68
VERONICA SBERGIA & MAX DE BERNARDI MARCUS EATON MADAME GUITAR MUSIC IS LOVE TECNICA Stefan Grossman Peter Finger Dino Fiorenza Daniele Bazzani Antonio Forcione Sketches of Africa Strumenti: Peavey Composer Parlor, Martin DRS 1, Gold Tone mic e preamp Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, CN/BO

antonio Forcione - Fingerpicking.net · 2019. 10. 16. · se ne starà con le mani in mano ad aspettare il ritorno della pri-mavera. Si annunciano già degli eventi importanti. A

  • Upload
    others

  • View
    1

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

  • Veronica Sbergia & Max de bernardi

    MarcuS eaton

    MadaMe guitar

    MuSic iS loVe

    tecnicaStefan grossmanPeter Fingerdino Fiorenzadaniele bazzani

    antonio ForcioneSketches of africa

    Strumenti: Peavey composer Parlor, Martin drS 1, gold tone mic e preamp

    Pos

    te It

    alia

    ne S

    .p.A

    . – S

    pedi

    zion

    e in

    abb

    onam

    ento

    pos

    tale

    – D

    .L. 3

    53/2

    003

    (con

    v. in

    L. 2

    7/02

    /200

    4 n.

    46) a

    rt. 1

    , com

    ma

    1, C

    N/B

    O

  • Un Suono Magico

    Aramini Strumenti Musicali S.r.l.Via XXV Aprile, 36 • Granarolo Emilia - BO - • 40057Telephone 051 60 200 11• Fax 051 60 200 66www.aramini.net • [email protected][email protected]

  • 3

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    EditorialeChitarra Acustica Winter di Andrea Carpi pag. 3

    Il silenzio della musica di Reno Brandoni pag. 5

    NotizieDue chitarristi e un cantautore-chitarrista a Sarzana pag. 6

    BlogPrima chitarra: scelta accurata di Luca Francioso pag. 8

    Quelli che… costruiscono le chitarre, oh yeah! di Mario Giovannini pag. 9

    Perché non parli? di Daniele Bazzani pag. 10

    Il palco di Reno Brandoni pag. 11

    Recensioni pag. 12

    Chitarra Acustica WinterIn questo numero ‘festeggia-

    mo’, si fa per dire, la fine della bel-la stagione dei festival di chitarra acustica, con un ampio servizio dedicato alla settima edizione di Madame Guitar, che si è tenuta alla fine del mese di settembre.

    Ma non per questo, adesso, il popolo della chitarra acustica se ne starà con le mani in mano ad aspettare il ritorno della pri-mavera. Si annunciano già degli eventi importanti. A partire dal 16 novembre, con un concerto di Gaspare Bonafede e di François Sciortino, prende il via “Acoustic Franciacorta in Castello”, una rassegna di sette concerti a ca-denza mensile, che andrà avanti fino al mese di maggio per tenere accesa la fiammella. Il 4 dicem-bre ci sarà poi a Milano una sera-ta in onore di Michael Hedges a quindici anni dalla sua morte, or-ganizzata da Ezio Guaitamacchi, uno dei pionieri della promozione della musica acustica nel nostro paese. Durante il mese di dicem-bre si svolgeranno inoltre le tour-née italiane di Michael Manring e di Bob Brozman.

    D’altra parte è già iniziato il con-to alla rovescia in attesa del pros-simo Acoustic Guitar Meeting di Sarzana, che si terrà dal 22 al 26 maggio del 2013: sono aperte

    infatti le selezioni per il concorso New Sounds of Acoustic Music – Premio Carisch (In memoria di Stefano Rosso), alle quali parte-cipano anche fingerpicking.net e Chitarra Acustica, e che porte-ranno alla finale del 23 maggio sei chitarristi solisti e quattro can-tautori-chitarristi.

    La scorpacciata di musica che ci siamo fatti tra maggio e settembre, inoltre, è stata l’oc-casione per raccogliere molto materiale che dobbiamo ancora gustare. In questo numero pub-blichiamo innanzitutto un’inter-vista ad Antonio Forcione, che abbiamo incontrato ad Acoustic Franciacorta, e un suo spartito molto accurato. Antonio ha pre-sentato ad agosto il suo nuovo bellissimo disco Sketches of Africa, che è stato indicato come disco del mese nel numero di novembre della rivista Guitar Techniques in Inghilterra, paese dove vive da anni. Noi abbiamo voluto dargli la copertina, perché ci piacerebbe che fosse cono-sciuto di più e che avesse tutto il successo che merita anche nel suo paese di origine.

    Tra le diverse interviste rac-colte al Meeting di Sarzana, pubblichiamo quelle a Veronica Sbergia e Max De Bernardi, re-

    duci dall’eccellente album Old Stories for Modern Times, e a Marcus Eaton, cantautore-chitar-rista di grande talento, che David Crosby ha voluto con sé per il suo nuovo disco in lavorazione. Marcus appare anche in un re-cente disco tributo a CSN&Y pro-dotto dall’etichetta italiana Route 61, Music Is Love – A Singer-Songwriters’ Tribute to the Music of CSN&Y, di cui parliamo diffu-samente in questo numero e che offre l’occasione di conoscere un vasto mondo di interpreti legati al cantautorato indipendente an-gloamericano, poco frequentato da noi e di grande interesse.

    Andrea Carpi

    ededitoriale

  • 4

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    www.chitarra-acustica.net

    Direttore responsabileAndrea [email protected]

    EditoreFingerpicking.netVia Prati, 1/1040057 Granarolo dell’Emilia (BO)[email protected]

    CoordinamentoReno [email protected]

    StampaPromographVia Torino, 1620093 Cologno Monzese (Mi)

    PubblicitàTel. +39 349 [email protected]

    ArtistiIntervista ad Antonio Forcione di Andrea Carpi pag. 16

    Madiba’s Jive di Antonio Forcione pag. 21

    Intervista a Veronica Sbergia e Max De Bernardi di Dario Fornara pag. 28

    Madame Guitar 2012 di Andrea Carpi pag. 32

    Music is Love di Alfonso Giardino pag. 38

    Intervista a Marcus Eaton di Lauro Luppi e Frank Varano pag. 42

    StrumentiChitarra acustica Peavey Composer Parlor di Mario Giovannini pag. 46

    Chitarra acustica Martin DRS 1 di Mario Giovannini pag. 48

    Microfono e preamplificatore Gold Tone ABS di Daniele Bazzani pag. 50

    Suono e sellette di Dario Fornara pag. 51

    GAS Addiction di Mario Giovannini pag. 54

    TecnicaGuitar Workshop di Stefan Grossman pag. 56

    The Blue Horizon di Peter Finger pag. 60

    Basso Acustico - 4 di Dino Fiorenza pag. 64

    L’improvvisazione - 5 di Daniele Bazzani pag. 66

    La rivista viene realizzata interamente senza ricevere

    alcun tipo di contributo o finanziamento pubblico

    Impaginazione e coordinamento webMario [email protected]

    Chitarra Acustica è una pubblicazione mensileRegistrazione del Tribunale di Bolognan. 8151 del 07.12.2010Iscrizione al R.O.C. n° 21782

    Manoscritti e foto originali, anche se non pubblicati, non si restituiscono. È vietata la riproduzione anche parziale di testi, documenti, disegni e fotografie.

    sr

  • 5

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Il silenzio della musicaSe la vita non mi avesse aggre-

    dito con il suo fardello di incon-trollabili eventi, se il destino non mi avesse aiutato a scavare nella mia identità sopita, forse non lo avrei mai capito. Certamente lo avrei notato con difficoltà.

    La musica si è associata al ru-more. Oggi non distinguiamo più musica e rumore, ma ogni mu-sica è rumore e ogni rumore è musica. Bisogna vivere un lungo periodo di disintossicazione per capire l’abisso in cui siamo finiti. Io l’ho vissuto per varie vicende personali: un lungo periodo di si-lenzio, lontano dalla musica, ma molto vicino ai rumori. E dopo un poco ho iniziato a desiderare la musica, la melodia e l’armonia. Ogni volta che potevo arricchire la mia giornata di qualche suono, tutta la mia concentrazione era protesa verso quell’evento: nes-suna distrazione, solo il piacere di assorbire l’energia sprigionata da quelle note, raggi di sole in un’oscurità perenne. Seleziona-vo con cura ogni brano per go-

    dere appieno di quei momenti di gioia, mi lasciavo trascinare e sommergere da cascate di note. Ma più ne ricevevo, più cercavo di distinguere nel ‘frastuono” ar-monico l’essenza della musica: quella misurata, fatta di essen-zialità e completezza, sfuggendo all’effetto coinvolgente di un’at-mosfera artificiosamente creata per soddisfare il solo godimento emotivo. Sono arrivato a sele-zionare l’essenziale, come le sei Suites di Bach per violoncello solo. ‘Abnormi’, ma dense della completezza da me cercata. Poi, dopo quattro mesi di silenzio, ec-comi di nuovo nel nostro mondo, il supermercato, la stazione, il treno, la TV, la radio in macchina, quintali di note gettate lì, regala-te, svendute, spinte nella testa di ognuno, ma spesso ignorate o evitate. Nessuno si ferma più ad ascoltare la musica, ma la musi-ca stessa accompagna ogni quo-tidiano gesto e momento, come il rumore dell’acqua che scorre la mattina nella doccia, il borbottìo

    della lavatrice o della caffettiera che avverte che il caffè è pron-to. Rumori mischiati a rumori, note su note che hanno fatto del mondo musicale, del piacere dell’ascolto, un incontrollato e ag-gressivo pianeta, ormai remoto e incomprensibile. Spegniamo per un attimo tutte le fonti, chiudia-mo ogni sorgente, ritorniamo al silenzio assoluto, per riprendere un’approccio con la musica e ri-cominciare da subito a subire il suo fascino e il suo potere.

    Reno Brandoni

    ACOUSTIC FRANCIACORTA IN CASTELLOA partire dal mese di novembre, presso il Castel-

    lo Oldofredi di Iseo, prende il via un’edizione stra-ordinaria di Acoustic Franciacorta. L’idea è che il festival non termini alla fine dell’estate, ma continui a tener vivo l’interesse per la musica acustica. Così l’evento che ormai da nove anni anima il periodo di fine estate franciacortino, quest’anno per la prima volta continuerà anche nella stagione invernale e oltre, fino al mese di maggio 2013, con sette appun-tamenti a cadenza mensile, che prevedono due mo-menti musicali e che si terranno nella affascinante cornice dell’auditorium del Castello Oldofredi.

    Info: Libera Accademia in Franciacorta, tel. 320 7038793, www.franciacortalaif.it.

    MICHAEL HEDGES TRIBUTE– 4 dicembre, Milano, Salumeria della musica,

    ore 21.30: “Il Jimi Hendrix della chitarra acustica a quindici anni dalla morte”, serata speciale presen-tata da Ezio Guaitamacchi con la partecipazione di beppe gambetta, guitar republic, Pino Fora-stiere in duo con il vocalist boris Savoldelli, Finaz della Bandabardò; ospite speciale: Michael Man-ring.

    Nel corso della serata verranno proiettati estratti dall’ultimo concerto di Michael Hedges in Italia, te-nuto Il 23 novembre 1991 al Teatro di Porta Roma-na di Milano, dove Michael concluse il festival Musi-ca & Natura aprendo lo spettacolo di Angelo Bran-duardi. Insieme, i due musicisti suonarono “Woman

    of the World”, un pezzo di Michael che Angelo ha accompagnato con il violino, e “Il dono del cervo”, la classica ballata branduardiana impreziosita dal flauto traverso di Hedges.

    Info: tel. 02 56807350, www.lasalumeriadellamu-sica.com.

    MICHAEL MANRING– 4 dicembre: Milano, Salumeria della Musica, “Mi-chael Hedges Tribute”;– 5 dicembre: Milano, Accademia del Suono, ore 16, seminario (tel. 02 2593869);– 8 dicembe: rieti, TBA;– 9 dicembre: roma, Big Mama, ore 22, concerto con Pino Forastiere;– 10 dicembre: roma, TBA, seminario.Info: Armadillo Club, [email protected].

    BOB BROZMAN– 7 dicembre: arcola (SP), G & G Guitar Sound Center, seminario (tel. 0187 1997983);– 8 dicembre: Savona, TBA ([email protected]);– 9 dicembre: Poggio berni (RN), Circolo dei Mal-fattori, ore 22;– 11 dicembre: Firenze, Teatro del Sale (tel. 055 2001492);– 12 dicembre: cecina (LI), Birroteca Doppio Malto (tel. 0586 018125);

    – 14 dicembre: Soresina (CR), Teatro Soresina (tel. 0374 340454, [email protected]).

    Info: Armadillo Club, [email protected].

    ededitoriale

  • 6

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Come ormai consuetudine, la prima serata di concerti della prossima XVI edizione dell’acoustic guitar Meeting, che si terrà alla Fortezza Firmafe-de di Sarzana dal 22 al 26 maggio 2013, sarà con-sacrata al concorso new Sounds of acoustic Mu-sic – Premio carisch 2013 (In memoria di Stefano Rosso), vinto nell’edizione precedente dal chitarri-sta Matteo crugnola e dal cantautore-chitarrista daniele li bassi.

    Dieci giovani chitarristi acustici, dell’età massima di 35 anni, si alterneranno alle ore 19 di giovedì 23 maggio sul palco centrale della manifestazione per presentare due brani a testa, che potranno essere inediti per chitarra di propria composizione o adatta-menti originali per chitarra di brani musicali di qual-siasi origine, oppure brani cantati composti perso-nalmente e accompagnati con la chitarra acustica. La lunghezza dei due brani deve essere contenuta in 4 minuti ciascuno. Sarà possibile utilizzare chi-tarre acustiche con corde metalliche o anche con corde di nylon, ma lo stile dei brani dovrà essere di chiara matrice moderna e non classica.

    La selezione dei 10 giovani artisti emergenti – 6 chitarristi solisti più 4 cantautori-chitarristi – è affi-data all’associazione culturale armadillo club che organizza la manifestazione (selezionerà 3 cantau-tori-chitarristi), al centro Studi Fingerstyle (sele-zionerà 2 chitarristi), a lizard accademie Musicali (selezionerà 1 chitarrista), alla rivista GTR & Bass (selezionerà 1 chitarrista) oltre che al nostro portale fingerpicking.net, che selezionerà 2 chitarristi e 1 cantautore-chitarrista. I partecipanti dovranno invia-re entro il 28 febbraio i propri nominativi, una breve biografia e le registrazioni dei brani da proporre ad una soltanto delle citate organizzazioni che effet-tuano la selezione. Alla fine del mese di marzo sarà comunicato agli interessati l’eventuale superamen-to della selezione in vista della partecipazione alla serata finale.

    Per chi desidera inviare il materiale a fingerpi-cking.net, è possibile inviare direttamente il mate-riale a [email protected].

    Nella serata finale, una giuria selezionata premie-rà la migliore esibizione chitarristica e la migliore esibizione cantautorale. I premi saranno messi a disposizione dalla ditta carisch, partner dell’even-to, e si tratterà di strumenti e accessori di grande

    DUE CHITARRISTI E UN CANTAUTORE-CHITARRISTA A SARZANA Con fingerpicking.net e Chitarra Acustica

    qualità. Altri omaggi sono previsti dalle aziende John Pearse Strings e b-band. Inoltre, i due primi classificati saranno ospiti della successiva edizio-ne dell’Acoustic Guitar Meeting e parteciperanno ad altre manifestazioni chitarristiche organizzate dall’Armadillo Club. Una serie di altri riconoscimenti e menzioni saranno assegnati a tutti i partecipanti.

    Un grande artista internazionale sarà ospite spe-ciale della serata finale e ‘tutore’ dei partecipanti, esibendosi successivamente in concerto e pren-dendo parte alla giuria. Faranno parte della giuria: Stefania rosso, figlia di Stefano Rosso; davide Mastrangelo, direttore del Centro Studi Fingerstyle; andrea carpi; giovanni unterberger, fondatore di Lizard Accademie Musicali; giovanni Pelosi per fingerpicking.net; Marino Vignali per la ADGPA Italiana; claudio chianura per GTR & Bass; ger-mano dantone per Carisch; Fiorenzo baruzzo per Heineken Italia; alessio ambrosi, direttore artisti-co del festival, e infine un artista e un liutaio tra le presenze internazionali della manifestazione.

    Info: www.acousticguitarmeeting.net.Affrettatevi a inviare i vostri brani a:[email protected].

    nt notizie

  • BREVI, SEGNALAZIONI, OLDIES BUT GOODIESSostieni la chitarra acustica

    Sostienidal mondo virtuale a quello reale:

    è disponibile anche in formato cartaceo con la possibilità

    abbonamento rivista cartacea:Semestrale euro 30

    annuale euro [email protected]

    www.chitarra-acustica.net/abbonamento

    in formato elettronico: File pdf scaricabile euro 3 a numeroSfogliatore on line euro 1 a numero

    di ricevere direttamente a casa propria 12 numeri all’anno a prezzo scontato

    SOTTOSCRIVI SUBITO L’ABBONAMENTO

  • bl blog

    8

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Prima chitarra: scelta accuratadi Luca Francioso

    Troppo spesso sento dire da genitori di piccoli e aspiranti chitarristi la parola ‘chitarra da studio’ ri-ferita per lo più a strumenti in compensato super economici e quasi impossibili da suonare, più o meno dei giocattoli che non gravano sul portafogli familiare, ma che non hanno niente a che fare con il concetto di studio.

    Questo ormai obsoleto luogo comune, come un ritornello di una canzone poco riuscita, mi suona nelle orecchie da quando anche i miei genitori ne hanno cantato qualche verso, spinti anche loro dal comprensibile timore che un ragazzino, circondato da mille attrazioni, possa perdere presto interesse. In effetti di frequente accade che uno strumento venga seppellito in cantina perché la curiosità del suo apprendista esecutore ha tirato le cuoia prima di esalare il primo accordo, e il rammarico dei ge-nitori solitamente è pari alla soddisfazione di non aver speso cifre esose per un capriccio passeggero del figlio.

    Il fatto è, però, che uno strumento di pessima fat-tura non agevola affatto l’apprendimento, anzi mol-to spesso ne ostacola il percorso, rendendo difficile ciò che è semplice e impossibile ciò che è difficile.

    Ecco che al primo barré anche i più volenterosi stu-denti potrebbero arrendersi di fronte al dolore fisico e all’impostazione sbilenca che strumenti economi-ci causano. È vero che a volte il talento non viene fermato neppure da chitarre di compensato, ma è altrettanto vero che non sempre sono i più talen-tuosi a regalare musica raffinata, di conseguenza credo che vada tutelata la possibilità di riuscita di ogni mano, anche la meno portata, con un’accura-ta scelta del primo strumento e non con l’acquisto ottuso di una chitarra qualsiasi, purché economica.

    Non dico certo che la ‘chitarra da studio’ debba per forza essere uno strumento di liuteria, ma vero è che migliore è la fattura costruttiva della chitarra con cui si studia, migliore sarà il risultato dello stu-dente.

    Dall’altra parte, invece, c’è chi pensa che un co-spicuo investimento corrisponda sempre e senza eccezioni al migliore strumento in commercio. Inuti-le dire che non è così. Più volte ho visto chitarre dal nome imbarazzante avere più personalità di chitar-re rinomate.

    È l’equilibrio fra il budget a disposizione e la quali-tà della chitarra la soluzione a cui aspirare.

    FRANCO MORONE “Back To my Best”

    Back To My Best

    Franco Morone

    New CD

    !

    New BOOK!

    Nuovo cd e Nuovo libro Disponibili nello shop online!!!!

    www.francomorone.com

    oltre a.....Offerte speciali * CD * Libri* mp3*brani singoli notazione musicale ed intavoltura

  • blblog

    9

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Quelli che… costruiscono le chitarre, oh yeah!di Mario Giovannini

    Decidere di farsi costruire una chitarra da un liu-taio è un passo importante, possiamo anche dire fondamentale, nella vita di un artista. Implica una certa maturità, sia tecnica che musicale, oltre a una profonda consapevolezza di quelle che sono le pro-prie reali necessità. E la capacità di trasmettere tutto questo a chi dovrà realizzare lo strumento. O alme-no così dovrebbe essere… ma di questo parleremo un’altra volta.

    Presa la storica decisione, fatto partire il piano quinquennale di accantonamento fondi necessario perché, sia chiaro – com’è giusto che sia – nessu-no regala nulla, a meno che non si sia amici d’in-fanzia di uno di questi signori, si deve poi scegliere il ‘Mastro Geppetto’ che realizzerà la nostra crea-tura. Il sistema migliore, naturalmente, è visitare il più possibile le fiere di settore in cui questi artigiani espongono le loro opere. Per poi rendersi conto di essere precipitati in una sorta di universo parallelo, in cui valgono strane regole e curiose convenzioni sociali.

    I liutai si conoscono tutti fra loro. Tutti. Sono sem-pre cordialissimi e molto gentili. E ognuno è con-vinto di essere l’unico a saper lavorare. Tutti gli altri sono dei dilettanti. Magari qualcuno non è poi così malaccio, ma ne ha ancora di strada da fare. Ciascuno è convinto di essere il depositario della verità assoluta.

    Ci sono quelli che “usano solo colla animale” per-ché le Martin pre-war sono le uniche chitarre degne di tale nome. E niente trussrod, solo barre a T nel manico. Quindi, in cento anni non abbiamo fatto un solo passo avanti. Del resto già fanno sistematica-mente strage di piante, che gli frega di qualche ani-maletto.

    Ci sono quelli che “mettono le tavole armoniche a riposare sul fondo di un torrente per anni, perché assorbano le vibrazioni della Terra”, in modo che acquisiscano sonorità uniche. Di solito lavorano solo di notte, preferibilmente quando c’è luna piena, biascicando frasi incomprensibili.

    Ci sono quelli che “cianno da fare”, sempre da fare, troppo da fare. E non hanno tempo. Per nulla. Se vuoi una loro chitarra devi chiedere, implorare, sperare. E alla fine te la danno, ma con almeno un anno di ritardo. Perché cianno da fare!

    Ci sono quelli che “hanno il campionario”, ovvero le chitarre da esposizione. E a ogni fiera, anno dopo anno, li vedi sempre con gli stessi strumenti. Poi, se ne provi una e ti piace, se la vuoi comprare, non te la danno. Perché è il campionario. Se la vuoi, te ne fanno un’altra, uguale. Ma senza fretta, perché, comunque, cianno da fare!

    Ci sono quelli che “niente foto alle mie chitarre, grazie”. Ha sei corde, una cassa, un ponte e un ma-nico. È una OM. Non avendo a disposizione una macchina a raggi X portatile e, comunque, non ca-pendoci una beata mazza di niente su incatenature e affini, cosa potrò mai copiare dalla foto della tua chitarra?

    Quelli che “io la cassa/la paletta/il manico così non faccio, assolutamente”… ma non dovresti ascoltare le richieste del cliente, cioé io?

    Quelli che “la chitarra è garantita a vita”, ma sono pochissimi. E di solito molto anziani. Immagino non si riferiscano allo strumento.

    Quelli che “fanno tutto a mano, niente macchine”. E fanno tutto a mano, effettivamente. Quella che gli è rimasta. Ma comunque un paio di dita se le sono giocate anche in quella.

    Quelli che “il liutaio non deve suonare la chitarra, perché i calli sui polpastrelli non ti fanno sentire le vibrazioni del legno”. Di solito, ma non sempre, ap-partengono anche alla categoria niente macchine e il problema dei calli sulle dita lo hanno già risolto. Alla radice.

    Quelli che “in America sono avanti mille anni, per-ché la chitarra l’hanno inventata loro”… e io che ero convinto che fosse nata in Europa dal liuto arabo.

    Quelli che “in America non capiscono un c…o”… e io che ero convinto che… Oddìo non sono più convinto di nulla, che confusione. Oh yeah!

  • bl blog

    10

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Perché non parli?di Daniele Bazzani

    Parto da una veloce considerazione: a me, se un musicista parla durante il concerto, non dispiace. Mi fa piacere sentire storie che riguardino le canzoni o i brani strumentali (se non hanno testo), o aneddoti e storie simpatiche, qualora il musicista fosse in gra-do di raccontarne in maniera divertente e intrigante. Non lo nego. Il problema è un altro. Ho sentito spes-so commentare il concerto del taciturno artista di turno (perdonate l’orrendo gioco di parole) con frasi tipo: “Si ma due parole poteva anche dirle”.

    Chi è abituato a stare sul palco sa bene che una frase azzeccata al momento giusto può portare il pubblico dalla propria parte, lo ben dispone anche riguardo alla musica, non che si possa essere sim-patici e suonare male, ma sembra che il contrario non si possa fare. Vengo al punto.

    Il mio obbiettivo, quando compro il biglietto di un concerto, è andare a sentire musica, non voglio al-tro. Se poi altro c’è, me lo prendo. Ho visto Frank Zappa negli anni ’80, un’ora e un quarto di musica senza una sola pausa, poi se ne è andato per non rientrare, non una parola, uno dei concerti più stra-ordinari della mia vita. Ho visto Paco De Lucia più volte, non so che voce abbia se non per un bellissi-mo documentario su Dvd dove si racconta, non cer-to per quello che dice durante i concerti. Non credo ci sia bisogno di dire quanto belli siano stati i suoi spettacoli. Ho visto Bob Dylan e non lo ricordo pre-sentare nulla, o dirci qualcosa. Meraviglioso.

    Che voglio dire? Che se il concerto è bello, sono lì per quello, non per altro. Se vado al cinema a ve-dere un film con Robert De Niro, non mi aspetto che all’intervallo (o fra due scene clou) mi dica qualcosa, sono lì per vedere come recita, e vedere il film. A teatro mi basta la presenza sul palco e magari un inchino di ringraziamento alla fine, ma nessuno si aspetta un grande attore prendere la parola. Perché ai musicisti questo sembra non essere concesso, o concesso con fastidio?

    Alla base di tutto c’è una semplice considerazio-ne: il rispetto per il pubblico di un concerto sta nel cercare di offrirgli il miglior spettacolo musicale pos-sibile, non credo ci sia altro. Va detto anche che al-cuni (molti) artisti, hanno trovato il modo di comuni-care attraverso la loro musica, perché con le parole non riescono, non sono proprio capaci, non è che non vogliano.

    Oltretutto se si parla a sproposito (chi è mai salito su un qualsiasi palco sa bene cosa intendo) si ri-schia di rovinare tutto, di fare la figura degli imbecil-li, quando magari stiamo solo cercando di sforzarci per compiacere chi abbiamo davanti.

    L’unico vero, grande impegno che ha un musicista è quello di dare il massimo, tutto quello che abbia-mo e nel miglior modo possibile, sapendo che a vol-

    te suoneremo meglio, altre peggio, ma il tentativo deve essere fatto. Troppe volte ho visto gente salire sul palco pensando di tirar via la serata, magari rac-contando qualche storiella simpatica, ma si capisce quasi subito se per montare lo show abbiamo lavo-rato un anno, o un’ora. Quello è il vero “rispetto” che il pubblico merita.

    Dagli americani ho imparato una grande lezione anche riguardo a come ci si presenta sul palco, c’è un episodio che mi ha fatto sorridere ma anche ri-flettere.

    Ero a Nashville in occasione della CAAS, il festi-val dedicato a Chet Atkins, sul palco c’era Boots Randolph, un grandissimo sassofonista americano, celebre fra le altre cose per aver portato al succes-so negli anni ’60 “Yakety Sax”, scritta da James Q. ‘Spider’ Rich (ricordate la musica di Benny Hill?). Randolph è stato l’unico ad aver suonato il sax da solista su un disco di Elvis, e ha contribuito in ma-niera importante a creare, con il suo strumento, il famoso ‘Nashville Sound’, insieme a Atkins che produsse molta musica di quel periodo scoprendo talenti incredibili.

    Torniamo allo spettacolo, perché a un certo punto Randolph si avvicina al microfono, proprio prima del brano in questione e dice: “Questa è la canzone che mi ha fatto scendere dalle colline del Kentucky... e mi ha fatto salire su quelle del Tennessee”.

    La battuta mi ha fatto ridere, ma avevo accanto un signore piuttosto anziano che rimaneva del tutto impassibile, quasi infastidito. Gli chiedo, visto che avevamo chiacchierato brevemente poco prima, se non la trovasse una cosa divertente, lui fa una pausa e mi dice: “L’ho visto 40 anni fa e ha detto la stessa battuta”. A quel punto ho riso davvero.

    Poi però ho ragionato su quanto si possa prepa-rare anche una singola frase messa al punto giusto, se la si ritiene opportuna, e ho capito che se ogni sera ci esibiamo in un contesto differente, lo show non sembrerà mai una ripetizione, anche se a dire frasi sempre allo stesso modo, nello stesso punto, forse ci sentiremo limitati, ma è meglio una frase preparata bene che una improvvisata male, non c’è dubbio.

    La lezione può quindi essere: cercate di dare tutto quello che potete quando siete sul palco, se questo comprende anche il parlare e dire cose sensate o divertenti va bene, in caso contrario state zitti, che è meglio.

    Se siete spettatori, non pensiate che il musicista sia vostro amico e sia lì per parlare, il biglietto lo avete pagato per la musica, non per sentirlo chiac-chierare. Tanto se il concerto è bello, avrete speso bene i vostri soldi, se è brutto, non saranno due bat-tute azzeccate a renderlo migliore.

  • blblog

    11

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Il palcodi Reno Brandoni

    È certo che quando vado a un concerto mi aspet-to qualcosa!

    Qualcosa in più di quello che posso avere com-prando il CD del musicista o ascoltando i suoi brani su iTunes, YouTube o dalla radio della mia macchi-na. È certo che se vado a un concerto e il musicista mi risuona esattamente tutto il suo CD, magari con qualche brano a sorpresa o qualche cover d’effet-to, tutto sommato so di aver avuto ciò per cui ho pagato, ma sicuramente non era il vero motivo per cui ero li.

    Solitamente vado ad un concerto per incontrare l’uomo, misurare il suo carisma e le sue debolezze, e mi aspetto che mi comunichi qualcosa di suo, di personale che non può essere impresso o svela-to in una registrazione. E chissenefrega se fa delle battute stupide o balbetta, non tutti possiamo esse-re fantastici oratori: mi basta che sia se stesso, che scopra le sue carte, che mi racconti della sua vita, che mi faccia capire il perché della sua musica, il senso delle sue composizioni.

    Mi sono un po’ stancato dei maestri dell’arrogan-za che salgono sul palco per darti una lezione su come si suona, pronti a ‘regalarti’ l’ultima loro evolu-zione, e che si compiacciono di se stessi. Ho voglia di umanità, di errori, di verità, forse anche di frasi trite e ritrite che annoieranno i fan più assidui. Ma il palco è vita e io mi aspetto un musicista vivo.

    Suonare la musica è una cosa, salire su un palco è completamente un’altra, un’altra arte. Magari certi musicisti sono fantastici a casa o meravigliosi nel proporre la propria musica su un CD, poi sul pal-co sono una frana; mentre altri non trasferiscono nessuna emozione dai loro CD, ma sul palco hanno forza e carisma e regalano più emozioni di tecni-ci ‘sperduti’ o di vani eroi. Allora salire su un palco significa qualcosa di preciso: mostrarsi al pubbli-co, esporsi, raccontarsi, condividere musica e vita, avere il coraggio di svelarsi, confrontarsi, regalare la propria essenza, esporsi a un pubblico con il vero volto, senza schermature o effetti speciali, tu, la tua musica e il tuo essere.

    Perché pagare per tutto questo? Perché sorbirsi incapaci oratori che calpestano il palco, spaventati o timorosi, nervosi e ansiosi, preoccupati di sbaglia-re ed emozionati dalla luce che li illumina sottraen-doli al contesto? Perché la musica è anche tutto questo: sbagliare, lasciare alle spalle la perfezione figlia di un progresso deleterio, suonare per godere, per piacere, sopratutto a se stessi.

    Vaneggio, lo so, so anche che è dura subire tra le poltrone della platea l’intrepido tentativo di qual-

    cuno sul palco che cerca di comunicarmi qualcosa senza riuscirci. So che sarebbe fastidioso sentire frasi scoordinate o concetti stralunati tenuti insieme da nessun pensiero logico. Poi ripenso a un film in-titolato Oltre il giardino con Peter Sellers, dove uno sconnesso giardiniere veniva genialmente ‘interpre-tato’ nel suo vaneggiare; oppure più di recente a Francesco De Gregori, che a chi gli chiedeva detta-gli sui suoi testi rispondeva con una storica “Niente da capire”.

    Un concerto allora forse non è fatto di sola musi-ca, ma è fatto di persone che provano sentimenti.

    In un tour di tanti anni fa ricordo un mio amico/collega chitarrista che era stato lasciato dalla mo-glie e piangeva tutto il giorno, ma la sera, salito sul palco, rideva, scherzava e faceva divertire. Un gior-no gli chiesi come mai. Mi sembrava strano que-sto contrasto tra la grande tristezza nel retropalco e la grande allegria sul palco, e lui mi rispose che la gente pagava per divertirsi…

    Ecco, ora non sono più tanto d’accordo su que-sto concetto, oggi mi verrebbe voglia di dirgli che forse la gente pagava per capire, per capirti, darti una mano ad affrontare la vita ed essere te stesso. E poi non è proprio vero che «Ma cosa gliene frega agli altri dei nostri sentimenti»… Forse il mondo è quello che è proprio per questo, perché pensiamo che a nessuno freghi niente di noi. Invece no, pro-viamo ad esporci con coraggio e orgoglio, onestà e sincerità e una spolverata di emozioni. Ed il gioco è fatto, nessun mistero ma solo verità.

    E che si spengano le luci e la musica abbia inizio. Ecco a voi l’uomo!

  • 12

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Nibs van der Spuya House across the river2 Feet Music – Sheer Group

    Quest’ultima produzione, usci-ta nel 2010, è già il nono album di Nibs van der Spuy. Una lunga carriera che, nonostante l’ancora giovane età, lo ha fatto ricono-scere come uno dei più originali esponenti del Nu Folk e che gli ha consentito di affermarsi sem-pre più sulla ribalta internaziona-le.

    Nove brani originali (tra i quali due strumentali) e due cover (l’a-custica “Little Martha” di Duane Allman e “Cripples Cry” di Tim Buckley), che confermano le grandi doti artistiche di questo chitarrista-cantautore sudafrica-no. Tutte le tracce vedono Nibs protagonista strumentale: armo-nica, chitarre acustiche ed elettri-che sono tutte suonate da lui, ol-tre alla voce e al cuatro portorica-no (lo strumento a cinque corde doppie che imbraccia nella foto di copertina), con il quale richiama le tipiche sonorità degli strumenti a corda africani come la kora.

    Le percussioni e il piano di Gareth Gale, insieme al basso e al violoncello di Kieran Smith, completano l’ensemble in stu-dio, senza dimenticare le pre-stigiose partecipazioni di Piers Faccini e dell’amico Guy Buttery, con il quale divide spesso il pal-co nei suoi tour com’è accaduto quest’ultimo settembre al festival internazionale Madame Guitar di Tricesimo in provincia di Udine.

    Fin dalla prima traccia “A Hou-

    se Across The River”, compreso “Nieu Bethesda” all’odor di Ben Harper, in tutti i brani è sempre presente una leggera vena ma-linconica, maggiormente carat-terizzata dal particolare timbro vocale che ci riporta alla mente un certo Nick Drake (“My Little Singing Bird” è illuminante sotto quest’aspetto, grazie anche alla presenza di un violoncello nel de-licato arrangiamento) o il primo Cat Stevens (“Once I Climbed A Lion Mountain” sembra estratta da Teaser and the Firecat) .

    Quella di van der Spuy è una musica che mira prima di tutto al cuore, che all’influenza della musica anglosassone bianca as-socia le forti radici della musica corale Zulu, il tutto riproposto con una veste acustica e molto intimi-sta.

    Alfonso Giardino

    Béla Fleck and the Marcus Ro-berts Trioacross the imaginary divideRounder/EgeaMusic

    Già da tempo Béla Fleck ci ha abituati al suo newgrass, quel-la forma di bluegrass cosiddetto progressivo con marcati elementi swing. E i musicisti di area jazz-fusion con i quali ha dato vita al suo gruppo più famoso, i Fleckto-nes, stanno lì a dimostrarlo.

    Ma qui si sta prendendo in con-siderazione un jazz neoclassico, che recupera gli elementi migli-ori del primo jazz adulto, quello di Thelonious Monk, Art Tatum, Duke Ellington, lo stesso George

    Gershwin. Può il bluegrass in-contrare questo jazz? Ebbene sì. Ancora una volta le sonorità del banjo di Fleck trovano la chiave giusta per entrare in un mondo solo apparentemente lontano e sconosciuto.

    La cronaca ci racconta di quella sera in cui il grande banjoista si reca al Savannah Music Festival solo per ascoltare il pianista Mar-cus Roberts, di essere invitato sul palco per suonare con la band, e… che la cosa ha maledetta-mente funzionato! Un anno dopo Béla Fleck e Marcus Roberts ac-cettano di esibirsi ufficialmente insieme per la prima volta proprio al Savannah Music Festival.

    Il trio di Marcus Roberts, nato nel 1995, è un ensemble, si di-ceva, d’impostazione classica, dallo stile melodico, ma allo stes-so tempo pieno di contrasto di-namico. Oltre al pianista leader, che ha iniziato la carriera nella big band del trombettista Wyn-ton Marsalis, il trio conta Rodney Jordan al contrabbasso e Jason Marsalis (sì, la famiglia è la stes-sa di Branford e Wynton) alla bat-teria, una ritmica di gran classe.

    Dal canto suo Béla Fleck è da tempo riconosciuto come il più importante virtuoso di banjo del mondo. Ha letteralmente re-inventato l‘immagine e il suono del banjo attraverso una carriera straordinaria e una serie di pro-getti musicali innovativi.

    Come questo Across The Ima-ginary Divide, naturale seguito dell’esperienza positiva degli in-contri al Savannah Music Festi-val.

    Un disco divertente, fresco, brillante, dove la maestria tecni-ca, i funambolismi stilistici non sempre naturalmente contigui e la grande cantabilità s’intrecciano magistralmente. I due leader sembrano suonare insieme da una vita. A volte, come in „Petu-nia“, il terreno comune del blues richiama entrambi ad un’intesa ancestrale; in altri casi, come in „Kalimba“, va reinventato tutto,

    rc recensioni

  • 13

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    c’è da dissodare un terreno ver-gine che porta verso scenari ar-monici e ritmici assolutamente inediti. Naturalmente c’è anche lo swing tradizionale, che riporta il banjo di Fleck ad accenti più ‚do-mestici‘, pur se comunque non proprio consoni alla sua gram-matica originaria, ma con il risul-tato comunque di essere sempre credibile, sempre dentro il pezzo.

    Una bella prova discografica dove il virtuosismo è sempre al servizio della classe, del grande gusto musicale.

    Gabriele Longo

    Massimo Variniurban guitarKymotto Music

    Chi conosce Massimo capirà subito che in questo nuovo CD c’è dentro tutta la sua vita, un la-voro in qualche modo riepilogati-vo di un lungo percorso, un som-mario di eventi che descrivono la storia di questo musicista che ha fatto della chitarra la propria arte e il proprio mestiere.

    Urban Guitar è un viaggio alla scoperta di mondi diversi non sempre contigui od omogenei, ma che hanno alla base le sei corde e la maestria interpretativa di Varini. La chitarra si presenta sia nuda che vestita della voce di Rossella Zanasi, una voce grintosa e determinata che com-batte ad armi pari con la tecnica chitarristicha di Massimo. “Luce”, “Sign Your Name”, “Smooth Ope-rator”, “Come Together” sono i brani cantati, che danno a que-sto lavoro un’impronta diversa dai precedenti e aprono il CD a

    un pubblico più vasto, che difficil-mente tollererebbe un disco solo suonato. Quello di non ‘annoiare’ è un vecchio problema dei chitar-risti acustici, e questi inserimenti cantati danno a tutto il percorso d’ascolto una piacevole diversità.

    Descrivere brano per brano le emozioni di ogni singolo pezzo sarebbe complesso e il giudizio sarebbe troppo personale. Certo è che durante l’ascolto si crea-no delle preferenze legate alle proprie esperienze e ai propri gusti: io per esempio reputo un bel gioiello “When the Castles Crumbled” (composto la notte del terremoto in Emilia), un brano nel quale ho trovato molta italianità, molte citazioni – forse inconsce – della musica di Piovani. Sarà questione di gusti, ma le cose più ‘romantiche’ di Varini sono quelle che mi catturano di più: sembra proprio che in quei brani Vari-ni trovi la sua giusta lunghezza d’onda comunicativa. Neanche una nota si perde e alla fine del brano ogni singola nota suonata la ritrovi dentro di te, conservata nel giusto ordine pronta a esse-re riassaporata dalla memoria. “Leonanna” è un altro pezzo im-portante della vita del chitarrista, un brano in cui il cuore scivola attraverso le mani bagnando le corde della chitarra di passione e amore.

    Questo lavoro restituisce a Massimo la sua dimensione pop, che è un po’ all’origine di una così lunga carriera: un CD auto-biografico, che evidenzia le diver-se esperienze musicali maturate negli anni e che qui ritrovano un giusto momento di riflessione. In effetti questo disco lo trovo molto ‘da palco’, molto suonato, molto ritmico, deciso e aggressivo. “Il mio mondo è in Do settima” è un esempio di set live, che identifica questa voglia di spettacolo e di musica dal vivo. Che il ‘vecchio’ rocker sia tornato tra noi armato di una chitarra acustica?

    Registrazione e suono come sempre impeccabili.

    Reno Brandoni

    Finazguitar SoloMojito Records

    Finaz, la ‘chitarra virtuosa e solitaria’ della Bandabardò, si ci-menta in un disco di sola chitarra acustica. Ed è sempre un gran piacere quando un chitarrista proveniente dal mondo dei grup-pi e della musica pop e rock si avvicina al mondo della chitarra acustica, un mondo che rischia a volte di rinchiudersi in se stesso e nel quale elementi esterni pos-sono portare tutta l’energia che deriva da una maggiore consue-tudine con un rapporto vivo con il pubblico. Questo è tanto più vero nel caso di un musicista della Bandabardò, da sempre una delle band più attive nel cir-cuito dei concerti dal vivo.

    Come ci si poteva aspetta-re, gran parte di Guitar Solo si esprime in un linguaggio di ‘rock acustico’, che si manifesta tecni-camente attraverso un uso effi-cacissimo del plettro, del plettro unito alle dita e dello strumming. Ma si tratta di un rock acustico che, com’è nelle corde della Bandabardò, assorbe molti ge-neri diversi in uno spirito di con-taminazione, attraverso citazioni e sviluppi originali, senza mai di-menticare l’amore per i frenetici ritmi popolareschi e i ritornelli da intonare assieme a squarciago-la. Si va dalla Spagna di “Mala-gueña”, con suoni ispirati all’oud sulle corde di nylon, al flamenco di “Como el sol”; dal Brasile di “One by One”, con l’imitazione del berimbao, a “Tango” e “Ta-rantella”.

    Finaz fa anche un uso esteso dei nuovi stili chitarristici a due mani, del tapping e delle percus-

    rc

  • 14

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    sioni sulla chitarra. E qui viene fuori prepotentemente la sua tecnica notevolissima: a tratti sembra di ascoltare delle so-vraincisioni ma, guardando i suoi video di alcuni di questi brani su YouTube, ci si rende conto che sono effettivamente suonati a solo e in diretta. Il fatto è che Fi-naz riesce sempre a incastonare in modo serrato queste nuove tecniche nell’insieme del brano, in modo sempre funzionale al senso della composizione, sen-za cedere mai alle lusinghe del solo virtuosismo, ma facendolo sempre convivere con la neces-saria energia espressiva. Ascol-tare “Blue Haze”, originale cita-zione dello spirito hendrixiano, per credere.

    Non mancano poi gli esempi di vero e proprio fingerstyle, più vicini al mondo specifico della chitarra acustica. Sono esempi che ripropongono soprattutto i nuovi orientamenti del genere, basati sulle accordature alterna-tive e sulle tecniche percussive, come “51st Street” nella classica accordatura DADGAD dagli ac-centi celtici, o la meno tradizio-nale “New Song” in DADG#AD, che evoca le lezioni di Michael Hedges.

    Insomma un disco molto va-rio, suonato benissimo, che si ascolta con piacere dall’inizio alla fine, grazie anche all’inseri-mento di alcuni brani più intimi e di atmosfera. L’esordio solista di Finaz ha superato brillantemen-te la prova, ma non poteva es-sere altrimenti con una ‘chitarra virtuosa e solitaria’ come la sua.

    Andrea Carpi

    tà, profondità e poesia si incon-trano, con così tanta naturalezza. Brano bellissimo, che – non so per quale ragione (probabilmente la cadenza, visto che non ci sono altri punti di contatto) – trasmet-te qualcosa di quella struggente melancolia cubana che pervade-va un capolavoro come Buena Vista Social Club.

    Quella di Davide Peron è cer-to canzone d’autore di qualità. È evidente, infatti, la lezione nobi-le di grandi maestri tra i quali De André e De Gregori (aggiungerei anche Massimo Bubola – veneto anch’egli – soprattutto per la sua produzione al fianco di De An-dré) nella scelta dei temi (le cose semplici della vita vera, la terra, l’amore, la guerra), nel ‘senso della frase’ (mi riferisco al rap-porto linea melodica/testo), nella scelta di sonorità che spaziano dal blues acustico alla ballad, a certa world music. Lezione prima sapientemente interiorizzata, poi intelligentemente dimenticata – come dovrebbe fare ogni artista – e, alla fine, sublimata in una lingua personale (sia in termini vocali che compositivi) fra le più interessanti tra quelle che si pos-sono ascoltare oggi nel nostro paese.

    Canzone d’autore, dunque, ma soprattutto canzone d’altura. Mu-sica – verrebbe da dire – per le ‘alte vie’. Non è affatto un caso, infatti, che nell’estate 2008 il mu-sicista vicentino abbia dato vita ad un progetto affascinante come “Mi rifugio in tour”, suonando nei rifugi di montagna delle piccole Dolomiti. Per Davide la monta-gna non è semplice sfondo. È ben altro. È fondo. Vale a dire: senso delle cose. Una compagna di viaggio irrinunciabile, grazie

    alla quale è davvero possibile dare il giusto significato alla pa-rola panorama: ‘vedere tutto’. Sì, perché la montagna è così: più sali su di lei, più scendi dentro di te. Un cammino, lento e fatico-so, che è sia ascesa che ascesi. «Ho sbiancato la mia anima col sudore che mi ha lavato il cuo-re», canta nella bellissima “Na stela alpina”. E ancora: «E lassù sulla cima, che mi aspettava da prima ancora che partissi, ho tro-vato una stella alpina che sapeva già tutto di me» (la traduzione è della mia metà di sangue vene-to. Spero che sia buono – il san-gue, intendo – e che non menta). Salendo, dunque, ci si allontana dalla superficie delle cose, per avvicinarsi alla loro sostanza. Dal fenomeno, avrebbe detto qual-cuno, al noumeno. Dall’apparen-za – diciamo noi comuni mortali – all’essenza. Dall’alto, infatti, le cose ritrovano le giuste propor-zioni e noi riusciamo, finalmente, a distinguere cosa e chi conta davvero e cosa e chi, invece, è solo ‘chiacchiere e distintivo’, or-pello, ingombro, ostacolo. Salire per capire, verrebbe da dire. E ascoltare per risalire. E le canzo-ni – quelle buone, almeno – sono montagne rovesciate. «Più le mandi giù, più ti tirano su», come avrebbe recitato un vecchio spot del caffè. Ascoltare per credere.

    Belle le canzoni, belli gli arran-giamenti, bella l’ambientazione ‘unplugged’, bellissime le chitar-re (grazie anche alla sapienza di un certo Andrea ‘Manne’ Balla-rin), bella e profonda la batteria (piena e tonda come nel miglior Bandini), belli i sax, belle le voci: più di così! Che altro dire? Nul-la. Solo: grazie, caro Davide, di averci portati Fin qui. Alla prossi-ma scalata.

    Se, in chiusura, mi è permes-so suggerire un abbinamento, direi che ideale contrappunto di quest’album potrebbe essere Sulla traccia di Nives (Mondado-ri, 2006), straordinario incontro di anime e montagne, firmato da Erri de Luca e Nives Meroi.

    Giuseppe Cesaro

    Davide PeronFin qui www.davideperon.it

    Lo dico subito: anche se que-sto nuovo album di Davide Peron fosse composto da un’unica trac-cia – “Na stela alpina” (non è un errore: il testo è in lingua veneta), ripresa in chiusura da una inten-sa versione corale – varrebbe la pena averlo e ascoltarlo. Rara-mente, infatti, capita di trovarsi ad un crocicchio nel quale semplici-

    rc

  • 15

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Michelangelo PipernoMP3MP Music Production fingerpicking.net

    Nella nostra recensione del metodo Original Compositions, realizzato dal fondatore della scuola Music Academy Roma per fingerpicking.net – Carisch (Chi-tarra Acustica, aprile 2012), ave-vamo scritto, presentandoli, che i brani che lo compongono fanno parte del suo repertorio live: ed ecco che ben otto su nove sono anche in questo suo terzo lavoro discografico. A questi si aggiun-gono due suoi arrangiamenti per omaggiare la canzone d’autore italiana (“Attenti al lupo” di Lucio Dalla e “Vieni via con me” di Pa-olo Conte), una sua composizio-ne di nuova produzione (“Buddy Brothers” ed il groove la fa da prodone) ed un vivace medley in fingerpicking (“Miss Medley”, con “Donna” del Quartetto Cetra e “Amarcord” e “8 ½” di Nino Rota). Con questo suo lavoro Michelan-gelo Piperno conferma di essere in possesso di ottima tecnica, gu-sto ed ispirazione artistica, tutto in egual misura, grazie ai mol-teplici stimoli che la sua intensa attività di didatta e concertista gli offrono.

    Alfonso Giardino

    Matt Eppnever Have i loved like this Acoustic Music Records

    È canadese. Suona la chitarra e l’armonica. Canta. A chi state pensando? No, siete sulla cattiva strada. Anche se non è difficile immaginare che l’accostamento con ‘Nello il Giovine’ potrebbe non dispiacere al buon Epp. Che non è dotato di una tecnica chi-

    BREVI, SEGNALAZIONI, OLDIES BUT GOODIES

    tarristica inarrivabile, tutt’altro. E non ha la classica voce imposta-ta e ‘studiata’. Ma ha qualcos’al-tro: quel leggero alone di magia che impone il silenzio, attorno, quando imbraccia uno strumen-to e si mette a cantare. Anche la produzione in studio è stata mol-to attenta a mantenere questo ef-fetto, sincero e immediato, anche su disco. Bisogna approfittarne.

    Markus SegschneiderHands at Work Acoustic Music Records

    Terzo CD solista del chitarrista tedesco, sempre per la Acoustic di Peter Finger, che mette in bel-la evidenza la maturazione di un ottimo musicista. Markus è un fin-gerstyler duro e puro, in grado di regalare brani eleganti, con belle melodie e un solido impianto di arrangiamento. Ha anche un bel ‘tiro’, cosa che non guasta, e non disdegna un certo ecletismo nella scelta del repertorio e dei gene-ri da affrontare. Manca niente? Pare di no… infatti è un gran bel lavoro.

    Martin Hegelbach Solo Acoustic Music Records

    Ci vuole un gran coraggio per proporre arrangiamenti origina-li di brani di uno dei più grandi compositori della storia. Oltre a una profonda conoscenza del-la materia. Vincitore della prima edizione della “Bach International Competition”, Martin Hegel ha evidentemente grande dimesti-chezza con la musica del grande Thomaskantor. Così come è lam-pante, sin dalle prime note, il soli-do bagaglio tecnico su cui si pog-gia questa impresa. Dalle mani

    del chitarrista berlinese esce un Bach sorprendentemente moder-no e coinvolgente, e la scelta del repertorio è un’ottima ‘scusa’ per scoprirne le composizioni meno note e popolari. Per andare oltre la solita “Bourrée”, insomma, è il disco giusto.

    Sándor Szabó & Dean Magrawreservoir Acoustic Music Records

    Se si prendono un ungherese e un americano (no, non è l’attacco della solita barzelletta), preferibil-mente chitarristi di livello altissi-mo, magari dediti alla sperimen-tazione e all’improvvisazione, e li si chiude in uno studio di registra-zione per qualche giorno, i risul-tati possono essere sorprendenti. Soprattutto se si tratta di Sándor Szabó e Dean Magraw. Certo non si tratta di un disco ‘facile’ e necessita di qualche ascolto, anche piuttosto attento. I brani sono lunghi – si arriva a superare gli 8 minuti in “Cloud” – articolati e complessi. Non c’è niente di prevedibile in un lavoro di questo genere. Ed è proprio il suo bello.

    rc

  • 16

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Fortunatamente, da qualche anno a questa parte, Antonio Forcione si fa vedere più spesso nel nostro paese, anche grazie al felice diffondersi dei festival di chitarra acustica. Lo abbiamo incontrato l’anno scorso a Mada-me Guitar, per due edizioni di seguito a Un Paese a Sei Corde e infine a settembre ad Acoustic Franciacorta, incontro dal quale è scaturita questa intervista. La sua partecipazione alla rassegna in Franciacorta è stata di poco successiva alla presentazione ufficiale del suo nuovo disco Sketches of Africa, avvenuta all’Edinburgh Festival Fringe lungo tutto lo scorso mese di agosto. Sketches of Africa, da noi recensito nel precedente numero di ot-tobre, era un disco molto atteso, poiché giunto dopo parecchi anni dai suoi ultimi lavori, Antonio Forcione Quartet in Concert del 2007, edizione in CD delle registrazioni contenute nel precedente DVD omonimo del 2005, e lo splendido album in duo con Charlie Haden, Heartplay del 2006.

    Da Montecilfone all’AfricaIntervista ad Antonio Forcione

    di Andrea Carpi

    Ora possiamo dire che le aspettative non sono state disattese, visto che questi ‘Schizzi dell’Africa’ si dimostrano un’opera molto ricca e coinvolgente, accolta subito con favore dalla stampa specializza-ta tanto da meritarsi, tra gli altri riconoscimenti, di figurare come “Disco del mese” su questo numero di novembre della prestigiosa rivista inglese Guitar Techniques. Insieme all’intervista, Antonio ci ha an-che concesso la pubblicazione di una trascrizione molto completa, con tanto di parti percussive e so-vraincise di chitarra, del brano di apertura dell’al-

    bum, “Madiba’s Jive”, che presenteremo in due puntate su questo e sul prossimo numero. È con queste parole che Antonio ha introdotto il pezzo: «“Madiba’s Jive” è un omaggio a Nelson Mandela, un uomo tra gli uomini, che ha ispirato e combat-tuto per intere generazioni di persone con la sua visione e la sua umanità. In questa traccia volevo fondere gli elementi che, a mio parere, sarebbero stati appropriati per descrivere l’aspetto umano di questo grande uomo. Anche se lui è principalmente associato alla dignità, alla saggezza e alla grazia,

    ar artisti

  • 17

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    ho cercato di catturare con semplicità il suo umori-smo e il suo sorriso nel groove della musica, come la positività che mi ispirava». Questa descrizione, in fondo, vale anche per l’intero Sketches of Africa.

    in occasione di un tuo concerto di due estati fa nel tuo paese d’origine in Molise hai raccontato: «avevo circa otto anni quando, passeggiando per le strade di Montecilfone sono stato attratto dalla musica che veniva fuori da un’osteria, una classica osteria con gli uomini che giocavano a carte e bevevano vino e due musicisti con fi-sarmonica e chitarra. Ecco, sono rimasto colpi-to da quell’atmosfera fantastica fatta di allegria e musica. È questa stessa atmosfera che cerco sempre di ricreare nei miei concerti dovunque io vada, perché credo fermamente nel potenziale sociale della musica». Quanto è stata importan-te l’africa di Sketches of Africa per mantenere vivo questo potenziale sociale?

    Il primo invito a suonare in Africa mi è arrivato nel 2006 dall’Harare International Festival of the Arts (HIFA) nello Zimbabwe, dopo un’esibizione del mio Antonio Forcione Quartet al Festival di Edimburgo. Sapevamo che lo Zimbabwe stava attraversando un periodo particolarmente difficile ma, nonostan-te il rischio e i pochi soldi disponibili, abbiamo ac-cettato l’invito. Sono seguiti due bellissimi concerti sotto le stelle, in una specie di ‘anfiteatro’ di mille posti costruito su una struttura semplice di travi di legno, con cavi di corrente pericolosamente colle-gati e uno staff di tecnici simpatici, che lavoravano con ritmi molto lenti. Ad un certo punto in concerto, durante il mio solo di chitarra, l’elettricità è andata in black out e ci siamo ritrovati tutti al buio senza luci e senza impianto di amplificazione. A quel punto, non potendo continuare, ho salutato e mi sono di-retto verso il retropalco. Mentre uscivo, però, mi è sembrato sbagliato abbandonare la scena e lascia-re il pubblico alle precarietà del sistema, così sono tornato indietro e mi seduto sul bordo del palco in-vitandoli a schioccare le dita al ritmo della “Pantera rosa” di Henry Mancini. Be’, non vorrei esagerare, ma la reazione del pubblico è stata immediata: im-provvisamente si era creata una complicità in un gioco collettivo tra me e il pubblico, dove la musica fungeva da veicolo e la precarietà del buio si è tra-sformata in magia sotto le stelle. Un rito antico che mi ha ricordato quell’energia dell’osteria di tanti anni prima… Un’esperienza che non dimenticherò mai. È stata la bellezza e la forza di quella gente che mi ha ispirato a scrivere il brano “Song for Zimbabwe” per Sketches of Africa.

    a proposito di un altro brano del disco, “tari-fa”, ispirato dalla località che si trova nella punta più meridionale della Spagna, hai raccontato la grande emozione che aveva suscitato in te la vi-sta in lontananza delle coste dell’Africa. Avendo già abbracciato altri universi musicali come la musica spagnola, brasiliana, popolare italiana,

    cosa hai trovato su quelle rive lontane, com’è avvenuto l’impatto tra il tuo retroterra prevalen-temente latino e la musica del continente afri-cano?

    Posso dire che le lancette della bussola dei miei viaggi puntano spesso e volentieri verso le direzioni di una musica che cerca le radici. L’Africa la sento come la madre di tutto questo. Ho la fortuna di vive-re a Londra da circa trent’anni e ho potuto verificare direttamente gli intrecci musicali di tutto il mondo e la validità di questa idea. Nella musica, diversamen-te dalla realtà politica, le frontiere non esistono e c’è un po’ di Africa in ogni cultura.

    l’ossatura dell’album è realizzata con i com-ponenti dell’Antonio Forcione Quartet, la vio-loncellista inglese di origini nigeriane Jenny adejayan, l’australiano nathan thomson al con-trabbasso, flauti e kalimba, e il brasiliano adria-no adewale alle percussioni: puoi raccontarci come si è formato questo gruppo di ‘musica del mondo’ e come è entrato nel progetto africano?

    Ho conosciuto Jenny Adejayan nel ’96-97 durante un evento a Londra, nel quale si alternavano mu-sicisti, umoristi e poeti. Quella sera le ho dato un passaggio a casa e regalato il mio album Acoustic Revenge. L’ho rivista un anno più tardi in occasio-ne di un mio concerto, e mi ha confessato di aver letteralmente consumato il mio CD per le tante volte che lo aveva ascoltato. Poco dopo abbiamo a pro-vare insieme e da lì è nata una delle collaborazioni più durature della mia carriera. Jenny non è sol-tanto una grande violoncellista con un’educazione musicale classica, un orecchio assoluto e capacità melodico-ritmiche impressionanti. Jenny è anche una gran bella persona, con una sensibilità, umiltà e onestà disarmanti, una delle mie amiche più care.

    Il tocco bellissimo di Adriano l’ho intuito mentre viaggiavamo in macchina ascoltando la sua musica registrata… Rimasi talmente colpito dalla delicatez-za del suo stile e dall’affinità che sentivo col mio modo d’intendere la musica, che ho voluto cono-scerlo immediatamente. È nato subito un bel rap-porto con lui e lo sento come un fratello più piccolo. La sua energia e la passione per il suo lavoro lo rendono un artista speciale. La sinergia che si crea

    Con la chitarra Uddan

    Intervista ad Antonio Forcione ar

  • 18

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    sul palco con lui rende la performance un’esperien-za elettrizzante.

    Riguardo a Nathan, Jenny mi parlò molto bene di lui, con il quale aveva lavorato qualche anno prima. Lo contattai e cominciammo a registrare l’album Tears of Joy. Per la sua estrema riservatezza, ho scoperto con fatica altre sue doti: suonava bene il flauto, aveva un bagaglio di esperienza di musica africana e di radici etniche, aveva vissuto e suonato con musicisti della Tanzania; in ultimo, ma non per minore importanza, si dedica ad attività di recupe-ro di bambini con difficoltà psichiche e motorie. Lo ringrazio per avermi coinvolto insieme agli altri in questa attività.

    al disco hanno collaborato anche musicisti provenienti da diverse parti dell’Africa. In parti-colare sono curioso di conoscere come si è svi-luppata la già citata “Song for Zimbabwe”, inter-pretata dalla cantante dello Zimbabwe, chiwoni-so Maraire, e costruita su un suo testo.

    Durante la mia prima visita al Festival di Harare, ho avuto l’occasione di ascoltare molta musica del posto e di conoscere, tra i tanti musicisti, la bravis-sima cantante Chiwoniso Maraire. Dopo un suo bel-lissimo concerto, siamo andati in un caffè e abbia-mo parlato di interessi comuni, quindi ovviamente di musica e musicisti. Quando ci siamo salutati, mi ha regalato un CD stupendo di materiale originale. Al ritorno ad Harare nel 2011, avevo già pronto quasi tutto il materiale per il progetto Sketches of Africa. Sentivo però il bisogno che Chiwoniso cantasse il brano “Song for Zimbabwe”, in quanto lei – non solo come artista di cui apprezzavo le doti, ma avendola conosciuta personalmente – aveva un forte valore di riferimento per rappresentare il meraviglioso po-polo dello Zimbabwe che avevo conosciuto.

    Mi chiese un po’ di tempo per scrivere le paro-le e disse che mi avrebbe contattato più in là per spedirmi le tracce con le voci. È stato un giorno di pura gioia per me e il co-produttore Chris Chimsey, quando abbiamo ascoltato le tracce della sua regi-strazione.

    altri musicisti africani sono Seckou Keita del Senegal all’arpa-liuto kora, Juldeh camara dal gambia al violino monocorde riti e il cantante sudafricano Zamo Mbutho. Ci puoi raccontare il tuo incontro e la tua collaborazione con loro?

    Ho conosciuto Seckou Keita tramite il contrab-bassista Davide Mantovani. L’ho invitato a casa per una jam e abbiamo suonato per ore ininterrotta-mente, sembravamo come due bambini in un luna park. Così abbiamo deciso di mettere su un reper-torio e, poco dopo, abbiamo debuttato in una chie-sa sconsacrata qui a Londra, una bella esperienza da ripetere al piu presto. Infatti, nel 2011, ci siamo presentati insieme ad Adriano Adewale al Festival di Edimburgo come AKA Trio. I concerti sono sta-ti molto apprezzati dai critici e dal pubblico, culmi-nando in una apparizione nella rete nazionale della BBC.

    Per quanto riguarda Julde Camarah, una sera al ritorno da un concerto, il mio fonico mi parla di un musicista del Gambia che suona un violino ad una corda… Fermo subito la macchina e chiedo il suo contatto! Vive in Inghilterra e tra l’altro ha lavorato anche con Robert Plant. Lo contatto e gli propongo di registrare un paio di brani nel mio album, “Africa” e “Sun Groove”. In studio la sua perplessità iniziale, che avvertivo nel suo sguardo, si scioglie poco dopo in un grande sorriso durante l’ascolto di “Africa”. Si siede, parte la registrazione e lui comincia subito a partecipare con movimenti del corpo, mentre dal

    Festival di Edimburgo con Anselmo Netto, Matheus Nova e Mother Africa

    Intervista ad Antonio Forcionear

  • News ByFingerPrint

    Peter FingerWorks, vol. 1Guitar Workshop Order No. FP 8125 v 24,90Book + CD, 128 p., notation and tabs

    A book and CD to play along with, to be inspired by, but above all - to enjoy!

    w w w . a c o u s t i c - m u s i c . d e

    this volume brings together thirteen of Peter Finger’s finest pieces, com-positions which originated in the course of his travels, at home, or in the recording studio. thoughts and experiences, translated into the language of music. this makes “Works” an extremely personal opus, a kind of musical autobiography which leaves the reader eager for a sequel.As well as detailed depictions of all pieces in musical notation and tabla-ture, with clear directions for fingerings and playing techniques, this volume includes for the first time transcriptions of the improvised passages, thus making them understandable and above all playable for other guitarists.

    24,90 v

    Come to My Window • Dream Dancer • Liebeslied • We’ll Meet Again • Passing Clouds • Niemandsland • Unvergesslich • Onkel Frédéric • Vive la vie • Over the Horizon • Ballad for a Princess • Sinn ohne Worte • Vielleicht im nächsten Leben

    Acoustic Music GmbH & Co. KGPostfach 19 45 · 49009 Osnabrück · Germany

    tel.: +49-(0)5 41 - 71 00 20 · Fax: - 70 86 67email: [email protected]

    suo ‘violino’ partono fraseggi di un linguaggio estre-mamente espressivo e privo di regole, bellissimo e indecifrabile. Sempre durante la registrazione, io e Chris rimaniamo ancora piu stupiti quando Julde abbandona il violino e comincia, ad occhi chiusi, a parlare in un dialetto africano: ci spiegherà dopo che era per raccontare l’emozione del momento che stava vivendo con noi, in una dimensione ‘ritrovata’.

    Infine Zamo Mbutho: ero in uno studio di regi-strazione a Johannesburg, alla ricerca di una voce idonea per la parte del coro di “Song for Zimbab-we”; mi fanno ascoltare diverse voci e mi colpisce in particolare quella di Zamo. Ho la fortuna di poterlo contattare e nel giro di due ore concludiamo il la-voro con reciproca soddisfazione. Vengo a sapere, chiacchierando con lui, che per più di venticinque anni ha lavorato con Miriam Makeba in tournée e registrazioni!

    l’album è registrato e co-prodotto da chris Kimsey, notissimo in particolare per avere a lun-go collaborato con i Rolling Stones. Come si è svolto il vostro lavoro insieme?

    Io e Chris Kimsey siamo amici da più di sette anni e abbiamo diverse conoscenze in comune. Quando mi ha sentito suonare dal vivo la prima volta, ricor-do che alla fine del concerto venne in camerino per complimentarsi e mi abbracciò. In seguito ci siamo visti in più occasioni e, ogni volta, ci riprometteva-mo di collaborare. Così, un anno fa, l’ho chiamato senza esitare e gli ho proposto il progetto. Collabo-rare con un mostro sacro del rhythm and blues può sembrare un po’ contraddittorio per uno come me che opera in una dimensione acustica. Però, devo dire che la sua concezione di sintesi, com’è quella del R&B, è stata a mio parere un giusto equilibrio per il progetto Sketches of Africa. La professionalità e la lunga esperienza di Chris mi hanno permesso di ‘volare in alto’, sapendo di avere un tecnico con i piedi ben saldi per terra e le mani sui tasti giusti.

    nel disco si ascoltano molti riff, molta melo-dia, molto ritmo, alcune divisioni ritmiche com-plesse, molte sonorità diverse: quali sono stati gli elementi principali con cui hai cercato di cat-turare lo spirito delle musiche africane?

    La musica ‘africana’, come quasi tutte le musiche etniche, muove qualcosa che non ha molto a che fare con gli studi musicali. È qualcosa di sofisticata-mente primordiale, è una lingua parlata con il corpo, con lo spirito e con un’istintualità infantile, che mi af-fascina e coinvolge per la profondità emozionale…

    È difficile ormai collocare il tuo stile chitarri-stico: in effetti c’è un po’ di tutto, dal fingerstyle all’uso del plettro, dagli stacchi ritmici agli as-soli, dalle corde di nylon alle corde di metallo, dalla sei corde alla dodici corde, dai fraseggi ‘stoppati’ all’uso di chitarre fretless… come ti definiresti oggi come chitarrista?

    Non saprei proprio definirmi come chitarrista. Non lo sento come un mio bisogno. Per me, comunque,

    19

    chitarra acustica 11 duemiladodici

  • 20

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    l’uso di tecniche, gli strumenti, gli stili diversi non sono l’obiettivo vero, ma appunto gli ‘strumenti’ che ritengo più idonei di volta in volta a inseguire un’i-dea musicale che ho in mente.

    la tua ‘portata’ come musicista tende a trava-licare i limiti di un pubblico di appassionati della chitarra e a toccare una platea più vasta: qual è il segreto attraverso il quale un chitarrista ‘soli-sta’ può raggiungere ogni tipo di pubblico?

    Non so e non credo ci siano formule. Io non faccio altro che inseguire il mio istinto e il mio senso artisti-co. Il fatto di voler raggiungere ogni tipo di pubblico non è certo un mio obiettivo, anche se non nascon-do che – quando vedo tre generazioni coinvolte nei miei concerti – mi fa molto piacere scoprire che la mia musica tocca molte persone.

    ci puoi parlare della tua strumentazione in studio e dal vivo?

    In studio tendo a privilegiare molto di più il suono acustico rispetto a quello dei pickup. Quindi cerco di fare un buon uso di microfoni esterni, di solito due, come il Neumann o l’AKG 114, posizionati l’uno vi-cino alla buca e l’altro vicino al dodicesimo tasto. Premetto, però, che queste non sono regole che valgono per tutte le occasioni e per tutte le chitarre. È sempre bene usare l’orecchio. A volte, per dare un po’ più di presenza sui medio-bassi, aggiungo un venti per cento di pickup al suono microfonico. Nel caso della registrazione del brano “Madiba’s Jive” ho utilizzato due microfoni esterni, un Fishman Rare Earth e un Boss Super Octave OC-3 per arric-chire le linee di basso.

    Dal vivo uso chitarre Yamaha: una NCX-2000FM con pickup Yamaha e microfono interno; e una

    APX-10 con pickup Yamaha SPX-10, Fishman Rare Earth e microfono interno. La mia pedaliera com-prende un pedale volume Boss FV300L, un Boss Super Octave OC-3, un Fishman Pro EQ Platinum per il pickup, un Fishman Dual Parametric D.I. per il microfono interno e un riverbero Strymon Bluesky.

    in particolare cosa sono le admira uddan e Octan fretless che usi nel disco? Cosa signifi-cano i loro nomi?

    L’idea di avere uno strumento fretless mi è venuta dopo aver ascoltato il suono dell’oud, che ha origini risalenti all’antica Persia. La chitarra Uddan è una chitarra a sei corde di nylon modificata, con l’ag-giunta di altre otto corde trasversali. L’Octan è a sua volta una chitarra a sei corde di nylon modificata, senza corde supplementari e con corde molto più grosse, per ottenere un’accordatura all’ottava infe-riore. Lo strumento è stata rinforzato internamente perché le corde, essendo molto più spesse, produ-cono una maggiore tensione sul manico e sulla cas-sa armonica. Il nome Uddan è composto da ‘udd’, che sta per ‘oud’, e da ‘an’, che sono le due prime lettere del mio nome. Il nome Octan invece è com-posto da ‘oct’, che sta per ‘octave’, e ‘an’.

    con che formazione hai presentato Sketches of Africa all’edinburgh Festival Fringe?

    Il Festival di Edimburgo è l’appuntamento più im-portante dell’anno per la mia attività. Ho partecipato a circa diciannove edizioni negli ultimi ventun’anni ed è stato senza dubbio la mia miglior palestra, non solo dal punto di vista artistico, ma anche di vita. La scelta di presentare il mio album Sketches of Africa al mio pubblico più fedele in un teatro di trecento-settanta posti per ventiquattro sere consecutive era una decisione più che ovvia. Ho suonato all’inizio in trio con Seckou Keita alla kora e Dado Pasqua-lini alle percussioni, che mi hanno accompagnato per undici serate. Poi ho continuato con un nuovo trio insieme ad Anselmo Netto alle percussioni e Matheus Nova al basso acustico. E abbiamo avuto anche la fortuna di ospitare artisti provenienti dallo Zimbabwe e dal Sudafrica, ospiti speciali come le cantanti e ballerine del gruppo Mother AfricaUn’e-sperienza indimenticabile.

    a cosa stai lavorando attualmente e quali sono i tuoi prossimi progetti?

    Sto lavorando a un progetto che mi coinvolge come direttore artistico, arrangiatore e chitarrista. La lineup comprenderà il coro delle Voci Bulgare, un percussionista spagnolo, un cantante di flamen-co e un famoso contrabbassista… Ti saprò dire di più quando le cose cominceranno a prendere for-ma!

    Andrea Carpi

    www.antonioforcione.com

    Festival di Edimburgo con Mother Africa

    Intervista ad Antonio Forcionear

  • 21

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Madiba’s Jivedi Antonio Forcione

    dall’album Sketches of Africa (parte I)

    Chitarra acustica steel-stringAccordatura standard – Capo IIIN.B.: la tablatura è scritta come se il terzo tasto fosse il tasto 0Video: http://www.youtube.com/watch?v=LJSxY-5YePI

    ar

  • 22

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Madiba’s Jivear

  • 23

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Madiba’s Jive ar

  • 24

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Madiba’s Jivear

  • 25

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Madiba’s Jive ar

  • 26

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Madiba’s Jivear

  • 27

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Madiba’s Jive ar

  • 28

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Quando penso a Veronica Sbergia e a Max De Bernardi mi arriva subito un ‘segnale’ positivo. A dire il vero niente di così strano, considerata la simpatia che sono in grado di trasmettere durante i loro concerti e non solo, ma… non lasciamoci ingannare! Dietro a questa facciata un po’ ironica e scanzonata si nascondono, neanche troppo velatamente, due grandi musicisti, due artisti autentici che, al contrario di molti altri, non concedono alcun compromesso nel (ri)proporre un genere che sembra essere ormai parte di loro, allo stesso modo dei grandi ai quali si ispirano. E tutto questo con una naturalezza quasi imbarazzante. L’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana è sempre una grande occasione di incontri ma, complice un maledettissimo microregistratore digi-tale che ha fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per riuscire a cancel-lare questa intervista, recuperati i file miracolosamente, con un po’ di ritar-do vi propongo questa chiacchierata. Ora provate a immaginare il classico marasma acustico di sottofondo che accompagna solitamente le giornate dell’AGM… intanto io schiaccio ‘Play’, si parte!

    Vecchie storie per tempi moderniIntervista a Veronica Sbergia e Max De Bernardi

    di Dario Fornara foto di Mario Giovannini

    ar artisti

  • 29

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    ciao Veronica e ciao Max, ormai siete di casa qui all’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana. Vista l’abituale frequentazione, penso siate partico-larmente legati a questa manifestazione.

    Max: Si è vero. Penso sia il decimo anno che par-tecipo a questa manifestazione! A volte mi definisco ‘musicista in affitto’ e in passato ci sono venuto an-che come dimostratore di strumenti. Ma a Sarzana si viene soprattutto per proporre la propria musica, per presentare i propri lavori… e poi qui si fanno conoscenze, si mantengono e si creano rapporti, nascono collaborazioni. Un chitarrista acustico non può non esserci!

    Pagato il giusto tributo all’agM, partiamo dal-la fine: Old Stories for Modern Times è il vostro ultimo lavoro; intanto, complimenti! com’è nato questo progetto?

    Veronica: All’inizio pensavamo semplicemente di fare un disco in duo, solo Max e io, un lavoro per an-dare a riscoprire quelle che erano state le voci fem-minili folk-blues ’minori’, intese come popolarità, ma importanti per la storia di questa musica. Artisti che, per scarsità di materiale, ancora oggi sono quasi sconosciuti. Durante la realizzazione abbiamo però cambiato leggermente direzione: alcuni brani del progetto iniziale sono rimasti, ma abbiamo deciso di inserire anche la musica di quei personaggi fonda-mentali della musica che amiamo, quindi di propor-re un excursus di tutta quella che è la vecchia tradi-zione americana, con il blues, il folk, il ragtime… la musica delle radici.

    Max: E poi scopri che nelle vecchie storie, raccon-tate da questi artisti, c’è anche tanta attualità, quindi povertà, mancanza di soldi e di lavoro: alcune can-zoni del CD parlano di queste cose e sono passati ottant’anni!

    Vorrei soffermarmi sul ‘suono’ di questo cd: avete adottato delle tecniche di registrazione particolari per ricreare quest’originale sonorità old-time music che caratterizza l’intero lavoro?

    Max: Guarda, in realtà noi non siamo poi dei ma-niaci del vintage a tutti i costi, il titolo stesso del di-sco ne è una dimostrazione. Sicuramente ci interes-sano le sonorità acustiche, nessuno degli strumenti che suonano sul disco e stato ‘pluggato’, abbiamo registrato solo dei suoni naturali. Cerchiamo, però, di essere moderni e di proporre una versione di queste sonorità sicuramente più attuale. La regi-strazione è avvenuta sfruttando la tecnologia digi-tale, ma tutto è stato poi riversato su nastro, per poi terminare il missaggio in mono di nuovo sul di-gitale. Il missaggio in mono non vuole ricreare una timbrica vintage, lo abbiamo utilizzato per riuscire a ottenere una sonorità più compatta e diretta, che ci permettesse di ottenere una maggiore spinta e un

    maggiore groove, una dimensione che reputo ne-cessaria soprattutto a chi suona in duo come noi.

    Si possono ascoltare gli interventi di alcuni ospiti illustri come bob brozman, leo di gia-como, Massimo gatti: come sono nate queste collaborazioni? immagino vi accomuni una cer-ta amicizia…

    Veronica: Come nel progetto The Red Wine Se-renaders, anche qui ci siamo ritrovati soprattutto con degli amici. Ad esempio abbiamo chiesto a Massimo Gatti, che conosciamo da tempo, e a Leo Di Giacomo di suonare su una traccia, “Some of These Days”, un brano che abbiamo definito gipsy grass per il tipo di arrangiamento un po’ alla Django Reinhardt abbinato a sonorità marcatamente blue-grass. Abbiamo chiamato Sugar Blue, con la sua armonica, e poi il grande Bob Brozman, del quale vorremmo fregiarci del titolo di amici, anche se in realtà abbiamo avuto modo di suonare insieme solo in qualche occasione: una persona gentilissima che ha espresso dei pareri molto lusinghieri su di noi… è stato un vero onore la sua partecipazione a que-sto lavoro. Poi c’è Dario Polerani, un carissimo ami-co contrabbassista che collabora con Max, penso, dall’età scolare!

    che strumenti avete usato durante le registra-zioni?

    Max: Abbiamo utilizzato davvero parecchi stru-menti in questo disco. Per un vecchio pezzo di Jimmie Rodgers, “Miss the Mississippi and You”,

    Intervista a Veronica Sbergia e Max De Bernardi ar

  • 30

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    abbiamo rispolverato un glockenspiel… e poi una vecchia Dobro square neck con una sonorità tipica-mente hawaiiana, una Martin 000, alcune National resofoniche; abbiamo utilizzato il kazoo e la wa-shboard, la tipica ‘asse da lavare’ che Veronica usa creando questa sua sonorità molto simile a quella di un rullante, suonandola con le spazzole e ottenen-do un suono molto più morbido rispetto all’originale, realizzato con i ditali e con una componente timbri-ca molto più percussiva. Poi, ancora, una chitarra tenore resofonica National, uno strumento alquanto atipico al giorno d’oggi, un modello molto raro del 1933; e svariati mandolini e ukulele di varie epoche. Le session delle registrazioni sono avvenute nell’ar-co di circa sei mesi e, a dire il vero, non mi ricordo neppure tutto!

    ascoltando il cd, ma soprattutto ascoltandovi dal vivo, si rimane sinceramente stupiti sia per la naturalezza, sia per la ‘credibilità’ con la quale proponete un genere che – almeno virtualmen-te, per localizzazione sia fisica che temporale – dovrebbe essere a voi molto lontano…

    Veronica: ...Ma che bella domanda! Davvero… [risate]

    Max: Quando ho iniziato a suonare la chitarra, mi sono subito innamorato di queste sonorità acu-stiche e mi sono messo a imparare il fingerpicking tradizionale. Direi, molto semplicemente, che vole-vo suonare questo genere e farlo in questo modo.

    Intervista a Veronica Sbergia e Max De Bernardi

    L’apprendimento è stato un processo molto natu-rale, perché era veramente quello che desideravo fare. Questa cosa non dipende dall’appartenenza a una certa cultura, la stessa identica cosa può ca-pitare, e capita allo stesso modo, a un chitarrista americano, magari con influenze differenti vista la distanza spazio-temporale. Ho imparato tutto dai di-schi, e parlo di vinili anche vecchissimi [non ne ave-vamo dubbi, Max! – ndr]: mi sono ‘tirato giù’ di tutto, veramente, molte cose me le sono dovute reinter-pretare, ma così facendo le ho fatte veramente mie.

    Veronica: Sono cresciuta con la musica ‘nera’! Mio padre è un grande appassionato di jazz e ho avuto un’educazione musicale che mi ha avvicina-to, sin dagli inizi, alla musica americana. Ho iniziato a studiare canto quando ero molto piccola e il mio modo di cantare è sempre stato in continua evo-luzione. Anche rispetto alle prime registrazioni con Max, riascoltandomi oggi mi trovo quasi irriconosci-bile! Più canti questo tipo di musica, maggiormente entri nel suo spirito, lo interiorizzi e ne diventi parte. Mi fa piacere che tu abbia notato questa ‘naturalez-za’ perché è uno dei nostri obiettivi, uno dei più diffi-cili da far arrivare alla gente che ci ascolta. Diciamo che, a distanza di anni, si è creata un po’ questa osmosi e oggi siamo veramente ‘dentro’ la musica che suoniamo.

    Ma riuscite a staccarvi da tutto questo nella quotidianità della vita? È difficile pensarlo.

    ar

  • 31

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Intervista a Veronica Sbergia e Max De Bernardi

    Veronica: No, no, noi siamo proprio così! La no-stra vita s’incastra continuamente con la nostra mu-sica, e viceversa!

    Max: La musica è talmente parte del quotidiano che a volte non mi rendo neppure conto della sua presenza. Anche con Veronica, nei nostri discorsi, c’è sempre qualcosa, un pensiero, un’idea legata alla musica o comunque qualcosa che ne è influen-zato. La musica è una parte di me, e non ci faccio più caso!

    Max, il blues è una malattia o una medicina?Max: Ma, guarda, onestamente non credo che sia

    né una cosa né l’altra! Sono lontano dallo stereotipo e dall’idea un po’ romantica della tristezza legata al blues. Quando sono triste non ascolto solitamente un disco di blues e soprattutto non ci soffro insie-me! Potrei mettermi ad ascoltare tranquillamente gli Emerson Lake & Palmer! Il blues è la musica che amo, e basta.

    i vostri concerti sono sempre molto coinvol-genti, il pubblico si diverte e sembra sempre apprezzare la vostra proposta musicale: quanto è difficile proporre nel nostro paese il vostro ge-nere al di fuori del circuito delle manifestazioni legate alla chitarra e dei locali specializzati? È così anche all’estero?

    Max: In Italia, molto semplicemente, questa mu-sica non esiste, non è contemplata da nessuna for-

    ma di comunicazione di massa, radio, televisione. La musica, da noi, è un’altra cosa: un’autoradio in macchina con in sottofondo la Pausini, con tutto il rispetto. Da noi si è anche perso soprattutto il gusto di andare a scoprire, magari pagando un biglietto, un musicista poco conosciuto. La gente non ha nep-pure più voglia di informarsi prima su chi sei e cosa proponi. Tutto funziona solo se sei già molto famo-so e popolare. In Inghilterra, in Francia, in Svizzera, la gente che viene ai nostri concerti, magari, non ci ha mai ascoltato, ma si è informata e viene per conoscerci! Una cosa assolutamente normale, ma in Italia è più difficile che accada.

    Due parole sui prossimi vostri progetti.Veronica: Abbiamo in programma parecchie date

    per promuovere Old Stories for Modern Times. Anche nei teatri, dove proponiamo questa sorta di concerto raccontato, cercando anche di spiegare la musica che suoniamo, sempre nel nostro stile un po’ scanzonato, senza assolutamente far sembrare il tutto una sorta di lezione! Ci piace dare, a chi par-tecipa a un nostro concerto, la possibilità di portarsi a casa anche qualche notizia in più su quello che ha ascoltato. Poi suoneremo in Francia e in Inghilterra, e c’è questo progetto di Max interamente dedicato all’ukulele, un CD che s’intitolerà Ukeology, dove comparirò anch’io in un paio di brani!

    Dario Fornara

    ar

  • 32

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Madame Guitar 2012di Andrea Carpi Foto di Riccardo Bostiancich

    Madame Guitar è giunta alla sua settima edizione, da venerdì 21 a domeni-ca 23 dello scorso settembre, e ancora una volta l’art director Marco Miconi è riuscito a superarsi, costruendo un cartellone folto e di grande qualità. Seguendo una tendenza che si era già manifestata nelle ultime edizioni, il festival ha cercato quest’anno di equilibrare il più possibile il livello dei con-certi diurni nel centro cittadino rispetto a quelli serali in teatro, evitando di relegare i primi a eventi di contorno. Non più soprattutto artisti locali e propo-ste ‘emergenti’ nelle esibizioni in piazza, quindi, ma anche musicisti noti, nel tentativo di calibrare le scelte tra i vari generi musicali, individuando gli artisti più adatti a richiamare l’attenzione di un pubblico diurno non pagante e non specificamente motivato, e quelli più idonei nella circostanza attuale ad atti-rare un pubblico pagante, più orientato e determinato. Un pubblico pagante che – Miconi ci ha tenuto a precisarlo – non ha dovuto sopportare aumenti di prezzo, che i maggiori sforzi organizzativi avrebbero potuto giustificare, ma che i morsi crescenti della crisi economica rendevano inopportuni. I concerti diurni, inoltre, si sono tutti concentrati nel collaudato spiazzo antistante il Municipio, sul quale si affacciavano anche le mostre di liuteria e di dischi da collezione, che hanno potuto godere così di un afflusso di visitatori più omo-geneo e meno dispersivo. Ma cerchiamo di andare con ordine.

    Guitar RepublicNibs van der Spuy & Guy Buttery

    Hussy Hicks Andrea Castelfranato

    ar artisti

  • 33

    chitarra acustica 11 duemiladodici

    Guitar Republic. Hanno aperto il festival nel con-certo serale di venerdì e la loro musica è ‘arrivata’ immediatamente agli spettatori. L’efficace idea della formazione in trio, in grado di catturare l’attenzione anche del pubblico meno orientato, rappresenta si-curamente una testa di ponte importante per l’affer-mazione di Sergio Altamura, Stefano Barone e Pino Forastiere. I tre sono abituati a suonare soprattutto all’estero e in particolare in America, ma da qualche tempo a questa parte riusciamo ad ascoltarli più spesso anche nel nostro paese. Del resto, com’è naturale, il loro affiatamento cresce di continuo, la loro performance dal vivo è sempre più collaudata, il loro suono invidiabile. Speriamo che, continuando così, anche il lavoro dei singoli componenti possa suscitare un uguale interesse.

    Nibs van der Spuy & Guy Buttery. Negli ultimi anni sembra essersi creato un filo rosso che unisce Madame Guitar ai chitarristi acustici del Sudafrica: nel 2008, segnalato da Beppe Gambetta, è venuto a suonare Guy Buttery, seguito nel 2009 da uno dei suoi principali ispiratori e icona del fingerstyle su-dafricano, Tony Cox; l’anno scorso ha riscosso un grande successo Nibs van der Spuy, che quest’an-no è tornato insieme a Buttery, complice un bell’al-bum appena inciso insieme, In the Shade of the Wild Fig, già premiato con un prestigioso Silver Ovation Award al National Arts Festival di Grahamstown. I due non sono soltanto degli artisti raffinati, ma an-che delle persone squisite, estremamente disponi-bili, che il mattino dopo il concerto hanno tenuto un incontro sul tema “La musica in e del Sudafrica”, incentrato sulla formazione musicale dei sudafricani di origini europea della loro generazione. Nibs, in particolare, ha raccontato la sua vita emblematica: nato a Johannesburg nel 1966 nel periodo dell’a-partheid, non aveva come riferimento una musi-ca originale della comunità bianca ed è cresciuto ascoltando la musica angloamericana. Sua nonna era nata in Inghilterra e andava ogni anno nel suo paese d’origine, dal quale riportò in quegli anni i di-schi dei Beatles e dei Rolling Stones. Negli anni ’70, la prima musica nera che Nibs ha ascoltato è stata quella di Jimi Hendrix, Little Richard, James Brown, il blues rock. Nel frattempo la nonna era andata a vivere a Durban nella provincia di KwaZulu-Natal a cinque ore da Johannesburg, dove vive la comunità zulu. Nibs ci andava per le vacanze ed è lì che ha ascoltato per la prima volta la musica tradizionale zulu chiamata maskanda, caratterizzata in parti-colare dalle oil drum guitars (chitarre con il corpo ricavato da taniche d’olio) suonate in una forma di fingerpicking. Questa musica, che