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FINESTRA SULL’AUTORE Fedro La favola in poesia: Fedro I l genere letterario della favola risale allo scrittore greco Esòpo, vissuto nel VI secolo a.C., il quale, at- traverso brevi racconti, si proponeva di trasmettere un messaggio moralistico. Nella letteratura latina Fedro, riconoscendo Esòpo come suo maestro, conferisce al genere della favola una specifica peculiarità. Lo scopo che l’autore si propone è quello di difendere gli umili, gli schiavi e criticare i potenti, metten- done in risalto i soprusi e i vizi. Le sue favole hanno come protagonisti gli animali, dalle cui vicende tra- spare una concezione amara e pessimistica: gli umili e i miti sono sempre oppressi da chi è piú forte e piú ingiusto di loro. Fedro, originario della Macedonia, visse tra il 20 a.C. e il 50 d.C. Durante il regno di Augusto fu portato a Roma ed entrò a far parte della familia degli schiavi al servizio dell’imperatore, dal quale poi fu affrancato per la sua grande cultura e per le sue doti intellettuali. Esercitò la sua attività letteraria prevalentemente durante il regno di Tiberio fino a quando rimase vittima di alcune persecuzioni ad opera del potente mini- stro dell’imperatore, Elio Seiano, che si era riconosciuto in alcune favole ironiche del poeta. Le favole di Fedro sono composte in versi senari giambici, sono caratterizzate dalla brevitas, cioè da una lunghezza ridotta, da un linguaggio semplice e piano vicino alla lingua parlata. La morale della favola po- sta all’inizio (promitio) o alla fine della favola stessa (epimitio) è espressa in modo secco, asciutto e perti- nente. Ti presentiamo adesso alcune delle piú famose favole di Fedro. Esse si caratterizzano per un umorismo schietto e vivace, espresso in un linguaggio vicino alla semplicità della lingua parlata, con una morale sec- ca e perentoria. Dopo aver letto attentamente il testo latino, completa la comprensione italiana dei termini evidenziati in neretto. I, 1: Il lupo e l’agnello Attraverso la favola del lupo e dell’agnello, Fedro narra l’eterna sopraffazione esercitata dal piú forte sul piú debole: gli oppressori non solo fanno il male, ma hanno la presunzione di dare veste di legalità al proprio operato e l’innocente è inevitabilmente destinato a soccombere. Ad rivum eundem lupus et agnus venĕrant, siti compulsi. Superior stabat lupus, longeque inferior agnus. Tunc fauce improba latro incitatus iurgii causam intŭlit; “Cur” inquit “turbulentam fecisti mihi aquam bibenti?” Lanĭger contra timens

canibus adhuc ignota est” et magna celeritate e loco ...epea.altervista.org/wp-content/uploads/2017/06/Fedro.pdf · La favola in poesia: Fedro I ... Fedro, riconoscendo Esòpo come

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cent agni, canes cum felibus cubabunt. Descendĭte ergo de culmine stabuli”. Non gallum tamen decēpit vulpes fraude suā. Nam de tecto non descendit, sed fallaci vulpi sic respondit: “Laetum nuntium nuntias, amica, et auribus nostris iucundum. Canis, qui («che») in stabulo est, testis erit amicitiae et foedĕris nostri”. Tunc improba vulpes exclamavit: “Valete, amici. Pax nostra canibus adhuc ignota est” et magna celeritate e loco discessit.

FINESTRA SULL’AUTORE Fedro

La favola in poesia: Fedro

Il genere letterario della favola risale allo scrittore greco Esòpo, vissuto nel VI secolo a.C., il quale, at-traverso brevi racconti, si proponeva di trasmettere un messaggio moralistico. Nella letteratura latina

Fedro, riconoscendo Esòpo come suo maestro, conferisce al genere della favola una specifi ca peculiarità. Lo scopo che l’autore si propone è quello di difendere gli umili, gli schiavi e criticare i potenti, metten-done in risalto i soprusi e i vizi. Le sue favole hanno come protagonisti gli animali, dalle cui vicende tra-spare una concezione amara e pessimistica: gli umili e i miti sono sempre oppressi da chi è piú forte e piú ingiusto di loro.Fedro, originario della Macedonia, visse tra il 20 a.C. e il 50 d.C. Durante il regno di Augusto fu portato a Roma ed entrò a far parte della familia degli schiavi al servizio dell’imperatore, dal quale poi fu aff rancato per la sua grande cultura e per le sue doti intellettuali. Esercitò la sua attività letteraria prevalentemente durante il regno di Tiberio fi no a quando rimase vittima di alcune persecuzioni ad opera del potente mini-stro dell’imperatore, Elio Seiano, che si era riconosciuto in alcune favole ironiche del poeta. Le favole di Fedro sono composte in versi senari giambici, sono caratterizzate dalla brevitas, cioè da una lunghezza ridotta, da un linguaggio semplice e piano vicino alla lingua parlata. La morale della favola po-sta all’inizio (promitio) o alla fi ne della favola stessa (epimitio) è espressa in modo secco, asciutto e perti-nente.

Ti presentiamo adesso alcune delle piú famose favole di Fedro. Esse si caratterizzano per un umorismo schietto e vivace, espresso in un linguaggio vicino alla semplicità della lingua parlata, con una morale sec-ca e perentoria. Dopo aver letto attentamente il testo latino, completa la comprensione italiana dei termini

evidenziati in neretto.

I, 1: Il lupo e l’agnelloAttraverso la favola del lupo e dell’agnello, Fedro narra l’eterna sopraff azione esercitata dal piú forte sul piú debole: gli oppressori non solo fanno il male, ma hanno la presunzione di dare veste di legalità al proprio operato e l’innocente è inevitabilmente destinato a soccombere.

Ad rivum eundem lupus et agnus venĕrant,siti compulsi. Superior stabat lupus,longeque inferior agnus. Tunc fauce improbalatro incitatus iurgii causam intŭlit;“Cur” inquit “turbulentam fecisti mihiaquam bibenti?” Lanĭger contra timens

“Qui possum, quaeso, facere quod quereris, lupe?A te decurrit ad meos haustus liquor”.Repulsus ille veritatis viribus“Ante hos sex menses male” ait “dixisti mihi”.Respondit agnus “Equidem natus non eram”.“Pater hercle tuus” ille inquit “male dixit mihi”;atque ita correptum lacerat iniusta1 nece.Haec propter illos scripta est homines fabulaqui fi ctis causis innocentes opprimunt.

Un lupo e un agnello, spinti .. . . . . . . . . . . . . . . . ., . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . allo stesso ruscello; il lupo ... . . . . . . . . . . . . piú in

alto, l’agnello molto piú in basso. Allora quel fur-

fante, sollecitato dalla .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., accam-

pò un pretesto di litigio. «Perché – dice – hai reso

a me ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l’acqua torbida?». L’agnel-

lo, di rimando, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . «In che modo posso

fare quello di cui ti lagni, o lupo? L’acqua arriva ... . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .». Quello, vinto ... . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . dice: «Sei mesi fa hai parlato

male di me». Rispose l’agnello: «In verità, non ero

ancora nato». «Tuo padre, per Ercole, – dice quello

– ha parlato male di me». E cosí lo aff erra e lo sbra-

na ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Questa favola è stata scritta per quegli .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . i quali con ragioni insussistenti .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1 Il narratore, attraverso questo aggettivo, esprime il suo commento morale, laconico, ma proprio per questo tanto piú forte.

I, 24: La rana e il bueSi incontrano in questa breve favola due opposte fi gure, quella del bue dall’enorme mole e quella della ra-na rugosa che paga la sua invidia con una morte terribile. Lo sciocco comportamento della rana e la sua triste fi ne costituiscono un esempio signifi cativo per coloro che vogliono in tutti i modi essere ciò che non potranno mai.

Inops, potentem dum vult imitari, perit.In prato quondam rana conspexit bovem,et tacta invidia tantae magnitudinisrugosam infl avit pellem. Tum natos suosinterrogavit an bove esset latior.Illi negarunt. Rursus intendit cutemmaiore nisu, et simili quaesivit modo,quis maior esset. Illi dixerunt “bovem”.Novissime indignata, dum vult validiusinfl are sese, rupto iacuit corpore.

Auguste Delierre, Il lupo e l’agnello, illustrazione del XIX secolo. Château-Thierry, Musée de La Fontaine.

UNITÀ 3

Il debole, quando vuole imitare il potente, perisce. Una volta, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . una rana ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . e, presa dall’invidia .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. gonfi ò ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. Allora ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . se fosse piú grossa del bue. Quelli dissero di no. Di nuovo tese la pelle con sfor-zo maggiore e chiese allo stesso modo chi fosse piú grande. Quelli .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . «.. . . . . . . . . . . . . . . . .». Da ultimo, indignata, mentre voleva gonfi arsi di piú, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . con il corpo spezzato.

IV, 3: La volpe e l’uvaLa volpe che dopo vari tentativi rinunzia all’uva desiderata, notando che essa è ancora acerba, è simbolo della debolezza degli uomini che, quando non riescono a ottenere o a realizzare qualcosa, tendono a dimi-nuirne il valore per non confessare a se stessi e agli altri la propria insuffi cienza o ignoranza.

Fame coacta vulpes alta in vineauvam adpetebat, summis saliens viribus.Quam tangere ut non potuit, discedens ait:“Nondum matura est; nolo acerbam sumere.” Qui, facere quae non possunt, verbis elĕvant,adscribere hoc debebunt exemplum sibi.

Una volpe, spinta ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . cercava di aff errare l’uva posta ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Poiché non poté ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . essa, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . disse: «Non è ancora matura; non voglio ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .». Coloro che disprezzano ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . le cose che non possono ... . . . . . . . . . . . ., . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . riferire a se stessi questo esempio.

I, 5: La mucca, la capretta, la pecora e il leoneL’alleanza tra deboli e potenti non è mai sicura: nel mondo di Fedro non c’è posto per l’uomo onesto e giu-sto, che è inevitabilmente destinato a essere sopraff atto dal prepotente.

Numquam est fi delis cum potente societas.Testatur haec fabella propositum meum.Vacca et capella et patiens ovis iniuriaesocii fuēre cum leone in saltibus.Hi cum cepissent cervum vasti corporis,sic est locutus partibus factis leo:“Ego primam tollo nominor quoniam leo;secundam1, quia sum socius, tribuetis mihi;tum, quia plus valeo, me sequetur tertia;malo adfi cietur si quis quartam tetigĕrit”.Sic totam praedam sola improbĭtas abstŭlit.

Non è mai sicura ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .: questa favola conferma ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Una mucca, una capretta e .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . furono alleati .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Avendo questi catturato un cervo ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . ., dopo aver fatto le parti, . . . . . . . . . . . . . . . . . . cosí parlò: «Io prendo la prima, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . .; la seconda, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .; allora, poiché valgo di piú, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . seguirà .. . . . . . . . . . . . . . .; fi nirà male se qualcuno ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .».Cosí .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . portò via .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1 Fedro ricorre a un abile gioco di pause: qui, per esempio, ci aspetteremmo una conclusione diversa, ma il leone procede secondo la lo-gica assurda e inverosimile della violenza.

I, 8: Il lupo e la gruChi si aspetta la ricompensa di un benefi cio da un malvagio, si illude: nel migliore dei casi deve augurarsi di non essere ricambiato con un male. Il lupo si considera generoso perché non ha divorato la gru, mentre essa gli estraeva dalla gola un osso rimasto attaccato.

Qui pretium meriti ab imprŏbis desiderat,bis peccat: primum quoniam indignos adiuvat,impune1 abīre deinde quia iam non potest.Os devoratum fauce cum haerēret lupi,magno dolore victus coepit singulosinlicere pretio ut illud extrahĕrent malum.Tandem2 persuasa est iure iurando gruis, gulaeque credens colli longitudinempericulosam fecit medicinam lupo.Pro quo cum pactum fl agitaret praemium,“Ingrata es” inquit “ore quae nostro3 caputincolume abstulĕris et mercedem postules”.

Chi si aspetta la ricompensa di un benefi cio dai malvagi, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . due volte: innanzitutto

... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., poi perché non può piú uscirne senza danno. Poiché un

osso divorato stava attaccato alla gola del lupo, quello, vinto ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . cominciò ad adescare

... . . . . . . . . . . . . . . . . . . gli animali ad uno a uno affi nché gli togliessero quel malanno. Alla fi ne fu persua-

sa ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e, affi dando ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Poiché gli chiedeva la ricompensa pattui-

ta, disse: « .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . tu che hai tirato fuori dalla mia bocca la testa sana e salva e chiedi

.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .».

1 Fedro indica qui il secondo errore. Deinde va tradotto pertanto all’inizio del verso.2 L’avverbio signifi ca «fi nalmente» e con esso Fedro evidenzia che gli altri animali si sono rifi utati di aiutare il lupo.3 L’uso del possessivo di prima persona plurale sottolinea che queste parole sono pronunciate dal lupo con un tono di forte disprezzo e

superiorità.

Nicola e Giovanni Pisano, Il lupo e la gru; il lupo e l’agnello; 1275-1278. Perugia, Fontana Maggiore.La doppia formella, ispirata alle favole di Fedro, è inserita lungo il bordo della vasca inferiore della Fontana e fa parte di un complesso ciclo iconografi co che mostra la serie dei mesi, le arti liberali e alcuni episodi biblici; il richiamo alle due favole è un memento morale, e ricorda che il piú forte trionfa sul debole.

UNITÀ 3

I, 13: La volpe e il corvoL’arte della parola e l’adulazione sono strategie temibili di cui troppo tardi si rende conto lo sciocco corvo. La volpe, infatti, attraverso un discorso elegante e raffi nato, riesce a ottenere ciò che vuole.

Qui se laudari gaudent verbis subdolis,fere dant poenas turpi paenitentia.Cum de fenestra corvus raptum caseumcomesse vellet, celsa residens arbore,vulpes hunc vidit, deinde sic coepit loqui:“O qui tuarum, corve, pinnarum est nitor!Quantum decoris corpore et vultu geris!Si vocem haberes, nulla prior ales foret’.At ille, dum etiam vocem vult ostendere,lato ore emīsit caseum, quem celerĭterdolosa vulpes avidis rapuit dentibus.Tum demum ingemuit corvi deceptus stupor.

Chi si compiace di essere lodato ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., prima o poi paga il fi o .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . Mentre un corvo voleva mangiare un pezzo di formaggio rubato ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., una volpe ... . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., lo vide e cominciò a parlare cosí: «O corvo, qual è lo splendore delle tue

penne! Quanta bellezza riveli nel corpo e nell’espressione del volto! Se avessi .. . . . . . . . . . . . . ., nessun ... . . . . . . . . . . . . . . .

sarebbe superiore a te».

Ma quello sciocco, mentre voleva ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., aperta la bocca ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ., che, velocemente, .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Allora

soltanto lo stupido corvo ingannato ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..

Auguste Delierre, La volpe e il corvo, illustrazione del XIX secolo. Château-Thierry, Musée de La Fontaine.

Per approfondire

Come abbiamo visto dalla lettura delle favole sopra riportate, lo scopo dell’opera di Fedro è quello di di-fendere i deboli, gli oppressi e gli schiavi servendosi degli animali per denunciare i prepotenti e i malvagi che dominano il mondo.Un altro autore latino che nella sua opera ha costan-temente difeso gli umili contro i ricchi e i prepotenti è il poeta Giovenale. Egli visse tra il 55 e il 127 d.C., prevalentemente a Roma (proveniva dal basso Lazio, da Aquino), e, per sopravvivere nella diffi cile vita del-la capitale, si adattò a fare il cliente: era cioè al servi-zio di qualche importante patrono, sempre aff annato su e giú per i colli di Roma a frequentare le case dei potenti. Giovenale scrisse satire, un genere lettera-

rio prettamente latino, caratterizzato dalla comples-sità e dalla varietà dei temi trattati e dalla spirito-sa mordacità. Ciò che spinge il poeta a scrivere satire è l’indignatio, «lo sdegno», la collera contro tutto ciò che ai suoi occhi appare corrotto e vizioso, contro il lusso, i soprusi e le prevaricazioni dei potenti e dei di-sonesti sui poveri e sui deboli.A questo proposito ti proponiamo un passo in lingua italiana tratto dalla satira terza, in cui un onesto e po-vero cliente, Umbricio, accusa in maniera implacabi-le la vita dell’Urbe, corrotta dalle fondamenta. Solo e soltanto il povero è esposto ai pericoli che la crudele Roma presenta. I ricchi possono dormire sonni tran-quilli.

III, 188-222 «Siamo costretti come clienti a pagare il tributo e ad aumentare le ricchezze ai servi raffinati. Chi teme o ha temuto crolli1 nella fresca Preneste o a Volsini adagiata tra colline boscose o nella semplice Gabi o nel-la rocca di Tivoli declive2? Noi viviamo in una città sostenuta per gran parte su esili puntelli; cosí infatti si oppone ai crolli il fattore e, dopo aver coperto l’apertura d’una vecchia crepa, invita a dormire sonni tranquilli mentre la rovina incombe. Bisogna vivere lí dove non ci sono incendi né terrori durante la not-te. Già Ucalegonte3 chiede acqua, già porta via le povere masserizie, già fuma il terzo piano e tu non lo sai; infatti se c’è panico al piano terreno, ultimo brucerà colui che solo le tegole proteggono dalla pioggia, dove depongono le uova le tenere colombe. Cordo4 aveva un letto troppo piccolo anche per Procula5, sei orcioli erano l’ornamento della credenza e piú in basso un piccolo boccale e un Chirone sdraiato a soste-gno del medesimo piano di marmo6; inoltre in una vecchia cesta teneva dei libretti in greco, e i topi igno-ranti rosicchiavano i carmi divini. Cordo non aveva nulla e chi lo nega? E tuttavia quel nulla il poveraccio l’ha perduto tutto. Ma il colmo della miseria è che, rimasto nudo, va intorno chiedendo qualche briciola, ma nessuno gli darà ristoro d’un po’ di cibo, d’un tetto ospitale. Se è crollato il maestoso palazzo di Astu-rico, ecco nello squallore le matrone, i grandi in lutto e rimanda le udienze il pretore7. Allora lamentia-mo le calamità di Roma, allora esecriamo gli incendi. Brucia ancora e già accorre chi vuol offrire marmi, contribuire alle spese: l’uno offrirà candide statue nude, l’altro un capolavoro di Eufrànore e di Policlèto8, questa antichi gioielli di divinità dell’Asia, quello libri e scaffali con una statuetta di Minerva nel mezzo, quell’altro un moggio d’argento. Di piú e di meglio riceve in compenso Persico9, il piú ricco tra i vecchi privi di figli e già a ragione si sospetta che lui stesso abbia incendiato la sua casa».

Da Giovenale, Satira III in G. Garbarino, Letteratura latina. Storia e testi, Paravia, 1995

1 Era questo uno dei problemi di Roma, dove erano frequenti i crolli delle case d’affi tto costruite in modo frettoloso con materiali di scarto, e gli incendi. A causa di questi incidenti, che talvolta assunsero proporzioni disastrose, i poveri potevano perdere tutti i loro miseri beni.

2 Preneste corrisponde all’odierna Palestrina, Volsini è l’odierna Bolsena; insieme a Gabi e Tivoli erano piccole città non lontane da Roma.

3 Allusione parodistica all’Eneide virgiliana, dove Enea scorge dal tetto del palazzo il propagarsi dell’incendio di Troia. Ucalegonte è un consigliere di Priamo.

4 Umile personaggio che perde tutti i suoi averi in un incendio.5 Una donna di bassa statura. 6 Giovenale descrive un tavolino costituito da una lastra di marmo sostenuta da una statuetta di centauro sdraiato.7 Nel caso dell’incendio del palazzo di Asturico, si sospende l’attività giudiziaria come nel caso di lutto nazionale.8 Noti scultori greci.9 Persico non ha eredi diretti ed è adulato e ricompensato da chi spera di ricevere la sua eredità.

All’interno di questa unità hai trovato alcuni termini che ricorrono frequentemente nella lingua latina su cui è opportuno fare alcune rifl essioni.

hospes, hospı̆tis e hostis, -is, sono due termini latini che venivano usati per indicare «il forestiero, lo straniero»; il primo aveva un signifi cato positivo, cioè di «forestiero amico» quindi colui che alloggia o viene alloggiato, il secondo aveva un signifi cato negativo di «forestiero che porta guerra», cioè nemico. Da tali termini è derivato l’italiano «oste», che è colui che ospita a pagamento, e «ospite», che è sia il forestiero che viene alloggiato, sia colui che alloggia il forestiero. Gli inglesi usano il termine hostess per indicare le as-sistenti di volo, incaricate di ricevere ospitalmente i viaggiatori. Da hospes derivano an-che «ospedale, ospizio» e l’inglese hospital; da hostis, invece, si sono formati il francese hôtel e l’italiano «ostello». Il senso negativo è rimasto negli aggettivi «ostile, ostico», nel sostantivo «ostilità» e nel verbo «osteggiare».

pater, patris, m., «il padre», è un termine latino che risale ad una radice indoeuropea molto antica, rintracciabile anche nelle lingue moderne. Il vocabolo in-

dica genericamente il padre, spesso associato al genitivo arcaico familias nelle formule uffi ciali; indica anche, in senso traslato, il ca-postipite di una città o di una gens, insieme di familiae aventi un antenato comune, o il fondatore di un genere letterario; il plurale patres può essere usato per i senatori. Il termine si è trasforma-

to nell’italiano «padre» dall’accusativo patrem, in cui la dentale sorda -t- è passata a quella sonora -d-. Sempre dal latino de-

rivano il francese père e lo spagnolo padre, mentre i corri-spondenti tedesco Vater e inglese father derivano dall’an-tico germanico. La radice di pater rimane nei termini dotti

inglesi come paternal, paternalism e paternality.

mater, matris, f., «la madre», come il suo corri-spettivo maschile, risale ad una radice indo-

europea, che non esprime l’atto del ge-nerare, rintracciabile nel termine gene-trix, genetrı- cis, ma esprime in particola-

re l’atto dell’allevare e del crescere, e può essere attribuito anche alle nutrici. Nell’ita-

liano «madre» si è formato a seguito degli stes-si mutamenti fonetici di pater, in francese si è conservato nel termine mère e in spagnolo

nel sostantivo madre. Questa volta, invece, dal-la stessa radice derivano anche l’inglese mo-

ther e il tedesco Mutter. In tutte le lingue troviamo il sostantivo che ha valenza af-fettiva derivato dal latino mamma, -ae: italiano «mamma»; francese maman; in-

glese mommy; spagnolo mamà; tede-sco Mama.

uno sguardo al lessico

dica genericamente il padrefamilias nelle formule uffi ciali; indica anche, in senso traslato, il ca-familias nelle formule uffi ciali; indica anche, in senso traslato, il ca-familiaspostipite di una città o di una antenato comune, o il fondatore di un genere letterario; il plurale patres può essere usato per i senatori.patres può essere usato per i senatori.patres

to nell’italiano «padre» dall’accusativosorda -t- è passata a quella sonora -d-. Sempre dal latino de-

rivano il francese pèrespondenti tedesco tico germanico. La radice di

inglesi come

matermater, mater, mater matrismatrisspettivo maschile, risale ad una radice indo-

essere attribuito anche alle nutrici. Nell’ita-liano «madre» si è formato a seguito degli stes-si mutamenti fonetici di conservato nel termine

nel sostantivo la stessa radice derivano anche l’inglese

sco

Mater Matuta, proveniente dalla Necropoli della Pedata di Chianciano. Firenze, Museo Archeologico.Mater Matuta è la dea etrusca che personifi ca la Grande Madre, il cui culto era diff uso in tutta l’Europa antica. La Grande Madre simboleggiava la natura generatrice di tutte le cose viventi ed era connessa al ciclo stagionale di morte e rinascita.