’havea lasciato ad orare, & ad adorare digiuno, come l’havea trovato nascente!

Infaticabile FRANCESCO gode penando, e non si satia di Penitenze, benché non habbia gustati i Diletti. I Diletti di lui son le noie, che l’amareggiano: Le sue Amate sono le Peste, che l’amoreggiano: Le sue Delirie son i Cilicij, che il cingono: Le sue Rose sono le Spine, che il pungono.

La sua Mensa è Parca, e perciò più atta ad ucciderlo, che a mantenerlo. Il suo [412] Pranzo sta tutto in un pugno: pur gli fugge sovente dalla bocca scordato, mentre la mano impugna la Sferza. La sua Bevanda non gli riesce mai dolce, se non glie la temprano le lagrime amare. Per non far naufragio nel vino, vuol solo l’acqua alla gola. Bacco non mai gli comparisce dinanzi; o sia perché solito a recar fumo, non è ben veduto da un Humile; o pure, perché spumando con quella Venere, che dalle Spume nata dell’acque salse, nelle spume de’ vini dolci galleggia; non è ben accolto da un Casto; o forse, perché piccante, non è gradito da quella lingua, che mai non punge. Il Letto di FRANCESCO è la Terra nuda, che l’accoglie vestito, e cadente più in sembianza di morto, che di riposante. Tal’è il Giacitoio della Patienza, che non sa dormir nella Morbidezza; tal’è quello di FRANCESCO, che non sa dormir senza haver a canto la Patienza. Questa è la Patienza, che altro non gli recò in dote, che stenti. Egli amoroso la strigne, né si può dir, che non la conosca, perché l’ha sempre negli occhi piangenti; né si può dubitar, che non l’ami, perché sempre la tiene nel cuor’avvampante; né si può presumere, che non l’habbia, perché la porta sul dorso scorticato dalle battiture, e dalla Croce, più che dalla Vecchiaia curvato.

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Oh Santo Stoico, che così ben praticasti il sustine, e l’abstine. Sostenesti; e la Patienza [413] fu la tua Base. Ti astenesti, e fu tua Economa la Patienza. Questa fu la bella Foriera delle tue Penitenze. Tanto più forte quanto più indebolito, co’ tuoi Digiuni, l’alimentasti; colle tue sferze la battesti; co’ tuoi Cilici l’assediasti; co’ tuoi sfinimenti la ripigliasti sempre più vigorosa. Bella sì, bella teco la Patienza, perché co’ tuoi pallori la coloristi, co’ tuoi deliquij la ravvivasti, col tuo pianto lavandola la mantenesti. Ella cercò di distruggerti, e tu procurasti di sostenerla. Ti tormentò, e l’accarezzasti: ti afflisse, e la conservasti, ti macerò, e la trattenesti. Fosti assodato più che Diamante, perché di Dio amante, da quella, che spezza i Diamanti più sodi. Quanto più ti percosse, tanto più ti fissò nel Cielo; e quanto più caricotti, tanto più sollevotti alla Gloria. Alla Gloria sì, a cui giugnesti colla Scala del Crocifisso, ch’altra non fu, che la Patienza. Oh FRANCESCO, FRANCESCO, Io non so trovar ne’ tuoi Fasti Miracolo maggior di te stesso, e della tua Patienza!

Armossi perfido il Mondo ad abbatterlo con sovrassalti maligni: Armossi Patiente un FRANCESCO a far petto con sofferenze ammirabili. Un Religioso, Oratore di un Ordine Illustrissimo, declama publicamente contra i di lui Miracoli, e FRANCESCO ne fa di tutti il Maggiore [414] sopportandolo in Patienza. Qual più evidente dimostratione potea prodursi, che la Santità di FRANCESCO havesse gran fondo, come gran fondamento? Se dall’Hipocrita è proprio il risentirsi punto, perché sotto pelle ovina nasconde il Lupo: dell’Humile è circostanza il tacer pacifico quando è ferito, perché non sa lagnarsi l’Agnello quando è tosato, anche da chi volendolo tondere per l’ufficio che fa di Pastore, indiscreto lo scortica per la razza, che ha di Villano.

Un Cameriere del Papa, rimproverando a FRANCESCO la Vita Quaresimale, da lui introdotta, il motteggia di rusticano; & Egli riceve mansueto il pungolo, come un favo, & il disprezzo, come un favore. Il Cardinal di Ungheria fa discacciar malmenat’i Religiosi Minimi da’ Chiostri sorgenti di Castellamare. Egli sopporta l’affronto, e ne sorride (benché gli penetri al cuore), come, che li vedesse entrar Trionfanti nel Campidoglio. Il Re di Napoli manda una Ciurma di Sgherri, accioché il conducano a lui legato, qual Criminoso: & Egli con amorevoli abbracciamenti gli strigne, con dolcissimi trattamenti li regala, all’hor, che stavano, per caricarlo d’ingiurie, e di funi. Un Medico del Re de’ Galli, per iscreditarlo appresso la Corte tutta, si accigne a soffocar questo Semplice del Paradiso colle gramigne della sua lingua infernale; [415] & Egli non prepara altro Antidoto contra di Antimonio, così mal preparato, che la sua Patienza.

Ama i suoi Nemici, perché ama il suo Dio. Come il Re delle Api non ha pungolo da infierir contra tante Vespe. Benché si ravvolga tuttodì fra le Spine, non è punto Spinoso. Altre punte non gli passano il cuore, che quelle de’ Chiodi del suo Caro Confitto: Altro fiele non ha sulle labbra, che quello del suo Redentore moribondo. Schiaffeggiato offerisce l’altra sua guancia, perché non habbia ad invidiar questa la Porpora a quella, che inostra la Patienza. Oh Stupore! Oh Prodigio!

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La Croce continua, sulla quale sagrificossi lo fe’ Imagine del Crocifisso; ma scarpellolla con un Chiodo la Patienza, solita a far sempre le sue Opere di Rilievo, e non di superficie.

Fu Sasso nelle sue tenerezze col sostener tanta mole di Patimenti, colla quale giunse a toccar’il Cielo. Accatastò non meno delle maraviglie le pene, per posarvisi sopra Fenice di Patienza, a rinascere nel Secolo Eterno di Gloria. Se in questa entrò Christo, non men coronato di Pene, che di Trionfi, in quella entrò pur FRANCESCO non men coronato di Trionfi, che di Pene. Di Pene, che l’ingemmarono, e come le Pietre pretiose quanto più dure, tanto più fulgide, l’arrichirono [416] col caricarlo, il fregiarono col ferirlo.

Non si lamenta FRANCESCO solo perché non gli si raddoppia il motivo di lamentarsi. Partecipa della sete del suo Diletto, che la patì, benché fosse Fonte; e perché non può estinguerla, come vorrebbe, al Torrente della Passione, la va stuzzicando cogli spruzzoli delle sue lagrime. Trova nel Pianto un piacere, che nol satolla, ma lo solletica; e nel prurito del suo patire prova la gioia del suo contento. Goderebbe di potere stillar tutto il suo cuore al suo Dio, giaché non può stillarli tutto il suo sangue; ma poi si ravvede, e ritiene il suo cuore negli occhi suoi, sempre più voglioso di stillarlo a quel Nume, che osserva, e custodisce, come pupilla, e lume degli occhi medesimi.

A’ tanti riverberati, ma più ripercossi splendori, arrossisca l’Anima dilicata, che si uniforma al suo Senso, non al suo Dio. Sospiri pure, perché non respira alla Gratia, e si creda dalla sua creatione degenere, perché Dio, che il tutto fe’ con un Fiat, non volle redimerla con un fiato, ma col midollo delle sue viscere.

Ahi quanta effeminatezza avvilisce i nostri pensieri! Deh come codardi siamo al travaglio, come valorosi al Peccato! Un Sonno interrotto ci turba; e la quiete eterna della Beatitudine non ci sveglia. Una Vivanda mal imbandita ci mette nel [417] capo il suo fumo; & un Dio per noi Crocifisso non ci mette nel cuore il suo fuoco! Hor come la passerebbe il nostro Appetito con un proseguito digiuno, nelle frequenti Vigilie, colle punte di acciaro indivise a’ fianchi, co’ ferrati flagelli tre volte, ogni notte, al tergo, come fe’ il nostro FRANCESCO?

Per un Interesse, che ci rovina è il patir’insensibile; e per un Dio, che ci creò, che ci ha redenti, che ci aspetta a gioire, il travaglio è duro! Oh Dio troppo Buono! Oh Peccator troppo Empio! Se si tratta di corteggiar’un Principe, la tempra de’ nostri Corpi è di diamante: se si tratta di servire un Dio, Re de’ Principi, e Principe de’ Regi la tempra de’ nostri Corpi è di fango. Per un guadagno di fumo siam tutti fuoco; e per un guadagno di fuoco siam tutti fumo, Iddio non ci accende col suo Santo Amore; & il Mondo col suo profano ci abbrustolisce.

Il Negotio dell’Anima nostra è l’ultimo, quando per esser l’ultimo dovrebbe essere il primo. I nostri Sudori son per la messe terrena, e non per l’Eterna. A far vendetta de’ nostri torti siam’aquile co’ fulmini nella destra: a far lo sborso de’ nostri debiti siam Conigli col laccio al piede. Ahi quanti

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sonni c’interruppe il desiderio di vendicarsi de’ nostri nemici; e quante volte habbiam noi dormito sull’oblivione de’ nostri peccati. Per lo Mondo tutto, e [418] per Chi fe’ il Mondo nulla. Il patir per lo Mondo è gloria: il patire per Dio è vergogna.

O Patienza dove ti ricovrasti! Nelle Selve co’ Romìti: ne’ Chiostri co’ Religiosi: nelle Catapecchie co’ Poverelli: nelle Carceri co’ perseguitati: ma non già ne’ Palagi de’ Grandi, di dove ti scacciò il Regàlo: non già nelle Combricole degli ammorbiditi Mortali, di dove ti tiene lontana il lusso. Nelle Corti tu forse accovacciata ti annidi, ma senza frutto, e lacerata dalle tue passioni, quella non sei, che adorna, ma che dispoglia, non quella, che fa l’ale, ma che spenna i cuori: non quella, che vola, ma che serpeggia. Patienza mascherata, e perciò infedele, quanto più doppia tanto più manchevole; quanto più dura tanto più durevole meno; quanto più tormentosa tanto più imagine dell’Inferno. Oh quanti Tantali tu lusinghi famelici, & assettati colla frutta sul labro, e coll’onda alla gola? Oh quant’Issioni tu riscuoti, che non si fermano mai, e perciò non han mai riposo, e mai nella tua Ruota non inchiodano la Fortuna, che li crocifigge, non li risuscita! Oh quanti Sisifi ti portano sulle spalle, e quando pensano di haverti fissata; come Pietra Filosofale, teco ripiombano all’imo delle sciagure? Oh quanti Titij hanno da te divorate le viscere sempre rinascenti a patire per un bene, che non genera solo, che [419] pene, perché prodotto da’ Patimenti!

Non è, non è così la Patienza, che si ha per Dio, per essere la medesima, che Iddio hebbe, e quella appunto, che tanto illustrò FRANCESCO in limargl’il cuore: Tutta diversa da quella, che rodendo più il Peccatore, anche più l’oscura.

Ma non più, non più. La sola confusione proceduta dall’esito degl’Interessi mondani ci debbe convincere, già che non ci può vincere quella Patienza, che ci fa trionfare vincendoci. Hor tu, se brami di salvare l’anima tua, in tanti naufragi, attaccati ad uno Scoglio così stabile come la Patienza, dimanda una Virtù così necessaria alla tua Salvezza con questi

AFFETTI AL CROCIFISSO.

O mio Patientissimo Amante; e tanto Amante, quant’Io Ingrato, Voi

tutto cinto di Spine, & Io nelle Rose tutto sommerso! Voi nelle Piaghe, & Io ne’ piaceri! E pur vi miro, e non piango? E pur vi contemplo, e non gemo? Non gemo, perché son di sasso, per non amarvi, per non patire. Son di Sasso per voi, e son così molle per questa mia Carne Pietra di Scandalo. L’amicitia col Senso, più, che la vostra mi piace; ma quanto più fuggo il patire, tanto più da voi mi allontano: Dunque perché vi cerco, quando così mi dilungo da voi, Ribello della vostra Legge per ubbidire [420] al mio Genio. Ricalcitro alla vostra Gratia, perché m’imbriglia la mia Concupiscenza sboccata, più che il vostro Santo Timore. In me non ha forza sol, che il Piacere; ma non già il piacervi; e la vostra Croce non trova un angolo da piantarsi in questo mio cuore, perché la Delicatezza l’ha tutto occupato. Ah, che pur troppo

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infruttifera è quest’Anima mia, perché non mai coltivolla la Patienza, gran Giardiniera, che fa rampollar dalle Spine le Rose, gli Anemoni delle Cicute. Hor come potrò trovarvi, se non cammino sulla strada corsa da voi? Come ardirò di aspirare a veder la vostra faccia glorificante, se mai non volli dar’un’occhiata al vostro tergo da’ flagelli scarnato? Pietà mio Dio, Pietà di me; per cui se così foste Patiente, vi prego ad esserlo ancora tanto in aspettarmi alla Penitenza, accioch’Io possa ottener col patire non solo le vostre Gratie; ma ancora le vostre Glorie.

SUPPLICA AL SANTO.

Ma voi io austerissimo Santo, che colla Sofferenza non meno, che

coll’Astinenza, oltre le innumerabili vostre Virtù, cotanto vi segnalaste, perché non mi rendete colla vostra Intercessione, come col vostro Esempio tanto sensibile, quanto imitabile quella Croce, che vi germogliò tanta Gloria, quanta speraste patendo. [421] Deh datemi un’Inclinatione a penare per amor del mio Dio, tutta diversa da quella, che ho di godere per amor del mio Senso. Ripugna, pur troppo il so, che questo mio cuore, a voi si presenti essendo in me così ravvolto nelle panie del Mondo, così lontano dagl’Interessi del Cielo: Non è giusto, che quest’Anima mia, così perduta in cercar i diletti del Corpo, trovi diletto nelle Piaghe del Crocifisso: E pure presumo d’importunarvi, non so, se più temerario, o se più peccatore, accioché col Merito della vostra incontrastabile Patienza abollate il Demerito della mia colpabile Dilicatezza. Voi, che favoriste ancora la Salvaggine, che a’ vostri piedi ricorsero perseguitate da’ Cani, favorite, ve ne supplico, quest’Anima mia perseguitata dalle Passioni. Ottenetemi colla Patienza ne’ miei Travagli, il perdono delle mie Colpe. Fate, ch’Io habbia quella costanza nel sofferire le cose avverse, che non hebbi nel resistere alle felici,

le quali quando m’incontrarono mi abbatterono: Protestando qui,

Ch’Io vo’ più tosto patire amico di Dio, che

gioire in gratia del Mondo.

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[422]

VENERDÌ TREDICESIMO

D E D I C A T O

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ALA PERSEVERANZA

DEL SANTO,

FINO ALLA SUA

GLORIOSISSIMA

MORTE.

hi ben comincia ha la metà de l’opera; E chi finisce ben l’ha tutta intera. Non si comincia ben se non dal Cielo; Ma sol nel Cielo bene al fin si termina.

Principiò la sua carriera il nostro Divinissimo Sole a summo Caelo; e la finì per l’appunto colassù dove l’haveva intrapresa: & occursus eius usque ad summum eius.

Il movimento anhelante di una Corsa sì grande fu senza alcun’intervallo di rimesso fervore. Passò vigoroso per tutti li Segni di quel Zodiaco, che dovea formargli un Arco al Trionfo. Sempre aspirando [423] all’Occaso, appena vi giunse, che si fe’ ravvisare, come il Polifemo degli Astri, ascendere a quell’Orizonte, dal quale si era spiccato.

Nacque fra due Bruti accolto: morì fra due Ladri confitto. Se nella Culla hebbe la Genidrice Lagrimosa di gioia assistente, la compatì sulla Croce, amareggiato dalla vista di quella dogliosa, più che dal fiele, che li porse l’Hebreo, colto nella Vigna della Sinagoga, delli cui Tralci spinosi cantò il Cigno Reale: Uva eorum uva fellis, & Botri amarissimi. In Bettelemme fra le paglie campestri: sul Golgota fra i Giunchi marini. Là fra i Bifolchi agresti: qui fra i Villani Giudei: Là colle Stelle del di lui Natale foriere: qui col Sole per la di lui Morte languente. Là rugiadoso nel pianto: qui ammollato nel Sangue. Là interizito dal gelo: qui dall’angoscia tremante. Là nelle fascie ristretto: qui dall’Amore spogliato. Là di latte pasciuto: qui d’opprobrij satollo. Là in una Mangiatoia disteso: qui sopra di un Tronco confitto; ma sempre dal Presepe al Calvario, come Cervo ferito, senza fermarsi, né mai rallentare il Viaggio intrapreso.

Appena hebbe messo, non che la mano, tutto il suo Augustissimo Corpo all’Opera immensa della nostra Redentione, che non mai levollo; ma sempre più il sottopose con indefessa Perseversanza al patire [424] fino alla Morte. Cominciò nella Circoncisione a soffrirne i mesti preludi; indi impiegò tutta la sua lena agli stenti, finché s’impiagò tutta la sua carne colle sferzate.

Viva l’inesausta Pietà di così gran Redentore, che non colla di lui Vita hebbe fine; ma dopo haver colla sua Passione consumat’i Tormenti, ricominciò risorgendo a spargere i Beneficij.

C

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Fu ben sì sepolto il Sagrosanto Cadavere, ma non già la Clemenza del Salvatore, la quale perseverò ad arricchirci quando pareva, che colla Vita della nostra Vita dovesse venir’estinta, e sepolta.

Gelosissimo il Verbo Eterno della Virtù della Perseveranza, non intralasciò mai l’essercitio di Virtù così Nobile, con cui tutte le altre, a guisa di Perle, come con filo d’oro si schierano in fila. Se queste sono le Anella, quella è la Catena; e se l’una chiama l’altra, come compagna, e l’abbraccia, come Sorella, la Perseveranza tutte le chiama insieme come Discepole, e tutte le abbraccia in uno come Figliuole.

Et ecco insorgere la ragione, spiegadrice del gran Mistero, perché il nostro Christo, se non calò dalla Croce, volò del Sepolcro. Lassù non volle troncar nel più bello dell’Opera la gran Virtù della Perseveranza, che ne fu l’Ingegnera, [425] perché non doveva lasciar nell’aria sospesa quella gran Machina della nostra Redentione, ma solo il Divino Cadavere, che ne fu l’Organo. Laggiù non potea più patire, onde ne proruppe tosto impassibile, con gloriosissimo movimento.

Hebbero perciò i Santi Padri occasione, fra tante altre di derider l’Hebreo, così pazzo come blasfemo, che il provocava a sferrarsi dalla Croce, perché non sarebbe stato un oprar da Dio il lasciar la Passione imperfetta sul bel procinto di terminarla. Quinci fu dal Saggio Agostino seriamente schernito il Gentile, che finse un Dio Giano a cominciare, & un Dio Termine a finir le facende: perché non può dirs’Iddio quello, che senza finire comincia; e né men quello, che senza cominciare finisce.

Oh come FRANCESCO, Protratto per ogni verso del Crocifisso, fondossi costantemente sopra la Base di questa Dottrina incrollabile! Egli non discordò dal suo Natale Innocente una Morte Candida, perché perseverò nell’essere Candido, & Innocente. Nacque come un Colombo, e morì come un Cigno. Visse qual nacque, morì qual visse: Ogni passo della di lui Vita Mortale avvanzò FRANCESCO all’Eterna. Ogni momento de’ di lui respiri guadagnogli un’Immensità di Trionfo: ogni [426] respiro de’ suoi momenti acquistogli un Trionfo d’Immensità.

Hebbe alla Culla gli Angeli canori, alla Tomba, ufficiosi. Basta, ch’ei come Christo nascesse, e come Christo morisse, perché gli spalancasse il Paradiso le sue finestre alla nascita, e le sue Porte alla Morte.

Morì Platone Ottagenario co’ Numeri di Sofròne Mimografo sotto al capezzale: Morì FRANCESCO Nonagenario, co’ numerosi Esempli del Salvadore, impressi nel capo, e registrati nelle Opere.

Egli fu sempre il medesimo; sol se non superò sempre sé stesso professandosi Minimo, e sublimandosi Massimo. La Perseveranza il rese sì grande, che di un Punto, ch’ei voleva essere, lo stese in vastissima Sfera di lume, la cui fulgida circonferenza hebbe tante linee procedute dal centro, quante Virtù tirò la Perseveranza dal cuor di FRANCESCO.

Di FRANCESCO sì, che come i Sagri Animali di Ezechiello, a guisa di fulgore corruscante, senza fermarsi, né ritornar mai addietro, tutto splendente corse al suo Scopo; & hebbe così per nemico il riposo, che a sembianza degli Astri non trovò mai, che nell’Inquietezza la quiete.

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Io lo considero sempre affaticato, e non mai stanco. Suda, né si raffredda, perché [427] non prende l’aria del Mondo. Si macera, e non si ferma, perché ha gli stimoli a’ fianchi. Dopo haver messo mano all’Aratro non mai si arresta, ma sempre attento a tirar diritto il suo solco, vi sparge semi di Meriti, per raccorne Messi di Gloria.

Durò Protogene sett’Anni interi astinente sol pago di Lupini ammollati, affin di haver il capo netto da que’ fumi, che cagionano i Cibi pingui, per poter applicar con tutto lo spirito il suo Pennello a delinear’il Protratto di Gialisso dal naturale. Durò FRANCESCO quasi, che un Secolo contento di poco pane per far di sé stesso, mortificandosi, al vivo un Ritratto del Crocifisso.

Ei seppe tirar più diritta, che Apelle, sulle Tavole della Legge la Linea della sua Vita non mai obliqua, e non interrotta; ma con tal sottigliezza, non come dilicata, ma come astinente, che non potea tirarsi più indivisibile, perché fu Vita del tutto semplice. La Perseveranza fu la Geografa, & il Vangelo servì di Regola. Ogni punto fu continuato con tal’esattezza, che non vi fu discrepanza dal primo all’ultimo: quindi la Linea fu retta, perché diretta dalla Perseveranza, che senza mai vacillare tirolla.

Morì FRANCESCO nel Giorno del Venerdì Santo, all’hora medesima, che Gesù, stendendosi sovra una Croce da [428] lui portata addosso per tanti lustri, crocifisso da’ suoi quattro Voti, coronato di Spine i lombi se non il capo, scorticato da’ flagelli il dorso; e se non hebbe il fiele sulle labbra, fu perché le mantenne morbide, e raddolcite, col favo del Mele Sagramentale, che fabbricò nell’Alveare di un’Hostia l’Ape Verginale del Paradiso.

Oh Fortuna! Oh Virtù! Oh Perseveranza! Oh Morte degna di Eterna Vita! Io non so trovar un Fasto più Augusto per celebrar del mio gran FRANCESCO le Geste; per innalzar del mio gran Patriarca le Glorie. Datemi voi una delle Cetere vostre, o Celesti Orfei, colle quali rapite senza favola i cuori, se non i Tronchi, ed i Sassi. Ma troppo indegno di tasteggiarla con ragion mi escludete, e mentre mi sento cader la penna stupidito, più che divoto, odo, che voi armoneggiando accompagnate l’Anima bella di FRANCESCO in Trionfo; e mentre rapir mi sento dalle vostre dolcissime Sinfonie confesso ancora che sete Orfei nel rapir i Sassi, & i Tronchi.

Sormonta lo Spirito di FRANCESCO le Stelle, che lo coronano, & accresce all’Empireo le fiamme colla sua Carità così ardente. Multiplica i Serafini acceso di Amore. Co’ Cherubini si mischia havendo da essi appresa quella Scienza Mistica, che non gonfia di Vento, ma empie di Dio. Giubila il Paradiso, [429] & ondeggiando co’ raggi d’oro i Beati, incontrano quel gran Prodigio di Penitenza quel gran Corifeo di Humiltà, quel Purissimo Celibe, quell’Astinentissimo Confessore, quel Martire valoroso, che tormentò la sua Carne sì lungamente per bearla risorta coll’Anima sua nella Gloria.

Languisce allo svelarseli del suo Dio tanto amato quanto bramato, in soave Deliquio, non più di disio, ma di Amore, e lo sostengono tramischiate

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all’ale degli Angioli, quelle Virtù che l’accompagnarono sempre Mortale, dalla Perseveranza condotte, e che hora immortalmente con lui trionfano.

Il Verbo Incarnato l’abbraccia, & all’Eterno Padre il presenta, che lo vagheggia come una Coppia sì ben formata del Crocifisso dalla Perseveranza perfettissima Imitadrice; Ma lo Spirito Santo in esso come in suo Tempio s’interna, e non più l’accende coll’impatienza, ma colla gioia.

Mentre vien fatto sedere sopra un Seggio Stellante de’ più sublimi, onde furono deposti gli Angioli Alteri, cantano que’ Cigni arguti del Paradiso questo Mottetto Davidico: Deposuit Potentes de Sede, & exaltavit Humiles. E chi fu, che depose di Sedia i Superbi (che Potente, e Superbo spesso è il medesimo?) Chi li diroccò dalla Gloria? Il non perseverar [430] nella Gratia. Chi fu, ch’esaltò i Santi (sempre Humile, e Santo è lo stesso)? Chi gli stabilì nella Beatitudine? La Perseveranza nelle Virtù, per conseguir come fe’ FRANCESCO quella Gloria, ch’altro non è alla fine, che una Gratia consumata, e perfetta.

Hor noi perché stiamo più a bada? Deh chi ci trattiene tanto infingardi, e non ci lascia correre, se non così a gran passi, almeno in sicuro, sulla Carriera, che tenne FRANCESCO? Ah troppo è vero! Se si tratta di camminar su quella del Senso siam tanti Barbari: Se su quella di Dio siam tanti Ronzoni. La Perseveranza nel peccato è di macigno: la perseveranza nell Gratia è di Creta. Chi veste l’Habito della Colpa se lo lascia marcire in dosso: E chi si addatta quello della Virtù facilmente lo spoglia. Il Vitio appena veduto si apprende; e l’Honestà tante volte incontrata si fugge.

Buon Dio, che scempiezza! Il Male perseverando si accresce; & il bene perseverando si diminuisce. Comincia l’Anima distratta ad amoreggiare col Mondo, e non sa lasciarne l’affetto, perché l’Interesse la lega. Inveschia il piè nelle panie del Senso, e non sa staccarnelo; che se pur si sviluppa, e divelle non è solo, che per istanti. Ma se si tratta di volgersi al Crocifisso, e di perseverar’all’ombra di esso non v’ha nel pensiero stabilità, che [431] suscita solo, che per momenti, poiché il divertono l’ombre.

I Cani ritornano al Vomito, & i peccatori al peccato. Le Colombe si ricovrano al Nido, & i Giusti alla Croce. I Fiumi Reali non tornano mai in dietro, e l’Aquile che fissano gli occhi nel Sole non mai torcono lo sguardo alla Terra; ma quanto più contemplano quel fonte di lume, tanto più si appressano a berne i rivoli chiari colle pupille assetate. Con questo dire Simbolico parlo a bastanza.

Esser più facile, che si sommerga un Otro pieno di Vento, che un Giusto, parve a Zenone. E pur era questi Gentile, e non haveva, che lo Spiraglio Morale della Scienza, e non la luce, che a noi disgorga da tante parti a rischiarar il cammino dalla Perseveranza battuto, ma così poco da noi frequentato, che piangono le vie di Sionne per lo squallor della Solitudine, e ridono quelle del Secolo tanto dirupose, sdrucciole, & infangate; E pure tanti le calcano ancorché veggano tanti, che le calcarono prima, eternamente precipitati.

Vaticinò il Salmista de’ Reprobi in questo proposito, che sicut Oves in Inferno positi sunt. Ma perché come Pecore, se hannosi più tosto, seconda

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la Dottrina di Christo, a chiamar Capretti? Più tosto per la loro rapacità di Lupi; per la rabbiosa bile Orsi; per la loro fumante Superbia [432] Lioni; per la loro stolidità infingarda Giumenti; per la malitiosa furberia Volponi; per l’immonda Lascivia Maiali; per lo livor dell’odio maligno Cameli; per l’avaritia in accumular, e custodir i Tesori Dragoni; per le machine dell’Ambitione, che portarono addosso, Elefanti; per la crudeltà Tigri; per la sboccattezza Cavalli; per le macchie Pantère; per gli artigli Grifi; per l’unghie Gatti; per la maldicenza contra la Virtù Cani; per gli raggiri Serpi; per la Vanità Struzzoli; per la voracità Orche; per la Doppiezza Amfesibene; per la Simulatione Scimmie; e finalmente per le lor Colpe Bruti, come più brutti, e più insensati animali. Ah sì come Pecore, perché seguirono l’uno dell’altro le polverose Vestigia, perirono coll’esempio negli occhi, si precipitarono sopra le Rovine degli alteri, che tal’appunto è l’Indole delle Pecore scervellate. Oh Pecoroni, oh Peccatori, tornate addietro, che il sentiero, dove voi sete, guida all’Inferno! Buon per certo: Costoro non sentono la voce di Christo, non rispondono alle ispirationi della Gratia, non ubbidiscono alle chiamate della Sinderesi, sempre Traviati, perché sempre Ciechi, come Mitridate convertono in alimenti i Veleni, e come Rospi in veleni gli Antidoti.

A te mi rivolto, che leggi, e teco conchiudo; che, se non vuoi perire con tanti, [433] dei seguir le pedate de’ pochi, che perseverando sulla strada del Paradiso senza fermarsi giunsero a possederlo sicuri, come FRANCESCO. Deh intagliati nella memoria queste parole, che il Pio Bernardo scrivendo ad uno, intese di scrivere a tutti, in una delle sue vaghissime Epistole, che per contener la Perfettione si ponno dir Circolari: Perseverantia est Unica Filia summi Regis, finis Virtutum earumque consummatio, totiusque Boni Repositorium, & Virtus sine qua nemo videbit Deum.

L’hai tu ben intesa? La Perseveranza è la Sorella della Beatitudine, perché ci svela la faccia di Dio. Ella ci fa correre la Cortina del Santuario: Ella tira la Portiera della Gratia: Ella ci scorge, Guida infallibile, sul cammin della Gloria.

Hor se tu vuoi, che il Signor ti esaudisca, procura di perseverar nel bene, c’hai cominciato. Non trattar con Dio alla sfuggita, ma di proposito: non l’adorare per necessità, ma per debito: non lo servire per timore, ma per affetto. Hoggi è per te, il Termine della Divotione de’ Tredici Venerdì; ma non sia il termine della tua Divotione. Hai promesso a Dio molto: deh mira, ch’Egli non può venir ingannato: Iddio ti ha promesso molto, deh considera, ch’Egli non può ingannare. Attendi la tua Promessa, se vuoi conseguir [434] la sua Gratia. Delectare in Domino, & dabit tibi petitiones cordis tui. Non ti stancare di amarlo: Saporeggialo nell’Eucaristia Augustissima: gustalo nell’Oratione fervente: Sentilo nella Sacra Scrittura; e nella Lettione Spirituale; che così potrai sperare di conseguire: quanto il tuo cuore dimanda con questi ardentissimi

AFFETTI AL CROCIFISSO

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Mio Dio! poiché la vostra Onnipotenza mi fe’ qualche cosa di Nulla,

senza chi vel chiedesse, la vostra Misericordia mi faccia Giusto di Peccatore, mentr’Io ve ne supplico. Ispiratemi a far sempre la vostra Santissima Volontà, perché il vostro premio è bensì dovuto alle buone Opere quando si fanno da noi; ma la vostra Gratia a noi non dovuta ha sempre da precedere, accioché possano da noi farsi. A questa Croce, Tribunale di Amore, presento la fiacchezza della mia Natura, che Io non mi scelsi, & al rigor delle vostre Leggi il vigore del vostro Sangue, che a me versaste. Ah Signore? La mia Volontà è la mia Colpa: il mio Diletto è il mio Delitto: il mio Intelletto è il mio Fiscale: la mia memoria è il mio Timore: la mia Coscienza è la mia Tortura, la mia Sinderesi è la mia Sveglia: dentro al mio Cuore sta il mio Processo, & il mio Spirito costernato è il Testimonio, [435] che senza risposta mi accusa. Voi che siete il Giudice, siete l’offeso; e se non ammettete per nullità di questo mio Processo, la mia Genidrice, che in peccati mi concepì, e la Vostra, senza peccato concetta, si fulminerà senza dubbio contra di me la Sentenza. Io so bene, mio amabilissimo Redentore, che se mi danno, debbo dar gloria alla vostra Giustitia; e se mi salvo alla vostra Misericordia; Ma so ancora, che, se ben’Io sono così protervo, che voglio perdermi; voi sete così Buono, che volete salvarmi. Per questo principalmente Io sto recitando: Facciasi la vostra Volontà, e non la mia. Ascoltate dunque i miei Prieghi, e non mirate i miei Falli. Datemi deh mio Divinissimo Ristoratore ciò, che mi conviene, e non ciò, che merito; poiché chi commette peccati, e pur chiede salvezza, non solo dimanda ciò, che non merita, ma presume d’impetrare ciò, che disprezza. Ah mio Generosissimo Dio Pietà! Pietà di me, che non l’hebbi mai; e perciò più la ricerco, quanto men m’è dovuta. Ma le vostre Misericordie sono sempre maggiori de’ miei mancamenti; e dove abbonda il difetto, suole sovrabbondare la Gratia. Voi tutto Benefico perseverate nel perdonare a me, che tanto ho perseverato in offendervi. Per me voi non voleste discendere dalla Croce; & Io ricuserò ancora di ascendervi per corvi Frutti di [436] Vita, come voi li coglieste di Morte. Oh bontà senza fine! E pur anche voi mi attendete col capo curvo per invitarmi, e colle braccia per ricevermi aperte; & Io quello fui, che tante volte vi diedi le spalle, e tante volte alzai la testa contra di voi? Ah mio Crocifisso Amore, deh spezzate questo mio cuor di sasso, hoggi, che si fransero alla vostra Passione le Pietre. Che se Pietra son’Io di scandalo, incontrandomi in voi Pietra di soccorso, non potrà essere, che non mi spezzi, per divenir intero colla vostra Gratia, e per perseverare in questa fino a giugnere, con una Morte felice, alla vostra Gloria.

SUPPLICA AL SANTO.

Così succeda, col vostro potentissimo aiuto, come ve ne fo

humilissima instanza, o mio riverito Avvocato. Questo è l’ultimo de’ Tredeci Venerdì a vostro honore della mia debolezza santificati; ma sia pur

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anche il primo di una Vita novella, che come nato di nuovo tutto Innocente, mi sacrifichi a Dio. Ottenetemi, prima di ogni altra Gratia, quella di salvar quest’Anima mia, ancorché ne succeda il naufragio di tutto il resto. Impetratemi una perfetta Perseveranza fino alla Morte, che sarà per me Vita, se giugnerò a morir, come voi, con Christo. Fate, che nell’avvenire s’habbiano sempre [437] da me negli occhi le spine del mio Gesù, per le lagrime sulle passate mie colpe, e per non più vedere gli Spettri di questo Mondo fallace. E che mi giova (pur troppo il so a mie spese) quando ben tutto il guadagnassi, per nello stesso tempo quest’Anima, che costò più del Mondo tutto al mio Dio? No no! Morirò a quell’infido Fellone, per vivere all’Autore della mia Fede. Deh fate, o mio caro FRANCESCO, che m’entrino profondamente nel Core i Chiodi del Crocifisso, accioché configgano col Santo Timor di Dio la mia Carne; che così non temerò l’estremo Giudicio; ma canterò in eterno le Misericordie del mio Signore. Dalla mia Morte so, che la mia Vita dipende, e che dipende la mia Morte dalla mia Vita. La sola Perseveranza può accordar questo contraposto; e voi mio gran Taumaturgo fate ancora, fra tanti altri questo Miracolo, ch’Io mi salvi, dopo di haver tante volte sprezzata, e derisa la mia salute. Operate per me ch’Io viva; ma che viva a Dio: ch’Io muora; ma che non muora al Cielo. Sia la mia Vita Morta, col morire del tutto al Mondo: Sia la mia Morte Vita con vivere del tutto a Dio. Vivendo a Dio, viverò anche a voi, o mio gran FRANCESCO, che sol a Dio, sempre, tutto viveste, & hora per sempre tutto vivete in Dio; E già, che vi ho scelto per Astro Polare [438] di questo mio periglioso viaggio, sfavillate colla vostra Carità così fulgida a questo mio cuore fra tante tenebre, che l’opprimono; poiché voi siete una di quelle Stelle, che sono monde nel cospetto di Dio, e risplendono in faccia del Sole Eterno; da cui vi supplico ad acquistarmi

quel lume, che senza pericolo in questo Mondo mi guidi,

e senza termine nel Paradiso mi

bei.

Il Fine della Seconda Parte.

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[439]

I FASTI DEL MIRACOLOSO

S. FRANCESCO DI PAULA,

CANTATI

SOPRA LE DI LUI GESTE

MARAVIGLIOSE

PARTE TERZA.

[440]

* * * * * * * * * * [441]

INTRODUTTIONE.

d eccomi ad ingolfarmi colla piccola Caravella del mio mal veliero Ingegno a discoprire una Florida. È questa la Vita del Prodigioso SAN FRANCESCO DI PAULA, la cui Santità Portentosa sempre nuovi Mostri produce di Maraviglie; appunto qual’Africa: e pur Io,

come un’India la scuopro, e non son Colombo. Con tante Miniere, che in sé contiene m’impoverisce, confondendomi con la Copia degli stupori, che mi opprimono l’Intelletto gelato, quando mi sollevano il cuore ardente. Quanto più m’inoltro, tanto più mi resta Paese da camminare, e prima stanco la lena, che da me si appaghi il disio. È questa la Terra incognita Australe, la cui vastità non ho delineata sol, che con punti. Bisognerebbe, che la mia Musa si somigliasse alla famosa Nave Vittoria, che diede la volta intorno al Mondo; ma non giugnerebbe a circoscrivere tutto quel Globo, che per non haver di terreno Nulla, è tutto Celeste. [442] Un Cielo carico di fulgide Stelle è la Vita Chiarissima di questo Heroico Santo. Errai; che non ha di Notte solo, che il fosco de’ miei Inchiostri. Pur la considero come Cielo notturno, poiché non vi posso fissar lo sguardo di mezo dì, che troppo abbaglia, se pur non saetta, questo mio Sole, a cui si addatta letteralmente: In Auge Minimus. Dall’ombra delle di lui Humiltà proruppero tante Stelle quanti Miracoli. Egli hebbe la Fede per Tramontana non mai tramontante. Direi la Carità se una Virtù così accesa si potesse simboleggiar con un’Orsa algente. Quanto più avvicinossi al suo Polo, tanto più fe’ sfolgorar le sue Glorie.

E

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Fu FRANCESCO una Palma, che si curvò co’ suoi frutti, per far di sé un Arco Trionfale a quelle Vittorie, che guadagnò con le punte, che lo trafissero. Egli è appunto un Albero così di Poma ferace, che non istesse mai braccio senza dar frutto. Non so discernere nel castissimo Stelo della di lui Vita, tanto più verde, quanto più secca, se fossero maggiori le Spine di una Penitenza continua; o pur le Rose di una Primavera continuata. A lui convenne tutta la Diffinitione Metaforica dell’Huomo: Arbor inversa, perché tenne sempre le sue radici nel Cielo fisse, come le cime de’ suoi pensieri humilissimi in terra, abbattuti dall’Humiltà. [443] Buon Dio, che non operò? Egli repilogò le Geste di un Mosè, di un Elia, di un Eliseo, di un Giosuè; & in un Secolo quasi, che visse, fe’ tanto, che soverchia a dar materia di Elogi per tutta l’Eternità. Io dunque gemo, perché nelle angustie di queste Pagine mi metto a descrivere ciò, che richiede la vastità delle Sfere per Fogli. Gli Astri del Fermamento, e non questi miei Caratteri di tanta Trepidatione, ponno abbozzare i Viaggi di un Pianeta, così benefico, e luminoso, che non fe’ mai movimento senza risplendere, o senza giovare. A me dunque intraviene come a Chi volle racchiudere un Mare dentro a fossicella ristretta. Merito perciò d’essere paragonato, non so se con vanto, a colui, che intagliò nel convesso di un Nocciolo tutta l’Illiade. Ma per essermi messo a cantar’i Fasti di questo grand’Ulisse di Santità non pretendo già d’esser riputato un Homero, benché Cieco mi sia. Il mio Intelletto, qui si confessa snervato, perché il peso è troppo eccessivo. Non principeggia, perché paga Tributi; e nelle sue genialissime Espressioni si professa più, che sublime divoto; & altretanto debole quanto ossequioso. Sopra tutto mi affida la riflessione, che al mio Santo piaccia così l’Humiltà; onde mi assicuro, che non la debba sdegnar nel mio Stile, il quale serpeggia sotto di un’Aquila, che tanto s’innalza. [444] Paragon della mia inchiesta sarà colui, che si mette a contar l’onde di un Mare all’hor, che le increspa un Zeffiro. Pur mi avvaloro vedendo, che in brieve Mappa si suol’effigiar tutto l’Emisfero. Ciò, che non esprimo, è molto più di quello, che scrivo; e ciò, che scrivo è men assai di quello, che penso. Nelle membrane del mio cuore stampo ciò, che non imprimo sulla superficie delle mie carte. Questo mio Tratto di Penna è uno sborso, che fa il mio debito. Se le Monete non son di peso, ho a far con un benignissimo Creditore, che tante volte ha condonate a me le mie leggierezze. Un Padre Amorevole suol compatir gli errori de’ Figli; Et il mio gran Santo, che così

sovente libera i Naufraghi, e tanto spesso fertilizza gli Sterili,

mi condurrà col suo Lume in Porto; e renderammi

co’ suoi influssi di Concetti fecondo.

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[445]

I. INVOCATIONE

AL SANTO.

Te, d’ogni Virtà Celeste Vaso, L’humile Musa mia Carmi tributi: L’Humiltà tua sublime ah non rifiuti, Che il Paradiso tuo mi sia Parnaso.

II.

Calavria Provincia del Santo.

Più d’Atene può alzar famoso il grido La Grecia Magna, e dir, ch’Ella è felice Più de l’Arabia, horché, bella Fenice Di Santità, Francesco in quella ha il Nido.

III.

Paula Patria del Santo.

Paula, di piccol Nome, al Ciel si spinge Col Minimo, che Grande in sen le nasce: Quindi ha per Padre il Figlio; e se le Fasce Gli diè, Questi di Gloria, hoggi, la cinge.

§ § § §

§ § § [446]

IV. Paula Opidum est cum Fonte

nobili .Bartius.

Hor, che Francesco in Paula al Cielo è nato, Ella non può temer, ch’unqua sia spenta: Rifiorita i suoi Frutti al Mondo ostenta, Poiché più nobil Fonte Iddio le ha dato.

A

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V.

Nasce da Genitori lungamente Sterili.

Steril fu pria lo Stel, (così convenne) Di cui Francesco uscì candido Giglio; Del Ciel, non de la Terra, Ei nacque Figlio, Perché la Gratia sol da Dio l’ottenne.

VI.

Nasce per Intercessione di S. Francesco d’Assisi.

Del Serafino Amante al chiaro Aspetto,

Conceputo Francesco, è tutto ardore; Foco il Sen, Foco l’Alma, e Foco il core: Qual fu la Stella sua tal’è il Concetto.

VII.

Ottenuto per Voto è perciò nemico della Carne.

Figlio di Spirto, e non di Sangue, e Carne,

Nacque Francesco ad illustrar la Terra: Co’ flagelli a la Carne ognor fa Guerra, E dal suo Corpo il Sangue ognor vuol trarne.

[447] VIII.

La Notte, in cui fu conceputo, fiammeg- giò il tetto della sua Casa.

Di Francesco la Casa è fatta Faro,

Perché di notte in riva al Mar risplende; E dà segno ad ognun, mentre s’accende, Che vien del Gran Signor’un gran Corsaro.

IX.

Al medesimo Assunto.

È del ridente Ciel vezzo, e non gioco, Che di fiamma celeste il tetto avvampi Di Francesco, e palesi in chiari lampi Un Concetto d’Ardor Lingua di Foco.

X.

197

Al medesimo Assunto.

Qual sarà mai l’ardor, c’havrà nel petto Il Celeste Donzel da Dio donato, Se conceputo a pena, ancor non nato, Mette subito a foco il Patrio Tetto?

XI. Al medesimo Assunto.

Il Ciel Francesco a’ primi segni honora,

Mentre a lui manda Fasce Orïentali, E di fulgidi lampi ai rai Vitali, Non che la Cuna, il Tetto ancor gl’indora.

[448]

XII. Al medesimo Assunto.

Oh come par, che a Dio Francesco importi!

Sì: Poiché nasce a dileguar la Peste De la Colpa, a l’ardor de le sue Ceste; Così convien, che seco il Foco porti.

XIII.

Al medesimo Assunto.

Per coronar de l’Humiltà Reina In Francesco le Glorie il Ciel fiammeggia: Arde il Tetto di lui, ma non fumeggia: Fumo non recò mai Fiamma Divina.

XIV.

Al medesimo Assunto.

Celeste Rogo, a coronarlo Infante, Incerchia di Francesco il Tetto illustre: Questo è Foco d’Amor, che forma industre Ne le Fiamme del Ciel di Dio l’Amante.

XV. Cantano gli Angioli alla di lui Nascita.

Nasce del Mondo il Redentor’in Terra,

Et a la Terra canta il Ciel la Pace: Francesco ancor’imbelle in Fasce giace,

198

Et a l’Inferno canta il Ciel la Guerra. [449]

XVI. Al medesimo Assunto.

Nasce Francesco a l’armonia del Canto,

Come Gesù, perché di Christo Imago; Ma co’ vagiti suoi, di patir vago, Stempra il core in sospir, la gioia in Pianto.

XVII.

Al medesimo Assunto.

De la Chiesa Francesco è dolce Riso, Che perciò nasce al Canto: A pena nato Può dirsi già, pria di morir, Beato, Perché già gode in Terra il Paradiso.

XVIII.

Al medesimo Assunto.

Canta il Ciel, ride il Suol, Francesco nasce Fra ‘l Canto, e ‘l Riso; e pur afflitto Ei s’ange: Vorrebbe adorar Dio, per questo piange, Che non si può curvar ristretto in Fasce.

XIX.

Il Divotissimo Fanciullo.

Pargoleggia Francesco, in picciol velo Di pura carne avvolto; e pur Gigante Al’altezza de l’Alma, ognor’amante, Tocca il Suolo col piè, co l’Alma il Cielo.

[450]

XX. Sue Virtù, essendo Bambino.

Stelo novello al Ciel, carco di fiori,

Sorge Francesco in seno a le sue Spine; Quindi avvien, ch’a le sue Doti Divine Sia punto il Vitio, e la Virtù s’infiori.

XXI.

Sua Pietà essendo Bambino.

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Porta, Bambin, la Croce. Eccol Divoto

Piegar’al Giogo del suo Christo il collo, Pregar non mai di meditar satollo: Esser dovea sì Pio, Figliuol d’un Voto.

XXII.

Ascolta volentieri la parola di Dio.

Sente Francesco il Divin Verbo espresso Da Lingua Sagra, e nel suo cor l’accoglie, Mentre si lega a Dio l’Affetto scioglie Per seguirlo, e pur l’ha ne l’Alma impresso.

XXIII.

Sua Serietà, essendo Fanciullo.

Non vuol Francesco scherzi: È già canuto, Per lo Senno Senile, in chioma bionda. Se su le labbra il Riso al Pazzo abbonda, Gran Saggio Egl’è, che nel suo Pianto, è Muto.

[451]

XXIV. Si ammala Bambino di apostèma

in un occhio.

A Francesco sì sozzo il Mondo parve, Che chiuse gli occhi a pena al Mondo uscito; Ma non sentì dolor, benché ferito, Perché godea di non mirar le Larve.

XXV.

Vien risanato per Intercessione di S. Francesco di Assisi.

Del Serafin Piagato il chiaro Merto

Ravviva del Bambino estinto il lume: A l’Effigie del suo Confitto Nume Volle Francesco haver sol l’Occio aperto.

XXVI.

Sua ritiratezza essendo Fanciullo.

Francesco al guardo altrui spesso s’invola, E Donzel si concentra in Cella angusta:

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Quivi solleva a Dio l’Anima Giusta; E quanto chiuso più, tanto più vola.

XXVII.

Sua Modestia, e Vigilanza.

Desto, e Modesto, il bel Fanciul, non dorme, Né vaneggia, perché negli occhi ha Dio: A cui non così tosto il core aprio, Che pronto ne seguì purpuree l’orme.

[452]

XXVIII. Sue Virtù nella Pueritia.

Non rode il dente suo, non ride il labbro:

Abbassa il capo; e pur’alto ha l’Ingegno: Spiegando, in poca Mole, un gran Disegno, D’ogni Virtù nel suo gran cor è Fabbro.

XXIX.

Fanciullo comincia ad attuarsi nell’ Astinenza.

Cresce Francesco; e pur liba sì raro

L’acqua nel Fonte, e l’herbe a l’Horto toglie; Ma fra queste maturo il Frutto coglie; Con quella corre ognor più puro, e chiaro.

XXX.

Si veggon più volte uscir raggi dal di lui volto.

Come il Sole, Francesco, i rai diffonde,

Perché l’Eterno Sol nasce in Francesco, Che fra gli ardori suoi sempre più fresco, Col suo Lume si scopre, e si nasconde.

XXXI.

Essendo di Dodici Anni gli apparisce S. Francesco di Assisi, ammonendolo, che

compia il Voto fatto da’ Genitori.

Interprete di Dio sagro, e facondo, Il Serafin d’Assisi a lui favella: Iddio con Cinque bocche a sé t’appella,

201

Perché del tutto Ei dia di calcio al Mondo. [453]

XXXII. Il di lui Nascimento porta la calma alla

Chiesa improcellata dallo Scisma.

Porta Francesco al Mondo accesa Face, Che de l’Hidra di Stige i Capi estingue; E purgando i vapor d’Erronee lingue, In bel Seren fa campeggiar la Pace.

XXXIII.

La Casa dove nacque fu consagrata in Chiesa.

Modeste Mura, il Peregrin co i Voti

V’inargenta, e co’ Prieghi ognor v’indora, Perché nel vostro Cinto, humile, adora Nato di Gratie un Fonte ai Cor Divoti.

XXXIV.

Ubbidisce humilissimo a’ suoi Genitori.

È Francesco un Agnello a Chi l’osserva Piegar il capo ad ubbidir sì retto; Ch’Ei, per esser Signor del proprio Affetto, Vuol, che la Volontà sempre sia Serva.

XXXV.

È chiamato Geremia del suo Secolo.

Piange Francesco, Geremia novello, De l’afflitta Sionne i torti, e langue, Perché non può smorzar nel proprio sangue L’impuro ardor di un Mondo a Dio rubello.

[454]

XXXVI. Vien condotto di dodici Anni da’ Genitori

alla Città di S. Marco in Calavria per adempimento del Voto.

Ritien Marco, in Francesco, il suo Lione,

Ma Lion, che non è fier, né giubbato: Lion, che, morto al Mondo, apre melato

202

La bocca al Cielo, e par quel di Sansone.

XXXVII. Riceve l’Habito Votivo de’ Minori, per

un Anno, restando in S. Marco.

Chiude ravvido Sacco un gran Tesoro Nel Divoto Donzello, al Ciel sagrato, Che mentre scioglie il Voto, a Dio legato, Fra le angustie di un Chiostro ha il suo ristoro.

XXXVIII.

Disciplina sovente il suo tenero Corpo.

Fermi, deh fermi il tuo braccio severo De le fulminee Sferze il fiero scoppio, Che non ben si conforma un flagel doppio A l’Innocenza tua, Semplice Austero.

XXXIX.

Sue grandi Astinenze, e Vigilie in S. Marco.

Sempre al caro Gesù svegliato pensa; Si ciba di sospir, lagrime beve; Quindi non saprei dir, se sia più lieve Il Sonno di Francesco, o pur la Mensa.

[455]

XL. È veduto più volte nel Convento di

S. Marco ad un tempo stesso in due Luoghi.

Replicato nel suo corporeo velo,

Più d’una volta, in due parti si trova; Ma del suo Santo Amor dà maggior prova, Havendo il Corpo in Terra, e l’Alma in Cielo.

XLI.

Porta nella Tonaca, senza abbruciarla, i carboni accesi per l’Incensiero.

Sono Francesco, e ‘l Foco Amici stretti:

L’un l’altro non offende, e non estingue: Han’ambi ardenti vampe, accese lingue, Francesco il Foco vince a i puri Affetti.

203

XLII.

Al medesimo Assunto.

Porta Francesco in grembo, in petto accende Il Foco: Nel suo cor ha il Timiama: Son Incenso i suoi Prieghi: Avvampa, & ama; E quindi senza fumo al Cielo ascende.

XLIII.

Al medesimo Assunto.

Miracolo d’Amor, il Foco impara Da Francesco l’ardor, che non istrugge: Lambe al Donzello il lembo, e nol distrugge, Mentre al suo sfavillar più lo rischiara.

[456]

XLIV. Si scorda in Estasi di cucinar il Cibo per

gli Religiosi di S. Marco.

Estatico da sé vola diviso, Francesco, a l’Etra, onde sua Carne sorda D’apprestar le Vivande hora si scorda, Ch’Ei pensa di pranzar nel Paradiso.

XLV.

Trova i Cibi cotti senza fuoco.

Cotto senz’alcun foco il cibo fuma; E la provida man pronto il riparte; A Francesco insegnò così bell’Arte L’Amor, che senza foco arde, e consuma.

XLV.

Compiuto l’Anno del Voto va peregrinando a Roma.

A Roma fu Romeo col piè veloce, Per venerar de la sua Fè la Reggia: Quivi a rubbar Tesori ognor corseggia, E per Bordone ha, Peregrin, la Croce.

XLVII.

Va Peregrino a Loreto.

204

A quel Camino, in cui l’Eterno Amore Lasciò del suo gran Foco alto vestigio, Francesco, al suo Signor sempre più Ligio, Riscaldandosi Amante, abbracciò il Core.

[457]

XLVIII. Passa ad Assisi.

Per adorar del Serafino Humano

Nel Corpo intero un Ciel tutto Stellato, Andò Francesco, e ritornò piagato Il Cor, se non il piè, se non la mano.

XLIX.

Va a veder’i Romiti di Monteluco presso Spoleti.

Si rinselva Francesco, e dove al verde

Colgon secchi Romiti il Frutto Eterno, Fioriti ancora di fredda Età nel Verno, Par, che si scordi. Il Mondo a fatto il perde.

L.

Si trasferisce a Monte Cassino.

Nel Monte, a cui diede la Cassia il Nome; Ma più salubre Benedetto il Vanto, Colse Francesco Mirra; e d’ogni Santo Virgulto, ch’ivi alligna, ornò le chiome.

LI.

Ritornato a Paula si ritira nel vicino Diserto in Età di Tredici Anni.

Come Cervo da più Strali ferito,

Cerca Francesco il Dittamo Celeste: Tornando al Patrio Suol ne le Foreste S’intorna di Romèo fatto Romito.

[458]

LII. Fa una Vita austerissima per sei Anni

nella Solitudine.

Solitario Beato, Amica Selva,

205

Ti rischiarò con l’ombre, e se nascose Dentro a suoi folti Spin tue caste Rose, Angelo fosti a l’Alma, al Corpo Belva.

LIII.

Dorme in angusta Grotta, cinta di Spine.

Spinoso Letto; o pur Tomba fiorita Fu di Francesco l’Antro, oscuro, e stretto: Quivi a l’Eco di un Sasso assodò il petto A morir sempre in macerar la Vita.

LIV.

S’immerge nel vicino Torrente gelato; e vi sta lungamente per soffocar

le Tentationi.

Ne l’onda il foco, e dentro al gel l’ardore Del Senso attuffa. Oppon di ghiaccio un Muro A l’osceno calor d’Amore impuro; Quindi sorge più acceso al puro Amore.

LV.

Apparisce sopra il di lui Romitaggio una gran Colonna di fuoco.

Colonna ignita a sostener la Chiesa

Francesco ha l’Humiltà per Piedistallo; Onde non teme d’infernal traballo, Ch’ogni mole più grande a lui non pesa.

[459]

LVI. Si flagella, e priega indefesso,

& Astinentissimo.

De’ Prieghi a l’armonia, Francesco, batte Co’ flagelli la Carne, e sì sottile La rende col Digiun, ch’Ella simile Al puro Spirto ogni suo fumo abbatte.

LVII.

Gli cantano gli Angioli nel Diserto frequentemente melodiosi.

Pietra di Paragon, Francesco sei,

206

Tronco di Penitenza; e pur rapisci, Mentre a l’amato Dio tutto ti unisci, Dal Ciel in Terra i più canori Orfei.

LVIII. Al medesimo Assunto.

Scendon Mussici Eterni i Pletri in mano,

Le Cetre in braccio, a consolar col Canto Francesco, che s’accorda a lor col Pianto; E di Basso, ch’Egli è divien Soprano.

LIX.

Al medesimo Assunto.

In que’ selvosi, e solitari horrori, Dove Francesco vive al Mondo morto, Purché respiri a Dio sempre risorto, Gli Cantan Melodie Celesti Amori.

[460]

LX. Al medesimo Assunto.

Antro felice a te far l’Eco tocca

De l’Empireo Sirena ai dolci canti. Tu non rispondi, & il Silentio vanti, Poiché Francesco in te chiuse la bocca.

LXI.

È infiorato da gli Angeli.

Ceda a Francesco de’ Rosai di Pesto L’Ostro vermiglio. Ei nel suo seno ha Rose, Perché colte nel Ciel, più rugiadose, Che fra le Spine sue fan dolce Innesto.

LXII.

Al medesimo Assunto.

Spargete a piene man Gigli soavi, O de l’Empireo Intelligenze amene Sopra il cor di Francesco. Ah ch’Egli sviene Poiché gustò del Paradiso i Favi.

LXIII.

207

Al medesimo Assunto.

Cingon le tempie al Giovinetto austero Con intreccio divin floridi Serti Per coronar del di lui Spirto i Merti, Ond’hanno i Fior più Casti eccelso Impero.

[461]

LXIV. Al medesimo Assunto.

Francesco è tutto Spine; e pur d’Odori,

Qual rugiadoso Stelo, esala un Nembo, Mentre gli colma il Ciel di Rose il grembo; Ché più fragranza han fra le Spine i Fiori.

LXV.

Gli disegnano gli Angioli la Forma del Capuccio.

Elmo di Tempra al Vitio adamantina;

Senza Cimier però, senza alcun Fasto, A rintuzzar ogn’infernal contrasto, Francesco ottien da l’Armeria Divina.

LXVI.

Al medesimo Assunto.

Di lana humil, Francesco, il capo vela, Elmo, che al Senso altero i fumi abbatte; De la Carne i fendenti ognor ribatte; Et è Celata più, quanto più cela.

LXVII.

L’Inferno il tenta con apparenze di Bellezze fantastiche.

Non è Bellezza Humana, ancorché vera,

Altro, che Sogno, e pur tanto risveglia; Ma Francesco ben desto ha cruda sveglia Da Bellezza Infernal Larva, e Chimera.

[462]

LXVIII. Al medesimo Assunto.

208

Itene, o Spettri, a tormentar l’Abisso, Ché la vostra Beltà, degna di foco Non è, che fumo, & ombra; e ne fa gioco Francesco, a cui sol bello è il Crocifisso.

LXIX.

Gli appariscon terribili in varie Figure i Demonij.

Sfingi di Morte a l’Epido Celeste

Fan cerchio intorno; & Ei Saggio, & Invitto, Col Segno sol del Nume suo Confitto Le fa da sé precipitar funeste.

LXX.

Al medesimo Assunto.

Benché sboccar da sotterranei Chiostri Vegga Francesco, a’ suoi danni rabbiosi, Tifei fumanti, e Cerberi spumosi; L’Innocenza non sa temer i Mostri.

LXXI.

È battuto, ma non abbattuto, dal Demonio.

Crudel Demon, che fai? Perché fremente

Percuoti di Francesco il Corpo esangue? Non già per te; per Dio sol Egli langue; E più Senso non ha, perciò non sente.

[463]

LXXII Al medesimo Assunto.

Falsetto fu nel Ciel, da Dio diviso,

L’Empio, che sconcertò l’alta Cappella: Hor, divenuto Basso, ancor ribella, Perché vuol dar Battuta in Paradiso.

LXXIII. Cavriolo, perseguitato da’ Cani, si salva

nella Grotta del Santo.

Palpitoso, sudante, afflitto, e snello, Tenero Cavriolo a l’Antro accorso

209

Fu da Francesco accolto, e non fu morso Da’ Cani, ché salvollo un Mite Agnello.

LXXIV.

Predica la Penitenza nel Diserto.

Chi sarà mai Francesco? Ah non t’inganni Mio Pensier, che l’adori. Ei nel Diserto La Penitenza predica, & è certo, Se non l’Agnel di Dio, che sia Giovanni.

LXXV.

Aduna Discepoli nel Romitaggio.

L’Innocenza ritorna, al Santo Amore Di Francesco, a sospirar dal Cielo in Terra: Deh qual havran, d’Averno i Lupi, Guerra Poiché l’Agnello al fin dovien Pastore!

[464]

LXXVI. Edifica una Chiesolina presso la sua

Grotticella.

Sorge d’angusta Chiesa angusta Mole Per man del Pio Francesco. Egli curvato A sostener’il Cielo, Arco Beato, La consagra col dorso al Divin Sole.

LXXVII.

Gli apparisce S. Francesco di Assisi, che gli disegna la Chiesa

più grande.

Per disegnar al Crocifisso Nume Più vasto Albergo, un Serafin, discende, Che con le Piaghe sue, mentre risplende Dà le Finestre al Tempio, al Santo il Lume.

LXXVIII.

Fa sorger la Chiesa più grande, e fa camminar visibilmente, con

segreto impulso, da loro stesse le Pietre.

210

A consagrar col Paradiso il Mondo Erge, nel Patrio Suol, Divoto un Tempio Mentr’edifica ognun col Santo Esempio, Dona ai Pensier, toglie a le Pietre il Pondo.

[465]

LXXIX. Al medesimo Assunto.

Con ammirabil moto ecco ogni Pietra,

Correr veloce a l’Armonia del Santo, Che, Divino Anfion, con vero Incanto, Fa de la Croce risuonar la Cetra.

LXXX.

Nelle angustie del Danaro, riceve gran somma dal Baron di Belmonte.

Accioché s’erga al Ciel con più decoro,

E più veloce a Dio la Mole sorga, La Providenza al Pio Francesco sgorga La Pietà da un Bel Monte un Fonte d’Oro.

LXXXI.

Arresta più volte le Pietre nel fervor del Corso, col solo Nome di Gesù.

Col nome di Gesù ristora i lassi,

E fabbricando a Dio, Colpe rovina: Ogni Parola sua, tutta Divina, O move i Cori, o fa fermar’i Sassi.

LXXXII.

Porta leggiermente più volte gravissime Pietre, che molti uniti haverebbero

appena mosse.

Ogni Pietra a Francesco è lieve resa Da quel Soave Amor, che lo conforta: Pesa assai più la Croce, & Ei la porta: Gran Pietra è Christo, e pur a lei non pesa.

[466]

LXXXIII. In dire: per Carità: rompe più volte le

Pietre durissime.

211

La Patienza, al dir comun, s’honora,

Ch’ogni Durezza al fin da lei sia franta; Ma sola sì gran Forza Ella non vanta: La Carità spezza le Pietre ancora.

LXXXIV.

Una gran Rocca movendosi al comando del Santo cede la piazza alla Fabbrica

del Monastero.

Scoscesa Rupe il Campo al Santo cede, Et al di lui comando il piè ritira, Egli in Dio tutto può; perciò s’ammira, Che i Monti camminar fa con la Fede.

LXXXV. Ferma in Paula, a mezo corso, una gran

Rocca cadente sovra un Molino, dicendo: Fermatevi

Sorella!

Cadente Sasso, e non ancor caduto, La sua gran Mole ancora ne l’aria arresta: Quivi il fisso Francesco, e quivi resta A minacciar le sue rovine a Piuto.

[467]

LXXXVI. Al medesimo Assunto.

Sopra Rocca cadente al Centro inferma

Lo stupor di due Secoli si fonda: La Virtù di Francesco, alta, e profonda, Ancor del Ciel la tien ne l’aria ferma.

LXXXVII.

Al medesimo Assunto.

Suora la Pietra il buon Francesco appella, Et Ella ubbidïente il corso incaglia. Fa colpo ognor de l’Humiltà la vaglia, Che una Pietra, che scenda, ha per Sorella.

LXXXVIII.

Risana un Barone Infermo, con fargli portar

212

una grossa Pietra, su cui segna col Bastone la Croce.

Egro tremante il suo vigor riprende,

Piegando il nobil dorso a un grave Sasso, Che non lo sfianca, e gli rassoda il passo: La Croce di Gesù leggiero il rende.

LXXXIX.

La Croce impressa da Francesco in quel Sasso hoggidì ancora si adora.

Di Francesco la Croce impressa dura

Nel sasso a intenerir l’Alme proterve: La scalda ai baci il Peregrin, che ferve; E benché Sasso sia non punto è dura.

[468]

XC. Fa portar sotto il braccio a Nicolò Picar-

do una Colonna di marmo, lunga dodici palmi, e grossa quanto può

abbracciar un huomo.

Di marmorea Colonna il peso alleggia Francesco al suo Divoto. Il Marmo grave Si rende al maneggiar piuma soave A Chi ver’ Dio con pura Fede alleggia.

XCI.

Entra illeso in una gran Fornaze di Calcina ardente.

Di fameliche fiamme, avido il Core

D’Incendio, sol può rintuzzar l’orgoglio: Scherza de l’atro Rogo entro al gorgoglio, Perché l’accende Iddio, Foco maggiore.

XCII.

Al medesimo Assunto.

Fiamma al Cor, fiamma a l’Alma, e fiamma al Petto, Intrepido Francesco hebbe ristoro, Fra le fulminee vampe; e come l’Oro Ne la Fornace Iddio provò l’Eletto.

213

XCIII. Al medesimo Assunto.

Dove Francesco dove? Io non presumo

Te rivocar, ma consigliarti: Edace Già ti divora, ohimè! l’atra Fornace. No, no; ché l’Humiltà non teme il Fumo.

[469]

XCIV. Al medesimo Assunto.

Non teme il Fumo no, non teme il Foco

L’Humiltà di Francesco; e non l’oscura Il Fumo: Al Foco Ei qui le fiamme fura, Mentre disprezza il fumo, e ne fa gioco.

XCV.

Al medesimo Assunto.

Di Pietre ignite passeggiò nel mezzo Lucifero Superbo, e fu scottato: Francesco a Pietre ignite in seno entrato, Per esser tutto Humil vi trova il rezzo.

XCVI.

Fa uscir risorto, il suo Agnello dalla Fornace, in cui haveano gittate l’ossa gli

Operai, che l’havean mangiato.

Pasto di fame vil, d’ignea potenza L’incenerito Agnel Francesco avviva: Non istupir; Ch’Egli risorger viva, Pria del Simbolo suo, fe’ l’Innocenza.

XCVII.

Risuscita un altro Agnello, che portava in groppa un incredulo intorno al

primo Agnello risuscitato.

Francesco è ben de l’Innocenza il core. Per esser nato ad avvivar gli Agnelli; E de’ Lupi Nemico, a Dio rubelli, De la Minima Greggia è il buon Pastore.

[470]

214

XCVIII. Cuoce senza fuoco le Fave per

gli Operai.

Su la cenere fredda agreste Fava Gorgoglia calda a satïar le voglie: Francesco con l’ardor, ch’in petto accoglie, Da le ceneri sempre il Foco cava.

XCIX.

Tura co’ piedi illesi trasfori di un Fornello avvampante.

Preme co’ nudi piè vampe frementi,

E ne rintuzza lo spiraglio ignito: Da l’Incendio non è punto ferito; Ché gli oppone del Cor le fiamme ardenti.

C.

Smorza colle piante nude una Siepe accesa, che serpeggiava

ad incender le biade vicine.

Serpe di Foco a divorar le Biade Si svincola fischiando in seno a l’herba; Ma da l’Humil Francesco è la Superba Calcata, e nel suo fumo estinta cade. [471]

CI. Maneggia senza lesione le Pietre infocate.

Francesco ne l’Amor tutto languisce,

E refrigerio sol nel Foco trova: Strigne le Pietre accese, e con tal prova Impassibile appar, perché patisce.

CII. Porta le braci nelle mani dalla Cucina

alla Cella. Deh come son fiorite, e pretïose

Di Francesco le mani! Eccole piene Ne i carbon di carbonchi; e tutte amene Le braci sono in lor purpuree Rose.

215

CIII.

Attuffa le mani nell’Olio bollente senza offenderle.

Ne l’Olio, che stridente intorno ferve

A Pesci, guizza illeso il puro tatto Di Francesco, che scherza ognor’intatto Ne l’ardor, perché acceso a Christo serve.

CIV.

Sommerge le mani senza danno in una Pentola d’acqua bollente.

Non teme il gorgogliar d’onda fervente,

Che le Spume rabbiosa intorno versa: La man ne cava di rugiada aspersa, Perché solo del Cielo il foco sente.

[472]

CV. Mette le mani sicure nel Ranno,

che ferve.

Di Francesco la man, che tutta è pura Bacia il Ranno mordente, e non l’offende; Beata man, che sempre a Dio si stende, Non mai col fumo il suo candor’oscura.

CVI.

Rende leggierissime più volte le Travi della Fabbrica, & i Legni pesanti, col Segno della

Santa Croce.

A portar di Gesì la Croce intera Francesco avvezzo, ogni altro peso ha lieve: Ogni altro Legno rende, ancorché greve, Con la Croce, ad altrui Salma leggiera.

CVII.

Sopporta patientemente le ingiurie di un tal Carbonello.

Ai Carbon non si abbruccia: Ognor li prende

Con mano al Mondo stupida, & algente:

216

Quindi non è stupor, se la sua Mente Di un Carbonello al foco hor non si accende.

[473]

CVIII. Gode, dopo gl’insulti patiti dal Carbonello

nel suo Camerino la melodia degli Angeli.

Gode Francesco a l’armonia Beata

Dopo l’haver sofferto oltraggio, e scorno, Sereno, come ha il Cor, di Notte il Giorno; Che gli Angioli a lui fan la Serenata.

CIX.

È assistito più volte miracolosamente dalla Providenza Divina, con provigioni

di Viveri, e di Danari per la Fabbrica.

Providenza Celeste è Vivandiera

A Chi solo di Dio l’Alma nutrisce: A Chi solo di Dio l’Alma arricchisce Providenza Celeste è Tesoriera.

CX.

Con la percossa del suo bastone fa sorgere dalla Pietra una perpetua

Fontana.

Asciutta Selce a scintillar sol atta Spruzza in provido gorgo onda d’argento; Francesco l’ha toccata; & al momento Col gran Foco di lui s’è liquefatta.

[474] CXI.

Al medesimo Assunto.

Questi è Mosè novello. Hor mira un poco Batte la Pietra, e vivo humor ne abbonda: Sposa Ciurma assettata il labbro a l’onda, Che gelida gorgoglia, e vien dal Foco.

CXII.

Al medesimo Assunto.

217

Arida Cote in flessüosi argenti Di Francesco a l’Ardor pronta si strugge, Ma se ‘l candido Rio garrulo fugge, Teme da sì gran Sole i rai cocenti.

CXIII.

Pullula sempre eguale la medesima Fontana; né se ne sa rintracciar l’origine.

Son di Francesco Fonte, e non isvelo,

Come il Nilo, l’origine. Hor avviso, Che derivando qui dal Paradiso, Sorge quest’onda in Terra e vien dal Cielo.

CXIV.

L’acqua di questa Fontana guarisce giornalmente gl’Infermi.

Fonte salubre ad ammorzar l’ardore

De le Febbri cocenti il Ciel mi versa; E da’ zampilli miei la sete aspersa Lascia nel refrigerio acceso il Core.

[475]

CXV. Risuscita una lunga filza di Pesci, con

gittarli nella Fontana.

Da man miracolosa il Fonte accoglie Lo sprigionato Armento, & il ravviva: Francesco con la Fè sempre più viva, Mentre gli Huomini pesca, i Pesci scioglie.

CXVI.

Risuscita la Tròtta Antoniella, che gli havea rubata, e cottasi un Prete

di Paula, per dispetto gittata in terra, e fatta

in pezzi.

Leccarda mano a l’Astinente invola, Delitia casta, una Tròtella amata; E benché cotta, e franta, Egli animata Fa, che riguizzi ad ischernir la Gola.

CXVII.

218

La medesima Trotta perseverò nella Fontana di Paula, finché il Santo visse

in Francia; & il giorno appunto della di lui Morte sparì,

né mai più si vide.

Finché Francesco vive il Fonte invita A vagheggiar la Tròtta (il caro Pegno) Sparisce questa a l’hor, ch’Ei more, in segno Che lo Spirto di lui le diè la Vita.

CXVIII.

Ravviva i Pesci morti col tocco.

Il tatto di Francesco al Pesce dona

Festivo il guizzo, e ‘l fa brillar rinato Ne l’Onda viva, al cui gorgoglio grato Da’ Muti ancor la Fama, al Santo suona.

[476]

CXIX. Fissando il bastone in terra fa scaturir’

un’altra Fontana, che ancor hoggidì si chiama l’acqua

del Santo.

Oh quanto può, benché di fragil velo Cinto spiri, Francesco il Fior de’ Giusti! Per dar provida l’onda ai labbri adusti Fissa il Bastone in Terra, e ‘l Core in Cielo.

CXX.

Risuscita un Fanciullo di cinque anni caduto dal tetto.

Miete tenero Fior la Morte in herba,

Che sol di un Lustro a pena il raggio gode: Il ripianta Francesco: Hor Chi è più Prode Un’Humil Parco, o pur Parca Superba?

[477]

CXXI. Risuscita un Giovine morto nella neve.

219

Pria sepolto Costui, che morto, giacque Dentro a Tomba nevosa interizato, Di Francesco al pregar fu ravvivato: Perì nel gelo, & a l’ardor rinacque.

CXXII.

Risuscita una Bambina soffocata nella Culla dal Demonio.

Da la Culla a la Tomba un piccol volo,

Da Spirto Rio, se questa Bimba uccisa: La rialma Francesco, e si ravvisa Da la Tomba a la Culla un cenno solo.

CXXIII.

Risuscita molti Morti, in tutto al numero di Venti, e più.

Francesco, al Mondo Morto, i Morti avviva,

E con la Vita sua Morte discaccia; Che mentre questa col suo Gelo agghiaccia, Arde quegli ognor più con Fede viva.

CXXIV.

Al medesimo Assunto.

Francesco, e Morte son sempre in contesa: L’una con Falce l’Huom di Vita priva: Con la Face d’Amor l’altro il ravviva: Ceda la Parca fredda a un’Alma accesa.

[478]

CXXV. È veduto da terra elevato, di sei cubiti, inginocchiato,

& estatico; col Corpo trasparente, radiante il viso; con

una Tiara fulgida elevata su ‘l capo.

De l’Unitrino Dio sembianza rara

Francesco esprime, imita il Padre oprando: Il Figlio a l’Humiltà. Lo Spirto amando; Degno dunqu’è de l’immortal Tïara.

CXXVI.

Vide in quell’Atto la SS. Trinità; per quan-

220

to si può vedere da un Semplice Viatore, secondo la Dottrina de’

Theologi, e principalmente del gran S. Tomaso d’Aquino, Principe

assoluto di tutti.

D’un Sol, in Tre distinto il cor gli bea

Una striscia fugace; e quasi absorto Da naufragio d’Amor, vicino al Porto, Vedea la Vita, e pur morir volea.

CXXVII.

Alluma la lampada estinta, in Chiesa, col fiato semplice.

Col fiato, che l’estingue il lume accende

Francesco, il di cui fiato è tutto Foco; Ond’è, ch’Ei si consuma a poco, a poco; E quanto avvampa più, tanto più splende.

[479]

CXXVIII. Accende col fiato puro i freddi Tizzoni.

Se ragiona, o se fiata, Egli scintilla

Colla bocca amorosa, e quind’infiamma I Tizzi al soffio suo, che tutto è fiamma; E la favella sua tutta è favilla.

CXXIX.

Accende un’altra volta la Lampa tocandola con le semplici dita.

Francesco al tratto i cor ne’ petti alluma,

E nel Tempio, col tatto, i lumi spenti: Ha non meno, che i Detti, i Diti ardenti: Al tocco accende: Al favellar consuma.

CXXX.

Accende anche la Lampada col fiato.

Mentr’ecclissata al Sol Divino inanti Lampada sagra in Chiesa inutil pende, Francesco al suo fiutar tosto l’accende,

221

Perché cova nel sen fiame avvampanti.

CXXXI. L’accende estinta, un’altra volta, col

Cordone.

Al cor, a i Detti, ai Fatti, a la Persona, A l’Habito, Francesco, è tutto Foco; E che sia ‘l ver tocca il Cordone un poco, Perché suol’abbrucciar, Torrida zona.

[480]

CXXXII. Al medesimo Assunto.

Del suo Cordone ignito il corpo avvinto,

Ha ne’ suoi lombi il Senso incenerato: Ha di cenere il volto ognor vergato; Non è stupor, perché dal Foco è cinto.

CXXXIII.

Con una candela accesa, che tien’in mano, mostrandola con un cenno

dalla lontana alle candele estinte dell’Altare

le alluma. A le fiaccole spente il lume stende

Con la face divota, e le raggiunge, Ne l’accenderle tosto, ancorché lunge, Perché lontano ancora il Sol accende.

CXXXIV.

Libera un Arciprete da un Canchero, che gli magnava

la faccia.

Francesco comparir sovente suole, Come il Diurno Lume, il Segno vario: Hor’in Pesci: Hor’in Libra: Hor’in Aquario: Questa volta apparisce in Cancro sole.

[481]

CXXXV. Sana in Paula innumerabili Infermi

d’ogni Sorte.

222

Vota Francesco gli Spedali, & empie

Le Chiese, e i Chiostri, Hipocrate Celeste De’ Serpenti Malor fiacca le Creste; E di Lauro immortal s’orna le tempie.

CXXXVI.

Prende il fuoco nelle mani alla presenza di un Cameriere

del Papa, di un Prete Oltramontano; e

molte altre volte.

Con intrepida man braci roventi

Maneggiò illeso il Serafino Humano; Maggior per tanto appar di quel Sovrano, Che non osò toccar Carboni ardenti.

CXXXVII.

Inverminisce la Carne, portata da’ Secolari, per disprezzo, nel

di lui Refettorio.

Imputridisce tosto Esca vieteta, Che al gran Voto apponea mano impudente: La rode il Verme, e non la prova il dente, Perché sal non havea, Chi l’ha apprestata.

[482]

CXXXVIII. Al medesimo Assunto.

Oh di profano Cor disegni infermi!

In van lo Spirto Esca mortal’invita, Perché mostra il confronto imputridita Ch’al fin non è la Carne altro, che Vermi.

CXXXIX.

Si ricovra a’ suoi piedi una Cerva, incalzata da’ Cacciatori.

Anhelante Cervetta; a cui d’intorno

S’aizzan Veltri, e son le reti tese, Sol in braccio a Francesco ama le prese, E d’un Humile al sen fugge dal Corno.

223

CXL.

Al medesimo Assunto.

Deponi, o Can seguace il caldo astio! Ferma il piè d’Atheon pazza Caterva! Ritorna a dietro, o non toccar la Cerva; Ché se non è di Cesare, è di Dio.

CXLI.

Fa snidar dalla Fabbrica del Convento di Paula quantità di Vespe.

De le Vespe moleste ecco lo Sciame

Volar altrove a sussurrar crudele; Francesco Ape del Ciel, che porta il Mele Non vuol di Fuchi appresso un Nido infame.

[483]

CXLII. Fa scelta di diece Compagni di

Religiosissima Vita.

Muove a l’Inferno armato orribil Guerra Preparando a le Colpe, e strage, e morte, Col suo Drappel, per la Virtù sì forte, Che in Ciel trionfa, e ancor campeggia in Terra.

CXLIII.

Prescrivere la Forma di vivere a’ suoi Discepoli.

A stabilir del Ciel l’Eterna Legge,

Santo Solon, promulga alti Rescritti, Che nel Saper di Dio mira descritti E mentre regge i suoi, gli altri corregge.

CXLIV.

Compone col dettame dello Spirito Santo le sue Regole.

La Regola, che a’ suoi Santa rimbomba,

Come candida, mite, alta, e sincera; Severa sì, ma dolce, e ancor più vera, Con la Penna scrivea de la Colomba.

224

[484] CXLV.

Iddio gli manda l’Arcangelo S. Michele collo Scudo della Carità, per insegna dell’Ordine istituito.

Da fulgido baglior Michel risplende

Con lo Scudo di un Sole, il cui riflesso, Francesco, ha già nel suo gran Cor impresso, Mentre la Carità tutto l’accende.

CXLVI.

Al medesimo Assunto.

Insegna insigne, d’ogni Gloria cinta, Col dito di Dio vivo impressa, porta Michel a lui, la Carità non morta; Ch’esser non dee la Carità depinta.

CXLVII.

Guarisce al Baron di Belmonte, con un’ Herba semplice, una Piaga incurabile.

Francesco in sé Virtù Celeste serba,

Onde sana le Piaghe impustolite, Che son da lui, scherzando, anche guarite; Mentre Semplice Egli è, più assai de l’Herbe.

CXLVIII.

Risana innumerabili Moribondi, & Agonizzanti.

La Morte al Capezzal Falcata attende,

Per mieter vite acerbe, egre, e spiranti: La discaccia Francesco a i Raggi Santi, Qual Ombra, che dal Sol lungi si rende.

[485]

CXLIX. Libera una Nave pericolante in proferir

dalla Riva tre volte Gesù.

Con Face furïal torbida Teti Fulmina al suo fiottar naufrago Pino: Francesco, del gran Nome alto, e Divino Fa, che con l’Olio effuso il Mar s’acheti.

225

CL.

Illumina molti Ciechi.

Sparge Francesco de le Gratie i Fiumi, E dà la luce altrui quando l’adombra: Fugge al di lui mirar dagli occhi l’ombra, E le Nottole al Sole aprono i lumi.

CLI.

Dona la Vista ad una Pargola.

Tenebrosa Fanciulla i lumi estinti Da la Culla dispiega al Sol’in vano; Ma Prometeo Divin, con facil mano, Gli accende, e fa brillar chiari, e distinti.

CLII.

Guarisce innumerabili Zoppi, Cionchi, e Storpi.

Francesco a la Rettezza ha tanto affetto,

Che ne l’anima altrui, non sol ha cura D’indurla; ma ne’ Corpi ancor procura Di porla, accioché ognun cammini retto.

[486]

CLIII. Riparte l’udito a più sordi, e la parola

a più Muti.

Un huom, che non ha senso il sentimento Dona a l’orecchia, & a la lingua il moto: Sentano il di lui grido al Mondo noto I Sordi; e dargl’i Muti i loro accenti.

CLIV.

Col Nome di Gesù fa parlare singolarmente un Muto.

A lingua avviluppata il nodo acerbo,

Col proferir Gesù, Francesco scioglie. Come non parlerà Muto, che accoglie In bocca il Nome bel, che ancor’è Verbo.

CLV.

226

Feconda il Mare, prima sterile di Pesci.

Colma co’ Prieghi suoi vuote le Reti; Indi a l’Onda infeconda il Ciel in grembo Piove di Pesci copïoso un nembo; Quindi poi sempre appar gravida Teti.

CLVI.

Monda molti Lebrosi.

De la Lebra, che immonda imputridisce, Francesco, Mondezza Esempio raro, Sgombra l’acre prurìto, il puzzo amaro; E piagato per Dio Piaghe guarisce.

[487]

CLVII. Sana del flusso di Sangue D. Polissena

di Aragona, Marchesa di Geraci, con molte altre Femmine,

in diversi tempi.

Imagine di Christo oh qual si cole,

Francesco, ad ogni passo, ad ogni Gesta! Scaccia il flusso letal; che i Corpi infesta, Come la nebbia a l’hor, che spunta il Sole.

CLVIII.

Fa Cento Miracoli in men di tre Giorni; e quanti Malati tocca

tutti risana. Miracoli a Miracoli, Francesco.

Aggiunge ognor più novi; e come i Corbi Al balenar del Sol, fuggono i Morbi A l’ardor di un oprar, sempre più fresco.

CLIX.

Va in Paterno, e vi opera inesplicabili Maraviglie.

Paterno al Santo Padre hor si fa Figlio,

Et a lui tutto humile il Capo abbassa; Mentre a quel lieto Clina il Santo passa Sollevando ogni Cor, curva ogni Ciglio.

227

[488]

CLX. Fa, che si appiani un Colle, per fondar

ivi il suo Monastero. Si sepellisce un Monte al dolce impero

Di Francesco, e su ‘l piano il Capo abbatte;, Iddio, che co’ Superbi ognor combatte, Suol con l’Humil sempre abbassar l’Altero.

CLXI.

Predica con molto frutto degli Ascoltanti.

Francesco in bocca ha sol vampe d’ardore,

E son fulmini sagri i suoi Concetti: Movendo i labbri suoi muove gli Affetti: Incenerando il Vitio arde ogni Core.

CLXII.

Trattien col comando a mez’aria le Mura cadenti, che ancora

hoggidì si ammirano in Paterno piombanti.

De l’Edificio a rovinar curvato

Ferma ne l’aria il peso, e lo sostenta Senza timor sospeso: Oh come ostenta, Che per edificar Egli sia nato.

[489]

CLXIII. Fe’ sostener al Demonio l’architrave

della Porta della Chiesa di Pa erno all’hor, che si

metteva in opera.

Colui, che nato a le rovine in Cielo Odia, Superbo, ancor’il Cielo in Terra, La Porta, con cui sagro un Ciel si serra Sostien, del Ciel ne l’ubbidir’al zelo.

CLXIV.

Fa trovar cotta senza Fuoco una

228

Fornace di Calcina.

Francesco di stupor’oggetto fassi Sempre più degno; e pur qui non l’ammiro, Se cuor senza foco i Sassi il miro; Ch’Ei cuoce i Cor più crudi assai de’ Sassi.

CLXV.

Fa sorgere all’istante Sette Alberi di Castagni, con Sette frutti della loro

specie, affin di placar’uno sdegnato contra di lui, per havergli tolto il Santo un Albero della medesima

qualità, per la Fabbrica della

sua Chiesa.

Francesco hor fa miracolosa Usura: Per una Pianta altrui Sette ne rende; Quindi lo Sdegno ancor, divoto, apprende A stupir come pur fa la Natura.

[490]

CLXVI. Comanda ad un gran Fuoco, che si estingua,

& è subbito ubbidito.

Tutto il Nilo a smorzar sarebbe poco La Carità, con cui Francesco ferve; Et Ei di questa assai spesso si serve Ad avvivar, ad ammorzar il Fuoco.

CLXVII.

Dirizza sovente le Travi storte, e ne fa comparir dalla sera alla mattina,

diciotto, ch’erano rozze, lavorate per la Fabbrica della

Chiesa.

Sempre curvo a la Croce i Legni storti Dirizza, il Pio Francesco, e li pulisce, Ad un retto di cor tutto ubbidisce; E par, ch’Ei ne le mani il Mondo porti.

229

CLXVIII. Divide ad un fendente del suo bastone

col suo comando, un grand’Albero, e compone la rissa di due

Fratelli arrabbiati.

Annosa Pianta i due Germani irrita A tenzonar sul suo possesso atroci; Francesco in due la fende a le sue voci: Unì divisa, se divise unita.

[491]

CLXIX. Moltiplica moltissime volte il Pane,

& il Vino, con altre cose comestibili.

Francesco ad esaltar la Providenza

Del suo gran Nume, Vivandier Divino, Amplificando i Pan, co’ Cibi, e ‘l Vino, In manica del Cielo ha la Dispensa.

CLXX.

Forma collo dito ammollato nel proprio sputo la faccia ad un Bambino, nato

senz’occhi, senza bocca, e senza naso mostruosissimo.

A stupir qui, Natura, Egli t’invita,

Informe volto a disegnar s’accinge: Ad Imagine sua, qual Dio, lo pinge; Sputo è ‘l color, e son Pennel le dita.

CLXXI.

Fa entrar’illeso in una Fornace accesa di Calcina, che rovinava un Semplice

Religioso, chiamato Santolino, a pontellarla col

suo bastone.

Ubbidïenza fida, e che non puoi? T’ubbidisce Natura, e ‘l Foco gela A la Virtù, che al tuo fervor si svela; E mirabil è Iddio ne’ Servi suoi.

[492]

230

CLXXII. Entra in una Fornace di Calcina ardente,

co’ suoi Religiosi, a votarla tutta senza lesione.

Da la luce Lucifero nel foco;

Co’ Suoi precipitò, perché gelato. Co’ Suoi Francesco, ardendo, eccol entrato Ne l’accesa Fornace a farne gioco.

CLXXIII.

Converte molti Peccatori con iscoprir ad essi le loro Colpe segrete.

A penetrar’i Cor, Francesco, giunge

Col Divin Lume, e con la lingua fere Le Coscienze, che son dal Vitio nere; Ma Cirugico Egli è, che sana, e punge.

CLXXIV.

Gli presenta un Contadino un Canestro di Prugne; & Egli separando le rubate da quello, accetta solo

le colte dall’Esibitore di Esse nel proprio

Giardino.

Francesco il Dono agreste a pena fiuta, Che con mano occulata a l’or, che ride Il rubato dal proprio Egli divide, E perché Furti i Frutti aspro rifiuta.

[493]

CLXXV. Apparisce di notte, cinto di luce, ad un

Infermo grave, & il risana.

Fulgido ancor ne la mortal sua Mole Spiccò Francesco in mezo a l’ombre a un Egro; Che abbagliato restò, non men di allegro, Poiché Fedel vide, di notte, il Sole.

CLXXVI.

Fa nascer miracolosamente le Fragole.

Se col suo piè, Francesco humile infiora,

231

Fra le Spine, di Gigli il colle, e ‘l Piano: Con la fiorita sua celibe mano Fa spuntar fra le Spine i Frutti ancora.

CLXXVII.

Libera un Gentilhuomo Cosentino, che già si affogava in un Fiume,

cresciuto per le Pioggie.

Torbida Morte in seno a l’onda irata Già con fauci spumose altrui divora: Innocente Francesco ecco il rincuora, E lo scorge a calcar la riva amata.

CLXXVIII.

Libera moltissimi Indemoniati.

Da gl’invasati corpi, afflitti, ed egri Scaccia, in pregar, le Legïoni atroci: Maraviglia non è: Fuggir veloci Sogliono in faccia al Sole i Gufi negri.

[494]

CLXXIX. Al medesimo Assunto.

Questi è Michel novello. In van contrasta

Il di lui sagro brio Turba ostinata Di ribellanti Spirti: È trïonfata Da Chi Scudo ha di Fede, Iddio per Hasta.

CLXXX.

Cuopre humilissimo tanti suoi Miracoli, attribuendoli alla virtù naturale,

& alla Gratia Divina solamente.

Qual hor si cela più, come il Profumo,

Più di Francesco olezza il Merto humile: Vale più assai quando si fa più vile; E tutto Foco Egli è, ma non ha Fumo.

CLXXXI.

Convince colla dolcezza della Patien- za, e col prender’a nude mani

le braci di un Predicatore,

232

che publicamente calunnioso il biasimava.

Qual ripercossa Cote Egli scintilla

D’una lingua d’acciaro a le percosse: È fra le ingiurie Scoglio, e non ha scosse: Non s’accende, & il Foco in lui sfavilla.

[495]

CLXXXII. Fa pullulare miracolosamente in Paterno

due Vene di acqua viva.

Francesco Agnel dovunque pianta il passo Fa sorger d’acqua un’ammirabil vena; E mentr’Ei col bastone il Sasso svena, Con lo stupor par, Chi lo mira, il Sasso.

CLXXXIII.

Fa mutar fino con le preghiere ad una grandissima Pietra.

Cede a Francesco il Campo un Sasso, e fuori

Del suo Centro s’apparta. Ah, ch’a l’impero Del Comando Divin (pur troppo è vero.) Son cori i Sassi, e sono Sassi i Cori.

CLXXXIV.

Svanisce alle preghiere del Santo una delle due vene d’acqua,

perché discordi per usurparsela si battevano i

Paesani di Paterno.

Oh qual de l’Interesse arde la Forza? Con l’acqua il Foco accende Un fiero sdegno In quel Popolo Ingrato il rende Indegno; Perciò l’acqua si Secca, e l’Ira smorza.

[496]

CLXXXV. Nol bagna punto, a Ciel aperto, un

Diluvio d’acqua.

233

Da le gravide nubi al suol disgorga Fremente Pioggia, e non ammolla il Santo È de la Carità fulgido vanto, Che asciutta, come il Sol, da l’acque sorga.

CLXXXVI.

Fa, che si riduca una grand’acqua, che allagava la strada dinanzi

al suo Convento in una piccola buca.

A sì gran copia d’acqua il Vaso è poco

Di fossicella angusta; e pur’accolta Da così piccol sen, restò sepolta. Se non secolla di Francesco il Foco.

CLXXXVII.

Col semplice tatto delle mani libera due Pazzi; e sana molti altri

Frenetici in diversi tempi.

Francesco, più d’Astolfo al Ciel ascende;

Ond’è, che ne ritrahe de’ Pazzi il Senno: Ad un tocco, ad un’aura, & ad un cenno, Mentre rapisce il Core, il Senso rende.

[497]

CLXXXVIII. Al medesimo Assunto.

De’ Forsennati a le catene i nodi

Francesco scioglie, e de la Mente i lacci: Mentre il pazzo furor avvien, che scacci, Fie, che sciogliendo i Corpi i Cori annodi.

CLXXXIX.

Trasmuta un tronco di Pino in una Candela di Cera bianca,

colla quale felicita un Parto

pericoloso.

Di Francesco ognor più la Fama avvera, Che sia del Paradiso un’Ape illustre: Col moto sol de la sua bocca industre

234

Ne’ Tronchi ancor sa fabbricar la Cera.

CXC. Feconda moltissime Donne sterili colla

sua Intercessione.

Francesco, come il Sol d’Influssi abbonda, E degli uteri adusti infiora il grembo: Sparge di Frutti, a Chi ne ‘l priega, un nembo; E per esser sì Casto altrui feconda.

[498]

CXCI. Se ne va a fondar’un Convento nella

Terra di Spezzano, e vi opera, come in Paula, & in

Paterno molte maraviglie.

A Spezzano s’inoltra, e con le Pietre

Spezza le Colpe in fabbricar’un Tempio: Mentr’edifica ognun col proprio Esempio Dona l’Anima ai Sassi, e i Cori spetra.

CXCII.

Sottomette mansueti al giogo i Giovenchi indomiti.

D’alta Trave a tirar ben grave peso,

De’ Giovenchi feroci al giogo uniti: Accozza il colli dolcemente uniti: Ad un Agnello i Tori ossequio han reso.

CXCIII.

Sana la gamba di un Giovenco spezzata.

Suoi Doni ripartir Francesco suole

A Bruti ancor; e mentre il moto rende A l’inutil Torello, in Terra splende Più, che nel Ciel, entrato in Toro il Sole.

[499]

CXIV. Fa sorgere improvisamente nella Terra

di Spezzano una Vena d’acqua

235

freddissima.

Ad ammorzar il Foco a l’arse lingue Sorge di freddo umor Urna feconda, Che su l’arida sete ognor ridonda E di Sirio l’ardor col gelo estingue.

CXCV.

Ristora con un pezzolino di pan duro tre Moribondi per la fame.

Degli arrotati denti ecco le brame

Da Francesco partir liete, e satolle: Il duro Pan, cui fa la Gratia molle, Nutre la Fama a lui con l’altrui Fame.

CXCVI.

Passa a Corigliano; e nel fondarvi un Convento Opera al suo solito

Prodigij.

A catenar’in Corigliano i Cori Al suo Nume, Francesco, il passo spinge, Ma per tutto ov’Ei va stupor’il cinge, E fan catena a lui divoti Amori.

[500]

CXCVII. Conduce colla sola striscia del suo

bastone per lo spatio di una lega un Ruscello al suo

Convento di Paterno.

L’Acqua seguita il Foco. Un Rivoletto

Senza rive sen va dietro a Francesco, Che con ragion rapisce Umor sì fresco, Mentre cova sì grande ardor’in petto.

CXCVIII.

Al medesimo Assunto.

Ruscelletto, non più schivo, e fugace Mormorando ten vai di sterpo in sasso, Ma con tacito piè, con lieve passo D’Un, più Puro di te, ti fai seguace.

236

CXCIX.

Guarisce dell’Appoplesia il Conte di Chiaramonte, Figlio del

Principe di Bisignano.

Appopletico un Corpo, a patir l’onte

De la Morte vicin, sozza stravolge La faccia oscura: Et ecco a lui si volge Francesco, e come Sol rischiara un Monte.

[501]

CC. Libera un Tale da una gran Passione di Amore; poiché in toccargli lievemente

un’Orecchia ne fa uscire uno Schifo Verme.

Oh quanto son d’Amor le Voglie inferme!

Ama il suo peggio l’Huom: l’Affetto è vile, Che non servendo a Dio tutto è servile; Non sendo Amor Profano altro, che Verme.

CCI.

Al medesimo Assunto.

Ah, sì; può ben chiamarsi un Verme Amore, Quel, che nato dal lezzo imputridisce, Quel, che ne l’Alma serpe, e la marcisce; Che rode la Coscienza, e mangia il Core.

CCII.

Al medesimo Assunto.

Costui, che cova in cor fetida feccia Col Verme si può dir, che guasto sia: Francesco il sana: Amor se ne va via; Per gli occhi entrato uscì per un’orecchia.

CCIII.

Al medesimo Assunto.

De le Virtù fiorite ogni radice Rode Profan Amor Verme nefasto: A l’opposto l’Amor de l’Alma Casto

237

Vola, d’ogni Virtù Bella Fenice. [502]

CCIV. Passa con due Compagni sopra il suo

Mantello il Faro di Messina.

De’ latranti Mastin, Cariddi, e Scilla, Varca, con due Seguaci il Mar’ingordo: Lo sdrucito Mantel gli forma il bordo Stella Polare in Ciel Dio gli Sfavilla.

CCV.

Al medesimo Assunto.

Del Mar, che gorgogliando ognor spumeggia Calca il dorso Superbo, e non si affonda; Ma gli si abbatte a piè placida l’onda: Non è leggier, Francesco, e pur galleggia.

CCVI.

Al medesimo Assunto.

Francesco in Dio tutto d’Amor acceso, Non sommerge il suo Foco in Mar profondo; Per esser Basso non discende al fondo: Galleggia, e pur è di così gran Peso.

CCVII.

Al medesimo Assunto.

Nettuno Sagro è questi: Ecco repente A lui si prostra mite il Mar’ondoso; E gli forman su i flutti imperïoso Fede, Speranza, e Carità il Tridente.

[503]

CCVIII. Al medesimo Assunto.

Non è vano Francesco; e pur non greve

Va sopra il Mar, senza piombar’al fondo: Ei suole sotto i Piè tener il Mondo; Ché l’Astinenza sua l’ha fatto lieve.

CCIX.

238

Il Faro di Messina prima perigliosissimo, dopo il passaggio del

Santo navigabile anche da’ piccoli

Burchielli.

Passa Francesco, e de’ due Can frementi, Scilla, e Cariddi il morso fier rintuzza. Ché, non più torvo a divorar si aguzza: Un Parco al suo Digiun li fe’ Astinenti.

CCX.

Risuscita a pena giunto in Sicilia un Impiccato di tre giorni.

Da la funerea fune oh qual invita

Spettacolo funesto il Passaggiero! Francesco di Pietà Ministro vero Scioglie il Pendente, e lega a lui la Vita.

[504]

CCXI. Benedice in passando dalla lontana

da parte di Dio la Città di Messina.

Al movimento di così grand’Astro,

Che benedetti influssi al Mondo versa, Da le Gratie di Dio Messina aspersa Si stabilisce ognor contra il disastro.

CCXII.

Nella Fabbrica del Convento di Milazzo, Egli solo affetta sovra la Porta della

Chiesa due così grosse Pietre, che venti Huomini non le

potevano movere.

Ne le mani, Francesco, ecco, che tiene, Quai piume, i Sassi, onde leggier sen vola Per le bocche de’ Popoli: La sola Carità tutto può, tutto sostiene.

CCXIII.

Dalle due Pietre sudette non si è mai potuto torre una Scheggia.

239

Stupita ognor fa rimaner Natura,

Che ossequïosa ognor pronta li serve; E col suo Santo ardor, che ognor più ferve, Intenerisce i Cori, e i Sassi indura.

[505]

CCXIV. Dimestica i Tori indomiti, & attaccando al collo di uno di essi una lettera diretta al Superiore di Paterno, comanda loro, che vadano a rassegnarseli, in servigio

di quel Monastero: Quindi essi ubbidienti traghettano di Sicilia in Calavria,

passando a nuoto un tratto di Mare di quaranta miglia, e camminandone

cento, e venti in circa per terra, giungono a Paterno, e si consegnano

ubbidienti a quel Correttore.

Degli spumosi Tori, Agnello dolce, Piega Francesco i colli, e riverenti Li rende al suo comando ubbidïenti: L’innocenza il Furor placida molce.

CCXV.

Tramuta l’acqua salsa del Mare in dolcissima.

Se passa il Mar l’onda ne frena amara,

E di Lion fa divenirlo Agnello: Se ne la Terra sta l’humor di quello Dal di lui Spirto la Dolcezza impara.

CCXVI.

Ritorna in Paterno, dove fa, in un sol giorno; Trecento Miracoli.

Francesco, com’il Sol, di più rai splende,

Benché Minimo più ne l’Auge; e spande Fulgide meraviglie, ognor più Grande; E quanto s’alza più, tanto più accende.

[506]

CCXVII. Predice fra le altre sue innumerabili

240

Profetie, la Libertà della Republica Serenissima

di Genova.

A la Regia Città, che Italia honora, E difende, fregiata ognor di Gloria. La Libertà predice, ond’ha Vittoria La Valorosa de’ Nemici ognora.

CCXVIII.

Si rende più volte invisibile in Italia; & in Francia.

Benché calchi la Terra humile il piede

Di Francesco, il suo cor gli Astri sorvòla Ma se talor sua Salma agli occhi invòla, È perché tutto è Spirto, e non si vede.

CCXIX.

Predice l’invasione de’ Turchi sopra di Otranto. Prega il Signore per

la Libertà del medesimo, e l’ottiene.

Doloroso Francesco, ahi qual, sospira

La caduta d’Idrunto in bocca a i Cani: Indi co’ prieghi suoi scaccia i Profani, E ‘l Mastino a l’Agnel ceder si mira.

[507]

CCXX. Riparte Candele benedette a’ Soldati

del Conte di Arena; e restano tutti preservati nella guerra

di Otranto.

A rintuzzar degli Ottomani Orgogli In Idrunto trafitto i Ferri alati Dal fido Arena i Pij Guerrier guidati Arma di fragil Cera, e li fa Scogli.

CCXXI.

Ricusò con disprezzo la Candela un Soldato, e solo rimane ucciso.

Pazzo dileggiator de l’Alto Nume,

241

Il Pio Don disprezza, un empio Sgherro, La Candela rifiuta, e stringe il Ferro; Non è stupor, se poi li manca il lume.

CCXXII.

Invitato dal Re Luigi XI, sta perplesso di andar in Francia: né si muove

senza il comando del gran Pontefice Sisto IV.

Parti, Francesco, parti. Al gran Luigi

Con l’aura del tuo Spirto il cor serena: Al sen ti strignerà veduto a pena, Perché porti nel cor la Fiordiligi.

[508]

CCXXIII. Lascia, al partir di Paula per Francia

alla Sorella un Dente mascellare in ricordo.

Che fai Francesco? Ah contro a te inclemente

Oltraggioso a Natura or ti smascelli: Hai ragion; di tua bocca i Denti svelli, Che non servono a te Santo Astinente.

CCXXIV.

Benedice, al suo partir, la Calavria sopra di un Monte vicino a Castrovillare,

fermato sul pian di una Pietra, nella quale lascia perpetue

le sue vestigia.

De l’afflitta Calavria al partir fuori Mitiga il duol, col benedirla al Cielo. A cui sempre s’inalza in mortal velo; Lasciando l’orme ai Sassi, il moto ai Cori.

CCXXV.

Fa restituire dal proprio Asinello i ferri al Maniscalco, che ne pretendea

il pagamento.

La negra man d’un Mercenario vile Schernendo l’Asinel pronto si sferra; E con ragion di calci arma la Guerra

242

Contra l’Avaro a un Asinon simile. [509]

CCXXVI. Lascia in una Casa dove fu alloggiato

andando verso Napoli il suo Ritratto da lui delineato

col carbone nel Muro.

Fu ben de l’Humiltà scherzo, e non gioco

L’esprimer con l’oscuro un, che sì chiaro Al Mondo splende: al Cielo, a Dio sì caro, E pinger col Carbone un Huom di Foco.

CCXXVII.

Al medesimo Assunto.

Francesco col Carbon sé stesso pinge; E con Carbon’estinto, ancor’accende: Fra l’ombre di un Carbon fulgido splende; E col Carbon opaco un lume finge.

CCXXVIII.

In Salerno, e nella Cava feconda di continua Posterità le Famiglie delle

Case dove fu alloggiato, per altro prima infelici, e

sterili, nelle Geniture.

Grato Francesco di perpetua Prole,

A due Stirpi cadenti il nodo sciolto, Arricchisce le Case, ove fu accolto: Suol fecondar dovunque arriva il Sole.

[510]

CCXXIX. Da Ferdinando, Re di Napoli, è veduto ad

una melodia Celeste, risplender di notte alto dal suolo sei cubiti, in atto di estatico, e contemplativo:

Il che soleva frequentemente in tutta la sua Vita accader

243

al Santo.

Vola Francesco, vola al Ciel rapito, Ché non può trattenerlo il Corpo in Terra; A lo Spirto fa in altri il Corpo Guerra; Al Corpo l’Alma in lui fa dolce invito.

CCXXX.

A la presenza del Re in Napoli spezza una Moneta d’oro, e fa

stillarne il sangue.

De l’atonito Rege al Concistorio La spezzata Moneta il Sangue abbonda La sprezzata Moneta il Sangue gronda: Il Sangue al Mondo altro non è che l’Oro.

CCXXXI.

Al medesimo Assunto.

Ecco l’Oro de’ Cor fatto assassino Spander punito i sanguinosi humori; Perché succhiò le vene a tanti cori Rende il Sangue rubato il Ladro fino.

[511]

CCXXXII. Al medesimo Assunto.

Dove l’Huom ha il Tesoro ivi il Cor serra:

Dov’è il Cor, ivi il Sangue ha la sorgente; Hor se qui versa l’or sangue cadente, È perché chiude il coro, che a Dio fa guerra.

CCXXXIII.

Risuscita in Napoli una quantità di Pesci cotti.

Con l’argentea sua scaglia, abbrustolato

Torna a guizzar’il Pesce, in seno a l’acque, E se da l’onde pria del Mar ei nacque, Hor dal Foco del Ciel brilla rinato.

CCXXXIV.

In Napoli prende colle mani il fuoco, che si era acceso nella di lui

244

Stanza; e ‘l gitta dalla finestra.

Serpe l’incendio al gran Francesco intorno;

Et Ei, del Foco al par, tutto si accende: Con man sicura a sterminarlo il prende, Simile al Sol, quando sfavilla il Giorno.

[512]

CCXXXVI. Andando a Roma cammina sul

Mare vicino ad Hostia.

Sopra l’onde, col piè fermo passeggia,

Francesco, e lo stupor desta ne l’onde, Che s’inchinano a lui miti, e profonde, Mentr’Ei le calca sì, ma non le spreggia.

CCXXXVII.

Il Pontefice Sisto IV. vuol’ordinarlo di sua mano Sacerdote; &

Egli per Humiltà il ricusa.

Come se fosse un Huom Francesco impuro

Il carattere sagro humil ricusa, Ma l’Humiltà di lui non dà la scusa, Ch’Ei non ne sia capace, Angelo puro.

[513]

CCXXXVII. Un Rosario dato in Roma al Maresciallo di Brandicourt, caduto per inavertenza nel

fuoco, vi sta, tutta la notte, illeso.

Del vorace Elemento ossequiose

Son le zanne a Francesco; & Egli solo Fa, con l’aura del cor suo ruggiadoso, Star ne le bracie ancor fresche le Rose.

CCXXXVIII.

Predìce il Pontificato al gran

245

Cardinale della Rovere, che fu poi Giulio

Secondo. Degli opachi Futuri alzando il velo

Al Porporato Giulïan la Sorte Di Vicedio rivela; e pria le Porte, Che quei n’habbia le Chiavi, apre del Cielo.

[514]

CCXXXIX. Predìce il Pontificato a Giovanni

de’ Medici; che fu poi Leon X.

Al gran Lion di quel Sangue Sovrano,

Che col Mediceo Nome il Mondo inostra, Francesco aperto il Vatican dimostra, E ‘l Vaticinio suo non riesce vano.

CCXL. Passa per Genova; & è honorato

da tutta quella Città Nobilissima.

La gran Figlia di Giano Eccelsi Honori

A Francesco consagra; & Egli ammira La Generosa, e Pia, che al Ciel s’aggira Di Glorie coronata, e di Splendori.

CCXLI.

Vien alloggiato in Genova nel Regio Palazzo del Principe

Doria.

Di quel gran Doria, a cui la Fama indora L’Inclito Stelo, e di Trofei l’intorna, Francesco la Magion, d’Honori adorna, Dedica con la sua santa dimora.

[515]

CCXLII. Predìce, in passando per Genova il suo Convento

di Gesù Maria sul Monte

246

Sano.

Francesco ognor del Vaticinio il Vanto Chiaro ritragge dal futuro evento: Prefigge sopra un Colle il suo Convento Per far di un Monte Sano un Monte Santo.

CCXLIII.

Se n’entra in Francia, dopo haver fatti nel viaggio

molti Miracoli.

Vanne Francesco ad avvivar ne’ Galli De la Colomba il volo, Aquila Santa; Ché s’al negar di Pietro il Gallo canta Tu piagner’il farai tosto i suoi falli.

[516]

CCXLIV. Smontando in Terra nella Provenza,

presso il Capo del Colombo, lascia impresse nella

prima Pietra, che calca le sue pedate, le quali hoggidì

ancora si riveriscono.

Oh come ben s’unir Pietra, e Colombo!

Colombo in Pietra ecco Francesco impresso; Ei lascia ovunque va dietro a sé stesso Con le vestigia sue chiaro il rimbombo.

CCXLV.

Entrando nella Città di Bormes la libera da un fierissimo Contagio, che in

appresso non l’ha mai più afflitta, ancorché prima

ne fosse sovente ammorbata.

Sol luminoso, a discacciar Bubòni,

Se n’entra in Borma squallida, e giacente: Fugge la Peste al cenno ubbidïente Di Chi col Foco suo smorza i Carboni.

247

[517] CCXLVI.

Ravviva in Bormes una quantità di Pesciolini,

gittandoli nel Mare.

Fa rinascere i Pesci al Mare in riva,

Ch’eran pria stati colti a pena nati: Son piccoli, e perciò da lui più amati; Piccoli son, per ciò l’Humil gli avviva.

CCXLVII.

Il Popolo di Borme li taglia per divotione l’Habito fino al

ginocchio, il quale (alzatosi il Santo, che sedeva)

appar cresciuto alla primiera lunghezza.

Di forbici divote il taglio invòla

De l’Habito salubre al Santo il lembo; Ma tosto, sotto un insensibil nembo, Gliel tesse pronto Iddio con la sua Spola.

[518]

CCXLVIII. Libera, in passando, la Città di Fregius

dal Contagio.

Francesco a maneggiar Carboni usato In Fregius ne raffredda il letal vampo: Gli smorza de’ suoi sguardi al dolce lampo, Gli estingue de’ suoi prieghi al dolce fiato.

CCXLIX.

Fa sorgere nel Delfinato ad una Sem- plice battuta del suo Bastone

una Fontana freschissima ad alleviar dalla sete

que’ Popoli.

Con la Verga, due volte, a l’or percote, Che vuol, Mosè, l’acqua cavarne, il Sasso: Francesco, una sol volta, e scende al basso

248

L’Acqua, ubbedendo a lui meglio la Cote.

CCL. Esce il Delfino di Francia ad incontrar’il Santo dalla Città

di Ambuesa.

Ad incontrar Francesco i passi scioglie Il Regio Figlio del Monarca Gallo: Lo stima un Arïon, né ‘l prende in fallo; Perciò, come Delfin, l’ama, e l’accoglie.

[519]

CCLI. Incontra il Re Luigi XI un

miglio fuori del Palagio Reale.

Qual Ciel Sereno al tramontar d’Arturo

L’accoglie il Franco Re, Luce novella: Buon Huomo al primo incontro, humil l’appella Poi ne’ costumi il trova Angelo puro.

CCLII.

Essendo la Galea, che portò il Santo in Francia scossa nel ritorno da

una tempesta fierissima, i zoccoli di esso, gittati

per disprezzo in Mare da un

Forzato, subito il rabbonacciano.

Procellosa (deh qual!) l’onda cavalca

Naufragio Pino, in cui Francesco è andato: Co’ Zoccoli di lui tosto calmato Resta il Mar; Ei da lungi ancora il calca.

[520]

CCLIII. Si ferma alloggiato nella Corte

di Francia.

Hor, che Francesco, il gran Forier di Dio, Ne la Reggia de’ Galli ha messo il piede A stabilir del Ciel Fida la Fede,

249

Se n’entri in Corte Chi vuol esser Pio.

CCLIV. Al medesimo Assunto.

Francesco in Corte? Oimè! Fra i Corbi il Cigno

Mi par, ch’io vegga; e fra le Spine i Gigli: Degli Astori il Colombo infra gli artigli; Una Benigna Stella in Ciel Maligno.

CCLV.

Al medesimo Assunto.

In Corte sì Francesco. È Corte Santa Quella, che i Santi honora; e ‘l Cortigiano Che inalz’al Cielo il cor fido, e non vano, È Miracol, che raro il Mondo vanta.

[521]

CCLVI. È perseguitato il Santo fieramente

dal Medico del Re; ma con patienza inalterabile

ne sormonta le Calunnie.

Contra un Semplice un Doppio arma la Guerra:

Un Empio contra un Giusto, e resta appresso. Malignoso Inventor perde sé stesso; Chi non la può contra del Ciel la Terra.

CCLVII.

Al medesimo Assunto.

Prendi a Francesco il polzo, o tu, che insano A difamarlo in Corte ognor’attendi: Ha la Febre d’Amor, tu non l’intendi; Ch’Egli è Spiritüale, e tu Profano.

CCLVIII.

Al medesimo Assunto.

Taci deh taci, o tu, che ufficio fai Di curar gli altri; & hor cura te stesso: Sei Semplicista; e pur ti osservo spesso, Che conoscer’un Semplice non sai.

250

[522]

CCLIX. Rifiuta molti Doni pretiosi, inviatili

dal Re Luigi XI.

Itene o Gemme, & Ori, il vostro peso Mal s’addata a Francesco: Ei fra le Spine Si ravvolge snervato: A le Divine Gioie del Ciel più Ricco assai s’è reso.

CCLX.

Al medesimo Assunto.

Dov’ha ‘l Core, Francesco, ha il suo Tesoro, Dov’ha il Tesoro suo, Francesco, ha il Core: Dunque se in Ciel, Francesco, ha sempre il Core Non ha, Francesco, in Terra il suo Tesoro.

CCLXI.

Rifiuta una Statua di N. Signora, tutta d’oro, guernita di Pietre Pretiose, inviatali dal Re

per tentarlo.

Il capo a riverir, Francesco, piega La gran Reina a cui vive legato: L’abbassa ancor per non veder odiato L’Oro, che a legar lui mai non ha lega.

[523]

CCLXII. Ricusa un gran Borsone di Doppie,

presentatogl’immediatamente in segreto dal Re.

Bisogna pur, che la Calunnia scoppie,

Francesco è Santo sì: L’Oro spregiato Non è da lui seguito; anzi calcato; Ché un Semplice disprezza ognor le Doppie.

CCLXIII.

È veduto dal Re, e dalla Corte di Francia, nel Parco di Plessis,

sollevato da Terra più di una Picca in Estasi,

251

coronato di raggi tutto acceso, e splendente.

Vola, Francesco, al Ciel, dov’ha il suo Dio

Del suo Cor amoroso unico Centro: A la Corte non sa trovarsi dentro; Quindi ne vuol’uscir, per esser Pio.

[524]

CCLXIV. Dispone mirabilmente alla Morte il

Re Luigi XI. il quale prima estremamente quella

abboriva.

A Luigi Francesco; oh come, molce De l’amaro morir la noia fiera; E con la bocca sua l’Ape sincera Rende soave il fiel; l’assentio dolce.

CCLXV.

Muore Luigi XI divotamente nelle braccia del Santo.

Muore Luigi al gran Francesco (o Sorte!)

Ne le braccia compunto; e tutto acceso Dal petto, che a morir pronto l’ha reso, Non potea far più pretiosa Morte.

CCLXVI.

Colle sue continue Preghiere ottien la Vittoria nella Battaglia di S. Albino

al Re Carlo VIII sovra i Brettoni, havendogliela

prima predetta.

Francesco al Re novello, ad animarlo, Sovra il Campo Bretton le Palme addita: A la Vittoria il coraggioso invita: Priega Francesco priega; e vince Carlo.

[525] CCLXVII.

Un Soldato Napolitano, con una Candela Benedetta, che haveva nella Celata,

252

datali dal Santo nella Battaglia di S. Albino rintuzza illeso

una palla di Artiglieria, che il colpisce nella fronte.

Da Bombarda tonante esce severa

Palla fremente con fulminee strisce: Non fa colpo nel capo, e lo colpisce: Sol Francesco l’armò di fragil cera.

CCLXVIII.

Essendo ritirato, già otto giorni, nella sua Cella a meditare, non apre, né risponde

al Re Carlo VIII che battendo all’ uscio replicatamente il pregava

di ascoltarlo, con queste parole Ave Maria! Monpaire

je veux vous parler.

Col Re de’ Regi a conversar si serra;

E non mangia, e non ode, e non favella: Carlo, benché divoto, in van l’appella; Che quei non è, solché col corpo in terra.

[526]

CCLXIX. Invia due Religiosi al Re D. Ferdinando

di Castiglia, che voleva decampar dall’assedio di Malaga, avvisandolo, che

nol faccia, perché fra tre giorni i Mori si renderebbero, come

poi seguì: Quindi furono, e sono denominat’i

Minimi nelle Spagne Religiosi della

Vittoria.

Francesco ancor presso l’Ibero ha Gloria; Ancor, Francesco, ne l’Hesperia è Sole; Ne la Spagna Francesco ancor si cole; E Castiglia da un Casto ha la Vittoria.

CCLXX.

253

Ad istanza dell’Imperator Massimiliano Primo manda in Alemagna a

fondar la sua Religione, contraposta alla Setta di Lutèro. Bellarm. Conc.

6. de Glor. Mirac.

Del Superbo Lutèro a l’Empia Setta,

Che da Bacco, e da Venere ha la Legge, De’ Celibi Astinenti un piccol Gregge Provido il Ciel di contrapor si affretta.

[527]

CCLXXI. Predice a Carlo VIII la Nascita del

Delfino.

Promette al lieto Carlo Inclita Prole Del gran Francesco il Vaticinio certo: D’Arïon sì Celeste al chiaro merto Veder sempre un Delfin la Gallia suole.

CCLXXII.

Tiene il nato Delfino al Sagro Fonte, e gl’impone il Nome.

Se già sul dorso traghettò un Delfino

D’un naufragio Arïon salva la salma; Hor, d’un Regio Delfino a salvar l’Alma, In braccio il tiene un Arïon Divino.

CCLXXIII.

Carlo VIII a persuasione del Santo, restituisce al Re Cattolico la

Contea del Rosseglione, e di Cerdagnia.

Ammorza di Bellona horrida Face,

Che scintille spargea d’incendio nove; Ond’anche qui mite Colombo il trovo. Che mette il Gallo col Lione in Pace.

§ § § § § § § § § §

254

[528] CCLXXIV.

Libera co’ suoi Prieghi, e de’ suoi Religiosi adunati il Re Carlo VIII

dall’evidente pericolo della Battaglia di Fornovo.

Dove qual Toro il Taro atro spumeggia

Carlo da Marte incerto a Morte spinto, Già quasi spento, ha vanto, e non è vinto: Francesco arride; e quei riede a la Reggia.

CCLXXV.

Penetra il Cuore del Re Luigi XII e ‘l compunge in corregerlo, inducendolo ad

esser’un Honesto Principe.

Se sta del Rege il Core in man di Dio, Di Dio mano è Francesco a l’hor, che strigne Del Re de’ Galli il Core, onde lo spigne Ad esser di Colombo un Cor più Pio.

CCLXXVI.

Due Dame, Principesse grandi, nella Francia, per altro di estrema

Antipatia tra di loro, si accordano solo per essere divotissime

del Santo.

Un Mercurio è Francesco. Oh qual le Menti Colma d’aura celeste al dir facondo! È Caduceo la Croce; ond’Egli al Mondo Suol, Paciere Divino, unir le Serpi.

[529]

CLXXVII. Predìce il Nascimento di Francesco Primo Re di

Francia.

A la Pia Ludovica, Inclito Stelo De la Savoia, vaticina il Figlio, Che de’ Galli sarà Corona, e Giglio: Honor del Mondo, e Protettor del Cielo.

CCLXXVIII.

255

Promesse, divinamente illuminato, a molte Principesse, nella Francia,

& a diverse altre Sterili Frutti & Benedittione; e con le

Candele Benedette agevola molti Parti stentosi.

Agli sterili Steli in dolci Frutti

Cangia i languidi Fiori; e i Frutti amari Tramuta in dolci; E co’ suoi lumi, Chiari Fa i Porti ai Parti del dolor ne’ flutti.

[530]

CCLXXIX. All’accendersi una Candela Benedet-

ta dal Santo, cessa un fierissimo Turbine.

Crolla il Suol, l’Aria stride, il Ciel si sfrena:

Tremano gli Elementi, il Mondo geme: Ruggisce l’Aquilon, Vulturno freme; Del Santo un lume sol tutto serena.

CCLXXX.

Un’altra Candela, benedetta dal Santo gittato in Mare, libera un

Naviglio da una gran Tempesta.

De’ Venti scatenati a l’ira l’altèra

Gonfiato il Mar Superbo al Ciel’ascende; Ma del mite Francesco humile il rende, E ne strugge il furor, la Sagra Cera.

CCLXXXI.

Opera sempre Miracoli innumerabili per tutto il tempo, che vive

in Francia.

Gallia felice a te fu dato in sorte Haver di meraviglie un vivo Fonte, Che sempre ti abbondò di Gratie pronte; Né mai seccossi ancor dopo la Morte.

[531]

256

CCLXXXII. Tiene un braciero infocato nelle mani

senza brucciarsi; affin di riscaldare alcuni de’ suoi

Religiosi renitenti ad accertar’il Voto

della Vita Quaresimale.

De l’Età sua senile al Verno algente

Non si raffredda no, quando altri gela: Ne l’Estate degli Anni. Ah, ch’Egli cela Gran Foco in petto, indi l’ardor non sente.

CCLXXXIII.

Passa i Quaranta Giorni dell’ultima sua Quaresimale, ad imitatione di N. S.

nel Diserto, senza mangiar, né bere colla sola Sagra

Communione, disponendosi

a morire.

Dal Fior de’ Sagramenti unico fugge L’humor, che lo mantiene Ape Celeste; E ben par, che la Mensa in Ciel s’appreste A lui, che mortal cibo abhorre, e fugge.

[532]

CCLXXXIV. Predice il Giorno, e l’Hora della sua

Morte.

Cigno Beato al Paradiso in Riva, Francesco, di sua Morte, armonioso, Annuntia il lieto Giorno; & è gioioso, Perché col suo morir sé stesso avviva.

CCLXXXV.

Si communica per Viatico, il Giovedì Santo, prostrato col cordone al

collo dinanzi l’Altare.

Nel Dì ferace, in cui fatto Elisire Christo di Vita a noi, Cibo, e Cibato, Imbandì la sua Mensa: o Fortunato

257

Il ricevi, Francesco, e vuoi morire?

CCLXXXVI. Pronuncia prima di morire questa

Oratione.

O Domine Iesu Christe, Pastor Bone, Iu- stos conserva, Peccatores iustifica,

omnibus Fidelibus Defunctis miserere; & propitius esto mihi misero Peccatori Amen.

Francesco a tutti giova ancor morendo,

Perché per tutti priega. Al suo Signore Curva l’Alma compunta, e Peccatore Si detesta gelato, ognor più ardendo.

[533]

CCLXXXVII. Muore disteso sopra una

Croce.

Deh qual t’invoglia il Core alto Diletto Di dormir su la Croce estremo il Sonno? Ah, che lasciarla i tuoi Disij non ponno; Ch’ella fu sempre a te riposo, e Letto.

CCLXXXVIII.

Muore sopra un fascio di Sarmenti.

Muore Francesco; e muor come Fenice

Ne le Fiamme d’Amor sovra i Sarmenti, Che danno al Foco suo vivi fomenti; Così l’Anima bella Iddio gli elice.

CCLXXXIX.

Muore nel Venerdì Santo all’hora che morì Christo Nostro Signore.

Oh Solstitio Beato! Al Punto, in cui

Morì l’Eterna Vita, anche morìo, Francesco, e col suo Christo, in braccio a Dio Spirò per famigliarsi in tutto a lui.

[534]

258

CCXC. Muore cantandosi nella Chiesa,

contigua alla sua Cella, la Passione di N. S. in proferirsi dal Sacerdote all’Altare, e da lui medesimo

quelle Parole: In manus tuas com- mendo Spiritum

meum.

Muor Francesco con Christo, a Christo affisso; E ‘l suo Spirito in mani a Dio tramanda: Come il suo Christo al Padre il raccomanda; E crocifisso muor col Crocifisso.

CCXCI.

Spira pronunciando. IESUS MARIA.

Tua Glorïosa Morte ah ben si sprezza,

Francesco, mentre il tuo Spirto trabocca A l’hor, che ricco tien le Gioie in bocca, Onde, ch’il tuo morir sia di dolcezza.

CCXCII.

Muore in un Serenissimo Deliquio.

De’ Mostri vinti a l’immortal Vittoria Languidezza d’Amor dolce succede Calcò le Spine in Terra; In Cielo Herede D’Eterno Frutto il Fior coglie di Gloria.

[535]

CCXCIII. Miracolosissimo dopo Morte.

O Prodigio vital! Da l’Egra mole

Morbosa Turba allevïar si sente; E pur Francesco giace! Apre le spente Luci ogni Cieco; ed è svanito il Sole!

CCXCIV.

È canonizzato da Papa Leone X. secondo la predittione del Santo

medesimo.

259

Fra le Beate Sedi una ne gode De le più eccelse il sublimato Humile, Così spiegò Leon del Sagro Ovìle Magnanimo Pastor, Fedel Custode.

CCXCV.

Il Re di Francia, Francesco I. nella Cannonizatione del Santo, fa stampar

Monete colla sua Imagine da una parte; e quella del Santo dall’altra con questo motto intorno.

Regiae stirpis Propagatori.

De la Stirpe Real de’ Galli Augusti,

Propagator Francesco, ognor feconda I Gigli, che, de le sue Gratie a l’onda, A lui s’incurvan d’ogni Gloria onusti.

[536]

CCXCVI. Il di lui Sagro Corpo arso dagli Heretici

non potè mai abbrucciarsi, che co’ Crocifissi divelti empiamente

dagli Altari.

Oh Trionfo d’Amor! Su Carro Ignito, A cui serve d’Auriga il Crocifisso, Arde Francesco, & a la Croce affisso Col Corpo ancor risplende incenerito.

CCXCVII.

Il di lui Sepolcro in Tours Miracolosissimo, coronato d’Imagini di Regi, di Prencipi, di Regine, e Dame, e

di pretiosi Voti.

Da quel Sasso adorato accesa vampa Cava ogni cor, che co’ sospiri il batte: Con quella Pietra ogn’Infortunio abbatte; E nel cenere ancor, Francesco, avvampa.

CCXCVIII.

Abbonda dal Cielo continuamente di Gratie a’ suoi Divoti, & opera

sempre Miracoli

260

innumerabili.

Da’ Culmini Celesti al Mondo spande Le sue Gratie frequenti ognor più raro: Nel suo lume sommerso ognor più chiaro; E quanto humil fu più; tanto è più Grande.

[537]

CCXCIX. Al medesimo Assunto.

Coronato dirai senza l’occaso

Astro Vital, Francesco, il lume versa: Con le rugiade sue la Terra aspersa Rende, pieno di Dio, fulgido Vaso.

CCC.

Conclusione.

Stanca la Musa a così grave incarco Humil si piega, e riverente adora Il mio Francesco, a’ cui Fasti s’indora Lo Stil, che a lui fa di Trionfo un Arco.

Il Fine della Terza Parte.

261

[538]

PERORATIONE DELL’AUTORE

AL SANTO.

o finito, o gran Padre, di spiegar’i vostri FASTI Gloriosissimi; ma non di piegar i miei riverentissimi Affetti ad honorarvi così sublime nel Paradiso, come la mia Eleganza è bassa per celebrarvi qui nella Terra. Arrossiscono queste mie Pagine al riverberare de’ vostri

raggi, più che non si rischiarano al lumeggiare de’ miei concetti. Allo splendore della vostra gran Fede, si oscura il brillo della mia vaporosa Facondia. Al fioreggiar della vostra viva Speranza, si secca sterile la mia sfrondata Eloquenza. Al fervidissimo Ardore della vostra Carità così fulgida resta asciugata la vena della mia Dicitura inocchiosa. Non ho più parole ad esprimere le vostre Glorie Immortali, perché mi sovrabbondano troppo i Fatti della vostra prodigiosissima Vita. Voi, che feste quaggiù sorgere tante Fontane da’ Sassi, anche dalla Pomice del mio Ingegno feste spruzzare tante scintille. Mi feste illeso entrare nel Fuoco quando m’introdussi a lodarvi infiammato da quell’Amore, [539] ch’eternamente vi bea. Mi feste gallegiar sopra l’onde quando m’ingolfai sotto il vostro manto a passar il Faro de’ vostri Elogi. Mi Feste portar le gran Moli ad ergervi un Tempio di Fama, quando non caddi sotto le vostre Geste sfiancato. Mi feste maneggiar senza offesa le bracie avvampanti, quando trattai delle vostre Attioni Miracolose. Feste camminar le Montagne, all’hora, che deste il moto al mio cuor di Pietra. Feste nascer le Fragole intempestive all’hor, che dal mio Talento traheste Frutti in una Stagione, per me cotanto infeconda, e spinosa. Feste risorgere un Morto all’hora, che nella Tomba della mia Cella sepolto mi ravvivaste ad encomiarvi. Io sono simile appunto a quel Ruscelletto, che voi, per così lungo tratto, in Corigliano dietro vi conduceste. Io somiglio quegli Alberi, che così vasti, e fruttiferi un piccol Seme [fa] in un momento sorgere al Cielo. Io sono paragonabile alla vostra Tròtella, che fritta, e sbattuta in terra risuscitaste. Oh quanti Miracoli in me faceste! L’Opera presente, ch’Io vi consagro è sol Miracolosa per voi, che convertiste in tante Stelle per coronarvene i piedi ogni mio Carattere, che vi si abbatte a’ piedi ossequioso. Questa mia Penna, che appendo al vostro gran Merito era di Corbo, e voi di Colombo la feste: era di Rondinella, e voi d’Aquila la formaste. Appunto di un [540] Tronco di Pino ruvido tornaste, un’altra volta, a far’una Candela di cera candida, quando questa mia Penna sfiorata, & arida nel rigido Verno de’ miei tanti infortunij, da voi in una fiaccola così luminosa, e pura fu convertita. Questo mio Spirito sia pure per l’avvenire, come il vostro Agnellino poiché, come quello, divorato da’ Villani Indiscreti, e combusto da fiamme ingiuriose, il feste uscire rianimato dalla Fornace di un petto avvampante a festeggiarvi col capo chino, & ad elogiarvi co’ suoi belati. Deh rendetelo, o mio Divinissimo Patriarca, altretanto Innocente coll’imitatione della vostra virtù, quanto il rendeste

H

262

purgato nell’Espressione della vostra Grandezza. La vostra Humiltà sublimata riceva intanto questa mia Humiliatione sublime, con cui mi esalto inchinandomi a voi. Ogni rettezza di queste Linee, che vi offerisco sopra le Carte mi si rifletta, col vostro aiuto, sopra i pensieri. Deh salvate quest’Anima mia colla vostra possente Intercessione, accioché non resti sommersa fra tante Tempeste, che la combattono; poiché liberaste da naufragare nel grand’Oceano delle vostre Lodi questo mio Intelletto, che giunge alla riva, in cui prostrato vi adora.

263

[541]

INDICE DELLE COSE NOTABILI.

A

ccidia negl’interessi dell’anima descritta pag. 253 Acque nobilitate dal Santo con molti miracoli. 76 Acqua di pozzanghera si sepelisce in piccola fossa al comando del Santo. 79

Acqua del Pozzo fatto cavar dal Santo sana gl’Infermi. 108 Adelaida Duchessa di Baviera lodata, divotissima del Santo. 125 Affetti del Crocifisso concernenti l’humiliatione di esso 313. Meditando la

di lui mortificatione 321. Il di lui Amore verso Dio 329. Verso il Prossimo 337. La di lui Passione 346. Ricevendo l’Eucharistico pane 354. Interponendo intercessora la Vergine 362. In pentirsi di non havergli ubbidito 372. Di non essere stato casto 382. Di non havere imitata la povertà sua 395. Sopra la mansuetudine di esso 407. Su i di lui patimenti 419. Nel chiedere pietà, e perseveranza nel bene. 434

S. Agata, e suo Encomio. 46 S. Agnesa V. e M. e suo Encomio. 45 Agnelli ravivati dal Santo. 75 Agostiniani lodati. 64 S. Agostino lodato suo Encomio. 41 Agostino Viale lodato. 160 Albero annoso si divide ad un fendente, che li dà con un bastone il Santo. 84 Alberi di castagno altissimi, al numero di sette prorompono a l’improviso

per miracolo del Santo. 84 Albero dura vegetabile sopra la fornace del Santo pag. 85. Alfeo fiume simbolo dell’amante terreno. 331 Alessandria lodata 195 Alfonso Gonzaga, Conte di Nevellara lodato 185 Aloisia di Savoia ottien per intercessione del S. Francesco primo Re di

Francia 120 Ambitione di sovrastare detestata 368 S. Ambrogio lodato 42 Amiens Città di Francia favorita dal Santo con molte assistenze 105 Amor profano detestato come contrario al Sacro pag. 4 Amor impresso nel Crocifisso 323. espresso nel Santo 325. Econemo della

Passione del Redentore. 323 Amor della salute nostra nel Crocifisso 331. della salute del Prossimo nel

Santo. 333 Amor di Compiacenza, e di compassione di sé stesso durono in Christo S.

N. 339

A

264

Amplificatione sopra il Crocifisso 5. Sopra la Vergine N. S. 18. Sopra l’aiuto de’ Santi 15. Sopra S. Tomaso d’Aquino 48. Sopra la B. Rosa da Lima 51. Sopra S. Antonio da Padova 55. Sopra la S. Madre Teresa di Giesù 60. Sopra il Santo nel Diserto 70. Sopra una vecchia decrepita, che allatta per miracolo del Santo un Bambino 133. di temporal tempestoso cangiato in sereno 138. Di gran siccità per mancamento di pioggia, e del respiro della terra per l’acqua impetrata colla protettione del Santo 140. de’ Terremoti delle Calavrie 144. Sopra il Cavalier Battista Nani, Procurator di S. Marco 168. Sopra Clemente Nono regnante 177. Sopra l’Imperatrice Leonora 224. Sopra Aurelia Spinola, Duchessa di Valentinese, Principessa di Monaco 227. Sopra il giorno di Venerdì 235. Sopra l’hora in cui morì Christo 242. Sopra la vita, che fe’ il Santo 250. Sopra una Dama Vana 274. Sopra un Prelato non adempiendo l’obligo suo 277. Sopra un Ecclesiastico Forviato 279. Sopra un Regolare Libertino 280. Sopra un Cortigiano di Mondo. 284. Sopra un Mercatante 287. criminoso 287. Sopra un Soldato Sgherro 288. Sopra un Giudice ingiusto 291. Sopra l’Humiltà del Santo 307. Sopra la mortificatione del Santo 317. Sopra l’amor verso Dio del Crocifisso 323. del Santo verso il Prossimo 333. del Santo verso il Crocifisso 329. Sopra la Castità del Santo 359. Sopra la patienza del Santo 409. Sopra la perseveranza del Santo. 422

S. Andrea Apostolo, e suo encomio. 36 Anello piscatorio elogiato. 196 Angeli descritti 21. loro intercessione singolarmente de’ nostri Custodi

quanto efficace. 21 Angelo Lomellino gratissimo al Santo. 131 Anima humana recisa la colpa rifiorisce 3. contrita è una Conchiglia. 6 S. Anna, e suo encomio. 33 Anna d’Austria Regina di Francia lodata ottiene la prole dal Santo. 125. 210 S. Antonio Abbate, e sua lode. 42 S. Antonio da Padova, e suo encomio. 56 Anton Giulio Brignole Sale, e suo Elogio. 127 Anversa divotissima del Santo lodata. 222 Apostoli nostri Avvocati 24 loro encomij 37. come debbano imitarsi 253.

come imitassero Christo. pag. 254 Apostrofe al Santo in Corte 94. tenerissima a Christo Crocifisso. 239 Apestati sanati dal Santo. 116 Asinello si sferra al comando del Santo. 81 Asini di Formentara descritti 253. Simboli de’ delicati in patire per Dio. 254 Assentista in Madrid miracolosamente assistito dal Santo: 117 Assistenze del Santo a necessitosi in ogni genere. pag. 114 S. Atanagio lodato. 44 Atto di Contritione in abbozzo. 294 Aurelia Spinola Duchessa di Valentinese, e suo Elogio. 228 Austriaci elogiati. 223

265

Autor di quest’opera, in Provenza alla divotione di S. Maria Madalena sua protettrice 31. alla Tomba del miracoloso S. Antonio di Padova rinvigorito 57. fa confessione sincera de’ suoi falli. 310

Avvocato in Amiens ricupera con il baccio ad una reliquia del Santo la favella per potersi confessare. 111.

B

Bambini d’argento appesi all’Altare del Santo. pag. 131 Bambino svisato in faccia dalla nascita figurato dal Santo con le dita. 7 Bambino sugge il latte da una vecchia decrepita per miracolo del Santo. 133 Bambino risuscitato su l’Altare del Santo in Venerdì. Bambini d’Argento numerosi appesi per voti agli Altari del Santo. 346 S. Barnàba lodato. 38 Baronessa di Anesi felicitata dal Santo in un parto pericoloso. 131 Bastone del Santo in Madrid contra il periglio del parto. 132 Battista Cavalier Nani, Procurator di S. Marco, e suo Elogio. 168 Beati nel Cielo, e loro forte intercessione. 12 S. Benedetto, e suo Encomio. 43. 70 Benedettini lodati. 43. 70 Benedetto Viale lodato. 160 Bergamo lodato. 195 S. Bernardo, e suo encomio. 44 Bologna, e suo Elogio. 186 S. Bonaventura lodato. 44 P. V. Bonaventura Martina Minimo, e sua morte pretiosa. 255 Bontà divina per noi. 14 Borromea famiglia lodata. 59 Bormes liberata dalla peste all’arrivo del Santo. 93 Braccio di S. Maria Madalena descritto. 31 Brescia lodata. 195 Brusselles divotissima del Santo. 222 S. Bruno lodato. 43

C

Cagliari, e suo Elogio 140. divotissima del Santo. 140 Calavria illustrata dal Santo. 187 Calunnie dissipate per intercessione del Santo. 117 Camillo Marchese Paleotti lodato. 187 Candele del Santo Miracolose. 132 Canonizatione del Santo descritta. 264 Capelli di S. Maria Madalena descritti. 32 Cape di S. Maria Madalena, e riflessi sopra di esso. pag. 30 Capella del Santo in Tours coronata di molte imagini de’ Prencipi grandi.

106

266

Capuccio del Santo in Genova miracoloso. 132. 150 Cardinal Durazo Arcivescovo di Genova 156. suo Elogio 156. divotissimo

del Santo. 157 Cardinal Lorenzo Imperiale, e suo Elogio. 157 Cardinal Lorenzo Raggi, e suo Elogio. 158 Cardinal Caraffa Legato di Bologna, e suo Elogio. 172 Cardinal Conti, e suo Elogio. 174 Cardinal Vidmani, e suo Elogio. 174 Cardinal Giacomo Rospigliosi, e suo Elogio. 181 Cardinal Cibo lodato. 186 Cardinal Rossetti, e suo Elogio. 192 Cardinal Brancacci, e suo Elogio. 196 Cardinal Litta, e suo Elogio. 198 Cardinal Geronimo Grimaldi, e suo Elogio. 212 Cardinal vivente di Aragona Elogiato 219. Partialissimo del Santo, e del di

lui Ordine. 220 Cardinal di Sandoval Elogiato partialissimo del Santo. 220 Cardinal Pimentelli partialissimo del Santo lodato. 220 Cardinale Spinola Arcivescovo di Siviglia divotissimo del Santo lodato. 222 Cardinal D. Flavio Ghigi, Protettore de’ Minimi presente, e suo Elogio. 233 Carità mandata dal Cielo per insegna al Santo. pag. 100 Carità del Santo descritta 325. in virtù di essa fe’ tanti maravigliosi miracoli.

326 S. Carlo Borromeo assistito dal Santo. 115 Carlo Emanuel Secondo Duca di Savoia lodato. 28 Carlo Luigi Scappi, Senator Bolognese, e suo Elogio. 186 Castità si apprende nel Crocifisso. 375 S. Cattarina V., e M. lodata. 45 S. Cattarina da Siena, e suo encomio. 50 Cavalieri Piemontesi, e Savoiardi lodati. 208 Cavalieri Romani lodati. 301 Cavalier Cattolico qual debba essere. 272 Cavrioli si salvano a’ piè del Santo. 73 S. Cecilia e suo encomio. 45 Cerve rifugiate a’ piè del Santo. 80 Certosini lodati. 43 Chiostri de’ Regolari abondan de’ Santi. 47 Christo Signor Nostro e sua misericordia 7. figurato ne’ quattro Sacri

animali da Ezechiello 7. nostro principalissimo avocato 16. rese fausto con la sua passione il numero tredici 239. con suoi Apostoli come debba imitarsi 252. sua estrema ubbidienza 365. quanto amico della Castità 374. sua Povertà 385. sua mansuetudine 398. sua patienza 409. sua perseveranza 422. Vedi Crocifisso.

Chiesa primaria in Paula fabricate con divina assistenza 73. maraviglie operate in essa. 74

267

Chiesa di Giesù Maria de’ Minimi in Genova Arsenale delle Gratie divine. 152

Chiesa de’ Minimi in Venetia numerosamente frequentata tutti i Venerdì 162

Chiesa de’ Minimi di N. S. della Fontana in Milano, e concorso divoto ad essa. 177

Christina di Francia Duchessa di Savoia ottien prole dal Santo 128. fabbrica un Tempio al Santo 147. suo Elogio ivi partialissima del Santo. pag. 200

Ciechi allumati dal Santo. 82. 111. 112 Claudia Regina di Francia ottien un Delfino per merito del Santo. 120 Clemente Nono Pontefice regnante, e suo elogio. pag. 177 Colonna famiglia elogiata. 301 Colpe di diversi gradi, e stati di Persone. 270 Como lodato. 195 Concupiscenza estinta dal Santo. 72 Confessori Beati, avvocati nostri. 23 Confessioni Sacramentali quai debban essere 293 Conti di Vaudemonte hanno prole per ricorso al Santo. 122 Conti di Scialano han prole dal Santo. 126 Conti di Novellara elogiati come partialissimi del Santo. 185 Conte D. Emanuele Tesauro lodato. 200 Contessa di Nassau ottien prole dal Santo. 127 Contritione abbozzata. 294 Conventi fondati da molti Grandi per divotione, & obligo al Santo. 140 Convento de’ Minimi della Vittoria in Madrid in qual riputatione? 214 Convento di S. Luigi di Napoli de’ Minimi principale elogiato. 265 Corte del Cielo opposta a quella della terra. 13 Corte di Francia lodata riceve il Santo 94. fu paragone della Santità di esso

94. divotissima del Santo. 117 Corti per lo più ingiuste. 242 Corte descritta sotto simbolo di Mare. 285 Corte discaccia la Povertà. 385. qual sia la patienza, che si pratica in essa.

418 Cortigiano descritto, e corretto. 284 Corpo del Santo non può restar arso se non da Crocifissi de gli Altari. 102 Corpo di Christo sacro horiuolo, 242. horiuolo da Sole. 242 Cervo dell’Arca simbolo del peccatore non ben pentito. 193 Costato del Crocifisso fonte di salute. 9 Costa del Santo custodita in Genova. 152 Cose eterne debbonsi a Dio prima chiedere, poi le temporali. 257 Croce Asilo de’ peccatori 10. rifugio de’ Tribulati, 10. col solo segno di

essa, che vi rimase indelebile, rende il Santo lieve una grossa Pietra. 79

Croce verace novamente illesa nel Palazzo di Vienna. 225 Croce abborita da’ delicati. 254

268

Crocifisso, e suoi simboli 5. imagine dell’humiltà 205. dell’Amor verso Dio 323. rimedio contro l’impurità. 375

Cremona lodata 195 Critica innocente sopra un Principe in astratto. pag. 269 Sopra un Cavalier mal vivente. 272 Sopra una Dama vana. 274 Sopra un Prelato errante. 277 Sopra un Ecclesiastico divertito. 279 Sopra un Regolare rilasciato. 280 Sopra un Cortigiano di Mondo. 284 Sopra un Mercatante criminoso. 287 Sopra un Soldato Sgherro. 288 Sopra un giudice ingiusto. 291 Sopra i dilicati del senso. 253 Sopra i sensuali del Mondo 359 Cuore di Francesco Giacinto Duca di Savoia nella Chiesa de’ Minimi di

Turino, e riflessi sopra di esso. 203 Cuore del Principe Mauritio di Savoia nella Chiesa de’ Minimi di Torino.

207

D

Dame Genovesi lodate. 151 Dame Piemontesi, e Savoiarde lodate. 208 Dame Romane lodate. 301 Dama vana descritta. 279 Demonio paragonato al Toro in Europa. 72. fatto lavorare nella fabbrica dal

Santo. 80 Demoniaci liberati dal Santo. 80 Dente del Santo si spezza in Napoli al bacio di una Cortigiana 265. riflessi

sopra questo bellissimo miracolo. 265 Descrittioni singolari della Clemenza Divina 1. di Dio 2. della sua potenza

in soccorrerci 4. del Crocifisso 5. di Christo sotto i simboli delli animali di Ezechiello 7. del ricovero sotto la Croce 9. de’ perigli del Mondo 10. della Corte del Cielo 11. di Dio Sovrano nella sua Regia 12. della Beatitudine de’ Santi 13. della dispositione di essi in aiutarci 14. della intercessione di essi efficace 15. della protettione Omnipossente della Vergine 18. della grandezza, e gloria della medesima 19. delli Angioli, e della loro intercessione 12. di tutti li ordini de’ Santi 20. della penitenza di S. Maria Madalena 26. della sua gratia di Marsiglia 27. delle sue reliquie 28. de’ meriti, e glorie di molti Santi 32. della gloria di S. Tomaso d’Aquino 48. di S. Giacinto 50. di S. Catarina da Sienna 50. della B. Rosa da Lima 51. di S. Francesco da Assisi 55. di S. Antonio di Padova 55. di S. Francesco Xaverio 58. di S. Carlo Borromeo 59. di S. Filippo Neri 60. della S. Madre Teresa di Giesù 60. di S. Tomaso di Villanova 63. della vita di

269

S. Francesco di Paula diffusamente 66. della Maestà della Chiesa Romana 70. del Santo nel difetto 70. nella fornace 75. di Agnellino risorto della fornace vivo 75. del passaggio del Santo sopra il Mare sul suo mantello. De’ miracoli del Santo nell’acque 76. nelle pietre 79. dell’attonitezza del Re de Napoli a’ prodiggi del Santo in Roma 70. del Viaggio del Santo verso la Francia 92. de’ suoi progressi spirituali nella Corte 95. delli Hipocrati 97. delle virtù del Santo 97. della morte del Santo 99. dell’abbrucciamento del corpo suo co’ Crocifissi degli Altari 202. dell’astinenza del Santo 114. di un miracolo del Santo d’intorno di una scrittura 117. delle proli numerose conseguite per intercessione del Santo 120. di vecchia decrepita, che allatta per miracolo un Bambino 133. delle obligationi professate al Santo da tutto il Christianesimo 136. di temporali horridi cangiati dal Santo in tranquilli 138. di una arridità estrema rimossa dalla pioggia impetrata dal Santo 140. de’ Terremoti della Calavria 144. della pietà, e manificenza de’ Genovesi 149. del Marchese Ambrosio Spinola 154. del Marchese Gio. Francesco Serra 156. del Cardinal Stefano Durazzo 156. del Cardinal Imperiale 157. del Cardinal Raggi 158. della divotione del Santo in Genova 149. in Venetia 162. del Cavalier Battista Nani Procurator di S. Marco 168. del Principe Leopoldo Cardinal de’ Medici 175. di Clemente Nono Pontefice Regnante 178. delli tre fratelli Rospigliosi 181. di Margarita di Savoia Duchessa di Parma 183. Delli Estensi 189. del Cardinal, e Marchesi Rossetti 192. della divotione della Casa Reale di Savoia verso il Santo 199. di Parigi 209. del Cardinal Grimaldi 212. dell’Imperatrice Leonora 224. di Aurelia Spinola Principessa di Monaco 227. di Paula Patria del Santo 230. del Venerdì Santo 235. del uniformato al Crocifisso 240. dell’hora in cui morì Christo 241. del Corpo di Christo 241. del Corpo di Christo sotto simbolo dell’Horiuolo 242. de gli Esercitij più ferventi del Santo in Venerdì 243. della vita austera del Santo 250. dell’accidia ne gli interessi dell’Anima 253. de gli Asinoni di Formentara 253. di coloro, che vogliono essere del Cielo, e del Secolo 254. degl’interessati 254. de’ peccatori gongolanti 262. dell’Indole purissima del Santo 263. della canonizatione del Santo 265. di un buon Principe Cattolico 269. delle qualitadi, che ha d’haver un Cavalier retto 269. dell’Augustissimo Sacramento Eucaristico 295. de’ Fasti di Casa Colonna 301. di Casa Spinelli 301. dell’humiliatione del Crocifisso 305. dell’humiltà del Santo 306. dell’austerezza della vita Quaresimale 309. della mortificatione del Crocifisso 316. del Zodiaco mistico trascorso dal Verbo, Sole humanato 334. di una Maliarda convertita dal Santo 334. della costanza della Vergine sotto la Croce 357. della divotione del Santo verso la Vergine 359. delli attributi della Vergine 361. dell’ubbidienza di Christo 365. del Santo 307. della castità del Santo 37? Della povertà di Christo 385. della povertà abborrita dal Mondo 385. della mansuetudine di Christo 398. della

270

ruvidezza, & inegualità de’ Superbi 405. della patienza di Christo 409. della perseveranza di Christo 422 del Santo. 425

Divoti del Santo in Amiens per traditione constante non morti mai senza Sacramenti. 111

Divotione de’ tredici Venerdì ad honor del Santo fiorisce in milte Cittadi 196. gran rimedio contra i travagli 255

Differenza tra il sacro, e profano Amore. 4 Difesa de’ Santi per noi. 29 D. Giovanni di Giesù Ibarguen ottien prole per intercessione del Santo. 129 D. Alonso d’Armenta ha prole dal Santo. 129 D. Francesco Cid di Molina ottien prole dal Santo. 126 D. Rodrigo di Villafranca pure. 126 D. Francesco de Pedibus anche. 126 D. Carlo Doria Duca di Tursi lodato. 153 D. Paulo Marchese Spinola, Duca di Sesto lodato. pag. 157 D. Camillo Rospigliosi, e suo Elogio. 181 D. F. Vincenzo Rospigliosi, e suo Elogio. 181 D. Tomaso Rospigliosi, e suo Elogio. 181 D. Gabriello di Savoia, e suo Elogio. 207 D. Antonio di Savoia, e suo Elogio. 207 S. Domenico, e suo Encomio. 47 Dominicani lodati. 29 Doria famiglia lodata. 92. 153 S. Dorotea, e suo Encomio. 46. 54 Dottori Santi nostri Avvocati. 24 Duchessa di Borbone ottien prole dal Santo. 120 Duchi di Bompensiero pure. 122 Duchi di Nivers anche. 122 Duchi di Lorena parimente. 122 Duchessa Nicola di Lorena lodata, e nata per intercessione del Santo. 123 Duchi di Medina Sidonia ottengon prole dal Santo. 123 Duchi di Veiar anche. 123 Duchi di Urbino similmente. 123 Duchi di Baviera anchi essi. 124 Duca di Parma lodato. 182 Duca di Mantova lodato. 189 Duchi di Modena lodati. 189 Duchi di Savoia lodati come divotissimi del Santo. 199 Duca del Infantado favorisce l’Autore in Roma come divotissimo del Santo.

218 Duchi Elettori di Baviera lodati. 229 Durazzo famiglia lodata. 156

E

SS. Elisabette Reine lodate. 46

271

Entrata gloriosa del Santo in Cielo. 245 Estasi del Santo ancor da fanciullo. 325 Estensi, e loro Elogij. 188 Eucaristia ineffabile, e suo encomio 295. paralello di essa con la Croce 235.

Amor verso di essa del Santo 349. come ricevuta dal Santo. 351 Eugenio di Savoia Conte di Soessone, e suo Elogio. 206

F

Farnesi elogiati. 189 Faro di Messina reso più navigabile dal Santo 76 Farnetici sanati dal Santo. 112 Favella ricuperata con una Reliquia del Santo. pag. 111 Fede Cattolica in Genova sempre illibata. 156 Fede mirabil del Santo. 78 Felicità vera si trova in Dio Crocifisso. 9 Ferdinando gran Duca di Toscana lodato. 176 Ferdinando terzo Imperatore ottien prole per intercessione del Santo. 124 Ferrara lodata. 191 Fiamma su la casa del Santo. 67 Fiandra divotissima del Santo. 221 Fico multiplicato mirabilmente per due volte dal Santo. 85 Fiesca famiglia lodata. 159 Filiberto Principe di Savoia, e suo Elogio. 206 S. Filippo Apostolo Encomiato. 37 B. Filippo de’ Servi, & essi encomiati. 43 Filippo Terzo Re delle Spagne lodato. 117 Filippo Quarto Re delle Spagne ottien l’Herede regnante per intercessione

del Santo. 125 Firenze lodata. 174 Fondatori de’ Conventi de’ Minimi sommariamente lodati. 147 Fontane fatte sorgere miracolosamente dal Santo. 76 Formula preferita dal Santo per praticar la divotione de’ Tredici Venerdì.

259 S. Francesco d’Assisi, e suo encomio 55. intercede la nascita del Santo 87.

La salute al medesimo 67. è visitato dal Santo 69. apparisce al Santo. pag. 75

Francescani lodati. 55, 64 S. Francesco Xaverio encomiato. 58 S. Francesco di Sales encomiato. 64 S. Francesco di Paula, e sua vita ristretta in Elogio 66. fu compendio delle

maraviglie divine 66. comanda alli Elementi 67. si ritira nel diserto d’età di tredici anni 251. ad un tempo stesso, è in due luoghi fanciullo 69. si rende invisibile a’ soldati del Re di Napoli, e vi opera maraviglie 87. si dipinge su il muro con un Carbone 89. suo viaggio a Roma, e sua entrata alla trionfale in essa 89. si rende più volte invisibile 93.

272

scioglie idiota la questione de’ Dottori Sorbonici 96. muore in Venerdì nell’hora precisa, in cui muorì Christo 100. per singolarissimo privilegio ottien da Dio la fecondatione agli sterili 120. felicità i parti pericolosi 130. implorato come Santo miracoloso da tutta l’Europa Cattolica 148. Grande del Paradiso 222. Protettore particolare della Fiandra 223. di tutto il Regno di Napoli 171. uniformissimo al Crocifisso 140. hebbe per giorno singolare il Venerdì 244. sue maggiori penitenze in tal giorno, e suo accoglimento nella gloria 244. proposto come un modello del humiltà 311. sua gran Carità, amore verso Dio, & il prossimo 324. sua gran divotione verso la Vergine 359

Francesco Marchese Rosetti, e suo Elogio. 151 Francesco Duca di Modena lodato. 188 Francesco Molino Doge di Venetia, frequenta ogni Venerdì la divotione del

Santo. 163 Francesco primo Re di Francia nato per intercessione del Santo. 120 Francesco Maria della Rovere Duca d’Urbino ottien prole dal Santo. 123 Francesco Maria Spinola Duca di S. Pietro in Galatina nato per

intercessione del Santo. 127 Francia obligata al Santo. 137 Fragole intempestive nate per miracolo del Santo. 84 Fregius liberato dalla peste per merito del Santo al entrarvi esso. 93 Fruttaiuolo in Venetia il giorno del Santo miracolosamente liberato da una

archibugiata. 165 Fuoco ubbidiente al Santo 76. estinto prodigiosamente con una meza

imagine di esso 85. portato dal Santo ancor fanciullo nella tonica illesa. 96

G

Gabbinetto della Santissima Trinità, e suoi dispacci. 12 B. Gaetano Tiene Encomiato. 64 Genova e suoi Elogij. 149 Georgio Zoagli Governator di Corsica, e suo Elogio 161. ha una lettera di

pugno del Santo di cui è divotissimo. 161 Germania con il Settentrione obligata al Santo. pag. 137 S. Giacinto, e suo encomio. 30 Gesuiti elogiati 58 S. Giacomo maggiore Apostolo Encomiato. 36 S. Giacomo minore Apostolo Encomiato. 37 Giacomo di negro partialissimo del Santo. 151 S. Gioachimo Padre della Vergine. 33 S. Gio. Battista, e suo encomio. 34 S. Gio. Vangelista, e suo encomio. 35 S. Girolamo encomiato. 42 Gio. Luca Spinola divotissimo del Santo. 112 Gio. Battista Spinola Arcivescovo di Genova lodato. 112

273

Gio. Battista Vidali partialissimo del Santo. 161 Giovanettino Doria divotissimo del Santo. 153 Gio. Filippo Spinola ottien prole dal Santo. 151 Gio. Francesco Cavalier Morosini Generalissimo in Candia, e suo Elogio.

165 Gio. Francesco Conte Isolani Senator Bolognese. Pag. 185 S. Gio. Grisostomo encomiato. 44 Gio. Michele Zoagli lodato. 161 Giulio Marchese della Rovere lodato. 125 Giulio Marchesa Rosetti, e suo Elogio. 194 Giuda nel Cenacolo non basta a contaminare il numero di Tredici. 248 S. Giuseppe Sposo della Vergine, e suo encomio. pag. 33 Giustitia divina premia anche i peccatori. 262 Giusti case di Avorio, e come. 342 Gloria beante non si ottien senza patimenti. 319 Goffredo il Pio, conquistator di Gerusalemme lodato. 270 Gonzalo di Cordua, detto il gran Capitano divotissimo del Santo elogiato

110. gli apparisce il Santo conforme la promessa per lettera visibilmente alla morte. 110

Gonzaghi Principi lodati. 189 Grandi di Spagna partialissimi del Santo. 217 Gratitudine del Santo grandissima verso i suoi divoti. 189 S. Gregorio Papa elogiato. 41 S. Gregorio Taumaturgo lodato. 44 S. Gregorio Nazianzeno lodato. 44 Grotta di S. Maria Maddalena descritta. 26

H

Habito del Santo tagliato in Bormes fino al ginocchio per divotione cresce imantinente, talare. 93

Habito del Santo miracoloso. 132 Havana, e suo territorio nell’India beneficata dal Santo elletto da essa per

Protettore. 137 Hebrei invitati a considerar i capegli incorrotti di S. Maria Maddalena 32.

Ribellarono a Dio nella terzadecima Tappa nella fuga da Babilonia. 246

Heretici folli nel privarsi del intercesione del Santo 56. infesti alla Chiesa Cattolica 70. abbrucciar il corpo incorotto del Santo. 96

S. Hilario encomiato. 44 Hipocriti discritti abboritti dal Santo 97. loro proprietà. 413 Horoscopo dell’anima qual debba essere. 243 Horiuolo sacro nel Corpo di Christo S. N. 242 Huomo senza Dio è nulla 2. non obliato da Dio 2. per la colpa infelice 3. ha

da convertirsi a Dio per trovare la felicità 3. ha da sperar solo in Dio 9. deve far ricorso al Crocifisso. 10

274

Humiltà del Crocifisso abbozzata. 314 Humili esaltati loro proprietà.

I

Iddio clementissimo 1. in lui solo è riposta l’humana sorte 4. prontissimo ad accogliere il peccatore 4. sua particolar residenza nel Cielo 12.

S. Ignatio martire, e suo encomio. 39 Imagine del Santo col solo contato risana un moribondo. 108 Imperiale famiglia lodata. 157 Incendij estinti per merito del Santo. 116 Indole purissima descritta dal Santo. 377 Inghilterra infelice Heretica per l’uccisione di S. Tomaso martire. 40 Interessati discritti. 260 Italia tutta obligata al Santo. 136 Invitto a’ Fedeli di andare a riverire le reliquie di S. Maria Maddalena 32. a

peccatori di implorarne la protettione. 32 Invettiva contro la superbia. 308

L

Ladro malnato in Croce, perché vicino alla Vergine. 262 Lampada accesa dal Santo più volte senza lume. pag. 133 Laura Duchessa di Modena, e suo Elogio. 190 Legge divina ha per polo due amori. 331 S. Leone Papa encomiato. 93 Leone decimo lodato. 90 Leopoldo Imperator regnante lodato. 124 Leopoldo Principe Cardinal de’ Medici. 175 Leopoldo Arciduca d’Austria ottien prole dal Santo. 124 Libertà profetizita dal Santo alla Serenissima Republica di Genova. 92 Lingua di S. Antonio di Padova incorritta. 56 Liti felicemente conchiuse per intercessione del Santo. 116 Lodi lodato. 195 Lomellina famiglia lodata. 131 S. Lorenzo Martire, e suo encomio. 39 S. Luca Evangelista encomiato. 38 S. Lucia e suo encomio 45 Lucretia Barberina Colonna Duchessa di Modena, e suo Elogio. 189 Luigi XI. confortato dal Santo a morir. 94 Luigi XIII. il giusto divoto del Santo lodato. 122 Luigi Principe di Monaco lodato. 29

M

Madrid elogiato. 214

275

Maestà della Chiesa Romana. 70 Maiorica divotissima del Santo. 216 Malaga liberata dalla peste per ricorso fatto al Santo. 140 Maliarda convertita dal Santo. 334 Mantello del Santo gittato dagli Heretici nel fuoco, ne rimase illeso. 85 Mantova divota del Santo. 185 Marca d’Anchona divota del Santo. 173 Marchesi di Livorno ottengono prole il giorno del Santo. 128 Marchese Ambrosio Spinola, e suo Elogio 154. persevera in piedi nella

Chiesa de’ Minimi in Madrid, per venti quattr’hore al Sepolcro di Christo la settimana Santa 155. divotissimo del Santo 155. lodato di novo. 220

Marchese di Manzera lodato. 272 Marchese Riario, e suo elogio. 187 Marchesi di Paula lodati 231. partiali del Santo, e da esso protetti. 231 S. Marco Vangelista lodato. 38 Mare navigato senza barca su ‘l proprio mantello con due compagni 76.

abonacciato dal Santo. pag. 91 Maria Vergine Nostra Signora de’ tribulati 18. intrepida alla Croce. 357 S. Maria Maddalena, e sue reliquie in Provenza. 29 Maria Mancini, Principessa Colonna. 301 S. Martino lodato 43. Martiri avvocati nostri. 26 S. Matteo Apostolo, e Vangelista lodato. 179 Mauritio Principe di Savoia, e suo elogio. 204 Medici Principi di Toscana elogiati. 179 Medico del Re di Francia malignamente in vano perseguita il Santo. 99 Meditationi sopra i misteri del Venerdì 235. sopra il Crocifisso 239. sopra

l’hora in cui morì Christo Nostro Signore 242. sopra l’humiliatione del Signore 313. sopra la mortificatione del Crocifisso 321. sopra l’amor di Christo a Dio 323. dell’amore del Santo verso Dio 325. verso il Sacramento dell’Altare 348. verso la Vergine 358. sopra la patienza di Christo 409. sopra la perseveranza di esso. 423

Meloni imputrediti resi sani dal Santo. 86 Messina lodata 173 S. Michele Arcangelo porta la Carità per insegna al Santo. 100 Milano, e suo elogio. 197 Minimi, e loro principio 73. delli buoni huomini in Parigi 96. dilatati in

Francia singolarmente 97. i nemici di essi puniti terribilmente dal Santo 114. nel loro primo ingresso in Genova accolti dal Principe Doria 153. in Madrid stimatissimi 214. protetti in Germania 225. detti per institutione del Santo di Giesù Maria 359. felici sotto la protettione dell’Eminentissimo Ghigi 233. vuol il Santo, che non si arricchiscano 298. quali brama, che siano 309. non si curano di tesoreggiar nel Mondo, né son politici ponto, procedendo come si suol dire alla buona. pag. 391

Misericordia Divina si abbelisce alla conversione de’ peccatori. 5

276

Misteri del numero Tredicesimo. 235 Modana lodata. 188 Mondo, è un Egeo pericoloso 10. è un mar turbato 16, tradisce. 17 Moneta spezzata dal Santo alla presenza del Re di Napoli, gronda di sangue.

88 S. Monica, e suo encomio. 46 Monsignor Macino Arcivescovo di Cagliari lodato. 141 Monte si ritira al comando del Santo 78. un altro, alli cenni di esso si

appiana. 78 Moribondi salvati dal Santo. 107. 108 Morto in Paula per alta caduta risuscitato dal Santo. 83 Morti in gran numero dal Santo risuscitati. 83 Morte del Santo in Venerdì. 241 Mortificatione del Santo descritta. 319 Moto del Conte Villamediana intorno a’ suoi amori. 429 Multitudine d’huomini più volte miracolosamente nodrita dal Santo. 86 Munificenza de’ Signori Genovesi. 150 Muro che rovina, fermato con un cenno a mez’aria dal Santo. 78

N

Nani famiglia lodata. 168 Napoli elegge il Santo in protettore & elogiato. 171 Negro famiglia lodata. 150 S. Nicolò Vescovo encomiato. 41 S. Nicola da Tolentino encomiato. 59 Nobiltà Napolitana dedicata al Santo. 171 Nobiltà vera, e la vera virtù Christiana. 272 Nocera diffesa sensibilmente dal Santo negli incendij del Vesuvio. 139 S. Norberto, e sua Religione lodati. 43

O

Obligationi professate al Santo da tutto il Christianesimo. 136 Occhi, lagrimosi di S. Maria Maddalena descritti concettosamente. 30 Occhiali del Santo in Genova miracolosi. 112 Olio della lampada del Santo distingue il volto svisato di un bambino nato

monstruoso. 133 Osservationi sopra la formula de’ tredici Venerdì prescritta dal Santo. 255

P

Parma lodata. 182 Padova lodata. 194 Palermo elogiato. 173 Pane unico, multiplicato dal Santo satia trecento persone. 86

277

Paralello tra l’Hostia, e la Croce. 348 Parigi elogiato, e descritto. 209 Patienza anima della virtù. 409 S. Pavolo Apostolo, e suo encomio. 36 S. Pavolo primo Romito encomiato. 42 Paula Patria del Santo. 230 Peccatori convertiti dal Santo. 79 Peccatori gongolanti descritti. 263 Peccatori sotto diversi simboli d’animali. 431 Peccato origine delli humani disastri. 4 Peccato e gratia quanto si oppongono. 259 Pedate del Santo rimaste miracolosamente impresse nel sasso. 93 Peregrinaggio divoto del Santo ancor fanciullo. 69 Persecutioni fatte al Santo nella Corte di Francia in vano. 95 Perseveranza di Christo descritta. 422 Pesaro Città lodata. 174 Pesci crudi, e cotti più volte ravivati dal Santo. pag. 79 Peste estinta dal Santo in Fregius, e Bormes. 93 Piacenza lodata. 184 Pietà delli Genovesi. 149 S. Pietro Apostolo, e suo encomio. 30 S. Pietro Nolasco, e sua Religione, lodati. 46 Pietre senza gravezza per miracolo del Santo. 74 Pietra grossissima sostenuta con un cenno del Santo in Paterno fuori del

centro ancor hoggidì vi persevera. altra piombante a mezzo corso trattenuta. 78

Pietra gravissima alloggiata dal Santo col segno della Croce. 79 Pioggia copiosa in campagna non bagna il Santo. pag. 77 Pisa lodata. 170 Pistoia lodata. 176 Povertà di Christo 385. del Santo. 388 Preghiere debbono esser indefesse, e reiterate. 199 Prelato discolo descritto, e corretto. 277 Prigionieri liberati dal Santo. 119 Principi di Salerno ottengon prole dal Santo. 122 Principi di Scilla han prole del Santo. 126 Principi di Buccheri anche. 126 Principesse diverse in Francia, e nell’Europa conseguiscono prole dal Santo.

126 Principessa di Rossano ottien prole dal Santo 127. ristora un tempio in

Roma. 147 Principi di Molfetta hano prole dal Santo. 127 Principe Teodoro Trivultio lodato, e nato per intercessione del Santo. 127 Principi Cattolici tutti ossequiosi al Santo. Principe Colonna gran Contestabile elogiato. 301 Principe Cattolico qual debba essere. 270

278

Principato del Verbo Divino. 271 Principe di Condè Padre del vivente, uscito nel bosco di Vicennes dov’era

prigioniero per intercessione del Santo la Vigilia, & a’ primi vesperi di esso. 119

Principe Doria alloggia il Santo 92. ricetta i Minimi. 153 Profetia dono singolare del Cielo al Santo. Profetie del Santo verificate sopra il Re di Napoli. pag. 88 Prosopopeie di Annibale Chippe guerriero salvato più volte dal Santo 106.

del P. Motta Minimo, sbudellato nel ultimo sacco di Roma, e sanato al Sepolcro del Santo 107. del Medico Vigna sanato dal Santo 108. di tre morienti Santi con l’acqua de pozzo fatto cavar dal Santo 108. di un Sacerdote agonizante sanato con l’imagine del Santo postavi sopra 159. del Gran Capitano visitato miracolosamente, secondo la promessa pria di morire dal Santo. pag. 110

Prosperità de’ peccatori premio di qualche buon’opera morale di essi. 261 Protettione del Santo sopra l’Havana in India. 137 Purità del Santo descritta. 264 Purità nel accostarsi alla Communione Eucharistica quanta debba essere.

296

R

Re di Napoli stupido, e tremante alle maraviglie del Santo. 88 Regi honorano il Santo. 270 Regni di Napoli, e di Sicilia abbondano ancora delli miracoli del Santo. 146 Regolare in Ispagna rispettatissimo. 217 Religione Dominicana lodata 29. Benedettine lodate 43. Reg. Certosina

lodata 43. reg. Francescane lodate 68. Reg. Agostiniane lodate 64. Reg. della Compagnia di Giesù lodata 60. Reg. Teatina lodata 64. Reg. della Mercede lodata 141. Reg. de’ Minimi lodata 309. Reg. Cattolica maestosa in Roma. 70

S. Remigio lodato. 44 Varij riflessi sopra il Venerdì Santo 235. sopra l’hora in cui morì Christo

242. sopra l’inscrittione della Croce 243. sopra il numero tredicesimo 247. sopra un dente spezzato al bacio di una Cortigiana 265. sopra l’amor verso il Crocifisso 339. sopra la divotione della Vergine. 357

Rinaldo Principe Estense, e suo elogio. 191 Rinaldo Principe Cardinal d’Este, e suo elogio. pag. 191 Ripugnanza di ubbedir alli indegni quanta. 370 Rito di praticar la divotione delli tredici Venerdì. 251 Ritratto di S. Domenico miracoloso. 47 Roma lodata. 70 S. Rosalia, e suo encomio. 46. 52 Rovere famiglia elogiata. 123

S

279

Santi spediscono le nostre suppliche 11. quanto pronti a soccorrervi. 12 Santo fecondo chiamato per Antonomasia il Santo. pag. 120 Santità del Santo sostantiosa. 97 Sardegna divotissima del Santo. 215 Savona elogiata. 161 S. Sebastiano, e suo encomio. 40 Schiavi Christiani liberati dal Santo. 119 Senato serenissimo di Genova elogiato. 149 Senato nobilissimo di Bologna lodato. 123 Serazana elogiata. 161 Serenità ottenuta per merito del Santo. 240 Serpi trasportate nella manica del Santo. 80 S. Silvestro Papa encomiato. 41 Simboli allegorici del Crocifisso 5. di Christo Signor Nostro 8. della

Vergine Nostra Signora 19. di S. Gio. Battista. de’ SS. Apostoli Pietro, e Pavolo 36. delli Angioli, nostri custodi 21. di S. Agostino 41. di S. Tomaso d’Aquino. 48

Simiana famiglia lodata. 129 S. Simone Apostolo lodato. 37 Sisto quarto elogiato. 90 Sonetto in lode di Clemente IX. Pontefice. 180 Spagnola Nattione pijssima. 217 Speranza in Dio sol è la vera. 9 Spinelli famiglia, e suo elogio. 231 Statua del Santo miracolosa si volta ne’ terremoti della Calavria verso

Paula. 144 S. Stefano Protomartire, e suo encomio. 39 Storpi liberati dal Santo. 82 Suasorie al tribulato di confidar in Dio, ne’ Santi, e non nel Mondo 17. di

imitar Christo, e gli Apostoli 252. ad un Principe accioché sia buono 269. ad un Cavaliere poiché sia perfetto 272. a procurar di communicarsi in gratia 295. ad amar Dio tutto proposito 327. ad amar il Crocifisso 341. a negar la propria volontà. 371

Superbia detestata. 419 Superbi humiliati. 305 Suppliche al Santo in virtù del humiltà di esso 341. della sua mortificatione

322. del suo amor verso Dio 330. verso il Crocifisso 341. verso il Sacramento Eucharistico 355. della sua divotione verso la Vergine 363. per merito della sua perfetta ubbidienza 374. della sua celibe castità 383. della sua povertà severa 396. accioché ci impetri da Dio la mansuetudine 408. la patienza 420. la perseveranza nel bene con la salute dell’anima. 436

T

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S. Tadeo Apostolo encomiato. 39 Temporali horridissimi cangiati in serenità dal Santo. 140 Tempo di gran siccità cangiato dal Santo. 142 Tiara fiameggiante sopra il capo del Santo. 100 S. Tomaso Apostolo encomiato. 37 S. Tomaso di Cantuaria, e suo encomio. 40 S. Tomaso d’Aquino, e suo encomio. 63 Tomba di S. Antonio miracoloso. 57 Tomba del Santo prodigiosa. 213 Tori fierissimi addomesticati dal Santo. 80 Travagli copellano la virtù 343. sono scala alla Gloria. 343 Tribulatione proviene dal peccato. 3

V

Uccelli di rapina si salvano dimestici sul pugno. 80 Vedove Sante nostre avvocate. 24 Venerdì, e suo encomio 235. perché sia destinato alla divotione del Santo

241. giorno singolare del Santo è conspicuo per i di lui principali miracoli 246. solennizato nella Chiesa de’ Minimi 246. in Venerdì resuscita il Santo posto su il di lui Altare. 246

Venetia, e suo elogio. 162 Verbo Divino, e suo Principato. 80 Verona lodata. 194 Vespe allontanate alli cenni del Santo. [80] Vicenza lodata. 194 Vienna partialissima del Santo lodata. 117 S. Vincenzo martire, e suo encomio. 40 Vincenzo Gonzaga Ducha di Mantova più volte asistito dal Santo. 115 Violenti rapiscono il Cielo. 255 Vita del Santo spiegata in trecento quaternari. pag. 445 Vita quaresimale quanto spinosa 309. alimenta l’humiltà. 309 Vittorio Amedeo Francesco Principe di Piemonte nato dal merito del Santo

128. salvato da esso nel suo giorno da una gravissima malatia. 201 Vittoria gran Duchessa di Toscana. 175 Utili spirituali provenuti a moltissimi dalla protettione del Santo. 94

Z

Zelo del Santo per la salute del prossimo. 338 Zodiaco mistico trascorso da Christo solo humanato. 332

Il fine della tavola