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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVAFACOLTA’ DI PSICOLOGIA
Laurea Specialistica in Psicologia Clinica
ASPETTI TEORICI E APPLICAZIONI CLINICHE DEL MODELLO MENTE-CORPO IN PSICOLOGIA
Theoretical aspects and clinical applications of the mind-body model in psychology
RELATOREProf. Gioacchino Pagliaro
LAUREANDACristina MoriMatricola: 584834
ANNO ACCADEMICO 2009-2010
INDICE
PREMESSA
INTRODUZIONE. Il modello occidentale di salute: dal dualismo mente-corpo al
paradigma olistico
I. IL PARADIGMA OLISTICO E IL MODELLO MENTE-CORPO
1.1. Prove scientifiche dell'unità mente-corpo
1.2. Psiconeuroendocrinoimmunologia: un esempio di olismo scientifico
occidentale
1.3. Mind & Life Institute: il dialogo tra scienza occidentale e filosofie orientali
II. LE DISCIPLINE NON CONVENZIONALI DI CURA E DI TUTELA DELLA
SALUTE
2.1. Definizione delle Medicine Complementari e Alternative
2.2. Utilizzo delle Medicine Complementari e Alternative
2.3. Medicine non convenzionali e salute mentale
III. ELEMENTI PER UN APPROCCIO OLISTICO ALLA SALUTE
3.1. Le emozioni
3.2. La consapevolezza
3.3. La spiritualità
IV. LA MEDITAZIONE
4.1. Cos'è la meditazione?
4.2. Classificazione delle tecniche di meditazione
4.3. Gli effetti terapeutici della meditazione
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4.4. Applicazioni della meditazione in psicologia clinica
V. MINDFULNESS, LA CONSAPEVOLEZZA COME TERAPIA
5.1. L'importanza della pratica della consapevolezza
5.2. Il programma di riduzione dello stress
5.3. MBSR: principali risultati e ricerche
5.4. Sviluppi terapeutici della Mindfulness
CONCLUSIONE
BIBLIOGRAFIA
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113
3
PREMESSA
Sono diversi i motivi che mi hanno portato a scegliere il tema della tesi di
laurea. Fino a un paio d'anni fa non avevo mai sentito parlare di psicologia
olistica né di modello mente-corpo; l’inizio della mia ricerca potrebbe forse
corrispondere a un viaggio in Brasile, l'estate della laurea triennale. Lì, il clima
di grande disponibilità, umanità e autenticità, l'estrema varietà e mescolanza di
etnie, culture e religioni e la naturale apertura, senza pregiudizi né paure, verso
il nuovo e il diverso, mi hanno spinto ad intraprendere una profonda ricerca
personale, che ha avuto le sue conseguenze anche nell'ambito degli studi.
Durante questo viaggio ho potuto intuire che la psicologia che conoscevo non
era l'unica esistente; così, tornata in Italia, ho iniziato a documentarmi su temi
come “psicologia trans-personale”, “psicologia energetica”, “meditazione”,
scoprendo che era possibile approfondirli anche in ambito accademico,
all'interno dei miei studi.
Ho scelto di dedicare il tempo della tesi per approfondire questi argomenti
perché la proposta della psicologia olistica mi interessa e mi emoziona; perché
penso che l'apporto delle cosiddette “discipline non convenzionali” possa
essere un valido aiuto nei processi di guarigione e di mantenimento del
benessere; perché credo davvero che le persone siano sempre più alla ricerca
di un approccio globale alla salute, un approccio che consideri l'essere umano
nella sua interezza, nella sua complessità, nella sua unità di mente-corpo-
spirito.
La mia ricerca è di carattere bibliografico: è il frutto di circa sei mesi passati a
leggere libri, ad analizzare articoli, a cercare una “rotta” e un filo conduttore in
questo mondo, per me nuovo e stimolante. Obiettivo della tesi è quello di fornire
al lettore un riferimento teorico del paradigma olistico in psicologia, un quadro
generale delle diverse discipline non convenzionali e qualche esempio specifico
della loro applicazione in psicologia clinica. Nell'introduzione illustro brevemente
il cambiamento del concetto di salute nel corso dei secoli e spiego come, a
partire dai limiti del dualismo cartesiano, si sia affermato il modello mente-corpo
e quali sono le caratteristiche e le novità del paradigma olistico rispetto al
4
modello biomedico tradizionale. Nel primo capitolo mi soffermo sul paradigma
olistico, mostrando come il modello mente-corpo ad esso soggiacente sia
sostenuto da recenti acquisizioni e scoperte provenienti da varie discipline
scientifiche (neuroscienze, psicofarmacologia, fisica quantistica, psicologia);
inoltre, accenno alla Psiconeuroendocrinoimmunologia, in quanto approccio
occidentale olistico alla salute, e presento i dialoghi Mind&Life come esempio di
incontro proficuo tra scienza occidentale e filosofie orientali. Il secondo capitolo
rappresenta una mappa grazie alla quale è possibile orientarsi all'interno del
vasto mondo delle “Medicine complementari e alternative”, di cui fornisco
definizioni e classificazioni, oltre che dati e statistiche riguardanti il loro utilizzo,
anche nello specifico ambito della salute mentale. Il terzo capitolo esplora tre
temi che, all'interno del paradigma olistico, si sono rivelati di primaria
importanza nel dibattito sulla salute: le emozioni, la consapevolezza e la
spiritualità. Le discipline non convenzionali, diversamente dalla maggior parte
delle terapie tradizionali, considerano questi tre aspetti come componenti
essenziali per l'integrazione e il benessere psico-fisico e propongono specifici
metodi per svilupparli. Uno di questi metodi, forse il più utilizzato e
scientificamente analizzato, è la meditazione, tema del quarto capitolo. In
questo capitolo fornisco alcune definizioni teoriche di meditazione e alcuni
esempi di classificazione delle tecniche di meditazione, soffermandomi anche
su un interessante studio riguardante i correlati neurali di due generi di
meditazione. Inoltre, descrivo i principali effetti terapeutici, a breve e a lungo
termine, scientificamente dimostrati per la meditazione e illustro le sue principali
applicazioni nel trattamento dei disturbi mentali. Nel quinto e ultimo capitolo ho
voluto concentrarmi su un particolare tipo di pratica meditativa, per analizzarla
da un punto di vista teorico, metodologico e applicativo e dare così alla mia tesi
un risvolto più pratico e concreto. Ho scelto le pratiche meditative “mindfulness-
based”, basate cioè sulla meditazione di tipo mindfulness, principalmente per
due motivi: primo, perché la Mindfulness è stata appositamente pensata per
rispondere alle esigenze degli occidentali ed è proficuamente applicabile al di
fuori del contesto buddista da cui prende spunto; secondo, perché, analizzando
la letteratura scientifica, ho trovato che la maggioranza degli studi
5
sull'applicazione della meditazione ai disturbi mentali riguarda proprio questo
tipo di pratiche. Concludo riportando i risultati di alcuni studi che hanno indagato
l'efficacia clinica dei due più conosciuti programmi terapeutici basati sulla
mindfulness: il “Mindfulness-based stress reduction program” e la “Mindfulness-
based cognitive therapy”.
6
Introduzione
IL MODELLO OCCIDENTALE DI SALUTE: DAL DUALISMO MENTE-CORPO AL PARADIGMA OLISTICO
Secondo l'ormai celebre definizione proposta dall'Organizzazione Mondiale
della Sanità la salute è «uno stato di completo benessere fisico, mentale e
sociale e non solamente assenza di malattia o infermità» (Zani e Cicognani
2000, p. 23). Questa definizione, universalmente condivisa, fornisce un nuovo
concetto di salute, interpretandola in senso positivo ed estendendone
l'applicabilità oltre che ai campi della cura e della prevenzione, anche a quello
del benessere.
In realtà, volgendo lo sguardo alla storia della medicina occidentale, ci si rende
facilmente conto di come questo concetto di salute emergente non sia davvero
una novità. L'antica tradizione dell'arte della cura affonda le sue radici in tempi
pre-ellenici; allora, e fino all'avvento della cultura classica, la medicina era una
disciplina fondata sulle scienze della natura e si occupava della prevenzione
delle malattie, oltre che della loro diagnosi e terapia. Secondo la tradizione
ippocratica, emersa intorno al 400 a.C. e considerata precorritrice della
medicina occidentale moderna, la salute richiedeva un equilibrio tra le influenze
ambientali, gli stili di vita e le varie componenti della natura umana; la nozione
di interrelazione tra corpo, mente e ambiente rivestiva un ruolo fondamentale.
All'interno di questa visione olistica non esisteva una scissione tra naturale e
sociale, tra terra e cielo, tra unità e molteplicità, tra oggettività e soggettività, tra
anima e corpo; tutti questi elementi erano considerati come parte di un'unità.
É solo con il pensiero logico e la rappresentazione del corpo inteso come entità
anatomica separata che viene introdotta la logica disgiuntiva. Con essa si
giunge alla frattura dell'unità mente/corpo, ben evidenziata dalla filosofia di
7
Platone; questa infatti introduce la posizione dualista centrandosi sulla
distinzione tra anima, innalzata a vera essenza dell'uomo, e corpo, degradato a
puro strumento delle finalità dell'anima. Tale posizione, ulteriormente marcata
dalla tradizione giudaico-cristiana, raggiunge il suo apice con il dualismo
psicofisico di Cartesio che, distinguendo tra res cogitans e res extensa,
estremizza la separazione tra mente e corpo. Il paradigma cartesiano, nato in
coerenza con le logiche meccanicistiche e quantitative con le quali la scienza
interpreta la natura e il mondo, ha influenzato la cultura e le scienze occidentali,
specificandone l'oggetto d'indagine secondo la distinzione mente/corpo: il corpo
costituisce l'oggetto di studio delle scienze mediche e la mente quello della
psicologia. Così se, da una parte, il dualismo cartesiano ha posto le premesse
per la nascita della scienza esatta, fornendo peraltro il permesso implicito di
dissezionare, esaminare e invadere il corpo umano senza paura di danneggiare
l'anima (Achterberg 1985), d'altro canto la maggior parte della biologia, della
medicina e della psicologia occidentale ha aderito a una visione meccanicista
della vita, riducendo il funzionamento degli organismi viventi a meccanismi
cellulari e molecolari ben definiti, a discapito delle letture ecosistemiche ed
olistiche (Pagliaro e Martino 2003) .
Si può quindi ben comprendere come il modello biomedico tradizionale, ancora
dominante in medicina e psicologia, abbia abbandonato l'antica visione olistica
della salute a favore del riduzionismo e del dualismo mente-corpo (Zani e
Cicognani 2000). Proprio per questo tale modello presenta anche grossi limiti e
contraddizioni. Viviamo infatti in un'epoca ipertecnologica e iperspecialistica,
nella quale convivono forme grandiose di intervento sul vivente e sull'uomo
assieme ad un diffuso analfabetismo riguardo agli aspetti di fondo della
regolazione del benessere psicofisico e della salute umana (Pagliaro 2004).
Spesso, di fronte a malattie debilitanti, ci si rende di colpo conto che l'odierna
medicina tecnologica, per quanto stupefacente, ha limitazioni grossolane, che le
cure davvero integrali sono una rarità e che le terapie spesso offrono solo
un'azione di retroguardia volta a mantenere lo status quo (Kabat-Zinn 2005). Si
assiste a una diffusa insoddisfazione per l'incapacità, da parte della medicina
tradizionale, di considerare l'individuo umano nella sua interezza (Damasio
8
1994). In questo quadro infatti, la persona che chiede aiuto sparisce come unità
biopsichica e viene sostituita da segmenti sovrapposti e non relazionati a cui si
applicano le specifiche competenze (Pagliaro 2004).
Parallelamente al modello biomedico tradizionale e a partire dai suoi limiti, negli
ultimi quarant'anni è avvenuto un cambiamento strutturale nei paradigmi della
conoscenza che sta investendo i modelli teorici di tutte le discipline scientifiche
(Pagliaro 2004). In particolare, grazie a ricerche e pratiche cliniche sempre più
numerose, la medicina ha potuto riscoprire «che il misterioso equilibrio
dinamico che chiamiamo “salute” coinvolge sia il corpo sia la mente [...] e può
essere migliorato con specifiche qualità di attenzione che offrano sostegno,
ristoro, guarigione» (Kabat-Zinn 2005, p. 13). Si è scoperto anche che tutti noi
abbiamo, nel profondo, una capacità di pace e benessere interiore e un'innata
intelligenza corporea, emotiva e spirituale. Nell'ambito della psicologia e della
psicoterapia si è assistito a un progressivo ampliamento del campo di studio
della mente, del comportamento e dei disturbi psicologici da un livello
strettamente biopsichico ad altri di tipo relazionale, cognitivo-interattivo e
olistico, i quali studiano l'individuo contestualizzandolo nelle interazioni
famigliari, sociali, ambientali, energetiche e spirituali. Inoltre, altre discipline
come la fisica quantistica e l'epistemologia hanno posto con forza la questione
della non oggettività della realtà, della non separatezza dell'osservatore dal
sistema osservato, così come dello studioso dall'oggetto di studio e hanno
evidenziato i limiti del causalismo lineare e del determinismo psichico,
caratteristici delle scienze occidentali.
Si delinea così un nuovo approccio olistico, che abbraccia e amplia la
definizione di salute proposta dall'OMS e sopra riportata. L'olismo non è una
concezione scientifica alternativa alla medicina o alla psicologia ufficiali: è l'idea,
ormai accettata da larghi settori scientifici, secondo cui l'organismo biologico,
come quello sociale, è qualcosa di più della semplice somma delle sue parti o di
un insieme di individui. É un approccio alla salute basato sull'interazione e
l'interdipendenza tra i sistemi viventi, sul concetto di unità mente-corpo e sulla
dimensione energetica universale.
9
Anche se al momento attuale olismo e riduzionismo sono compresenti sulla
scena, quello a cui stiamo assistendo è un vero e proprio cambiamento di
paradigma, che necessita di essere chiarito e sintetizzato nelle sue
caratteristiche principali.
Il modello biomedico tradizionale, fondato sul paradigma mecanomorfico, vede
l'UOMO come un semplice insieme di organi, un essere socialmente e
psichicamente determinato, un individuo passivo di fronte alla vita e alla
malattia. Il nuovo modello di “olismo scientifico” considera invece l'uomo come
un'unità di mente-corpo-spirito, un sistema energetico in relazione di
interdipendenza con la Totalità. Se il riduzionismo scientifico intende la SALUTE
come assenza di malattia, la visione olistica e interazionista degli organismi
viventi pone le basi per un nuovo approccio alla salute e alla cura: la salute è un
fenomeno multidimensionale implicante aspetti fisici, psicologici e sociali
interdipendenti. Il rapporto tra malattia e salute può essere rappresentato come
un equilibrio dinamico, in cui la MALATTIA non è aprioristicamente un male ma una
situazione transitoria che può favorire il benessere. Così anche il concetto di
CURA, che nel modello biomedico tradizionale è intesa come l'azione degli
specialisti su un organismo passivo, si modifica e si amplia. Il nuovo modello
olistico, infatti, considera la cura come un processo di interazione continua tra il
terapeuta e il paziente finalizzato a ricreare l'equilibrio all'interno del
microsistema energetico individuale e tra quest'ultimo e il macrosistema
energetico universale. L'organismo umano è un “universo” in sé e possiede
un'intrinseca capacità di autoregolarsi globalmente e di mantenere l'equilibrio,
l'ordine interno e la salute. Infine, cosa non meno importante, cambia il concetto
di MENTE. La mente non è una cosa, una realtà, il prodotto del cervello, bensì un
processo interattivo che si estende tra le persone e oltre loro, attraverso le
dimensioni individuali, sociali, energetiche e spirituali. La mente può essere
descritta come un processo circolare di interazione tra l'individuo e l'universo,
strettamente regolata dalla natura fisica e dall'esperienza corporea, con
10
importanti potenzialità per il benessere e la salute della persona (Pagliaro e
Salvini 2007).
«La rete di interconnessioni va al di là della nostra psiche individuale. Pur
essendo ciascuno di noi, individualmente, una totalità, apparteniamo anche a
una totalità più ampia, siamo collegati attraverso la nostra famiglia, gli amici, le
persone che incontriamo, alla società, all'umanità nel suo insieme e, in senso
ultimo, alla totalità della vita sul pianeta » (Kabat-Zinn 2004, p. 120).
Concludo questa introduzione invitando a riflettere sul fatto che la parola
inglese health (salute) è etimologicamente legata a whole (intero) (Kabat-Zinn
2004). Anche queste prove semantiche avvalorano la visione olistica della
salute e costituiscono un auspicio affinché il cambiamento di paradigma
divenga presto evidente non solo nella teoria ma anche nella pratica clinica
medica e psicologica.
11
IL PARADIGMA OLISTICO E IL MODELLO MENTE-CORPO
1.1. Prove scientifiche dell'unità mente-corpo
Il cambiamento di paradigma non si sta verificando solo in medicina o in
psicologia ma sta investendo i modelli teorici di tutte le discipline scientifiche.
Questo perché da ogni ramo della scienza arrivano nuovi risultati, acquisizioni e
scoperte che vanno a confermare i punti cardine del pensiero olistico. «La
scienza sta oggi introducendo modelli più sottili e globali, capaci di rispecchiare
la nostra attuale comprensione dell'interconnessione di spazio e tempo, materia
ed energia, mente e corpo, e perfino cosmo e coscienza» (Kabat-Zinn 2004, p.
117). Non è più possibile ignorare questi nuovi sviluppi scientifici.
Di seguito presenterò alcune di queste recenti scoperte suddivise per discipline,
mostrando così come esistano delle prove scientifiche significative a sostegno
del modello mente-corpo.
1.1.1. Neuroscienze
Nell'ambito delle neuroscienze stiamo assistendo, da diversi anni, a una forte
critica alla visione cognitivista classica della mente vista come programma-
software di un computer. Secondo questa idea di mente computazionale,
l'attività mentale segue schemi innati e universali; il corpo-l'hardware non conta
nulla. Tale visione cognitivista è coerente con il dualismo cartesiano tra mente e
corpo, esemplificato dalla celebre frase «Cogito, ergo sum»: secondo Cartesio
l'attività mentale è la vera essenza dell'essere umano e non ha bisogno di un
corpo.
Interessante a riguardo è la posizione del neurologo A. Damasio che, criticando
la mente computazionale, arriva a parlare di “mente incorporata”. Damasio
sostiene che Cartesio e, di conseguenza, tutta la scienza occidentale, hanno
12
commesso un errore grossolano a considerare il corpo come secondario
rispetto alla mente, come prodotto di quest'ultima. La mente invece scaturisce
dall'attività di specifici circuiti neurali, a partire da un certo livello di complessità
cerebrale. Considerando poi che esistono importanti interconnessioni tra corpo
e cervello tramite vie neurali (nervi periferici sensitivi e motori) e biochimiche
(flusso sanguigno), diventa impossibile continuare a sostenere la separazione
tra mente e corpo. La mente è “incorporata”, cioè “radicata nel corpo”. Si può
parlare di unità mente-corpo-cervello. L'attività mentale è fortemente
condizionata dall'assetto dell'organismo nel suo insieme e, allo stesso tempo, è
anche in grado di cambiare retroattivamente la configurazione cerebrale, come
dimostrato da recenti studi sulla plasticità cerebrale.
Dunque, invece che «Penso, quindi sono» sarebbe molto più opportuno
affermare che «Sono, quindi penso».
Secondo quest'ottica, la mente si è sviluppata per servire e tutelare la
sopravvivenza del corpo e dell'intero organismo, attraverso la rappresentazione
del mondo esterno in termini di modificazioni che esso provoca nel corpo
stesso. La mente quindi è un complesso meccanismo adattivo di
autoregolazione, che migliora la qualità di vita dell'organismo, influenzandone il
comportamento (Damasio 1994).
1.1.2. Psicofarmacologia
Per quanto riguarda la psicofarmacologia, esemplare è il lavoro di Candace B.
Pert (Pert 1997; Pert 2006). Questa scienziata americana negli anni '70 ha
scoperto i recettori degli oppiacei e, successivamente, gli oppiacei endogeni
stessi, o endorfine (l'endorfina è la nostra “morfina naturale”, un tipo di peptide).
Ulteriori ricerche hanno dimostrato che le endorfine e i loro recettori sono
presenti in tutto il cervello e in tutto il corpo: infatti, oltre ad essere stati trovati
nella corteccia cerebrale, nell'ipotalamo e nel sistema limbico (soprattutto
nell'amigdala), essi sono presenti anche in altri “punti nodali”, in cui arrivano le
13
informazioni sensoriali provenienti dalle zone periferiche dell'organismo. Il dato
forse più interessante riguarda la scoperta che anche il sistema immunitario, e
in particolare i monociti umani, possiedono recettori di peptidi e producono a
loro volta peptidi. Perciò si può parlare di una stretta interconnessione e
interrelazione tra il sistema nervoso, il sistema endocrino e il sistema
immunitario i quali, attraverso i peptidi, vengono uniti tra loro in una rete di
comunicazione multidimensionale: la rete psicosomatica, un sistema integrato
di informazioni che scorre lungo tutto l'organismo.
Coerentemente con questa teoria rivoluzionaria, l'intelligenza dell'organismo
non è situata solo nel cervello, ma in ogni cellula del corpo. Secondo Pert tutto il
corpo “pensa”, ogni cellula ”sente”. Così diventa possibile confermare il
concetto di mente diffusa, cioè dell'esistenza della mente in tutto il corpo. Infatti
«la mente così come noi la sperimentiamo è immateriale, eppure ha un
substrato fisico, che si identifica tanto con il corpo quanto con il cervello» (Pert
1997, p. 221). Inoltre, «la mente non domina il corpo, ma diventa corpo, in
quanto corpo e mente sono una cosa sola [...]. Il corpo è la manifestazione
esteriore della mente nello spazio fisico» (Ibidem, p. 224). All'interno della rete
psicosomatica dell'organismo, la mente è «il flusso di informazioni che scorre
attraverso le cellule, gli organi e gli apparati del corpo» (Ibidem, p. 221). La
mente così intesa può influenzare il corpo e svolgere un ruolo determinante
nella tutela della salute e nella cura della malattia.
In questa teoria un ruolo fondamentale lo svolgono le emozioni, in quanto
rappresentano il ponte tra corpo e mente. Infatti, esse «nascono nel punto di
congiunzione fra materia e mente, passando dall'una all'altra in tutt'e due i
sensi e influenzandole entrambe» (Ibidem, p. 226). Secondo Pert le emozioni
hanno un substrato fisico, costituito dai peptidi e dai loro recettori, i quali
vengono appunto chiamati molecole delle emozioni. Così le emozioni possono
essere viste sia come materia (sotto forma di sostanze chimiche) sia come
entità non materiali, o energia (le sensazioni che sperimentiamo e definiamo
“emozioni”). Dobbiamo considerare le emozioni «segnali cellulari coinvolti nel
processo di traduzione delle informazioni in realtà fisica, che trasforma
letteralmente la mente in materia» (Ibidem, p. 226).
14
Utili al mio scopo di individuare prove scientifiche a sostegno del modello
mente-corpo sono anche alcune ricerche riportate da Pert nel suo secondo libro
(Pert 2006, p.45-49). La prima ricerca riguarda il lavoro della Dr.ssa Eva Mezey
al National Institute of Health. Questa scienziata negli anni '80 ha scoperto che
le cellule staminali del midollo osseo possono migrare nel cervello e diventare
neuroni. Tale migrazione, che avviene con un processo conosciuto come
chemiotassi, è diretta dalle molecole delle emozioni. Questa scoperta
rivoluzionaria, oltre a dimostrare inequivocabilmente che mente e corpo sono la
stessa cosa, porta a due conclusioni principali: la prima, che la crescita delle
cellule staminali non si ferma mai; la seconda, importantissima, che ognuno di
noi può continuare a imparare, a cambiare e a crescere perché ogni giorno il
nostro cervello si rinnova. Il secondo studio riportato è quello di Eric R. Kandel,
un neurobiologo della Columbia University che nel 2000 ha ricevuto il Premio
Nobel per la medicina grazie alla scoperta che la memoria è immagazzinata
non solo nell'ippocampo ma anche nei recettori di tutto il corpo. Questa è
un'altra dimostrazione che la rete psicosomatica si estende lungo tutti i sistemi
dell'organismo. Anche in questo caso le molecole delle emozioni svolgono un
ruolo fondamentale, perché decidono se le informazioni immagazzinate
diverranno coscienti o meno. Il terzo studio riguarda il lavoro svolto dallo
psicologo Donald Overton, il quale ha studiato il fenomeno noto come stati
dissociati d'apprendimento o memoria dipendente dallo stato (vedi anche Pert
1997). Overton ha scoperto che un'informazione appresa sotto l'influsso di una
droga, e quindi in uno stato alterato di coscienza, non può essere richiamata
alla memoria se non quando ci si ritrova nello stesso stato. Negli uomini, questo
vale anche per le emozioni: infatti «l'emozione è l'equivalente della droga, in
quanto entrambi sono leganti che si fissano sui recettori dell'organismo. La
conseguenza, a livello di esperienza quotidiana, è che le esperienze positive
sul piano emozionale si ricordano meglio quando siamo di ottimo umore,
mentre le esperienze emozionali negative si ricordano con maggiore facilità
quando siamo già di cattivo umore» (Pert 1997, p. 170). L'importanza di questa
scoperta risiede nella dimostrazione che noi acquisiamo conoscenza con
l'intero sistema mente-corpo e non solo con il cervello. Inoltre, risulta chiaro che
15
l'apprendimento è un evento emozionale, dipendente da come ci si sente.
1.1.3. Fisica quantistica
Il nuovo paradigma olistico e i concetti emergenti di unità mente-corpo, di
materia ed energia, di realtà e universo, non rientrano più nelle concezioni della
fisica classica ma sono basati sui presupposti della fisica quantistica. Di
particolare rilievo per la comprensione del paradigma olistico sono la teoria
olografica e lo studio delle particelle subatomiche. Ne accennerò utilizzando
come testo di riferimento “Mente, meditazione e benessere” di G. Pagliaro.
Per quanto riguarda la teoria olografica, i primi lavori risalgono al Premio Nobel
D. Gabor nel 1947. L'applicazione della teoria olografica alla spiegazione della
realtà spetta invece a due importanti scienziati: David Bohm, uno dei più
prestigiosi fisici quantistici del mondo, e Karl Pribram, un neurofisiologo e
neuropsicologo di fama mondiale.
Volendo spiegare brevemente in cosa consiste un ologramma, va innanzitutto
chiarito che esso è prodotto in laboratorio per mezzo di uno schema
d'interferenza. Per creare gli schemi d'interferenza si utilizza una luce laser.
Attraverso un procedimento molto particolare, la luce laser viene divisa in due
raggi: il primo è diretto verso l'oggetto da fotografare e viene fatto rimbalzare
contro di esso, il secondo va ad incontrare la luce riflessa del primo. Da questo
incontro si forma uno schema d'interferenza che viene poi fissato su una
pellicola. A questo punto l'oggetto fotografato non è più visibile nel modo
consueto, al suo posto c'è qualcosa di indefinito, delle increspature
concentriche, un insieme di onde. I due eventi più affascinanti e rilevanti
accadono quando un terzo raggio laser viene proiettato attraverso la pellicola:
la prima osservazione è che l'immagine tridimensionale dell'oggetto ricompare;
la seconda consiste nel fatto che è sufficiente che una piccola porzione di
pellicola olografica sia attraversata dal raggio per far ricomparire tutta
l'immagine.
16
Queste scoperte, applicate alla comprensione della realtà, confermano che la
materia non è oggettiva e non è localizzabile ma esistono vari livelli di realtà da
cui la materia prende forma. Inoltre, diventa possibile sostenere che tutta
l'informazione relativa all'oggetto è contenuta in ogni sua parte. Secondo il
modello olografico, tutto ciò che vediamo è solo una rappresentazione, o
“illusione”. Questa “illusione”, la realtà, è un flusso continuo di schemi
d'interferenza, che acquista forma e contenuto grazie all'azione dei nostri organi
di senso e tramite le osservazioni e le misurazioni. (Più avanti, nel paragrafo
“Psicologia”, riprenderò l'applicazione del modello olografico al funzionamento
del cervello). Il modello olografico può essere applicato sia all'uomo, in quanto
microsistema, sia all'universo intero, in quanto macrosistema. Bohm ipotizzò
infatti che anche le informazioni dell'universo potessero essere contenute in
ciascuna delle sue parti, giungendo così alla conclusione che l'universo fosse
strutturato come un ologramma. «In ultima analisi, l'intero universo [...] deve
essere compreso come una singola totalità indivisa, in cui l'analisi in parti
esistenti in modo separato e indipendente non ha una fondamentale ragion
d'essere» (Bohm 1980, p. 175).
Come ho accennato, anche lo studio delle particelle subatomiche si rivelò molto
utile nell'elaborazione di una nuova teoria per la comprensione della realtà. Per
i fisici quantistici le particelle subatomiche possono apparire sia come solide sia
come flussi di energia; l'entità con questa duplice capacità prende il nome di
quantum. Bohm, applicando la scoperta della duplice natura delle particelle
subatomiche ai concetti più ampi di coscienza e realtà, sostiene che esse non
sono solo interagenti ma parte di un unico processo, esso stesso parte di un più
vasto ordine non visibile. Lo studioso sostiene che esistono due ordini di realtà:
l'ordine esplicito, corrispondente alla realtà che percepiamo attraverso i sensi e
che condividiamo socialmente nella vita quotidiana, e l'ordine implicito, che
rappresenta la dimensione più sottile dell'esistenza, non visibile ordinariamente
perché si è disimparato a percepirlo. Tutto l'universo sarebbe creato da un
continuo interscambio tra i due ordini di realtà; è quindi opportuno pensare
all'universo come a un'immagine processuale e dinamica, un olomovimento.
Questa nuova visione della realtà, immaginata con una duplice natura, si
17
applica anche alla definizione di essere umano: esso non è più visto come
un'entità indipendente, padrone della natura ma come manifestazione
processuale di una totalità di cui è parte inseparabile e nella quale tuttavia
mantiene qualità e caratteristiche specifiche. In particolare, secondo Pribram e
Bohm, l'uomo possiede sia un corpo grossolano, che è l'aspetto materiale,
solido, visibile nell'ordine esplicito sia un corpo sottile, inteso come l'insieme di
canali, reticoli, centri nei quali scorre l'energia, collocato sia all'interno che
all'esterno del corpo materiale. Il corpo sottile corrisponde alla dimensione
energetica, all'ordine implicito; è l'aspetto non materiale, non visibile di cui
siamo abituati a ignorare la presenza, ma del quale chiunque può percepire
l'esistenza.
Per concludere, mente, corpo ed energia sono un'unica entità che, al tempo
stesso, è parte della Totalità (o Universo) e la contiene al suo interno, come
dimostra la teoria olografica. «In questo sistema essi sono considerati sia parte
l'uno dell'altro sia separati tra di loro, così come un albero è parte di, e separato
da, la terra e il cielo» (Achterberg 1985, p. 51).
1.1.4. Psicologia In quest'ultimo paragrafo desidero riprendere i concetti di mente e attività
cerebrale alla luce delle teorie quantistiche sopra affrontate e mostrarne alcuni
possibili risvolti applicativi.
In primo luogo, negli ultimi decenni è divenuto sempre più evidente che il
modello neuroanatomico tradizionale non è in grado di fornire una spiegazione
adeguata per numerosi temi riguardanti le funzioni cerebrali. Riportandone
alcuni, (a) per quanto riguarda la memoria, è stato dimostrato che essa non
viene immagazzinata in una singola area ma piuttosto in diverse aree
parzialmente sovrapposte. Secondariamente, (b) è ormai noto che le abilità
inizialmente perdute come conseguenza di un danno cerebrale (es. ferite
d'arma da fuoco, tumori, problemi cardiovascolari) spesso ricompaiono. Come
terzo punto (c), gli eventi paranormali che comprendono il ricevere, il
18
processare e il mandare informazioni in modo non conforme alla nostra
conoscenza di come l'energia si trasferisce, non trovano spiegazione all'interno
dell'attuale modello neuroanatomico. Un esempio di questi eventi è la
guarigione transpersonale tramite immagini. Inoltre, (d) anche i meccanismi
sottostanti alla consapevolezza, all'abilità del cervello di riconoscere sé stesso,
al pensiero, alla creazione e al recupero delle immagini, si sottraggono alla
descrizione delle strutture e delle funzioni cerebrali offerta dalle attuali
conoscenze neuroanatomiche. Allo scopo di colmare questo abisso tra il
modello tradizionale delle funzioni cerebrali e una mole sempre maggiore di dati
non conformi, Karl Pribram ha analizzato la possibilità di applicare la teoria
olografica al cervello. L'idea introdotta dal modello olografico secondo cui il tutto
è presente in ogni singola parte, può costituire una valida spiegazione dei
fenomeni sopra citati: infatti, in analogia con l'ologramma, anche il cervello
immagazzina le informazioni in modo ridondante, cosicché ogni parte di esso
possiede informazioni di qualsiasi altra parte. É proprio per questo motivo che,
ad esempio, l'asportazione di ampie zone cerebrali non influisce sulle abilità
visivo-mnemoniche o che la perdita di memoria sembra essere maggiormente
correlata alla quantità di corteccia danneggiata, più che alla localizzazione del
danno cerebrale (Achterberg 1985). Inoltre, secondo Pribram, anche la vista
funziona in modo olografico. Lo studioso sostiene infatti che l'informazione
visiva è trasformata dai neuroni in messaggi elettrici e viene poi trasmessa dalle
loro ramificazioni. I diversi messaggi elettrici, incrociandosi tra loro, creano una
serie di schemi d'interferenza che vanno a formare un ologramma interno. Da
questo ologramma, il cervello attraverso le sue proprietà olografiche elabora le
immagini e costruisce la realtà.
La spiegazione del funzionamento cerebrale secondo il modello olografico
sostiene inoltre che tutte le informazioni reali o fittizie vengono trasformate in
onde organizzate olograficamente e che, come conseguenza di questa
trasformazione, la mente non riesce più a distinguere quelle vere da quelle
false. Successivi studi sull'argomento sembrano confermare questa teoria.
A questo proposito, fondamentale è il lavoro di ricerca della psicologa J.
Achterberg (Achterberg 1985; Achterberg, Dossey, Kolkmeier 1994). La
19
studiosa, dopo vari studi, arriva ad affermare che «il nostro organismo (inteso
come unità mente-corpo) risponde alle immagini mentali “come se” gli eventi
immaginati stessero realmente accadendo nel mondo esterno» (Achterberg,
Dossey, Kolkmeier 1994, p. 53). Partendo da questo presupposto, J.A. si è
dedicata all'applicazione delle tecniche di visualizzazione in ambito clinico. Per
“visualizzazione” (in inglese visualization) «si intende una tecnica di
immaginazione tesa a creare un'immagine mentale di qualcosa che si desidera
o che si vuole realizzare» (Pagliaro 2004, p. 70). Il termine più generico
“immaginazione” (in inglese imagery) «è quel processo di pensiero che
coinvolge e utilizza i sensi: la vista, l'udito, l'olfatto, il gusto, il senso del
movimento e della posizione, il tatto. È il meccanismo di comunicazione tra
percezione, emozione e cambiamenti corporei. Più grande causa di salute
quanto di malattia, l'immaginazione è la risorsa di guarigione più antica e
potente al mondo» (Achterberg 1985, p. 3).
Studiando la storia della medicina, possiamo notare come l'immaginazione
rivestisse un ruolo centrale nelle tradizioni sciamaniche e nelle medicine
tradizionali delle varie culture del mondo; in generale, era ed è tuttora uno
strumento essenziale per le cosiddette medicine non convenzionali, che
abbracciano una visione olistica della salute. Poi, a partire dal Rinascimento e
fino a poco tempo fa, l'uso sistematico dell'immaginazione fu considerato
assolutamente incompatibile con la visione medica tradizionale. Solo ora
diverse pratiche incentrate sul potere dell'immaginazione tornano ad essere
considerate utili per il benessere psicofisico delle persone. I terapisti moderni
utilizzano l'immaginazione essenzialmente in tre modi: come diagnosi, come
terapia e come risorsa mentale per alleviare il dolore e l'ansia associate a
condizioni mediche. In particolare, da un punto di vista terapeutico, diverse
ricerche sull'argomento hanno dimostrato che le tecniche di immaginazione e di
visualizzazione hanno effetti positivi a livello fisiologico, biochimico,
comportamentale (soprattutto nella prevenzione dei disordini da stress) e sul
sistema immunitario. Per questo vengono tuttora applicate con successo come
terapie alternative o complementari per vari disturbi di natura fisica o
psicologica. Achterberg (Achterberg, Dossey, Kolkmeier 1994) illustra ad
20
esempio alcuni rituali di autoguarigione basati sull'immaginazione specifici per:
disturbi d'ansia, disturbi da dolore acuto e cronico, emicrania, problemi
respiratori (asma, bronchiti), disturbi cardiovascolari (ipertensione,
ipercolesterolemia, angina e infarto del miocardio, aritmia e prolasso della
valvola mitrale), disturbi del sistema riproduttivo (sindrome premestruale,
impotenza e infertilità), disfunzioni del sistema immunitario (ipoattivazione del
sistema immunitario, allergie, disordini autoimmuni). Senza soffermarmi sulla
specificità dei rituali, desidero chiarire che l'autrice considera i rituali di
autoguarigione come «un “contenitore” per l'utilizzo dell'immaginazione nella
guarigione» (Ibidem, p. xv).
Interessante è la considerazione dell'autrice, la quale puntualizza che i rituali
basati sull'immaginazione da lei proposti «sono fondati sulla credenza che il
corpo fisico – con le sue abilità e disabilità – sia una realtà tanto sacra quanto
la mente e lo spirito» (Ibidem, p. 50). Risulta quindi chiaro che anche per J.A.
non si può più fare a meno di riconoscere una connessione e un'unità di mente-
corpo-spirito; la mente vive in ogni parte del corpo così come il corpo vive nella
mente. Anzi, il potere dell'immaginazione sulla salute deriva proprio dal fatto
che essa (l'immaginazione) funge da ponte tra la mente e il corpo.
1.2. Psiconeuroendocrinoimmunologia: un esempio di olismo scientifico occidentale
La psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI) è la branca della biologia che
studia le relazioni che intercorrono tra mente, sistema nervoso, sistema
endocrino e sistema immunitario.
Essa è diventata negli ultimi anni una delle discipline più ricche e interessanti
dell'intera ricerca medica e scientifica. L'innovazione insita in questa disciplina
consiste nell'idea che non sia possibile studiare efficacemente l'attività dei
sistemi nervoso, endocrino, immunitario e della psiche, separandoli tra loro:
nella realtà del vivente, essi s'influenzano reciprocamente, dialogano tra loro,
attraverso molecole che, al tempo stesso, possono svolgere diversi ruoli.
21
Partendo da questo presupposto, la PNEI studia l'organismo umano nella sua
interezza e nel suo fondamentale rapporto con l'ambiente, inteso nella sua
accezione più vasta. Pertanto, con la PNEI e le numerose ricerche in questo
campo, si afferma una visione globale, olistica, scientificamente fondata, della
medicina e, di conseguenza, si chiude la storica separazione tra mente e corpo
(dal sito www.sipnei.it).
Francisco Varela propone un'analogia tra il sistema nervoso e il sistema
immunitario, definendo quest'ultimo il “secondo cervello”. Egli sottolinea infatti
che entrambi possiedono meccanismi di autoregolazione e determinano le
risposte dell'organismo all'ambiente circostante. Il sistema immunitario, proprio
come il cervello, è capace di ricordare, imparare e quindi di adattarsi. Inoltre,
mentre il sistema nervoso assume un'identità cognitiva, cioè un senso di
individualità con ricordi, idee e propensioni proprie, il sistema immunitario
fornisce all'organismo una seconda identità, l' “identità immunocorporea”
(Varela 1997).
Un importante contributo alla prospettiva della PNEI è offerto dagli studi di
Candace Pert (di cui ho ampiamente parlato prima, nel paragrafo
“Psicofarmacologia”). Questa neurofisiologa ha studiato un vasto numero di
neuropeptidi, scoprendo che tali sostanze, assieme ai loro recettori, si trovano
non solo nel cervello ma in tutto l'organismo. Risulta quindi sempre più evidente
che molte molecole sono versatili, potendo fungere, al tempo stesso, da
neurotrasmettitori, ormoni e citochine. Pert definisce i neuropeptidi e i loro
recettori “molecole delle emozioni” o “sostanze informazionali”, dal momento
che queste molecole, presenti in ogni cellula del corpo, portano le informazioni,
anche di tipo emozionale, in tutto l'organismo. Perciò ha senso parlare di una
stretta interconnessione e interrelazione tra il sistema nervoso, il sistema
endocrino e il sistema immunitario, i quali, attraverso i peptidi, vengono uniti tra
loro in una rete di comunicazione multidimensionale: la rete psicosomatica, un
sistema integrato di informazioni che scorre lungo tutto l'organismo (Pert 1997;
Pert 2006) .
In sostanza, la Psiconeuroendocrinoimmunologia costituisce un importante
22
riscontro scientifico per l'emergente paradigma olistico e vanta alcuni meriti:
− ha ricomposto il sapere sanitario, attraverso una visione olistica e
scientificamente fondata della medicina. Questa ricomposizione è divenuta
possibile grazie a un cambiamento radicale nel modo di concepire l'uomo: la
PNEI infatti propone una visione realmente unitaria dell'essere umano e dei
suoi principali sistemi di comunicazione interna, una visione olistica in cui la
mente, la coscienza e le emozioni sono direttamente implicate in ogni
processo normale o patologico dell'organismo;
− ha restituito alla mente un ruolo fondamentale per la tutela della salute e la
cura della malattia; la mente infatti può influenzare il corpo;
− ha, di conseguenza, sottolineato il ruolo essenziale della psicologia;
− dà valore alle potenzialità di ogni individuo, focalizzando l'attenzione su ciò
che si può fare per migliorare il benessere globale della persona, più che
sulla malattia.
1.3. Mind & Life Institute: il dialogo tra scienza occidentale e filosofie orientali
«Ho sempre creduto che ogni singolo essere umano abbia qualche tipo di
responsabilità nei confronti dell'umanità intera. In particolare, ho sempre
creduto che voi, in quanto scienziati, abbiate una speciale responsabilità. Oltre
alla vostra professione, la vostra motivazione di fondo è servire l'umanità,
provare a creare esseri umani migliori, più felici. Che lo comprendiamo
consapevolmente o no, dobbiamo produrre persone dal cuore caldo». (Dalai
Lama, dal sito www.mindandlife.org)
Il recente cambiamento di paradigma avvenuto in tutti i campi del sapere
occidentale ha favorito l'avvicinamento e il dialogo tra due delle più fruttuose
tradizioni impegnate nella comprensione della natura della realtà e nella
promozione del benessere umano: la scienza moderna e il Buddismo.
Importante tradizione spirituale orientale, la dottrina buddista da più di duemila
23
anni si dedica allo studio e all'approfondimento di tematiche come gli stati di
coscienza, le capacità curative della mente, l'influenza delle emozioni sulla
salute, il raggiungimento della felicità... tutti temi che la scienza occidentale sta
iniziando ad affrontare solo negli ultimi decenni.
Un esempio di dialogo di alta qualità tra scienza moderna e spiritualità orientale
è quello proposto dal Mind & Life Institute (MLI). Esso è stato fondato nel 1987
per volere di Tenzin Gyatso, il quattordicesimo Dalai Lama. Da allora il Dalai
Lama si incontra regolarmente con gruppi di scienziati per discutere delle
eventuali connessioni tra quelle che si possono definire le scienze della mente
e della vita – biologia, scienza cognitiva, neurologia, psicologia e filosofia della
mente – e le discipline di maggior rilevanza della tradizione buddista. Gli
obiettivi fondamentali del MLI sono quelli di promuovere un clima di interesse e
rispetto reciproco e di sviluppare dei progetti di ricerca in collaborazione tra
scienziati occidentali e maestri buddisti. La convinzione di fondo è che questo
dialogo arricchisca entrambe le parti: infatti, se è vero che la scienza
occidentale ha molto da imparare dalle scoperte dell'Oriente, dall'altra parte, il
futuro del buddismo tibetano dipende dalla sua capacità di non essere in
contrasto con le scoperte scientifiche (Goleman 1997) .
Il MLI porta avanti la sua missione tramite una gamma di attività interrelate:
− i meeting Mind and Life. Questa serie di dialoghi è iniziata nel 1985 tra
Adam Engle, avvocato e uomo d'affari americano, e Francisco Varela, un
autorevole neurobiologo di Parigi, consapevole dell'importanza di un serio
dialogo tra scienza e buddismo. La prima «Mind and Life Conference», della
durata di una settimana, si è tenuta a Dharamsala, in India ed è stata
incentrata sulla neurologia e sulla scienza cognitiva. A questo incontro ne
sono seguiti altri diciotto, con cadenza quasi annuale (Goleman 1997). I
principali temi trattati finora sono stati: emozioni e salute; sonno e sogno;
altruismo, etica e compassione; la nuova fisica e cosmologia; questioni
epistemologiche nella fisica quantistica; la natura della mente e della vita;
l'investigazione della mente e la neuroplasticità; le applicazioni cliniche della
meditazione; mindfulness, compassione e trattamento della depressione; la
24
connessione mente-corpo; il sé e il libero arbitrio; attenzione, memoria e
mente; educazione civica nel ventunesimo secolo;
− conferenze pubbliche per stimolare l'interesse della più vasta comunità
scolastica e accademica verso le potenzialità di questi dialoghi scientifici;
− pubblicazioni intellettualmente rigorose ma accessibili, basate sui meeting e
sulle conferenze Mind and Life e pensate per il pubblico generale;
− progetti di ricerca collaborativi tra scienziati di laboratorio e maestri buddisti
o di altre forme di pratica contemplativa;
− programmi educativi basati sui risultati delle ricerche MLI, sviluppati per
insegnare alle persone tecniche efficaci per innalzare il grado di sviluppo
umano ed alleviare la sofferenza (dal sito www.mindandlife.org).
Gli incontri del MLI, che rappresentano solo l'inizio della conoscenza reciproca
tra scienza e buddismo, si sono dimostrati davvero illuminanti per la scienza
moderna. In primo luogo, le ricerche tibetane sulla psiche hanno portato a una
fenomenologia della mente molto più articolata rispetto a quella conosciuta
dalla psicologia occidentale. Infatti, mentre gli unici stati di coscienza
riconosciuti dalla scienza occidentale sono la veglia, il sonno e il sogno (Rubia
2009), le culture asiatiche hanno sviluppato un complesso vocabolario per
definire una vasta gamma di stati alterati di coscienza. Come sostiene
Goleman, «una ragione del fatto che alcuni psicologi occidentali hanno
cominciato a interessarsi alle teorie orientali è che esse trattano in parte di una
gamma di esperienza che i nostri teorici hanno largamente ignorato.[...]
L'interesse moderno per le psicologie orientali può essere dovuto, in parte, alla
crescente frequenza di esperienze di stati alterati, che le nostre psicologie non
trattano» (Goleman 1988, p.177-178). Secondariamente, alcuni recenti risultati
della neurobiologia hanno dimostrato l'utilità di considerare la prospettiva
buddista all'interno del lavoro di ricerca sulle emozioni. Infatti, le concezioni e le
pratiche buddiste possono offrire a questo settore della psicologia tre tipi di
contributi: concettuale, perché prendono in considerazione tematiche non
studiate dalla psicologa occidentale; metodologico, perché offrono pratiche che
possono aiutare gli individui a riconoscere e riportare le loro esperienze emotive
25
interne; terapeutico, in quanto alcune pratiche costituiscono esse stesse una
terapia per tutti coloro che vogliono migliorare la qualità della propria vita
(Ekman, Davidson, Ricard, Wallace 2005).
A partire dagli anni Settanta, lentamente ma inesorabilmente, il pensiero
orientale si è insinuato nella coscienza psicologica dell'Occidente. Alcuni
studiosi che se ne interessarono compresero «la dimensione psicologica
fondamentale dell'esperienza spirituale buddhista» (Epstein 1995, p. 13). Forse
ciò che colpisce di più della psicologia buddista, e che manca a gran parte della
psicologia occidentale, è proprio la sua visione totale della psiche umana. Il
buddismo è, in questo senso, una psicologia del profondo (Ibidem).
Più avanti vedremo come alcune pratiche orientali siano entrate a far parte del
bagaglio medico occidentale e costituiscano delle efficaci terapie per vari
disturbi fisici e psichici.
26
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