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BADPOP MAGAZINE art / fashion / film / music / life OH LAND BIG CHARLIE TO KILL A KING

Badpop Magazine - 3

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Oh Land, Big Charlie, To Kill A King, Top 50 of 2013

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BADPOP MAGAZINE

art / fashion / film / music / life

OH LAND BIG CHARLIE TO KILL A KING

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CONTENUTI

BIG CHARLIEPAGINA 6

TO KILL A KINGPAGINA 12

OH LANDPAGINA 16

HATERS WANNABEPAGINA 24

BADPOP MOVIESPAGINA 30

BADPOP FASHION CORNERPAGINA 34

TOP 50 SONGS OF 2013PAGINA 42

BADPOP STAFF

ART DIRECTION

Fabio MaragnoTESTI

Caterina De LuciaCarmen GuglielmiAlessandro MartiMartina Averna

BADPOP MAGAZINE

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Conoscete il Medimex? Bene, nemmeno io fino a qualche settimana ma, nella mia città d’adozione è un evento arrivato al terzo appuntamento: Il Salone dell’Innovazione Musicale ha dispiegato le vele della sua terza edizione tra i vari padiglioni della Fiera del Levante a Bari. Tra i vari stand, uno in particolare aveva catturato la mia attenzione: due schermi mandavano in loop il video di una canzone che alla mente mi

riportava differenti stili e richiami musicali diversi ma, disperata, non c’era nessuno a cui chiedere chi fossero. Tempo due giorni e ricevo un messaggio da una mia amica che mi comunica di avere il demo di “quella band da cui abbiamo dovuto tirarti via l’altro giorno”: i Big Charlie.

Scopro, tramite la band stessa contattata su Facebook, che il loro album è gratuitamente su Deezer. Ritmo a tratti quasi catchy, che ti

entra in testa, ti coinvolge in un turbinio di “ma mi ricorda questo” o “mi ricorda quest’altro” e alla fine no, non ricorda niente e nessuno perché è uno stile ricercato e minuzioso. Di tutto ciò, ne parliamo con Matteo, metà del duo la cui parte mancante è Stefano.

Com’è nato il progetto Big Charlie? E a cosa è dovuto questo nome?Il tutto è nato, casualmente, circa quattro anni fa da un incontro tra

LIFE IN A LOOPTesti di Carmen Guglielmi

Foto © Big Charlie

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me e Stefano. I Big Charlie sono nati nel momento stesso in cui abbiamo realizzato che avevamo bisogno di fondere e ricombinare suoni, giocare con le idee che ci giravano in testa. Abbiamo iniziato senza pensare a cosa sarebbe nato, semplicemente siamo stati animati dal preciso desiderio di creare della musica che sentissimo nostra. E per gioco è nato anche il nome del gruppo. Inizialmente pensavamo ad un nome che potesse essere breve, conciso

e “importante” e abbiamo pensato a Charlie come Charlie Chaplin, Charlie Brown, Charlie Parker; poi abbiamo cominciato ad associare la nostra musica - basata inizialmente su generi come elettronica, funky, breakbeat, bebop - che invitano a ballare - ad un personaggio e abbiamo creato “Big Charlie”, un grande coniglio.

Quali sono le vostre influenze principali?In maniera molto spregiudicata, cerchiamo di annullare definitivamente i confini tra elettronica, rock, funk e pop e preferiamo seguire le frequenze wave di band come Tv On The Radio, St.Vincent, Hurts e Iori’s Eyes pur mantenendo uno stile di suoni molto personale. Ci piace pensare alla nostra musica come non etichettabile in un unico genere ma come frutto di

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sonorità che li caratterizzano ma aggiungendo sicuramente un abotta molto più rock.

Come siete stati accolti, sia live che studio, in un paese musicalmente difficile come è l’Italia?Molto bene, anche se il nostro pubblico è prettamente internazionale. Nei live la gente balla, si diverte ed inizia a canticchiare i nostri pezzi e a quanto pare anche

tante istintive, buone e precise idee.

Recentemente è stato rilasciato il vostro album: parlateci un po’ di questo lavoro, com’è nato, com’è stato prodotto.Knives Party è senza dubbio l’album che meglio ci rappresenta fino ad ora e che rispecchia propriamente la fusione di stili e l’ecletticismo musicale dei Big Charlie. È un album voluto e nato da idee chiare: abbiamo iniziato a buttar giù tutte le nostre idee e demo e le abbiamo ricostruite come un puzzle cercando di mettere i pezzi al posto giusto. All’inizio ci piacevano i pezzi ma non erano ancora come li immaginavamo nella nostra testa, eravamo ancora forse legati alle sonorità del precedente album, Too Little Too Late. Poi ad un certo punto abbiamo abbattuto tutto e abbiamo ricominciato da zero, lavorando molto sui suoni e cercando di rendere i brani più puliti e diretti. Abbiamo quindi rinunciato ad una elettronica invasiva e l’abbiamo resa più minimal dando spazio alla nostra anima un po’ rock e a dei suoni - sapientemente missati e masterizzati da Luca Serpenti - con una facciata “dance” ma principalmente rock, tagliente come coltelli.

Com’è il vostro rapporto con le esibizioni dal vivo? A riguardo, è un programma un tour per portare l’album in giro?A breve saremo protagonisti di un

tour in Campania nel periodo pre-natalizio, dal 21 al 23 dicembre, ed il nostro booking sta già lavorando per diversi tour in giro per l’Italia nel 2014. I live saranno incentrati principalmente sui brani del nuovo album ma ci sarà spazio anche per brani di quello precedente. Il live rappresenta per noi la vera anima della musica perché è importante cercare di suonare i brani come suonano dal cd restando fedeli alle

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gli streaming iniziano a darci soddisfazioni: su Deezer, “Life in a loop” e “On my shoulders” hanno raggiunto, nella prima settimana di uscita, la top 10 per la categoria rock.

Ho ascoltato, proprio recentemente, il vostro album e la cosa che mi ha incuriosito parecchio è stata la scelta di cantare in inglese. Come mai questa decisione?La risposta è estremamente semplice:

la nostra scelta di usare l’inglese è stata dettata, sin dall’inizio, dalla necessità di dare alla nostra musica un respiro internazionale. Riteniamo che non sia necessario usare la lingua italiana per esprimere la propria musica, testi e pensieri, senza nascondere il nostro essere italiani. Ci piace usare una lingua molto più plastica dell’italiano quale è l’inglese, con una brevissima frase puoi dire tantissime cose per le quali in italiano

ti occorrerebbe molto più spazio.Sempre a proposito dell’album, è stato inserito anche su supporti digitali come Deezer. Ho partecipato all’ultima edizione del Medimex e una delle tematiche principali era proprio “meglio la musica fisica o quella digitale”. Qual è il vostro pensiero a riguardo?Il web è una risorsa e lo sarà sempre, l’obiettivo è sempre canalizzare la comunicazione e renderla il più efficace possibile. Con Deezer, come dicevamo precedentemente, abbiamo raggiunto dei risultati molto interessanti: la nostra etichetta ha stretto questa collaborazione con il servizio di streaming online e riteniamo che, ad oggi, sia uno dei modi più efficaci di proporre musica sul web.Progetti nell’immediato futuro?Non riusciamo a stare fermi… nonostante sia appena venuto alla luce il nuovo album e stiamo già lavorando a nuove idee per il prossimo album. Siamo in continua evoluzione, istintivi e mutevoli.

Eventi come il Medimex, band come i Big Charlie, sono sintomo solo di una cosa: la speranza è l’ultima a morire, soprattutto per la musica italiana che non è assolutamente morta.

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TO KILL A KING

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TO KILL A KING

Testi di Fabio Maragno e Caterina De Lucia

Un tour in supporto ai Bastille li ha portati alla ribalta anche nel vecchio continente, oltre a essere ben conosciuti nel Regno Unito, da dove vengono. Il gruppo nasce nel 2009 dall’incontro di tre membri all’Università di Leeds, con varie influenze che li portano a definirsi “lyrical indie folk”.Dopo un recente cambio di chitarrista e batterista, la band ha ri-pubblicato l’album di debutto “Cannibals With Cutlery”, ora sotto contratto con la Xtra Mile Recordings.Dopo un breve aggancio il 23 Novembre a Milano, abbiamo risentito i To Kill A King per una breve ma proficua chiacchierata...

Qual è la storia dei TKAK? Da cosa prende il nome la band?“Credo che semplicemente la storia riguardi cinque ragazzi con una gran voglia di fare buona musica, che avesse anche un significato. Il nome riprende un verso dell’’Amleto’ di Shakespeare.”

Quali sono le vostre principali influenze? Cosa vi ha spinto verso questo genere?“Un misto di musica Folk e Rock, e un pizzico dello strano bit della musica elettronica!”

Cosa c’è dietro Cannibals with Cutlery?“Volevo creare un album che fosse una combinazione di canzoni

accessibili al pubblico sotto ogni punto di vista, che raccontassero delle piccole storie all’interno delle quali l’ascoltatore si sarebbe potuto immedesimare.”

Qual è la canzone che più vi rappresenta all’interno dell’album?“E’ un album molto variegato, ma se dovessi proprio scegliere credo che ‘Funeral’ oppure ‘Fictional State’ sarebbero quelle che suonerei con più piacere al pubblico.”

Avete appena concluso il vostro tour europeo. Com’è stato? Vi è piaciuta una data in particolar modo?“A Milano è stato fantastico,

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altrettanto dicasi per Monaco; è stato lo show più grande che abbiamo avuto, cinquemilacinquecento persone!”

Siete molto amici dei Bastille, è stato divertente girovagare assieme?“Oltremodo divertente direi!”

E qual è il vostro rapporto con i fan? A Milano ad esempio sembravate molto a vostro agio assieme a loro…“Si, lo siamo infatti. Quest’esperienza è nuova per noi e siamo molto entusiasti nel momento in cui le persone vogliono salutarci, avere un autografo o anche solo una foto.”

C’è qualche altro gruppo per cui vi piacerebbe aprire?“Sarebbe meraviglioso aprire per i National Elbow!”

E suggerireste di tenere d’occhio qualche nuovo artista in particolare, oltre voi naturalmente?“Credo i Keston Cobblers Club e Child Care.”

Progetti per il futuro?“Tantissimi, ma ho bisogno di stare a casa giusto il tempo necessario per pianificarli e portarli a termine!”

Parlando di un futuro imminente, il tour li riporterà in America ed Europa nel 2014, con la speranza (e quasi certezza) di vederli anche in Italia, magari da headliner, per un gruppo che ha saputo crearsi un seguito non solo attraverso la musica, ma anche con un fantastico rapporto con i fan.

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SHE CAN BE OUR RENAISSANCE GIRLOH LAND

Testi di Caterina De LuciaFoto di Benedetta Minoliti

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Milano, 20.30, alla Salumeria della Musica un piccolo gruppo di fan si stringe a sedere sotto il palco, altri si godono l’aperitivo e aspettano. Anche noi del giornale ci concediamo del ristoro prima di arrivare al dessert, perché è proprio il caso di dire che l’esibizione di Oh Land è la “cherry on top” (la ciliegina sulla torta) della giornata. Il chitarrista del gruppo si esibisce in una serie di pezzi di apertura e poi, qualche minuto di attesa, tutti in posizione, appare Nanna. I suoi capelli turchesi raccolti in una coda di cavallo, il vestito a balze rosa, parigine color Big Bubble e energia da vendere. Uno spettacolo di un’ora e mezza, la stessa passione e vivacità necessarie per ammaliare un’arena, ma infondo noi eravamo meno di cinquanta. Allegria, simpatia, voglia di vivere e dolcezza: ecco cosa trasmette Oh Land con la sua musica e i suoi balletti che, a volte, tutto sembrano meno che coordinati! Un’esplosione. A fine concerto ci spostiamo nel camerino, aspettiamo ed eccola con un sorriso, pronta a rispondere alle nostre domande.

Parliamo di Nanna: come ha fatto una giovane ragazza danese ad avere tutto questo successo? Qual è il tuo segreto?“Oh, il mio segreto… credo che la ricetta, per quanto mi riguardi, sia la passione. Io, ad esempio, sono una persona molto appassionata, non sempre sono disposta a fare qualcosa verso la quale non nutro particolare interesse o che non amo fare, e credo che questo traspaia, che le persone percepiscano che è ciò che mi fa andare avanti!”Come ha avuto inizio tutto quanto? Raccontaci una piccola storia di Oh Land…“Beh, è iniziato nella mia cameretta a Copenaghen, avevo appena accusato

un grave infortunio e avevo dovuto smettere di danzare, che era una cosa veramente dura per me da fare in quanto lo facevo da quando avevo nove anni. Quindi per un lungo periodo di tempo non potevo muovermi, avendo subito questo incidente alla schiena, e l’unico modo che avevo per esprimermi, non potendo ballare, era la melodia; così pian piano ho iniziato a scrivere sempre più canzoni e a produrle sul mio computer, e poi immediatamente sono passata alle registrazioni. Un anno dopo mi sono trasferita in America, rilasciato un intero album e il resto.. è storia!” (Ride)

“Sun of a Gun” è una delle canzoni più conosciute (e una delle mie preferite). Ma cosa ha portato a questo cambio di musicalità attraverso i tre album (che per chi non lo sapesse sono Fauna, Oh Land e Wish Bone)?“Credo che ‘Sun of a Gun’ rimanga sulla linea prettamente elettronica di quello che faccio, ma amo dedicarmi anche alle ballate e a qualcosa che sia più sperimentale. Ma credo che in ogni album ci sia un po’ della mia personalità, l’ultimo suppongo sia più dedicato al temperamento ed è alquanto diverso dagli altri.”

…Possiamo dire, infatti, che “Wish Bone” è una sorta di risveglio? Hai il sentore di essere maturata?“Si, assolutamente! Credo di aver imparato molto gli anni scorsi, non solo a livello umano ma anche in quanto musicista. Sono riuscita a conoscere me stessa in quanto scrittrice di musica e testi, ho decisamente operato delle scelte per questo album in quanto volevo che fosse più pregno di significato, più rivolto alla scrittura e alla mia voce. Sai, non volevo che la produzione offuscasse il resto, ma volevo che trattasse temi più generali, ad

esempio come si sente una ragazza nei suoi vent’anni e andando verso i trenta.”

Quali sono le tue principali influenze? Le tue aspirazioni? Brooklin ha avuto un qualche effetto sul tuo stile?“Brooklin ha influenzato leggermente il mio stile; ho colto questo ‘street vibe’ crudo, genuino, sfacciato, sono diventata un po’ una ragazza di strada. Con l’influenza di tutta questa scena hip hop ho voluto lasciare un po’ da parte le ballate e diventare più una ragazzaccia. Questo principalmente.”

Sei stata in tour con Katy Perry, hai aperto per lei nel 2012; cos’hai appreso da questa esperienza?“Ho imparato un sacco di cose! Ho imparato a stare su un palco di fronte a venti mila persone, ho imparato a esibirmi negli stadi, e ho imparato sicuramente quello che NON voglio fare! Personalmente non sento la necessità di uno spettacolo gigantesco, ho sempre desiderato che la musica fosse al primo posto, intima. Forse si, in teoria ho bisogno di un grande pubblico, ma in pratica non lo voglio!”

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? C’è un cantante o un gruppo con cui ti piacerebbe collaborare?“Credo che ci siano molti artisti talentuosi al momento, mi piace molto Heim, James Blake e Miguel. Ci sono un sacco di musicisti bravissimi al giorno d’oggi, ma se potessi risvegliare qualcuno dal mondo dei morti sarebbe Freddie Mercury!” (Sguardo nostalgico di tutte le presenti)Com’è andato il tour fino ad ora? E’ la prima volta in Italia? Come ti è sembrato lo show di stasera?“Sono stata in Italia tantissime volte, ci venivo spesso da bambina, sono

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OH LAND

FOTO DI BENEDETTA MINOLITI

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stata dappertutto; ma ho suonato solo a Milano, la volta prima di questa al Plastic, non so se esista ancora.. è stato molto divertente! Ma mi piace molto esibirmi qui, gli italiani sono molto affettuosi, e quello di stasera è stato davvero uno spettacolo spassoso, davvero grandioso! Sono felice!”

Qual è il tuo rapporto con i fan? Sei tu stessa una fan? Cosa c’è, ad esempio, sul tuo ipod?“Il modo in cui sono una fan è cambiato, certamente, da quando ero più piccola: mi basavo più sull’aspetto, non sapevo nulla degli artisti, se fossero in 3/4 o da dove venissero..Conoscevo solo la loro musica! Oggi giorno è differente, si sa tutto di tutti, quindi è molto molto diverso, tuttavia sono una fan di alcuni artisti: Radiohead, Bjork, ammiro molti artisti ma non so nulla di loro! (Ride) E per quanto riguarda i miei fan, beh, loro sono tutto per me, se non avessi loro non esisterei in quanto musicista.”

Come accennavi anche prima, sei una ballerina e anche un’attrice. Cerchi di mantenere vive anche queste due passioni? Solo per citare un esempio, nel video di “Renaissance Girls” dimostri un po’ delle tue capacità..“Uhm.. suppongo che se capita un’occasione che sembra divertente e può risultare di una qualche importanza lo faccio volentieri. Non ho pregiudizi su chi sono, sono dominata dall’entusiasmo e se qualcosa m’ispira e sembra piacevole da fare allora mi presto, ma sicuramente la musica sarà sempre al primo posto nella mia vita.”

Quest’ultima domanda è da parte dei tuoi fan italiani (Grazie ad ‘OH LAND ITALIA’)...

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Quale canzone, in “Wish Bone”, ti rappresenta di più?“Uuhh.. Credo, forse, che ‘Renaissance Girl’ sia rappresentativa per me, in quanto credo che se solo qualcuno m’incontrasse e mi conoscesse molto bene, capirebbe che sono molto sognante, allegra, piena di sarcasmo e molto humor anche; ho molte cose da dire, molte strane idee (ride), e credo che in quella canzone emerga decisamente. Quando mi si conosce bene comprendi che qualcosa di me c’è anche in ‘Next summer’, ma d’impulso direi la prima.”

A malincuore la ringraziamo e ci separiamo, il freddo inizia a farsi sentire per tutti e dopo qualche foto e due autografi è bene lasciare Nanna al suo meritato riposo. Sorride e ci saluta, pronta a partire per Barcellona l’indomani mattina.Che dire?! Oh Land è un’artista meravigliosa e merita assolutamente attenzione: genuina, frizzante, energica, ci ha regalato (a mio parere) una delle sue performance più belle! In attesa di un suo ritorno vi lasciamo alla sua musica.

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Avete presente quella sensazione che vi pervade prima e, forse, dopo un concerto? Quella bellissima sensazione che vi porta a essere come un bambino a Natale in un Toys center. Ecco, dimenticatevela.Ora pensate ai momenti bui dei concerti, esatto, proprio quelli in cui v’imbattete negli inabili dei live, quelli che nemmeno vorreste come vicini di casa. La sottoscritta, dopo anni e anni di people watching, ha pensato ad un’interessantissima top 10 dell’odio, che poi con il mio essere un piccolo barattolo d’odio, tutto questo non vale, come minimo avrei bisogno di dieci classifiche d’odio, ma facciamo finta che io sia una persona comune, e non un misantropo a senso unico™.Accomodatevi, e condividete con me questi esilaranti momenti d’odio. Durante i vari concerti, ho sempre, e dico sempre, incontrato questi dieci personaggi:

X posizioneL’inabile alla vitaQuesto è l’individuo che noi tutti troviamo ai concerti, è il possessore di birra, inabile alla vita, che si palesa puntualmente a 0:01 dall’inizio del concerto con il suo bicchiere che si rovescia sui vostri capelli, e non contento s’incazza con voi. Solitamente la caduta del bicchiere accompagna una delicatissima richiesta di rimborso del

drink da parte dell’inabile.

IX posizionePogatori seriali Classici immancabili dei live, quelli che, se potessero, pogherebbero anche alla Prima della Scala tra la Marzotto e Marina Ripa di Meana. Quelli che appena parte Summertime Sadness della Del Rey è subito Wacken 2003 con gli Slayer e Raining Blood.

VIII posizioneLa giovane marmottaQuesta categoria è onnipresente, probabilmente anche voi lettori vi appartenete (tranquilli, è facile uscirne, siete ancora in tempo). La giovane marmotta è quel nostro caro amico, (perché sì, l’abbiamo sempre tra gli amici che ci seguono, e se non l’avete, mi dispiace dirvelo, ma siete voi) che si porta LO zaino, quell’Eastpack pieno di panini, pizzette, vodka lemon travasata in bottiglie di limonata SanBenedetto, pinze, forbici, pale, tende, marsupi perché la giovane marmotta è pronta a ogni evenienza. Allora perché lo odiamo? Semplice, la giovane marmotta non sa di essere ingombrante, non ha calcolato l’eventualità di rompere il cazzo a chi è dietro di lui, che molto probabilmente è alto 1.50 e se lo zaino è un’Invicta vi sfido io a non tornare a casa con la faccia che sembra un Picasso. La giovane marmotta, quando porta il suo zaino, ha due opzioni: o tenerselo sulle

spalle, e raschiare la faccia a chiunque gli stia dietro, o metterselo tra i piedi, e occupare lo spazio di due persone. Ovviamente, la maggior parte delle giovani marmotte opta per la prima opzione.

VII posizioneIl socialInutile descriverlo, il social è quello che per tutta la durata del concerto è perennemente con il braccio alzato e lo smartphone in mano. Il social osserva tutto il concerto attraverso il suo telefono, continua a scattare e a filmare, per poter poi mettere tutto su youtube e facebook, per poter dire “io c’ero!”. Il nostro social ha fatto dei level up nel corso della storia non indifferenti, se fino a 5 anni fa potevamo vederlo con la sua compatta, nel corso di questi 5 anni si è evoluto passando dalle svariate reflex, lo smartphone, fino agli ultimi sviluppi dove il social non si accontenta più del suo telefono di ultima generazione, ma addirittura sente il bisogno di impegnare entrambe e mani, e utilizzare il suo tablet.

VI posizioneLaura Palmer - Wrapped in plasticÈ la nostra beniamina di Twin Peaks, solitamente accompagnata dal consorte, anch’egli wrapped in plastic.Sono coloro che a un concerto, sono dei cadaveri plastificati, fermi, immobili, se in coppia abbracciati. Fin qui tutto

HATERS WANNABE I DIECI FENOMENI DA EVITARE AI CONCERTI.

Tratto da Top of the Rock

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bene, o quasi, siccome non sono poi così estetici come la protagonista di TP. Il loro problema fondamentale, è il continuo sbuffare e insultare chiunque gli si avvicini. La loro distanza ideale dal calore umano è all’incirca 20 cm, una volta superata questa distanza, inizia quella fase in cui l’unica cosa che tu, persona sostanzialmente viva, vuoi fare è allontanarti il più possibile dai cadaveri. Solitamente Laura Palmer capita vicino ai Pogatori seriali, quando succede, è sempre uno spettacolo che nessuno dovrebbe perdersi.

V posizione La piramide umanaIl suo habitat naturale sono i festival estivi. La sua atleticità è qualcosa d’imbarazzante e irritante allo stesso tempo. Sono quelli che si fanno prendere in spalletta come i bambini di cinque anni alla fiera degli uccelli. Solitamente sono situati davanti ad una persona che non supera il metro e sessanta di altezza.

IV PosizioneSuperfanGli immancabili, li riconosci subito, sono quelli che se potessero, si farebbero una bandana come ai concerti di Vasco Rossi, quelli che arrivano alle 10 del mattino ai cancelli, con la maglietta del gruppo, che sta a indicare il livello di adorazione raggiunto dai ragazzini. Solitamente è tra le prime tre file, e cantano tutti i pezzi dei live. Hanno svariati problemi, tra cui l’incazzatura facile, ad esempio se tu, che sei arrivato mezzo minuto prima dell’inizio riesci ad arrivare tra le prime file, il superfan inizia a blaterare cose del tipo “e che noi siamo stronzi? Io mi sono qui dalle 17!”. Il vero problema è il cantare a squarciagola tutti i pezzi, nonostante non azzecchi una sola parola, manco fosse la sigla di Dawson’s creek.

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Liberal Arts è il classico film di nicchia che val la pena vedere, soprattutto per coloro che apprezzano una brillante e simpatica sceneggiatura.

E’ il secondo film scritto e diretto da Josh Radnor, più conosciuto per il suo ruolo di Ted Mosby in “How I Met Your Mother” che come regista, autore e attore di film indipendenti.Presentato al Sundance Film Festival il 22 Gennaio dell’anno scorso, ha avuto una distribuzione limitata persino nel suo paese di nascita, gli Stati Uniti, quindi non c’è da stupirsi che nessuno abbia mai notato il nome sulle locandine di un cinema italiano.

Il film, cui titolo in italiano è definibile come “Studi Umanistici”, parla di Jesse (Josh Radnor), un new yorkese che coltivava grandi ambizioni ai tempi dell’Università ma si è ritrovato un lavoro di cui non è soddisfatto: coordinatore delle ammissioni universitarie (ruolo diffuso soprattutto nei paesi anglosassoni). Riceve però un invito alla festa di pensionamento del suo mentore, Peter (Richard Jenkins; non ricorderete il nome ma è uno di quegli attori che conoscono tutti) e torna al luogo dove tutto è iniziato, il Kenyon College, Ohio (paese di origine di Josh Radnor).

In questo pseudo ritorno a casa, con i ricordi di tempi felici che si risvegliano, ha l’occasione di conoscere Zibby (Elizabeth Olsen, la promettente terza

sorella Olsen), una diciannovenne studentessa di improvvisazione teatrale. E qui l’ovvio accade. La promettente giovane fanciulla, con il suo essere estrosa e acculturata a modo suo, ma soprattutto fresca e giovane, affascina se non conquista l’ex annoiato dalla vita Jesse, che per inciso ha 35 anni. L’attrazione è ovviamente ricambiata; Zibby è intrigata dall’età di Jesse e rimane catturata dalla parvenza di saggezza, probabilmente suggerita dalla barba e dalla camicia fuori dai pantaloni.

Devo ammettere la premessa può sembrare banale, ma se il titolo e la trama incuriosiscono, è da ricordare che sono la regia, la sceneggiatura, e ovviamente gli attori, che fanno di un film un bel film.

Infatti la storia tra Zibby e Jesse, è di per sé molto romantica: vissuta per la maggior parte a distanza, dimostra le difficoltà di capirsi attraverso lettere e come non vedersi di persona accentui lo sviluppo di un ideale illusorio dell’altra persona. Ma affascinerà per la sua profondità e al contempo leggerezza, per la tenera semplicità dello scriversi tramite lettere, e per la disinvoltura con cui si discute di libri, teatro e storia in un ambiente ricco di stimoli come quello universitario.

L’inserzione qui e là di personaggi stravaganti, come uno strafatto (di vita?) Zac Efron, una conturbante ma disillusa professoressa di letteratura inglese

(Allion Janney) la cui storia lascerò scoprire a voi, e Dean (John Magaro), un problematico ragazzo che non lascia mai il suo libro preferito, “Infinite Jest” di David Foster Wallace, rendono il film più originale e anche moderno.

Le continue citazioni di libri, teatro e musica, faranno sentire gli amanti della letteratura, e chiaramente gli studenti di studi umanistici, compresi e coinvolti. L’allure che la regia di Radnor offre, già apprezzata dal pubblico al Sundance Film Festival per il primo dei suoi tre film, Happythankyoumoreplease, dove ha vinto l’Audience Award, vi accompagnerà per un’ora e mezza con dialoghi simpatici e brillanti in un mondo di scambio culturale e di interessi comuni, dove ci si può fermare per strada a parlare con chiunque dell’ultimo libro che si ha letto. Oltre ad avere uno sviluppo interessante. è un film che definirei brillante, dallo humor diretto e anche divertente, con molte frasi che vorrete trascrivervi. Troverete spunti per libri da leggere, interessi da coltivare, troverete la voglia di ascoltare musica classica, che fa parte della colonna sonora e di una scena molto bella con protagonista Jesse.

Insomma, questo profumo di sogni e ambizioni, così irreali e così scoraggiate nel mondo reale, ravviveranno un po’ lo spirito in chi segue le proprie passioni.

LIBERAL ARTS

Testo di Martina Averna

BADPOP MOVIES

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DAL FASHION ALL’INTERIORDUE GIOVANI TALENTI SI RACCONTANO

Testo di Alessandro Marti

BADPOP FASHION CORNER

Il mondo della moda si arricchisce giorno dopo giorno di nuove leve, nuovi giovani talenti che con grande entusiasmo cercano di farsi spazio proponendo il loro autentico punto di vista. Uno di loro è proprio Martin Dee, fondatore del brand di t-shirt TEIN. Come lui stesso spiega “ TEIN è nato ufficialmente lo scorso gennaio, sebbene le sue radici siano molto più antiche”. Martin utilizza le sue t-shirt proprio come un pittore usa la tela, con l’intento di soddisfare la sua voglia di comunicare : “Credo che la fusione tra immagine e abbigliamento sia una strada estremamente interessante per chi come me si è sempre occupato di comunicazione visiva. Tein nasce dalla sintesi del mio background artistico, dalla body performance all’ossessione per la ricerca estetica”. Le sue collezioni si ispirano a due realtà apparentemente lontane anni luce: Oriente ed Occidente. “Le grafiche della collezione sono il connubio tra la cultura asiatica e quella europea, dall’iperconsumismo occidentale alla spiritualità orientale, dalla cultura newrave e dal movimento dei clubkids newyorkesi degli anni ‘90 “. Il risultato? “Un’apocalisse di colore - ci spiega - l’esasperazione di concetti reinterpretati attraverso un’ottica ironica e pop”. Quando gli ho chiesto che cosa ne pensasse della

moda di oggi, la sua risposte è stata molto determinata : “Non sono un appassionato di moda. Non seguo grandi marchi, quanto piuttosto credo nei movimenti, nelle subculture e nelle controrivoluzioni. Apprezzo e stimo il lavoro di molti designers, in particolare quelli che lavorano sul concetto senza l’ossesione del mercato, preservando così la propria autenticità”. Anche se è nato da poco, TEIN si presenta come un progetto molto ambizioso.

Attingere dal passato per creare qualcosa di contemporaneo : questa è la filosofia da cui hanno avuto vita molte delle creazioni del pugliese Vito Nesta, giovane designer che si sta facendo strada nell’ambito dell’interior design. Il nascente talento, infatti, trae ispirazione da oggetti di uso quotidiano che, attraverso il suo punto di vista creativo ed ironico, diventano oggetti di design moderno. Decontestualizzare senza spersonalizzare. Contemporaneizzare. Il suo progetto è nato casualmente, come egli stesso ci racconta : “Ero in viaggio da Milano verso Brescia. Andavo a trovare mia zia quando, annoiato, ho iniziato a scarabocchiare. Ho disegnato un ditale.

Il disegno era così minuzioso e attento ai dettagli che ho iniziato a pensare cosa farne. Fantasticando mi è venuto in mente che sarebbe potuto diventare un vaso in ceramica. Non appena tornato a Milano, ho contattato un ceramista, sottoponendogli la mia idea. Dopo qualche settimana i primi pezzi erano pronti. A seguito di pubblicazioni e vendite, mi sono trovato a dovere pensare ad altri oggetti che potessero convinvere con il vaso a forma di ditale extralarge dal nome ‘inDITO’ “ E’ importante sottolineare che, in ogni sua creazione, Vito cerca di mantenere vivo il legame con i suoi ricordi. “ Non ci sono delle forme di ispirazione; più che altro lavoro molto sul mio background. Sono nato nella masseria dei miei nonni dove tutto sapeva di antico e di tradizione. I ricordi e i viaggi che spesso faccio mi permettono di avere un enorme calderone di immagini che riaffiorano ogni qualvolta mi ritrovo a pensare, progettare o ideare qualcosa”. Antichità e modernità : questa sono le coordinate della concezione estetica di Vito Nesta che nei suoi futuri progetti continuerà a mostrarci, preannunciandoci delle interessanti collaborazioni.

(VEDI L’IMMAGINE NELLA PAGINA SEGUENTE)

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IL VALZER DI POLTRONEDUE GIOVANI TALENTI SI RACCONTANO

Testo di Alessandro Marti

Anche quest’anno la “Sig.ra Moda” non è stata esente da importanti e rivoluzionari cambiamenti: ritorni e addii, poltrone vuote da riempire, direttori creativi che lasciano spontaneamente il loro arduo lavoro a “nuovi” potenziali designers con l’augurio che possano restituire un tocco di modernità al proprio brand. E’ questo il caso di Rossella Jardini - quasi da vent’anni alla guida della celebre maison Moschino - che , spinta dal desiderio e dalla necessità di un incisivo cambiamento, ha passato il testimone a Jeremy Scott, l’originale designer americano conosciuto sopratutto per la sua concezione estetica sopra le righe, non privo di ironia e altrettanta sfrontatezza.

La stessa Jardini ha infatti dichiarato : “Una scelta compiuta nel pieno rispetto del DNA del brand, poichè Jeremy Scott rappresenta non solo un comunicatore eclettico ed estremamente contemporaneo ma soprattuto un designer in grado di reinterpretare l’identità e l’essenza di Moschino”. Avrà così inizio un nuovo capitolo

nella storia dI Moschino e, pertanto, speranzosi attendiamo una ventata di “freschezza” e di innovazione nella prossima fashion week in cui presenterà la collezione F/W 2014-15.

Ma non si parla solo di Moschino : anche Marc Jacobs, per sedici lunghi anni alle redini del brand di punta del gruppo LVHM - Louis Vuitton - ha deciso qualche mese fa di abbandonare il marchio emblema del lusso. Il motivo è principalmente legato alla volontà di dedicare le proprie energie alla sua linea. L’incarico di direttore creativo è stato affidato al geniale Nicolas Ghesquière che ha accettato di buon grado il compito di occuparsi del ready-to-wear (nato proprio grazie a Marc Jacobs) e, allo stesso tempo, di creare un’immagine maggiormente definita ed elegante mediante il suo approccio couture.

Ultimo, ma non per importanza, l’addio in casa Jil Sander. La stilista tedesca fondatrice dell’omonimo brand nel lontano 1973, lascia per la terza volta il marchio dopo il suo ritorno a sorpresa nel febbraio 2012 seguito all’addio di Raf Simons da

poco approdato da Dior. La regina dello stile contemporaneo e minimalista caratterizzato dall’estrema pulizia, abbandona nuovamente il trono per motivi personali non rivelati. Non poche le domande su chi possa essere ora il prossimo erede. Rumors affermano che possa essere il giovane italiano Gabriele Colangelo.

Ma in fondo il fashion system è anche questo : un ciclo continuo di cambiamenti tra dubbi e certezze. “Panta Rei” : tutto scorre, tutto muta, anche la moda. Soprattutto e inevitabilmente.

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TOP 50 SONGS OF 2013

Tratto da Deer Waves

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Gold Panda regala alla giovane artista britannica la base del suo pezzo You e quello che ne esce è un fantastisco pezzo col quale farci l’amore.

Chillwave, trap o post-dubstep? Gi-raffage è oltre: se volete conquistare una donna piazzate questo pezzo a volume alto in macchina. Poi tornate qua a raccontarci il seguito. Ipnotica.

Che bravo King Krule: 18 anni, debut album della madonna con questo pezzo punta di diamante nonché primo singolo dell’album. Easy Easy è bella bella e di facile ascolto, la sua voce è inconfondibile, ci sembra di rivivere i tardi anni ’80 o gli inizi dei ’90, in giro per i suburbs in skate con i nostri Levi’s strappati, un cappel-lino messo alla rovescia, e qualche dollaro di erba in tasca

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CHARLI XCX – YOU (HA HA HA) GIRAFFAGE – MONEY KING KRULE – EASY EASY

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“Forever meant nothing when we had nothing”. Feel Real è in queste parole, e anche nel synth e nella voce, tutto insieme per creare qualcosa di artificialmente poetico. Le braccia ideali nelle quali tuffarsi per cercare conforto. Punto importante è che piace un sacco anche alle tipe quindi è uno di quei pezzi giusti per rimor-chiare.

I Local Natives tornano e lo fanno con un pesante bagaglio di emozioni. La batteria (palesemente influenzata dal tour con i The National – l’Aaron Dessner dei quali è co-produttore di Hummingbird) e i battiti di mani di Heavy Feet regalano scintille, tuttavia ombreggiate dalle chitarre e dalle voci malinconiche. Un dolce-amaro che commuove

Se un pezzo tipo dei Crystal Fighters è l’ideale per scatenarsi in vacanza su una bella spiaggia con un drink di troppo in mano, Everywhere racconta il momento del ritorno alla vita, della nostalgia che non ti lascia più, di quel groppo in gola amaro. Tanti sa-luti, i Crystal Fighters non deludono.

DEPTFORD GOTH – FEEL REAL LOCAL NATIVES – HEAVY FEET CRYSTAL FIGTHERS LOVE NATURAL

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Sette minuti e mezzo di basilare electro-industrial, canzone simbolo del debutto omonimo del terzetto londinese. Ci riportano in quelle atmosfere oltre il tempo, oltre l’uo-mo, ad un livello dove la tecnologia è sovrana.

10 minuti di pura esperienza elettro-nica che si aprono con l’inconfon-dibile suono garage firmato William Bevan e una voce femminile ripetuta, ossessivamente. Al quinto minuto arriva la svolta e Burial non smette di sorprenderci con una ripresa mar-tellante, quasi industrial. Mai banale. D’altronde parliamo di Burial.

Alex Turner si dimostra come al so-lito un ottimo scrittore di testi pro-fondi e romantici, ma a questo giro c’è un pizzico di ironia tra le righe che rende questa ballata ancora più magica.

FACTORY FLOOR – FALL BACK BURIAL – RIVAL DEALER ARCTIC MONKEYS NO. 1 PARTY ANTHEM

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I dolcissimi 160 bpm di Phedera ti entrano in testa come un martello pneumatico dalla punta arrotondata. Per non parlare dei cori in falsetto e del pianforte: un viaggio nell’oscurità felice di Baths.

Non servono neanche troppe parole per descrivere la potenza di questa canzone: basta premere play e peda-lare, lasciarsi travolgere dalla voce incredibile di Hannah Reid, dal ritmo incalzante, dalla malinconia del signi-ficato. Una band e un pezzo potenti quanto La Cavalcata Delle Valchirie in Apocalypse Now.

Le tre sorelle californiane sfornano un pezzo da ballare, cantare e ama-re. The Wire è l’essenza delle Haim: ritornello catchy, ritmi incalzanti, leggeri synth 80s e le solite chitar-re old-school delle due more della band.

BATHS – PHAEDRA LONDON GRAMMAR WASTING MY YOUNG YEARS HAIM – THE WIRE

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Continua la storia dei Super Rich Kids: Frank Ocean e Earl Sweatshirt si ritrovano dopo un anno per parlare di tutto ciò che accade il giorno dopo essersi distrutti. Questa è la domeni-ca in OFWGKTA.

Obiettivamente qua più che per il pezzo, siamo rimasti colpiti dalla bionda del video. Musicalmente in UK ogni tanto si ricordano che gli anni ’90 erano belli e colorati. Si dondola spensierati su note e sono-rità stile Stone Roses. Random Ma-dchester Memories.

Una maledizione contro sè stessa è quella che lancia Sky Ferreira in que-sto brano. Quattro minuti di soft-pop in cui le liriche della bionda tutto-fa-re arrivano a toccare il profondo del cuore. Pezzo fantastico in un album più che discreto.

EARL SWEATSHIRT SUNDAY (FT. FRANK OCEAN) SWIM DEEP – HONEY SKY FERREIRA – I BLAME MYSELF

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I vocalizzi di Giacomino aprono il pezzo e ci si scioglie già tutti. Una delle voci inglesi più belle che per fortuna ha avuto gusto musicale offrendoci questa perla, invece che partecipare ad XFactor UK. Ottima scelta James.

Primo singolo estratto da Old, Kush Coma aveva preannunciato che le rime di Danny Brown avrebbero avu-to un ruolo importante nel panorama musicale di quest’anno. Hook elettro-nici, beat da club ed EDM formano, insieme al flow del ciuffo più pazzo di Detroit (qui coadiuvato da A$AP Rocky e Zelooperz) un pezzo hiphop imperdibile.

David Bowie torna dopo dieci anni di silenzio, e sceglie il giorno del suo sessantaseiesimo (66) complean-no per farlo. Where Are We Now? è una ballata sul tempo che trascorre inesorabile, le lancette girano spie-tate nell’esistenza di ogni uomo, ma quelle dell’orologio del Duca Bianco sembrano essersi fermate. Ben torna-to.

JAMES BLAKE – RETROGRADE DANNY BROWN – KUSH COMA DAVID BOWIE WHERE ARE WE NOW?

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Si apre con un “Do you like rock’n’roll music? ‘Cause I don’t know if I do”, come se fosse l’inizio di un concerto dei Reflektors, mo-niker degli Arcade Fire stessi. No-nostante la frase iniziale e l’apporto evidente alla produzione di James Murphy, i canadesi rimangono fedeli a loro stessi e il ritornello travolgente ne è la conferma. Il tutto si chiude con il ringraziamento a un pubblico fittizio, ma siamo noi a ringraziar loro.

Le diatribe su RAM non sono ancora finite ma s’è tutti d’accordo che ,oltre alla ormai onnipresente Get Lucky, questa traccia sia una delle vette dell’album. Tutto grazie al nonno della dance music che è italiano ed è ancora un bomber. My Name is Gio-vanni Giorgio but Everybody Calls Me Giorgio.

Sorella maggiore di Shadow I, Sha-dow II è senza dubbio la miglior canzone italiana dell’anno. I suoi intrecci di chitarre riverberate rimar-ranno impressi nella testa e nel cuore di ognuno di noi per molto, molto tempo.

ARCADE FIRE – NORMAL PERSON DAFT PUNK – GIORGIO BY MO-RODER (FT. GIORGIO MORODER)

BROTHERS IN LAW SHADOW II (LEAVE ME)

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Stupendo brano pop-smooth del cantautore multi-identità che tanto ci piace. Posto in apertura del suo ultimo disco, il brano riassume in 4 minuti e mezzo tutto ciò che si andrà ad ascoltare nell’album. Bomba.

Dalle fredde terre scandinave torna uno dei duo più sperimentali in cir-colazione. Full Of Fire è un viaggio allucinato di 9 minuti tra beat osses-sivi, voci inquietanti che un po’ di paura la mettono. Immaginatevi persi in qualche foresta con una musica del genere. Cagati sotto?

Pezzo incredibile, non c’è altra de-finizione. Cantato e chitarra catchy, riff blues che sferzano atmosfere rarefatte e percussioni incalzanti; in un’alternanza di adagio e crescendo studiata nei minimi particolari ogni elemento trova spazio al momento opportuno.

BLOOD ORANGE – CHAMAKAY THE KNIFE – FULL OF FIRE DARKSIDE – PAPER TRAILS

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Oscurità, synth retrò e un pò di nazismo. Per questo sono su Sacred Bones e nella nostra classifica.

Le atmosfere vaporwave di questa canzone ci fanno balenare in una porta tra mondi paralleli. Da una par-te il sogno e dall’altra la realtà. Cosa farete voi, resterete con i piedi per terra o volerete con Daniel?

Gli Holograms quest’anno son riu-sciti a creare un album omogoneo, di maggior valore rispetto al primo. Atmosfere tese e cupe, il synth come sempre essenziale, ma mai banale.

LUST FOR YOUTHBREAKING SILENCE

ONEOHTRIX POINT NEVER CHROME COUNTRY HOLOGRAMS – ÄTTESTUPA

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Forse la cosa più simile a quello a cui ci avevano abituato i vecchi TNPS: la traccia è guidata essenzialmente da pianoforte e batteria con la sommes-sa voce di mister Barnett a mormora-re un enigmatico testo che introduce il narratore della storia di Fields of Reeds.

Un giro di basso grezzissimo, una chitarra presa in prestito dai Refused di New Noise e la voce dominante di Jehnny Beth sono le chiavi vincenti per il pezzo post-punk dell’anno.

l synth-pop degli ultimi anni rac-chiuso in un unico pezzo. Tether è un esplosione di luci al neon preceduti da un profondo crescendo di chitarra che dire riverberata è riduttivo. Su-perlativa Lauren al microfono.

THESE NEW PURITANS FRAGMENT TWO SAVAGES – SHE WILL CHVRCHES – TETHER

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Passano 20 anni. In m b v ripartono i riverberi di shields e quella voce eterea di Blinda. La magia riparte ma il tempo si è fermato al 1991. A noi e agli amici shoegazer va benissimo così.

In Byegone i brividi crescono di pari passo con il climax, per poi esplodere in un liberatorio “Set Sail” accom-pagnato da un tripudio strumentale. Un’ondata di emozioni, quelle che solo Justin Vernon sa regalare.

Le note del piano sono delle martel-late al cuore e alla testa. Come i “No, my love”. Emoziona come e se non più di Perfume Genius. E’ la canzone da ripetersi dentro prima di andare a dormire.

MY BLOODY VALENTINE ONLY TOMORROW VOLCANO CHOIR – BYEGONE MAJICAL CLOUDZ

BUGS DON’T BUZZ

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I Disclosure quest’anno sono arri-vati al “grande pubblico” e non c’è che dire con loro si balla eccome. In White Noise prendono in prestito Michelle Obama – scusate – Aluna dagli AlunaGeorge.

Non saranno più i Foals di qualche anno fa, ma l’emotività che riempe le melodie e le liriche di Bad Habit è quasi toccante. Lunghissima vita ai riff in palm-mute di Yannis e Jimmy.

Canticchiata e fischiettata dal mondo intero, Royals è uno dei più grandi tormentoni dell’anno ed è impossi-bile non riuscire ad innamorarsi del ritornello. Let me live that fantasy

DISCLOSURE – WHITE NOISE (FT. ALUNA GEORGE) FOALS – BAD HABIT LORDE – ROYALS

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Il panda con la scoppa, è tornato an-che lui quest’anno, l’abbiamo avuto ospite e la sua Brazil trasmette la saudade 2.0 verso l’elettronica buona. Magari la prossima estate al Carneva-le di Rio ci sarà Gold Panda sul carro.

Dopo i Disclosure però eccovi il vero e unico club anthem del 2013. un pezzo che cresce dentro e sale piano (come qualcos’altro eheheh) fino al cantato che unisce tutti in pista.

Quando Sacha aka Apparat e i Mo-deselektor s’incontrano sono sempre cazzi. Bad Kingdom con i bassoni sporchi dei tedeschi danno la giusta base alla voce, ormai una garanzia di successo per qualsiasi pezzo (sentitevi il featuring per DJ Koze).

GOLD PANDA – BRAZIL MOUNT KIMBIE – MADE TO STRAY MODERAT – BAD KINGDOM

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Hey Joe, sorry I hurt you but they say love is a virtue, don’t they? Basta scrivervi questo no? Lacrime e ab-braccioni. Chi non l’ha cantata si fa leccare i Cd da Laura Pausini.

Kanye e la società moderna. Si risco-pre grande sociologo e attento osser-vatore del mondo. Ma dopo tutto il pezzo gasa. Con il basso iniziale che vi fa agitare i pugnetti a tempo.

È un mantra visto il continuo ripe-tersi delle strofe. Così entra subito in testa. Poi vogliamo dimenticare che ormai gli IS Tropical avranno la cit-tadinanza italiana grazie al ministro Kyenge per la costante presenza nella penisola? We Bros cit.

THE NATIONAL – SEA OF LOVE KANYE WEST NEW SLAVES (FT. FRANK OCEAN)

IS TROPICAL DANCING ANYMORE

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I Fuck Buttons sono andati in soffitta e hanno rispolverato i tappetti sonori che portano allo stordimento col sor-riso sulle labbra. Trip fortissimo.

Come diceva un vecchio saggio, quando Drake smette di rappare e resta tra r&b e pop soul, diventa il re. Hold On, We’re Going Home è un pezzo di un’eleganza unica, di produ-zione eccellente, e di un soul anni ’80 dall’atmosfera speciale: in poche pa-role, uno dei pezzi più belli dell’anno.

Kanye West e Justin Vernon. Si rein-contrano dopo le due collaborazioni in MBDTF. La coppia funziona. Le due anime così diverse come prove-nienze musicali si adattano perfet-tamente e creano uno dei pezzi da metter su in auto di notte, carichi a fine serata.

FUCK BUTTONS – BRAINFREEZE DRAKE HOLD ON, WE’RE GOING HOME KANYE WEST – HOLD MY LIQUOR

VUOI CONOSCERE LE 5 TRACCE MIGLIORI DEL 2013?

GUARDA IL RESTO DELLA CLASSIFICA SU DEER WAVES

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