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Andreas Fernandez 2010 Etnografia di una comunità di marca online Abstract. This paper explores how the sense of community and identity is shaped in an Italian Online Brand Community. It draws on an ethnographic approach to the self- understanding of community members and analyses the ways in which users identify with a certain brand but also create spaces to discuss their experience in an expressive practical domain (digital photography). Keywords: online communities; brand; online ethnography; consumer culture. | 1 | working paper no. 3

Etnografia di una comunità di marca online · Italian Online Brand Community. ... condivisione del sapere e apprendimento pratico 37 Conclusioni ... i sociologi ed antropologi della

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Andreas Fernandez2010

Etnografia di una comunità di marca online

Abstract. This paper explores how the sense of community and identity is shaped in an Italian Online Brand Community. It draws on an ethnographic approach to the self-

understanding of community members and analyses the ways in which users identify with a certain brand but also create spaces to discuss their experience in an expressive

practical domain (digital photography).

Keywords: online communities; brand; online ethnography; consumer culture.

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Etnografia di una comunità di marca online

Introduzione 02

1. Comunità e comunità virtuali 031.1 La comunità nel pensiero sociologico classico 031.2 Comunità virtuali 06

2. Brand e Cultura del Consumo 09 2.1 Comunità e cultura del consumo 09 2.2 Il nuovo soggetto consumatore 10 2.3 Le comunità di marca 12

3. Online ethnography 163.1 La ricerca sociale online 163.2 I forum come ‘ambienti’ di rilevazione 183.3 La cyberetnografia 20

4. Il caso ‘CanonClubItalia.com’ 254.1 Disegno di ricerca, accesso e negoziazione 254.2 La comunità presenta i suoi spazi 294.3 Le narrazioni: rituali, condivisione del sapere e apprendimento pratico 37

ConclusioniRiferimenti

Introduzione

Questo articolo presenta una ricerca etnografica compiuta all’interno di una comunità online e,

più specificamente, una “comunità di marca”, ovvero una comunità definita dal comune interesse

e dalla passione dei suoi membri per una marca commerciale e per la serie di prodotti da essa

commercializzati.

Una serie di questioni preliminari si pongono dinanzi all’etnografo che voglia condurre

una simile ricerca: anzitutto, le comunità virtuali possono essere considerate comunità? Come si

differenzia una comunità online da una comunità così come ce l’hanno descritta i sociologi

classici? Una marca commerciale è davvero in grado di creare comunità? Che tipo di

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attaccamento affettivo e di identità sviluppa una comunità che si forma intorno a un simbolo (una

marca), ma che in senso strettamente giuridico non è proprietaria di tale simbolo?

Tali questioni sono molto vaste. La motivazione che ci ha spinti a condurre questo lavoro,

tuttavia, è la convinzione che la ricerca etnografica possa offrire un utile strumento per

addentrarvisi. Solo una ricerca etnografica può consentire, infatti, di comprendere le motivazioni

degli attori che li spingono ad entrare a far parte di una comunità online definita dal fatto di

condividere uno stile di consumo e una relazione affettiva con un logo, investendo tempo libero

della loro vita per mantenere questo tipo di aggregazione sociale. Si tratta dunque di verificare

sul campo la relazione tra interfacce comunicative, senso del luogo, situazioni di interazione e

senso della comunità.

1. Comunità e comunità virtuali

1.1. La comunità nel pensiero sociologico classico

Il concetto di comunità ha iniziato ad occupare una posizione fondamentale nelle riflessioni

sociologiche nel periodo a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Tale concetto si impone nei classici

come centrale per la sua capacità di definire e descrivere le modalità peculiari della percezione e

della struttura delle relazioni o dei rapporti sociali (Pollini, 1993), come si vede in opere quali

Comunità e società di Tönnies ([1887] 1963), La divisione del lavoro sociale di Durkheim

([1893] 1962), Economia e società di Weber ([1922] 1999) e, poco più tardi, in Park (et al.

(1925); [1936] 1952) e Parsons ([1937] 1987; [1951] 1965).

Nella sociologia classica la comunità rappresenta uno specifico tipo di relazioni sociali, in

cui la collettività coinvolge l’individuo nella sua totalità (Bagnasco, 1999: Cap I). Il termine

rinvia al nucleo famigliare e alle piccole comunità di villaggio, ma rimanda anche alla comunità

nazionale e arriva a definire, in forma tipica, la società tradizionale che ha preceduto quella

moderna. Nella sociologia contemporanea, invece, la comunità è spesso sinonimo di comunità

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locale, intesa come collettività “i cui membri condividono un’area territoriale come base di

operazioni per le attività giornaliere” (Parsons, [1951] 1965: 97).

Il percorso teorico degli autori classici principali viene per lo più tracciato in un contesto

di declino della comunità, la quale diventa oggetto di studio quando pare che da essa ci si

allontani facendo esperienza della società. Tali rappresentazioni sociologiche, accompagnate

dalle riflessioni sulla modernità1, avrebbero contemplato una sequenza evolutiva in cui la

decadenza della comunità, individuata in una forma storica di strutturazione e

istituzionalizzazione dei rapporti sociali, incontra l’ascesa della società.

Ciò che accomuna molti contributi classici sul concetto di comunità è la visione secondo

cui la vita sociale degli individui nella modernità va specializzandosi, non solo nella dimensione

lavorativa, ma anche nelle relazioni sociali di tutti i giorni. Nelle comunità, proprio per l’assenza

di una specializzazione dei ruoli che segmenta le relazioni sociali, gli individui sono presenti

“integralmente”. Nelle relazioni societali, invece, si innescano interazioni eterogenee con

persone che non si conoscono per degli scopi definiti e a breve termine. Con la modernità la vita

sociale viene condotta attraverso disparati livelli e luoghi; gli individui assumono le sembianze

di comparse nei diversi palcoscenici attraversati quotidianamente e si riconoscono sopratutto

attraverso i ruoli sociali che rivestono nelle specifiche situazioni. In condizioni simili i

comportamenti si devono configurare sulla base degli scopi in vista, quindi devono essere

razionali, come ha argomentato Weber ([1922] 1999). La modernità sposta gli individui da un

contesto sociale poco differenziato in cui si viveva esclusivamente a contatto con determinate

persone – per lo più parenti e vicini (che spesso corrispondevano) – a un contesto più anonimo,

caratterizzato da situazioni temporanee e funzionali, in cui gli individui sono costretti a tessere la

loro esperienza sociale con ‘materiale’ proveniente da eterogenei e fuggevoli contatti relazionali

(si veda Simmel [1903] 1971).

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1 Diversi autori ritengono che le nuove tecnologie digitali abbiano rinforzato tendenze innescatesi nell’era moderna: fluidità, giochi di ruolo, appartenenze plurime, segmentazione delle relazioni etc. (si veda, ad esempio, Bagnasco, 1999: 39-40). In linea con tale pensiero, le comunità virtuali sarebbero più delle comunità di stili di vita che garantiscono agli individui una maggiore libertà di abbandono delle comunità stesse.

Non dovrebbe sorprendere che i retaggi evoluzionistici degli autori che hanno scritto a

cavallo fra Ottocento e Novecento abbiano portato ad una rilettura storicamente determinata dei

cambiamenti sociali. Tuttavia, nonostante le analisi di autori come Durkheim e Weber fossero

implicitamente condizionate dall’idea che occorresse un mutamento sociale adeguato alle grandi

trasformazioni della modernità, esse non sono mai cadute in forme di crudo determinismo. In

seguito, i sociologi ed antropologi della Scuola di Chicago, mostrando come le città fossero

formate dalle dinamiche delle zones of succession, sostennero l’esistenza di dinamiche

ecologiche che in ogni area di abitazione umana tendono a produrre, nello spazio, concentrazioni

di popolazione e di istituzioni che formano quartieri ciascuno caratterizzato da propri confini e

da propri valori comunitari. Da qui il concetto di “comunità ecologica”, attraverso il quale gli

studiosi di Chicago assunsero a paradigma la dicotomia tra comunità e società per evidenziare le

fondamentali differenze fra la vita sociale rurale e la vita sociale urbana (Park, Burgess e

McKenzie, 1925)2. Infatti, fra gli assiomi della sociologia della Scuola di Chicago riveste

particolare importanza l’idea secondo la quale gli spazi cittadini moderni, per molti aspetti

anomici e impersonali, siano carenti di quelle relazioni comunitarie stabili che caratterizzavano

la vita sociale rurale.

I contributi successivi sullo sviluppo del concetto di comunità, invece, segnano una

fondamentale transizione rispetto all’idea classica di comunità, soprattutto rispetto alla sua

dimensione spaziale. Per molto tempo gli approcci allo studio delle istituzioni comunitarie hanno

considerato la condivisione fisica di uno spazio comune come sine qua non del loro sorgere.

D’altra parte, l’interazionismo simbolico ha invece sempre insistito più sulla dimensione

simbolica della comunità. Sono gli individui a definire la comunità di cui si sentono membri

come costruzione sociale fondata su un determinato campo relazionale, e lo fanno attraverso i

significati e i sensi che vi attribuiscono. Più che la condivisione di uno spazio fisico, quindi, ad

alimentare costantemente le comunità sono gli stati di opinione dei loro membri, che consistono

di rappresentazioni più o meno comuni e che caratterizzano dei tipi determinati di azione.

Trattando il concetto di pubblico, già Tarde (1898) ci ha suggerito che con il delinearsi delle

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2 Cohen (1985), ha rilevato criticamente come tale prospettiva si sia sviluppata a partire da un’interpretazione poco attenta della complementarietà delle nozioni di solidarietà organica e meccanica di Durkheim.

correnti di opinione, il legame fra gli individui è rappresentato dalla coscienza di ciascuno che

determinate idee e volontà sono condivise da altri individui.

1.2 Comunità virtuali

Dalle elaborazioni sociologiche classiche fino ai primi contributi che segnano il passaggio alle

analisi contemporanee non emerge un’idea univoca di comunità. Al contrario, sotto alcuni aspetti

le interpretazioni sono spesso contrastanti. La comunità tönniesiana è la comunità della

fratellanza, dei rapporti autentici e genuini, degli spazi fisici accoglienti; quella durkheimiana è

la comunità in cui l’“essere collettivo” sovrasta le coscienze dei singoli e riduce le libertà

individuali; la comunità di Weber è collocata al livello delle relazioni sociali ed è più

problematica perché viene posta all’interno di un sistema sociologico molto articolato; la

comunità ecologica di Park dipende fortemente dalle dimensioni territoriali che la caratterizzano

e dalle relazioni con le altre comunità all’interno delle zone di transizione urbana; la comunità di

Parsons, infine, si presenta sia come una comunità locale spontanea, orientata a fini generici, sia

come comunità societaria, ovvero una formazione sociale funzionalmente adatta ad integrare i

membri che la compongono – comunità come integrazione sociale.

Fra gli elementi della comunità condivisi dai diversi autori il più rilevante è sicuramente

quello del sentire comune, del senso di appartenenza a un gruppo. In Weber, ad esempio, il

riferimento alla ‘comune appartenenza soggettivamente sentita’ è esplicito, ma anche negli altri

autori questo aspetto ha un ruolo fondamentale. Di sicuro, per indicare eventuali punti di

congiunzione fra la comunità tradizionalmente intesa e i gruppi virtuali, il criterio del senso di

appartenenza, nonostante sia difficilmente identificabile in termini certi, rappresenta un

riferimento importante, anche se di significato non univoco e spesso non facile da descrivere.

Nella letteratura sociologica classica, inoltre, la comunità viene spesso considerata come

ricettacolo dei rapporti primari che contribuiscono alla formazione dell’Io. Anche per questo

motivo, fin dalle sue prime teorizzazioni, il concetto di comunità si è portato dietro problemi

legati alle sue implicazioni morali. Ancora oggi vi sono appelli comunitaristi che indicano nella

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comunità locale la risposta adatta alle condizioni difficili e alle contraddizioni delle società

contemporanee complesse. Come sostiene Komito (1998), sono state le visioni romantiche e

idealizzate delle comunità rurali preindustriali a condizionare l’uso inconsapevolmente morale

del termine comunità.

Un altro elemento problematico è rappresentato dal ruolo centrale che la località riveste

nei rapporti comunitari. La teoria sociale ha da sempre sostenuto che la località fosse messa a

repentaglio nelle società moderne. Anche nelle situazioni più intime, come i rapporti primari di

una comunità spazialmente delimitati e geograficamente isolati, “la località necessita di

un’attenta manutenzione che la protegga da una serie di pericoli” che, a seconda delle epoche e

dei luoghi, “vengono concepiti in forme diverse” (Appadurai, [1996] 2001: 232). I confini fisici

e simbolici di molte comunità sono quelle zone a rischio che richiedono uno speciale trattamento

rituale affinché si mantengano intatti. Secondo Cohen (1985), infatti, la comunità si caratterizza

principalmente per il fatto che i membri che la compongono hanno qualcosa in comune che li

distingue in modo significativo da i membri delle altre comunità. Quindi, concettualmente, la

comunità implica allo stesso tempo somiglianza e differenza e, conseguentemente, “esprime

un’idea di tipo relazionale: l’opposizione di una comunità alle altre o ad altre entità

sociali” (Cohen, 1985: 12). La comunità è un campo culturale e allo stesso tempo un boundary-

expressing symbol, è costituita prima di tutto da una miriade di significati attribuitile dagli

individui e mantenuti attraverso le loro interazioni sociali (Barth, 1969).

La dimensione simbolica delle relazioni comunitarie acquista tutta la sua rilevanza nel

momento in cui la si lega ai processi comunicativi che la caratterizzano. Comunità e

comunicazione sono concetti pressoché inseparabili, non solo per la comune radice etimologica

(entrambe le parole derivano dal latino communis che significa ‘comune’), ma soprattutto perché

i processi comunicativi rappresentano la dimensione dinamica e fondamentale della comunità –

anche se, naturalmente, questo non vuol dire che la comunicazione crei di per sé relazioni

comunitarie.

In questo contesto, la nozione di comunità virtuale sottolinea il rapporto della comunità

con le tecnologie della comunicazione. Alle comunità virtuali ante litteram, basate, ad esempio,

su comuni risposte emotive a opere letterarie da parte di persone distanti fra loro e che

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storicamente risalirebbero al XVII secolo, seguirono le comunità virtuali basate sui mezzi di

comunicazione elettronici: radio, cinema e televisione (Paccagnella, 2000). In Understanding

Media, McLuhan (1964) adotta per la prima volta il famoso ossimoro metaforico “villaggio

globale” per sottolineare come le dimensioni del mondo si siano ridotte, soprattutto attraverso

l’evoluzione della tecnologia satellitare che ha permesso una comunicazione in tempo reale –

sincrona – a grande distanza.

Nei primi anni Settanta, gli studenti e i ricercatori di alcune università statunitensi

svilupparono i primi software di mailing list e chat room con l’intento di facilitare la

comunicazione accademica e per scambiare informazioni amicali, giocare e coltivare passioni

comuni come la letteratura di fantascienza3. Durante gli anni Ottanta, le comunità virtuali

fondate su passioni condivise iniziano a coinvolgere un numero sempre maggiore di partecipanti

grazie a nuove tecnologie come BBS e FIDONET, reti di comunicazione tra computer inventate

da Jennings nel 1983. Tuttavia, bisogna aspettare la fine degli anni Ottanta e la prima metà degli

anni Novanta per l’avvento delle comunità virtuali online non formate da soli specialisti

informatici, quando l’esplosione della rivoluzione digitale porta alla creazione del World Wide

Web. Internet come effettivamente lo conosciamo nasce nel 1995.

Sulle orme del pensiero di McLuhan, Meyrowitz ([1985] 1993) evidenzia le

trasformazioni nella percezione dello spazio fisico (inteso come luogo) dovute alle nuove

tecnologie elettroniche. L’evoluzione dei mezzi di comunicazione ha ridotto le distanze al punto

da rendere quasi inesistente lo spazio che separa i soggetti dal luogo fisico in cui si trovano e

questo ha portato gli individui a rielaborare i propri modelli di interazione sociale. In questo

senso “Internet, che per sua natura tende ad agglutinare lo spazio che circoscrive, diviene il

contorno e lo spazio della possibilità di nuove relazioni comunitarie. Da comunicazione a

comunità” (Carbone e Ferri, 1999: 82).

Vi sono molte difficoltà a tracciare i confini tra la comunità virtuale e qualche altro tipo di

aggregazione sociale, come del resto succede per la comunità tradizionale. Le testimonianze

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3 I primi nodi di network interattivo informatico, sviluppatisi su progettazioni militari già esistenti, sorsero nel 1969 nei centri di ricerca della University of California di Los Angeles, dello Stanford Research Institute (SRI), della University of California di Santa Barbara e della University of Utah.

dirette dei membri delle comunità virtuali e delle ricerche etnografiche condotte (ad esempio

Baym, 2002; Giuliano, 2002) hanno però dimostrato che le comunità in rete non devono essere

considerate meno reali di quelle, ad esempio, caratterizzate da incontri faccia a faccia. Ciò non

toglie che la virtualità rappresenti un concetto problematico a cui bisogna dedicare attente

considerazioni, soprattutto se studiata come ambiente di interazione creato da Internet, e, quindi,

come peculiare dimensione relazionale. Buccieri (2004: 53), ad esempio, suggerisce che il

virtuale, rappresentando “la geografia fisica − riferendosi ad una fisicità immaginata,

mentalmente configurata e non concreta − e sociale in cui si radicano le comunità telematiche,

[…] ricopre un ruolo centrale nella determinazione delle proprietà di queste ultime”.

2. Brand e Cultura del Consumo

2.1 Comunità e cultura del consumo

Dopo le teorie critiche degli anni Sessanta e Settanta, secondo le quali il consumatore era un

essere passivo e apatico, si riconosce oggi che il consumo è un’attività produttiva a livello

simbolico. Le attività di consumo, infatti, permettono all’individuo di ridefinire continuamente la

propria identità e il proprio ruolo sociale; nello stesso tempo diventano mezzi attraverso i quali

creare e rafforzare le relazioni interpersonali che conducono alla costituzione di particolari forme

comunitarie (Arvidsson, 2006: 18-23). Questi processi non sarebbero stati possibili senza

l’evoluzione di un ambiente mediatico sempre più differenziato. Attraverso il sistema delle

comunicazioni di massa e quello pubblicitario il consumo è divenuto sempre più comunicazione

e rappresentazione, “produce cioè delle immagini ‘prefabbricate’ e totalmente ‘pubblicitarie’

nelle quali potersi identificare e grazie alle quali poter interagire con gli altri

individui” (Codeluppi, 1989: 14).

Se da una parte l’etimologia del termine consumo (dal verbo latino consūmere) rievoca

pensieri di logorio di ciò che si è acquistato, dall’altra, l’eccezionale sviluppo dell’economia dei

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servizi ha mostrato che ciò che stiamo acquistando non si esaurisce affatto con l’uso materiale

che ne facciamo. Per molti consumatori, infatti, il massimo valore d’uso dei beni consiste nel

loro linking value, vale a dire la capacità dei prodotti di mediare e rendere più salde le relazioni

sociali sorte nei contesti di consumo (Cova, 1997). E questo non riguarda esclusivamente i casi

particolari dei membri delle subculture come gli appassionati e centauri della Harley Davidson

(Shouten e McAlexander, 1995), i cultori e sfegatati di Star Trek (Kozinets, 2001) o i nostalgici e

quasi mistici possessori del Newton Apple Pad (Muñiz e Jensen, 2005). Come sostiene

Arvidsson (2006), anche per le persone comuni il consumo e le pratiche di consumo producono

forme comunitarie.

Muñiz e O’Guinn (2001) hanno mostrato che molti consumatori delle periferie americane

formano spontaneamente delle comunità intorno a marche come Saab, Macintosh o Ford.

L’aggregazione comunitaria attraverso il consumo non dipende solo da atti compensativi degli

individui, ma è anche frutto di pratiche creative e produttive da cui la comunità si genera

spontaneamente.

2.2 Il nuovo soggetto consumatore

Attraverso l’influenza degli studi culturali, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta le

ricerche sul consumo hanno progressivamente spostato il loro interesse su questioni socio-

emozionali, vale a dire sull’esperienza di consumo e sulle sensazioni, le immagini e le fantasie

che gli individui associano ai beni o alle stesse pratiche di consumo. Si tratta di un approccio

interpretativo – lontano dalle metodologie positiviste, cognitiviste e behavioriste – che guarda

all’esperienza di consumo non come un processo individuale, ma come un fenomeno sociale e

una forma di espressione culturale, determinato dall’interdipendenza tra il consumatore e le

strutture sociali con cui egli entra in contatto. Attraverso l’uso dei beni, la condivisione di

specifici rituali di consumo e la presenza nelle “cattedrali consumistiche” (centri commerciali,

parchi a tema etc.), l’individuo si identifica e si integra nel contesto sociale (Douglas e

Hisherwood, [1979] 1984). Il contesto e il vissuto quotidiano diventano quindi imprescindibili

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per il ricercatore che tenta di analizzare come un gruppo di soggetti costruisca la propria realtà

intorno alle pratiche di consumo4. Il consumo inizia a questo punto ad essere studiato

antropologicamente “dal punto di vista dei nativi”.

L’immaginazione sociologica ci permette di pensare il consumatore come un soggetto

“assemblato” attraverso una serie di processi tecnici che non tendono a renderlo passivo o attivo,

ma a mobilizzarlo. Miller e Rose (1997) hanno mostrato come la costruzione di una serie di

rappresentazioni del consumatore da parte di un famoso centro di ricerca di mercato, il Tavistock

Institute of Human Relations (TIHR), abbia operato dal di dentro, contribuendo a dare forma

all’economia dei consumi, concentrandosi sull’idea di un consumatore, se così si può dire, in

divenire. Nel periodo fra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta si sono sviluppate particolari

tecniche di controllo e studio delle pratiche di consumo. Al contrario di quanto sostenevano i

teorici critici, gli studi sui consumatori avevano poco a che vedere con l’invenzione e

l’imposizione di falsi bisogni e si focalizzavano invece sul quel “delicato processo di

identificazione dei ‘veri bisogni’ dei consumatori da mettere in relazione a particolari prodotti

per poi ricondurli analiticamente alle pratiche del loro utilizzo” (Miller e Rose 1997: 6).

La centralità della dimensione di senso nelle pratiche di consumo si riflette nello

straordinario potere assunto dalle marche commerciali. La marca non rappresenta solo una sorta

di promessa implicita di qualità che il cliente si aspetta dai beni che acquista. Il coinvolgimento

emotivo da parte degli individui è indispensabile affinché s’instauri un legame di fedeltà alla

marca che consenta alle aziende di praticare sul mercato una concorrenza sempre più

conveniente. La marca diventa soprattutto un emblema grafico, disseminato in numerosi contesti

che evoca negli individui idee ed emozioni anche non esplicite – si pensi al famoso swoosh della

Nike (quella sorta di baffo con cui si firma), sul quale l’azienda ha costruito un immaginario

collettivo accompagnato dal semplice slogan just do it5. In questo senso, quando consumiamo un

prodotto consumiamo prima di tutto la sua immagine (Baudrillard, [1970] 1998), la quale,

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4 Le prime teorie sociali della vita quotidiana moderna furono di Simmel, Kracauer e Benjamin, i quali, non a caso, rivolsero l’attenzione soprattutto al tentativo di dar senso all’esperienza della vita nei nuovi spazi urbani e alla nascente cultura del consumo.

5 Questo slogan potrebbe essere considerato una rielaborazione di Do it! (1970), titolo del più importante testo di Jerry Rubin, famoso attivista statunitense degli anni ’60 e ’70. Rubin, fra l’altro, dopo il periodo anticonformista divenne imprenditore e uomo d’affari di successo.

tuttavia, non si esaurisce in un processo di simulazione come vorrebbe Baudrillard, ma diventa

qualcosa di concreto e denso di ricchezza comunicativa.

Oltre ad essere un mezzo di produzione di significati e socialità, la marca funziona come

un frame goffmaniano, creatore di contesti che anticipano determinati stili di vita e trends di

moda. Le strategie del brand management trasformano sia le marche che i contesti della vita

quotidiana in capitale immateriale e la vita stessa in una sorta di lavoro.

2.3 Le comunità di marca

Il fenomeno delle comunità di marca non è ancora molto studiato dai sociologi. Al contrario vi

sono molti contributi nella letteratura sul marketing, interessati ad analizzare strumentalmente le

variabili che condizionano la partecipazione sociale nelle aggregazioni di consumo (si veda

Algescheimer, Dholakia, e Herrmann, 2005; Bragozzi e Dholakia, 2006; Cova, 1997; 2003).

Le comunità di marca sono gruppi sociali che possono essere formati da migliaia di

persone, spesso animate da piccoli sottogruppi con una forte identità sociale condivisa e una

missione. Più che con l’ampia comunità di individui (anche sconosciuti) con cui si condivide la

passione per una marca, ci si identifica primariamente con uno specifico gruppo, che diventa

progressivamente un gruppo amicale. Questo è dimostrato dalla ricerca etnografica di Bagozzi e

Dholakia (2006), i quali, considerando le comunità di marca come small group based, offrono

importanti approfondimenti sulle variabili sociali e psicologiche che motivano la partecipazioni

degli individui nelle aggregazioni comunitarie di consumo. In questi piccoli gruppi, caratterizzati

da rapporti d’amicizia e da interazioni faccia a faccia fra i membri, l’attività legata al mondo

della marca si combina con attività di natura sociale diversa.

In Brand community, Muñiz e O’Guinn (2001) riconoscono su basi empiriche la natura

eminentemente sociale delle marche, alla cui produzione contribuiscono attivamente i

consumatori creandogli intorno un capitale culturale. Tale ricerca sul campo è stata condotta sia

offline che online su tre comunità di marca – nello specifico di Ford Bronco, Macintosh e Saab –

attraverso interviste faccia a faccia effettuate in un quartiere urbano-periferico e l’analisi degli

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spazi web creati dagli utenti o dai club appassionati delle suddette marche e prodotti. Secondo gli

autori le comunità di marca sorgono e si sviluppano principalmente sulla base di tre

caratteristiche:

- la coscienza di specie, ovvero la combinazione fra quella sorta di legame intrinseco

che ogni membro della comunità prova l’un l’altro e quel senso collettivo di diversità

provato nei confronti di chi non fa parte della comunità6. Attraverso il confronto con i

significati di una marca rivale, aumenta la comprensione dei significati della marca a

cui si è affezionati e si rinforza sia la loyalty (fedeltà) nei suoi riguardi7, sia l’identità

sociale della comunità;

- la condivisione di tradizioni e rituali, che permette di tramandare la storia e la cultura

della comunità e di rafforzare i legami di solidarietà fra gli individui che vi

appartengono. La condivisione dei racconti sulla marca rientra in questo secondo

indicatore; le storie che riguardano le esperienze di consumo di chi fa parte della

comunità oltre a contribuire ad aggiungere nuovi significati alla marca e al suo

mondo, rafforza i legami all’interno della comunità;

- il senso di responsabilità morale avvertito sia nei confronti dei singoli membri che

verso la comunità nel suo insieme. A regolare la responsabilità morale è una sorta di

coscienza sociale, molto simile al concetto durkheimiano di ‘coscienza collettiva’, che

non solo arriva a definire ciò che è giusto e sbagliato, ma produce anche una base per

le azioni collettive. Ad esempio, l’abbandono di una comunità di marca è visto come

un vero e proprio tradimento ed è condannato collettivamente. Inoltre, la coscienza

sociale sviluppa una senso di solidarietà che i membri interiorizzano e che spesso li

porta ad aiutare perfetti sconosciuti nella soluzione di problemi relativi ai prodotti e a

condividere informazioni sulle marche.

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6 In sostanza, si tratta della ‘comune appartenenza soggettivamente sentita’ descritta da Max Weber ([1922] 1999: 38)

7 I marketers definiscono tale fenomeno come ‘processo di lealtà oppositiva di marca’ (oppositional brand loyalty).

Un ulteriore passo avanti nella ricerca sulle comunità di marca è rappresentato dal

contributo di McAlexander, Schouten e Koening (2002), i quali hanno condotto un’etnografia dei

brand fest organizzati dagli appassionati della marca Jeep (i cosiddetti “Jeep Jamborees”). I

risultati di questo lavoro oltre a confermare le caratteristiche delle comunità di marca descritte da

Muñiz e O’Guinn (2001), hanno fatto emergere un quadro più ampio. Le osservazioni

etnografiche degli eventi di marca offline, concentrate sulla partecipazione degli individui, hanno

mostrato come in tali circostanze il tessuto di relazioni fra i consumatori, i prodotti, la marca e

l’azienda, si fortifichi. Prendendo in considerazione una rete di relazioni sociali più estesa

rispetto ai lavori precedentemente citati, questi autori hanno costruito un modello (Costumer-

Centric Model) secondo cui il nodo centrale della comunità di marca è il consumatore, attorno al

quale troviamo altri consumatori, il mondo della marca, il prodotto di consumo e l’impresa che

lo produce. Si tratta di un punto di vista diverso da quello di Muñiz e O’Guinn, i quali hanno

invece teorizzato una sorta di triade consumatore-marca-consumatore che trascura il capitale

culturale che si sviluppa nelle comunità di marca.

Le comunità di marca online rappresentano un esempio emblematico del passaggio da

un’economia materiale ad un’economia dell’informazione, basata sulla conoscenza e la

comunicazione interattiva. Come “spazi parlanti” definiti da forme di dialogo online, esse

esercitano il doppio ruolo di moltiplicatori di senso e diffusori dei valori del mondo di una

determinata marca. Lo spazio web ha consentito alla marca di sfruttare le rivoluzioni digitali per

stimolare l’interazione sociale intorno a se stessa. L’ingresso comunicativo della marca in rete è

iniziato con la semplice offerta di maggiori informazioni attraverso l’indirizzo e-mail, per poi

svilupparsi in forme più complesse – quali le chat, i forum, e i newsgroup – che hanno consentito

ai consumatori di assumere un ruolo attivo nella definizione e costruzione del mondo della

marca. Uno slogan emblematico dell’apertura al consumatore attivo è quello del marchio Coop,

la Coop sei tu, preso come fondamento della comunità online e-coop.

Le comunità di marca che sorgono in rete non sono delle semplici sezioni comunicative

di un più ampio sito web; rappresentano un intero spazio online dedicato al dialogo, al dibattito,

allo scambio di idee, informazioni ed esperienze. Possono essere suddivise in due grandi macro-

tipologie: 1) brand community created for consumers, ovvero comunità costruite principalmente

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dalle aziende per essere messe a disposizione degli utenti di una determinata marca, prodotto o

servizio; 2) brand community created by consumers, ovvero comunità che sorgono

spontaneamente dalla volontà degli appassionati di una determinata marca, prodotto o servizio.

Le comunità costruite per i consumatori si suddividono a loro volta in due sottocategorie: una

prima in cui la marca è l’oggetto principale di un flusso comunicativo strettamente legato a

discorsi commerciali e la dimensione relazionale funge più che altro da strumento di diffusione

di questi; la seconda sottocategoria, invece, si caratterizza per il fatto che la marca occupa una

posizione secondaria negli scambi dialogici fra gli individui, i quali scelgono liberamente gli

oggetti delle discussioni. Le brand community created for consumers si formano sulla base di

fattori di propulsione sia simbolici, strettamente legati alla “capitalizzazione del sistema valoriale

della marca” (Musso, 2005: 81), sia sociali, dipendenti dal ruolo che la marca può ricoprire nelle

relazioni sociali di (e fra) chi la consuma e all’interno del più ampio tessuto sociale.

Naturalmente, affinché tali fattori siano efficaci è necessario che le aziende operino un’attenta

trasposizione in rete di ciò che rappresenta il mondo offline della marca in questione. In altre

parole, il dialogo attraverso internet non può essere esclusivamente un canale di comunicazione

alternativo, per garantire il successo di una comunità di marca deve riprodurre un sistema co-

agente che crei intertestualità fra le relazioni sociali online e offline.

In Italia, i casi di comunità di marca che prendono vita spontaneamente grazie alla libera

iniziativa dei cultori di un determinato brand sono sempre più frequenti e rilevanti. Un esempio

emblematico è rappresentato dalla comunità online della famosa casa di motociclette Ducati, una

comunità che è diventata in poco tempo un luogo d’incontro dei “ducatisti” di tutto il mondo e

che ha rafforzato il senso di appartenenza dei membri, organizzando anche molti eventi offline.

Le comunità di questo tipo sono caratterizzate sia da fattori emotivi, strettamente legati alla

condivisione di una passione per una determinata marca, sia da fattori socio-culturali.

Potenzialmente, sono aggregazioni che possono sorgere intorno a qualsiasi marca, anche se la

maggior parte di esse vengono costruite intorno a marche che hanno un’immagine famosa e già

consolidata. I dialoghi che si sviluppano al loro interno hanno degli effetti nella quotidianità

degli individui, sono importanti propulsori della cultura di una marca e contribuiscono inoltre a

perpetuarne la storia. Attraverso lo storytelling, inoltre, si genera una produzione immateriale

| 15 | working paper no. 3

fatta di saperi indipendenti, spesso molto articolati, che vanno oltre quelli legati alle fonti

ufficiali delle imprese commerciali.

In sostanza, con le brand community created by consumers la marca diventa un semplice

tassello delle complesse reti di relazioni sociali, al cui centro troviamo l’esperienza che il

consumatore ha di essa – il Costumer-Centric Model teorizzato da McAlexander, Schouten e

Koening (2002) coglie proprio questo passaggio. Il consumatore assume il ruolo di prosumer,

figura che in qualche modo integra le funzioni di consumatore e produttore. Immaginando un

mercato saturo dal momento in cui la produzione di massa soddisfa la domanda basica dei

consumatori, si intuisce che il ruolo del consumatore e del produttore inizia a fondersi e

confondersi. Questo perché il mondo imprenditoriale del sistema capitalistico per continuare a

perseguire il profitto, deve avviare una sorta di massificazione produttiva, ovvero una produzione

di massa di prodotti assolutamente personalizzati.

3. Online ethnography

3.1 La ricerca sociale online

L’utilizzo di Internet non è isolabile dal più ampio contesto comunicativo, sociale, economico e

politico. In questo senso, un concetto utile per costruire delle ipotesi conoscitive durante lo

studio dei fenomeni in rete è quello di ecologia comunicativa, ovvero l’insieme dei flussi di

comunicazione e informazione di un luogo e delle esigenze e pratiche comunicative che

caratterizzano quel luogo (Manzato e Soncini 2004: 226). La stessa tecnologia che ridefinisce,

potenzia e altera i modi di comunicare degli esseri umani è il risultato di un processo culturale in

divenire costituito di interpretazioni e rappresentazioni. I mass media sono ambienti che, oltre a

ospitare interazioni di varia natura, contribuiscono a modellarle. Quindi, le comunità online sono

tecnologicamente strutturate in quanto le caratteristiche tecniche del medium determinano la

forma delle informazioni che vengono scambiate e, conseguentemente, il modo con cui vengono

percepite dagli attori sociali.

| 16 | working paper no. 3

Molte caratteristiche della Comunicazione mediata dal computer (“Cmc”), indicate dagli

studiosi come specifiche di questa forma comunicativa, ad un’attenta osservazione risultano in

realtà essere comuni ai mezzi di comunicazione più datati − anche quando ci si riferisce agli

elementi di novità messi in correlazione con la velocità o l’economicità. Un esempio

curiosamente emblematico è rappresentato dal servizio postale londinese del XIX secolo, il quale

realizzava la consegna della posta più volte al giorno, se non addirittura ad ogni ora nel corso

dell’orario lavorativo. Questo consentiva quei rapidi, frequenti ed economici contatti quotidiani

che oggi sono considerati caratteristica specifica della posta elettronica (Paccagnella, 2000). Le

caratteristiche peculiari della Cmc riguardano la malleabilità comunicativa delle reti telematiche

e una concezione profondamente spaziale delle stesse. La malleabilità comunicativa si riferisce

alle varie possibilità applicative che le reti offrono: trasmissione di testi scritti, immagini, suoni,

video e dati di vario genere; per non parlare dell’attuale possibilità di condividere in rete

immaginifiche realtà virtuali attraverso applicazioni quali Second Life, Imvu, World of Warcraft,

The Sims. Altro elemento di novità della Cmc consiste nell’usare la rete in quanto luogo.

Essendo prima di tutto un luogo cognitivo e sociale, il cyberspazio non corrisponde alla realtà

virtuale, la quale si configura piuttosto come tentativo simulazione degli spazi fisici che

frequentiamo ogni giorno. Il senso di presenza sociale, ovvero la sensazione di trovarsi in un

posto insieme ad altre persone, che si ricava tramite le interazioni mediate dal computer è

influenzato dal luogo virtuale in cui ci s’incontra ed è fortemente incrementato da il linguaggio

usato in rete.

In rete, gli atti comunicativi sono indispensabili a riconoscere gli individui che

interagiscono: chi non comunica non esiste. E occorre comunicare rapidamente. Di conseguenza,

il linguaggio in rete assomiglia a una sorta di oralità scritta che tenta di coniugare, all’interno

dello stesso e particolare registro linguistico, la spontaneità dell’oralità con le caratteristiche più

riflessive della scrittura. Nella Cmc esistono delle pratiche comunicative che, una volta

padroneggiate grazie all’esperienza fatta sul campo interagendo con gli altri, consentono di dare

alle conversazioni delle ‘tonalità’ diverse. Quando si comunica in modo asincrono come nei

forum, ad esempio, vi è la pratica automatizzata di ripetere i messaggi a cui si intende

rispondere, per non perdere quella dimensione discorsiva e informale che altrimenti, con

| 17 | working paper no. 3

l’aumentare dell’intervallo di tempo fra un messaggio e l’altro, potrebbe esaurirsi. Tale pratica ha

avviato in rete forme di colloquio peculiari che in taluni casi durano anni e si articolano intorno a

vari temi. Chiaramente, una pratica di questo tipo, oltre a ovviare potenziali caos comunicativi

quando vi sono spazi web molto affollati, consente agli interlocutori di mantenere dei registri

linguistici non molto diversi da quelli utilizzati nelle conversazioni faccia a faccia.

Chi comunica in rete si esprime anche attraverso specifiche disposizioni del testo che

consentono di mantenere le caratteristiche del contenuto dei messaggi; si bada così alla formalità

del linguaggio, allo stile grafico, alla simmetria dell’impaginazione etc. In rete si sono sviluppate

moltissime convenzioni creative che hanno permesso di arricchire il linguaggio e i processi di

comunicazione; si pensi all’uso degli asterischi per dare enfasi alle parole o al fatto di ricorrere

alle maiuscole come volontà di alzare la voce o, ancora, alle numerose abbreviazioni che

dipendono dalla necessità di velocizzare la comunicazione attraverso il testo digitato sulla

tastiera – per non parlare delle combinazioni di caratteri, i cosiddetti emoticon (o smiles), usati

soprattutto per sopperire alla mancanza di codici non verbali nella Cmc.

3.2 I forum come ambienti di rilevazione

È stato scelto il forum della comunità di marca CanonClubItalia.com come principale ambiente

di rilevazione perché il forum rappresenta un contesto importante per lo sviluppo di relazioni

interpersonali tra soggetti, che pur condividendo le stesse passioni e interessi, probabilmente non

si sarebbero mai potuti incontrare di persona. Le relazioni che si articolano dagli scambi

comunicativi nei forum online sono in grado di sviluppare ruoli sociali diversificati, norme e

istituzioni. Il nuovo arrivato, ad esempio, viene definito newbie ed è riconoscibile dagli altri

individui per la poca padronanza del linguaggio o per il poco senso di orientamento nello spazio

web. Al momento della mia presentazione all’interno del forum, fatta attraverso la creazione di

una discussione, i primi due interventi sono stati i seguenti: “Forse la sezione non è la più

appropriata, forse era meglio la sezione Relax. Ciao”, scritto dall’utente michelevangeista alle

ore 17.15 del 27 aprile (pochi minuti dopo il mio messaggio); “Forse è meglio che impari a

| 18 | working paper no. 3

muoverti prima nella comunità! Sposto in Area Relax” scritto dall’utente, nonché moderatore del

forum, Blue_dream alle 17.26 dello stesso giorno. Ogni utente membro di CanonClubItlaia.com

è automaticamente categorizzato (vedi figura 3.2) e il suo “appellativo” è visibile a tutti;

tuttavia, nella suddetta occasione ho confermato, con la mia inesperienza, il fatto di essere un

newbie. Ho postato il messaggio di presentazione in un’area del forum che poco si addiceva a

tale scopo (ecco perché: “Sposto in Area relax”8).

Ogni aggregazione comunitaria che sorge in rete riconosce al suo interno una

molteplicità di ruoli sociali che si vengono a delineare sulla base di determinate aspettative di

comportamento. Si tratta di personaggi del palcoscenico online che ricoprono ruoli che si

costituiscono nell’immediatezza delle interazioni che avvengono in rete. Oltre ai newbie, ad

esempio, ci sono i cosiddetti lurker e lamer. I primi si iscrivono a mailing list o frequentano

newsgroup, forum, blog etc., leggendo con grande attenzione i messaggi di questi spazi web, ma

senza mai scrivere nulla. Il termine lamer, invece, indica quegli utenti del web che utilizzano gli

strumenti comunicativi in maniera anomala al fine di disturbare l’attività online degli altri utenti.

Figura 3.2 Profilo visibile a chiunque; si trova di fianco ad ogni messaggio che il membro della comunità posta nel forum.

| 19 | working paper no. 3

8 L’ ‘area relax’ è in realtà una sottosezione della parte del forum intitolata ‘Off Topic’. Le altre sezioni sono: ‘Corredo Canon’, ‘Approfondimenti’, ‘Contest & Gallery’, ‘Altre Marche di Fotocamere’ e ‘Mercato dei Lattarini’. L’ ‘area relax’ viene descritta nella comunità come uno spazio ‘riservato a discussioni OT (off topic). Non collegate alle altre sezioni’.

Negli ambienti comunitari online, il ruolo sociale che determina specifici diritti e doveri

viene stabilito anche attraverso procedure formali – ad esempio attraverso delle elezioni. Fra i

ruoli più importanti e riconosciuti ufficialmente, ricordiamo ad esempio: il sysop, ovvero

l’amministratore del sistema; il mediatore, che si occupa come una sorta di censore di

controllare i messaggi che vengono postati, ma anche di offrire spunti di discussione; il channel

operator, ovvero colui che ha la facoltà di allontanare (ban) o vietare l’accesso a determinati

spazi web quei soggetti che per qualche ragione sono stati considerati devianti o pericolosi.

In sostanza, in rete non vengono meno quei meccanismi che stabiliscono la nostra

posizione rispetto agli altri in un determinato contesto sociale. Inevitabilmente, tali meccanismi

hanno prassi diverse rispetto a quelli che si avviano nelle interazioni faccia a faccia, ma il loro

carattere relazionale è comunque evidente. Proprio perché le interazioni online avvengono

primariamente in maniera cognitiva, senza l’intervento del nostro corpo fisico a mediare i

processi di comunicazione, la costruzione e la presentazione del Sé assume una particolare

rilevanza.

3.3 La cyberetnografia

Quando l’oggetto dell’indagine sociale e il principale strumento di rilevazione coincidono, come

avviene spesso studiando i fenomeni in rete, le tradizionali metodologie e tecniche di ricerca non

possono semplicemente essere ‘trasferite’ nell’ambiente virtuale. Gli strumenti e gli ambienti di

rilevazione che il ricercatore ha a disposizione in fase di indagine – motori di ricerca, librerie

online, forum, blog etc. – rappresentano delle risorse che presuppongono delle scelte

metodologiche attente e pongono il ricercatore di fronte a nuove opportunità e limiti. L’utilizzo

delle comunità online come ambienti di ricerca solleva problemi ai quali non vi è soluzione

unanime. Anche per questa ragione, fino a pochi anni fa la maggior parte della ricerca sociale che

si era occupata delle comunità online, lo aveva fatto considerandole principalmente come

oggetto di studio piuttosto che come strumento attraverso il quale raccogliere i dati.

| 20 | working paper no. 3

Nel lavoro qui presentato, l’attenzione è stata focalizzata principalmente sulle interazioni

fra i membri della comunità che inviano messaggi nel forum di discussione9. Naturalmente, è

stato oggetto di osservazione anche ciò che avveniva negli altri spazi web offerti dalla comunità,

ad esempio nei blog legati . Il blog è uno spazio in rete in cui è possibile condividere esperienze,

esprimere liberamente la propria opinione, scrivere notizie, informazioni e storie di ogni genere.

A differenza del forum, tuttavia, il blog è uno spazio online gestito autonomamente, dove si

archiviano le proprie idee, riflessioni e commenti in tempo reale o in modo asincrono. Per queste

ragioni, il blog rappresenta una sorta di diario personale e pubblico allo stesso tempo perché

arricchito dal pensiero altrui e dalla costruzione di un proprio network, il quale viene evidenziato

dal cosiddetto blogroll, porzione che contiene i link ad altri spazi web simili. Il blog identifica

fortemente il proprio curatore (blogger) come individuo digitale (o nettadino) che si guadagna la

reputazione sul campo attraverso delle “pubbliche confessioni”. Il blog può essere considerato a

ragione uno degli artefatti più maturi di Internet, un modello emblematico di fusione fra unità

sociali (quindi umane) e tecnologiche.

L’osservazione partecipante online ha fatto emergere questioni importanti sulle comunità

che sorgono in Internet. Molti risultati sarebbero stati difficilmente raggiungibili con altri metodi

di ricerca. Si pensi alla difficoltà di studiare temi quali l’identità che si costruisce in rete

attraverso pseudonimi (nickname10) o “maschere virtuali” (avatar) che consentono agli individui

di interagire in uno spazio apparentemente protetto e riservato; le esperienze e i vissuti degli

individui legati ad una corporeità prettamente testuale; i motivi di partecipazione; le gerarchie

all’interno della comunità; la condivisione di valori e rituali; i significati simbolici di certi

comportamenti; il linguaggio peculiare usato in rete etc.

Il forum considerato rappresenta un insieme di pagine web all’interno del sito

CanonClubItalia.com che consente di visualizzare e leggere una serie di messaggi pubblicati in

| 21 | working paper no. 3

9 Nonostante la chat della comunità rappresentasse uno spazio potenzialmente molto interessante − essendo una sorta di ‘stanza’ virtuale che permette a più utenti di interagire in modo sincrono – non è stata utilizzata come ambiente di rilevazione per il suo raro utilizzo da parte degli stessi membri della comunità. La chat è forse lo spazio di interazione più originale della rete, come strumento comunicativo non ha nel mondo offline qualcosa che possa essere considerata come una sua corrispondenza.

10 La scelta del nickname sembra ricollegarsi all’importanza che il nome aveva nelle società tribali, nelle quali esso indicava in modi diversi la genealogia dell’individuo all’interno del tessuto sociale.

bacheca e di scriverne di nuovi; per partecipare al forum in questione bisogna essere iscritti alla

comunità. La creazione del forum è stata frutto dell’iniziativa dei tre amministratori di

CanonClubItalia.com, i quali lo moderano insieme da altri tredici utenti. Gli amministratori e tre

utenti definititi moderatori globali hanno il diritto di moderare qualsiasi parte del forum, gli altri

dieci utenti moderano determinate sezioni; le scelte di questi ruoli sono collegiali, e dipendono

dal livello e dalla qualità di intervento delle persone selezionate11.

In genere, chi interviene nei forum partecipa a scambi comunicativi di vario genere

condividendo conoscenze, interessi ed esperienze più o meno coinvolgenti avute sia nel mondo

online che in quello offline. Parafrasando Jones (1999), chi usa Internet è parte del “mondo

fisico” tanto quanto fa parte del cyberspazio; l’esperienza online è strettamente legata

all’esperienza offline. Una discussione avviata il 29/03/08 sul forum di CanonClubItalia.com

dall’utente carmelo68, ad esempio, ha avuto come oggetto un grave furto di attrezzatura

fotografica subito da un suo collega fotografo. Alla discussione, composta da un totale di 32

messaggi (l’ultimo messaggio è stato scritto dall’utente naps il 20/04/08), hanno partecipato altri

diciannove membri della comunità e ha avuto un totale di 1618 visite. Nei messaggi della

discussione si sviluppano una serie di rapporti interpersonali basati su sentimenti di fiducia

reciproca, mutuo-aiuto e solidarietà.

Nella ricerca online, lo sguardo etnografico si è ridimensionato soprattutto in relazione a

questioni e problemi diversi con i quali gli etnografi si sono dovuti confrontare sul campo. La

cyber etnografia accede a campi d’indagine inesplorati, osserva ambienti e contesti sociali che

hanno una natura diversa da quelli studiati dal metodo etnografico tradizionale. In Internet le

interazioni non avvengono in una serie di spazi fisici attigui di cui lo sguardo etnografico riesce

bene o male a tracciarne i confini. Al contrario, le interazioni online avvengono in ambienti

costituiti da un insieme di flussi di informazioni (Castells, 2002). Lo “spazio dei luoghi” viene

sostituito dallo “spazio dei flussi e della connettività”. Gli elementi alla base delle interazioni

sociali online, infatti, sono proprio quei i flussi di informazioni che non hanno una precisa

| 22 | working paper no. 3

11 Questa informazione è ripresa da una mail che ho ricevuto personalmente da Domenico, uno dei tre amministratori di CanonClubIalia.com, con il quale ho iniziato una corrispondenza via posta elettronica a partire dal giorno 27/04/08, data in cui mi sono presentato alla comunità come ricercatore. Domenico si è reso fin dall’inizio molto disponibile a darmi informazioni su CanonClubItalia.com, progressivamente è diventato il mio più autorevole informatore, lo spokesperson della comunità.

scansione temporale. Sono le modalità e i tempi con cui ogni partecipante decide di fruire di uno

o più flussi d’informazione a determinare la tempistica dei tasselli principali dell’osservazione

etnografica, ovvero dei messaggi inseriti nei forum, nelle chat, nei newsgroup etc. (Rossi, 2007).

Le interazioni online, quindi, avvengono in ambienti che sono definiti anche a discrezione del

ricercatore. In altre parole, è compito della cyberetnografia sia definire in parte l’ambiente di

interazione, sia individuare la linea di una continuità narrativa. Di conseguenza la nozione di

campo sociale va adattata alle caratteristiche della rete, spazio i cui confini spesso invisibili e

labili possono essere individuati solo attraverso un continuo processo di ridefinizione che non

può avvenire a monte della discesa sul campo da parte del ricercatore (Hine, 2000; Risi, 2006,

Teli, Pisanu e Hakken, 2007)12.

Fra le critiche avanzate alla cyberetnografia vi è quella secondo cui tale metodo di ricerca

è “ comodo”, in quanto la conduzione degli studi sul campo avviene seduti davanti al proprio

computer. È quasi inutile entrare nel merito di tale questione; con quali criteri si costruisce una

scala che consenta di misura il grado di comodità? Ma soprattutto, che importanza ha? È molto

rilevante, invece, il fatto che in rete il concetto di posizione privilegiata dell’etnografo assuma

una connotazione peculiare. Da un certo punto di vista il ricercatore si trova nella medesima

posizione degli utenti che interagiscono. In rete il processo going native, ovvero quella sindrome

di Stoccolma che induce il ricercatore ad iniziare a pensare e vedere una determinata realtà come

un originario del luogo, si attiva molto più velocemente. Il rischio è di diventare “uno di loro” e,

quindi, di confondere il ruolo di studioso con quello di chi partecipa attivamente all’attività

osservata, influenzando così la ricerca.

L’idea di un campo di ricerca chiuso e ben definito è stata gradualmente messa in

discussione pure nell’ambito dell’etnografia tradizionale. Fra le cause principali vi sono gli

effetti della pervasività delle comunicazioni mediali. In confronto, il contesto di una comunità

online è multi-sited, è formato sia dai contesti strettamente legati al cyberspazio e, quindi, dalle

dinamiche che avvengono in rete, sia dai contesti offline d’uso e di accesso a Internet, inteso

| 23 | working paper no. 3

12 Perlomeno, la definizione del dei confini non può essere effettuata una volta per tutte prima della discesa sul campo. Un’iniziale circoscrizione dell’oggetto di studio, in questo caso della comunità online, è comunque consigliabile.

come tecnologia e artefatto culturale (Hine, 2000). Per questa ragione, una delle principali sfide

della cyberetnografia consiste nel processo di definizione dei confini delle comunità online.

Altre questioni metodologiche molto problematiche della cyberetnografia (fra loro

strettamente correlate) riguardano la possibilità di simulazione dell’identità dei membri delle

comunità online e l’etica del ricercatore legata al tema della privacy (si veda Gatson e Zweerink,

2004: 181-184). È inevitabile che la mancanza di una copresenza fisica fra ricercatore ed

informatori renda più difficoltosa la verifica della veridicità dei dati raccolti 13 . È vero che gli

informatori possono mentire al ricercatore anche in un contesto di interazione faccia a faccia,

tuttavia la copresenza fisica permette di riconoscere più facilmente eventuali distorsioni. In ogni

caso, è stata smentita l’idea secondo cui le identità in rete rappresentano delle fughe dalla realtà.

La costruzione identitaria online non è separabile dalla vita di tutti i giorni, si costruisce

attraverso i messaggi che si formulano scrivendo in un contesto conversativo che recupera in

modo iconografico molti tratti dell’oralità (Risi, 2006). In rete ci si posiziona socialmente

rispetto agli altri attraverso atti linguistici che hanno valenza performativa.

Nella cyberetnografia, la privacy occupa un ruolo cruciale. Il rapporto fra pubblico e

privato in rete, del resto, rappresenta uno degli argomenti più dibattuti e delicati in quanto i

confini dei due ambiti non sono chiari. Una regola ormai divenuta consuetudine nelle ricerche

etnografiche riconosce come legittimi oggetti di studio quei comportamenti che avvengono in

spazi pubblici, mentre prevede che nel caso in cui il ricercatore intendesse osservare delle

interazioni in contesti privati debba chiedere il consenso ai soggetti coinvolti. Nel nostro caso, il

nodo cruciale della questione si riassume nella domanda che si pongono Manzato e Soncini

(2004: 232): “Fino a che punto possiamo considerare la presenza – che in rete può essere tenuta

del tutto segreta – del ricercatore e la sua attività di raccolta dati come una violazione della

privacy dei soggetti interagenti?” Il forum, ad esempio, è un ambiente pubblico o privato?

Inoltre, come nota Cavanagh (1999), quando si ha a che fare con uno spazio web in cui si

scambiano testi, immagini e suoni, oltre che ad una questione di privacy, la responsabilità

dell’etnografo sembra essere legata ad un problema di copyright. Probabilmente, la natura

| 24 | working paper no. 3

13 Esistono addirittura delle comunità, i cosiddetti MUD, che si basano proprio sulla ‘simulazione identitaria’ dei partecipanti.

pubblica o privata degli spazi web è definibile unicamente sulla base delle considerazioni che a

riguardo, di volta in volta, fanno i soggetti osservati. Essere in grado di stabilire che tipo di

percezione hanno gli informatori dello spazio in cu stanno interagendo, aiuta sicuramente a

comprendere meglio i comportamenti e i percorsi di senso che attivano.

4. Il caso ‘CanonClubItalia.com’

4.1 Disegno di ricerca, accesso e negoziazione

La scelta di CanonClubItalia.com (d’ora in poi CCI) come case study della ricerca non è stata

casuale. Al dì là di un personale interesse per il mondo della fotografia, prima di iniziare la fase

empirica della ricerca sono entrato in contatto e-mail con Patrizia Musso, fondatrice e direttrice

responsabile di Brandforum.it14, primo osservatorio italiano sul mondo delle marche sorto in rete

nel 2000. Attraverso tale corrispondenza ho avuto la possibilità di informarmi sulle comunità di

marca online meno studiate. Il motivo per cui mi era stato consigliato di approfondire lo studio di

CCI è dipeso da due ragioni. La prima è legata al brand in sé, attorno al quale già da tempo si

erano costituite delle comunità offline di affezionati che, attraverso la comunità online, hanno ora

la possibilità incontrarsi e scambiarsi informazioni e consigli tecnici di ogni genere − il

contenuto del forum è a questo proposito altamente esplicativo. Questo evidenzia un altro fattore

interessante, ovvero la dimensione di avanzamento d’interesse per la fotografia – soprattutto

digitale – in un pubblico piuttosto ampio e articolato. La seconda ragione riguarda l’incipit del

messaggio di presentazione della comunità stessa (“prima e unica… nata per gli appassionati...

diffidate dalle imitazioni!”) che sottolinea le componenti chiave della comunità di marca online

CCI è sorta nell’agosto del 2005, è una brand community online piuttosto giovane

rispetto ad altre comunità attive in Italia con successo già dal 2001 (si veda Musso, 2005). Si

| 25 | working paper no. 3

14 Musso è anche docente universitario a contratto presso varie facoltà e corsi di laurea dell’Università Cattolica e dell’Università IULM di Milano (il suo curriculum vitae è disponibile all’indirizzo: http://www.brandforum.it/sito/chi.htm).

tratta di una realtà che nell’ambiente online riveste un ruolo centrale per l’aggregazione e il

reclutamento di potenziali canonisti. Durante il periodo di ricerca le iscrizioni alla comunità

sono aumentate quotidianamente, il numero dei membri è aumentato di parecchie centinaia e

questo non può che avere degli effetti vantaggiosi per l’azienda Canon. Per quel che concerne

alcuni dati socio-strutturali dei membri della comunità, ho verificato grazie all’aiuto degli

amministratori che la percentuale di maschi iscritti a CCI è compresa fra il 55% e il 65%15.

Questo è un dato sorprendente se si considera, come mi ha fatto notare Domenico

(amministratore della comunità), che nei forum tecnici/fotografici la percentuale femminile di

utenti è generalmente molto più bassa. Ancora, la stragrande maggioranza degli utenti proviene

dall’Italia; tuttavia ho potuto constatare che, curiosamente, alcuni membri (un numero

statisticamente insignificante) di CCI risiedono all’estero − Spagna, Regno Unito, Stati Uniti

d’America, Messico, Guatemala e Argentina. Anche l’età degli iscritti varia molto ma non è

sempre rilevabile con certezza.

Il messaggio di presentazione di CCI posto in esergo al capitolo fa intendere chiaramente

che si tratta di una brand community created by consumers; uno spazio web, quindi, nato dalla

libera iniziativa di appassionati del mondo della fotografia e cultori della marca Canon. Tuttavia,

alcuni aspetti di CCI non possono dirsi del tutto “svincolati da ogni realtà commerciale”, come

invece dichiara il messaggio. Da un certo punto di vista CCI rappresenta una realtà commerciale

in sé; basti pensare che nel menu principale della home page vi è la voce Gadget, attraverso la

quale si arriva in uno spazio web in cui è possibile acquistare una serie di oggetti con il simbolo

della comunità − alcuni capi di abbigliamento arrivano a costare 79.90 €. Per non parlare di tutti

gli spazi pubblicitari, sparsi qua e là nelle pagine web che compongono il sito, concessi (di sicuro

non gratuitamente) a diverse realtà aziendali − Google, Sony, Fuji, Nikon, Campushop.it etc. Tali

osservazioni mi hanno subito fatto pensare a CCI come ad una sorta di brand branded

community online, soprattutto per la vendita di prodotti con la marca della comunità di marca. In

ogni caso, nulla fa pensare a CCI come ad una community created for consumers, ovvero

| 26 | working paper no. 3

15 È importante sottolineare che sono dati da prendere con le pinze; abbiamo già parlato delle difficoltà e dei dubbi a cui va incontro il ricercatore quando deve reperire dai di questo tipo attraverso Internet.

costruita e messa a disposizione dall’azienda Canon per i propri utenti e consumatori (come

www.canoniani.it).

La ricerca ha avuto inizio a metà gennaio 2008 e si è conclusa nella seconda metà di

maggio − anche se le visite quotidiane alla comunità continuano (resto pur sempre un membro di

CCI appassionato di fotografia!). La prima cosa che ho fatto è stata quella di sostituire http://

www.repubblica.it/ con http://www.canonclubitalia.com/ come pagina iniziale del mio browser.

In questo modo, ad ogni mia connessione mi sono trovato sempre catapultato nel portale della

comunità. In più di un’occasione questo accorgimento si è dimostrato azzeccato − anche se mi è

costato l’essere un po’ meno informato sui fatti del giorno − infatti, ad ogni mia connessione ad

Internet corrispondeva di routine un’occhiata rapida alla comunità, anche quando non avevo

intenzione di fare ricerca.

Le mie osservazioni hanno assunto un carattere più mirato a partire dal momento in cui

ho deciso di iscrivermi alla comunità (18/02/08), decisione presa per poter partecipare,

nell’eventualità, alle discussioni del forum. Alla fine ho comunque preferito utilizzare il forum

di CCI solo per svelare la mia identità di ricercatore e per rispondere alle domande che sono

arrivate nella discussione da me avviata (27/04/08)16. Mi sono quindi presentato alla comunità

come ricercatore più di due mesi dopo la mia iscrizione. Le ricerche precedenti sulle comunità

online insegnano che il ricercatore se non partecipa attivamente alle discussioni, generalmente,

non turba i membri, i quali si sentono protetti dall’anonimato consentito dalla Cmc (si veda

Baym, 1995; Turkel, 1997). Le comunità in cui la situazione è più problematica sono quelle in

cui vi è un forte elemento subculturale che porta i membri a tutelare con decisione la propria

identità. Vi sono stati casi in cui i membri della comunità online hanno rifiutato la presenza del

ricercatore e lo hanno invitato ad abbandonare il sito (Paccagnella, 1997). Per quanto riguarda

CCI, il problema è che la maggior parte dei membri non utilizza identità fittizie. Questo dipende

da più ragioni; innanzitutto molti partecipano a incontri, eventi e meeting off line e quindi si

| 27 | working paper no. 3

16 Dopo solo sei giorni, la discussione che ho iniziato nel forum era stata visitata da più di 700 utenti ed è arrivata a comporsi di 28 messaggi, nei quali mi sono state fatte più che altro domande a proposito della mia ricerca. Nessun membro della comunità si è lamentato e qualcuno mi ha addirittura dato dei consigli. La domanda che mi ha lasciato maggiormente spiazzato è stata: ‘sei in primis un membro del CCI o un sociologo ..... ?’ La discussione ha rappresentato un ottimo backtalk nel quale ho potuto coinvolgere più membri della comunità.

incontrano di persona. Inoltre, lo status legato alle proprie capacità di fotografo gioca un ruolo

decisivo nel presentarsi con la vera identità; chi rischierebbe di non farsi attribuire le proprie

performance artistiche o tecniche?

Il periodo di ricerca sul campo è durato circa quattro mesi, tre dei quali mi hanno visto

fare delle osservazioni coperte in cui la mia identità di ricercatore e gli scopi conoscitivi del mio

lavoro non erano rivelati. È possibile suddividere tale periodo di ricerca empirica in tre momenti.

Il primo stadio è durato circa tre settimane ed è stato, per così dire, il momento esplorativo

dell’esplorazione, nel quale ho tentato più che altro di sviluppare un senso dell’orientamento

all’interno degli spazi web offerti da CCI. In questa prima fase ho anche tentato di individuare le

aree più interessanti per la ricerca e le tematiche principali del forum. In altre parole, ho sfruttato

questo tempo soprattutto per individuare i potenziali ambienti virtuali in cui raccogliere la

documentazione empirica.

Il secondo periodo sul campo è durato poco più di due mesi ed è iniziato con la mia

iscrizione alla comunità − momento a partire dal quale la mia presenza è diventata visibile ai

membri e agli utenti del sito. Tuttavia, ho continuato ad agire come un lurker; non ho contribuito

alla vita della comunità, neanche quando ho iniziato queste osservazioni meno coperte. In questo

spazio di tempo le osservazioni sono state condotte quasi quotidianamente ed in modo più

metodico − all’inizio navigavo a diverse ore della giornata, successivamente ho identificato i

momenti di maggiore attività all’interno del sito, che grossomodo coincidono con le fasce orarie

dei pasti 17. In questa seconda fase delle osservazioni ho iniziato a seguire alcune discussioni del

forum che in seguito ho archiviato per interpretare − per l’archiviazione del materiale empirico

ho utilizzato il programma open source HTTrack Website copier 3.42 18. Ho utilizzato anche un

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17 La conferma di ciò è arrivata nel momento in cui ho scoperto l’esistenza di un sito che registra le statistiche di CCI: http://www.histats.com/viewstats/?SID=192902&f=1 ; più sotto spiego come ho fatto ad ottenere l’informazione.

18 HTTrack Website Copier 3.42 è l’ultima versione di un programma che permette di copiare interi siti web o specifiche parti di esso su una cartella dell’ hard disk del proprio computer, per poi visualizzarli anche quando non si è connessi alla rete. Questi tipi di software vengono definiti browser utility off line e sono in grado di ricostruire automaticamente l’ordine completo delle cartelle e delle sottocartelle che organizzano il sito Internet a cui si è interessati. HTTrack Website Copier 3.42 è in grado di memorizzare dal server al proprio computer l’HTML, le immagini e qualsiasi altro file. È possibile scaricare gratuitamente tale programma all’indirizzo on line: http://www.httrack.com/

block notes, strumento tipico dell’etnografo che non ho abbandonato nonostante avessi potuto

usare un più immediato software di scrittura; mi è servito per prendere note veloci, ricordare

alcune intuizioni e scarabocchiare nei momenti di sconforto.

La scelta di rivelare la mia identità di ricercatore, attraverso la creazione di una

discussione all’interno del forum e l’invio di una mail agli amministratori del sito (contatto

facilmente individuabile nelle voci di menu della home page), ha rappresentato l’inizio della

terza fase del mio lavoro sul campo. Ciò mi ha consentito di instaurare una corrispondenza di

posta elettronica − iniziata il giorno stesso della mia presentazione − con Domenico, uno dei tre

amministratori di CCI. Tale corrispondenza, che fino all’ultimo giorno di ricerca sul campo è

arrivata a contenere 26 mail, è cominciata grazie alla risposta breve ma molto chiara di

Domenico al messaggio con cui ho rivelato la mia identità: “Hai tutto il mio sostegno, se ti serve

fare qualche domanda scrivimi pure…”. (Una disponibilità che l’etnografo non può farsi

sfuggire.) Così è iniziata una sorta di intervista individuale via e-mail, dettata dall’asincronicità

del canale. Con il passare del tempo mi sono potuto permettere di fare delle domande molto

dirette a Domenico, il quale nel frattempo era diventato per me il gate keeper che conosceva

molto bene la comunità e godeva della fiducia dei membri.

4.2 La comunità presenta i suoi spazi

Il primo elemento che ho considerato è il titolo della comunità in quanto per chi naviga

rappresenta l’indizio più immediato sugli argomenti trattati nel sito. Non dimentichiamoci poi

che la posizione del sito stesso nelle pagine web in cui vengono presentati i risultati di una

ricerca (banner testuali) effettuata attraverso i motori di ricerca (come Google, Live, Yhaoo, Ask

etc) dipendono in buona parte dal titolo. Fra l’altro se, come nel nostro caso, le parole che

compongono il titolo sono le stesse dell’indirizzo (URL) (vedi figura 4.5: A1) e hanno una

sintassi pertinente al contenuto del sito, la pagina è molto più trovata dai motori di ricerca, i

quali operano ottimizzando le analogie tra le parole delle pagine web e quelle dei link. Il titolo

‘Canon Club Italia’ è visualizzato in più punti della home page: oltre che nella finestra del

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broswer comunemente definita ‘barra del titolo’ (A2), balza subito all’occhio la scritta di colore

rosso (A3) posta nella parte superiore della pagina, vicino ad un’immagine che ritrae un dettaglio

meccanico di una macchina fotografica Canon. Le dimensioni della dicitura del titolo sono le più

grandi di qualsiasi testo presente nel portale e per farlo risaltare maggiormente è stato scritto con

un carattere tipografico (font) particolare rispetto a tutti gli altri.

Figura 4.5 Sezione del portale CanonClubItala.com

Di notevole importanza è poi il simbolo epigrafico (B) posto di fianco al titolo, il quale

viene automaticamente visualizzato dai browser durante la navigazione all’interno dei siti inseriti

dagli utenti nell’elenco dei ‘Preferiti’. Tale logo è quindi utile per diffondere il marchio della

comunità che, graficamente, a poco a che fare con quello dell’azienda Canon. In figura 4.5 tale

simbolo sarebbe dovuto apparire, con dimensioni ridotte, anche prima dell’URL e appena sotto la

barra degli indirizzi dove ci sono indicati tutti i siti preferiti (DizionarioWordReference, Google,

Splinder, Facebook etc.); come si può notare è sostituito da piccole pagine bianche, ciò significa

che durante la navigazione ci sono stati dei problemi di caricamento dell’immagine. In molti

spazi web il logo rappresenta anche il link che durante la navigazione, se ‘cliccato’, riporta gli

| 30 | working paper no. 3

utenti alla home page; in CCI, invece, è sempre necessario passare attraverso il link ‘Home’ (C),

presente in tutte le pagine del sito.

La frase (D) posta tra il titolo in rosso e la presentazione della comunità (E) è il

cosiddetto payoff della homepage, il quale aiuta ulteriormente i nuovi utenti ad identificare

meglio il contenuto del sito senza che si debba necessariamente leggere tutto il messaggio sotto.

Presumibilmente, molti fra i ‘nuovi visitatori’ non fanno particolare attenzione a tutti i messaggi

che vedono; entrano nel sito, danno un’occhiata rapida e decidono se continuare la navigazione

al suo interno con più attenzione. Dico questo sulla base delle statistiche giornaliere del sito (vedi

tabella 4.1); generalmente la durata media di una visita è intorno ai due minuti (secondo più,

secondo meno) e considerando che tale dato tiene conto anche degli utenti membri della

comunità significa che i ‘nuovi visitatori’ si fermano ancora meno a visitare gli spazi web offerti

da CCI

Tabella 4.1 Statistiche di CanonClubItalia.com (19/05/2008, aggiornate in tempo reale alle h 10.30 );disponibili on line all’indirizzo: http://www.histats.com/viewstats/?SID=192902&f=1

Altri elementi fondamentali della pagina principale di CCI sono le ‘voci di menu’ (F), le

quali rappresentano dei link costituiti da parole chiave che guidano gli utenti nella navigazione

all’interno degli spazi web offerti dalla comunità. Tali voci, essendo piuttosto intuitive, facilitano

l’individuazione dei contenuti e sono anch’esse importanti per la posizione del sito fra i banner

testuali dei motori di ricerca. Una volta entrati in uno spazio web offerto da una delle voci del

menu principale, oltre agli stessi link che vengono riproposti per non perdere l’orientamento

| 31 | working paper no. 3

durante la navigazione, troviamo degli altri menu di sezione che sono specifici dei contenuti

scelti precedentemente (vedi figura 4.6). Tuttavia, il menu di sezione del forum (G), per

l’importanza vitale che questo spazio ha per la comunità, è posto anche nella home page in alto a

destra. La stessa cosa vale per il cosiddetto ‘menu personale’ (vedi figura 4.7), attraverso il quale

i membri della comunità possono editare il loro profilo di utenti − cambiare l’immagine del

proprio avatar, aggiungere informazioni, gestire i file personali caricati etc. Quest’ultimo menu

si trova appena sotto quello principale e molto probabilmente è per questa ragione che, sopra,

non ha un suo link corrispondente.

Una cosa di cui mi sono reso conto da subito durante le osservazioni è che CCI,

diversamente da molti siti, è privo di un menù principale riepilogativo posto al piede delle pagine

per semplificare la navigazione; uno strumento che sarebbe alquanto necessario visto che ogni

pagina web del sito è piuttosto lunga.

Figura 4.6 Menu di sezione della voce ‘Blog’ del menu principale.

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Figura 4.7 Menù personale dei membri della comunità osservata.

Per quanto riguarda la voce ‘News’ (CC) del menu, l’ho trovata particolarmente

interessante perché rimanda a ‘Canon News’, la testata giornalistica on line di CCI dedicata al

mondo fotografico nazionale. Le notizie sono aggiornate a intervalli di 30 minuti e vengono

prelevate dal web grazie al sistema RSS e in particolare da ‘Google News’. In questo spazio è

possibile salvare ed inviare via e-mail a chiunque, tramite apposito comando presente in fondo a

ogni articolo, le informazioni in formato PDF. Inoltre, tale sezione del sito è spesso pubblicizzata

dalle mail che la comunità invia ai propri membri, dalle quali è raggiungibile direttamente

attraverso un apposito link.

Un altro elemento utile per la navigazione degli utenti è lo strumento di ‘Ricerca’ (H) che

si trova sopra le voci del menu principale. Per quanto riguarda la possibilità di una ricerca interna

a CCI, che permetta di trovare le informazioni d’interesse fra le pagine offerte dalla comunità, è

disponibile solo lo strumento ‘Cerca’ visibile in alto a destra nella pagina principale del forum.

Un’attenta ricerca (sapendo che non si possono inserire parole chiave con meno di tre lettere)

permette di trovare gli argomenti d’interesse discussi nel forum; ad esempio, digitando

‘solidarietà’ e ‘amicizia’ insieme, si trovano ben 258 discussioni in cui compaiono queste parole

chiave. Esistono dei parametri che consentono di specificare il formato della ricerca. Il carattere

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asterisco ‘*’, ad esempio, può essere utilizzato per aumentare il numero dei risultati: la chiave di

ricerca ‘limon*’, infatti, cerca sia ‘limone’ che ‘limonata’.

Figura 4.8 Strumento di ricerca interno al forum.

In una comunità di marca online costituita di appassionati del mondo della fotografia

(soprattutto di quello che ruota intorno all’attrezzatura Canon) non potevano mancare delle

sezioni che contenessero gli scatti dei membri, con i rispettivi commenti. Vi sono due aree in cui

sono raccolte le fotografie: la ‘PhotoGallery CanonClubItalia’ (I1) e la ‘Gallery’ (I2), alla quale

si accede dal link del menù principale. Lo spazio ‘Gallery’ si integra perfettamente con il forum e

a quanto pare è stato installato di recente proprio per sostituire quello vecchio (PhotoGallery

CanonClubItalia) su piattaforma proprietaria 19 . PhotoGallery CanonClubItalia è uno spazio

rimasto in formato “sola lettura”, nel quale non si possono aggiungere fotografie; appena vi si

accede si nota subito il messaggio d’avviso: “informiamo gli utenti che questa galleria è stata

posta in sola lettura, poiché è stata installata la nuova galleria fotografica accessibile dal menu

generale in alto, cliccando Gallery”.

In una mail Domenico mi ha scritto che in realtà PhotoGallery CanonClubItalia e Gallery

“non sono due spazi diversi ma si sono avvicendati nel tempo per fornire una piattaforma

migliore e integrata con il forum”. In entrambi gli spazi le fotografie sono raccolte in sottosezioni

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19 Per piattaforma proprietaria si intende il servizio web che viene venduto da un’azienda, il quale può essere modificato integrando dei moduli per completarlo e poternziarlo. Ad esempio, molte piattaforme comunitarie nascono dai prodotti di Invision Power Services, Inc., società produttrice di applicazioni e servizi web nota in tutto il mondo.

tematiche. In una delle mie ultime osservazioni sistematiche effettuate a metà maggio ho

annotato che la Gallery della comunità è arrivata a contenere ben 1790 fotografie, distribuite in

quattordici sottosezioni tematiche diverse: Galleria Utente, Animali, Architettura, Black &

White, Glamour-Nudo, Macro & Close Up, Paesaggi & Natura, Post Produzione Digitale,

Reportage, Ritratti & Persone, Sport, Street, Studio & Still Life, Varie. L’area Galleria Utenti

raccoglie molto più materiale delle altre, circa l’80% del totale; questo perché contiene tutti gli

album di fotografie che gli utenti hanno potuto creare in libertà, senza restrizioni tematiche.

Gli ultimi elementi della home page che meritano attenzione sono le voci TopSite (TS),

Manualistica (MM), Ultimissime dal Forum (M) e Ultime News (O), elementi ai quali si arriva

solo facendo scorrere in giù la pagina (vedi figura 4.9). Attraverso la voce TopSites si arriva ad

uno spazio di CCI in cui, tramite una classifica, vengono pubblicizzati una sessantina di siti

Internet sul mondo della fotografia. La classifica è stilata sulla base dei voti che i siti ricevono

dai canonisti e delle visite.

Figura 4.9 Sezione del portale CanonClubItalia.com

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La voce Manualistica, invece, rappresenta un elemento interessante perché è l’unico contatto

diretto della home page di CCI con una pagina web del sito Internet ufficiale dell’azienda Canon

(http://www.canon.it/). La pagina in questione è di supporto e offre le informazioni tecniche

necessarie per utilizzare al meglio le macchine fotografiche e i prodotti di marca Canon.

Fondamentalmente, si tratta di uno spazio che raccoglie in formato pdf tutti i manuali d’uso di

qualsiasi prodotto Canon. L’entità del rapporto diretto fra CCI e l’azienda sembra ridursi a questo

link, tuttavia sono presenti alcune indicazioni pubblicitarie di negozi ed e-store in cui è possibile

acquistare i prodotti Canon. Comunque, non penso sia così improbabile che vi siano dei

“monitoraggi commerciali” di CCI.

“Ultimissime dal Forum” visualizza i titoli delle ultime trenta discussioni del forum (P) in

cui sono stati postati nuovi messaggi e consente di accedervi direttamente − quindi, oltre alle

discussioni aggiornate che però hanno avuto inizio chissà quando, si trovano anche quelle appena

iniziate. Oltre ai titoli sono indicati anche i nickname (Q) di chi ha postato l’ultimo messaggio, la

data (R) di quando è stato postato (alquanto inutile visto che è quasi sempre la stessa per tutti i

messaggi, tranne nelle ore a cavallo della mezzanotte), il numero degli utenti che hanno visitato

le singole discussioni (S) e, infine, il numero dei messaggi di cui ogni discussione è composta

(T).

“Ultime News”, invece, seguito dallo spazio più sotto “News dal Mondo della

Fotografia” (quest’ultimo aggiornato ogni 30 minuti), informa delle più recenti novità che

riguardano la comunità di canonisti. È sfruttato, ad esempio, per annunciare i vincitori dei vari

contest fotografici di CCI, per discutere dei quali vi è un importante sezione nel forum, Contest

& Gallery, dove vengono spiegati i regolamenti per parteciparvi e dove si possono commentare i

risultati e le fotografie in competizione.

Concludo facendo presente che fra gli spazi di CCI esistono anche due aree nascoste sia

ai membri della comunità, sia agli utenti visitatori. Una di queste aree è amministrativa e

possono accedervi esclusivamente gli amministratori di sistema; l’altra è riservata ai moderatori,

ma naturalmente è accessibile anche dagli amministratori. L’accesso a tali spazi non è protetto da

password, sono stati impostati dei permessi automatici; per quanto riguarda l’area dei moderatori

l’accesso è legato al grado che si ha nel forum. Il grado viene deciso democraticamente in base ai

| 36 | working paper no. 3

voti di approvazione o disapprovazione degli altri membri della comunità (un processo, quindi,

controllato dall’uomo ed in particolare dai moderatori stessi e dagli amministratori). Le votazioni

dipendono dal numero di interazioni alle quali si partecipa, dal grado di preparazione raggiunta

nel tempo e anche dal tempo a disposizione che l’utente conferma di avere e che deve garantire

all’interno del forum. Questo conferma che le comunità di marca online nonostante siano,

generalmente, gruppi sociali aperti che non impediscono la libera partecipazione, hanno

comunque una struttura gerarchica interna (Muñiz e O’Guinn, 2001); i membri godono di status

(o ranghi) diversi, i quali solitamente sono pubblici e ben visibili.

4.3 Le narrazioni: rituali, condivisione del sapere e apprendimento pratico

Le osservazioni e l’interpretazione della documentazione archiviata hanno confermato che CCI è

una comunità di marca che si basa su un insieme di relazioni sociali fra appassionati del mondo

della fotografia ed in particolare (ma non necessariamente) di quello che ruota intorno

all’attrezzatura di marca Canon. Tuttavia, i poteri simbolici e di immagine che amplificano la

comunione sociale fra i membri di CCI più che essere generati dalla marca in sé, dipendono in

primo luogo dai prodotti e, soprattutto, da come vengono utilizzati e con quali risultati. In altre

parole, a facilitare i processi di identificazione che aumentano il senso di condivisione e

partecipazione che sta alla base del gruppo sono le fotocamere, i diaframmi, le ottiche, i sensori,

gli obiettivi etc. e, naturalmente, le pratiche fotografiche che dipendono dall’uso di queste

componenti tecniche. Insomma, le osservazioni hanno confermato senza ombra di dubbio che

questa aggregazione online non è sorta esclusivamente sulla base del possesso di un prodotto di

marca da parte degli individui 20.

Il seguente messaggio postato dall’utente Breizh, membro e moderatore di CCI, è un

esempio emblematico della maggiore importanza che per l’appassionato canonista riveste

l’attrezzatura rispetto alla marca. Naturalmente, questo non vuol dire che non vi siano segnali di

| 37 | working paper no. 3

20 Per il fatto che l’aggregazione sociale di CCI sia centrata più attorno all’attività e alle pratiche fotografiche che alla marca in sé, autori come Cova (1997; 2003) parlerebbero di ‘tribù di consumo’ e non di comunità di marca online.

fedeltà alla marca; l’inizio del messaggio rappresenta proprio un celebrazione di Canon, anche se

continua ad esserci un chiaro riferimento al lavoro ‘miracoloso’ dell’azienda, più che alla sua

fama simbolico-commerciale. Si tratta di una discussione piuttosto tecnica − una sorta di

recensione di un’ottica (lente) Canon − che ha continuato ad essere ‘viva’ fino alla fine del

periodo osservativo; quasi mille utenti hanno visitato tale discussione e più di trenta hanno

partecipato:

Data e ora: Feb 23 2008, 09:03 PM

Utente: Breizh

Titolo discussione: Canon EF 14/2.8L II, miracolo ottico

Forum: Approfondimenti – Mondo Canon

io non so cosa hanno fatto alla Canon, ma hanno tirato fuori qualcosa di impossibile

in teoria

Ho da poco questa ottica, ma è un prodotto esaltante

Già a suo tempo avevo dichiarato amore sviscerato per la versione 1 di questa

lunghezza focale, ma questa riedizione è davvero speciale

(…)Innanzitutto la carta d'identità

L'obiettivo tanto per cominciare è studiato per FF; volendo ottenere lo stesso

risultato su APS-C servirebbe un 8.7mm....fate voi...

E' un ipergrandangolare rettilineo, quindi niente effetto fisheye, righe dritte

L'angolo di ripresa è in diagonale 114° (!) , 104 lungo il lato orizzontale.

Lo schema ottico è di 14 elementi in 11 gruppi, spargendo a piene mani quanto a roba

asferica, cristalli speciali, ecc......

2 lenti in più del vecchio: Canon dice che il progetto è totalmente nuovo

paraluce non se ne parla, e nemmeno di filtri: è costruito in modo che la struttura

stessa dell'obiettivo si protenda a fare da paraluce a tulipano

Quanto a filtri, la lente frontale è talmente un "bulbo" prominente che l'utente

capisce da solo che qualsiasi coso davanti entrerebbe nel campo visivo

Peso: pur avendo le dimensioni "polpose" di, più o meno, un 24/105, pesa un casino di

più, praticamente deve essere una sorta di "blocco unico" di cristallo....quando c'è

si sente!

Ah è tropicalizzato, con tanto di guarnizione che va a far tenuta sul bocchettone

macchina

E per fare rinmarcare la finezza della progettazione, gli ingegneri Canon l'hanno

dotato di diaframma che sepppure a 6 lamelle, è ad "apertura circolare", dicono loro

per rendere più piacevole lo sfuocato dietro.....

| 38 | working paper no. 3

(…)

E dulcis in fundo una messa a fuoco minima a 0.2 metri....mica male!

Ok, via con la prova

(…)

Il messaggio continua con le impressioni che Breizh ha avuto dopo l’uso dell’apparato ottico in

questione, ma anche nella seconda parte (più lunga della prima) la marca viene nominata in

modo marginale rispetto al prodotto. Fra le risposte più curiose e interessanti riporto quelle degli

utenti El Mira, u212a e d&d. In modi diversi i tre membri confermano la grande importanza che

questi tipi di discussioni rivestono sia all’interno di CCI, sia, a partire dalle loro conseguenze

pratiche, nel mondo offline:

Data e ora: Feb 29 2008, 08:13 PM

Utente: El Mira

Titolo discussione: Canon EF 14/2.8L II, miracolo ottico

Forum: Approfondimenti – Mondo Canon

Ne parli come un seconda figlio....per caso la bambina la tieni con qualche filtro per

sicurezza? Descrizione molto precisa e accurata...se qualcuno vuole comprare questo

obiettivi e legge la tua recensione non può che andare a comprare a cuor leggero

Data e ora: Feb 29 2008, 10:28 PM

Utente: u212a

mio caro Mimo bisogna vedere come funziona con un sensore al posto della pellicola,

anche il 20mm abbinato alla pellicola dà risultati piu che egregi ma in digitale e

specialmente sul FF

ciao

Data e ora: Feb 29 2008, 11:00 PM

Utente: d&d

| 39 | working paper no. 3

state facendo di tutto per farmelo comprare, ma ancora resisto

Il post di El Mira è un’ulteriore conferma di quanto i canonisti siano appassionati

dell’attrezzatura fotografica, specialmente quando si tratta di nuovi acquisti. In questi casi sono i

prodotti tecnici a fungere da catalizzatori sociali. La prosopopea che utilizza l’utente,

considerando lo strumento tecnico come un figlio, è molto azzeccata per descrivere l’entusiasmo

e la passione autentica con cui Breizh parla dell’ottica Canon EF 14/2.8 II. Vi sono poi dei chiari

riferimenti alla bravura nel recensire le qualità di tale oggetto, del resto Breizh è riuscito a

diventare un moderatore del forum e figura, nel suo profilo personale, come “Advance Member

4”, ovvero uno dei più alti gradi di status all’interno della comunità. Un’altra cosa interessante da

notare è che il post di El Mira è caratterizzato da un tono colloquiale che fa intendere, insieme

all’emoticon sorridente conclusivo, che non sia la prima volta che tali utenti interagiscono e si

scambiano pareri.

Il messaggio di u212a, invece, è di natura diversa nonostante continui ad essere

abbastanza informale. Questa risposta rappresenta una chiara condivisione di competenze ed

esperienze che aumenta la portata tecnica della discussione e la possibilità di imparare cose

nuove21. Per i neofiti di CCI, una discussione come quella iniziata da Breizh rappresenta una

bacino prezioso di informazioni dove poter attingere competenze e consolidare gradualmente il

proprio status all’interno della comunità. Nel forum, fra l’altro, sono presenti molte altre sezioni

e sottosezioni dedicate alle spiegazioni tecniche dell’attrezzatura Canon; questo punto è cruciale

perché mette in evidenza come la comunità di marca sostituisca l’azienda nel garantire

competenze, significati e istruzioni per migliorare le pratiche di consumo dei prodotti.

La risposta telegrafica dell’utente d&d, infine, è un esempio emblematico di come le

comunità di marca on line siano dei contesti in cui i membri/consumatori prendono parte a

discussioni nelle quali possono influenzare le scelte d’acquisto di altri membri/consumatori; d&d

fa chiaramente intendere che la discussione avviata da Breizh lo sta gradualmente convincendo

ad acquistare l’ottica EF 14/2.8 II.

| 40 | working paper no. 3

21 Il messaggio di un altro utente, che qui non ho riportato per non soffermarmi troppo su di una singola discussione, ringrazia esplicitamente i membri più esperti per il fatto di condividere conoscenze di tale interesse.

Naturalmente, la condivisione delle eterogenee competenze ed esperienze dei membri di

CCI non riguarda solo i prodotti tecnici del mondo della fotografia. Il capitale di conoscenza che

si sviluppa all’interno della comunità si estende anche alle pratiche fotografiche off line. Molti

membri di CCI, ad esempio, ricorrono alle discussioni del forum per chiedere informazioni e

consigli (anche esistenziali) su come agire in particolari situazioni in cui la propria passione

diventa pratica. Nell’esempio sotto l’utente MaxShot si rivolge alla comunità per avere un

sostegno in quanto è stato reclutato da un amico come fotografo ufficiale del suo matrimonio.

MaxShot non è un fotografo professionista e nonostante sembri entusiasta della fiducia

conferitagli dall’amico, questa prova lo mette in apprensione.

Data e ora: Jan 20 2008, 11:37 PM

Utente: MaxShot

Titolo discussione: HELP per matrimonio, avrei bisogno di qualche

Consiglio…

Forum: Corredo Canon – Reflex Digitali 22

Buongiorno a tutti

Un mio amico mi ha reclutato come fotografo, unico ed "ufficiale", per le foto del suo

matrimonio.

La cosa mi affascina, perche ovviamente mi piace molto fare foto.... ma mi terrorizza

un poco, perchè non ho mai fatto foto a matrimoni. Non da quando ho la reflex, e

comunque mai come fotografo ufficiale.

Vista la mia atrezzatura, credo che il problema principale siano le foto in chiesa per

via della scarsa luce...

Al momento posso contare su

400D (2 schedine (2 Gb + 4 Gb), 2 batterie)

Sigma 17-70mm f2.8-4.5

| 41 | working paper no. 3

22 Ci sono due macrotipologie di macchine fotografiche digitali: le compatte e le reflex (entrambe derivano da quelle analogiche). Le compatte sono piccole e solitamente hanno la forma di un parallelepipedo. Sono caratterizzate posteriormente da uno schermo LCD che permette di vedere cosa si sta per fotografare; diciamo che sono le fotocamere digitali di massa. Le reflex, invece, hanno dimensioni più grandi, sono meccanicamente più complesse e hanno costi molto più elevati; in sostanza sono più professionali. Per approfondire l’argomento si veda: http://www.hwupgrade.it/articoli/fotografia-digitale/ 1819/guida-alla-fotografia-parte-1-compatta-o-reflex_index.html

Plasticotto (inutile, visto che ho il Sigma)

Treppiede

Mi chiedevo se avevate qualche consiglio per evitare disastri...

(…)non mi rendo ancora conto se un treppiede è sfruttabile durante un matrimonio.

Il problema principale e la mancanza di un flash serio. Mi accontenterò del poco che

si può fare col flash interno. Il fatto è che le foto col flash non mi piacciono

molto, preferisco di gran lunga la luce naturale quando è possibile.

La chiesa è questa http://www.luoghimisteriosi.it/emilia_snicomede.html i miei amici

si sposano una mattina di giugno, il sole sarà alle spalle del prete, e quindi

dovrebbe aiutare ad illuminare gli sposi.

Appena posso faccio un sopraluogo... :-)

Qualsiasi consiglio è molto gradito (un momento sono contento... un momento sono in

panico...)

Grazie

Data e ora: Jan 28 2008, 01:15 AM

Utente: doctorblade

(…)

caro MaxShot, vai e scatta e poi facci sapere anzi facci vedere i tuoi scatti, sono

sicuro che il risultato sarà soddisfacente.

nei vari post ti sono stati dati buoni consigli, cerca di sfruttarli,

te ne riassumo qualcuno...

-sii chiaro con i tuoi amici circa la tua esperienza e la tua attrezzatura

-cerca di procurarti un buon flash, a me non piace molto scattare con il flash, ma in

certe situazioni non se ne può proprio fare a meno

-se conosci qualcuno che ha un secondo corpo da prestarti è meglio... per essere più

tranquilli, se non ne trovi uno digitale cercane uno a pellicola, se non trovi neppure

quello ruba la compatta al figlio del portinaio...

-per ultimo se riesci a procurarti anche una lente un pò più lunga tipo un 85mm, 100mm

o un 135mm per non salire in spalla al prete in alcune situazioni (tipo primo piano

sulle mani durante lo scambio delle fedi)

Data e ora: Jan 30 2008, 05:23 AM

| 42 | working paper no. 3

Utente: doctorblade

un'altra cosa a cui nessuno pensa è che in Italia si dovrebbe frequentare un corso,

presso le curie, per poter avere l'abilitazione a fotografare cerimonie nelle chiese.

Il fatto, poi, che il 90% delle curie non applichi questa regol non significa che non

esistano delle problematiche comportamentali. La curia di Vicenza (ad esempio) ha

emanato un vademecum (reperibile dal loro web) sul comportamento degli operatori foto-

video nelle chiese. Sarebbe cosa carina che i parenti o amici che volessero fare i

servizi fotografici ai matrimoni si preocupassero, per lo meno, di leggerselo...

(…)

http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/c...%3fsource=wr002

poi si clicca su: SERVIZI PASTORALI: uffici diocesani

da qui su "liturgia" qui ti trovi " regolamento foto-video in celebrazioni.

buona lettura

La discussione è stata avviata nello stesso periodo in cui ho iniziato le osservazioni di CCI, ma

ha continuato ad ospitare nuovi post fino alla fine del periodo di lavoro sul campo. La grande

attenzione che i membri della comunità riservano per situazioni di questo tipo è indice di una

forte solidarietà fra di essi, anche perché molti dei consigli dati all’utente in difficoltà vanno oltre

i semplici aspetti tecnici. Tale atteggiamento è indice di un senso di responsabilità morale che i

membri di CCI avvertono sia nei confronti dei compagni, sia verso la comunità nel suo insieme.

È, infatti, la coscienza sociale che regola questo senso di responsabilità a produrre una base per

le azioni collettive e a sviluppare quei processi di solidarietà che conducono spesso i membri di

CCI ad aiutare dei perfetti sconosciuti.

Conclusioni

Non è possibile isolare un unico motivo per cui negli ultimi venti anni abbiamo assistito

al ritorno in auge del concetto di comunità. Tuttavia, è indubitabile che la rinascita del dibattito

| 43 | working paper no. 3

sulla comunità trovi alcuni dei suoi elementi fondanti nella presenza, diffusione e consumo di un

nuovo ambiente mediatico, fautore secondo molti studiosi di particolari modelli di relazioni

sociali.

In questo lavoro abbiamo visto che le comunità di marca online sono un sottotipo delle

comunità virtuali, le quali sorgono in spazi dialogici continuamente modificati dagli scambi

comunicativi multimediali fra gli individui. Le caratteristiche di queste aggregazioni di consumo

dipendono proprio dal connubio fra la cosiddetta rivoluzione digitale, che ha portato allo

sviluppo dei nuovi media, e la cultura del consumo. Il ruolo della tecnologia è centrale in quanto

l’interazione fra i membri delle comunità di marca online avviene principalmente attraverso la

comunicazione mediata dal computer, la quale è di vitale importanza poiché gli individui

appartenenti a tali gruppi non condividono uno spazio fisico comune. In breve, le comunità di

marca online non sarebbero mai sorte senza l’evoluzione di un particolare ambiente mediatico

sempre più differenziato.

L’idea tradizionale di comunità, con l’avvento delle nuove tecnologie di comunicazione

di massa, ha subito importanti riconcettualizzazioni. Partendo dall’analisi sociologica classica

della comunità, fino ad arrivare ai contributi più recenti, sono evidenti i limiti dell’espressione

“comunità virtuale”. L’idea di virtualità, infatti, può ingannare e far pensare a delle dimensioni di

socialità fittizie, contrapposte a quelle reali in quanto prive di vere e proprie interazioni faccia a

faccia tra gli individui. Il concetto di comunità, associato all’aggettivo virtuale, è stato più volte

messo in discussione da chi ha sottolineato l’indispensabilità dell’elemento di compresenza fisica

fra gli individui affinché si possa parlare di comunità. Ciò, in molti casi, ha portato al rifiuto del

concetto di comunità virtuale, il quale è stato separato dalla comunità tradizionale e trasformato

in un semplice contenitore nominale entro il quale studiare le relazioni sociali mediate dalle

tecnologie telematiche.

Ad ogni modo, dalle elaborazioni sociologiche classiche, fino ai primi contributi che

segnano il passaggio alle analisi contemporanee, non emerge un’idea univoca di comunità; sotto

alcuni aspetti le interpretazioni sono spesso contrastanti. Ciò non toglie che nel pensiero classico

il concetto di comunità sia stato interpretato per lo più come un concetto spaziale inscindibile dal

luogo al quale esso viene fatto corrispondere. Solo a partire dagli anni ’80 del secolo scorso la

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rappresentazione della comunità in quanto luogo viene superata da una concezione che intuisce

l’indispensabilità della dimensione simbolica, dell’insieme di codici normativi e valori che danno

origine al senso di identità comune fra gli individui. Sono gli esseri umani a definire la comunità

di cui si sentono membri come costruzione sociale fondata su un determinato campo relazionale,

e lo fanno attraverso i significati e i sensi che vi attribuiscono. Viene così evidenziato che il

processo formativo delle comunità, come avviene per qualsiasi costrutto sociale, è inseparabile

dalla mediazione fatta di interpretazioni umane fondate su simboli e definizioni culturali.

Investigare un gruppo di marca online significa confrontarsi con una cultura in cui i

prodotti di consumo si caricano di significati simbolici che contribuiscono a rafforzare le

relazioni interpersonali fra i soggetti. Le comunità di marca online, infatti si fondano sulla

condivisione delle esperienze di vita degli individui consumatori, l’agire dei quali dipende sia dai

significati della cultura del consumo in cui è immerso, sia dalle modalità di comunicazione

offerte da Internet. Gli studi sulla cultura del consumo mostrano che per molti attori sociali il

massimo valore d’uso dei beni consiste nella loro capacità di mediare e rendere più salde le

relazioni sociali, sorte proprio nei contesti di consumo. Questo, in parte, è dipeso dagli sviluppi

dei nuovi media, i quali hanno permesso al sistema pubblicitario di rendere il consumo sempre

più rappresentazione e comunicazione. In tale contesto, il potere simbolico della marca, innalzato

dalle strategie del marketing, ha giocato un ruolo sempre più decisivo, diventando una sorta di

mezzo di produzione di significati e socialità. Attraverso queste considerazioni si arriva a

concepire le comunità di marca online come ambienti virtuali che, oltre a riunire gli appassionati

di un determinato brand, esercitano il doppio ruolo di moltiplicatori di senso e diffusori dei

valori della comunità e del mondo della marca stessa.

Per quanto riguarda i risultati della ricerca etnografica sulla comunità

CanonClubItalia.com, abbiamo analizzato i processi alla base della formazione e del

mantenimento quotidiano di una comunità di marca online. Il lavoro sul campo ha permesso di

ricostruire una rappresentazione verosimile della comunità osservata, a partire dalle percezioni

che di essa ne hanno i membri. Le osservazioni cyberetnografiche hanno evidenziato alcuni

codici culturali che definiscono il senso di appartenenza comunemente sentito da parte dei

membri di CanonClubItalia.com. Dall’analisi dell’archivio, inoltre, sono emersi alcuni

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importanti significati culturali che vengano condivisi e rinnovati all’interno della comunità

grazie alle esperienze di consumo e ai rituali. Abbiamo poi scoperto che grazie ai frequentissimi

meeting locali e nazionali organizzati in varie parti d’Italia, la comunità di marca indagata

rappresenta una realtà ben radicata anche sul territorio nazionale. Si tratta quindi di un esempio

molto significativo dell’integrazione fra i due ambienti online e offline.

Il fatto che gli aspetti utilitaristici incidano poco sui processi di affiliazione dei membri

apre importanti questioni sull’uso opportunistico della marca da parte degli utenti . La comunità

studiata, infatti, si basa più che altro su relazioni socio-culturali fra appassionati del mondo della

fotografia e dell’attrezzatura fotografica; solo secondariamente dipendono dal possesso di un

prodotto di marca. Nel nostro caso, la comunità e il mercato sembrano vivere un rapporto

accessorio, anche se non dobbiamo dimenticarci che le realtà aziendali per mezzo di tali

comunità, giungendo ad una maggiore conoscenza delle richieste dei consumatori, incrementano

i loro profitti − per non parlare della pubblicità a costo zero e dei vari feedback tecnici che si

possono tradurre in miglioramenti del prodotto. Abbiamo visto, infatti, che in

CanonClubItalia.com si sviluppano competenze tecniche elevate tra i membri, le quali non

possono che condizionare le scelte e le pratiche di consumo dei prodotti. Per questa ragione, il

rapporto fra il gruppo di consumo e il mercato può addirittura assumere tratti conflittuali in

quanto la comunità di marca tende a sostituire l’azienda nel garantire competenze, significati e

istruzioni per migliorare le pratiche di consumo.

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