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Arti visive e estetiche diasporiche La cultura nera britannica

Arti visive e estetiche diasporiche La cultura nera britannica · di schiavi e al suo rapporto con l’industrializzazione e la modernizzazione. ... imporre un peso sulle spalle dei

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Arti visive e estetiche diasporiche La cultura nera britannica

Visioni di una contemporaneità in movimento

La questione postcoloniale e l'estetica digitale

Pensando all’evento del cinema digitale, è importante capire quali sono le implicazioni per la politica culturale. Attraverso i potenziali dati dalla tecnologia, cerchiamo di costruire un inquadramento critico del digitale, mettendolo a confronto con la complessità culturale, politica ed economica della contemporaneità.

Oltre le categorie stabili dell’identità, l’estetica digitale propone un sentire viscerale della differenza che sfugge all’inquadramento, mettendo in crisi i paradigmi cinematografici di rappresentazione e, in particolare, di trasmissione della memoria.

L’estetica digitale diviene una tattica micropolitica che cambia le abitudini percettive, ripensa la politica culturale delle minoranze ed interrompe il potere dello sguardo nel determinare la posizione dell’alterità. Sarebbe errato pensare che il digitale ci libera dalla tradizione oculare; tuttavia, nel tentativo di mettere in crisi le metodologie, potremmo dire che l’evento del cinema digitale intensifica il lavoro sulla memoria e contribuisce all’apertura dell’archivio. Grazie alla sua processualità ed apertura, l’arte in quanto ‘evento’ è già memoria e può diventare un progetto di archivio alternativo, reso ancora più intenso dalla sperimentazione tecnologica.

Nel 1983 Isaac Julien, nato nel 1960 a Londra da genitori emigrati dai Caraibi, fonda il collettivo Sankofa Film and Video Collective, unendosi ai movimenti dei workshop che intervengono nella cultura visuale per articolare la condizione diasporica, seguendo specificità politiche, storiche e culturali, e non astratti criteri cinematografici.

WESTERN UNION: Small Boats (2007)

…movimenti che dalle coste settentrionali dell’Atlantico nero, ritornano all’Africa per attraversare, infine, il Mediterraneo

Isaac Julien, WESTERN UNION: Small Boats (2007)

Isaac Julien, WESTERN UNION: Small Boats (2007)

Isaac Julien, WESTERN UNION: Small Boats (2007)

Isaac Julien, WESTERN UNION: Small Boats (2007)

Isaac Julien, WESTERN UNION: Small Boats (2007)

Lampedusa

Come scrive Alessandra Sciurba, “[c]he appartenga all’Africa è una verità geologica, naturale, al di là delle divisioni della terra e dell’imposizione dei confini marittimi data dalla politica degli uomini” (2011, p. 79). È in questo modo che Lampedusa è stata piegata di nuovo al ruolo di confine escludente; un confine che separa i continenti ed è inteso solo come frontiera; un confine che non diventa mai limes, spazio tra due mondi che si affaccia sull’uno e sull’altro (Sciurba, 2011, p. 102; corsivo dell’autrice).

In: Pirri, Ambra (a cura di), 2011. Libeccio d’Oltremare. Il vento delle rivoluzioni del Nord Africa si estende all’Occidente. Roma: Ediesse edizioni.

Come propone Gilroy in riferimento all’Atlantico nero in quanto contro-cultura della modernità (1993), le navi riportano alla memoria del middle passage, alla “micropolitica” del commercio di schiavi e al suo rapporto con l’industrializzazione e la modernizzazione. Nel contesto del Mediterraneo, l’immagine della barca consente di esplorare le articolazioni tra le storie discontinue che solcano i mari e i porti; resta più che mai attuale, dunque, l’invito dello studioso a salire a bordo per ripensare un possibile inizio della modernità, alla luce delle varie diaspore africane nell’emisfero occidentale.

una “geografia disturbante” dello spazio intermedio del Mediterraneo; un’estetica migratoria che attraversa spazi eterogenei; testimoniare e raccogliere le tracce del trauma della migrazione, che ha effetti non solo sui sopravvissuti, ma anche sui palazzi, i monumenti, l’architettura, la vita in sé (Julien, 2009).

Julien, Isaac (a cura di), 2009. Isaac Julien. WESTERN UNION: Small Boats. Warsaw: Centre for Contemporary Art Ujazdowski Castle.

L’intento di Julien è quello di compiere un viaggio cinematografico capace di ricollocare la Sicilia al centro di movimenti migratori multidirezionali, che coinvolgono il passato, così come il presente ed il futuro: So I was interested in occupying that space in the twenty-first century as a way of commenting on the ways in which Sicilian society has changed, Sicily being a place that’s got a long history of migration built into it – including the migration of Sicilians to America, and the Ottoman Empire invading Europe from this point (Julien, 2009, p. 102).

Sperimentazioni tecnologiche Roshini Kempadoo

Sperimentazioni tecnologiche Keith Piper

Sfondi criticiStudi culturali Visualità

La teorizzazione della “cultura visuale” è legata al vedere e guardare in quanto pratiche culturali: By ‘subjective capacity’ and ‘cultural practice’ we understand how so-called objective social and psychic positionings are formed and become productive of interpretations, are used and ‘lived’ subjectively, influencing from the inside – not always in manifest or conscious ways – both what and how meaning is taken (Hall and Evans, 1999, p. 310).

lLo sguardo sul soggetto subalterno

lLa rappresentazione della differenza

lPelle nera, maschere bianche di Frantz Fanon

Pratiche della memoria: Handsworth Songs (1986)

Pratiche della memoria: The Nine Muses (2010)

The Nine Muses è un saggio visivo sull’immigrazione di massa nel Regno Unito nel dopoguerra, costruito inizialmente attraverso la rilettura dell’Odissea di Omero e la ricerca di Telemaco del padre Ulisse che non ha fatto ritorno a Itaca. Nove muse generate da Mnemosyne (memoria).Calliope è la prima musa del film, la musa della poesia epica.

Una delle cose che ho cercato di fare nel mio lavoro è stata riconfigurare la relazione tradizionale tra la componente visiva del film, sia esso documentario o di finzione, e il suono. Tradizionalmente, la colonna sonora non fa che confermare o sottolineare qualcosa che già esiste.

John Akomfrah

- Immagini d’archivio sul tema dell’immigrazione con riprese di scenari dell’Alaska.

- Nove capitoli come le muse figlie di Zeus e Mnemosine (poesia epica, storia, canti sacri, tragedia, musica, astronomia, commedia, musica e danza)

- Colonna sonora celebre, quasi interamente dal canone occidentale

- Riletture da Paradise Lost di John Milton, Odissea di Omero, Richard II di Shakespeare, La Divina Commedia di Dante Alighieri, The Unnamable di Samuel Beckett, Under Milk Wood di Dylan Thomas, Così parlò Zarathustra di Nietzsche, Il Cantico di Salomone dal Vecchio Testamento, Emily Dickinson, ecc.

- Uso/decostruzione del canone poetico-filosofico occidentale

- Rilettura dell’archivio nella sua apertura e ambiguità;

- Concetto chiave del viaggio (journey): navi che arrivano con migranti mentre la voce legge passi dall’Odissea;

- Visione con gli osservatori di spalle che contemplano i ghiacci desolati;

- “Our self in the sea”;

- Il capitolo su Clio (Storia) mostra il fuoco del carbone. La schiavitù, prima, e la forza lavoro migrante, dopo, sono parti sostanziali dello sviluppo e del consolidamento delle società industriali;

- “And now where I am?”;

- Immagini di donne che lavorano nelle cucine e nelle lavanderie.

- “The journey itself is home”;

- “I’m obliged to speak. I should never be silent”.

- “A long way from home”, canta la voce.

- “Where is my path?”.

- Scritte razziste sui muri delle città come “Keep Britain White”.

- Radici nel lavoro del Black Audio Film Collective negli anni Ottanta.

Intervista a Akomfrah:

- Lavoro con le immagini per capire chi è, la sua identità diasporica, la storia della sua famiglia, un modo per trovare delle risposte. - Mancanza di voce nello scenario politico. - Processo di acquisizione della voce come mezzo critico. - Immigrati al di fuori della narrativa su Britishness. - Ossessione per il possesso della parola per lui e per il collettivo. - Indagini delle fantasie coloniali, cioè i processi attraverso cui le immagini del centro e della periferia vengono costruite nella narrativa. - Senso di essere bianco e di essere nero come categorie.

- Il processo di acquisizione di un'identità diventa una drammaturgia. - Che significa essere un immigrato? Come si trova la voce e l’identità? - L’archivio è pregnante per un soggetto diasporico in quanto spazio del memoriale, lo spazio tangibile, uno degli spazi in cui la memoria attesta l’esistenza ma anche la battaglia tra l’ufficiale e il non ufficiale, il dentro e il fuori, l’inclusione e la repressione. Nell’archivio dei soggetti postcoloniali si trova questo teatro. - Senso della cacofonia come rumore, presenza sovversiva del suono. Senso del collage, del mix. - L’enigmatico arriva al punto in cui le cose non si ancorano più al loro posto originario. Non ci sono cose universali e locali, ma connessioni tra locale e universale, un costante dialogo tra i due.

“Cinema can be a critical tool and can be used as an effective means for recirculating memory” (Julien, 2003, p. 150).

The workshops made it possible for their members to develop and distribute films that contested the mainstream media’s construction of racial politics and minority cultures, while exploring other concerns such as the constitutive role of historical memory in African diaspora identity and experience... In providing such a space in which all these activities could occur, the workshops became sites for the development of what Julien calls an “integrated practice” (Deitcher, 2000, p. 14).

Interesse sul tema della rappresentazione, piegato nel lavoro sulla differenza razziale secondo tre diverse declinazioni: lo sguardo critico alle idee razziste sugli individui neri che vengono presentate come verità; lo sviluppo di un dibattito capace di disseminare tecniche cinematografiche del cinema indipendente e di affermare la loro pertinenza per il cinema nero; il collasso della distinzione tra pubblico e produttore

La memoria diviene il luogo chiave per un impegno po-etico (politico ed estetico) Il ritorno all’archivio è connesso all’inventario delle presenze e delle assenze. Il ricorso alla memoria, però, non è un semplice ritorno al passato, ma l’interrogazione della narrativa dominante:

[T]he official discourse insisted on narrativising black lives as migrant lives, insisted on treating black subjectivity as simply either criminal or pathological or sociological; there always seemed to be a category which came before you could get to that identity (Akomfrah, 2007b, p. 132).

Problematizzare la divisione della memoria in un passato ed un presente, per analizzare la complessità dei significati del contemporaneo.

Messa in questione dell’imperativo morale di “parlare per” la comunità nera o per un particolare interesse:

The project of producing positive images is an impossible one. Though it may have the best intentions of redressing imbalances in the field of representation, it is bound to fail as it will never be able to address questions of ambivalence or transgression... Identity politics in its positive-images variant is always purchased in the field of representation at the price of the repression of the other (Julien, 1992, p. 77).

Il meccanismo strutturale della marginalità può avere una funzione regolatrice della visibilità nella sfera pubblica e può imporre un peso sulle spalle dei soggetti subalterni che si esprimono: le loro voci rischiano di essere percepite come rappresentative dell’intera comunità e vedono negata la possibilità di una diversità delle esperienze. E come ricorda Hall: “After all, it is one of the predicates of racism that ‘you can’t tell the difference because they all look the same’” (Hall, 1989, p. 17). In altre parole, uno dei pericoli della costruzione fittizia di un’identità stabile e stereotipica è la riaffermazione violenta dei confini tra centro e margine, maggioritario e minoritario.

L a p r a t i c a a r t i s t i c a s p e r i m e n t a incessantemente con le strategie estetiche e politiche, per interrogarsi sulle potenzialità materiali delle immagini e sull’influenza delle forme cinematografiche nelle arti visive contemporanee.

Estetica che riutilizza, rivisita e ricicla il passato.

Elementi del passato possono dire qualcosa di nuovo adesso e dare sensi nuovi.

Costruire una contro-mitologia e una contro-memoria.

Secondo Akomfrah le migrazioni sono viaggi epici. Ci chiediamo cosa significa intraprendere un tale viaggio? Si può provare a ribaltare la logica e a includere i soggetti diasporici nei miti occidentali.