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1 Venetian Academy of Indian Studies Ciclo annuale dedicato al “Simbolismo nell’Arte e nel MitoAnno Accademico 20112012 Elementi di simbolismo orientale in Occidente BRUNO MARCOLONGO “A good traveller is one who does not know where he is going to, and a perfect traveller does not know where he came from”. Lin Yutang Nel contesto di questo ciclo di conferenze sul “simbolismo” declinato attraverso le varie culture ed espressioni artistiche della storia dell’Umanità , sono stato invitato a parlarvi di quelle tracce, ma forse è meglio dire, di quei veri e propri elementi fondanti del simbolismo Orientale che sono riconoscibili vivi e operanti a tutt’oggi in Occidente. E qui si pone subito la necessità di definire i termini della questione, ovvero i “landmarks” impliciti nel titolo del mio intervento che sono appunto “Simbolo” e “Occidente”. 1Sul concetto di simbolo sono stati versati fiumi d’inchiostro 1 , ma a me fa piacere riprendere qui una sua definizione “simbolica” (scusate il “jeu de mots” o “calembour”), come quella icastica e folgorante di un grande poeta (Johann Wolfgang von Goethe) che recita così: “Simbolo è l’Infinito contenuto nel Finito” 2 Questo “ingombrante” simbolo, nel contempo strumento di comprensione ma anche espressione di stupore, viene ancor meglio descritto in un sonetto a rime alessandrine (“Correspondences”, 1857) tratto da “Les Fleurs du Mal” di Charles Baudelaire: 1 “Simbolo” deriva dal greco συμβολον (simbolo), segno di riconoscimento formato dalle due metà di un oggetto spezzato che si accostano; per estensione, il termine indica una rappresentazione analogica in rapporto all’oggetto considerato. Diversa è l’allegoria, “parlare in altro modo” attraverso l’apologo –allegoria morale– e la parabola –allegoria religiosa–, come pure l’emblema, che è una rappresentazione semplice di un’idea (il bue è considerato l’emblema della forza). 2 Definizione che rimanda al filone della tradizione neoplatonica di Plotino, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola

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 Venetian Academy of Indian Studies 

Ciclo annuale dedicato al “Simbolismo nell’Arte e nel Mito” Anno Accademico 2011‐2012 

 

Elementi di simbolismo orientale in Occidente 

BRUNO MARCOLONGO 

“A good traveller is one who does not know where he is going to,  and a perfect traveller does not know where he came from”.  

Lin Yutang   

     Nel contesto di questo ciclo di conferenze sul “simbolismo” declinato attraverso le  varie  culture  ed  espressioni  artistiche  della  storia  dell’Umanità  ,  sono  stato invitato  a  parlarvi  di  quelle  tracce, ma  forse  è meglio  dire,  di  quei  veri  e  propri elementi  fondanti del simbolismo Orientale che sono riconoscibili vivi e operanti a tutt’oggi in Occidente. 

     E  qui  si  pone  subito  la  necessità  di  definire  i  termini  della  questione,  ovvero  i “landmarks”  impliciti nel  titolo del mio  intervento  che  sono  appunto  “Simbolo”  e “Occidente”. 

1‐ Sul  concetto  di  simbolo  sono  stati  versati  fiumi  d’inchiostro1, ma  a me  fa piacere  riprendere  qui  una  sua  definizione  “simbolica”  (scusate  il  “jeu  de mots” o “calembour”), come quella  icastica e  folgorante di un grande poeta (Johann Wolfgang von Goethe) che recita così: 

“Simbolo è l’Infinito contenuto nel Finito”2  

     Questo  “ingombrante”  simbolo,  nel  contempo  strumento  di  comprensione ma anche  espressione  di  stupore,  viene  ancor meglio  descritto  in  un  sonetto  a  rime alessandrine  (“Correspondences”,  1857)  tratto  da  “Les  Fleurs  du Mal”  di  Charles Baudelaire: 

                                                             1  “Simbolo” deriva dal greco  συμβολον  (simbolo),  segno di  riconoscimento  formato dalle due metà di un oggetto spezzato che si accostano;   per estensione,  il termine  indica una rappresentazione analogica  in rapporto all’oggetto considerato. Diversa è l’allegoria, “parlare in altro modo” attraverso l’apologo –allegoria morale– e la parabola –allegoria religiosa–, come pure l’emblema, che è una rappresentazione semplice di un’idea (il bue è considerato l’emblema della forza). 2Definizione che rimanda al filone della tradizione neoplatonica di Plotino, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola 

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“La nature est un Temple où des vivants piliers Laissent parfois sortir de confuses paroles ; L’homme y passe à travers des forêts de symboles Qui l’observent avec des regards familials. ………………. “ « La natura  è un Tempio in cui dei pilastri viventi Lasciano talvolta uscire confuse parole; L’Uomo vi passa attraverso foreste di simboli Che  l’osservano  con  uno  sguardo  familiare  (…e,  sarebbe  da  dire,  comprensivo,  quasi materno e protettivo!). …………………“      Già a tale livello di definizione scaturiscono spontanee molte analogie. Prima tra tutte quella del  “Finito”, o apparentemente  “Finito” Vâmana,  il  “Nano” avatâra di Vishnu,  che si manifesta come il divino “Misuratore” cioè il contenitore dell’Infinito, dei tre Mondi (cielo‐terra‐acque), misurati con i classici tre balzi. 

     Ma  questo  “Trivi‐krama”  “il  dio  che  fece  tre  passi”,  o  Ulagalanda‐Perumâ  “il signore che comprese l’universo con tre passi” come si dice nelle regioni tamil, non è  forse  resuscitato  (e  qui  confesso  un  esperienza  personale  coinvolgente  e profonda) ogni qualvolta il Maestro Iniziato compie i tre passi rituali, scavalcando la sua  propria  tomba  (vita‐morte‐rinascita),  cioè  l’effige  illusoria  del mondo,  riflesso della manifestazione della Realtà Fondamentale, ma mai la Realtà stessa?  

   

2‐ Il Maestro al quale alludo –e questo è il secondo “corno” della questione‐ è il “cercatore”  che  ha  intrapreso  il  cammino nel  grande  alveo della  Tradizione Iniziatica  dell’Occidente,  di  cui  l’Istituzione  Universale  della  Massoneria regolare ne è a pieno titolo la vivente rappresentante, in quanto si offre come l’unica Istituzione che presenta coerenza ideologica, che ha una lunga storia e che gode di prestigio politico e sociale. 

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     Il suo pensiero si manifesta come un’autentica via laica alla trascendenza mirata all’edificazione  della  cattedrale  della  fraternità  universale  e,  sebbene  la  Libera Muratoria speculativa sia nata solo nel 1717,  la sua  ideologia e  i suoi riti riflettono concezioni di età  venerabile,  legami evidenti con  i Misteri delle  società arcaiche e tradizionali.     Questa dipendenza ha un  valore  fondamentale e  costituisce  la  vera forza della Massoneria. Essa ha fatto si che un esoterista del calibro di René Guénon abbia potuto parlare della Muratoria in termini sostanzialmente positivi, come della sola società che abbia mantenuto la “regolarità iniziatica” in Occidente, malgrado le spinte centrifughe che talvolta ne hanno tradito lo spirito originario.  Istanze sociali e filantropiche  non  hanno mai  compromesso  la  sua  vera  natura:  in  realtà  non  c’è Massoneria  senza  Esoterismo.  Lo  attestano  rituali  e  simboli,  lo  comprova l’esperienza  di  morte  e  la  resurrezione  simboliche  che  costituiscono  l’unico autentico “segreto” del massone. 

     Chiarite  così  le  “condizioni  al  contorno”  (“landmarks”),  cercheremo  ora  di riconoscere  assieme  gli  echi  del  più  antico  simbolismo  di  Oriente  riflessi,  o addirittura ripresi integralmente nel simbolismo attualmente operante in Occidente.  

     Tra  le varie strade che si aprono dinanzi ho scelto quella non solo simbolica ma anche operativa del “pellegrinaggio3”,   che tocca i vari punti topici o cospicui della vita secondo un percorso che si armonizza con il movimento celeste del sole.  

                                                             3 “Giovane Viaggiatore,                  dimentica la stanchezza del Viaggio,                                           procedi con coraggio.                 Non spegnere nell’animo                                 la Luce del Tuo Cammino” (Rabindranath Tagore, Nobel per la letteratura nel 1913) Il termine pellegrinaggio, nella sua accezione etimologica più diretta, deriva dal latino “peregrinus”  (“per agerum”, o  attraverso  il campo) ed evoca  l’immagine del viaggio  inteso come percorso rituale –quindi di simbolo vissuto–   alla ricerca di un qualche  luogo o  “centro” capace di  risvegliare  la  coscienza del viandante  stesso  ridonandogli energia vitale.   Sotto questo aspetto, esso rappresenta un archetipo nella mente dell’uomo, visto che fin dalla antichità più remota giungono a noi  echi di marce o cammini  rituali.    Nelle famose grotte di Lascaux nel Périgord e Rouffignac  in Dordogna,   dipinte durante il paleolitico superiore (circa 25.000‐20.000 anni dal presente) da ignoti artisti con scene di caccia e grandi bovidi, si trovano tracce fossili di passi di giovani adolescenti rimaste impresse nel suolo, che inducono a immaginare riti di iniziazione alla età adulta svolti nel fondo di queste “cattedrali della preistoria”. Famoso è  il  simbolo del  labirinto  inciso  sui massi  levigati dai ghiacci della Val Camonica  (graffiti  rupestri neolitici e dell’età del bronzo dell’area di Capo di Ponte),  rappresentazione di un percorso che dall’esterno conduce, secondo una  serie di  circonvoluzioni  spiraliformi, al  centro per poi  riportare all’uscita  lungo un altro cammino affiancato al precedente. Anche i molti viali delimitati da grandi blocchi di pietra (“menhir”) che si trovano nelle vicinanze di Carnac (Morbihan, Bretagna), aldilà di una possibile  funzione di  rilevamento astronomico, pare  servissero a  immortalare “viaggi  sacri” verso luoghi di culto di pellegrini preistorici, che ripercorrevano sulla terra le strade celesti percorse dagli astri.

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     Il  tema  del  pellegrinaggio,  sostenuto  da  un  viaggio  sia  fisico  che  psichico  e mentale alla  ricerca di un centro dove assorbire energia per poi  irradiarla verso  la periferia, rappresenta una esperienza propria a tutte le culture4 e una costante nella letteratura mondiale5.     Peculiare  caratteristica  del  percorso  da  compiere  è  la  circolarità,  che  offre  tra l’altro  la  possibilità  di  procedere  verso  occidente  per  giungere  ad  oriente  e viceversa.         Il ritrovamento del luogo sacro cercato, dove riconoscere la manifestazione della Realtà superiore,   avviene  idealmente nel punto di partenza6,  in conseguenza però dell’esperienza e della coscienza accresciute durante il viaggio.        A tale riguardo ci si può riferire al famoso esametro di Tito Lucrezio Caro nel suo “De rerum natura” (58 – 55 A.C.): 

“in  gi‐rum  imus  noc‐te  et  con‐sumi‐mur  ig‐ni”      Questo è forse uno degli esempi letterari più significativi di palindromia, per cui la frase può esser  letta normalmente  iniziando da sinistra oppure a ritroso e  tuttavia mantenere esattamente il medesimo significato: 

in giro andiamo di notte e siamo consumati dal fuoco,                                                              4 Tra l’altro qui si ricordano le culture:  ‐  Induista,  con  il  pellegrinaggio  (“char  dham  yatra”)  alle  sorgenti  sacre  del  Gange  (Gangotri)  e  dello  Yamuna (Yamunotri) nell’area himalayana e al luogo della loro confluenza in pianura (Allahbad) con il terzo fiume invisibile, la Saraswati;   ‐ Buddhista, con il pellegrinaggio ai quattro luoghi sacri (assimilabili ai quattro punti cardinali N, E, S, W) di: 

- Lumbini nel Nepal, luogo di nascita di Siddartha Gautama Buddha;  - Bodhgaya, nei pressi della cittadina di Gaya, Stato del Bihar, dove Buddha raggiunse l’illuminazione sotto un 

albero di banyian (“ficus bengalensis”); - Sarnath, dove nel  “parco delle gazzelle” Buddha pronunciò dinanzi a cinque discepoli il suo primo sermone 

sulla via di mezzo che conduce al nirvana; - Kushinagar, situato nell’Uttar Pradesh, dove Buddha raggiunse il nirvana; 

 ‐ Greca, con il pellegrinaggio al:  - tempio di Delfi (o Delfo) eretto sulle pendici del Monte Parnaso in onore di  Apollo, dio solare per eccellenza, 

trionfatore  del  serpente  Pitone  (divinità  ctonica    venerata  dalle  popolazioni  stanziali  proto‐mediterranee prima dell’arrivo degli Elleni,   nomadi di origine sarmatica‐centro asiatica,  legati  invece a culti celesti), per impetrare la conoscenza;   

- santuario di Eleusi dedicato a Demetra (Dea Madre, Al Kham o Terra Nera), per la celebrazione dei Mysteria maggiori in corrispondenza dell’equinozio d’autunno; 

 ‐ Ebraica, con il pellegrinaggio a un luogo sacro per il culto a Dio (“hag”,  termine riservato oggi alle  tre grandi feste degli Azzimi, delle Settimane e della Raccolta); 

 ‐ Islamica, con il pellegrinaggio alla Mecca (“hajj” da cui il termine Hajji  che designa il meritorio pellegrino purificato dopo la visita), quinto pilastro dell’Islam: 

 ‐ Cristiana, con il pellegrinaggio a Santiago de Compostela (etimologicamente da “Compos Stellae”, ovvero “Padrone della Stella”,   stella che  l’iconologia classica  rappresentata sempre a cinque punte),   punto estremo ad occidente delle terre emerse dove  il Sole tramonta,  indicato nel cielo dalla direzione della Via Lattea di cui  la via terrestre è immagine speculare riflessa. 

5 Per accennare solo all’inizio di un lungo possibile elenco:    Hermann Hesse – Il pellegrinaggio in Oriente;  Johan Wolfgang Goethe – Il serpente verde;  Paulo Coelho –  L’alchimista;  Jonathan Swift – I viaggi di Gulliver;   Andrej Platonov  –  Alla ricerca di una terra felice. 

6 Dice René Guénon in  Simboli della Scienza Sacra:  “…se esso ‐il Centro‐ è anzitutto un punto di partenza, è anche un punto di arrivo;  tutto è derivato da esso, e tutto deve alla fine ritornarvi…. In sintesi, il Centro è al tempo stesso il principio e la fine di tutte le cose;  è, secondo un simbolismo conosciutissimo, l’alpha e l’omega.  Meglio ancora, è il principio, il mezzo e la fine”. 

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o per meglio dire vagoliamo nell’oscurità e siamo consumati dal desiderio di conoscere7 

che sul piano allegorico, con una operazione di ulteriore  rovesciamento speculare, diviene: “la Conoscenza brucia tutte le innumerevoli visioni parziali e riconduce all’Inespresso, al Latente, all’Uno che è avvolto dal buio, al Non‐Manifesto8”      Seconda caratteristica del pellegrinaggio è l’essenzialità e la leggerezza tanto nel vestito  che  nei  pochi  strumenti  necessari  al  progredire,  riflesso  esteriore  della purificazione  interiore  da  compiersi  prima  della  partenza  (ad  esempio,  un mussulmano  che  si  prepara  all’hajj  deve  saldare  tutti  i  propri  debiti,  assicurare  il benessere della sua famiglia e riconciliarsi con i  nemici; regole simili o atteggiamenti  di  pacificazione  che  ben  dispongono    corpo,  cuore  e  mente  del  pellegrino  si ritrovano presso qualsiasi altra cultura attuale o passata).      Ulteriore  caratteristica  della  peregrinazione  è  la  coralità,  o  collettività, dell’esperienza che, pur essendo vissuta   individualmente nel suo valore formativo, viene comunque fatta insieme a molti altri viandanti.    Sembra quasi che un flusso ininterrotto di partecipanti alimenti il fiume dei pellegrini che da sempre nel tempo e ovunque nello  spazio  si  è messo  in  cammino, per  attingere  in qualche  luogo  la conoscenza sul vero significato della vita.        Per analogia  il pellegrinaggio, sotto questo aspetto, diviene  immagine simbolica dello  scorrere  continuo  della  esistenza  e  in  particolare  dell’evolversi  della  specie umana,  attraverso  la  conquista  della  parola9  e  il  superamento  della  individualità mediante l’organizzazione sociale e lo sviluppo della coscienza universale.      Infine  la  quarta,  e  forse  più  importante,  caratteristica  del  pellegrinaggio  è  la scoperta  al  termine  del  percorso  della  presenza  nel  viandante  del  doppio personaggio,  dell’allievo  guidato  da  un  maestro  che  ne  è  la  figura  speculare  e solidale, da sempre uniti nel cammino verso Oriente      Fissati questi punti peculiari che sono  il patrimonio di una universale esperienza fatta  sin  dagli  albori  dell’umanità,  dal  punto  di  vista  iniziatico  il  “pellegrinaggio” facilmente  si  comprende  come un necessario  cammino  che  riconduce al punto di partenza e porta a  riscoprire nel  tempo  l’attualità di  ciò  che precede  il presente (“la Tradizione”)  e nello spazio l’ubiquità del centro sacro, luogo di manifestazione della Realtà superiore (“Il Tempio”).      I  connotati di un  viaggio  circolare, da  intraprendersi una  volta preparati  con  la purificazione  il  corpo,  il  cuore e  la mente, alleggerendo all’essenziale  il bagaglio e procedendo  coralmente  con  gli  altri  Fratelli  “pellegrini”  alla  riscoperta  individuale 

                                                             7 nel rito funebre degli Hindù, durante il trasporto del defunto verso il luogo di cremazione, parenti e accompagnatori ripetono continuamente la formula:   RAM NAM SATYA È  ! (“il Nome del Fuoco è Verità !”) 8 palindromia finale del tempo e dello spazio, ovvero l’Uno > la manifestazione> il Due > il riassorbimento > l’Uno 9 Per l’Induismo, il sacro fiume Saraswati  impersonifica anche la Dea del Logos, del linguaggio e della conoscenza. 

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del proprio maestro  interiore  si  ritrovano puntualmente  in  tutti  i passaggi  salienti della Iniziazione a ciascuno dei tre gradi della Massoneria azzurra.  Passaggio attraverso la “porta stretta” affiancata dalle due colonne B:. e J:.  

  

     Le due  colonne  compendiano  i  due  essenziali  principi  dell’Universo  secondo  le dottrine  esoteriche  e  secondo  ogni  filosofia  vivente:  la  colonna  “B:.”  è Agni  dell’ antichissimo culto vedico, l’ Eterno Mascolino, l’ Intelletto creatore,  lo Spirito Puro; la colonna “J:.” è Soma, L’Eterno Femminino, l’ Anima del mondo o Sostanza Eterea, Matrice di tutti i mondi visibili ed invisibili, Natura o Materia Sottile nelle sue infinite trasformazioni (cfr. E. Schuré – I Grandi Iniziati. Roma, 1966). 

 

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     La  loro  indissolubile  unione  (il  “Rebis”,  l’Androgino, Ardhanārīśvara)  rimanda  a 

Tāṇḍava, danza cosmica di Shiva, “simbolo della rivoluzione della Ruota Cosmica con 

le  due  differenti  fasi  di movimento,  la  spinta  attiva  verso  l’alto  su  di  un  lato  e  il passivo volgersi verso il basso dall’altro … [che rivelano] le due fasi alterne del ciclo cosmico:  la  sua  emanazione  ed  evoluzione  nello  Spazio  e  nel  Tempo  e  la  sua dissoluzione con il riassorbimento nella unica immutabile Essenza di tutte le cose. In riferimento a Shiva, esse rappresentano i due aspetti della sua divina Lîlâ, l’attività di  estrinsecazione  per  la  quale  egli  cela  se  stesso  nella mâyâ  della  creazione,  e l’attività di ritrazione per  la quale  libera tutte  le forme precedentemente create dal Samsâra  e  le  reintegra  nel  suo  proprio  Essere.  L’orbita  della  sua  danza  è  dunque l’universo  intero,  il  suo  fine  è  la  liberazione”  (da Margaret  Stutley,  James  Stutley, 1980 – Dizionario dell’Induismo – Ubaldini Ed., Roma,).  Ingresso nel Tempio e  Circumambulazione (Pradakshinâ10) 

  

                                                              10 “Circumambulazione”. Il prefisso “pra” sta ad indicare un procedimento naturale. “Dakshinâ”, lett. “meridione” o “meridionale”, in questo contesto indica dunque in movimento circumambulatorio relativo al sole, che a mezzogiorno è esattamente a Sud, dal momento che l’oggetto attorno al quale si gira è sempre tenuto alla propria destra.   Tra le altre funzioni (attorno ad alberi, animali sacri, templi, ecc., quale atto di venerazione, di rispetto, di sacrificio, di prosperità e protezione contro ogni male) può servire a delimitare un’area consacrata (vedi “squadratura del tempio”, eseguita ogniqualvolta si entra nel T:. e si iniziano i lavori di L:., con una circumambulazione di tre giri). Durante la celebrazione del sacrificio del cavallo (ashvamedha), le mogli del sovrano eseguono una circumambulazione attorno al cavallo, intendendo così fare ammenda alla sua uccisione.  Qualora, però, la circumambulazione venisse compiuta nella direzione contraria a quella prescritta  –in tal caso è detta “prasavya”– l’effetto sarebbe un influsso estremamente negativo, causa di sorte avversa e di morte.  Pur inizialmente connesso con la magia, il rito della pradakshinâ divenne in seguito un importante elemento del rituale vedico, in stretta relazione con il Vishnu solare e con i suoi tradizionali “tre passi” racchiudenti il mondo, simboleggiati dal triplice giro attorno a un oggetto sacro. I testi tantrici forniscono dettagliate istruzioni per la corretta esecuzione della  pradakshin; la Lingârcana‐candrikâ specifica specifica il numero di circumambulazioni da eseguire per ciascuna divinità: una per Candî, sette per Sûrya, tre per Ganesha, quattro per Hari (Vishnu) e una e mezza per Shiva. (da Margaret Stutley, James Stutley, 1980 ‐Dizionario dell’Induismo. Ubaldini Ed., Roma) 

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   (da Françoise L’Hernault et alii, 1990 – Tiruvannamalai, un lieu saint shivaïte du sud de l’Inde. Vol II. E.F.E.O., Paris) 

 

   

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              Agni Lingam              Simha Tirtam            Yama Lingam         Nirudhi Lingam    Surya Lingam   Varuna Lingam 

                                                            Vayu Lingam                Kubera Lingam              Esanya Lingam 

     Una  volta  oltrepassate  le  due  colonne  di  J∴    e  B∴,  “dvârapâla”  collocati  sul limite occidentale del Tempio11 (duplice funzione di trattenere chi non è Iniziato e di accogliere  chi  è  il  “nato  due  volte”,  o  “dvi‐ja”)  come  le mitiche  colonne  d’Ercole poste  a  definizione  degli  estremi  confini  occidentali  di  un  mondo  conosciuto  e organizzato da cui il chaos è bandito, si accede ad un’altra dimensione.         Lo  spazio  viene  percorso  tutto  intero  in  modo  circolare,  a  immagine  di  un pellegrinaggio che  fa  toccare  i punti cardinali,  risvegliando  la coscienza del  singolo individuo  in  rapporto  non  solo  al  Cosmo  ma  anche  al  Tempo.    Il  complesso simbolismo della Loggia  serve allora ad esprimere proprio il senso di questo viaggio all’interno di una unica dimensione spazio‐temporale.                                                                 11 Mircea Eliade definisce il T∴  quale “riproduzione sulla terra di un modello trascendente”, cioè “copia di un archetipo celeste”, “casa degli dei”   

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10 

     Nel  Tempio  l’iniziato,  ossia  colui  che  è  stato  semplicemente  posto  sulla  lunga strada della ricerca di una Realtà superiore e universale, è chiamato a ripercorrere continuamente  il cammino del  sole  (o meglio  il vero moto  rotatorio della  terra da occidente  ad  oriente),  con  un  bagaglio  ridotto  e  essenziale  di  strumenti.      Le incrostazioni, i desideri, le passioni, a cui si è tutti così tenacemente attaccati, sono lasciati  al  di  fuori  della  soglia.      La  leggerezza  è  sostegno  indispensabile  nel procedere e nel mantenere acuti i sensi, la ragione e il cuore.      Questo perenne movimento, questa specie di danza circolare che, come presso i Dervishi Mevlevi, ha anche  la  funzione di  inebriare  e  staccare  l’animo e  la mente dalla  pura  corporeità  della  condizione  umana,  è  generato  da  un  flusso  corale  di Fratelli  che uniti formano una catena tenace e duratura.          Ruota  il percorso,  in un Tempio ove  la Verità non è proprietà di alcuno, ove  la certezza non è mai conseguita ma  si è chiamati a cercare  sempre.     L’insieme dei simboli  evoca  allusioni  e  metafore  capaci  di  suscitare,  a  loro  volta,  sensazioni, introspezioni e moti dell’animo che trasmutano l’adepto.     Pian piano si svela  la somiglianza del volto del “servitore‐Capo supremo” Leo con quello del pellegrino, uniti e speculari sulle facce opposte di una stessa statua, come in un Giano bifronte (cfr. Hermann Hesse, Il pellegrinaggio in Oriente).     Comincia  allora  la  trasmutazione  del  secondo  nel  primo  poiché,  parafrasando Hermann  Hesse,  Leo  doveva  crescere,  il  pellegrino  doveva  diminuire,  il maestro interiore manifestarsi nella  sua pienezza,  la pietra diventare perfettamente cubica (“Tat tvam asi12”). 

 Sri Ramana Maharshi 

     Al  centro  del  rettangolo  di  “proporzione  aurea”  o  “quadrilungo”  (cfr.  Jules Boucher –La  simbologia massonica‐ Atanor, Roma, 2001), che costituisce  la pianta del Tempio,  si  incontra nella camera di mezzo di Maestro  l’inequivocabile  simbolo dell’Esagramma,  denominato  anche  “Sigillo  di  Salomone”o  “Pietra  Filosofale”, unione divina di Microcosmo e Macrocosmo, di “purusha” e “prâkriti”, concepitori dell’uovo cosmico o “bindu”, principio eterno e  indifferenziato,  il “brahman” o axis mundi a seconda dell’ambito culturale d’Oriente o di Occidente. 

                                                             12 Una frase che si ritrova nella Chân Upanishad e viene usata come un mantra, simbolo della “identità fondamentale di macrocosmo e microcosmo”. Tat (quello) rappresenta il brahman, il principio universale; tvam (tu) l’âtman, l’aspetto individuale e soggettivo di brahman. L’uomo realizzato identifica il proprio “sé” con il “sé” di tutti gli altri esseri e gioisce del loro bene. (cfr.  Margaret Stutley, James Stutley – Dizionario dell’Induismo –Ubaldini Ed., Roma, 1980) 

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11 

                               Esagramma con bindu   Esagramma con pentalfa          Sri‐Yantra                        Cristallo di rocca con Yantra       

     Si trova nei Veda il testo seguente. “O Dèi, che siete in numero di undici nel cielo; che siete in numero di undici sulla terra e che, in numero di undici, abitate con gloria in mezzo all’aria, possa il nostro sacrificio esservi gradevole” (Rig Veda, Adhyaya, II, Anuvaka, XX, Sukta, IV, V, II).      E’  curioso  notare  che  l’addizione  del  pentagramma  e  dell’esagramma  dà  per totale undici e il numero undici ritorna anche nella fascia e nelle insegne di Maestro.   Segni di Apprendista, Compagno d’Arte,  Maestro e chakra13 

‐ L’Apprendista  si mette  all’ordine  con  il  tipico  “segno gutturale”,  che  gli AA interpretano  quale  controllo  delle  passioni  e  degli  umori  inferiori  da  parte della  superiore  ragione  e  coscienza,  ovvero  isolamento  del  pensiero  dagli influssi  esterni,  vittoria della  volontà  alla base dei progressi  da  compiere  in assoluto  “silenzio”,  trasmutazione dell’impulsività passionale  (la gola è  retta nella  tradizione  alchemico‐esoterica  occidentale  dal  Toro)  in  fermezza  e perseveranza  nel  bene,  sotto  l’influsso  delle  forze  psichiche  superiori dell’individuo. In sintesi è la “decapitazione” che libera l’iniziato e fa uscire dal suo corpo la coscienza del suo vero essere. Il quinto  chakra  (Vishuddah), posto all’altezza della gola nella  regione della laringe, è proprio “la porta della grande  liberazione per colui  i cui sensi sono puri e controllati.  La liberazione si ottiene con il risveglio di questo centro che permette  di  vedere  le  tre  forme  del  tempo,  cioè  il  passato,  il  presente  e l’avvenire.    Vi  è  la  realizzazione  dell’essere  al  di  là  del  tempo,  nella manifestazione immateriale di cui questo chakra è in qualche modo la porta di entrata”  (cfr.  J.  Marquès‐Rivière,  1938  –Le  yoga  tantrique  hindou  et thibétain).   Esso è il centro dello sforzo spirituale che apre l’ingresso ai livelli superiori, lo stesso  sforzo  che  l’Apprendista  deve  compiere  per  progredire  sulla  Via Iniziatica. Il triangolo volto verso il basso sulla colonna B:. è il suo riferimento. 

                                                             

13Mûlâdhâra , Svâdhishthâna , Manipûra  M:., Anâhata  C:., Vishuddha  A:.,  

    Ajñâkhya  , Sahasrâra  

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12 

‐  Il  Compagno  (d’Arte)    si mette    all’ordine  con  il  “segno  pettorale”, mano destra sulla regione del cuore, che secondo gli antichi Rituali sta ad  indicare l’impegno  d’amore  universale  che  trascende  l’individuo,  il  dominio  sui sentimenti che non cede a  impeti  irriflessivi,  il vaso pieno di prezioso “verde liquore” prodotto dalla mistica unione di forza ed energia. Il pentalfa al centro dell’esagramma è il suo segno distintivo. Il  quarto  chakra  (Anâhata),  localizzato  nella  regione  cardiaca,  luogo  ove risiede l’anima vitale, indica il suono che nasce dal silenzio o il suono della vita (il Massone acquista la parola solo nel grado di Compagno).  E’ importante ricordare che esso porta al centro l’Esagramma  di “purusha” e “prâkriti” intrecciati  nella eterna danza cosmica. Anche  in  questo  secondo  livello di progressione  iniziatica  le  corrispondenze analogiche tra segno e chakra sono evidenti. 

 ‐ Il Maestro  si mette  all’ordine  con  il  “segno  di  dimezzamento”  ponendo  la 

mano destra contro il fianco sinistro all’altezza dell’ombelico, compiendo così la  funzione  di  liberare  completamente  l’energia  del  proprio  athanor  e diventare egli stesso fucina cosmica in una specie di palingenesi universale. Segno  distintivo  della Maestranza,  soprattutto  in  seno  all’Arco  Reale,  è  la triplice Tau, contrassegno del luogo dove fu nascosta la “parola perduta” che generò l’intero cosmo. 

 Il terzo chakra (Manipûra), residente nella regione ombelicale alla bocca dello stomaco,    è  il  centro  delle  energie del  fuoco  sprigionantesi da un  triangolo ardente posto al centro.   La  sillaba divina che vi  risuona, “ram”, è  il  tramite igneo per accedere alla Verità e ritrovare la “parola perduta” . Qui  acquista  un  significato  pregnante  e  simbolico  la  litania  usualmente ripetuta da coloro che accompagnano una salma alla cremazione: "Ram Nam Satya Hai" (il nome di Ram è Verità).  E così il Maestro muore e rinasce alla Luce della Verità.         

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13 

      In  conclusione,  numerosi  sono  gli  elementi  di  convergenza  o  addirittura  di coincidenza  che  emergono  dalle  cerimonie  di  iniziazione,  quella  indù  della “upanayana14”,  conosciuta  attraverso  l’Atharva  Veda  (XI  5.3)  e  che  attribuisce all’iniziato il titolo di “dvi‐ja”,  e quella massonica che genera il “due volte‐nato”.      Le componenti essenziali nella struttura di questi riti sono: 

- il  riferimento  ad  un  “archetipo”  comportamentale,  ovvero  ad  un  modello posto  alle  origini  della  cultura  e  della  società,  considerato  come  iniziatore (radice vitale) nel quadro dello sviluppo della vita.   Esso è in grado di fornire con  il  suo  esempio  potenza  ed  efficacia  all’azione  dell’uomo  che  intende incamminarsi sulla via iniziatica con la trasformazione del suo sentire e agire; 

- il simbolismo della “morte iniziatica”, per cui l’iniziazione fa uscire il candidato dal tempo storico per metterlo in relazione con il tempo fondatore.   Si tratta di una morte rispetto ad una situazione anteriore di buio e ignoranza, di paura e  disimpegno,  a  cui  necessariamente  segue  una  comprensione  della  realtà sempre più chiara e un impegno di lavoro sempre più deciso;   

- il simbolismo di una “nuova nascita”, che consiste nell’assunzione da parte del candidato della nuova esistenza alla quali  i  riti  lo hanno  introdotto.       Nella simbologia della nuova nascita, un ruolo  importante è occupato dai miti, che inducono  a  ripetere  i  gesti  creatori  delle  origini.      L’iniziazione  è  così  una riproduzione  della  cosmogenesi,  la  saldatura  con  la  cosmogonia, ma  anche insieme una nascita mistica, una seconda nascita. 

    Dopo  aver  riconosciuto  i  passi  di  un  comune  cammino  millenario,  ancor  oggi percorso da  coloro  che  cercano, usciamo  simbolicamente dal Tempio  cancellando con  un  gesto  antico  il  “disegno  sin  qui  tracciato”  e  distruggiamo  il  “quadro”  del nostro lavoro.                                                              

14  L’iniziazione nell’induismo, passaggio obbligato per  tutti  i brahmini, viene appunto  chiamata “upanayana”, parola  formata dal pre‐verbo “upa” che significa “presso”, seguito dal verbo “nayana”, cioè “condurre”.       Pertanto essa indica letteralmente l’azione di “introdurre presso” e quindi l’esperienza di “ingresso” già sottolineata sin qui più volte. 

Centrale  nella  esperienza  iniziatica  è  la  conoscenza  della  parola  sacra  o  “brahman”.      L’iniziazione  diviene identica    a  una  formazione  spirituale  e  la  presenza  e  frequentazione  attiva  di  un  Maestro  è  il  presupposto fondamentale di questo percorso. 

Nella fattispecie due sono i riti essenziali della “upanayana”: - l’imposizione del “cordone brahmanico, senza cui non si può sacrificare, che cinge il busto dell’iniziato dalla 

spalla sinistra al fianco destro; - l’insegnamento di una formula sacra, la “sâvitrî”, che suona così. 

“Possiamo noi ricevere la meravigliosa Luce del dio Savitar. Possa essa vivificare le nostre menti” 

Luce iniziatica che genera la visione delle cose nella loro essenzialità, la percezione della realtà priva del velo di Maya, non il continuo e ingannevole fluire, ma l’eterno e vero essere.  

 

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14 

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