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    I contratti 2/2011164

    Giurisprudenza

    Contratti in generale

    Svolgimento del processoLa Banca popolare di Brescia conveniva in giudizio di-nanzi al Tribunale di Brescia C. E. per sentirla condanna-re al pagamento della complessiva somma di L.164.996.308, oltre accessori, per un’operazione a termine(outright) che asseriva essere stata effettuata dalla stessa

    C.E. per il tramite del di lei nipote C.F..La convenuta resisteva alla domanda attrice e in via ri-convenzionale chiedeva la condanna della stessa societàal risarcimento dei danni che asseriva di aver subito inconseguenza della sua illegittima condotta. Chiedevainoltre di essere autorizzata a chiamare in causa A.C. eC.S. a scopo di manleva.Questi ultimi si costituivano a loro volta in giudizio.La Banca popolare di Brescia chiedeva ed otteneva di es-sere autorizzata a chiamare in causa C.F..Con sentenza del 18 ottobre 2001 il Tribunale rigettavale domande proposte dalla società attrice nei confronti diC.E. e di C.F.; rigettava la domanda riconvenzionale pro-

    posta da C.E. nei confronti della stessa Bipop Carire.

    La sentenza era appellata davanti alla Corte d’Appello diBrescia da Bipop Carire s.p.a..Gli appellati contestavano la fondatezza del gravame e nechiedevano il rigetto.L’appellata C.E. in via di appello incidentale chiedeva lariforma dell’impugnata sentenza sul punto delle spese.

    La Corte d’appello di Brescia respingeva l’appello propo-sto in via principale da Bipop Carire accogliendo l’appel-lo incidentale proposta da C.E..Proponeva ricorso per cassazione Bipop Carire s.p.a..Resistevano C.E. e C.F..Quest’ultimo presentava memoria illustrativa ex art. 378c.p.c..

    Motivi della decisioneCon la memoria di cui sopra C.F. evidenzia alcuni aspettiprocessuali che rendono a suo avviso inammissibile il ri-corso proposto da Bipop Carire spa.Le deduzioni sono inammissibili in quanto andavano for-

    mulate nel controricorso.

    Rappresentanza

    Contrattosotto 

    nome altruie apparenza giuridica:la sottoscrizione apocrifanella teoria del documento

    CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 12 febbraio 2010, n. 3364 - Pres. Preden - Rel. D’Amico - Bipop

    Carire S.p.a. c. C.F.

    INei contratti formali, per i quali è richiesta la forma scritta “ad substantiam ”, il principio dell’apparenza deldiritto non può trovare applicazione rispetto alla rappresentanza, atteso che per i suddetti contratti sussisteun onere legale di documentazione della procura, dalla cui mancanza si deve dedurre l’esistenza di una colpainescusabile dell’altro contraente.

    IINei contratti per i quali è richiesta la forma scritta “ad substantiam ”, particolare rigore è richiesto ancheper la spendita del nome del rappresentato, con la conseguenza che, in mancanza di formule che con-sentano di individuare la spendita del nome altrui, non è ammissibile una “contemplatio domini ” tacita,desunta da elementi presuntivi.

    ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

    Conformi Non sono stati rinvenuti precedenti in termini

    Difforme Non sono stati rinvenuti precedenti in termini

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    Con il primo motivo del ricorso la Bipop Carire denuncia«Violazione e falsa applicazione degli artt. 1338, 1392,1393 e 1398 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3».Il motivo si articola in quattro censure con le quali partericorrente rispettivamente denuncia:A) mancata applicazione del principio dell’apparenzacolposa in quanto all’interno della filiale di (Omissis) del-la Bipop Carire spa si era creata una situazione oggettivadi apparenza caratterizzata dalla univocità delle circo-stanze create dalla stessa C.E. attraverso l’esecuzione diuna serie di operazioni effettuate tramite la collaborazio-ne del nipote C.F.: chiunque poteva quindi presumere unincarico a quest’ultimo. Il tutto in presenza di un incol-pevole affidamento dell’Istituto bancario e della sua per-fetta buona fede;B) Mancata applicazione del principio della contempla-tio domini perché è stata apposta la firma di C.F. accantoa quella della C.E..

    C) Con la terza censura parte ricorrente sostiene che laforma scritta può influire soltanto sulla validità della pro-cura e dell’eventuale ratifica, ossia quando si vuole dareapplicazione diretta all’art. 1388 c.c., e non viceversaquando viene introdotto il principio dell’apparenza;D) Con la quarta ed ultima censura parte ricorrente de-nuncia infine che la Corte ha errato nel non ricondurreal C.F. gli effetti della sua condotta.Il motivo deve essere rigettato.Ai sensi dell’art. 1388 c.c., infatti la rappresentanza ri-corre quando un soggetto agisce in nome e nell’interessedi un altro mentre si ha rappresentanza apparente allor-ché si rilevi l’apparente esistenza in un soggetto del pote-

    re di rappresentare altro soggetto e tale apparenza sia fon-data su elementi obiettivi, idonei a giustificare l’erroneoe incolpevole convincimento in chi invoca la situazioneapparente (Cass., 22 aprile 1999, n. 3988; Cass., 5 luglio1982, n. 3990) . Nella fattispecie in esame il C.F. non ha affatto apposto lapropria firma in nome e per conto della C.E. ma ha falsi-ficato la firma di quest’ultima, non creando così alcunasituazione di rappresentanza e tanto meno di rappresen-tanza apparente.Deve peraltro considerarsi che lo stesso contratto richie-deva la forma scritta ad substantiam e che, per costanteorientamento giurisprudenziale il principio dell’apparen-za non opera per i contratti formali, sussistendo in tal ca-so un onere legale di documentazione della procura dallacui mancanza si deve dedurre l’esistenza di una colpa ine-scusabile della Bipop (Cass., 22 aprile 1999, n. 3988).Trattandosi di contratto che richiedeva la forma scrittaad substantiam lo stesso deve quindi considerarsi nullo.Deve peraltro rilevarsi che il rigore richiesto per il con-tratto bancario si deve estendere anche alla spendita delnome dello pseudo rappresentato, circostanza questa chenon è dato rinvenire nella fattispecie in esame. Infatti lafirma illeggibile che compare sotto quella apocrifa di C.E.non può valere a integrare la contemplatio domini, in man-canza di formule che consentano di individuare la spen-dita del nome altrui. Né per i contratti formali può am-

    mettersi una contemplatio domini tacita.

    Quanto alla censura di cui alla lettera D) sostiene partericorrente, citando la giurisprudenza, che nel caso in cuitaluno abbia agito in nome proprio e per conto altrui, tut-ti gli effetti del contratto si producono in capo al manda-tario. I richiami giurisprudenziali non sono pertinenti. IlC.F. infatti non ha agito in nome proprio e per conto al-trui, bensì in nome altrui, falsificando la firma della C.E.. Non è infine configurabile una responsabilità personaledel C.F. in quanto il terzo non versava in una situazionedi buona fede non avendo chiesto allo stesso C.F. la giu-stificazione dei propri poteri nella forma prescritta dal-l’art. 1392 c.c..Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia «Viola-zione e falsa applicazione dell’art. 116, 214 e 215 c.p.c.,in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5».La Corte, sottolinea parte ricorrente, ha ignorato la con-dotta processuale del C.F. ed in specie la sua mancatacomparizione a rendere il saggio grafico che ha impedito

    di fare chiarezza sul punto. Tale saggio, si afferma, ove re-so, avrebbe invece ricondotto al C.F. la sottoscrizione ri-solvendo le problematiche attinenti alla contrattualitàdel rapporto e alla spendita del nome della C.E..Il motivo deve essere rigettato.Il giudice di merito è infatti libero di attingere il proprioconvincimento da quelle prove o risultanze di prove cheritenga più attendibili ed idonee alla formazione dellostesso, essendo sufficiente, ai fini della congruità dellamotivazione del relativo apprezzamento, che da questa ri-sulti che il convincimento stesso si sia realizzato attraver-so una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti algiudizio, considerati nel loro complesso (Cass., 20 feb-braio 2006, n. 3601).In particolare deve ritenersi che la mancata comparizio-ne a rendere il saggio grafico costituisce elemento libera-mente apprezzabile dallo stesso giudice ai fini della deci-sione e che essendo il relativo apprezzamento congrua-mente formulato ed immune da vizi logici o giuridici lostesso sia insindacabile in sede di legittimità.In conclusione, per i motivi sin qui esposti, il ricorso de-ve essere rigettato con condanna di parte ricorrente allespese del giudizio di legittimità che si liquidano come indispositivo.

    P.Q.M.La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al-

    le spese del giudizio di cassazione che liquida a favore diC.E. in Euro 2.500,00 di cui Euro 2.300,00 per onorari,oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accesso-ri come per legge ed a favore di C.F. in Euro 4.200,00 dicui Euro 4.000,00 per onorari, oltre rimborso forfettariodelle spese generali ed accessori come per legge.Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2010.Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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    Giurisprudenza

    Contratti in generale

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    Giurisprudenza

    Contratti in generale

    Il fatto

    Il documento contrattuale oggetto della vicenda incommento (1) reca due diverse sottoscrizioni: la pri-ma (apocrifa) riproduce il patronimico della signoraC.E.; la seconda (decifrabile a fatica e collocata po-co sotto la precedente) indica, nella qualità di ga-rante, il signor C.F., nipote della prima.Dall’insieme degli elementi di fatto del caso emergeche al momento della conclusione dell’accordopresso la filiale di un noto istituto bancario, era pre-sente C.F., il quale aveva già definito in precedenzauna serie di contratti per conto della C.E.Venuto a scadenza il contratto, l’esito economicodell’operazione si rivelava sfavorevole per C.E., la

    quale, a fronte delle richieste di pagamento avanza-te dall’istituto, disconosceva, in quanto falsa, la sot-toscrizione del documento opposto. La Banca, rite-nendo al contrario il contratto concluso in suo con-to per il tramite del nipote, conveniva la medesimain giudizio pretendendo l’adempimento del contrat-to. Opinione non condivisa dal giudice di prime cu-re che rigettava la domanda. La decisione era poiconfermata in appello e contro la stessa veniva infi-ne proposto in Cassazione il ricorso deciso con lasentenza in commento.La Banca ricorrente lamentava, innanzitutto, la

    mancata considerazione delle circostanze oggettiveed univoche, create dalla stessa C.E., che avrebberoindotto chiunque - così si sosteneva nel ricorso - apresumere, al momento della conclusione del con-tratto, l’esistenza di un incarico conferito da quest’ul-tima al nipote. Riteneva, pertanto, il contratto im-putabile a C.E. in forza dell’operare del principiodella c.d. rappresentanza apparente (2); e a riprova diciò sottolineava che la contemplatio domini emergevachiaramente dalla circostanza che la firma di C.F.era stata apposta accanto a quella (falsa) della C.E.Il tutto sottolineando la propria buona fede, che

    non poteva ritenersi esclusa per il solo mancato ri-

    spetto dell’onere della forma scritta della procurache sarebbe inoperante in caso di apparenza giuridi-ca.La Cassazione ha invece ritenuto che il sottoscrit-tore, avendo falsificato la firma, «non abbia creato al-cuna situazione di rappresentanza» (tanto meno ap-

     parente); ed anche la firma illeggibile che compari-va sotto quella apocrifa della C.E., in mancanza diformule che consentissero di rilevare la spenditadel nome altrui, non poteva valere ad integrare al-cuna contemplatio domini (3). Di qui la declaratoriadi nullità del contratto per difetto di forma scritta(4).La sentenza si rivela di notevole interesse pratico inquanto relativa ad una vicenda in cui si intreccianodiverse problematiche (la validità del contratto consottoscrizione apocrifa nel caso in cui la forma scrit-ta sia imposta ad substantiam (5); la possibilità di una

    Note:

    (1) Concernente una c.d. operazione a termine , contratto diffusonella prassi bancaria con cui due parti si impegnano a scambiar-si, ad una certa scadenza, uno specifico bene a prezzi prefissati.

    (2) Com’è noto, perché vi sia rappresentanza apparente è ne-cessario: a) una obiettiva situazione d’incertezza che dia luogo al-l’erroneo convincimento del terzo contraente; b) la scusabilitàdell’errore del terzo; c) la colpa del rappresentato che, con il suocomportamento, abbia contribuito ad ingenerare nel terzo l’affi-

    damento; cfr. ex multis Cass. 6 febbraio 1998, n. 1224, in Giust.civ., 1998, I, 639; Cass. 1 marzo 1995, n. 2311, in Giur. it ., 1995,I, 1, 2032, con nota di V. Di Gregorio; Id., La rappresentanza ap- parente , Padova, 1996.

    (3) V. di recente R. Scuderi, Requisiti della contemplatio domininegotî con specifico riferimento al problema della spendita del nome «tacita», in Riv. not. 2010, 3, 795.

    (4) Art. 117 d.lgs. n. 385 del 1993 (rilevabile solo dal cliente exart. 127 comma 2); art. 23 d.lgs. n. 53 del 1998 (anche qui nullitàrelativa).

    (5) Vale fin da ora anticipare che secondo la dottrina: «se la re- gola del nostro ordinamento giuridico è la libertà della forma nella conclusione del negozio giuridico, deve dirsi che la spen- dita di un nome diverso non può di regola inficiare la dichiara- zione di volontà emessa in tal modo. Ciò perché se la spendi- 

    IL COMMENTOdi Gianfranco Orlando 

    L’autore esamina criticamente l’idea secondo cui il principio dell’apparenza giuridica sarebbe inapplicabile al-lorché per il contratto sia imposta la forma scritta ad substantiam. Questa tradizionale opinione - pur condivi-sibile con riferimento alla “rappresentanza apparente” - non sembra accettabile con riguardo ad altre ipotesi,come ad esempio nel caso (sotteso probabilmente alla vicenda oggetto della pronuncia in commento) in cuitaluno falsifichi la firma di un altro soggetto, per incarico di quest’ultimo o comunque con il suo consenso, esi crei nella controparte il legittimo affidamento circa la validità del contratto dal punto di vista del requisito for-male (richiesto, in ipotesi, ad substantiam). Anche perché appare ingiusto che il titolare del nome che abbiacontribuito alla creazione del falso possa poi avvantaggiarsi della nullità da lui stesso provocata.

    (segue) 

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    contemplatio domini tacita nei contratti formali; ladelimitazione della figura del “contratto sotto nomealtrui”; l’ampiezza del principio dell’apparenza giuri-dica) sui quali permane ancora notevole incertezza.

    Prima, però, di procedere con l’analisi delle diverseopzioni ermeneutiche, è necessaria una ulterioreprecisazione sui dati di fatto del caso.Dal testo della sentenza non emerge in modo chiarose la Banca fosse consapevole della falsità della fir-ma. In particolare, la sentenza non approfondisce leprecise circostanze in cui la sottoscrizione è stata ap-posta, che non sembra siano state oggetto di accura-to accertamento (si è addirittura ritenuta irrilevantela costante sottrazione di C.F. - pur chiamato in giu-dizio - a rendere il saggio grafico).Si tratta di un profilo non di poco conto, in quanto

    la fattispecie subisce un’importante variazione pro-prio in funzione delle diverse circostanze di fatto chepossono ipotizzarsi.In particolare:a) Se si ipotizza, ad esempio, che la sottoscrizione siastata apposta in presenza della controparte, la differen-za di genere tra sottoscrittore e dominus nominis (es-sendo uno uomo e l’altra donna) avrebbe rivelatosubito il carattere “apocrifo” della sottoscrizione.Conseguentemente, la Banca, che ha impostato lapropria difesa sull’invocazione di un’ipotesi di rap-presentanza apparente, in realtà non avrebbe potuto

    farlo, in quanto a voler ragionare in termini di rap-presentanza, non si sarebbe potuto negare di trovar-si di fronte ad una modalità (certamente) anomala(6) di attuazione della contemplatio domini, in pre-senza della quale avrebbe senza alcun dubbio dovutochiedere la preventiva giustificazione scritta dei po-teri del preteso rappresentante (7). Il non averlo fat-to rende inescusabile il comportamento della Banca,che non poteva comunque - e già solo per questomotivo - invocare a proprio favore il principio dellarappresentanza apparente (8).b) Si può ipotizzare, tuttavia, che la Banca non abbia

    avuto contezza (almeno nel caso di specie) (9) dellanon coincidenza soggettiva tra sottoscrittore materialee titolare del nome (ossia, dell’apocrifia della sotto-scrizione). Il che, ad esempio, potrebbe essersi verifi-cato ove C.F. si fosse presentato in filiale con una co-

     pia del contratto già ( precedentemente) firmata (da lui oda un terzo) (10) o, comunque, la documentazionedel contratto si fosse perfezionata inter absentes (11).

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    Giurisprudenza

    Contratti in generale

    Note:

    (segue nota 5)

    ta del nome, ove sia necessaria, ha solo lo scopo di individua- 

    re il soggetto della dichiarazione, e tale scopo può essere per- 

    seguito anche per vie diverse, non si può fare della spendita del proprio nome un requisito per la esistenza e validità della dichiarazione di volontà, ove ciò non sia espressamente ri-chiesto dalla legge»; L. Coviello jr., Attività negoziale sotto fal- so nome , in Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Perugia ,XVIII, vol. LIII, serie VI, vol. IV, 1939, 118 (evidenziazione no-stra, n.d.a.). L’analisi che segue, pertanto, avrà ad oggetto lacritica a (melius : la precisazione di) questa tradizionale impo-stazione: si tenterà di valutare, infatti, la possibilità di ricono-scere effetti giuridici al negozio cui è stata apposta una sotto-scrizione falsa anche nel caso in cui la forma scritta sia impo-sta ad substantiam.

    (6) C.M. Bianca, Diritto civile, v. III, Il Contratto , 2ª ed., Milano,2000, 64.

    (7) G. Pellizzi, Firma, sostanza, forma , in Giur. it , 1967, I, 2, 483.Si tratta, tra l’altro, di comportamenti doverosi per una Banca al-la luce dei principi di diligenza professionale. Basti, in proposito,ricordare che dall’entrata in vigore della disciplina antiriciclaggio(oggi d.lgs. n. 231 del 2007) gli obblighi di adeguata verifica del-la clientela richiedono l’identificazione del “titolare effettivo”dell’operazione (art. 18), pena l’applicazione di sanzioni penali

    (art. 55). Mentre ai sensi dell’art. 21 il cliente è tenuto a fornire“per iscritto ” tutte le informazioni a ciò necessarie.

    (8) Si potrebbe, in altri termini, argomentare che lo stretto rap-porto di parentela intercorrente tra i due e (soprattutto) la cir-costanza che le stesse parti contrattuali avessero già intratte-nuto diversi rapporti negoziali (tutti andati a buon fine), avreb-bero indotto chiunque a ritenere sussistente una cooperazio-ne soggettiva. E ove questa non ci fosse realmente stata peril singolo contratto in questione, l’istituto dell’apparenza giuri-dica avrebbe comunque consentito di imputare il rapporto allatitolare del nome, senza poter invocare la mancanza di unaprocura rilasciata per iscritto. Si ritiene, infatti, che anche neicontratti per cui è prevista la forma scritta ad substantiam, laverifica dei poteri del “rappresentante” sia sempre una “fa-coltà” e mai un “onere” (M. Galli, Forma del mandato e appa- renza del diritto , in Rass. dir. civ., 2002, 4, 869 ss; contra Cass.

    17 marzo 1974, n. 1020, in Giur. it. I, 1, 797). Ma anche alla lu-ce di questi argomenti, riteniamo, la conoscenza della falsitàdella firma avrebbe comportato una colpa inescusabile in capoalla Banca.

    (9) La difesa della Banca - in verità - lascia supporre (sebbenenon in maniera esplicita) che l’agire del nipote “per conto” dellazia si sia risolto (almeno in altre occasioni del passato) anche nel-l’apposizione di firme apocrife (col consenso del dominus nomi- nis ).

    (10) Cass. 18 gennaio 1983, n. 469: «Nei contratti per cui è ri- chiesta la forma scritta  ad substantiam, non è necessaria la contestualità delle sottoscrizioni »; Cass. 23 dicembre 2004, n.23966: non «occorre che l’incontro delle volontà sia conte- stuale, potendo esso risultare da documenti diversi, anche cronologicamente distinti, ed essendo al pari possibile che uno stesso documento, originariamente sottoscritto da una sola parte, venga sottoscritto in un secondo tempo dall’altra »;conf. Cass. 13 febbraio 2007, n. 3088; cfr. G. Di Benedetto,Scrittura privata e documento informatico. Riconoscimento.Disconoscimento. Verificazione , Milano, 2009, 61. Sotto l’a-brogato codice del 1865 F. Carnelutti, L’intervento del nuncius e il contratto scritto , in Riv. dir. comm. industr. maritt . 1909,580 ss., riteneva incompatibile la figura del nuncius con i con-tratti formali in quanto in tal caso non sarebbe sufficiente lamera indicazione della controparte per iscritto, ma sarebbenecessaria anche la direzione della dichiarazione che, se verràtrasmessa mediante un nuncius , dovrà la stessa modalità ditrasmissione (o scambio del consenso) risultare per atto scrit-to.

    (11) La distinzione tra contratto concluso tra persone “presenti”e persone “lontane” (nella forma scritta o orale) ha una sua im-

    (segue) 

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    L’analisi di questa seconda ipotesi si prospetta comepiù complessa (oltre che più suggestiva dal punto divista teorico) e per questo la eleggiamo come pro-spettiva preferita del ragionamento che sarà svolto

    nel presente Commento (il quale darà per presup-posto che sia questa l’ipotesi in concreto verificata-si).

    Qualificazione della fattispecie: il contratto“in ” e “sotto ” nome altrui

     Nel passo sopra citato della sentenza in esame, l’inesi-stenza di una spendita di nome altrui sembra dedottadalla mancata creazione di una contemplatio domini(«…il C.F. non ha affatto apposto la propria firma “in”nome e “per” conto della C.E….») (12). La motivazio-ne denuncia, tuttavia, una certa incoerenza laddove si

    argomenta la mancata imputazione degli effetti in ca-po al sottoscrittore, osservando che quest’ultimo: «…non ha agito in nome proprio e per conto altrui, bensì “in”nome altrui, falsificando la firma della C.E.» (13).Queste difficoltà (non solo) terminologiche, ad ognimodo, si superano se il caso viene inquadrato (comeè più corretto fare) nella categoria dei c.d. “negozisotto nome altrui” (14); locuzione con la quale,com’è noto, si indica concisamente un insieme ete-rogeneo di fattispecie caratterizzate, in primo luogo,dall’assunzione da parte dell’autore materiale delladichiarazione contrattuale di un simbolo d’identifi-

    cazione personale (nome o pseudonimo) non corri-spondente al proprio; e, in secondo luogo, dall’inin-telligibilità, per il destinatario della medesima di-chiarazione, di alcuna alterità soggettiva tra il titolaredell’interesse regolato (e del nome speso) e il sogget-to che ha posto in essere la dichiarazione (si tratte-rebbe altrimenti - se pure attraverso un meccanismo“anomalo” di spendita del nome - di un’ipotesi di ne-gozio in nome altrui).I contratti documentati con sottoscrizioni apocrifepossono sottendere molteplici fenomeni (15), cuicorrispondono discipline molto diverse.

    Può darsi, ad esempio, che il titolare del nome igno-ri (e/o sia contrario a) che qualcuno concluda uncontratto usurpandogli il nome.Ma può ricorrere anche il caso (che sarà oggetto pre-cipuo della nostra analisi) (16) in cui egli abbia con-sapevolmente conferito un “mandato” a concludere(rectius: “a sottoscrivere”) il contratto, o abbia co-munque colposamente indotto taluno a ritenere chela sottoscrizione apocrifa fosse autentica.In quest’ultimo caso (in cui, come detto, sussiste lavolontà o la colpa del dominus nominis nella falsifica-zione) (17), emergono in modo più netto i tratti di-

    stintivi da alcuni fenomeni affini.

    Vediamoli.

    a) Rappresentanza apparente 

    Come accennato, la rappresentanza apparente, pur

    avendo in comune col nostro caso la discrasia tra ap-

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    Giurisprudenza

    Contratti in generale

    Note:

    (continua nota 11) portante rilevanza pratica, ma può essere tacciata di artificiosità (V. Baratta, A proposito del tema: il negozio giuridico sotto nome altrui o falso , in Riv. not. 1965, I, 668) o atecnicità laddove nonsiano intese come formule che, nella formazione del contratto,indicano non tanto la collocazione spaziale delle parti, ma la pos-sibilità per le stesse di percepire la figura della persona fisica cheemette la dichiarazione o appone la sottoscrizione. La terminolo-gia, pertanto, è imprecisa e può generare incomprensioni, manel prosieguo dell’analisi verrà intesa in questo senso ormai dif-fuso nella letteratura.

    (12) Le virgolette sono nostre, n.d.a . Si noti che nel documentoc’erano due firme. La frase riportata tra virgolette si riferisce allafirma di C.F. (come si comprende dal fatto che si parla della firma“propria” del nipote di C.E.).

    (13) Sempre nostre le virgolette, n.d.a .

    (14) G. Piazza Identificazione del soggetto nel negozio giuridico ,Napoli, 1968; Id., voce Negozio sotto nome altrui , in Enc. dir. XX-VIII, Milano, 1978. Di recente v. C. Dore, Il contratto sotto nome altrui , in Contr. e impr., 2008, 3, 780.

    (15) Per un sintetico inventario v. G. Piazza, voce Negozio, cit., 2.

    (16) Come già accennato, il punto è stato ignorato nella sen-tenza in esame in quanto l’accertamento giudiziale, nonostan-te l’allegazione da parte della ricorrente di una serie di indiziconcernenti una particolare cooperazione soggettiva nella con-clusione del contratto (indizi dati dallo stretto rapporto di pa-rentela intercorrente tra i due, nonché dalla circostanza che lestesse parti contrattuali avessero già intrattenuto diversi rap-porti negoziali tutti andati a buon fine, cui si poteva aggiungerela valutazione del comportamento processuale di chi si rifiutòdi rendere il saggio grafico) è stata trascurata, mentre - non es-sendo, invero, tali indizi di per sé decisivi - avrebbero dovutospingere ad indagare sulle particolari circostanze con cui è sta-ta apposta la firma e come ciò sia stato percepito dalla contro-parte.

    (17) È possibile che la prova del mandato a sottoscrivere vengafornita mediante presunzioni (o anche, probabilmente, per mez-zo di testimoni; in tal caso, infatti, la prova non avrà ad oggetto ilcontratto con sottoscrizione apocrifa, ma un comportamento do-loso o colposo antecedente ed estraneo allo stesso; sulla validitàdell’incarico a sottoscrivere si hanno molti dubbi; v. più avanti neltesto). Ciò potrà avvenire, ad esempio, nel caso in cui il titolaredel nome abbia svolto le trattative precontrattuali personalmen-te e, magari, una volta spedito il documento firmato, abbia datoprecise rassicurazioni sull’autenticità della firma. Oppure nel ca-so in cui, pur tacendo sulla firma, abbia dato esecuzione al con-tratto e se ne sia avvantaggiato. La casistica può essere la piùvaria ed eterogenea, ed è sostanzialmente inutile (oltre che im-possibile) procedere ad una tipizzazione delle varie ipotesi che inconcreto si possono verificare e per le quali, probabilmente, saràin molti casi rimesso alla prudente valutazione di merito del giu-dice accertare l’esistenza del contributo del titolare del nome al-la creazione del falso. Come si vedrà in seguito, peraltro, nellaconclusione di una scrittura privata conclusa con firma digitale ,l’ordinamento giuridico impone l’uso personale del dispositivo difirma (la smart card ) e la custodia dello stesso. In tal caso, salvola prova della sottrazione illecita del dispositivo (e della pas- sword ), la colpa del titolare del nome sarà certamente più facile

    da dimostrare.

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    parenza e realtà, disciplina l’ipotesi di un soggetto chesi qualifica quale rappresentante sebbene non ne abbia i

     poteri (18). Nella fattispecie che noi esaminiamo, invece, ricor-

    re una situazione quasi opposta: il soggetto che falsi-fica la sottoscrizione non si (auto)qualifica qualerappresentante e, dunque, come autore della dichiara-zione. Addirittura, nel caso in cui la formazione deldocumento con l’apposizione della firma apocrifaavvenga inter absentes (si pensi all’ipotesi in cui ilcontratto sottoscritto venga spedito tramite il servi-zio postale) l’esistenza stessa di un soggetto sotto-scrittore diverso dal titolare del nome (il falsificato-re) rimane totalmente celata agli occhi della con-troparte.Inoltre - a differenza della rappresentanza apparente

    - nella fattispecie che analizziamo, il soggetto cheagisce (ossia il sottoscrittore-falsario) è stato (in ipo-tesi) investito del potere di usare il nome altrui (al-tro è che l’“incarico” in questione si possa conside-rare valido) (19).L’estraneità (abbastanza netta) della fattispecie inesame al fenomeno della rappresentanza (20) è difondamentale importanza sotto il profilo della tute-la dell’affidamento del terzo. Occorre, infatti, tenereben presenti le diverse prospettive delle parti nego-ziali: si potrà così individuare un primo profilo (in-

    terno) che coinvolge il titolare del nome e il sogget-to sottoscrivente, per i quali - laddove ci sia un in-carico volontario - opera certamente un fenomenodi cooperazione soggettiva: il sottoscrivente, “spen-dendo” il nome altrui, distoglie da sé l’imputazionedell’atto e indica in un altro soggetto il titolare delrapporto, il quale ha preventivamente autorizzatol’operazione.L’esistenza di questa cooperazione, tuttavia, è limita-ta ad un piano meramente interno a quella parte ne-goziale (21). Nella diversa prospettiva della contro-parte, infatti, non si ha alcuna percezione di una

    contemplatio domini, per cui sarebbe ingiusto preten-dere che codesta controparte (in ipotesi ignara) sop-porti oneri di accertamento (e richiesta di docu-mentazione e giustificazione) di poteri “rappresenta-tivi” che essa non è neanche in grado di supporrenecessari (visto che non si rappresenta alcuna alte-rità tra sottoscrittore e dominus nominis). Per questeragioni non sembra possa condividersi la decisionein commento laddove essa estende (oltre tutto, con-traddittoriamente) gli oneri posti dagli artt. 1392 e1393 c.c. a un’ipotesi (che essa stessa qualifica co-me) estranea allo schema della rappresentanza

    (quantomeno sotto il profilo “esterno”).

    b) Simulazione 

    Il fenomeno che stiamo analizzando non sembra ri-chiamare neanche lo schema della simulazione rela-tiva di persona.Per aversi simulazione, infatti, occorrerebbe cheentrambi i contraenti siano a conoscenza dell’inter-posizione fittizia (22); mentre nell’ipotesi che esa-miniamo, la controparte non sa che la dichiarazioneè emessa sotto falso nome e ritiene che l’autore del-la sottoscrizione sia lo stesso della dichiarazione(23).

    c) Falsus nuncius 

     Non si deve, infine, pensare che la fattispecie chestiamo esaminando integri (in modo pieno) unasemplice ambascerìa; o meglio, una “ falsa” nunziatura(24). Invero, il falsus nuncius è o colui che, incarica-to di trasmettere la dichiarazione di volontà, la alte-ra volontariamente (di sua iniziativa), ovvero coluiche asserisce di trasmettere una dichiarazione di vo-lontà altrui senza avere in realtà ricevuto incarico alcu-no. Nella fattispecie in esame, invece, il sottoscritto-re non si limita a riferire, non altera e non inventa. Lafigura del nuncius è pertanto, almeno in parte, esclu-sa perché il sottoscrittore è incaricato di integrare la

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    Giurisprudenza

    Contratti in generale

    Note:(18) In tal caso, il vizio non concerne la validità del contratto, mail potere in capo allo pseudo-rappresentante di dirottare gli effet-ti dello stesso in capo al soggetto di cui ha speso il nome.

    (19) Per la invalidità v. F. Galgano, Sul principio generale dell’ap- parenza del diritto , in Contr. e impr., 2009, 6, secondo il quale sitratterebbe di un contratto nullo per illiceità dell’oggetto (essen-do diretto alla creazione di un falso punito dall’art. 485 c.p.).

    (20) G. Benacchio, A proposito del tema: il negozio giuridico sot- to nome altrui o falso , in Riv. not. 1965, II, 674; U. Natoli, voceRappresentanza (dir. priv.) in Enc. dir. XXXVIII, 1987, 4.

    (21) Parlava di rappresentanza “segreta” già Hupka in Haftung des Vertretes ohnre Vertretungsmacht , 1903, 111 ss.

    (22) L. Coviello jr., op.cit. 114.

    (23) È opportuno anticipare sin da ora come - nonostante auto-revole dottrina riconduca tutto il fenomeno dell’apparenza giuri-dica (che, come vedremo, è fondamentale per la nostra indagi-ne) nell’ambito della simulazione (cfr. F. Galgano, Diritto civile e commerciale , II, 1, Padova, 1999, 393 ss.) in realtà - molte ipo-tesi ritenute applicazione del principio dell’apparenza (e il caso inesame lo conferma), prescindono affatto da un accordo simula-torio (anche tacito) tra le parti del contratto. Nell’ipotesi previstadall’art. 1396 c.c. (sulla quale la dottrina ha elaborato la figuradella rappresentanza apparente ), ad esempio, il vincolo giuridicosorge esclusivamente per il comportamento colposo del titolaredel nome, ossia quando questi revoca la procura e - non essen-do atto recettizio - non lo notifica né all’ex rappresentante, né aiterzi; cfr. C.M. Bianca, op. cit. 101-102.

    (24) D. Vittoria, Il falsus nuncius , in Riv. tr. dir. proc. civ ., 1973,530; M. Orlandi, Falsus nuntius e falsus procurator , in Riv. dir.civ., 41, 1995, 347 e ss.

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    dichiarazione contrattuale di cui è il vero autore ma-teriale.

    Struttura e funzioni della sottoscrizione

    nelle scritture privatePrima di procedere oltre nell’analisi, è utile affronta-re una questione in certo senso preliminare (rispettoal tema della sottoscrizione apocrifa), ossia quelladell’individuazione della struttura formale della sot-toscrizione (nelle scritture private in cui risulta esse-re necessaria) (25).Le opinioni in proposito non sono univoche, soprat-tutto sul punto se ritenere o meno l’autografia unelemento essenziale della struttura della sottoscrizio-ne (26).Da una parte, si ritiene che l’idoneità indicativa del-

    la sottoscrizione sia data non tanto dal significato,quanto dallo stile della grafia con cui è documentata(e pertanto l’autografia del segno assurgerebbe a re-quisito formale-strutturale). È questa la tesi tradizio-nale, che può senz’altro considerarsi tutt’oggi preva-lente.All’opposto, invece, un altro orientamento riscon-tra una valida sottoscrizione nella semplice esistenzadi un simbolo - oggettivato dal gesto di una manoqualunque (semplice chirografia) - idoneo, per mezzodell’interpretazione del suo significato (piano ogget-tivo-immateriale), ad indicare un soggetto.

    Il profilo principale di differenziazione di queste dueteorie sembra consistere nella diversa opinione inmerito all’individuazione della  funzione probatoriadella sottoscrizione.La teoria prevalente, al riguardo, si basa su una pre-messa quasi di ordine naturale (ove il contraente in-tendesse non riconoscere il contratto da lui conclu-so, è sufficiente la comparatio litterarum della sotto-scrizione a dimostrare la provenienza del documen-to) (27), nell’ambito di una concezione in cui risul-tano fuse le due prospettive della  funzione indicativa(28) e probatoria della sottoscrizione (29). La sotto-

    scrizione non solo indica il soggetto del documentomediante il significato portato dal simbolo (alla lucedel codice linguistico di riferimento), ma ha (altresì,e) soprattutto la funzione di fornire contestualmente la“prova” della veridicità di detta “indicazione” attraver-so lo stile della grafia (che è idonea ad esprimere diper sé il soggetto che l’ha posta in essere), sul pre-supposto che questo stile sia unico e irripetibile(30). Si potrebbe parlare in tal senso, di una funzio-ne probatoria “forte” (o identificativa) della sottoscri-zione che integra la struttura “idiomatica” della stessa(31).

    Se si parte dall’idea che l’autografia sia un requisito

    essenziale (per la validità) della sottoscrizione, il do-cumento cui accede la sottoscrizione apocrifa nonpuò che considerarsi irrimediabilmente “viziato” e(conseguentemente) nullo il contratto con sotto-

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    Note:

    (25) F. Carnelutti, Studi sulla sottoscrizione , in Riv. dir. comm.,1929, I, 511 ss.; F. De Santis, Il documento non scritto come pro- va civile , Napoli,1988.

    (26) A. Candian, voce Documento e documentazione (teoria ge- nerale) , in Enc. dir. XIII, 1964, 6, ad esempio, ritiene che l’auto-grafia della sottoscrizione sia un connotato normale , ma non es- senziale della stessa (ma per la posizione di questo A., v. infra,nota 32). Ritengono essenziale l’autografia: Laserra, La scrittu- ra privata , Napoli, 1959, 200; Scardaccione, voce Scrittura pri- vata , in Noviss. Dig. it., XVI, 1969, 810 ss.; C.M. Bianca, op. cit.,286; B. Carpino, voce Scrittura privata , in Enc. dir., XLI, 1989; E.Marmocchi, voce Scrittura privata , in Enc. giur., XXVIII, Roma,

    4. La questione vede un insoluto dissidio in dottrina. A coloroche osservano l’inesistenza nell’ordinamento di una norma cheimponga per le scritture private l’autografia della sottoscrizione,salvo casi eccezionali (come, ad esempio, nel testamento olo-grafo), si risponde che, se è per questo, non esiste neancheuna norma che impone la semplice chirografia (eppure viene os-servata come requisito strutturale minimo) e che tali ultimi casisono, in realtà, singole esplicitazioni di un naturale requisitostrutturale della sottoscrizione. A coloro che ritengono che lamancanza di autografia impedisce la prova della provenienza, sirisponde che ciò accade anche per le sigle, la simulazione di fir-ma apocrifa da parte dello stesso titolare del nome, oltre al fat-to che la funzione probatoria (comunque assolta dalla sottoscri-zione apocrifa sul piano del significato dello scritto) non coinci-de con quella dell’assunzione della paternità da parte di un cer-to soggetto.

    (27) Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario civile italiano , III, Tori-no, 1903, 219.

    (28) “Funzione indicativa” è un’espressione vaga che potrebbesignificare sia che il soggetto del negozio è quello indicato dal patronimico portato dalla sottoscrizione  (è questa l’interpreta-zione della teoria che nel testo abbiamo definito moderna ), siache il soggetto del negozio è quello indicato dalla “grafia” concui è oggettivata la sottoscrizione  (teoria tradizionale). Per di-stinguere le due ipotesi preferiamo denominare la prima ipotesicome funzione indicativa ; la seconda, come funzione espressi- va o identificativa . Si badi che solo nella sottoscrizione apocrifala due funzioni non coincidono (in quella autentica, invece, coin-cidono).

    (29) È chiaro che aderire a questa impostazione non esclude lo-gicamente la possibilità di delegare la firma: così anche A. Can-

    dian, loc. cit. ma alle condizioni stabilite nel par. 7. In certo sen-so simile (in quanto richiede l’inscriptio a favore del vero titolaredel nome, ma non specifica la necessità di una procura scritta),A. Ramella, Efficacia delle stipulazioni sotto falso nome , in Il di- ritto commerciale , 1930, 113.

    (30) Individua nella sottoscrizione una prova critica e un contras- segno F. Carnelutti, Teoria del falso, Padova, 1935.

    (31) L’espressione è di M. Ferraris, Documentalità. Perché è ne- cessario lasciar tracce , Roma-Bari, 2009. L’A. individua nella fir-ma un particolare intreccio tra singolarità e iterabilità , tra intimità e socialità ; ossia, più in particolare, qualcosa di: «1) assoluta-mente unico (…); 2) di principio ripetibile: se cambiassi conti- nuamente firma non potrei firmare, ed è il motivo per cui, per esempio, la banca ci chiede di depositare la nostra firma; 3) deltutto privato (…); 4) essenzialmente pubblico: se mi creassi una firma che uso solo per me, mentre in pubblico ne uso un’altra, la 

    firma vera sarebbe la seconda (…)» (337).

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    scrizione falsa allorquando la  forma scritta dell’attosia imposta ad substantiam (32).Una critica moderna a questa opinione ritiene, al-l’opposto, che nell’analisi della struttura formale

    della sottoscrizione un discorso sull’autografia nontrovi spazio alcuno (33). La funzione indicativa, in-fatti, se intesa in senso restrittivo, viene ricavatadall’interpretazione del significato (piano oggetti-vo-immateriale) della sottoscrizione e non dallostile grafico della stessa. E l’assolvimento di questafunzione non è per nulla inficiato dal carattereapocrifo del simbolo. In tal senso, pertanto, si po-trebbe discutere di una funzione probatoria (dellasottoscrizione) che potremmo definire “debole”.Qui la valutazione sulla struttura formale della sot-toscrizione non è in alcun modo incisa da un giu-

    dizio (logicamente e giuridicamente distinto) sul-la idoneità probatoria (in senso forte), dal qualeviene, al contrario, nettamente separato: il docu-mento è perfetto, e il difetto di autenticità dellasottoscrizione non incide sull’esistenza dello stesso(34).Conseguentemente, il requisito formale “minimo”(se così si può dire) della sottoscrizione sarebbe sod-disfatto anche dalla sola chirografia (ossia la prove-nienza del simbolo da un gesto della mano di chiun-que). Mentre l’autografia (connotato ulteriore checollega il simbolo chirografo ad un determinato sog-

    getto per mezzo dello stile della grafia) (35) non puòessere inclusa tra i requisiti formali né del testo (ledichiarazioni contrattuali in senso proprio), né deldocumento (36).Si fa discendere da questa impostazione (37) la con-seguenza che, poiché la falsità della sottoscrizionenon incide sul perfezionamento del documento, ilnegozio, allorquando la forma scritta sia imposta adessentiam, anziché nullo, potrebbe al più ritenersiinefficace (quasi come fosse stato concluso da un fal-sus procurator) (38) e quindi anche ratificabile (39)(ex art. 1399 e 1392 c.c.) o risolubile bilateralmente

    (art. 1399 c.c.) o unilateralmente (per iniziativa delterzo-controparte) (40).In realtà, la tesi appena esposta, mentre è senz’altrocondivisibile laddove afferma che l’autografia non èun elemento formale del testo del documento o dichia-razione in senso proprio (ma questo è un punto pacifi-co), suscita invece perplessità allorché venga estesa

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    Note:

    (32) Con argomentazioni spesso diverse v. Lessona, Trattato del- le prove in materia civile , III, Firenze, 1922, 91 ss.; Mattirolo, op.cit. 219; Pavoni, La scrittura privata nel diritto commerciale , Ro-

    ma, 1914, 121-122; N. Coviello, Manuale di diritto civile italiano ,

    Milano, 1924, rist. 1992 Napoli, 524-525; Guidi, Teoria giuridica del documento , Milano, 1950, spec. 76; Laserra, op. cit., spec.33, 148 e 159; R. Scognamiglio, I contratti in generale , in Tratta- to diritto civile, diretto da G. Grosso-F. Santoro-Passarelli, IV, 2,Milano, 1961, 33; Scardaccione, op. cit., 809 ss.; F. Messineo, Il contratto in genere , in Trattato di diritto civile, dir. A. Cicu-F. Mes-sineo, rist. ed. Milano, I, 1973, 144; C.M. Bianca, op. cit., 286; B.Carpino, op. loc. ult. cit.; C. Angelici, voce Documentazione , inEnc. giur., XI, Roma; A. Gentili, I contratti in generale , in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno, a cura di E. Gabrielli, 2, Tori-no, 1999, 1300. Contra M. Orlandi, La paternità delle scritture.Sottoscrizione e forme equivalenti , Milano, 1997. Contrario sem-brerebbe anche A. Candian, loc. cit., il quale, tuttavia, dopo averespressamente affermato la delegabilità della firma , sul finire delpar. 7 segnala «…l’esigenza che il documento onde alcuno con- sente ad altri la opposizione della propria firma accompagni il do- cumento così sottoscritto, rappresentandone un elemento inte- grante ». A favore della possibilità di trattare la questione in ter-mini di apparenza giuridica (insieme ad altri, come vedremo) R.Sacco, I contratti in generale , in Trattato dei contratti, cit. I, 110-111.

    (33) M. Orlandi, op. ult. cit. 82 ss, sebbene all’interno di un piùampio discorso sul soddisfacimento da parte della sottoscrizioneapocrifa del requisito di forma scritta ad substantiam chiesto perla dichiarazione.

    (34) Secondo F. Carnelutti, La prova civile , 1915, rist. Milano1992, 150-151: «….la verità del fatto rappresentato non è punto presupposto della rappresentazione in genere e della rappresen- tazione documentale in specie. Onde la indicazione dell’autore del documento, e, particolarmente, la sottoscrizione non deve confondersi con la verità della indicazione stessa, e particolar- mente della sottoscrizione; la sottoscrizione falsa compie il do- cumento, perché la falsità non esclude che il documento vi sia.La verità della indicazione dell’autore e, in particolare, della sot- toscrizione, cioè la corrispondenza fra l’autore apparente e l’au- tore reale si chiama autenticità del documento; l’autenticità è la verità del documento ».

    (35) che l’autografia implichi la chirografia è un fatto; non è veroinvece il contrario; v. M. D’Orazi Flavoni, voce Autografia in Enc.dir. IV, Milano, 1959. Vale segnalare, inoltre, che secondo un’au-torevole opinione “autografia ”: «non si ha (soltanto) quando chi manifesta il pensiero scrive materialmente le sue parole, ma co- munque quando chi manifesta il pensiero compia quegli atti che l’ordine giuridico ritiene sufficienti per attribuire a lui la (gli effet- ti della) formazione della scrittura » (F. Carnelutti, Studi, cit. 526).

    (36) F. Carnelutti, La prova, cit., 150-151.

    (37) M. Orlandi, op. ul. cit .

    (38) Per il contratto sotto nome altrui G. Piazza, voce Negozio,cit.; Id. Identificazione, cit. In generale per l’inefficacia del con-tratto stipulato dal falsus procurator:  L. Bigliazzi Geri-U. Bu-snelli-F.D. Breccia-U. Natoli, Diritto civile , I, 2, Torino, 1987,573; F. Romano, La ratifica nel diritto privato , Napoli, 1964,

    167; V. Scalisi, voce Inefficacia (dir. priv.) , in Enc. dir. XXI, Mila-no, 1971, 333; A. Falzea, voce Efficacia giuridica , in Enc. dir.Milano, 1965, 481; precisa lo stato di pendenza del contratto fi-no alla ratifica F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile , 9ª ed. Napoli 1973, 290; G. Stolfi, Teoria del negozio giu- ridico , Padova, 1961, 202. Richiama la condizione sospensivaD. Barbero, Sistema del diritto privato italiano , I, VII ed., Torino,1962, 394 e la condicio iuris C.M. Bianca, op. cit. 109 ss.; U.Natoli, La rappresentanza , Milano, 1977, 127; Id. voce Rappre- sentanza, cit. 483.

    (39) Cass. 28 dicembre 2009, n. 27399; Cass. n. 1708 del 2000.

    (40) U. Salanitro, Contratto concluso con il falso rappresentante e tecniche di tutela del terzo contraente in buona fede: il diritto allo scioglimento unilaterale del vincolo , in Riv. dir. civ., 1997, I,469 ss.; E. Betti, op. cit. 599; P. Fortunato, Sulla pretesa invali- dità del negozio soggetto a ratifica , in Giur. compl. Cass. Civ.

    1948, III, 516.

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    anche alla sottoscrizione (che è anch’essa una di-chiarazione) (41).L’obiezione che l’autore in esame muove alla dottri-na tradizionale rischia, infatti, di provare troppo: la

    (mera) funzione indicativa “mediante un simbolodocumentato su un supporto materiale” (che la sot-toscrizione apocrifa assolverebbe) può essere soddi-sfatta - se fosse vero che può prescindersi dall’auto-grafia - anche da simboli dattiloscritti (e non esclu-sivamente da simboli “manoscritti”). Detto altri-menti, la predetta funzione “indicativa” non appareun portato esclusivo della chirografia. Vale alloradomandarsi: perché (anche) nella prospettiva appe-na esposta, la struttura formale “minima” (se così sipuò dire) della sottoscrizione è proprio la chirogra-

     fia? Qual è, in altri termini, il portato precipuo del-

    la chirografia se essa, da un lato, non è necessariaper realizzare la funzione indicativa, e dall’altro, èinidonea a svolgere una funzione probatoria (insenso forte)? Perché ritenere ancora necessario chela sottoscrizione sia il frutto del  gesto della mano sequesto gesto può essere quello di un uomo qualun-que?Così concepita, la chirografia sembrerebbe serviresolo ad integrare un requisito formale del documen-to. Ma se così fosse, il tutto si risolverebbe in un pu-ro formalismo, privo di ogni funzione pratica.A noi sembra invece che la chirografia sia richiesta

    perché evoca un  particolare nesso di provenienza dal-l’uomo. Ma non da un uomo qualunque, visto chetutti i documenti provengono dall’uomo (42): la chi-rografia è indice di qualcosa di più. Essa, in altri ter-mini, non può che voler esprimere la provenienza daun certo soggetto.L’individuazione della struttura formale della sot-toscrizione è, dunque, determinata dall’individua-zione della funzione da svolgere. La sottoscrizione,in quanto contrassegno, è chiamata a realizzareuna funzione probatoria in senso “forte”, e solo l’i-doneità all’assolvimento di questa funzione (nei vari

    modi in cui ciò è possibile) integra validamente il mo-dello normativo funzionale di ciò che chiamiamo sotto-scrizione.Deve allora ritenersi - come già accennato - che lafalsità della sottoscrizione non possa che determi-nare (l’invalidità della sottoscrizione e, con essa,conseguentemente) l’invalidità dell’atto negozialequando la legge richieda ad substantiam la formascritta della scrittura privata; requisito che può dirsisoddisfatto solo in presenza di una valida sottoscri-zione.Va però subito aggiunto che questa conclusione

    (nullità del negozio per difetto di forma) non implica

    necessariamente che il negozio che risulta dal do-cumento con sottoscrizione apocrifa sia radical-mente inidoneo a costituire presupposto di effettigiuridici. Invero, c’è un profilo della teoria moder-

    na che non può essere ignorato: nel momento incui una sottoscrizione falsa è stata apposta al docu-mento, non si può ritenere che una sottoscrizionenon ci sia. Infatti, un documento è stato formato ed èstato immesso nel traffico giuridico. E sarebbe unerrore logico prima che giuridico, ritenere che essosia inesistente.In questo senso, è certamente vero che il giudiziosulla falsità della sottoscrizione, presuppone logica-mente la constatazione dell’esistenza di una sotto-

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    Giurisprudenza

    Contratti in generale

    Note:

    (41) La sottoscrizione costituisce un atto autonomo di assunzio- ne della paternità di quanto è detto nel documento (da chiunquesia stato redatto) di fronte ai terzi. «La dichiarazione di paternità si fa con il sottoscrivere e si prova con il sottoscritto » (F. Carne-lutti, Studi, cit., 516); l’azione del sottoscrivere , pertanto, rileva«…come atto e non come cosa» (idem 515). E ben si può direche: «Nel campo negoziale, questo dichiarare è un riferire, uncongiungere la decisione, espressa dal testo scritto, al sogget- to designato dal patronimico; un chiarire che quella scelta è im- putabile (e va imputata) al titolare del nome » (M. Orlandi, op.ult. cit., 80). Occorre osservare che la natura della dichiarazionenella quale si risolve la sottoscrizione come atto muta a secon-da del tipo di documento sottoscritto. In generale, come accen-nato, nelle scritture private la sottoscrizione è una dichiarazionecon la quale si assume la paternità e si aderisce al contenutodella scrittura da parte di un certo soggetto (R. Sacco, voce Di- 

    chiarazione contrattuale , in Dig. disc. priv., agg. IV, 2009, Tori-no,157 ss.). Ove, però, la dichiarazione provenga da un pubbli-co ufficiale (ad es. un documento notarile) occorre distinguerela sottoscrizione del dichiarante (nell’esempio, quella del notaio)e la sottoscrizione (significativamente detta “impropria ”) deisoggetti del negozio giuridico documentato. Solo la prima sot-toscrizione, infatti, indica l’assunzione della paternità del docu-mento. Le altre sottoscrizioni, infatti, si risolvono nell’attesta-zione che la dichiarazione notarile ha rappresentato fedelmentel’atto delle parti medesime (Montesano, Sull’efficacia probato- ria dell’atto pubblico convertito in scrittura privata , in Riv. dir.proc., 1954, I, 106; G. Santarcangelo, La forma degli atti notari- li. Commento teorico-pratico alla legge notarile: artt. 47-58 , 3ªed., Roma, 2006; F. Carnelutti, op. ult. cit. 516 che esclude in talcaso ogni funzione indicativa o dichiarativa). Talvolta, invece, co-me nell’avallo cambiario (che è dato con la sola firma dell’aval-lante), la sottoscrizione costituisce una dichiarazione negoziale 

    (V. Denti, voce Prova documentale (dir. proc. civ.)  in Enc. dir.XXXVII, 3, 1988). Quanto ai titoli di credito si è discusso (v. F.Martorano, voce Titoli di credito in Enc. dir., XLIV, 1992, 36) cir-ca la rilevanza della volontarietà della sottoscrizione, alla luce,da un lato, del difetto, tra le eccezioni reali, della mancanza (si-mulazione) o dei vizi della volontà (errore, violenza e dolo), men-tre, dall’altro, tra le stesse figuri il difetto di capacità. Il che haportato ad escludere la sottoscrizione sia dagli atti negoziali (Bi-giavi, «Normalità» e «anormalità» nella costruzione giuridica , inRiv. dir. civ., 1968, I, 518 ss.), sia dai meri fatti giuridici, ricom-prendendola, piuttosto, tra gli atti giuridici in senso stretto (os-sia tra i comportamenti rilevanti in quanto imputabili a soggettimaturi e coscienti, le cui conseguenze giuridiche sono sgancia-te dalla corrispondenza alla volontà dell’autore). Così Ferri, I ti- toli di credito , Torino, 1958, 98 ss.; Chiomenti, Il titolo di credi- to. Fattispecie e disciplina , Milano, 1978, 123 ss..

    (42) F. Carnelutti, La prova, cit. n. 25, 141.

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    scrizione (anche se ciò non implica l’affermazionedella sua validità) (43).Si mostra, così, con evidenza il piano nel quale ope-ra l’apparenza giuridica. È, infatti, nello iato tra la

    realtà di un documento formato in modo anomalo el’apparenza di un documento “regolare” (integratada un semplice simbolo chirografo) che si insinua lapossibilità di un errore (o, se si vuole, un affidamen-to sulla situazione apparente) (44) e, pertanto, lapossibilità di riconoscere, in dipendenza di criteri diresponsabilità nella creazione del falso e di altre cir-costanze univoche, effetti giuridici equivalenti aquelli della situazione valida.La sottoscrizione falsa dà vita certamente all’appa-renza dell’esistenza di una volontà negoziale (45); eciò, unitamente al contributo (in ipotesi) dato dal

    titolare del nome alla creazione della falsificazione(nel senso di aver autorizzato l’apposizione della sot-toscrizione apocrifa), potrebbe costituire una situa-zione idonea a ritenere il contratto efficace ed impu-tabile al dominus nominis.È il problema che dovremo affrontare nel prossimoparagrafo.

    Apparenza giuridica e contratti formali

    Contrariamente a quanto tradizionalmente (o trala-ticiamente…) ritenuto (46), è nostra convinzioneche il requisito della forma ad substantiam negotii,

    non osti all’applicazione del principio dell’apparen-za giuridica. Vediamo perché.È nota, invero, l’obiezione per cui l’apparenza puòriferirsi solo a presupposti d’efficacia e non ad elementicostitutivi del negozio giuridico (47). L’idea, tuttavia,non è inconfutabile.Si consideri, ad esempio, l’ipotesi della rappresen-tanza “apparente” per la quale - si sostiene - l’appa-renza riguarda solo il titolo di legittimazione ( pre-supposto d’efficacia) e non la volontà negoziale (ele-mento costitutivo). Ma è agevole osservare che - lad-dove possa operare il principio in esame - lo pseudo-

    rappresentato risulterà vincolato dal contratto sti-pulato dal  falsus procurator nonostante l’assenza diun incarico reale e di una volontà diretta alla conclu-sione del contratto. Dal canto suo, il rappresentanteapparente è come se avesse manifestato alla contro-parte una duplice volontà riferibile al soggetto rappre-sentato: la prima è quella dell’incarico (che si mani-festa nella procura) ricevuto dal rappresentato; la se-conda è, poi, la (inesistente) volontà del negozio che ilrappresentante ha (apparentemente) il potere diconcludere.Il fenomeno non desta sorpresa. Caduto il dogma

    del vetero-volontarismo negoziale, è da tempo chia-

    ro alla dottrina che il difetto nella fattispecie nego-ziale del suo elemento essenziale (per eccellenza)non preclude necessariamente la produzione diqualsiasi effetto; e ben può accadere che, in ragione,

    ad esempio, della responsabilità (e non a caso si par-la di apparenza colposa) e dell’affidamento, determi-nati effetti (anche equipollenti, come si vedrà) si pro-ducano comunque.Essi, ovviamente, avendo una genesi legale (anzichénegoziale), trovano il loro fondamento nell’esigenzadi tutelare il soggetto che ha agito diligentemente ein buona fede. La volontà, invece, non gioca in talcaso alcun ruolo e per questo la sua mediazione èinutile. Un comportamento, infatti, non può valerecome manifestazione di volontà se non rivela un de-terminato intento negoziale; tuttavia, una grave tra-

    scuratezza dell’agente e il legittimo affidamento deiterzi possono far sì che l’effetto si imputi egualmen-te al suo autore a diverso titolo.Tale discorso, ovviamente, se vale per la volontà ne-goziale, non si vede perché non possa valere ancheper la  forma. Non si riscontrano, infatti, ostacoliteorici che escludano a priori la possibilità di ritene-re che, in determinate circostanze (nel concorsounivoco di segnali e simboli verso un determinatosignificato), anche la  forma possa essere “supplita”da una situazione apparente.

    I contratti 2/2011   173

    Giurisprudenza

    Contratti in generale

    Note:

    (43) Uno dei punti di forza della tesi “moderna” (M. Orlandi, op.ult. cit .) è quello per cui l’indagine sull’autografia avviene in unafase (logicamente e cronologicamente) successiva a quella dellaformazione del documento, che anzi si presuppone come già formato (altrimenti ogni giudizio sullo stesso non avrebbe nean-che ragione di porsi). Ne deriverebbe che il giudizio sull’autogra- fia della sottoscrizione non incide in alcuno modo su quello delperfezionamento del documento . A nostro sommesso avviso,però, la pendenza di un giudizio sull’autenticità non implica e nonsancisce la validità (risultato del giudizio) della sottoscrizione (e,quindi, sul perfezionamento del documento): l’indagine, al con-trario, è diretta ad accertare se quel che appare come una scrit-tura privata regolarmente formata, lo sia davvero . Essa presup-pone logicamente solo l’esistenza (e non l’autenticità) di una sot-

    toscrizione.(44) Ricordiamo che secondo la dottrina (F. Carnelutti, Teoria del falso, cit., 3.; S. Pugliatti, voce Conoscenza, in Enc. dir. IX, Mila-no, 1961, 21), il falso ha sempre in sé la potenza dell’errore epuò o provocarlo o essere usato allo scopo di provocarlo.

    (45) R. Sacco, voce Dichiarazione, cit., 163.

    (46) Per la nullità del contratto firmato col nome altrui quando laforma scritta è richiesta ad substantiam, v. il lontano precedentedi Cass. 28 aprile 1928 in Giur. It. 1928, I, 1, c. 1325 ss. (nellaspecie si trattava di un atto pubblico che la Corte negò che po-tesse valere anche come scrittura privata).

    (47) Oertmann, Grundsätsaliches zur Lehre vom Rechts- schein, in Zeit.für ges. Handelsr. 95, 1930, 461; A. Falzea, vo-ce Apparenza in Enc. dir., II, Milano, 1958, raccolto in Ricerche di teoria generale del diritto, II. Dogmatica giuridica , Milano,

    1997, 826.

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    Ciò, si badi, non equivale a ignorare che l’altruiincolpevole affidamento «non può trasformare una

     firma contraffatta in una firma autentica» (48). L’af-fermazione, pur essendo condivisibile, non impli-

    ca, tuttavia, che ad una firma apocrifa non si pos-sano mai collegare gli effetti di una firma autenti-ca. E a contrario non varrebbe obiettare che si trat-ta, in fin dei conti, di un mascheramento del con-tratto dietro l’etichetta di “effetto legale”, in quan-to - a parte la persistenza di alcune differenze di di-sciplina (si dovrebbe escludere, ad esempio, l’im-pugnativa per errore) - l’equipollenza dei mezzigiuridici (49) è un connotato dell’apparenza giuri-dica.Da un punto di vista analitico, sembra discutibile,pertanto, affermare (seppure ad adiuvandum) (50)

    che nella fattispecie in esame la volontà e la dichia-razione sono univoche. Invero, la volontà del domi-nus nominis è priva di valore negoziale (e si concre-tizza, inoltre, in un mandato ad scribendum da rite-nersi invalido per illiceità dell’oggetto, alla lucedell’art. 485 c.p.). Invalida è poi anche la formadella dichiarazione (51), visto che il contrassegno,essendo apocrifo, non è idoneo a “chiudere” il do-cumento. Di univocità, pertanto, si può discuteresu un piano di mero fatto, non giuridico. Al con-trario, è proprio nel comportamento doloso o col-poso del dominus nominis che si insinua una valuta-

    zione in termini di responsabilità (e non di negozia-lità).Per questa stessa ragione (oltre al fatto che - in ipo-tesi - si tratta di un contratto formale), inoltre, si de-ve escludere che il contratto si concluda per  factaconcludentia (52).In conclusione, deve dirsi che è ben possibile rico-noscere alla fattispecie gli effetti del contratto appa-rentemente sottoscritto, ma ciò non in quanto siproducono gli effetti negoziali (il contratto è e rima-ne nullo per difetto di forma), ma in virtù di una fat-tispecie complessa in cui (non la volontà negoziale

    ma) la responsabilità del dominus nominis nella crea-zione del falso, da un lato, e l’affidamento del terzoin buona fede, dall’altro, consentono l’imputazioneal dominus nominis degli effetti che il contrattoavrebbe prodotto se fosse stato formalmente valido(53).

    L’imputazione del contrattoal dominus nominis in virtù del principiodell’apparenza giuridica colposa 

    Astrattamente - e in alternativa all’opinione or oraespressa - potrebbe ritenersi che l’imputazione degli

    effetti debba avvenire in capo all’autore della sotto-

    scrizione (falsa) e non in capo al dominus nominis(54).Sul punto la dottrina è divisa.Riscuote, infatti, un certo credito la tesi (c.d. erme-

    neutica (55)) secondo cui la riferibilità soggettivadel vincolo negoziale posto da un contratto sottonome altrui deve fondarsi sull’interpretazione diquella parte del significato delle dichiarazioni con-trattuali che indica il soggetto dell’effetto (56), in-dipendentemente da chi l’abbia materialmente po-sta in essere. Questa impostazione avvicina (o addi-

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    Giurisprudenza

    Contratti in generale

    Note:

    (48) F. Galgano, Sul principio, cit.

    (49) S. Pugliatti, La trascrizione. I. 2. La pubblicità in generale, inTrattato di diritto civile, diretto da A. Cicu-F. Messineo, XIV - Mi-

    lano, 1957, 253; R. Sacco, Buona fede nella teoria dei fatti giuri- dici di diritto privato , Torino, 1949, 56.

    (50)Così A. G. Cianci, Falsa sottoscrizione del contratto e princi- pio dell’apparenza , in Giur. merito , 2002, 4-5, 1940, 2.

    (51) Ovviamente, sempre nel caso in cui per la scrittura privatasia necessario una sottoscrizione e, anche laddove lo sia, nonconcorrano ulteriori (e volontari) indici espressivi (come in pas-sato erano il manum ponere, tangere cartam) che rendano inno-cua l’assenza della firma “regolare” (e sia assolta anche la fun-zione indicativa).

    (52) È questa, invece, l’autorevole opinione (ma evidentementein riferimento a contratti non formali) di F.Galgano, op. loc. ult.cit.

    (53) L’imputazione del negozio sotto nome altrui in capo al titola-re del nome non era estranea al nostro ordinamento giuridico.Secondo L. Coviello jr., op. cit. 105, e G. Benacchio (op. cit. 673-674), l’art. 865 dell’abrogato Cod. Comm. del 1882 disciplinava(seppur indirettamente) un’ipotesi di questo tipo laddove puniva«…colla reclusione sino a cinque anni coloro che senza compli- cità in bancarotta sono convinti: (…) 3° di essersi resi colpevoli dei fatti indicati nell’articolo 860 - bancarotta fraudolenta, n.d.a. -, esercitando il commercio sotto altrui nome o sotto nome si- mulato. Al commerciante che scientemente prestò il nome si applica la stessa pena » in quanto, specifica Benacchio: «…colui che esercita una attività commerciale sotto nome altrui non di- viene commerciante, mentre tale diviene, con la conseguente possibilità di essere dichiarato fallito, colui che ha prestato il suo nome ».Da un punto di vista comparatistico, è affine al nostro tema, inmateria di “negotiable instruments ”, l’art. 3, Part 4 - Liability of parties - Section 406 dell’Uniform Commercial Code che attual-

    mente disciplina per l’ordinamento statunitense l’ipotesi di «ne- gligence contributing to forged signature or alteration of instru- ment » a favore del soggetto che, in buona fede, «…pays the in- strument or takes it for value or for collection».

    (54) Nella decisione in commento, l’esclusione di effetti in capoal titolare del nome è fondata sulla mancata creazione di una si-tuazione che possa definirsi di rappresentanza. Ma anche l’im-putazione del negozio all’autore materiale della sottoscrizioneviene esclusa attraverso l’argomentazione (in apparente contra-sto con la precedente) secondo cui: «Il C.F…. non ha agito in no- me proprio e per conto altrui, bensì in nome altrui, falsificando la firma della C.E.».

    (55) G. Piazza, voce Negozio, cit.; M. Orlandi, op. ult. cit.

    (56) In generale sulla fattispecie “soggetto” del negozio, v. A.Falzea, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici , Milano,

    1939.

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    rittura sovrappone) l’agire sotto nome altrui (defini-to talvolta come rappresentanza “mascherata”)(57) all’agire in nome altrui (58). Così, il soggettoche dichiara sotto nome altrui assumerebbe la posi-

    zione di mera parte formale ( Abschlusspartei), men-tre parte sostanziale sarebbe il titolare del nomeusato ( Namenspartei). Esito affine a quello dell’agi-re rappresentativo: rendere dominus il titolare diuna dichiarazione materialmente emessa da un al-tro soggetto.La ragione portante di questa ricostruzione risiedenella considerazione per cui ogni dichiarazione sipresenta, innanzitutto, come fatto oggettivo-immate-riale da interpretare. Postulando, quindi, come para-metro oggettivo di riferimento il significato del «te-sto» secondo la valutazione impersonale che un ter-

    zo, onesto, diligente ed estraneo alla situazione pos-sa fare della dichiarazione secondo un criterio dinormalità espressiva (art. 1366 c.c.), il soggetto delvincolo giuridico verrà chiaramente individuato(59).Secondo una diversa tesi (60), invece, l’imputazionedelle dichiarazioni dipende innanzitutto dal rapportodi pertinenza psicologico-materiale con il soggettoche pone in essere la dichiarazione: colui che emet-te quest’ultima, infatti, si presume essere anche coluiche assume il vincolo che ne deriva (61). Così, chiagisce sotto nome altrui non manifesta l’intenzione

    di agire per il titolare del nome: chi dichiara in pri-ma persona, sia pure attribuendosi il nome d’altri,mostra di dichiarare negozialmente per sé. La dichia-razione è, infatti, sempre retta dalla presunzione diidentità tra soggetto autore materiale e soggetto ti-tolare (che assume il vincolo giuridico) espresso dalsignificato della dichiarazione. E ciò sarebbe dimo-strato dal fatto che l’ordinamento richiede sempreuna contemplatio domini intellegibile ai terzi affinchési possa rompere il nesso di identità tra soggetto delnegozio e dichiarante.In questa prospettiva, il problema dell’imputazione

    della dichiarazione sotto nome altrui non si risolvein un problema di interpretazione della dichiarazio-ne; né è un problema che si può porre nei negoziconclusi “tra presenti” (almeno nel caso in cui il de-stinatario della dichiarazione non conosca material-mente il dominus nominis e/o non ci sia motivo per-ché si crei l’affidamento circa il prodursi degli effet-ti negoziali in capo ad un soggetto diverso da quelloche ha apposto la sottoscrizione) (62).Ma per questa stessa ragione (ossia per il fatto chenell’ordinamento vige un principio per cui chi ponein essere la dichiarazione si presume essere colui che

    ha inteso assumere il vincolo che ne deriva) (63),

    anche nel caso di contrattazione inter absentes, nonc’è motivo per il destinatario di dubitare che la firmariportata nel documento non sia stata apposta daldominus nominis.

    Si verifica allora, com’è intuibile, una discrasia trarealtà apparente (la sottoscrizione è stata apposta daltitolare del nome) e realtà effettiva (la sottoscrizione èstata apposta dal falsificatore), la cui composizionegiuridica può avvenire solo per mezzo del principiodell’apparenza colposa (64).Com’è noto, effetto connotativo dell’apparentia iurisè l’immediata costituzione di un vincolo giuridicofondato su circostanze univoche che, secondo il ra-gionevole giudizio di un uomo diligente, segnalanouna situazione giuridica reale, mentre in verità essa èirreale (65). Nel caso di specie, la situazione appa-

    I contratti 2/2011   175

    Giurisprudenza

    Contratti in generale

    Note:

    (57) Reichel, Höchsfpersönliche Geschäfte , Berlin, 1931, 68.

    (58) Contra U. Natoli, op.ul. cit .

    (59) In senso critico v. S. Delle Monache, La «contemplatio do-mini». Contributo alla teoria della rappresentanza , Milano, 2001,77, nota 181.

    (60) Imputazione da farsi quindi secondo un giudizio d’illazione eregola d’esperienza: Ferrini, Manuale di Pandette , Milano, 1900,147, secondo cui: «se taluno opera simulando che operi (ad es.contragga) un altro, non potranno derivare effetti per quest’ulti- mo; gli effetti si fermeranno nel primo »; L. Coviello jr., op. cit.103 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile 9, Milano, 575; S.Delle Monache, op. cit., 67 ss. e 252 ss.; nonché sostanzial-

    mente anche G. Piazza, op. ult. cit.; R. Sacco, in R. Sacco-G. DeNova, Il contratto , I, Torino, 138; R. Sacco, voce Dichiarazione,cit. 157.

    (61) Il principio era in parte esplicitato dall’art. 1127 dell’abroga-to codice civile del 1865 secondo il quale: «Si presume che cia- scuno abbia contrattato per sé e per i suoi eredi ed aventi causa,quando non siasi espressamente pattuito il contrario, o ciò nonrisulti dalla natura del contratto »

    (62) S. Delle Monache, op. cit. 76 ss.

    (63) S. Delle Monache, loc. cit.

    (64) Non si tratta, quindi, di sciogliere (solo) una questione d’in-terpretazione della dichiarazione, ma di assumere il fatto dellapertinenza giuridica della dichiarazione. Fatto che, come visto, èretto dal principio di identità tra autore materiale ed autore giu-ridico del negozio; e che apre, quindi, i margini per la creazione

    di situazioni apparenti (così S. Delle Monache, op. loc. ult. cit.).Seguendo i dettami della tesi ermeneutica, al contrario, non sa-rebbero neanche integrati i requisiti richiesti per il principio inesame: il giudizio di imputazione, infatti, si fonda sulla segnala-zione dell’essersi verificato di un fatto (apposizione della sotto-scrizione da parte del vero titolare del nome) irreale , e non sul-l’attribuzione di un significato ad un evento effettivamente rea-lizzatosi (in questo caso, a rigore, discutere di apparenza sareb-be inutile, risolvendosi tutto nell’interpretazione della dichiara-zione).

    (65) Si discute se la fattispecie trovi applicazione anche al dilà delle ipotesi tipizzate (artt. 113, 534 comma 2,1189, 1415c.c. ecc.). Fuori da questi casi, è a nostro avviso legittimo ri-tenere costituibili situazioni giuridiche su circostanze appa-renti (irreali) laddove si integri una fattispecie complessa incui confluiscono ed operano, da un lato, il principio di auto-re-

    (segue) 

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    rente è l’esistenza di un contratto valido (sotto ilprofilo formale) in quanto sottoscritto con una fir-ma che appare autografa (ossia apposta dal soggetto“indicato” dalla sottoscrizione). E poiché nel caso in

    cui la realtà fosse stata coincidente con l’apparenza,gli effetti del contratto (a quel punto, valido) si sa-rebbero prodotti in capo al dominus nominis, lo stes-so deve avvenire allorché si supponga che detti ef-fetti si producano in virtù dell’operare del principiodell’apparenza giuridica.Si aggiunga che - essendo presupposto dell’ipotesiesaminata (e, più in generale, del principio del-l’apparenza giuridica) che il dominus nominis ab-bia contribuito a creare, intenzionalmente oquanto meno con colpa, la situazione di apparen-za - si giustifica anche sotto questo profilo la con-

    clusione raggiunta, in virtù del principio  per cuinessuno può trarre vantaggio dalla invalidità del pre-cetto di volontà provocata dal suo comportamento(principio sotteso, ad esempio, alla disciplina del-l’art. 1426 c.c.).È opportuno altresì ribadire che l’altro presuppostodell’operare del principio di apparenza - ossia la buo-na fede (66) della controparte di chi ha creato la si-tuazione di “apparenza” - non è escluso dalla circo-stanza che il destinatario della dichiarazione recantela sottoscrizione apocrifa non abbia compiuto accer-tamenti sull’autenticità della sottoscrizione (e debba

    quindi considerarsi in colpa). Infatti, nel caso di spe-cie, non essendoci una dissociazione soggettiva im-mediatamente percepibile tra l’autore della sottoscri-zione ed il dominus nominis (67), l’onere di compierei suddetti accertamenti sembrerebbe a priori escluso.È utile, in proposito, ricordare che laddove il legisla-tore ha voluto che per taluni contratti ci sia la cer-tezza (reciproca) dell’identità delle parti, egli ha predi-sposto specifici sistemi di autenticazione (come av-viene, tipicamente, nell’attività di documentazionedegli atti pubblici; che sono gli unici, pertanto, in cuiquesta certezza è garantita) (68). Laddove, invece,

    ciò non è previsto, il sistema accetta (implicitamente)il rischio della dissociazione soggettiva nelle produ-

    I contratti 2/2011176

    Giurisprudenza

    Contratti in generale

    Note:

    (continua nota 65) 

    sponsabilità (che giustifica la costituzione di vincoli giuridici ir-reali in capo al soggetto colpevole; C.M. Bianca, op. cit., 21;prudente S. Pugliatti, voce Auto-responsabilità , in Enc. dir.,IV, 1959) e, dall’altro, il principio dell’affidamento (per dar rile-vanza alle segnalazioni univoche delle circostanze apparenti;R. Sacco, voce Affidamento , in Enc. dir., I, 1958). Si rileva, co-sì, non solo una semplice regolarità , ma la ragione per cui èpossibile ritenere che tutte le volte in cui un soggetto creaper fatto proprio un’apparenza giuridica a sé sfavorevole non

    potrà opporre il vero stato di fatto e diritto, al terzo che abbia

    confidato (senza propria colpa) nell’apparenza ingannevole. Alivello analitico vale riportare, inoltre, l’idea (v. E. Contino, Ap- parenza: principio generale od eccezionale?  in Giust. civ.2002, 6, 1638) secondo cui l’esclusione dell’applicazione del-l’apparenza presupporrebbe la vigenza di un (opposto) princi-pio di irrilevanza della manifestazione della titolarità delle si-tuazioni giuridiche (R. Moschella, Contributo alla teoria giuri- dica dell’apparenza , Milano, 1973, 97): idea quest’ultima che,tuttavia, confonderebbe l’“apparenza” del diritto con la sem-plice “inesistenza del diritto”; mentre è evidente che, sul pia-no della realtà materiale, la situazione giuridica apparente “è ”manifestata. Per la tesi contraria, invece, occorrerebbe rite-nere vigente un principio generale per cui la manifestazionemateriale della titolarità delle situazioni giuridiche sia un fattogiuridicamente irrilevante. Operazione non ovvia. Anzi, nel ca-so del negozio sotto nome altrui è vero proprio il contrario:come si è visto, infatti, esiste una presunzione di immediatapertinenza giuridica tra autore materiale della manifestazionenegoziale e assunzione della titolarità (impegno del vincologiuridico) da parte del dichiarante. In linea generale, in meritoall’apparenza giuridica si sono avute posizioni contrarie o re-strittive (già sotto il codice precedente G. Stolfi, L’apparenza 

    del diritto , Modena, 1934 e, sotto il nuovo codice, Teoria del negozio, cit.; P. Rescigno, Sui principi generali del diritto , inRiv. trim. dir. proc. civ., 1992, 394; F. Galgano, Diritto civile,cit. 393 ss.; Cass. 01 marzo 1995 n. 2311 in Giur. it. 1995, I,1, 2032); prudenti (L. Mengoni, L’acquisto a non domino , Mi-lano, 1949), ma anche favorevoli (M. D’Amelio, Sull’apparen- za del diritto , MT, 1934, 521 ss.; A. Falzea, voce Apparenza…cit .; R. Sacco, voce Apparenza , in Dig. disc. priv., I, Torino,1987; Cass. 16 settembre 2008, n. 23708 in Giust. civ.Mass., 2008, 9, 1367; Cass. 25 maggio 2007, n. 12201 in Gui- da dir., 2007, 26). Alcuni, prendono semplicemente atto delformante giurisprudenziale (ad es. A. Falzea, op. ult. cit.; R.Sacco, voce Apparenza, cit .), ormai assurto a fonte del diritto;per altri è possibile la ricostruzione di una categoria unitariadall’unione degli elementi comuni delle ipotesi tipizzate, maciò non sfuggirebbe all’accusa di pseudo-principio (v. per la

    terminologia P. Perlingeri-P. Femia, Nozioni introduttive e prin- cipi fondamentali del diritto civile , Napoli, 2004). Sull’applica-zione del principio dell’apparenza al negozio sotto nome al-trui, v. R. Sacco, voce Dichiarazione, cit. 161 ss.; C. M. Bian-ca, op. cit. 64; M. Orlandi, op. ul. cit., 141 ss.; S. Delle Mona-che, op. cit. 76; A. G. Cianci, op. cit.. Non esclude, senza spe-cificare il motivo, l’imputazione del negozio al titolare del no-me che abbia consentito alla falsificazione V. Baratta, op. cit.673.

    (66) In genere, i rapporti tra affidamento, buona fede ed appa-renza giuridica vanno tenuti distinti perché ad ognuno di essicorrisponde una valutazione diversa dello stato soggettivo di fi-ducia. Secondo A. Falzea, op. ult. cit., 835 ss., la buona fede èelemento della fattispecie per nesso giuridico e non logico , inpiù: «l’apparenza è legata all’errore, ma non si confonde conesso. L’errore è un fenomeno individuale e soggettivo … L’ap- 

    parenza è un fenomeno sociale e oggettivo …», ossia è fontedi un «errore collettivo possibile ». L’operatività del principionon è però subordinata alla necessità che davvero l’errore esi-sta, perché taluni possono ingannarsi, altri invece no. Contra S.Pugliatti, La trascrizione, cit., 257-258) per cui: «… in tutte le ipotesi in cui ha rilevanza la c.d. apparenza, la buona fede è qua- si sempre elemento costitutivo della fattispecie … sì che con- viene parlare senz’altro di tutela della buona fede, anziché del- l’apparenza ».

    (67) Come accadrebbe se, in presenza della controparte , un uo-mo apponesse una firma usando il nome di una donna (ad es., lamoglie, o la figlia).

    (68) L’autenticazione di firma è volta a certificare la provenien-za della firma apposta ad un documento (cfr. voce Autentica- zione in Enc. dir. IV, Milano, 1959). Nell’atto pubblico, ad esem-pio, ai sensi dell’art. 51, n. 4 l. 16 febbraio 1913, n. 89 il notaio

    farà menzione della certezza dell’identità personale delle parti.

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    zioni documentali e non può, pertanto, essere rite-nuta affetta da colpa la parte che tale rischio “sistemi-co” assume. Nell’economia dei traffici giuridici nonmediati da un controllo esterno ed imparziale, esiste

    infatti un principio di presunzione della provenien-za della sottoscrizione da chi appare averla emessa(69).

    Conclusioni

    A conclusione del percorso fin qui tratteggiato, sem-bra auspicabile, in una prospettiva de jure condendo(70), l’esplicitazione legislativa della regola per cuichi contribuisce, per propria colpa o volontà, alla reda-zione apocrifa della propria sottoscrizione in una scrittu-ra privata, non può disconoscere la provenienza del do-cumento contro colui che, in buona fede, ha confidato

    sulla sua autenticità apparente.Tornando alla decisione in commento, non sembrache la motivazione si soffermi adeguatamente suiprofili di più forte rilievo del caso. Essa non prendein alcun modo in considerazione né le particolarimodalità con le quali la sottoscrizione apocrifa è sta-ta apposta, né investiga sugli eventuali profili di col-pa del titolare del nome. Il profilo più discutibile,pertanto, attiene ad un difetto di motivazione su unpunto essenziale. Nel merito, è possibile condividere la decisionedella Cassazione in esame solo se si assume come

    elemento di fatto la conoscenza da parte dellaBanca della falsità della firma (laddove questa siastata apposta in presenza della controparte). Di-versamente (ossia nel caso di formazione del con-tratto inter absentes), il ragionamento è evidente-mente contraddittorio laddove, dapprima escludedall’alveo della rappresentanza il contratto sottonome altrui (idea condivisibile, quantomeno sulprofilo “esterno”), ma poi dichiara l’inapplicabiltàdel principio dell’apparenza giuridica proprio inragione delle norme dettate in tema di rappresen-tanza. Sembra, invece, doversi concludere che in

    caso di difetto dell’esteriorizzazione della contem- platio domini (difetto che caratterizza la fattispeciedel contratto sotto nome altrui), il fenomeno dicooperazione soggettiva si pone su un piano mera-mente interno ad una parte negoziale. La contro-parte non ha ragioni per non confidare sulla pre-sunzione d’identità tra autore materiale della sot-toscrizione e titolare del nome e, allorquando que-st’ultimo abbia contribuito alla creazione del falso,egli non potrà avvantaggiarsi della (provocata)nullità a danno del terzo in buona fede, ma in for-za del principio dell’apparenza giuridica colposa

    sarà vincolato agli effetti che il contratto avrebbe

    prodotto (se fosse stato concluso in modo formal-mente valido).

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    Giurisprudenza

    Contratti in generale

    Note:

    (69) L’osservazione, si badi, non apre vuoti di tutela in quanto èprecisa scelta di sistema quella per cui i conflitti d’interessi chetale stato di incertezza comporta vanno risolti in virtù del princi-pio dell’affidamento.

    (70) Il complesso tema del negozio sotto nome altrui ha suscita-to in Italia una vivace discussione anche intorno all’opportunità diun intervento chiarificatore da parte del legislatore. Fortementesuggerita da una parte della dottrina (ad es. V. Di Cagno, Il nego- zio giuridico sotto nome altrui o falso , Bari, 1965), altra parte (v.risultati della Commissione notarile presieduta da V. Baratta, op.cit.,. 668, la quale) ha constatato la: «… insuperabile difficoltà di determinare una fattispecie astratta, tipica, alla quale ricondurre le situazioni concrete prospettate, le quali appaiono intimamen- te legate ad atteggiamenti particolari, unilaterali del soggetto di- 

    chiarante al punto che sfuggono ad una obiettiva puntualizzazio- ne »; o l’inutilità di una riforma (G. Benacchio, ibidem, 677) vistoche l’ipotesi sarebbe già disciplinata dalle norme in tema di erro-re sull’identità o sul dolo. In realtà, sebbene molteplici difficoltàsi possono presentare per la sistemazione del negozio sotto no-me altrui in generale, non è possibile ignorare le gravi conse-guenze di disciplina che, come già segnalato, sono sancite dallagiurisprudenza nei casi in cui la falsificazione sia conseguenza diun comportamento del titolare del nome. Per altro verso, il feno-meno - sebbene con numerosi aspetti di diversità da quello quianalizzato - sembra poter acquisire un’esponenziale espansionea seguito dell’evoluzione tecnologica. Già la dottrina più attentanon ha tardato ad occuparsene (R. Zagami, Firma digitale e sicu- rezza giuridica , Padova, 2000, 276 ss. e, in merito al principio del-l’apparenza, v. 283-284). Si ricorda che in materia di firma digita-le (che è strutturalmente più vicina ad un “sigillo” - con i perico-li chiari alla dottrina fin da F. Carnelutti, Studi, cit., 525 - che aduna sottoscrizione chirografa  - cfr. anche M. Ferraris, op. cit.,337-338 - e pertanto ogni ragionamento fondato sulla struttura espressiva del contrassegno è escluso), l’art. 32 d.lgs. n. 82 del2005 (Codice dell’amministrazione digitale) prescrive in capo altitolare del dispositivo di firma la custodia del dispositivo stessoe l’adozione di tutte le misure organizzative e tecniche idonee adevitare danno ad altri; è altresì tenuto ad utilizzare personalmen- te il dispositivo (v. anche le fattispecie penali contemplate dal-l’art. 491-bis c.p., nonché dall’art. 617-sexies c.p.). Ma è intuibi-le che una più forte garanzia dell’uso personale si ha solo in ca-so di dispositivi di firma dotati di rilevatori biometrici (sebbenesiano sempre possibili i c.d. false positives o negatives  dipen-denti dalle naturali variazioni del corpo - che creano problemi diinterfaccia con i sensori - o all’uso di latent images o per un cap- ture e replay attack : v R. Zagami, op. cit., 272, nota 16). Il temaapre, quindi, nuovi scenari di discussione. Cfr. M. Orlandi, Il fal- so digitale , Milano, 2003.