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Editoriale Un nuovo inizio.................................................................................... 3 Alberto Lapini Urologia RALP di salvataggio ............................................................................. 5 Angelica A. C. Grasso, Daniela Varisco, Gabriele Cozzi, Matteo G. Spinelli, Bernardo M. Rocco, Francesco Rocco Biologia molecolare La transizione epitelio‑mesenchimale nel carcinoma della prostata .......... 13 Anna Casamichele, Marco Folini Oncologia medica Il seminoma testicolare allo stadio I: nuovo standard terapeutico? ............ 17 Francesco Massari, Francesca Maines Oncologia medica Cardiotossicità da inibitori tirosin‑chinasici (TKI) nei pazienti affetti da carcinoma renale ........................................................................... 19 Veronica Prati Pro & Contro L’ipofrazionamento nella radioterapia del tumore prostatico: pareri a confronto............................................................................... 23 Filippo Alongi, Marco Trovò Vero o falso? Carcinoma della vescica: aspetti controversi .......................................... 27 Carlo Patriarca Il punto Update sulla terapia di deprivazione androgenica del cancro della prostata con un LHRH agonista a formulazione semestrale .............. 29 Vincenzo Mirone Clinical & Research Journal 2012; 1(1): 1-36

Clinical & Research Journal · Urologia Pasquale Ditonno, Federico Lanzi, Massimo Maffezzini, Bernardo Rocco, Vincenzo Scattoni STAFF EDITORIALE Redazione Rossella Iannone – [email protected]

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EditorialeUn nuovo inizio .................................................................................... 3Alberto Lapini

UrologiaRALP di salvataggio ............................................................................. 5Angelica A. C. Grasso, Daniela Varisco, Gabriele Cozzi, Matteo G. Spinelli, Bernardo M. Rocco, Francesco Rocco

Biologia molecolareLa transizione epitelio‑mesenchimale nel carcinoma della prostata .......... 13Anna Casamichele, Marco Folini

Oncologia medicaIl seminoma testicolare allo stadio I: nuovo standard terapeutico? ............ 17Francesco Massari, Francesca Maines

Oncologia medicaCardiotossicità da inibitori tirosin‑chinasici (TKI) nei pazienti affetti da carcinoma renale ........................................................................... 19Veronica Prati

Pro & ControL’ipofrazionamento nella radioterapia del tumore prostatico: pareri a confronto ............................................................................... 23Filippo Alongi, Marco Trovò

Vero o falso?Carcinoma della vescica: aspetti controversi .......................................... 27Carlo Patriarca

Il puntoUpdate sulla terapia di deprivazione androgenica del cancro della prostata con un LHRH agonista a formulazione semestrale .............. 29Vincenzo Mirone

Clinical& ResearchJournal

2012; 1(1): 1-36

DIRETTORE RESPONSABILELorenzo Pradelli

DIRETTORE SCIENTIFICOGiuseppe Martorana

EDITOR IN CHIEFAlberto Lapini

COMITATO SCIENTIFICOAnatomia patologica Carlo PatriarcaBiologia molecolare Marco FoliniOncologia medica Valentina Baldazzi, Francesco Massari, Andrea Necchi,

Cinzia Ortega, Marcello TucciOncologia radioterapica Marco Trovò, Andrea Vavassori, Vittorio Vavassori, Sergio VillaRicerca di base Cristiana AngelucciSpecializzandi Matteo Salvi, Michele LanciottiUrologia Pasquale Ditonno, Federico Lanzi, Massimo Maffezzini,

Bernardo Rocco, Vincenzo Scattoni

STAFF EDITORIALERedazione Rossella Iannone – [email protected] grafico Enzo Cappelluti

AMMINISTRAZIONESEEd SrlVia Magenta, 35 – 10128 Torino, ItalyTel +39‑011.566.02.58Fax +39‑[email protected]© SEEd Srl – Torino. Tutti i diritti riservati

In corso di registrazione presso il Tribunale di TorinoISSN 2038‑1476N. ROC: 16323Periodicità: Quadrimestrale

IVA assolta dall’Editore ai sensi dell’art.74 lettera C del DPR 26/10/1972 n.633 e successive modificazioni e integrazioni nonché ai sensi del DM 29/12/1989. Non si rilasciano quindi fatture (art.1 c.5 DM 29/12/1989) SEEd Srl Via Magenta, 35 – 10128 Torino

Edizione fuori commercioRiservata ai Sigg. MediciCon il contributo educazionale di Astellas Pharma

Finito di stampare nel mese di luglio 2012 presso la tipografia La Grafica Nuova, TorinoStampato su carta ecologica senza uso di cloro

SEEd srl declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio delle informazioni contenute nella presente pubblicazione. Tali informazioni non devono essere utilizzate o interpretate come ausilio diagnostico e/o terapeutico e devono essere sempre verificate attraverso la consultazione della bibliografia relativa

Clinical & Research Journal

3

SIUrO2012; 1(1): 3

EDITORIALE

Alberto Lapini 1

1 Editor in chief

Corresponding authorDott. Alberto [email protected]

Eh già, siamo ancora qua, come direbbe Vasco, sembrava la fine…. ma siamo an‑cora qua. Dopo un periodo di difficoltà siamo ripartiti, durante l’esperienza precedente avevamo assistito al diffondersi delle richieste della rivista, che era passata da una ti‑ratura di 2.000 copie per il primo numero alle oltre 4.000 per il numero 6. Quindi una esperienza positiva che improvvisamente, per motivi al di fuori delle nostre competen‑ze, sarebbe finita. Fortunatamente le cose si sono aggiustate e oggi ci presentiamo con il primo numero della nuova rivista SIUrO: nuovo editore, nuovo nome, nuova grafica. Contenuti inalterati, sempre orientati verso le novità nelle diverse specialità che carat‑terizzano la SIUrO, da sempre società a carattere multidisciplinare. Tutto questo gra‑zie ad Astellas, che ci ha dato modo di portare avanti questo progetto editoriale in un momento non certamente dei più facili per l’industria farmaceutica.

Per il momento l’impostazione della rivista non cambia ma abbiamo delle idee che dobbiamo valutare: ad esempio pensavamo di realizzare un numero all’anno, tipo mo‑nografia, su argomenti ritenuti attuali e importanti per i diversi specialisti che afferi‑scono a SIUrO.

Per tale motivo sono graditi suggerimenti che potrete inviare all’editore SEEd (nella persona di Rossella Iannone, mail: [email protected]) al fine di poter assecon‑dare sempre più le vostre richieste.

Colgo l’occasione per ricordare che la rivista è aperta a tutti, in particolare ai giova‑ni: chiunque può inviare un elaborato che verrà valutato e, se ritenuto valido, pubbli‑cato. Per l’invio potrete contattare il sottoscritto ([email protected]) oppure direttamente SEEd ([email protected]).

Entro breve tempo la rivista sarà accessibile anche in versione on‑line accedendo al sito SIUrO.

Un saluto a tuttiAlberto Lapini

Un nuovo inizio

5

URO

LOgIA

SIUrO2012; 1(1): 5‑11

Angelica A. C. Grasso 1

Daniela Varisco 1

Gabriele Cozzi 1

Matteo G. Spinelli 1

Bernardo M. Rocco 1

Francesco Rocco 1

1 UO di Urologia, Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore, Policlinico, Milano, Istituto di Urologia, Università degli Studi, Milano

Corresponding authorDott.ssa Angelica A. C. [email protected]

RALP di salvataggioUROLOgIA

Introduzione

La radioterapia è una delle opzioni terapeutiche per il tumore prostatico (CaP). In accordo con le linee guida 2011 dell’Associazione Europea di Urologia (EAU) [1], la radioterapia tridimensionale (3D‑CRT) è il gold‑standard, mentre la radioterapia ad in‑tensità‑modulata (IMRT), un’ottimizzazione della 3D‑CRT, sta cominciando ad essere maggiormente usata come la radioterapia immagine‑guidata.

I pazienti a basso, intermedio e alto rischio beneficiano dell’aumento graduale della dose. Per i pazienti ad alto rischio, una terapia a breve termine di deprivazione andro‑genica (ADT) prima e durante la radioterapia esita in un aumento della sopravvivenza globale (OS).

La brachiterapia transperineale a basse dosi (BT) è un’altra tecnica sicura ed effica‑ce per i pazienti affetti da CaP a basso rischio [1]. I pazienti candidabili a questa tec‑nica devono soddisfare i seguenti criteri: stadio cT1-T2a N0 M0, Gleason score ≤ 6 su un numero sufficiente di biopsie random, livello iniziale di PSA ≤ 10 ng/ml, ≤ 50 % dei campioni bioptici positivi per neoplasia, volume prostatico < 50 ml e un buon punteggio secondo l’International Prostate Symptom Score (IPSS). La sopravvivenza libera da recidiva dopo 5 e 10 anni è stata riportata essere tra 71% e 93% e tra 65% e 85% rispettivamente, mentre non è risultato esservi alcun beneficio aggiungendo una ADT neoadiuvante o adiuvante.

Fallimento della radioterapia: definizione e incidenzaIn accordo con i criteri della American Society for Therapeutic Radiology and On-

cology (ASTRO), la recidiva di CaP localizzato dopo RT può essere definita da valori di PSA pari a 2 ng/ml sopra il valore nadir dopo RT [2]. Una biopsia prostatica dopo RT è necessaria solo se sono indicate procedure come la prostatectomia radicale (RP) di salvataggio. La scintigrafia ossea o la tomografia computerizzata hanno un valo‑re diagnostico aggiuntivo solo se i livelli sierici di PSA sono superiori a 20 ng/ml o se

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SIUrO RALP di salvataggio

la PSA velocity è maggiore di 2 ng/ml/anno. La tomografia ad emissione di positroni (PET) con C‑colina non è considerata un esame di routine quando i valori di PSA aumentano dopo tratta‑mento locale con intento curativo [3].

Nel 2002, Grossfeld et al. [4] hanno esa‑minato una coorte di 2.336 pazienti nel Can-cer of the Prostate Strategic Urologic Rese-arch Endeavor, un registro di pazienti affetti da tumore prostatico, sottoposti inizialmente a prostatectomia radicale (1.744), o radioterapia esterna (592), mostrando che il 92% dei pa‑zienti trattati con radioterapia è stato successi‑vamente sottoposto a terapia di soppressione androgenica per il trattamento secondario della progressione dei valori di PSA. Senza interven‑ti di salvataggio, l’intervallo medio fra progres‑sione biochimica e clinica è stato circa pari a 3 anni.

Nel 2008, Agarwal et al. [5] dimostrarono che il 63% dei pazienti ha un incremento del valore di PSA sierico entro 10 anni dopo radio‑terapia.

Con un tasso di recidiva biochimica (BCR) compreso fra 40% e 60% dopo radioterapia nel tumore prostatico clinicamente localizzato, ap‑prossimativamente 30.000 uomini presenteran‑no BCR ogni anno negli Stati Uniti [6].

Opzioni terapeutiche dopo fallimento della radioterapia

In caso di CaP recidivato dopo terapia ra‑diante, le opzioni terapeutiche includono RP di salvataggio, crioterapia, ultrasuoni focalizza‑ti ad alta intensità (HIFU) e BT di salvataggio [7,8].

La prima serie di RP e crioprostatectomia di salvataggio dopo fallimento della radioterapia è stata pubblicata nel 1985 da Mador e coll [9]. Da allora la chirurgia di salvataggio è stata uti‑lizzata con sempre maggior successo [10]. Tra le diverse procedure di salvataggio, solo la RP ha un controllo della malattia con un follow‑up superiore a 10 anni in una sostanziale percen‑tuale di pazienti (30-40%). La RP di salvataggio è però tecnicamente impegnativa e sono neces‑sari chirurghi esperti per ottimizzare i risultati: infatti cistiti attiniche, fibrosi e l’obliterazione dei piani di clivaggio causate dalla radioterapia possono comportare complicanze significative, come lesioni del retto, stenosi dell’anastomosi e incontinenza urinaria [8].

La criochirurgia è un’alternativa mini‑inva‑siva alla RP di salvataggio. I recenti progressi tecnologici nella criochirurgia hanno migliora‑to gli outcomes a lungo termine e hanno ridot‑to l’incidenza di complicanze quali l’inconti‑

nenza urinaria o la ritenzione e le fistole rettali [11].

Ismail et al. [12] hanno riportato i risultati di 100 pazienti sottoposti a criochirurgia di sal‑vataggio dal 2000 al 2005: il tasso di soprav‑vivenza libera da recidiva biochimica a 5 anni è risultato essere del 73%, 45% e 11% per i gruppi a basso, intermedio e alto rischio rispet‑tivamente, in accordo con la classificazione del rischio di D’Amico [13]. L’incidenza delle fistole retto-uretrali varia da 0 a 11%: l’introduzione di tecniche di protezione per le pareti rettali e l’u‑so di termosensori hanno considerevolmente di‑minuito questa incidenza (0-0,1%) negli ultimi studi. L’uso di catetere urethral-warming ha ri‑dotto l’incidenza di ostruzione urinaria al 50%, prevenendo la necrosi dell’epitelio uretrale.

L’incidenza di disfunzione erettile dopo crio‑chirurgia varia da 72% a 100%. Dolore perine‑ale si osserva nel 20 % dei pazienti e si risolve spontaneamente.

La tecnica HIFU si basa sulle proprietà fisiche degli ultrasuoni che permettono di focalizzare su un’area specifica energie crescenti, utilizzan‑do una lente acustica. Questa tecnica costitui‑sce una promessa come tecnica mini‑invasiva. Comunque, solo pochi studi sono stati condotti sulla HIFU come tecnica di salvataggio [8].

Nel 2009 Murat e coll. [14] hanno pubblica‑to la più ampia casistica di HIFU di salvataggio (167 pazienti), riportando una sopravvivenza li‑bera da progressione a 3 anni del 53%, 42% e 25% per i gruppi a basso, intermedio e alto ri‑schio rispettivamente.

La più comune complicanza è la fistola ret‑to-uretrale (3-16%); altre complicanze sono in‑continenza (10-49,5%), ritenzione causata da stenosi uretrale (17-17,6%), e disfunzione eret‑tile (ED) (66,2-100%) [14-16]. HIFU risulta quindi avere un’incidenza maggiore di compli‑canze rispetto alla criochirurgia di salvataggio e la BT [8].

La BT di salvataggio offre una percentuale di sopravvivenza libera da recidiva biochimica a 5 anni compresa in un intervallo fra 20 e 70%: l’uso incostante di studi prospettici randomizza‑ti, le definizioni differenti di recidiva biochimi‑ca e l’uso variabile di terapia anti‑androgenica hanno reso difficoltosa la determinazione della sua efficacia e il paragone con altre tecniche di salvataggio [8].

Le possibili complicanze della BT sono fistole, ematuria, ematochezia, stenosi uretrali, inconti‑nenza urinaria e ED [17].

Ad ogni modo, non esistono studi randomiz‑zati controllati che paragonino le differenti tec‑niche di terapie topiche che dimostrino se la terapia localizzata può aumentare la sopravvi‑venza libera da malattia e la sopravvivenza glo‑bale [18].

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SIUrO

URO

LOgIA

A. A. C. Grasso, D. Varisco, G. Cozzi, M. G. Spinelli, B. M. Rocco, F. Rocco

Pazienti candidabili alla chirurgia di salvataggio

Per selezionare i pazienti che possono trarre vantaggio da una terapia locale dopo fallimento della terapia radiante, è importante determina‑re se l’aumento di PSA rappresenti malattia lo‑calizzata o a distanza, o entrambi [19]. Infatti, solo i pazienti affetti da recidiva locale possono veramente trarre vantaggio dalla terapia di sal‑vataggio.

La recidiva locale dovrebbe essere dimostrata da un’agobiopsia prostatica. La diagnosi patolo‑gica dovrebbe considerare le alterazioni indotte dalla terapia radiante che possono ritrovarsi an‑che nella malattia ad alto grado (es. necrosi), che possono condurre a un inappropriato Gle‑ason score o a un risultato falso positivo [20].

Le metastasi a distanza possono essere in‑dagate con una scintigrafia ossea total‑body, mentre la risonanza magnetica o la tomografia computerizzata possono mostrare malattia linfo‑nodale regionale, anche se l’aumento dei valori di PSA possono precedere di 7 anni le metasta‑si clinicamente evidenti dopo radioterapia [21].

Metastasi a distanza sono meno frequenti nei pazienti che inizialmente hanno presentato una malattia a basso rischio (PSA <10 ng/ml, PSA velocity <2,0 ng/ml/anno, Gleason sco‑re alla biopsia ≤6, stadio T1c o T2a) [19], un incremento del PSA dopo più di 3 anni [22], un tempo di raddoppiamento dei valori di PSA maggiore di 8‑12 mesi [21,23] e un valore di PSA < 10 ng/ml prima della terapia di salva‑taggio[24]. I pazienti con queste caratteristiche possono trarre i maggior benefici da una RP di salvataggio.

In accordo con Chen e coll. [25], il paziente ideale per la chirurgia di salvataggio dovrebbe essere giovane e con un’aspettativa di vita supe‑riore ai 10 anni. È inoltre suggerito di indagare questi pazienti con cistoscopia, che può identi‑ficare una estensione subtrigonale del tumore, e con uno studio urodinamico. Infatti, uomini con una vescica scarsamente compliante o con iper‑riflessia detrursiorale subclinica non sono buoni candidati per la sola RP di salvataggio: in questi casi un’enterocistoplastica di ampliamento do‑vrebbe essere presa in considerazione.

I pazienti con vescica contratta, incontinenza urinaria o cistiti emorragiche dovrebbero esse‑re sottoposti a cistoprostatectomia in modo da ottenere una buona palliazione dei sintomi. La presenza di un tumore vescicale concomitante e un reperto intraoperatorio come un coinvolgi‑mento estensivo locale (collo vescicole e/o pare‑ti rettali [10]) può portare alla decisione di con‑vertire l’intervento in cistoprostatectomia con diversione urinaria [25].

Risultati oncologici della prostatectomia radicale di salvataggio

La prima serie di prostatectomie e cistopro‑statectomie di salvataggio per il CaP recidivato dopo radioterapia è stata descritta da Mador e coll. nel 1985 [9]. Attualmente, la RP di sal‑vataggio è l’unica tecnica che si è dimostrata efficace nel controllare il tumore a distanza di oltre 10 anni in una sostanziale percentuale di pazienti dopo fallimento della terapia radian‑te [27].

Nel 2005, Bianco e coll. [28] hanno esami‑nato 100 pazienti sottoposti a RP di salvatag‑gio. Il valore di PSA preoperatorio è risultato essere l’unico significativo parametro preope‑ratorio predittivo di progressione di malattia: infatti, la probabilità di sopravvivenza libera da recidiva a distanza di 5 anni per i pazienti con valori di PSA inferiore a 4, compreso fra 4 e 10 e superiore a 10 ng/ml, è stata, rispetti‑vamente, pari all’86%, 55% e 37%. La mor‑talità tumore‑specifica a distanza di 10 e 15 anni dopo RP di salvataggio è stata del 27% e del 40%, rispettivamente.

Nel 2009, Paparel e coll., descrivendo una coorte di 146 pazienti trattati con RP di salva‑taggio, hanno mostrato che su 43 pazienti se‑guiti per più di 5 anni, il 54% è risultato libero da recidiva (95% CI, 44-63%) [29].

Nel 2011, Chade e coll. [30] hanno ana‑lizzato una serie di 404 pazienti sottoposti a RP di salvataggio in seguito a recidiva di CaP post-radioterapia. Il 45% dei pazienti ha mostrato un’estensione extraprostatica della malattia, il 30% invasione delle vescicole se‑minali, il 16% coinvolgimento linfonodale; il 25% di questi pazienti ha presentato margi‑ni di resezione positivi per malattia. A 5 anni dalla RP di salvataggio, le probabilità di es‑sere liberi da BCR, metastasi e morte tumo‑re‑specifica si sono dimostrate essere pari al 48%, 83% e 92%, rispettivamente, mentre a 10 anni queste probabilità scendono al 37%, 77% e 83%, rispettivamente.

Gli Autori hanno inoltre dimostrato che un valore di PSA preoperatorio maggiore di 4 ng/ml e un Gleason score sul pezzo operatorio ≥ 7 possono predire BCR, l’insorgenza di me‑tastasi e il coinvolgimento linfonodale, men‑tre valori preoperatori di PSA ≥ 4,5, lo stadio clinico, il Gleason score bioptico e patologi‑co e la presenza di invasione delle vescico‑le seminali sono significativamente associati a un maggior rischio di morte tumore‑specifica dopo RP di salvataggio.

8 2012; 1(1)

SIUrO RALP di salvataggio

Complicanze della chirurgia di salvataggio

La RP di salvataggio non è globalmente ac‑cettata come opzione terapeutica per il CaP re‑cidivato dopo radioterapia in parte a causa delle significative potenziali morbidità [27].

Nel 1995, Rogers e coll. [24], su 40 pazienti sottoposti a RP di salvataggio, hanno riportato un tasso di incontinenza nel 58% dei casi, e un tasso di complicanze maggiori nel 33% (incluso il 15% di rischio di lesioni rettali).

Nel 2007, Nguyen e coll. [19] hanno analiz‑zato la morbidità di una serie di RP di salvatag‑gio eseguite dal 1990 (14 serie, 531 pazien‑ti totali). Le complicanze principali sono state incontinenza (41%), lesioni rettali (4,7%), e stenosi del collo vescicale (BNC). La mortalità post-operatoria è risultata essere dello 0,2 %.

Nel 2010, Gotto e coll. [31] hanno compa‑rato una coorte di 3.458 pazienti sottoposti a RP open con 98 pazienti sottoposti a RP open di salvataggio. In un’analisi di regressione multi‑variata, i pazienti sottoposti a intervento di sal‑vataggio hanno mostrato un maggior rischio di infezioni alle vie urinarie, BNC, ritenzione urina‑ria, fistole urinose, ascessi e lesioni rettali. Una più alta incidenza di BNC e ritenzione urinaria è stata riportata nei pazienti sottoposti, prima dell’intervento, a radioterapia esterna (XRT) e a terapia combinata versus la sola brachiterapia.

La nascita della prostatectomia radicale mini-invasiva

Nel 2003, Vallancien e coll. [32] hanno pub‑blicato una serie di prostatectomie laparoscopi‑che di salvataggio. Sette pazienti con CaP reci‑divato dopo radioterapia (5 dopo XRT e 2 dopo BT) sono stati sottoposti all’intervento. Il tempo medio operatorio è stato di 190 minuti (170‑210). Due pazienti hanno mostrato margini di resezione postivi (PSM); al follow‑up a distanza di 7, 12, 15, e 21 mesi, 4 pazienti erano libe‑ri da malattia con un PSA inferiore a 0,10 ng/ml, 5 pazienti erano continenti. Non sono sta‑te riportate trasfusioni, complicanze intra‑ope‑ratorie, conversioni alla chirurgia open, steno‑si dell’anastomosi, linfoceli, lesioni del retto o morte. Due pazienti che erano potenti prima dell’intervento sono diventati impotenti.

Da allora, solo pochi casi di RP laparoscopica di salvataggio sono stati pubblicati in letteratura. Nel 2007, Stolzenburg e coll. [33] hanno stu‑diato la fattibilità e l’efficacia della RP endosco‑pica extraperitoneale di salvataggio per il CaP in recidiva locale in 9 pazienti (3 precedentemente

sottoposti a HIFU e 6 a radioterapia). Per quanto riguarda le complicanze, è stato riportato solo un caso di ritenzione urinaria, mentre non sono sta‑ti riportati casi di conversione alla chirurgia open o trasfusioni. Sette pazienti sono risultati essere completamente continenti. Solo in un paziente si è rilevato un rialzo del PSA (1,20 ng/ml) 12 mesi dopo l’intervento chirurgico.

Un’altra serie di 12 pazienti sottoposti a RP endoscopica extraperitoneale di salvataggio è stata pubblicata nel 2008 da Liatsikos e coll. [34]. Il tempo operatorio medio è stato di 153 minuti e la perdita di sangue media è stata di 238 ml. Non sono state riportate complicanze intraoperatorie, conversioni alla chirurgia a cielo aperto, o trasfusioni. Dopo un follow‑up medio di 20 mesi, 10 pazienti sono risultati comple‑tamente continenti. Tre pazienti, continenti pri‑ma dell’intervento, non hanno riferito potenza dopo l’intervento chirurgico. Recidiva biochimi‑ca è stata osservata in un paziente a distanza di 12 mesi dalla chirurgia.

Prostatectomia robotica di salvataggio

Nel 2008, Jamal e coll. [35] hanno riportato un caso di RP laparoscopica robotica di salva‑taggio (sRALP). Il paziente era stato preceden‑temente sottoposto a XRT alla dose di 70 Gy e a 3 mesi di terapia antiandrogenica con cirpote‑rone acetato (100 mg/die) e goserelina (3,6 mg/die) per un tumore con Gleason score 3+3. Due anni dopo il paziente ha presentato emosper‑mia, PSA di 0,7 ng/ml e PCA 3 di 113 copie di mRNA/ml (normale < 35): la biopsia prostati‑ca ha mostrato un tumore residuo con Gleason score inclassificabile a seguito delle alterazioni radio‑indotte. Il paziente è stato quindi sottopo‑sto a sRALP senza linfoadenectomia per il basso rischio di metastasi linfonodali. Il tempo opera‑torio è stato di 150 minuti e la perdita ematica di 100 ml. Dopo 3 mesi, il paziente è risultato essere continente (0 pads/1 diaper), e il suo va‑lore di PSA è stato < 0,03 ng/ml.

Successivamente, altre 5 serie di sRALP sono state descritte in letteratura (55 pazienti tota‑li)[6, 36, 39]. I criteri di selezione dei pazienti candidabili a questa procedura sono i medesi‑mi che per la RP a cielo aperto [18], mentre gli outcomes oncologici e funzionali sono descritti qui di seguito.

sRALP: risultati oncologiciDal momento che la sRALP è una tecnica chi‑

rurgica piuttosto recente per il controllo del CaP

92012; 1(1)

SIUrO

URO

LOgIA

A. A. C. Grasso, D. Varisco, G. Cozzi, M. G. Spinelli, B. M. Rocco, F. Rocco

recidivo dopo terapia radiante, i dati di follow‑up non sono sempre disponibili. In alcune del‑le serie pubblicate, i risultati oncologici possono essere stimanti con il tasso PSM.

Nella serie riportata da Kaouk e coll. [36] (4 pazienti totali), due dei tre pazienti con esten‑sione extraprostatica della malattia (EPE) sono risultati avere margini di resezione positivi.

Boris e coll. [37] hanno descritto 11 pazien‑ti sottoposti a sRALP con linfoadenomectomia pelvica fra dicembre 2002 e gennaio 2008. Lo stadio istopatologico è stato T2c in 3 pazien‑ti, T3a in 7 e T3b in uno, e due pazienti hanno mostrato metastasi linfonodali. Solo 3 degli 8 pazienti T3 ha avuto PSM. I livelli di PSA sono rimasti dosabili in uno dei due pazienti con me‑tastasi linfonodali, mentre BCR è stata ritrova‑ta a distanza di 1, 2 e 43 mesi dalla sRALP in 3 pazienti.

Nel 2010, Eandi e coll. [6] hanno pubblicato la più vasta serie di sRALP con linfoadenomec‑tomia (18 pazienti totali). Cinque pazienti (2 con malattia T2, 2 con T3a e 1 con T3b) han‑no avuto PSM: tre con coinvolgimento unifocale del margine e due con coinvolgimento multifo‑cale. Dopo un periodo mediano di follow‑up pa‑ria a 18 mesi, 6 pazienti hanno mostrato BCR: 2 di questi pazienti avevano un PSA preoperato‑rio >10 ng/ml, 2 pazienti avevano PSM multi‑focali e 2 PSM unifocali.

Strope e coll. [38] hanno descritto una serie di sRALP su 6 pazienti, con un tempo mediano di follow‑up maggiore di 12 mesi: due di questi hanno mostrato BCR.

Chauhan e coll. [39], con uno studio retro‑spettivo, hanno identificato 17 pazienti con can‑cro prostatico biopticamente documentato dopo RT definitiva, che sono stati sottoposti a sRALP in tre diversi istituti universitari. Due pazienti, entrambi presentanti malattia extraprostatica, hanno mostrato PSM. A distanza di 4,6 mesi di follow‑up mediano, 4 pazienti hanno presenta‑to BCR. Un paziente ha mostrato metastasi lin‑fonodali.

Considerando tutti i dati pubblicati, 13/55 (23,63%) pazienti hanno mostrato PSM, e 15/51 (29,41%) ha presentato BCR.

sRALP: risultati sulla continenzaIn accordo con i dati forniti dagli studi de‑

scritti, il 51,85% (28/54) dei pazienti si è di‑mostrato continente, definendo “continente” un paziente che utilizza 0‑1 pads al giorno. Chauhan e coll. [39] hanno stratificato que‑sti pazienti per età: pazienti ≤ 60 anni, 61-70 anni e > 70 anni sono stati rispettivamente 5/5 (100%), 5/7 (71,4 %) e 0/2 (0%) continenti dopo sRALP.

sRALP: risultati sulla potenza

Gli outcome sulla potenza dopo sRALP sono scarsi a seguito della alta incidenza di disfun‑zione erettile pre‑operatoria a della prevalenza di malattia extraprostatica, che è più alta rispet‑to alle serie di RALP per il CaP localizzato. In accordo con gli studi citati, solo 2/50 (4,0%) pazienti [37] sono risultati potenti dopo sRALP, definendo come “potente” il paziente in grado di raggiungere un’erezione sufficiente per la pene‑trazione con o senza l’uso di agenti inibitori la 5‑fosfodiesterasi.

sRALP: complicanzeDiciannove complicanze totali si sono rileva‑

te in 18 pazienti, riportati nelle serie di sRALP pubblicate, e sono elencate qui di seguito, in ac‑cordo con la classificazione Clavien‑Dindo [40]: • 2 complicanze di grado I (due perdite urina‑

rie transitorie dopo l’intervento risoltasi con trattamento conservativo in seconda giornata post‑operatoria) [38];

• 9 complicanze di grado I‑d (8 perdite dall’a‑nastomosi, trattate prolungando il tempo di cateterizzazione, e un drenaggio pelvico pro‑lungato per 10 giorni per un incremento dell’output dal drenaggio stesso) [37];

• 4 complicanze di grado II (un’aritmia cardia‑ca [36], una trombosi venosa profonda trat‑tata con terapia anticoagulante, un’infezio‑ne della ferita della porta del trocar trattato con antibioticoterapia [39] e una enteroto‑mia durante la lisi delle aderenze, che è sta‑ta riparata intraoperatoriamente senza ulte‑riori complicanze, eccetto una lenta ripresa della normale alimentazione nel post‑opera‑torio) [6];

• 4 complicanze di grado IIIa (3 stenosi dell’a‑nastomosi [37,39] e una lesione dell’uretra posteriore [38]).Non sono stati riportati casi di trasfusioni o di

complicanze maggiori (grado IV‑V), in particola‑re lesioni delle pareti rettali.

sRALP: tecnica chirurgicaIl sistema da Vinci aiuta il chirurgo nello svol‑

gimento si procedure di salvataggio con una vi‑sione 3D e un in gradimento 10x, che permette un’accurata dissezione [36].

Gli Autori hanno utilizzato la loro tecnica abi‑tuale per la RALP [41,44], con o senza linfoa‑denomectomia, svolgendo una procedura nerve‑sparing solo quando vi erano piani di clivaggio riconoscibili [37].

10 2012; 1(1)

SIUrO RALP di salvataggio

Alcuni Autori hanno utilizzato espedienti per ridurre la morbilità della sRALP. Nell’esperien‑za multi‑istituzionale descritta da Chauhan e coll., i 3 centri, prima di procedere all’anasto‑mosi, si sono assicurati dell’integrità delle pa‑reti rettali con uno schema in 3 fasi [39]: in primo luogo è stata eseguita un’ispezione del‑le pareti rettali con ingrandimento 10x e con visione 3D con il sistema da Vinci; quindi la cavità pelvica è stata riempita con soluzione fisiologica e contemporaneamente è stata in‑sufflata aria tramite un tubo rettale: l’assenza di bolle significava assenza di lesioni maggiori; infine, nel retto è stato inserito un sigmoido‑scopio flessibile ed è stata spenta la luce del‑la telecamera robotica: qualsiasi transillumi‑

nescenza suggeriva un assottigliamento della parete rettale.

ConclusioniLa sRALP rappresenta l’evoluzione della RP

di salvataggio. La chirurgia robotica di salvatag‑gio ha gli stessi criteri di selezione dei pazienti della RP di salvataggio open, e apparentemen‑te ha la stessa efficacia oncologica, con il be‑neficio di avere minor morbilità peri‑operatoria [18]; comunque, solo pochi studi sono disponi‑bili al momento, e un più lungo follow‑up è ne‑cessario per apprezzare al meglio i reali risultati oncologici e funzionali.

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gIA mO

LEcOLARE

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BIOLOgIA mOLEcOLARE

La transizione epitelio-mesenchimale nel

carcinoma della prostata

Anna Casamichele 1

Marco Folini 1

1 UO di Farmacologia Molecolare,

Dipartimento di Oncologia Sperimentale e Medicina Molecolare, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano

Corresponding authorDott. Marco [email protected]

La transizione epitelio‑mesenchimale (EMT) è un processo fisiologico indispensabile per lo sviluppo embrionale, che consente alle cellule epiteliali di superare le costrizioni fisiche cui sono sottoposte e di acquisire un fenotipo mobile che permetta loro di mi‑grare e colonizzare differenti territori embrionali [1]. Nell’individuo adulto, l’EMT svol‑ge un ruolo chiave nel mantenimento dell’omeostasi dei tessuti (wound healing) e pare essere associata a diversi stati patologici [1]. Nei tumori di origine epiteliale, l’EMT svolge un ruolo nella progressione della malattia, permettendo alla cellula tumorale di invadere e migrare verso siti distanti dal tumore primario. A seguito dell’induzione di EMT, le cellule epiteliali assumono un fenotipo mesenchimale, perdendo la polarità apico‑basale e le connessioni intercellulari, acquisendo capacità invasive e migratorie e resistenza all’apoptosi, diventando capaci di infiltrare i tessuti adiacenti, superare le barriere endoteliali e dare origine a metastasi a distanza (Figura 1).

Uno degli aspetti più controversi dell’EMT nel CaP è legato alla possibilità di otte‑nere evidenze del processo in campioni patologici. Il Gleason score è stato visto come possibile indicatore morfologico dell’EMT. L’aumento del Gleason score è associato a un progressivo disfacimento dell’architettura della ghiandola, incluse la perdita della membrana basale e della polarità dell’epitelio cui è associato un progressivo aumento delle caratteristiche invasive [2]. Tuttavia, evidenze più precise di EMT nel CaP posso‑no derivare dall’analisi di marcatori molecolari [2]. L’attivazione dell’EMT è infatti as‑sociata a cambiamenti nell’espressione di geni specifici, accompagnati da alterazioni nella morfologia cellulare (citoscheletro), responsabili del passaggio dal fenotipo epite‑liale (sessile) a quello mesenchimale (migratorio). I prodotti proteici di tali geni posso‑no pertanto considerarsi marcatori molecolari di tale evento. Tra questi, l’E‑caderina è il marcatore principe dell’EMT, la cui perdita è associata alla distruzione delle giunzioni cellula‑cellula. È noto che nel CaP ridotti livelli d’espressione dell’E‑caderina correla‑no con la dedifferenziazione del tumore, l’invasività a livello locale, l’entrata in circolo delle cellule neoplastiche e la recidiva dopo trattamento radioterapico [3].

Tuttavia, la perdita dell’espressione dell’E‑caderina non è, da sola, un’evidenza suffi‑ciente di EMT. In differenti tipi di tumore, i suoi livelli d’espressione possono variare anche a seguito di eventi non relati all’EMT. Da qui la necessità di disporre di ulteriori biomarca‑

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SIUrO La transizione epitelio-mesenchimale nel carcinoma della prostata

tori del processo. È stato osservato che l’immuno-staining per l’E‑caderina in campioni ottenuti da prostatectomie o da metastasi linfonodali era ac‑compagnata da un’aumentata espressione dell’N‑caderina, un marcatore mesenchimale [4]. Questa osservazione ha portato al concetto dello switching delle caderine come marcatore di EMT [4].

Altri marcatori sono stati successivamente presi in esame. Tra questi, l’aumentata espres‑sione della vimentina, dell’α‑actina del muscolo liscio (α-SMA) e delle metalloproteasi (MMP) − associati al fenotipo mesenchimale − e l’attiva‑zione di fattori di trascrizione, quali Snail, ZEB e Twist. Molto di ciò che si conosce circa l’EMT nel CaP deriva da studi condotti su colture cel‑lulari. Tuttavia, la maggior parte delle linee cel‑lulari di CaP mostrano un elevato grado di ete‑rogeneità che si manifesta nella coesistenza di sottopopolazioni cellulari associate ad un ampio spettro di caratteristiche legate all’EMT. Rimane tuttavia da stabilire se l’eterogeneità osservata nei modelli sperimentali riflette effettivamente la presenza di EMT nei tessuti. L’introduzione delle colture cellulari tridimensionali renderà possibi‑le valutare un maggior numero di caratteristiche legate alla polarizzazione degli epiteli, permet‑tendo di superare le limitazioni dei modelli cel‑lulari attualmente disponibili, contribuendo a far

Figura1. Transizione epitelio‑mesenchimale (EMT). La EMT è un processo morfogenetico che si verifica durante l’embriogenesi e la progressione tumorale. A seguito dell’EMT le cellule epiteliali perdono le loro caratteristiche per assumere proprietà mesenchimali (capacità migratoria e invasiva). Il processo di EMT è indotto e regolato da diversi effettori quali fattori di crescita (FGF, TGF‑β, IGF), citochine (IL‑6) e componenti della matrice extracellulare. È caratterizzato dalla perdita di marcatori epiteliali come l’E‑caderina e le citocheratine e l’acquisizione di marcatori mesenchimali come l’N‑caderina e la vimentina.

luce sul ruolo svolto dall’EMT nel CaP. Nono‑stante queste limitazioni, i modelli sperimentali sono stati utili nello svelare gli eventi molecola‑ri alla base dell’EMT nel CaP. Per attivare l’EMT, la cellula necessita dell’azione concertata di una serie di meccanismi [2], distinguibili in: • induttori, ovvero stimoli extracellulari forniti

dal microambiente tumorale. Alla base dell’i‑potesi che l’EMT contribuisca alla progressio‑ne del CaP vi è la convinzione che il microam‑biente tumorale sia in grado di fornire diversi segnali in grado di indurre tale transizione. Tra questi numerosi sono i fattori di crescita che sembrano essere potenziali mediatori di indu‑zione del fenotipo mesenchimale, quali l’EGF, l’HGF, l’IGF‑1, il PDGF, l’HGF e il TGF‑β;

• controllori, ovvero i trasduttori del segnale. Gli stimoli ambientali (induttori) devono essere convertiti in segnali intracellulari che guida‑no i cambiamenti associati all’EMT. Tra que‑sti, le cascate di trasduzione del segnale (es. Ras/MAPK; PI3K/Akt), i fattori di trascrizio‑ne, i meccanismi epigenetici (metilazione del DNA, cambiamenti nella cromatina) e l’RNA interference (miRNA);

• effettori, ovvero cambiamenti nell’espressione o nell’attività di geni responsabili della tran‑sizione derivanti dall’azione combinata di in‑

duttori e controllori. Benché gli effettori siano in grado di me‑diare i cambiamenti di feno‑tipo associati all’EMT, i fatto‑ri principali alla base di questi eventi non sono ancora stati caratterizzati in modo preciso.

I fattori di crescita princi‑palmente coinvolti nell’EMT sono l’FGF e il TGF‑β, entram‑bi noti per svolgere un ruolo fondamentale nell’EMT fisiolo‑gica [1,2]. È stato dimostrato in un modello murino che la via di trasduzione del segna‑le attivata dal legame dell’FGF al suo recettore (FGFR‑1) era in grado di indurre un fenoti‑po simile all’EMT nella prosta‑ta di topo associato ad un au‑mento di metastasi linfonodali ed epatiche, con i foci meta‑statici caratterizzati da un fe‑notipo mesenchimale [5]. L’a‑nalisi dei profili d’espressione genica nei tumori derivati da questi topi ha messo in evi‑denza l’attivazione della via di segnalazione mediata da Wnt e un aumento dei livelli di SOX9, un fattore di trascri‑zione noto per agire sinergica‑

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Un ruolo significativo è esercitato dal TGF‑β, considerato l’induttore di EMT per eccellenza in quanto in grado di svolgere un ruolo fondamen‑tale sia nei processi ontogenici sia nella trasfor‑mazione neoplastica vera e propria. Il ruolo del TGF‑β nell’EMT e nella progressione dei tumori è a tutt’oggi oggetto di studio intenso.

Numerosi studi hanno evidenziato come esso sia in grado di indurre l’EMT in varie linee cellu‑lari di CaP [2]. Inoltre, è stato evidenziato che il TGF‑β causa un accumulo nel nucleo dell’NFkB (un fattore di trascrizione pleiotropico), la cui inibizione farmacologica blocca l’acquisizione delle caratteristiche mesenchimali nelle cellule trattate [7]. Da un’analisi di tissue microarray è inoltre emersa una signature costituita da geni relati all’EMT, quali TGF‑β, NFkB e vimentina, in grado di predire la recidiva biochimica dopo prostatectomia radicale, indipendentemente dal Gleason score [7]. Inoltre, si è visto che il TGF‑β è in grado di reprimere l’espressione dell’E‑ca‑derina e di altre proteine delle giunzioni cellulari (LAM332, ITGβ4) − mediante una cascata di eventi molecolari in parte noti, come l’attivazio‑ne di repressori trascrizionali quali ZEB, Twist e Snail − determinando l’aumento della capacità migratoria ed invasiva delle cellule [7]. Infine, è stato riportato che il dialogo tra lo stroma e le cellule epiteliali tumorali, mediato da TGF‑β,

IL‑6 e MMP, sembra essere in grado di fornire la maggior parte degli stimoli necessari per evoca‑re l’EMT nei CaP primari [8‑10].

Dato il ruolo centrale nella progressione del‑la malattia, non è sorprendente che la via di segnalazione (controllore) mediata dal recetto‑re degli androgeni (AR) possa essere implica‑ta nell’EMT, benché questo aspetto necessiti di ulteriori approfondimenti. È interessante tutta‑via sottolineare che il prodotto di fusione genica TMPRSS2‑ERG collabora con l’AR nell’indurre un fenotipo simile all’EMT [11]. Anche i miR‑NAs sono stati implicati nel controllo dell’EMT (si veda SIUrO Magazine n.5).

Una problematica relativa al CaP riguarda lo sviluppo di terapie efficaci contro la malat‑tia metastatica. In questo contesto, si è visto che l’EMT è associata ad una aumentata so‑pravvivenza cellulare in risposta ai trattamenti terapeutici. Per esempio, il fattore di trascrizio‑ne BMI‑1, coinvolto nell’EMT, è in grado di pro‑muovere la resistenza al docetaxel [12]. Di con‑seguenza, l’utilizzo di inibitori specifici dell’EMT potrebbe rappresentare un approccio terapeu‑tico innovativo anche nel contesto di regimi di trattamento combinato con farmaci antitumorali tradizionali.

Approcci sperimentali condotti su linee cel‑lulari o in modelli murini (es. TRAMP) di CaP hanno dimostrato che molecole naturali (es. ge‑nistein, silibinin) inducono una reversione del fenotipo mesenchimale e ostacolano la progres‑sione tumorale [13] e che anticorpi monoclonali diretti contro l’N‑caderina sono risultati partico‑larmente attivi in modelli preclinici di CaP ormo‑no‑resistente [14].

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17

OncO

LOgIA m

EDIcA

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OncOLOgIA mEDIcA

Il seminoma testicolare allo stadio I: nuovo

standard terapeutico?

Francesco Massari 1

Francesca Maines 1

1 Azienda Ospedaliera

Universitaria Integrata di Verona, Oncologia Medica d.U., Policlinico G.B. Rossi, Verona

Corresponding authorDott. Francesco Massari [email protected]

Negli ultimi anni, diversi trials hanno avuto come oggetto di studio l’approccio tera‑peutico nei pazienti affetti da seminoma del testicolo in stadio I, setting nel quale sono state valutate, tra le varie strategie, sia la sorveglianza, sia la radioterapia e la che‑mioterapia adiuvante. Il più grande di questi studi, TE19/EORTC 30982 [1] (in colla‑borazione con l’Organizzazione Europea per la Ricerca e la Cura del Cancro), è stato condotto tra il 1996 e il 2001 con la randomizzazione di 1.477 pazienti sottoposti o ad una singola somministrazione di carboplatino adiuvante (al dosaggio AUC7) o ad un trattamento con radioterapia (RT), in un rapporto di 3:5 (carboplatino: n. 573; RT: n. 904).

I risultati preliminari di questo studio di equivalenza, che sono stati riportati nel 2005, suggerivano che il carboplatino non è inferiore alla radioterapia nel prevenire recidive metastatiche e, inoltre, può ridurre il rischio di un successivo tumore al testi‑colo controlaterale.

Per confermare questi risultati iniziali, su Journal of Clinical Oncology di marzo 2011 Oliver e coll. hanno pubblicato dati maturi (follow‑up mediano di 6,5 anni) ri‑guardanti il possibile effetto della singola dose di carboplatino sui tassi di recidiva e sull’incidenza di tumore controlaterale [1].

Ipotizzando un relapse-free rate (RFR) di 96-97% a 2 anni, lo studio è stato con‑dotto per dimostrare la non inferiorità del carboplatino, escludendo un raddoppio della percentuale di recidive a 2 anni. La dose di RT è stata determinata da un random tra 30 Gy in 15 frazioni e 20 Gy in 10 frazioni. Tra i criteri di osservazione, la funzione gonadica è stata valutata mediante misurazione dell’ormone follicostimolante (FSH), ormone luteinizzante (LH) e livelli di testosterone. I livelli sono stati dosati in pretratta‑mento e dopo 12 e 24 mesi di trattamento. I risultati di RFR a 2 anni sono stati pari a 97,3% per il carboplatino vs. 96,5% per la radioterapia, mentre a 5 anni i dati sono stati del 94,7% per il carboplatino vs. 96,0% per RT (RT-C 90% CI, 0,7% al 3,5%, HR, 1,25; 90% CI, 0,83-1,89). È stato segnalato un unico caso di morte come con‑seguenza di seminoma (nel braccio RT). I pazienti trattati con almeno il 99% della dose AUC7 a 5 anni presentavano una RFR del 96,1% (95% CI, 93,4% al 97,7%) rispetto al 92,6% (95% CI, 88,0% al 95,5%) di coloro che hanno ricevuto dosi più

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SIUrO La transizione epitelio-mesenchimale nel carcinoma della prostata

basse (HR, 0,51, 95% CI, 0,24-1,07, p ,08). Dallo studio è emerso, inoltre, che nel braccio con carboplatino vi è stata una netta riduzione del tasso di GCT (germ cell tumors) controlate‑rale (carboplatino, n = 2; RT, n 15; HR, 0,22, 95% CI, 0,05 a 0,95; P 0,03), e che elevati livelli di ormone follicolo‑stimolante (FSH) (12 UI/L) pretrattamento sono stati un forte predit‑tore di ricaduta nel testicolo controlaterale (HR 8,57, IC 95% 1,82-40,38).

Gli Autori concludono affermando che tali dati forniscono risultati maturi affinché il carboplati‑no possa essere considerato come opzione stan‑dard nel trattamento dello stadio I del semino‑ma testicolare, al pari della sorveglianza e della RT, offrendo una alternativa meno tossica che almeno ritardi, e potrebbe ridurre, l’incidenza di GCT controlaterale.

Dall’analisi dello studio emergono, comun‑que, alcune perplessità e valutazioni da fare. Un follow‑up di 2 anni è probabilmente troppo breve nella valutazione della RFR, consideran‑do che negli studi di sorveglianza il 30% delle recidive si sono verificate dopo 2 anni. Inoltre,

la valutazione dell’efficacia del carboplatino vs RT è stata condotta basandosi sul presupposto che la RT sia a tutt’oggi lo standard nei semi‑nomi in stadio I, quando ancora la sorveglian‑za sembra esser la gestione più adatta in alcuni di questi pazienti. Per quanto riguarda il rischio di tumore controlaterale, i dati sembrano esser sicuramente a favore del carboplatino, anche se sarà, senz’altro, più chiara una valutazione ad un follow‑up più lungo. Infine, il follow‑up è inadeguato per rilevare la tossicità tardiva o la ricaduta. Ogni decisione, anche il trattamento di sorveglianza, ha conseguenze, ma il carbo‑platino, come la RT, in alcuni pazienti potreb‑be rappresentare un trattamento dall’eccessiva tossicità. Per i pazienti con neoplasie di gran‑di dimensioni, con più fattori di rischio, quali l’invasione linfovascolare, elevati valori di FSH alla diagnosi, la discussione dei vantaggi e de‑gli svantaggi di sorveglianza e RT sembra essere ragionevole.

Studi prospettici per identificare e convalidare fattori predittivi di recidiva sono assolutamente indispensabili.

Bibliografia1. Oliver RT, Mead GM, Rustin GJ, et al. Randomized trial of carboplatin versus radiotherapy for stage I

seminoma: mature results on relapse and contralateral testis cancer rates in MRC TE19/EORTC 30982 study (ISRCTN27163214). J Clin Oncol 2011; 29: 957‑62

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EDIcA

SIUrO2012; 1(1): 19‑21

OncOLOgIA mEDIcA

Cardiotossicità da inibitori tirosin-chinasici (TKI) nei pazienti affetti

da carcinoma renale

Veronica Prati 1

1 Specializzando in Oncologia

Medica. Divisione di Oncologia Medica a Direzione Universitaria, Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro, Candiolo, Torino

Corrensponding authorDott.ssa Veronica [email protected]

I farmaci a bersaglio molecolare in grado di inibire selettivamente le tirosin‑chinasi responsabili della crescita tumorale, in particolare sunitinib e sorafenib, sono negli ul‑timi anni divenuti la terapia cardine del carcinoma renale rivoluzionando così il tratta‑mento di questa patologia, che fino al 2006 si avvaleva unicamente dell’uso di cito‑chine e agenti chemioterapici con risultati deludenti in termini di risposte obiettive e sopravvivenza globale [1]. Gli inibitori tirosin‑chinasici (TKI) vengono suddivisi in due classi: la classe I è costituita da anticorpi diretti contro i recettori tirosin‑chinasici o contro i ligandi, la classe II è costituita da piccole molecole dirette contro specifiche chinasi. Queste piccole molecole competono con l’ATP a livello del suo sito di lega‑me: se l’ATP non è in grado di legarsi, l’attività fosfotransferasica viene bloccata con impossibilità alla fosforilazione dei substrati e conseguente blocco della trasmissione del segnale [2,3].

Sunitinib e sorafenib, agenti appartenenti alla classe II, sono definiti “multi‑target” dal momento che agiscono su diversi bersagli molecolari; questi ultimi non sono solo tirosin‑chinasi mutate o iperespresse delle cellule tumorali, ma anche tirosin‑chinasi non mutate delle cellule sane. Quest’ultimo aspetto sembra essere responsabile degli effetti tossici riscontrati con l’uso di questi farmaci, e in particolare di quello cardiaco. Il meccanismo di azione alla base della tossicità cardiaca rimane ancora poco cono‑sciuto, ma si ritiene che risulti principalmente dall’inibizione di tirosin‑chinasi diverse da quelle che vengono inibite in modo specifico per l’attività antitumorale.

A tale proposito si distinguono due tipi di tossicità: quella “on target” dovuta alla stretta azione del farmaco sui suoi bersagli molecolari, tipica per esempio dell’anti‑corpo monoclonale diretto contro il recettore ERB2, trastuzumab. Quella “off‑target”, tipica del sunitinib ad esempio, invece è dovuta a diversi meccanismi non legati diret‑tamente all’azione del farmaco sul suo bersaglio (Figura 1) [4].

Uno studio condotto da Schmidinger e coll. su 86 pazienti trattati con TKI (sunitinb e/o sorafenib) ha evidenziato che il 33,8% dei pazienti ha manifestato un evento car‑diaco durante il trattamento e il 18% dei pazienti era sintomatico. Il 40,5% ha presen‑tato variazioni significative all’ECG, che includevano alterazioni del ritmo e/o della con‑duzione, variazioni dell’ampiezza del QRS, sotto o sopra slivellamento dell’ST,

20 2012; 1(1)

SIUrO Cardiotossicità da inibitori tirosin-chinasici (TKI) nei pazienti affetti da carcinoma renale

alterazioni dell’onda T e allungamento del QT. Tutti i pazienti avevano effettuato una valutazio‑ne cardiologica con l’analisi di diversi fattoti di rischio prima dell’inizio del trattamento (iperten‑sione nel 48,8%, ipercolesterolemia nel 26,7%, diabete non-insulinodipendente nel 22% e iper‑trigliceridemia nel 12,8%). La valutazione car‑diologica è stata poi eseguita regolarmente du‑rante il trattamento con i seguenti accertamenti: biomarcatori cardiaci basali, dopo due mesi di trattamento e in caso di comparsa di sintomi; ECG basale e mensile nei pazienti asintomatici e immediatamente in caso di sintomi; misurazio‑ne della pressione arteriosa giornaliera; ecocar‑diografia basale e successivamente solo alla comparsa di sintomi. I sintomi presi in conside‑razione erano dispnea, angina e cefalea o verti‑gini soggettive [5].

Attualmente non sono ancora disponibili li‑nee guida sulla gestione della cardiotossicità da TKI ma dal momento che questa sembra esse‑re simile a quella osservata nel carcinoma del‑la mammella in trattamento con trastuzumab,

Figura 1. Meccanismi potenziali della tossicità di sunitinib a livello dei cardiomiociti indipendenti dall’azione diretta del farmaco. Attraverso l’inibizione della chinasi ribosomiale 6 (RSK), sunitinib potrebbe portare al rilascio del fattore pro‑apoptotico BAD (BCL2‑antagonist of cell death); questo porterebbe all’attivazione di BAX (BCL2 associated X protein) e al rilascio del citocromo c (Cyt c) culminando nell’attivazione della via intrinseca dell’apoptosi e nell’esaurimento di ATP. L’apoptosi dei miociti e il rapido consumo di ATP porterebbero a una disfunzione ventricolare sinistra (DVS) che sembra essere transitoria e reversibile dal momento che l’unità contrattile non viene distrutta in modo permanente. Inoltre, essendo AMPK implicato nella risposta delle cellule all’ipossia, la sopravvivenza dei cardiomiociti può essere pregiudicata nelle situazioni di ipossia, in particolare durante l’ischemia. Infine, l’aumentata attività di EEF2 e mTOR potrebbe aumentare un’ipertrofia cardiaca già probabilmente innescata dalla perdita di miociti e dalla disfunzione ventricolare sinistra [4]

potrebbe essere raccomanda‑to eseguire controlli cardiolo‑gici periodici. La frazione di eiezione ventricolare sinistra (LVEF) è il parametro più usa‑to nel monitoraggio della tossi‑cità cardiaca; questa però po‑trebbe sottostimare un reale danno cardiaco dal momento che la capacità compensatoria del miocardio è in grado di ga‑rantire un’adeguata funzione sistolica anche in presenza di danno a livello dei cardiomio‑citi [6].

Con una disfunzione ven‑tricolare sinistra, il peggiora‑mento della funzione diastoli‑ca può essere presente anche in assenza di alterazione del‑la funzione sistolica, e una di‑sfunzione diastolica subclinica precede un calo della funzio‑ne sistolica in molti pazienti; quindi una normale LVEF po‑trebbe mascherare un reale danno cardiaco. A tale propo‑sito sono in corso di elabora‑zione diversi approcci per la diagnosi precoce di tossicità cardiaca e soprattutto per la valutazione pre‑trattamento del rischio cardiovascolare.

L’elettrocardiogramma, come illustrato dallo studio sopra de‑scritto, metodo poco costoso e non invasivo, è in grado di rile‑

vare segni di cardiomiopatia soprattutto nell’im‑mediato, anche se non è in grado di fornire infor‑mazioni sulla funzione ventricolare sinistra.

L’ecocardiografia è in grado di valutare sia la funzione sistolica sia quella diastolica, e le variazioni di quest’ultima sembrano essere più sensibili nell’individuare alterazioni precoci della funzionalità cardiaca.

La scintigrafia miocardica è affidabile e co‑munemente usata per la valutazione della LVEF, ma sembra essere poco sensibile nella diagnosi di alterazioni minime della funzionalità cardiaca e quindi non adeguata per una diagnosi precoce del danno cardiaco [6].

Anche la valutazione dei biomarcatori cardia‑ci sierici, come la troponina e il peptide natriu‑retico, sembrano avere un ruolo nell’identifica‑zione di pazienti a più alto rischio di sviluppare tossicità cardiaca durante il trattamento e po‑trebbe essere un’utile metodo di screening per identificare un precoce danno cardiovascolare.

Infine la risonanza magnetica con gadolinio è in grado di riprodurre le caratteristiche ana‑

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V. Prati

tomiche cardiache includendo coronarie e peri‑cardio, ed è in grado di valutare in maniera pre‑cisa la LVEF.

Un adeguato monitoraggio della funzionali‑tà cardiaca si è reso quindi necessario dal mo‑mento che i sintomi dell’insufficienza cardiaca congestizia non sono specifici e spesso vengono attribuiti alla patologia neoplastica di base. Si tratta per di più di una disfunzione dovuta alla tossicità a livello dei miociti che risulta essere transitoria e reversibile, dal momento che non porta a distruzione delle unità contrattili. Negli studi retrospettivi condotti negli ultimi tre anni su pazienti in trattamento con TKI si è visto in‑

fatti che in caso di riscontro di una riduzione della LVEF, la sospensione del farmaco unita‑mente ad un’adeguata terapia medica permet‑tono un buon recupero della funzionalità cardia‑ca [7‑9].

Si può quindi concludere, sulla base di quan‑to esposto, che il danno cardiaco provoca‑to da TKI è un fenomeno spesso sottostimato, ma diventa facilmente gestibile e controllabile con un’adeguata valutazione basale del rischio cardiovascolare, un attento monitoraggio della funzionalità cardiaca e un corretto trattamento medico alla comparsa di sintomi o alterazioni biochimiche e/o strumentali.

Bibliografia1. Di Lorenzo G, Autorino R, Bruni G, et al. Cardiovascular toxicity following sunitinib therapy in

metastatic renal cell carcinoma: a multicenter analysis. Ann Oncol 2009; 20: 1535‑422. Cheng H, Force T. Why do kinase inhibitors cause cardiotoxicity and what can be done about it? Prog

Cardiovasc Dis 2010; 53: 114‑203. Cheng H, Force T. Molecular mechanisms of cardiovascular toxicity of targeted cancer therapeutics. Circ

Res 2010; 106: 21‑344. Force T, Krause DS, Van Etten RA. Molecular mechanisms of cardiotoxicity of tyrosine kinase inhibition.

Nat Rev Cancer 2007; 7: 332‑445. Schmidinger M, Zielinski CC, Vogl UM, et al. Cardiac toxicity of sunitinib and sorafenib in patients with

metastatic renal cell carcinoma. J Clin Oncol 2008; 26: 5204‑126. Altena R, Perik PJ, van Veldhuisen DJ, et al. Cardiovascular toxicity caused by cancer treatment:

strategies for early detection. Lancet Oncol 2009; 10: 391‑97. Chu TF, Rupnick MA, Kerkela R, et al. Cardiotoxicity associated with tyrosine kinase inhibitor sunitinib.

Lancet 2007; 370: 2011‑98. Khakoo AY, Kassiotis CM, Tannir N, et al. Heart failure associated with sunitinib malate: a multitargeted

receptor tyrosine kinase inhibitor. Cancer 2008; 112: 2500‑89. Telli ML, Witteles RM, Fisher GA, et al. Cardiotoxicity associated with the cancer therapeutic agent

sunitinib malate. Ann Oncol 2008; 19: 1613‑8

XXIII

Firenze, 9- 11 Giugno 2013

Sede del congressoPalazzo dei Congressi

Piazza Adua 1

CongressoNazionale SIUrO

Segreteria Organizzativa

Emilia Viaggi Congressi & Meeting S.r.l.Via Porrettana, 76 40033 Casalecchio di Reno (BO)tel. +39 051 6194911 - fax +39 051 6194900e-mail: [email protected] web: www.emiliaviaggi.it

Presidenti del Congresso:

Sergio BracardaAlberto Lapini

Presidente Onorario:Marco Carini

Segreteria Scientifica

Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO)Presidente: Giuseppe MartoranaTel. +39 051 6362421 – 051 302082e-mail: [email protected] web: www.siuro.it

Deadline abstract: 6 febbraio 2013

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PRO & cO

nTRO

SIUrO2012; 1(1): 23‑25

PROFilippo Alongi 1

1 Radioterapia e Radiochirurgia,

Humanitas Cancer Center, Istituto Clinico Humanitas, Rozzano (MI)

CONTROMarco Trovò 2

2 Oncologia Radioterapica,

Centro di Riferimento Oncologico di Aviano (PN)

Corresponding AuthorDott. Marco Trovò[email protected]

PRO & cOnTRO

L’ipofrazionamento nella radioterapia del tumore prostatico: pareri a confronto

PRO

Grazie alle recenti innovazioni della radioterapia a fasci esterni, come la radioterapia guidata dalle immagini (IGRT) e ad intensità modulata (IMRT), è possibile una estre‑ma accuratezza: a) nel controllo del posizionamento del paziente durante le sedute; b) della localizzazione del volume tumorale da irradiare; c) nella ottimale distribuzione della dose sulla ghiandola prostatica con la possibilità di innalzare la dose al tumore, limitando il coinvolgimento dei tessuti sani adiacenti.

Alla luce di tali sviluppi tecnologici, nel tumore della prostata “organo‑confinato”, la radioterapia a fasci esterni è sempre più proposta ai pazienti come alternativa terapeu‑tica radicale alla chirurgia, in quanto non invasiva e ugualmente efficace. Di contro, la durata totale del trattamento di radioterapia a fasci esterni può influenzare fortemente la scelta di questa opzione conservativa nel panorama dell’offerta terapeutica: solita‑mente un corso completo di radioterapia a fasci esterni consta di circa 7‑9 settimane. I tempi estremamente lunghi pongono indubbi limiti alla fattibilità del trattamento per le chiare problematiche logistiche del tipico paziente prostatico, spesso anziano e limi‑tato negli spostamenti autonomi. Oltretutto i trattamenti composti da così tante sedute comportano un peso non indifferente per i centri di radioterapia, talora già “congestio‑nati” da lunghe liste di attesa.

Il parametro che esprime la radiosensibilità di un tessuto rispetto alle radiazioni è l’α/β ratio, dose che esprime il momento di perfetto equilibrio tra le due componenti attraverso le quali si manifesta l’effetto tumoricida da raggi: il danno diretto, che porta immediatamente alla morte, e quello indiretto, che invece dipende da un meccanismo biologico e matematico più complesso.

Dai risultati di innumerevoli studi sulla radioterapia della prostata l’ α/β ratio nel caso della prostata sembrerebbe essere molto basso; recenti stime radiobiologiche lo attesterebbero intorno a valori di circa 1,5‑2 [1]. Se pensiamo che i tumori ad alta aggressività e i tessuti a rapida proliferazione, come ad esempio le mucose epiteliali, hanno un valore almeno di α/β 10, capiamo quanto possa essere differente in termi‑ni di radio‑sensitività il comportamento del tumore prostatico rispetto alle altre neo‑

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SIUrO L’ipofrazionamento nella radioterapia del tumore prostatico: pareri a confronto

plasie. In caso di α/β basso, ci aspettiamo una incrementata sensibilità alle alte dosi per frazio‑ne, mentre l’impatto della durata totale di tratta‑mento è molto meno significativo. Ciò si tradu‑ce nel fatto che poche frazioni ma con alta dose concentrata per singola seduta (ipofrazionamen‑to) risulterebbero maggiormente efficaci rispet‑to ad altri schemi di frazionamento più lunghi e con dose dilazionata.

Nel caso della prostata, inoltre, il valore di α/β di 1,5 del tumore risulterebbe verosimilmente più basso del valore di α/β 3 del retto, da cui dipendono gli effetti collaterali tardivi attesi. Da questo radiobiologico, basato sulla differente ra‑dioresponsività tra prostata e organi circostanti, si verrebbe quindi a creare una adeguata fine‑stra terapeutica idonea per l’adozione dell’ipo‑frazionamento, con aspettative ottimali di con‑trollo locale e a parità di effetti collaterali tardivi. Grazie infatti alla differenza tra l’α/β della pro‑stata, più basso, e quello più alto del retto e del‑la vescica, con l’adozione dell’ipofrazionamento si ipotizza, a parità di dose equivalente a quella prescritta con un frazionamento standard, un in‑cremento della probabilità di controllo tumorale e una riduzione della probabilità di complicazio‑ni ai tessuti sani.

Non è inoltre da sottovalutare il vantaggio per i pazienti di accorciare notevolmente il numero delle sedute di molte settimane, con il conse‑guente abbattimento dei costi organizzativi con‑nessi alla durata del trattamento, oltre che alla riduzione delle liste di attesa, meno congestio‑nate dai trattamenti brevi.

Il tumore della prostata, specialmente con ri‑schio basso e intermedio di malattia extracap‑sulare, per la sua ipotetica intrinseca radiosen‑sibilità alle alte dosi per frazione, è pertanto al centro di un crescente interesse della comuni‑tà scientifica in merito a nuovi schemi di ipo‑frazionamento da traslare nella pratica clinica [2]. Molteplici studi diretti da importanti strut‑ture nordamericane ed europee hanno ampia‑mente esplorato su alcune migliaia di pazien‑ti la fattibilità, tollerabilità ed efficacia di vari schemi di ipofrazionamento [3‑5]. Quasi tutte le esperienze cliniche pubblicate fino ad oggi ac‑crediterebbero l’ipofrazionamento come schema ideale per il tumore della prostata localizzato, con effetti collaterali e risultati clinici di control‑lo biochimico preliminarmente sovrapponibili alla radioterapia convenzionale. I dati pubblica‑ti, sebbene molti ancora con limitato follow‑up, spaziano da tecniche di moderato ipofraziona‑mento, in 18‑25 sedute, a tecniche più rapide e aggressive in 5‑8 frazioni, come già applicato con successo in altri distretti [6].

Per concludere, esistono i presupposti radio‑biologici, tecnologici e di convenienza logisti‑ca per confermare l’ipofrazionamento nel trat‑

tamento del tumore prostatico localizzato come schema indubbiamente vantaggioso rispetto al frazionamento standard.

CONTROPer ipofrazionamento si intende la riduzione

del numero di frazioni di un trattamento radian‑te con consensuale incremento della dose per frazione. Incrementando la dose per frazione, la dose biologica aumenta, così che per ottenere lo stesso effetto biologico è necessaria una dose di radioterapia inferiore. Per esemplificare questo concetto, nel carcinoma della prostata la dose di 70 Gy erogata in 28 frazioni (2,5 Gy/frazione) equivale ad una dose di 78‑84 Gy erogati in 39‑42 frazioni, ovvero a 2 Gy per frazione.

La riduzione della durata del trattamento ra‑diante pare rappresentare il principale punto di forza degli schemi ipofrazionati. Questo aspetto è importante sia per il paziente, ma soprattutto per il centro di radioterapia che è spesso conge‑stionato dalle lunghe liste d’attesa.

Gli altri argomenti a favore risultano assai più deboli. Probabilmente il rapporto alfa/beta è bas‑so nel carcinoma della prostata, (il che favorireb‑be l’adozione di alte dosi per frazione) ma alcuni studi hanno riportato dei valori più alti, analoghi a quelli delle altre neoplasie espiteliali [7].

A prescindere dal rapporto α/β del carcino‑ma della prostata, resta il fatto che il retto si caratterizza per un α/β basso, attorno a 3 Gy, il che significa un’elevata sensibilità alle radiazio‑ni (soprattutto alle alte dosi per frazione) in par‑ticolare per quanto riguarda gli effetti tardivi. La porzione anteriore del retto viene sempre irra‑diata a dose piena, poiché il target della radio‑terapia (PTV) si sovrappone ad esso. È un dato di fatto quindi che all’aumentare della dose per frazione aumenta la probabilità di tossicità tar‑diva rettale.

A questo riguardo è molto significativo lo studio del Radiation Therapy Oncology Group, RTOG 94‑06, studio di dose‑escalation con ra‑dioterapia 3D‑Conformazionale [8]. Utilizzando la tecnica 3D‑conformazionale, gli Autori han‑no studiato 5 livelli di dose: 68,4 Gy (1,8 Gy/fr), 73,8 Gy (1,8 Gy/fr), 79,2 Gy (1,8 Gy/fr), 74 Gy (2 Gy/fr) e 78 Gy (2 Gy/fr). Gli Autori hanno dimostrato che all’aumentare della dose totale di radioterapia la tossicità rettale tardiva seve‑ra aumenta. Ma il risultato più sorprendente è che i pazienti trattati con la dose di 74 Gy a 2 Gy per frazione avevano un’incidenza di tossici‑tà rettale superiore rispetto ai pazienti irradiati con la dose di 79,2 Gy a 1,8 Gy per frazione! Il solo incremento della dose-frazione dell’1% si è tradotto in un aumento significativo della tos‑sicità rettale. Questo studio ha determinato la

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SIUrO

PRO & cO

nTRO

F. Alongi, M. Trovò

Bibliografia1. Duchesne GM, Peters LJ. What is the alpha/beta ratio for prostate cancer? Rationale for

hypofractionated high‑dose‑rate brachytherapy. Int J Radiat Oncol Biol Phys 1999; 44: 747‑82. Fowler JF, Ritter MA. What hypofractionated protocols should be tested for prostate cancer? Int J

Radiat Oncol Biol Phys 2003; 56: 1093‑1043. Kupelian PA, Thakkar VV, Khuntia D, et al. Hypofractionated Intensity‑Modulated Radiotherapy (70 Gy

at 2.5 Gy per fraction) for localized prostate cancer: long‑term outcomes. Int J Radiat Oncol Biol Phys 2005; 63: 1463‑8

4. Livsey JE, Cowan RA, Wylie JP, et al. Hypofractionated conformal radiotherapy in carcinoma of the prostate: five‑year outcome analysis. Int J Radiat Oncol Biol Phys 2003; 57: 1254‑9

5. Lukka H, Hayter C, Julia JA, et al. Randomized trial comparing two fractionation schedules for patients with localized prostate cancer. J Clin Oncol 2005; 23: 6132‑8

6. Madsen BL, Hsi RA, Pham HT, et al. Stereotactic hypofractionated accurate radiotherapy of the prostate (SHARP), 33.5 Gy in five fractions for localized disease: first clinical trial results. Int J Radiat Oncol Biol Phys 2007; 67: 1099‑1105

7. Valdagni R, Italia C, Montanaro P, et al. Is the alpha‑beta ratio of prostate cancer really low? A prospective, non‑randomized trial comparing standard and hyperfractionated conformal radiation therapy. Radiother Oncol 2005; 75: 1‑3

8. Michalski JM, Winter K, Purdy JA, et al. Toxicity after three‑dimensional radiotherapy for prostate cancer on RTOG 9406 dose level V. Int J Radiat Oncol Biol Phys 2005; 62: 706‑13

9. Kupelian PA, Thakkar VV, Khuntia D, et al. Hypofractionated Intensity‑Modulated Radiotherapy (70 Gy at 2.5 Gy per fraction) for localized prostate cancer: long‑term outcomes. Int J Radiat Oncol Biol Phys 2005; 63: 1463‑8

dose standard per l’RTOG: 73,8 Gy a 1,8 Gy per frazione.

Molti pazienti che vengono sottoposti a ra‑dioterapia radicale sono anziani e affetti da car‑cinoma della prostata a basso rischio recidiva, per i quali probabilmente il trattamento radian‑te non aumenta la sopravvivenza, né la soprav‑vivenza libera da malattia (clinica). Per questo gruppo di pazienti non pare ragionevole quin‑di l’utilizzo di schemi di alte dosi di radiotera‑pia ipofrazionata. Qui però ci addentriamo nel concetto di dose‑escalation, che verrà trattato in uno dei prossimi contributi.

Come giustamente fa notare il Dr. Alongi nel suo articolo, l’ipofrazionamento è stato ampia‑mente investigato in Nord America e in Nord Europa, grazie all’introduzione delle nuove tec‑nologie in radioterapia, e in particolare l’IMRT (radioterapia ad intensità modulata), e l’IGRT (Image-Guided Radiation Therapy). Uno dei principali studi sull’ipofrazionamento è quello pubblicato da Kupelian et al., i quali hanno trat‑tato pazienti affetti da carcinoma della prostata in stadio iniziale con una dose di 70 Gy in 28 frazioni (2,5 Gy per frazione), riportando ottimi

risultati in termini di controllo locale e tossicità [9]. Gli Autori però avevano la possibilità di ese‑guire un imaging giornaliero della prostata me‑diante ecografia sovra pubica (IGRT) e di eroga‑re la dose con la tecnica IMRT. Chi scrive pensa che non sia corretto pensare di poter ottenere gli stessi risultati in un contesto dove queste tecnologie non siano presenti. Non pare quindi prudente applicare schemi di ipofrazionamento senza l’impiego di queste tecnologie.

L’RTOG 04‑15 è uno studio randomizzato di fase 3 che confronta la radioterapia convenzio‑nale (73,8 Gy erogati a 1,8 Gy a frazione) con uno schema di radioterapia ipofrazionata (70 Gy in 28 frazioni) in pazienti affetti da carcinoma della prostata a basso rischio di recidiva. Tutti i pazienti dovranno essere trattati con una tec‑nica di IGRT (ovvero la prostata dovrà essere localizzata con una modalità di imaging prima di ogni seduta); la maggior parte dei centri ero‑gherà la dose con IMRT anche se la radiotera‑pia 3D‑conformazionale è permessa. I risulta‑ti di questo studio quantificheranno i benefici dell’ipofrazionamento sia in termini di tossicità che di controllo locale e sopravvivenza globale.

Clinical& ResearchJournal

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VERO O

fALSO?

SIUrO2012; 1(1): 27‑28

VERO O fALSO?

Carcinoma della vescica: aspetti controversi

Carlo Patriarca 1

1 UO di Anatomia Patologica,

AO Sant’Anna, Como

Corresponding [email protected]

Domanda 1. Formazioni papillari ramificate con quest’aspetto possono corrispondere a quadri non neoplastici?

Domanda 2. La diagnosi di sarcoma primitivo della vescica impone anzitutto l’esclusione di un carcinoma uroteliale sarcomatoide, perché quest’ultima eventualità è assai meno rara.

28 2012; 1(1)

SIUrO Carcinoma della vescica: aspetti controversi

Risposta 1

Vero. Le cistiti papillari si presentano come vegetazioni simili alle neoplasie uroteliali, dalle quali si distinguono per assenza di atipie del rivestimento uroteliale e per il carattere marcatamente infiammatorio ed edematoso del connettivo sottoepiteliale.Nella foto: cistite papillare

Risposta 2

Vero. Il carcinoma uroteliale sarcomatoide può presentarsi istologicamente con sovrabbondanza di aspetti istologici sarcomatoidi. Perciò si richiede un campionamento esteso della neoplasia, allo scopo di documentare l’assenza di focolai residui di carcinoma uroteliale ad alto grado nei preparati.Nella foto: leiomiosarcoma della vescica

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IL PUnTO

SIUrO2012; 1(1): 29‑31

IL PUnTO

Vincenzo Mirone 1

1 Direttore Scuola di

Specializzazione in Urologia, Università Federico II, Napoli

Corresponding authorProf. Vincenzo [email protected]

Premessa

Gli agonisti dell’LHRH hanno rappresentato e rappresentano tutt’oggi la principale modalità di trattamento del tumore prostatico avanzato e metastatico, ma il loro im‑piego sta diventando più diffuso anche in stadi di malattia più precoci. Eligard® 45 mg rappresenta una formulazione depot a lunga attività che si basa sull’impiego di un in‑novativo sistema di rilascio denominato Atrigel.

Eligard® 45 mg ha rappresentato il primo LHRH agonista disponibile in commercio con somministrazione semestrale. In uno studio aperto multicentrico della durata di 12 mesi, leuprorelina 45 mg si è dimostrata efficace nel sopprimere i livelli di testo‑sterone a valori < 50 ng/dl nel 97% dei pazienti, con livelli di castrazione < 20 ng/dl nell’83% dei casi. Questi livelli sono stati mantenuti durante l’intera durata dello studio, con un solo paziente che ha sviluppato una risposta breakthrough. In questo studio il profilo di tollerabilità di leuprorelina 45 mg è risultato del tutto sovrapponibile alle formulazioni da 1 e 3 mesi, con le vampate di calore che hanno rappresentato l’e‑vento avverso più comune. Queste dimostrazioni preliminari hanno sottolineato l’utili‑tà dell’impiego di leuprorelina 45 mg in termini di convenienza per il paziente, oltre a un favorevole rapporto costo‑efficacia per il sistema sanitario. Le vantaggiose caratte‑ristiche farmacocinetiche e cliniche di Eligard® 45 mg fanno sì che venga garantita la castrazione ottimale, il che ne favorisce l’utilizzo in determinati ambiti come la terapia neoadiuvante o adiuvante o anche nel trattamento di pazienti sottoposti ad un blocco androgenico intermittente in caso di recidiva biochimica dopo trattamento radicale del tumore primitivo [1].

L’importanza della modalità di rilascioUn elemento fondamentale nel controllo del rilascio ottimale del testosterone nell’or‑

ganismo è rappresentato dalla modalità di preparazione del prodotto. Leuprolide ace‑tato rappresenta un analogo sintetico nonapeptidico dell’LHRH, in cui il sesto amino‑

Update sulla terapia di deprivazione androgenica del cancro della prostata con un LHRH agonista a formulazione semestrale

30 2012; 1(1)

SIUrO Update sulla terapia di deprivazione androgenica del cancro della prostata

acido è sostituito dalla leucina e in posizione 10 non c’è glicina. Dal momento che i peptidi non sono attivi per via orale, leuprolide viene som‑ministrata necessariamente per via parenterale. La formulazione classica a lento rilascio è co‑stituita da microsfere a iniezione intramuscola‑re, ma numerosi studi hanno dimostrato che in queste condizioni è difficile ottenere un control‑lo costante nel tempo della fase del rilascio, con la produzione di “sbalzi” dei livelli circolanti di testosterone.

Eligard® è stato il primo prodotto disponibi‑le in commercio ad impiegare una matrice Atri‑gel, che consiste di un copolimero degli acidi DL‑lattico e glicolico disciolto in un veicolo li‑quido (N‑metil‑2‑pirrolidone). Eligard®, una vol‑ta iniettato per via sottocutanea sotto forma di liquido, solidifica in situ e si degrada lentamen‑te col tempo, determinando un rilascio costan‑te e controllato del principio attivo. La modalità di somministrazione sottocutanea non presen‑ta eventi avversi e rispetto a quella intramusco‑lare offre maggiore sicurezza. Nelle tre diverse formulazioni disponibili di leuprorelina (7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg) varia unicamente la propor‑zione degli acidi DL‑lattico e glicolico che van‑no a costituire il copolimero. Se paragonato ad un sistema classico di rilascio prolungato con microsfere, Atrigel® garantisce un rilascio all’in‑circa doppio di principio attivo, con un controllo adeguato, efficace e prolungato nel tempo.

Criteri ideali per la soppressione androgenica

A seguito della somministrazione di leuprolide acetato, il livello plasmatico di testosterone pre‑senta un incremento iniziale transitorio. L’azione di leuprolide si esplica attraverso un’azione ago‑nistica sui recettori per l’LHRH a livello dell’i‑pofisi. A seguito di questa stimolazione l’ipofi‑si iperproduce ormone luteinizzante (LH) che a sua volta stimola la cellule di Leydig del testi‑colo a sintetizzare testosterone, producendo un incremento del livello di testosterone. In realtà, questo effetto biologico iniziale transitorio pro‑duce solo scarsi effetti clinici che possono esse‑re agevolmente bilanciati dalla contemporanea somministrazione di un antiandrogeno ad effet‑to periferico. La somministrazione a lungo termi‑ne di un costante livello di leuprolide determina rapidamente una desensibilizzazione dell’ipofi‑si con una marcata ipoespressione recettoriale a cui consegue una soppressione dei livelli cir‑colanti di LH e di conseguenza di testosterone.

L’efficacia clinica di un agonista dell’LHRH si misura sulla rapidità con cui si raggiungono li‑velli di castrazione adeguati. In generale una ca‑

strazione efficace si raggiunge nell’arco di 2‑4 settimane della prima somministrazione, ed è quello che avviene con le diverse formulazioni di Eligard®.

Oltre alla rapidità con cui si raggiungono li‑velli di castrazione efficaci, un altro elemento determinante l’efficacia di un farmaco LHRH agonista, è l’intensità del livello di castrazione. Numerosi studi clinici hanno dimostrato che Eli‑gard in tutte e tre le sue formulazioni è in gra‑do di determinare una castrazione paragonabile a quella chirurgica in termini di livelli di testo‑sterone raggiunti. Rispetto agli altri prodotti a base di leuprolide in microsfere, i livelli di ca‑strazione indotti da Eligard® sono più sostenuti e mantenuti più costantemente nel tempo. Infat‑ti, nell’1-12,5% dei pazienti trattati in generale con un LHRH agonista non si raggiungono livelli di castrazione adeguati (< 50 ng/dl), e lo stes‑so accade nel 2-6,5% dei pazienti in trattamen‑to con leuprolide in microsfere. Di contro, tutti i pazienti in trattamento con Eligard® a sommini‑strazione mensile e trimestrale, e il 99% di quel‑li in trattamento con la formulazione semestra‑le, raggiungono livelli di castrazione < 50 ng/dl. Quando si applica un criterio più restrittivo di castrazione (< 20 ng/dl), i livelli di efficacia scendono sia nel caso degli LHRH agonisti in generale (13-40% di fallimenti) sia di leuprolide in microsfere (35% di fallimenti). Con Eligard®

invece, il 98%, il 94% e l’88% dei pazienti sot‑toposti a terapia con le formulazioni da 1‑, 3‑, e 6‑mesi rispettivamente, raggiunge livelli di te‑stosterone < 20 ng/dl.

Altro parametro di valutazione dell’efficacia clinica è rappresentato dalla frequenza e dalla intensità dei fenomeni di escaping ormonale, che inficiano la qualità di vita del paziente, ol‑tre a potersi associare a transitori peggioramen‑ti della sintomatologia tumorale. Con gli LHRH agonisti in generale e la formulazione tradiziona‑le di leuprolide in microsfere, i fenomeni di bre-akthrough avvengono regolarmente (4-24% dei casi), mentre con Eligard® non si osserva nes‑sun caso per la formulazione mensile, e solo un 1% per le formulazioni da 3 e 6 mesi. Inoltre, con Eligard non sono mai stati registrati feno‑meni di escaping (testosterone surge) correlati alla somministrazione vera e propria, mentre tali fenomeni si verificano con una certa frequenza nel caso di altri LHRH agonisti (10% nel caso di goserelin e 9% per leuprolide intramuscolare). Il vantaggio di Eligard® in tal senso può essere facilmente spiegato dal rilascio costante di una dose all’incirca doppia di principio attivo.

Infine come ulteriore parametro determinan‑te per stabilire l’efficacia di una castrazione chi‑mica, bisogna tener presente la frequenza delle iniezioni e la capacità di reversibilità dello sta‑to di castrazione. In uno studio pubblicato nel

312012; 1(1)

IL PUnTO

SIUrOV. Mirone

2001 da Potosky et al. è stata valutata la quali‑tà di vita dei pazienti sottoposti ad orchiectomia o a terapia con LHRH agonisti. I risultati dello studio dimostrano che i pazienti in terapia far‑macologica rispetto a quelli trattati chirurgica‑mente presentano un più elevato tasso di disa‑gio correlato alla consapevolezza della malattia e alla paura di poter avere conseguenze gravi dal tumore prostatico di cui sono affetti. Questo dato è stato correlato alla frequenza delle inie‑zioni, che sembrano restituire ciclicamente al paziente la consapevolezza della malattia e dei timori ad essa associati. Va da sé, quindi, che la possibilità di ridurre sensibilmente il numero di iniezioni offre un vantaggio psicologico deter‑minante per i pazienti, soprattutto se associato ad una garanzia clinica di efficacia terapeutica.

Contrarre il numero di iniezioni ma anche di controlli clinici programmati rappresenta un indubbio vantaggio per i pazienti, per cui una formulazione come Eligard 45 mg a sommini‑strazione semestrale rappresenta una soluzione terapeutica estremamente valida, dal momen‑to che offre una copertura terapeutica con sole due iniezioni all’anno. Inoltre esiste il vantaggio di poter programmare i controlli laboratoristici e clinici sulla base delle singole esigenze clini‑che del paziente, non facendoli necessariamen‑te coincidere con l’iniezione del farmaco.

In tal senso Eligard® 45 mg offre allo speciali‑sta il vantaggio di sentirsi sicuro nel controllo te‑rapeutico del suo paziente che, a sua volta, non subisce lo stress psicologico di iniezioni e con‑trolli ravvicinati.

Letture consigliate1. Sartor O. Eligard1 6: A new form of treatment for prostate cancer. Eur Urol Suppl 2006; 5: 905‑102. Berges R. Eligard 6: Achieving optimal testosterone control with the convenience of a twice‑a‑year

formulation. Eur Urol Suppl 2007; 6: 840‑53. Tunn UW. A 6‑month depot formulation of leuprolide acetate is safe and effective in daily clinical

practice: a non‑interventional prospective study in 1273 patients. BMC Urology 2011; 11: 154. Schulman C, Alcaraz A, Berges R, et al. Expert opinion on 6‑monthly luteinizing hormone‑releasing

hormone agonist treatment with the single‑sphere depot system for prostate cancer. BJU Int 2007; 100 (Suppl 1): 1‑5

6 novembre 2012 NAPOLI

SEGRETERIA SCIENTIFICA SIUrO Società Italiana di Urologia Oncologica Via P. Palagi, 9 40138 Bologna [email protected]

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA EMMECI Meeting e Congressi s.r.l. Via F. Antolisei, 19/25 00173 Roma Tel. 06 72673416 [email protected]

CENTRO CONGRESSI Hotel Royal Continental

Via Partenope, 38/44 80121 Napoli

Tel. 081 7644621

COME ARRIVARE

Autostrade: Uscita Autostrada: Napoli "Centro Porto". Prose-guire dritto per circa 4 km. Il porto di Napoli è a sinistra ed il Maschio Angioino a destra. Attraversare la Galleria de "La Vittoria". Fare rotatoria in Piazza della Vittoria immettendosi sul lungomare. Dopo circa 400 m si trova il nostro Hotel, di fronte al Castel dell'Ovo. Dalla stazione ferroviaria centrale Piazza Garibaldi in auto o taxi: Distanza da Hotel 3,7 km. Immettersi sul Corso Garibaldi. Gira-re a destra per Via Nuova Marina; proseguire e percorrere tutta Via Acton, attraversare la galleria de "La Vittoria", girare a sinistra in Via Partenope. L'Hotel è di fronte al Castel dell'Ovo. Stazione Mergellina in auto o in taxi: Distanza da Hotel 4,9 km. Raggiungere la vicina Piazza Sannazzaro girando a destra; alla rotatoria girare per Via Caracciolo Lungomare; proseguire dritto in Via Partenope. L'Hotel è di fronte al Castel dell'Ovo. Aeroporto in auto o taxi: Distanza da Hotel 10 km. Prendere la tangenziale. Uscita: Fuorigrotta. Usciti dal casello attraversa-re il tunnel di sottopassaggio seguendo le indicazioni "Lungomare". Girare a sinistra. Una volta che si è in prossimità della Stazione Campi Flegrei proseguire dritto sino a raggiun-gere la galleria. Dopo aver attraversato la galleria immettersi sul Lungomare. Percorso circa 1 km troverà il nostro Hotel, di fronte al Castel dell'Ovo.

CON IL CONTRIBUTO INCONDIZIONATO DI

Centro congressi

Hotel Royal Continental

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICII riferimenti bibliografici vanno indicati nel testo con numeri progressivi tra parentesi quadre [1], fino a un

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nome dell’autore, dopo il cognome e senza punto; • Titolo dell’articolo in tondo; • Abbreviazione della testata della rivista secondo l’Index Medicus (consultabile sul sito della National Library

of Medicine), in corsivo e senza punto; • Indicazione di: anno; volume: numero di pagine (ad es. 2005; 6: 75‑79); • Per libri, adottare il seguente formato: Eandi M, Pradelli L, Zaniolo O. Farmacoeconomia: principi di base. To‑

rino: SEEd, 2006.

PROTEZIONE DEL DIRITTO ALLA PRIVACYI pazienti descritti negli articoli (soprattutto per quanto riguarda i report di casi clinici) godono del diritto alla

privacy che non va infranta senza il consenso informato. È di conseguenza necessario indicarli con iniziali di fan‑tasia. Informazioni sull’identità non possono essere pubblicate né in forma di descrizioni scritte né fotografiche o sotto altra forma, a meno che non siano essenziali per gli scopi scientifici e il paziente abbia rilasciato consenso informato in forma scritta.

leuprorelina acetato L02AE02

7,5 mg 22,5 mg45 mg

Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto

1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg polvere e solvente per soluzione iniettabile. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Una siringa preriempita con polvere per soluzione iniettabile contiene 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg di leuprorelina acetato, pari a 6,96 mg, 20,87 mg e 41,7 mg di leuprorelina. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere il paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Polvere e solvente per soluzione iniettabile. Polvere (Siringa B) Siringa preriempita con polvere, da bianca a biancastra. Solvente (Siringa A) Siringa preriempita con soluzione limpida, da incolore a giallo pallido. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg sono indicati per il trattamento del cancro della prostata ormono-dipendente in stadio avanzato. 4.2 Posologia e modo di somministrazione Posologia in pazienti adulti di sesso maschile. ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg devono essere somministrati sotto il controllo di personale sanitario in grado di controllare la risposta al trattamento. ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg devono essere somministrati mediante una singola iniezione sottocutanea ogni mese (7,5 mg), ogni 3 mesi (22,5 mg) e ogni 6 mesi (45 mg). La soluzione iniettata forma un deposito di medicinale, garantendo il rilascio prolungato di leuprorelina acetato per un mese (7,5 mg), 3 mesi (22,5 mg) e 6 mesi (45 mg). Di norma, la terapia del cancro della prostata in stadio avanzato con ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg richiede un trattamento a lungo termine e non deve essere sospesa quando si verifi ca una remissione o miglioramento della patologia. La risposta a ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg deve essere monitorata mediante parametri clinici e rilevando i livelli sierici dell’antigene prostatico specifi co (PSA). Gli studi clinici hanno dimostrato che i livelli di testosterone aumentano nel corso dei primi 3 giorni di trattamento nella maggior parte dei pazienti non sottoposti a orchiectomia e successivamente si riducono al di sotto dei livelli di castrazione medica nell’arco di 3-4 settimane. Una volta raggiunti, i livelli di castrazione sono mantenuti per l’intera durata del trattamento (episodi di rialzo del testosterone inferiori all’1%). Qualora la risposta di un paziente si riveli subottimale, è necessario verifi care che i livelli di testosterone sierico abbiano raggiunto o mantengano i livelli di castrazione. Modo di somministrazione Il contenuto delle due siringhe sterili preriempite deve essere miscelato immediatamente prima della somministrazione di ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg mediante iniezione sottocutanea. Per la procedura di miscelazione, vedere paragrafo 6.6. In base ai dati raccolti su animali, le iniezioni endoarteriose o endovenose, devono essere rigorosamente evitate. Analogamente ad altri farmaci somministrati mediante iniezione sottocutanea, la sede dell’iniezione deve essere cambiata periodicamente. Bambini e adolescenti Non c’è esperienza sull’uso di ELIGARD® nei bambini (al di sotto di 18 anni di età) (vedere anche paragrafo 4.3). Aggiustamento della dose in particolari gruppi di pazienti Non sono stati condotti studi clinici su pazienti con compromissione epatica o renale. 4.3 Controindicazioni Ipersensibilità alla leuprorelina acetato, ad altri agonisti del GnRH, o a uno qualsiasi degli eccipienti. Pazienti precedentemente sottoposti ad orchiectomia (come con altri agonisti del GnRH, ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg non determina un ulteriore calo del testosterone sierico in caso di castrazione chirurgica). Come unico trattamento in pazienti con cancro prostatico con compressione midollare o evidenza di metastasi spinali (vedere anche paragrafo 4.4). ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg sono controindicati nelle donne e nei pazienti in età pediatrica. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego Come altri agonisti del GnRH, la leuprorelina acetato determina un aumento transitorio delle concentrazioni sieriche di testosterone, diidrotestosterone e fosfatasi acida durante la prima settimana di trattamento. I pazienti possono notare un peggioramento dei sintomi o l’insorgenza di nuovi sintomi – inclusi dolore osseo, neuropatia, ematuria od ostruzione ureterale o al defl usso vescicale (vedere paragrafo 4.8 ). Tali sintomi di solito regrediscono con il proseguimento della terapia. La somministrazione aggiuntiva di un antiandrogeno appropriato deve essere considerata iniziando 3 giorni prima della terapia con la leuprorelina e continuando per le prime due o tre settimane di trattamento. È stato segnalato che tale procedura previene le conseguenze di un iniziale aumento del testosterone sierico. In seguito a castrazione chirurgica, ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg non determinano un’ulteriore diminuzione dei livelli di testosterone sierico nei pazienti di sesso maschile. Con gli agonisti del GnRH sono stati segnalati casi di ostruzione ureterale e compressione del midollo spinale, che possono contribuire alla paralisi con o senza complicazioni fatali. Qualora insorgano compressione del midollo spinale o alterazione della funzionalità renale, deve essere effettuato il trattamento standard previsto per tali complicanze. I pazienti con metastasi vertebrali e/o cerebrali così come i pazienti con ostruzione delle vie urinarie devono essere monitorati attentamente nel corso delle prime settimane di trattamento. Una percentuale di pazienti presenta tumori che non sono sensibili alla manipolazione ormonale. La mancanza di miglioramenti clinici nonostante una soppressione adeguata del testosterone è elemento diagnostico per tale condizione, la quale non migliorerebbe con un ulteriore trattamento con ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg. Nella letteratura medica sono stati segnalati casi di riduzione della densità ossea in uomini sottoposti a orchiectomia o trattati con gli agonisti del GnRH (vedere paragrafo 4.8 ). La terapia antiandrogenica determina un aumento signifi cativo del rischio di fratture dovute a osteoporosi. Al riguardo sono disponibili soltanto dati limitati. Fratture dovute a osteoporosi sono state osservate nel 5% dei pazienti a 22 mesi dall’inizio della terapia farmacologica di deprivazione androgenica e nel 4% dei pazienti a 5 -10 anni di trattamento. Il rischio di fratture dovute a osteoporosi è generalmente più elevato del rischio di fratture patologiche. Oltre a una carenza di testosterone nel lungo periodo, anche fattori quali l’aumento dell’età, il fumo e il consumo di alcolici, l’obesità e l’insuffi ciente esercizio fi sico possono infl uenzare lo sviluppo dell’osteoporosi. Nel corso di studi post-marketing, sono stati registrati rari casi di apoplessia ipofi saria (sindrome clinica secondaria all’infarto della ghiandola pituitaria), in seguito a somministrazione di agonisti del GnRH. La maggior parte dei casi si sono verifi cati nelle prime due settimane successive alla prima dose, ed alcuni nella prima ora. In questi casi l’apoplessia ipofi saria si è presentata come cefalea improvvisa, vomito, visione disturbata, oftalmoplegia, alterazione dello stato mentale e talvolta collasso cardiocircolatorio. In tali situazioni è richiesto un intervento medico immediato. Precauzioni In alcuni pazienti sottoposti a terapia con agonisti del GnRH sono state segnalate variazioni della tolleranza al glucosio. Durante il trattamento con ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg è consigliabile monitorare i pazienti diabetici più frequentemente. 4.5 Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione Non sono stati effettuati studi farmacocinetici d’interazione tra ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg e altri farmaci. Non ci sono segnalazioni di interazioni tra la leuprorelina acetato e altri farmaci. 4.6 Gravidanza e allattamento Non pertinente in quanto ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg sono controindicati nelle donne. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non sono stati effettuati studi sugli effetti di ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. La capacità di guidare veicoli e l’uso di macchinari possono essere alterati da spossatezza, capogiri e disturbi visivi che rientrano tra i possibili effetti indesiderati del trattamento o causati dalla patologia di base. 4.8 Effetti indesiderati Le reazioni avverse osservate durante il trattamento con ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg sono dovute principalmente all’azione farmacologica specifi ca della leuprorelina acetato, cioè all’aumento e alla diminuzione di taluni livelli ormonali. Le reazioni avverse segnalate più comunemente sono: vampate di calore, nausea, malessere, affaticamento e irritazione locale transitoria nella sede di iniezione. Vampate di calore in forma lieve o moderata si verifi cano approssimativamente nel 58% dei pazienti. Nel corso di studi clinici, in pazienti con carcinoma prostatico in stadio avanzato e trattati con ELIGARD®, sono stati osservati gli eventi avversi di cui sotto, classifi cati, in base alla frequenza, come molto comuni (≥1/10), comuni (≥1/100, <1/10), non comuni (≥1/1000, <1/100), rari (≥1/10.000, <1/1000), molto rari (<1/10.000) e non nota (la frequenza non può essere defi nita sulla base dei dati disponibili).

Tabella 1: Effetti indesiderati negli studi clinici con ELIGARDInfezioni e infestazioni comuni rinofaringiti non comuni infezioni delle vie urinarie, infezioni cutanee localiDisturbi del metabolismo e della nutrizione non comuni aggravamento del diabete mellitoDisturbi psichiatrici non comuni sogni anomali, depressione, calo della libidoPatologie del sistema nervoso non comuni capogiri, cefalea, ipoestesia, insonnia, disturbi del gusto, disturbi dell’olfatto rari movimenti involontari anomaliPatologie vascolari molto comuni vampate di calore non comuni ipertensione, ipotensione rari sincope e collassoPatologie respiratorie, toraciche e mediastiniche non comuni rinorrea, dispneaPatologie gastrointestinali comuni nausea, diarrea non comuni stipsi, secchezza della fauci, vomito, dispepsia rari fl atulenza, eruttazionePatologie della cute e del tessuto sottocutaneo molto comuni ecchimosi, eritema comuni prurito, sudorazione notturna non comuni sudorazione fredda, aumento della sudorazione rari alopecia, eruzioni cutaneePatologie del sistema muscoloscheletrico, del tessuto connettivo e delle ossa comuni artralgia, dolore agli arti, mialgia non comuni mal di schiena, crampi muscolariPatologie renali e urinarie comuni riduzione della frequenza di minzione, diffi coltà alla minzione, disuria, nicturia, oliguria non comuni spasmi vescicali, ematuria, aumento della frequenza urinaria, ritenzione urinariaPatologie dell’apparato riproduttivo e della mammella comuni tensione mammaria, atrofi a testicolare, dolore testicolare, infertilità, ipertrofi a mammaria non comuni ginecomastia, impotenza, disturbi testicolari rari dolore mammarioPatologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione molto comuni affaticamento, bruciore nella sede d’iniezione, parestesia nella sede d’iniezione comuni malessere, dolore nella sede di iniezione, ecchimosi nella sede d’iniezione, sensazione di puntura nella sede d’iniezione, rigidità, debolezza non comuni prurito nella sede d’iniezione, letargia, dolore, febbre raro ulcerazione nella sede d’iniezione molto raro necrosi nella sede d’iniezionePatologie del sistema emolinfopoietico comuni alterazioni ematologicheEsami diagnostici comuni aumento dei livelli ematici della creatinina-fosfochinasi, prolungamento del tempo di coagulazione non comuni aumento dei livelli di alanina aminotransferasi, aumento dei livelli ematici dei trigliceridi, prolungamento del tempo di protrombina, aumento ponderale

Altri eventi avversi segnalati in generale a seguito del trattamento con la leuprorelina acetato comprendono edema periferico, embolia polmonare, palpitazioni, mialgia, debolezza muscolare, brividi, vertigini periferiche, eruzioni, amnesia, disturbi visivi. Raramente, dopo la somministrazione di agonisti del GnRH sia a breve sia a lunga durata d’azione, è stato segnalato infarto di un preesistente adenoma ipofi sario. Ci sono state rare segnalazioni di trombocitopenia e leucopenia. Sono state segnalate variazioni della tolleranza al glucosio. Gli eventi avversi locali osservati dopo l’iniezione di ELIGARD® sono tipici di quelli frequentemente associati a farmaci iniettati per via sottocutanea di natura simile. Generalmente, tali eventi avversi localizzati segnalati in seguito a iniezione sottocutanea si presentano in forma lieve e vengono descritti come effetti di breve durata.Variazioni della densità ossea Nella letteratura medica è stata segnalata una riduzione della densità ossea in uomini sottoposti a orchiectomia o trattati con un agonista del GnRH. Si può prevedere che lunghi periodi di trattamento con la leuprorelina acetato possano provocare segni crescenti di osteoporosi. Riguardo l’aumento del rischio di fratture dovute all’osteoporosi vedere paragrafo 4.4. Esacerbazione dei segni e dei sintomi della patologia Il trattamento con la leuprorelina acetato può determinare un’esacerbazione dei segni e dei sintomi della patologia nel corso delle prime settimane di trattamento. In caso di aggravamento di condizioni quali le metastasi vertebrali e/o l’ostruzione delle vie urinarie o l’ematuria, possono verifi carsi disturbi neurologici quali debolezza e/o parestesia degli arti inferiori o peggioramento dei sintomi urinari. 4.9 Sovradosaggio Un sovradosaggio intenzionale di ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg è improbabile e non vi sono presupposti per l’abuso del farmaco. Non ci sono state segnalazioni di abuso o di sovradosaggio verifi catesi con la leuprorelina acetato nella pratica clinica, ma nel caso si verifi chi una esposizione eccessiva, sono raccomandati il monitoraggio e il trattamento sintomatico di supporto del paziente. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: analoghi dell’ormone liberatore delle gonadotropine Codice ATC: L02A E02. La leuprorelina acetato è un nonapeptide di sintesi, agonista dell’ormone liberatore delle gonadotropine (GnRH) presente fi siologicamente che, somministrato con continuità, inibisce la secrezione delle gonadotropine pituitarie e sopprime la steroidogenesi testicolare nei maschi. Questo effetto è reversibile alla sospensione della terapia con il farmaco. Tuttavia, l’agonista ha una potenza superiore a quella dell’ormone naturale e il tempo di recupero dei livelli di testosterone può variare da paziente a paziente. ELIGARD® 7,5 mg: la somministrazione di leuprorelina acetato determina un aumento

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iniziale dei livelli circolanti dell’ormone luteinizzante (LH) e dell’ormone follicolostimolante (FSH), con conseguente aumento transitorio dei livelli di steroidi gonadici, testosterone e diidrotestosterone nei maschi. La somministrazione continua di leuprorelina acetato determina una diminuzione dei livelli degli ormoni LH e FSH. Nei maschi, i livelli di testosterone scendono al di sotto del livello di castrazione (≤50 ng/dl). Tali diminuzioni si verifi cano entro 3-5 settimane dall’inizio del trattamento. I livelli medi di testosterone a sei mesi sono 6,1 (+ 0,4) ng/dl comparabili ai livelli in seguito a orchiectomia bilaterale. Tutti i pazienti arruolati in studi pilota hanno raggiunto i livelli di castrazione a 6 settimane; il 94% avevano raggiunto l’obiettivo entro il 28° giorno, ed il 98% entro il 35° giorno. Nella grande maggioranza dei pazienti i livelli di testosterone riscontrati erano sotto i 20 ng/dl, benché il reale benefi cio di valori così bassi non sia ancora stato stabilito. I valori di PSA sono diminuiti del 94% in sei mesi. ELIGARD® 22,5 mg: la somministrazione di leuprorelina acetato determina un aumento iniziale dei livelli circolanti dell’ormone luteinizzante (LH) e dell’ormone follicolostimolante (FSH), con conseguente aumento transitorio dei livelli di steroidi gonadici, testosterone e diidrotestosterone nei maschi. La somministrazione continua di leuprorelina acetato determina una diminuzione dei livelli degli ormoni LH e FSH. Nei maschi, i livelli di testosterone scendono al di sotto del livello di castrazione (≤50 ng/dl). Tali diminuzioni si verifi cano entro 3-5 settimane dall’inizio del trattamento. I livelli medi di testosterone a sei mesi sono 10,1 (+ 0,7) ng/dl comparabili ai livelli in seguito a orchiectomia bilaterale. In uno studio pilota, tutti i pazienti trattati con leuprorelina al dosaggio di 22,5 mg, hanno raggiunto il livello di castrazione alle 5 settimane, il 99% già al giorno 28. Nella grande maggioranza dei pazienti i livelli di testosterone riscontrati erano sotto i 20 ng/dl, benché il reale benefi cio di valori così bassi non sia ancora stato stabilito. I valori di PSA sono diminuiti del 98% in sei mesi. ELIGARD® 45 mg: La somministrazione continua di leuprorelina acetato determina una diminuzione dei livelli degli ormoni LH e FSH. Nei maschi, i livelli di testosterone scendono al di sotto del livello di castrazione (≤50 ng/dl). Tali diminuzioni si verifi cano entro 3-4 settimane dall’inizio del trattamento. I livelli medi di testosterone a sei mesi sono 10,4 (+ 0,53) ng/dl comparabili ai livelli in seguito a orchiectomia bilaterale. Tutti i pazienti, tranne uno, che hanno ricevuto la dose totale di 45 mg di leuprorelina acetato nello studio clinico principale hanno raggiunto i livelli di castrazione a 4 settimane. Nella grande maggioranza dei pazienti i livelli di testosterone riscontrati erano sotto i 20 ng/dl, benché il reale benefi cio di valori così bassi non sia ancora stato stabilito. I valori di PSA sono diminuiti del 97% in sei mesi. Studi a lungo termine hanno dimostrato che il proseguimento della terapia consente di mantenere i livelli di testosterone al di sotto del livello di castrazione fi no a sette anni, e presumibilmente a tempo indeterminato. Le dimensioni del tumore non sono state misurate direttamente nel corso di studi clinici, ma c’è stata una risposta positiva indiretta dimostrata da una riduzione del 94% del PSA medio con ELIGARD® 7,5 mg, 22,5 mg e 45 mg. 5.2 Proprietà farmacocinetiche ELIGARD® 7,5 mg: Assorbimento: nei pazienti con carcinoma della prostata in stadio avanzato, le concentrazioni sieriche medie di leuprorelina in seguito all’iniezione iniziale salgono a 25,3 ng/ml a 4-8 ore (Cmax) dopo l’iniezione. Successivamente all’aumento iniziale evidenziato dopo ciascuna iniezione (la fase di plateau tra il 2° e il 28° giorno dopo ciascuna dose), le concentrazioni sieriche si mantengono relativamente costanti (0,28-1,67 ng/ml). Non vi è evidenza di accumulo con dosi ripetute. ELIGARD® 22,5 mg: Assorbimento: nei pazienti con carcinoma della prostata in stadio avanzato, le concentrazioni sieriche medie di leuprorelina in seguito all’iniezione iniziale salgono a 127 ng/ml a 4,6 ore (Cmax) dopo l’iniezione. Successivamente all’aumento iniziale evidenziato dopo ciascuna iniezione (la fase di plateau tra il 3° e il 84° giorno dopo ciascuna dose), le concentrazioni sieriche si mantengono relativamente costanti (0,2-2 ng/ml). Non vi è evidenza di accumulo con dosi ripetute. ELIGARD® 45 mg: Assorbimento: nei pazienti con carcinoma della prostata in stadio avanzato, le concentrazioni sieriche medie di leuprorelina in seguito all’iniezione iniziale salgono a 82 ng/ml a 4,4 ore (Cmax) dopo l’iniezione. Successivamente all’aumento iniziale evidenziato dopo ciascuna iniezione (la fase di plateau tra il 3° e il 168° giorno dopo ciascuna dose), le concentrazioni sieriche si mantengono relativamente costanti (0,2-2 ng/ml). Non vi è evidenza di accumulo con dosi ripetute. Distribuzione: il volume medio di distribuzione della leuprorelina allo steady state, successivamente alla somministrazione in bolo per via endovenosa a volontari sani di sesso maschile, era pari a 27 litri. In vitro il legame con le proteine plasmatiche umane variava dal 43% al 49%. Eliminazione: la somministrazione nei volontari sani di sesso maschile di 1 mg di leuprorelina acetato somministrato in bolo per via endovenosa ha evidenziato una clearance sistemica media di 8,34 l/h, con un’emivita di eliminazione terminale di circa 3 ore sulla base di un modello a due compartimenti. Non sono stati condotti studi di escrezione con ELIGARD. Non sono stati condotti studi sul metabolismo del farmaco con ELIGARD. 5.3 Dati preclinici di sicurezza Studi preclinici con leuprorelina acetato hanno evidenziato, in entrambi i sessi, effetti sul sistema riproduttivo, che erano attesi sulla base delle note proprietà farmacologiche. Questi effetti hanno mostrato di essere reversibili dopo l’interruzione del trattamento e un appropriato periodo di rigenerazione. La leuprorelina acetato non ha evidenziato teratogenicità. Nel coniglio è stata osservata embriotossicità/letalità, in linea con gli effetti farmacologici della leuprorelina acetato sul sistema riproduttivo. Studi di carcinogenesi sono stati eseguiti nel ratto e nel topo per un periodo di 24 mesi. Nel ratto, è stato osservato un aumento dose-dipendente di apoplessie ipofi sarie dopo somministrazione sottocutanea alle dosi da 0,6 a 4 mg/kg/die. Tale effetto non è stato osservato nel topo. La leuprorelina acetato e la specialità correlata ELIGARD® 7,5 mg impianto per un mese, non hanno mostrato effetti mutageni in una serie di test in vitro e in vivo. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Solvente (siringa A) - Copolimero degli acidi DL-lattico e glicolico (ELIGARD® 7,5 mg 50:50, ELIGARD® 22,5 mg 75:25, ELIGARD® 45 mg 85:15) - N-metilpirrolidone Polvere (siringa B) -nessuno 6.2 Incompatibilità La leuprorelina presente nella siringa B deve essere miscelata soltanto con il solvente della siringa A e non deve essere miscelata con altri medicinali. 6.3 Periodo di validità 2 anni. Dopo la prima apertura della vaschetta o dell’ampia sacca esterna in alluminio, la polvere e il solvente per soluzione iniettabile vanno immediatamente ricostituiti e somministrati al paziente. Una volta ricostituito: utilizzare immediatamente, poiché la viscosità della soluzione aumenta nel tempo. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Conservare in frigorifero (2°C-8°C) nella confezione originale per tenerlo al riparo dall’umidità. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Due siringhe in copolimero di olefi ne cicliche/polipropilene, una contenente la polvere (Siringa B) e l’altra contenente il solvente (Siringa A). Insieme le due siringhe costituiscono un sistema di miscelazione. La siringa A ha uno stantuffo con un tappo a tenuta di gomma termoplastica ed è protetta all’estremità con un tappo Luer-Lok in polietilene o polipropilene. Il tappo a tenuta e i due stantuffi della siringa B sono di gomma clorobutilica. Sono disponibili le seguenti confezioni: • confezione costituita da una grande sacca esterna di alluminio contenente due involucri in alluminio, un ago sterile di diametro 20 (ELIGARD® 7,5 mg e 22,5 mg) o di diametro 18 (ELIGARD® 45 mg) e una bustina di essiccante. Uno dei due involucri di alluminio contiene la siringa A in polipropilene preriempita e uno stantuffo più lungo per la siringa B. L’altro contiene la siringa B in copolimero di olefi ne cicliche preriempita. • confezione contenente due vaschette termoformate e saldate in una scatola di cartone. Una vaschetta contiene la siringa A in polipropilene preriempita, uno stantuffo più lungo per la siringa B e una bustina di essiccante. L’altra vaschetta contiene la siringa B in copolimero di olefi ne cicliche preriempita, un ago sterile di diametro 20 (ELIGARD® 7,5 mg e 22,5 mg) o di diametro 18 (ELIGARD® 45 mg) e una bustina di essiccante. • confezione multipla contenente kit di 3 x 2 siringhe (ELIGARD® 7,5 mg) e di 2 x 2 siringhe (ELIGARD® 22,5 mg e 45 mg) in copolimero di olefi ne cicliche/polipropilene preriempite (1 per la Siringa A; 1 per la Siringa B). È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione Portare il prodotto a temperatura ambiente. In primo luogo preparare il paziente per l’iniezione, quindi preparare il prodotto seguendo le istruzioni sottostanti.

Fase 1: Aprire la sacca esterna o la vaschetta (staccare il foglio a partire dall’angolo riconoscibile per un piccolo rigonfi amento) e svuotare il contenuto su un piano di lavoro pulito (due sacche o vaschette contenenti la Siringa A (Figura 1.1) e la Siringa B (Figura 1.2)). Eliminare la confezione di essiccante. Attenzione: le immagini delle siringhe e dell’ago non rispettano le dimensioni reali.

Fase 2: Togliere lo stantuffo blu più corto (non svitare) ed il tappo dalla Siringa B ed eliminarli (fi gura 2.1). Avvitare delicatamente lo stantuffo bianco più lungo al tappo grigio rimanente nella siringa B (fi gura 2.2).

Fase 3: Mantenere la siringa A in posizione verticale per evitare fuoriuscite di liquido e svitare il tappo chiaro della siringa A (Figura 3.1). Rimuovere il tappo grigio di gomma dalla siringa B (Figura 3.2). Unire assieme le due siringhe premendo e ruotando fi nchè non sono fi ssate (Figura 3.3). Non forzare. Nel caso in cui del liquido fuoriesca, la cartuccia dell’ago non si fi sserà appropriatamente.

Fase 4: Iniettare il liquido contenuto nella siringa A, all’interno della siringa B, contenente leuprolide acetato. Miscelare assieme il prodotto delicatamente spingendo i contenuti di entrambe le siringhe avanti e indietro tra le siringhe (circa 60 volte in totale) in posizione orizzontale, per ottenere una soluzione uniforme (Figura 4). Non piegare il sistema costituito dalle siringhe unite. Quando ben miscelata, la soluzione viscosa apparirà da incolore al bianco al giallo chiaro (può presentare sfumature dal bianco al giallo chiaro). Attenzione: il prodotto deve essere miscelato come descritto; l’agitazione NON porterà ad un’adeguata miscelazione del prodotto.

Fase 5: Mantenere le siringhe in posizione verticale, con la siringa B in basso. Le siringhe devono restare unite fermamente. Trasferire la totalità del prodotto miscelato nella siringa B (siringa corta, larga) premendo lo stantuffo della siringa A ed estraendo leggermente lo stantuffo della siringa B. Staccare la Siringa A continuando a premere sullo stantuffo della siringa A. (Figura 5). Assicurarsi che il prodotto non fuoriesca, poiché in tal caso l’ago non potrà essere inserito saldamente. Attenzione: resteranno piccole bolle d’aria nella formulazione – questo è accettabile.

Fase 6: Mantenere la siringa B in posizione verticale. Rimuovere il cappuccio ruotandolo (Figura 6.1). Attaccare la cartuccia dell’ago all’estremità della siringa B (Figura 6.2) spingendo delicatamente e ruotare l’ago fi nché non è posizionato saldamente. Non forzare. Eliminare la protezione dell’ago prima della somministrazione.

Fase 7: Una volta ricostituita la soluzione, utilizzare immediatamente, poiché la viscosità aumenta nel tempo. Confezione monouso. La soluzione non utilizzata deve essere eliminata.

7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Astellas Pharma S.p.A. - Via delle Industrie 1 - 20061 Carugate (MI) - ITALIA 8. NUMERO(I) DI AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Eligard 7,5 mg: confezione in sacca: 036967014/M confezione in vaschetta: 036967038/M. Eligard 22,5 mg: confezione in sacca: 036967026/M confezione in vaschetta: 036967040/M. Eligard 45 mg: confezione in sacca: 036967053/M confezione in vaschetta: 036967065/M. 9. DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE / RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Confezione in sacca: 5 ottobre 2006. Confezione in vaschetta: 26 ottobre 2007. 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO 03/2011.

B

6.1 6.2

B

1.2

Contenuto della sacca/vaschetta per la Siringa B

Tappo Cappuccio Protezione

AgoTappo in gommaTappo in gomma incluso nello:

Stantuffo corto della siringa B

Contenuto della sacca/vaschetta per la Siringa A

Tappo

Stantuffo lungo (per la siringa B) 1.1

2.1 2.2

3.2 3.3

Eligard® 7,5 mg * - impianto per 1 mese - Prezzo: € 149,77Eligard® 22,5 mg * - impianto per 3 mesi - Prezzo: € 387,49Eligard® 45 mg - impianto per 6 mesi - Prezzo: € 774,98 (Classe C)* Classe di rimborsabilità: A Nota 51 RR De

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2011

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