Eric J. Hobsbawm I ribelliForme primitive di rivolta sociale
Tìtolo originale Primitive Rebels. Studies in Archaic Forms of Social Movement
in the 19th and 20th Centuries
Manchester University Press
© 1959 E. J. Hobsbawm
© 1966 e 2002 G iu lio Einaudi editore s.p.a., Torino
Traduzione di Betty Foà
www.einaudi.it
ISBN ! ì-06-16305-1
P icco la B ib lio teca E inaud i Storia e geografia
Indice
p . V II
XI
3
19
41
75
95
1 1 9
1381 6 1
102
223
P refa z io n e
P re fa z io n e a ll’ed iz io n e italiana
I ribelli
I. Introduzione
II. Il banditismo sociale
n i. La Mafia
iv. I l millenarismo I : Lazzaretti
v. I l millenarismo I I : gli anarchici andalusi
v i. Il millenarismo I I I : i fasci siciliani e il com uniSm o nelle campagne
v ii. Il mob cittadino
v ili . Le sette operaie
ix . Il rituale dei movimenti sociali
AppendiceDocumenti in versione originale e testimonianze dirette
249 In d ic e analitico
2^7 In d ic e d e i n o m i e d e i lu o g h i
P refazione
L ’interesse per gli argomenti trattati in questo libro fu destato in me, per la prima volta, dal professor Am brogio Donini, che mi parlò dei lazzarettisti toscani e degli appartenenti alle sette dell’Italia meridionale. Nel 19 56 il professor M ax Gluckman mi fece invitare dalla Università di Manchester a tenere tre conferenze sull’argomento ed ebbi la fortuna, in quella circostanza, di poterne discutere con lui e con un gruppo di antropologi, storici, economisti e studiosi di dottrine politiche nonché esperti dei movimenti millenaristici, quali il dottor Peter W orslev ed il professor Norman Cohn. Questo libro risulta dall’ampliamento di quelle conferenze con l ’aggiunta di alcuni capitoli su argomenti che, nonostante le mie intenzioni, non potetti trattare nelle conferenze originarie. Sono grato alla Università di Manchester e specialmente al professor Gluckman, senza il cui incoraggiamento certamente questo libro non sarebbe stato scritto.
G li studiosi alle cui idee ho attinto sono troppo numerosi per citarli singolarmente; ho cercato di farlo, quando era necessario, nelle note a piè di pagina, dove ho altresì indicato i testi di cui mi sono più largamente valso. Desidero anche ringraziare la direzione della biblioteca del British Museum, la biblioteca dell’Università di Cambridge, la biblioteca britannica di scienze politiche, la biblioteca di Londra, la biblioteca Feltrinelli di Milano, la biblioteca universitaria di Granada, l ’Istituto internazionale di storia sociale di Amsterdam, la biblioteca G iustino Fortunato di Roma e le biblioteche comunali di Cadice in Spagna e Cosenza in Italia per la loro cortesia verso uno studioso straniero.
V i l i PREFAZIONE
Un argomento come questo non può venire studiato solo sui documenti. Qualche contatto personale, anche superficiale, con i popoli ed i luoghi descritti dallo storico è essenziale per comprendere problemi che sono straordinariamente lontani dalla vita normale di un professore universitario inglese. Ogni lettore di quello studio classico sulla rivolta sociale primitiva, che è Rebellion in the Backlands di Euclide da Cunha, si renderà conto del contributo che a quella importante opera hanno recato le nozioni di prima mano dell’autore sugli uomini della foresta vergine brasiliana e la sua comprensione per quel mondo. Non sono in grado di dire se in questo libro io sia riuscito a capire luoghi e persone; se non vi fossi riuscito non ne avrebbero però colpa le numerose persone, uomini e donne, che hanno cercato, spesso senza intenzione, di spiegarmeli. Sarebbe assurdo elencarli tutti, anche se lo potessi. Tuttavia desidero ringraziare qualcuno in modo particolare, specialmente l ’onorevole Michele Sala, sindaco e deputato di Piana degli Albanesi in Sicilia, il sindaco di San Giovanni in Fiore, la città dell’abate Gioacchino da Fiore, in Calabria, i signori Luigi Spada- foro, contadino, e Giovanni Lopez, calzolaio, la signora Rita Pisano, già contadina ed ora organizzatrice femminile per il partito comunista nella provincia di Cosenza, in Calabria; il signor Francesco Sticozzi, agricoltore, ed il dottor Raffaele Mascolo, veterinario, di San Nicandro in Puglia e qualche informatore dell’Andalusia, che, data la situazione, ha preferito rimanere anonimo. Nessuno di loro porta la responsabilità dei punti di vista espressi in questo libro ed è forse consolante l ’idea che, fra di loro, qualcuno non se ne curerà perché non lo leggerà mai.
Per concludere, desidero osservare che sono perfettamente consapevole dell’insufficienza di questo saggio quale opera di dottrina storica. Nessun capitolo è esaurienteo completo. Il modesto lavoro di ricerca che ho condotto sulle fonti primarie e direttamente sul posto è certamente incompleto e gli specialisti - come del resto io stesso - noteranno sfavorevolmente la mancanza del benché minimo tentativo di esaurire le fonti secondarie e con ben maggiore severità osserveranno i miei errori e le mie ine
PREFAZIO NE IX
sattezze. Desidero però anche osservare che scopo di questo libro non è una sistemazione scientificamente esauriente della materif-.
Uno dei capitoli contiene materiale già pubblicato sul «Cambridge Journal», v i i , 12 , 19 54 . La parte essenziale di un altro capitolo è stata letta alla radio nel 19.57.
B irk b eck College, lu g lio 19 5 8 .
E . J . H .
P refaz io n e a ll'ed izione ita liana
L ’uscita dell’edizione italiana del libro mi ha fornito l ’occasione di apportare lievi modifiche al testo e di richiamare l ’attenzione su qualcuna delle numerose pubblicazioni che cominciano ora ad apparire nel campo dei nostri studi. Nei sette anni e mezzo seguiti alla stesura del manoscritto inglese, è naturale che in determinati argomenti sia stato acquisito nuovo materiale di studio e si siano verificati sviluppi nuovi della situazione. Ho anche introdotto brevi riferimenti a fenomeni di «rivolte prim itive» nell’America latina, che da allora ho avuto modo di approfondire, grazie all’aiuto della Fondazione R ockefeller. Colgo l ’occasione per esprimere i miei ringraziamenti alla Fondazione, che mi ha fornito i mezzi per allargare il campo dei miei studi, e ai colleghi ed amici che hanno discusso, e talora approvato, le tesi di questo libro.
E . J . H .
1966 .
Capitolo primo
Introduzione
Questo saggio comprende studi su una serie di fenomeni, che possono tutti definirsi come forme primitive o arcaiche di agitazione sociale: banditismo alla Robin Hood, società segrete rurali, movimenti rivoluzionari contadini del genere millenaristico, mobs urbani preindustriali e loro rivolte, sette religiose di lavoratori ed impiego del rituale nelle prime organizzazioni operaie rivoluzionarie. Alla mia trattazione ho aggiunto documenti che illustrano, preferibilmente con le loro stesse parole, idee e convinzioni di coloro che presero parte a tali movimenti. Campo principale d ’indagine è l ’Europa occidentale e meridionale e specialmente l ’Italia, dalla Rivoluzione francese in poi. Il lettore curioso potrà considerare questo libro una semplice descrizione di fenomeni sociali interessanti, incredibilmente poco conosciuti, data la trattazione piuttosto disorganica che ne è stata fatta in lingua inglese. Tuttavia, poiché la struttura di questo saggio è analitica ed al tempo stesso descrittiva - e in effetti non vengono trattati argomenti che non siano già noti agli esperti della materia - sarà opportuno illustrarne l ’impostazione.
La storia dei movimenti sociali viene di solito trattata secondo una duplice partizione. Sappiamo qualcosa dell'antichità e del Medioevo: rivolte di schiavi, eresie e sette a carattere sociale, ribellioni di contadini e simili. Dire però che abbiamo una storia di tali fenomeni potrebbe forse indurre in errore, poiché finora se ne è trattato diffusamente ma sempre come di fatti meramente episodici nel quadro della storia generale dell’umanità; gli storici
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d ’altronde non si sono trovati d ’accordo sulla importanza di questi fatti nel processo storico e tuttora discutono in che esatta relazione essi stiano con il corso della storia. Per quanto riguarda i tempi moderni tali agitazioni sono state trattate da tutti gli studiosi (tranne che dagli antro- pologi che devono occuparsi delle società precapitaliste o semicapitaliste) solo come fenomeni precorritori o come sopravvivenze anomale. D ’altronde i movimenti sociali moderni - e cioè quelli dell’Europa occidentale, a partire dal tardo secolo x v m , e quelli di sempre più vaste regioni del mondo, in epoche successive - di norma sono stati trattati secondo uno schema stabilito da lungo tempo e, tutto sommato, ragionevoli. Per ovvi motivi gli storici hanno concentrato la propria attenzione sui movimenti operai e socialisti e sugli altri movimenti analoghi in quanto s ’inscrivono in uno schema socialista. Di solito si ritiene che questi movimenti abbiano delle forme primitive — associazioni artigiane, luddismo, radicalismo, giacobinismo e socialismo utopistico - e si evolvano poi verso forme moderne, che variano da paese a paese ma che si riscontrano pressoché ovunque. Cosi dai movimenti operai si sviluppano determinate forme di sindacato e di organizzazione cooperativistica, determinati tipi di organizzazione politica, come i partiti di massa, e di programmi o ideologie, come il socialismo laico.
G li argomenti di questo libro non rientrano in nessuna delle due categorie. A prima vista potrebbe dirsi che appartengano alla prima. Comunque nessuno si stupirebbe di incontrare in pieno Medioevo europeo Vardarelli e associazioni quali la Mafia o i movimenti millenaristici. Il fatto è però che tali fenomeni non si verificano nel M edioevo, ma nei secoli x ix e x x e infatti gli ultimi centocin- quant’anni ne hanno prodotto un numero straordinariamente elevato, per i motivi che vengono analizzati nel testo. Non si potrebbe neppure considerarli soltanto come fenomeni marginali o privi di importanza, sebbene gli storici precedenti abbiano spesso cercato di farlo, o in ossequio a tendenze razionaliste e moderniste, o perché, come spero di dimostrare, la natura e la dipendenza politica di tali movimenti è spesso indeterminata, ambigua o anche
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ostentatamente conservatrice, o infine perché gli storici, prevalentemente di alto livello culturale e di origine cittadina, fino a poco tempo fa non si sono sufficientemente sforzati di comprendere gente cosi diversa da loro. Infatti, con la sola eccezione delle associazioni rituali di tipo carbonaro, tutti i fenomeni analizzati in questo testo appartengono ad un mondo di uomini che non scrivono né leggono molti libri - spesso perché analfabeti - , che raramente sono conosciuti per nome, se non dagli amici, e spesso solo per soprannome, che sono di norma incapaci di esprimersi in maniera comprensibile e ben di rado vengono capiti, anche quando riescono ad esprimersi. Inoltre si tratta di individui «prepolitici», che ancora non hanno trovato (o soltanto hanno cominciato a trovare) un preciso linguaggio, con il quale esprimere le proprie aspirazioni. Benché dunque i loro movimenti, sotto molti aspetti ed in rapporto al livello dei movimenti moderni, siano ciechi e procedano a tentoni, essi non sono né privi di importanza né marginali. Uomini e donne come quelli descritti in questo libro ancora oggi formano la grande maggioranza di molti, se non di quasi tutti, i paesi e la conquista da parte loro di una coscienza politica ha reso il nostro secolo il più rivoluzionario della storia. Per questa ragione lo studio dei loro movimenti non si risolve soltanto in curiosità, interesse o commozione per quanti hanno a cuore il destino dell’umanità, ma riveste importanza anche pratica.
G li uomini e le donne di cui tratta questo libro differiscono dagli inglesi per il fatto di non essere nati nel mondo del capitalismo, come vi è invece nato un meccanico della regione del Tyne che ha alle spalle quattro generazioni di sindacalisti. Essi vi entrano invece come immigranti della prima generazione oppure - quel che è ancora più catastrofico - il capitalismo si impone loro dall’esterno, per l ’azione insidiosa di forze economiche che essi non comprendono né possono controllare, ovvero a seguito di brutale conquista, di rivoluzioni o di radicali riforme legislative, le cui conseguenze essi non possono capire, nep-
1 [Regione industriale del Nord-Est dell’Inghilterra].
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pure quando hanno contribuito al loro avvento. Non crescono nemmeno insieme alla società moderna o all’interno di essa: vi vengono immessi di forza o, più raramente- come nel caso dei banditi siciliani provenienti dalla piccola borghesia - vi penetrano di violenza. Il loro problema è come adattarsi alla vita ed alle lotte di quella società e proprio tale processo di adattamento (o il suo fallimento), quale si esprime nei movimenti sociali di tipo arcaico, è l ’argomento di questo libro.
Le parole «prim itivo» ed «arcaico» non dovrebbero però indurci in equivoco. Alle spalle di tutti i movimenti esaminati in questo libro sta un processo di evoluzione storica notevole; essi appartengono infatti ad un mondo che da tempo ha conosciuto lo Stato (e cioè soldati e poliziotti, prigioni, esattori di tasse e forse anche funzionari pubblici), le differenze di classe e lo sfruttamento da parte di proprietari terrieri, commercianti e simili, e perfino le città. Continuano a esistere i legami della parentela o la solidarietà tribale, che - combinati o meno con i vincoli territoriali - costituiscono il perno di quelle società comunemente considerate primitive; ma, per quanto conservino ancora importanza notevole, non rappresentano più la difesa primaria dell’individuo contro l ’insicurezza del suo ambiente sociale. La distinzione tra queste due fasi dei movimenti sociali di tipo primitivo non può essere netta né rigorosa: ma una distinzione, a mio parere, è necessaria. I problemi che essa solleva non vengono discussi in questo libro ma possiamo illustrarli con chiarezza ed in breve mediante esempi tratti dalla storia del banditismo di tipo sociale.
Tale fenomeno ci pone di fronte a due tipi opposti di fuorilegge. Da una parte il classico fuorilegge per vendetta di sangue, della Corsica per esempio, il quale non era un brigante di tipo sociale che combatteva i ricchi per aiutare i poveri ma un uomo che combatteva con e per il proprio gruppo familiare (ricchi compresi) contro un altro gruppo familiare (poveri compresi). D all’altra parte troviamo invece il classico Robin Hood, che era ed è essenzialmente un contadino in rivolta contro padroni di terre, usurai ed altri rappresentanti di quella che Thomas More
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chiamava la «congiura dei ricchi». Fra i due estremi si svolge tutto un processo di evoluzione storica che non è mio intento analizzare in dettaglio. Cosi' tutti i membri della comunità familiare, compresi i fuorilegge, si considerano nemici degli estranei sfruttatori che tentino di imporre le loro regole; si considerano tutti, collettivamente, « i poveri» contro, diciamo, i ricchi abitanti delle pianure che essi saccheggiano. Ambedue le situazioni, che contengono i germi di movimenti sociali come noi li intendiamo, possono riscontrarsi in passato nelle regioni montagnose della Sardegna, secondo gli studi del dottor Cagnetta. L ’avvento dell'economia moderna (combinato o meno con la conquista straniera) può rompere, come è probabile che effettivamente accada, l ’equilibrio familiare, trasformando alcuni gruppi in famiglie «ricche» ed altri in famiglie «povere», oppure distruggendo il gruppo stesso. Il sistema tradizionale del banditismo per vendetta di sangue può (ed in effetti è probabile che possa) «prendere la mano» e provocare una molteplicità di faide straordinariamente sanguinarie e di fuorilegge esasperati, in cui cominciano ad introdursi elementi di lotta di classe. Questa fase di evoluzione è stata anche documentata ed in parte analizzata per quanto concerne le regioni montagnose della Sardegna, specie nel periodo tra il 1880 e la fine della prima guerra mondiale. Se non intervengono altri fattori, tale evoluzione può sboccare alla fine in una società in cui siano prevalenti i conflitti di classe, per quanto il futuro Robin Hood possa ancora - come spesso accade in Calabria - darsi alla montagna per ragioni personali in tutto simili a quelle che portarono il classico còrso al banditismo, specialmente per vendetta di sangue. Il risultato finale di questa evoluzione potrà essere il tradizionale bandito sociale, che arriva al banditismo dopo un conflitto con lo Stato o con la classe dominante - ad esempio, un contrasto con il padrone del feudo - e che è una semplice espressione, piuttosto primitiva, di rivolta contadina. Da questo punto nelle grandi linee, ha inizio il nostro studio, che potrà però, occasionalmente, dare uno sguardo anche al passato. Trascureremo la «preistoria» dei movimenti qui esaminati; i lettori dovrebbero però esserne informa
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ti, specie se fossero portati a ricollegare le osservazioni e conclusioni di questo saggio con le primitive agitazioni sociali di cui tuttora si avvertono le tracce. Non è mia intenzione incoraggiare generalizzazioni avventate. Movimenti del genere millenaristico, come quelli dei contadini andalusi, hanno senza dubbio qualcosa in comune, ad esempio, con i cargo cults della Melanesia: cosi le sette operaie dei minatori di rame della Rhodesia del Nord con quelle dei minatori di carbone del Durham. Non bisogna però mai dimenticare che le differenze possono anche essere notevoli e che in proposito questo saggio non offre una guida adeguata.
Per quanto non possano a priori venire circoscritti al mondo dei contadini, i movimenti sociali del primo gruppo trattato in questo libro sono in prevalenza di tipo rurale, almeno nell’Europa occidentale e meridionale del x ix e xx secolo. (Invero la Mafia ebbe alcune delle sue più salde radici tra i minatori di zolfo siciliani, prima che diventassero socialisti; d ’altronde i minatori sono un genere di lavoratori tipicamente arcaico). L i tratteremo nell ’ordine delle loro crescenti rivendicazioni. I l banditismo sociale, fenomeno universale e praticamente immutabile, è poco più di una endemica protesta contadina contro l ’oppressione e la povertà: un grido di vendetta contro i ricchi e gli oppressori, una vaga velleità di porre freno ad essi, una riparazione di torti individuali. Le sue ambizioni sono modeste: un mondo tradizionale in cui gli uomini siano trattati con giustizia, non un mondo nuovo e perfetto. Da endemico il fenomeno diventa epidemico quando una società contadina, che non conosce mezzi migliori di autodifesa, si trova in una condizione di eccezionale tensione e di rottura. Il banditismo sociale non ha organizzazione né ideologia e non può assolutamente adattarsi ai movimenti sociali moderni. Le sue forme di sviluppo più avanzato, che rasentano la guerriglia nazionale, sono rare e di per sé inefficaci. È indicativa dei legami esistenti tra il banditismo, protesta sociale endemica ed essenzialmente modesta, e altre forme di rivolta più ambiziose, la strana simbiosi tra brigantaggio e messianesimo rurale. In Andalusia, la zona dei bandoleros è anche quella dei lati
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fondi e dell’anarchismo che ne deriva. Nel Brasile nord- orientale i cangageiros in generale diventano la milizia armata dei profeti e dei messia, dovunque ne sorgano.
La Mafia e fenomeni similari (cap. m ) vengono pia esattamente considerati come uno sviluppo alquanto più complesso del banditismo sociale. Possono paragonarsi ad esso in quanto la loro organizzazione ed ideologia è di solito rudimentale, in quanto sono movimenti fondamentalmente riformisti piuttosto che rivoluzionari - salvo assumano qualche aspetto di resistenza collettiva all’avvento della società nuova - ed in quanto con esso hanno in comune la natura di fenomeno endemico, che qualche volta però diventa epidemico. C ’è in questi fenomeni, come nel banditismo sociale, una quasi totale impossibilità di adattarsi ai movimenti sociali moderni o di esserne assorbiti. D ’altronde le varie forme di mafia hanno carattere più permanente e di maggiore potenza in quanto, rispetto al banditismo sociale, prevale, sull’aspetto della rivolta individuale, quello del sistema istituzionalizzato di norme al di fuori della legge ufficiale. In casi estremi esse possono arrivare a rappresentare un sistema di legge e di potere praticamente parallelo o sussidiario rispetto a quello dei governanti ufficiali.
La natura estremamente arcaica ed in effetti prepolitica del banditismo e della mafia rende difficile la loro classificazione negli schemi politici moderni. Entrambi possono venire praticati, e lo sono, da varie classi e talora, come del caso della Mafia, diventano prevalentemente strumento di esponenti del potere o di aspiranti ad esso e, di conseguenza, cessano di essere in ogni senso movimenti di protesta sociale. Tanto il banditismo sociale quanto la Mafia sono anche estremamente sensibili alla profonda disorganizzazione sociale che sovente si impossessa delle zone agricole arretrate con il sopravvenire di moderni rapporti economici e sociali, e soprattutto perché la loro capacità di fornire una alternativa reale alla società tradizionale in rovina è inadeguata. Pertanto in queste zone possono dilagare la violenza e crudeltà patologica, quasi sempre presenti in tali situazioni, che rappresentano una cieca reazione a forze sociali odiate, non comprese e non con
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trollabili. Il culmine di tale violenza si trova in alcune regioni sottosviluppate, quali l ’America latina (ad esempio, la Colombia 1948-63).
I vari movimenti millenaristici trattati in questo saggio- i lazzarettisti in Toscana (cap. iv), i movimenti contadini andalusi e siciliani (capp. v e vi) - differiscono dal banditismo e dalla Mafia perché hanno carattere rivoluzionario e non riformista e perché possono quindi venire più facilmente modernizzati o assorbiti nei movimenti sociali moderni. Qui interessa vedere come questa modernizzazione abbia luogo e fino a quali limiti si spinga. Noi sosteniamo che, finché il fenomeno sia lasciato nelle mani degli stessi contadini, il processo di modernizzazione non si verifica affatto o si verifica solo con molta lentezza e in maniera incompleta; si verifica invece in modo più completo e con maggior successo se il movimento millenari- stico venga inserito in schemi organizzativi, in una teoria e in un programma che arrivino ai contadini dall’esterno. Ciò è dimostrato dal contrasto fra gli anarchici dei villaggi andalusi ed i socialisti e comunisti dei villaggi siciliani; gli uni si orientarono verso una teoria che praticamente dimostrò ai contadini la bontà e la sufficienza della loro forma spontanea ed arcaica di agitazione sociale, gli altri invece verso una teoria che ne operò la trasformazione.
II secondo gruppo di studi tratta essenzialmente dei movimenti urbani ed industriali. Naturalmente è molto meno ambizioso perché la maggior parte delle forme principali di agitazione urbana e operaia è stata deliberatamente lasciata da parte. C ’è ancora, ovviamente, molto da dire sugli stadi primitivi, ed anche su quelli sviluppati, delle agitazioni operaie e socialiste - ad esempio sulle fasi utopistiche del socialismo - ma oggetto di questo saggio è, non tanto approfondire o rivalutare una storia già sufficientemente nota nei suoi lineamenti essenziali, quanto attrarre l ’attenzione su determinati argomenti ben poco studiati e tuttora in gran parte non conosciuti. Perciò ci occuperemo di fenomeni che più propriamente potrebbero considerarsi marginali.
Lo studio del mob (cap. v ii) tratta di ciò che forse è l ’equivalente urbano del banditismo sociale, il più primi-
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rivo e prepolitico tra i movimenti della miseria cittadina, soprattutto in un certo tipo di grande città preindustriale. Il mob è un fenomeno particolarmente difficile da analizzare in termini chiari. Si può forse affermare con certezza soltanto che la sua azione fu costantemente diretta contro i ricchi, anche quando si diresse contro altri, come gli stranieri, e che non ebbe alcun saldo o duraturo vincolo di dipendenza politica o ideologica, tranne forse quello con la propria città o i propri simboli. Il mob può normalmente considerarsi un movimento riformista in quanto di rado, e forse mai, si prelìsse l'edificazione di un ordine nuovo nella società, come obiettivo distinto dalla correzione delle anormalità e delle ingiustizie nell’ambito del vecchio ordine tradizionale. Tuttavia, esso era perfettamente capace di mobilitarsi al seguito di capi rivoluzionari, per quanto non completamente partecipe, forse, del significato dell’azione rivoluzionaria dei capi; inoltre, per la sua natura urbana e collettiva, aveva familiarità con il concetto della «conquista del potere». È pertanto tutt’altro che agevole risolvere la questione della sua adattabilità a condizioni di vita moderne. Data la sua tendenza a scomparire nel tipo moderno di città industriale, molto spesso la questione si risolve da sé, perché una classe operaia organizzata opera su direttrici completamente diverse. Dove invece il fenomeno permane, la questione dovrebbe forse venire riproposta in questi termini: in quale stadio l ’azione del mob, indirizzata da formule chiaramente politiche, cessò di ispirarsi a formule tradizionali («Chiesa e Re») per indirizzarsi a formule moderne, giacobine, socialiste e simili? e fino a che punto fu capace il mob di un definitivo assorbimento nei movimenti moderni ai quali si ricollegava? Noi siamo propensi a credere che in sostanza esso fosse (e tuttora sia) fondamentalmente poco adattabile, come in effetti si potrebbe ritenere.
Le sette operaie (cap. v ili) rappresentano più chiaramente una fase di transizione tra vecchi e nuovi fenomeni: organizzazioni proletarie ed aspirazioni espresse attraverso la tradizionale ideologia religiosa. Il fenomeno, nei suoi aspetti di completo sviluppo, ha carattere di ec- l- ,’itine ed è in gran parte circoscritto alle Loie britanni
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che, perché altrove nell’Europa occidentale e meridionale la classe operaia fin da principio si affermò come un gruppo scristianizzato, salvo dove apparteneva alla religione cattolica, che molto meno del protestantesimo si presta a tale singolare adattamento. Anche in Inghilterra può considerarsi come un fenomeno della civiltà industriale arcaica. Per quanto non esistano a priori motivi perché le sette religiose non siano rivoluzionarie (e in effetti talora lo sono state) vi sono alcune ragioni, ideologiche e ancor più sociologiche, perché le sette operaie abbiano tendenze ri- formiste. Certamente il settarismo operaio, facile e pronto ad adattarsi a movimenti operai moderni di carattere moderato, si è adattato con una certa resistenza a movimenti rivoluzionari, pur quando ha continuato a fornire terreno fertile ai rivoluzionari individuali. Probabilmente però non è esatto generalizzare in tal senso sulla base dell’esperienza inglese, cioè in base alla storia di un paese in cui i movimenti operai rivoluzionari sono stati, durante il secolo scorso, straordinariamente deboli.
L ’ultimo studio, sul rituale nei movimenti sociali (cap. ix) è difficile da classificare affatto. Ne abbiamo trattato soprattutto perché il singolare processo di ritualizzazione di tanti movimenti di questo tipo nel periodo tra la fine del x v m e la metà del x ix secolo è cosi manifestamente primitivo o arcaico, nel significato comunemente accettato della parola, che difficilmente potrebbe venire ignorato. Però il ritualismo appartiene essenzialmente alla storia della principale tendenza dei movimenti sociali moderni, che va dal giacobinismo al moderno socialismo e comuniSmo e dalle prime associazioni professionali operaie al moderno sindacalismo. L ’aspetto sindacale è assoluta- mente elementare. Noi cercheremo soltanto di descrivere il carattere e la funzione dei primi rituali, gradualmente scomparsi man mano che il movimento è diventato più «moderno». Lo studio delle associazioni rituali rivoluzionarie è ancora più anomalo perché, mentre tutti gli altri fenomeni esaminati in questo saggio appartengono al pauperismo operaio, queste associazioni, almeno nello stadio di sviluppo iniziale, rappresentano essenzialmente un movimento delle classi medie e di quelle p iù elevate. Può
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trovare posto in quest’opera in quanto le origini delle forme moderne di organizzazione rivoluzionaria tra i poveri almeno in parte derivano da quelle associazioni.
Naturalmente queste osservazioni non esauriscono la questione del come i movimenti sociali primitivi si «adattino» alle condizioni moderne di vita, per non parlare del problema più ampio di cui questo è solo una parte. Come ho già osservato, determinati tipi di protesta sociale primitiva non sono stati affatto esaminati in questo saggio. Non è stato fatto alcun tentativo di analizzare i movimenti analoghi o equivalenti che si sono prodotti o si stanno producendo nelle restanti e ben più estese parti del mondo, che si trovano al di fuori della ristretta area geografica considerata in questo libro - e le regioni extraeuropee hanno prodotto movimenti sociali primitivi in misura e varietà ben maggiore dell’Europa sudoccidentale. Anche nell’ambito territoriale prescelto, a certi tipi di movimenti si è dato solo uno sguardo superficiale. È stata ad esempio poco trattata la preistoria di quei movimenti che impropriamente (almeno nella misura in cui sono movimenti di massa) possono chiamarsi «nazionali», anche se alcuni elementi dei vari fenomeni qui esaminati possono ricondursi a tale categoria. Cosi la Mafia, in una certa fase della sua evoluzione, può venire considerata l ’embrione primordiale di un futuro movimento nazionale. In complesso mi sono limitato alla preistoria dei moderni movimenti operai e contadini. In generale tutti i fenomeni esaminati in questo libro grosso modo si verificano in epoca posteriore alla Rivoluzione francese e concernono prevalentemente il problema dell’adattamento delle agitazioni popolari a una moderna economia capitalistica. La tentazione di rifarsi ad analogie con la precedente storia europea o con altri tipi di movimenti è stata grande ma ho cercato di resistervi nella speranza di evitare argomenti non pertinenti e che potrebbero fuorviare.
Tali limitazioni non possono giustificarsi. Uno studio ampiamente comparativo e un’analisi dei movimenti sociali arcaici sono assolutamente necessari ma non credo tossano ancora intraprendersi, almeno in questa sede. Ancora non lo permette lo stato delle nostre conoscenze,
C A P I l OL O P R I M O
manchevole perfino riguardo al più documentato tra i movimenti trattati in questo libro. La nostra ignoranza è enorme. Molto spesso le uniche testimonianze o ricordi che abbiamo su movimenti arcaici di questo genere provengono dalla scoperta accidentale di qualche loro aspetto marginale, attraverso episodi giudiziari, oppure ad opera di giornalisti a caccia di sensazioni o di studiosi sensibili a questioni fuori dell'ordinario. Per l ’ubicazione di questi movimenti, nella stessa Europa occidentale, il quadro di cui disponiamo è incerto almeno quanto lo era la mappa del mondo prima dell'avvento di una corretta tecnica cartografica. Talora, come nel caso del banditismo sociale, i fenomeni sono talmente standardizzati da non avere grande importanza agli effetti di uno studio, anche breve, del fenomeno. Altre volte, ricavare da una congerie di fatti incerti e contradittori: conclusioni coerenti, ordinate e razionali è impresa insormontabile. Per i capitoli sulla Mafia e sul rituale, ad esempio, il massimo pregio cheio possa rivendicare è quello della coerenza. È molto più arduo controllare l ’esattezza delle interpretazioni e delle spiegazioni addotte a proposito di quei movimenti anziché a proposito, poniamo, dei banditi sociali. Lo studioso delle Mafie difficilmente ha a propria disposizione più di un solo fenomeno sufficientemente accertato su cui fondare le proprie teorie. Il materiale di cui dispone è estremamente povero, anche per quanto riguarda la Sicilia, salvo, forse, per un ben definito periodo di sviluppo della Mafia; anche per questo periodo le fonti si rifanno largamente alle dicerie popolari o alla pubblica opinione. Inoltre l ’intero materiale disponibile è, spesso, contraddittorio anche quando ha l ’apparenza dell'attendibilità e non consiste in quel tipo di dicerie a sensazione, che è attirato da questo genere di argomenti come le vespe sono attirate dalla frutta. Qualsiasi storico che, in queste condizioni, s ’inducesse ad affermazioni perentorie lasciando stare le finalità, farebbe una grande sciocchezza.
Questo libro quindi è un esperimento incompleto e non pretende essere niente di più. Esso si presta alle critiche di tutti coloro le cui particolari competenze vengono sfruttate e che hanno ragione di dolersi non soltanto
INTRODUZIONE
dello sfruttamento ma anche della maniera maldestra con cui talora sono stati sfruttati. Si presta altresì alle censure di quanti sono convinti che uno studio monografico approfondito sia preferibile a un insieme di notazioni necessariamente superficiali. C 'è solo una risposta a queste obiezioni: è ormai tempo che movimenti del genere trattato in questo libro non vengano più considerati semplicisticamente come una serie incoerente di curiosità individuali, quasi un’appendice storica, ma siano approfonditi come fenomeni di importanza generale e di peso considerevole nella storia moderna. Quanto Antonio Gramsci disse dei contadini dell’Italia meridionale del 19 20 si adatta a molti gruppi sociali e regionali del mondo moderno. Essi sono «in perenne fermento ma incapaci, come massa, di dare una espressione unitaria alle proprie aspirazioni e ai propri bisogni». Soggetto di questo libro è appunto questo fermento, i primi episodi di lotta seguiti all’espressione fattiva di queste aspirazioni ed i possibili modi della loro evoluzione. Non conosco alcuno studioso inglese che finora abbia tentato di considerare l ’insieme di questi movimenti come una specie di stadio «preistorico» di agitazione sociale. Forse un tentativo del genere è erroneo o prematuro. D ’altronde qualcuno vorrà pure muovere il primo passo, anche a rischio di muovere un passo falso.
Nola.
Questa può essere la sede adatta per alcuni chiarimenti terminologici su espressioni di uso frequente in questo saggio, ire b b e pedanteria definire ogni termine che si presti ad interpretazioni erronee. L ’uso che farò di termini quale «feudale» può prestarsi alle critiche dei medievalisti; non è però necessario che io ne precisi e ne giustifichi il senso, dato che la sostanza delle mie argomentazioni non viene alterata dalla sostituzione con un termine diverso o dalla soppressione del Termine stesso. Inoltre le mie tesi si fondano in parte sulla distinzione tra movimenti sociali rivoluzionari e riformisti. É quindi opportuno fare qualche precisazione su tali termini.
CAPITOLO PRIMO
Il concetto è assolutamente chiaro. I riformisti accettano la struttura generale di un’istituzione o di un ordinamento sociale ma la considerano suscettibile di miglioramento oppure di riforma, laddove in quella struttura si siano infiltrati fattori degenerativi; i rivoluzionari affermano che le strutture devono venire radicalmente trasformate o sostituite. I riformisti cercano di migliorare e trasformare la monarchia o di riformare la Camera dei Lord; i rivoluzionari sono convinti che l'unica soluzione utile sarebbe l ’abolizione di quelle istituzioni. I riformisti aspirano a creare una società in cui la polizia non commetta arbitri e i giudici non siano al servizio dei padroni e dei mercanti; i rivoluzionari, per quanto simpatizzino con tali idee, vogliono una società in cui non vi siano né poliziotti né giudici nel senso in cui essi vengono intesi attualmente, per non parlare di padroni e di mercanti. Per motivi di opportunità questi termini vengono riferiti a movimenti che investono l ’inteto ordine sociale piuttosto che istituzioni particolari in seno ad esso. La distinzione è di antica data. Fu posta, in effetti, da Gioacchino da Fiore (1145-1202), il millenarista che bene fu definito da Norman Cohn l ’inventore del sistema profetico che ebbe la massima influenza in Europa prima dell’avvento del marxismo. Egli distingueva tra il regno della giustizia o legge, la cui essenza consiste nella regolamentazione equa delle relazioni sociali in una società imperfetta, e il regno della libertà, che è la società perfetta. È importante ricordare come le due cose non fossero affatto equivalenti, sebbene Tuna potesse essere una fase necessariamente preliminare allo sviluppo dell’altra.
Perno di tale distinzione è il fatto che i movimenti riform isti e rivoluzionari tenderanno per loro natura a com portarsi in modo diverso ed a sviluppare diversa organizzazione, strategia, tattica, ecc. È perciò importante, nello studiare un movim ento sociale, sapere a quale dei due gruppi esso appartenga.
Non è però affatto facile, salvo in casi estrem i e per brevi periodi di tempo; tuttavia questo non è un buon m otivo per rinunciare alla distinzione. Nessuno potrà negare le aspirazioni rivoluzionarie dei m ovim enti m illenaristici che respingono la realtà del mondo al punto da rifiutare di seminare, mietere e perfino procreare fino a che il mondo non abbia avuto termine - o il carattere riform ista, ad esempio, del Com itato parlam entare del Tue inglese alla fine del secolo x ix . D i solito però la situazione è più complessa, anche quando non viene complicata dalla riluttanza (che in materia politica è generale)
INTRODUZIONE
degli uomini ad accettare ben precise definizioni, le cui implicazioni non sono di loro gradimento; come per .l'sempi'j avviene per i radicalsocialisti francesi, per nulla pccpensi a rinunciare ai vantaggi elettorali di un nome che f erv,’ a celare il fatto che essi non siano né radicali né socialis' i.
In pratica, ogni uomo, che non sia un dottc.r Pangloss, e ogni movimento sociale sottostanno a impulsi d' riformismo e rivoluzionarismo di forza variabile nei diversi periodi di tempo. Salvo che in periodi eccezionali di crisi profonde e di rivoluzioni, o nell’immediata vigilia di eventi del genere, anche i rivoluzionari più estremisti sono costretti ad avere una politica in merito alla realtà attuale del mondo in cui sono obbligati a vivere. Se vogliono rendere questo mondo più tollerabile per il tempo in cui si preparano alla rivoluzione, oppure se vogliono prepararvisi in modo efficiente, essi devono essere anche riformisti, a meno di abbandonare completamente il mondo per edificare qualche Sion comunista nel deserto o nella prateria oppure, come fanno molte società religiose, trasferire ogni speranza nell’aldilà, cercando di attraversare senza lamenti questa valle di lacrime, in attesa che la morte venga a liberarli. (In quest’ultimo caso non sono più né rivoluzionari né riformisti ma diventano conservatori). La speranza di una società veramente buona e perfetta è d’altra parte cosi potente che permea dei suoi ideali anche coloro che si sono rassegnati all’impossibilità di trasformare il mondo o la natura umana e sperano soltanto nelle riforme minori e nella eliminazione degli abusi. In seno al riformista più convinto c’è spesso un rivoluzionario modesto e pavido che anela ad emergere ma che di solito, con il progredire dell’età, viene invece più strettamente imprigionato. Nell’assenza di ogni prospettiva di rivoluzione vittoriosa, i rivoluzionari possono trasformarsi in riformisti di fatto. Nella fase inebriante ed eccitante della rivoluzione in atto la grande ondata della speranza umana può trascinare anche i riformisti nel campo dei rivoluzionari, pur con qualche riserva mentale. Fra questi due estremi può trovar posto una grande varietà di posizioni intermedie.
La complessità delle situazioni non infirma la validità della distinzione, che non può venire negata dal momento che (a ragione o a torto) ci sono uomini e movimenti che si considerano rivoluzionari o riformisti e che nella loro azione si riferiscono ad ipotesi rivoluzionarie o riformiste. Tale distinzione è stata però indirettamente contrastata soprattutto da quanti negano la possibilità di una qualsiasi trasformazione rivoluzionaria della società o la ritengono inconcepibile per esseri
CAPITOLO PRIMO
umani ragionevoli e perciò sono incapaci di comprendere l'atteggiamento dei movimenti rivoluzionari. (Si veda la persistente tendenza, teorizzata per la prima volta dai criminologi positivisti della fine del xix secolo, a considerarli come fenomeni psicopatologici). Non è questa la sede per discutere tali punti di vista. Al lettore di questo libro non si chiede di simpatizzare con i rivoluzionari, tanto meno con quelli primitivi; gli si raccomanda soltanto di ammettere che essi esistano e che c’è stata almeno qualche rivoluzione che ha trasformato profondamente la società, sia pure in modo diverso da quello previsto dai rivoluzionari o in senso meno totale, completo e duraturo di quello da loro desiderato. Riconoscere però che nella società si verificano mutamenti profondi e fondamentali non significa credere anche che sia realizzabile l’utopia.
Capitolo secondo
Il banditismo sociale
Banditi e grassatori interessano innanzitutto la polizia, ma dovrebbero interessare anche gli storici di questioni sociali. In un certo senso, infatti, il banditismo è una forma piuttosto primitiva di protesta sociale organizzata, forse la più primitiva che si conosca. Certamente questo è ciò che i poveri, in molte società, scorgono nel banditismo e perciò proteggono i banditi, li considerano loro campioni, li idealizzano e ne fanno dei miti: Robin Hood in Inghilterra, Janosik in Polonia e Slovacchia, Diego Corrientes in Andalusia, sono tutti, verosimilmente, personaggi reali, idealizzati. Da parte sua il bandito cerca di adeguarsi al ruolo affidatogli, anche se non è un ribelle sociale consapevole. Naturalmente Robin Hood, il prototipo del ribelle sociale «che prese ai ricchi per dare ai poveri e non uccise mai se non per difesa o giusta vendetta», non è unico nel suo genere. Un uomo deciso, che non intenda sopportare il fardello tradizionale dell’uomo qualunque in una società classista, miseria e rassegnazione, può disfarsene unendosi agli oppressori o servendoli oppure ribellandosi a loro. In ogni società contadina ci sono banditi dei padroni e banditi contadini, per non parlare dei banditi a servizio dello Stato, sebbene solo i banditi contadini ricevano il tributo dell’aneddotica e dei canti popolari. Sovrintendenti, poliziotti e soldati mercenari vengono spesso reclutati dallo stesso materiale umano dei banditi sociali. Inoltre - come ci dimostra l ’esperienza della Spagna meridionale tra il 18 50 ed il 18 7 5 - una forma di banditismo può facilmente trasformarsi in un’altra- il nobile grassatore e contrabbandiere nel bandolero,
2 0 CAPITOLO SECONDO
protetto dal padrone o cacicco locale. La ribellione individuale è di per sé un fenomeno socialmente neutro e di conseguenza riflette le divisioni e le lotte in seno alla società. Torneremo a trattare questo problema nel capitolo sulla Mafia.
Tuttavia esiste una sorta di tipo ideale di banditismo sociale ed è questo che io mi propongo di descrivere, anche se nella realtà storica, astraendo dalla leggenda, pochi siano i banditi che corrispondono completamente a quel tipo. Alcuni però, come Angelo Duca ( Angiolillo), realizzano una perfetta corrispondenza con quel modello ideale.
La descrizione del bandito ideale non è affatto un’astrazione, poiché la caratteristica più sorprendente del banditismo sociale è la sua notevole uniformità e standardizzazione. Il materiale utilizzato in questo capitolo proviene quasi interamente dall’Europa dal x v m al xx secolo e soprattutto dall’Italia meridionale Ma ci si trova di fronte a fatti che, per quanto accaduti in epoche così distanti quali la metà dei secoli x v m e xx e in luoghi così indipendenti l ’uno dall’altro quali la Sicilia e l ’Ucraina carpatica, sono talmente simili che si è portati a generalizzare, in piena fiducia. Tale uniformità si riscontra tanto nei miti del bandito - vale a dire nella funzione che ad esso viene attribuita dal popolo - quanto nel suo comportamento effettivo.
Qualche esempio di tale parallelismo potrà chiarire le nostre affermazioni. Quasi mai la popolazione aiuta le autorità a catturare il bandito contadino, anzi lo protegge. È cosi nei villaggi siciliani nel 1940 e in quelli moscoviti del x v n secolo 2. La fine tipica del bandito è per tradimento: infatti quasi tutti i banditi, se fonte di eccessivo fastidio, verranno presi isolatamente e distrutti, per quanto il banditismo possa rimanere endemico. Oleksa Dovbus, il
1 Per questa regione mi sono valso non soltanto delle consuete fonti bibliografiche ma anche delle preziose informazioni del professor Ambrogio Donini, di Roma, che ha avuto contatti con ex banditi, e di materiale giornalistico. Poiché questo è stato pubblicato in originale, ho approfondito le tesi generali esposte in questo capitolo con ulteriori studi sui bandoleros spagnoli e la letteratura sul banditismo nell’America latina.
2 j, l . H. keep, Bandits and the Law in M uscovy, in «Slavonic Review », x x x v , 84, dicembre 19.56, pp. 201-23,
IL BANDITISMO SOCIALE 21
bandito carpatico del x v m secolo, fu tradito dalla sua amante; Nikola Suhaj, che pare fosse attivo all’incirca tra il 19 18 ed il 19 20 , dai suoi am ici’ ; Angelo Duca (Angio- iillo) all’incirca tra il 176 0 ed il 178 4 , l ’esempio forse più puro di banditismo sociale, della cui carriera Benedetto Croce ha fatto una analisi m agistrale: subì la stessa sorte. Nello stesso modo, nel 19 50 finì Salvatore Giuliano di Montelepre, in Sicilia, il più famigerato fra i banditi moderni, le cui gesta sono state di recente narrate in un libro commovente5. E questa fu la fine dello stesso Robin Hood. Ma la legge, per dissimulare la propria impotenza, rivendica a sé il merito della cattura o della morte del bandito: la polizia spara sul cadavere di Nikola Subaj per rivendicarne l ’uccisione, come spara sul cadavere di G iu liano, se dobbiamo credere a Gavin M axwell. La prassi è talmente comune che c ’è perfino un proverbio còrso che ne parla: «ucciso dopo morto come un bandito dalla poliz ia»4. A loro volta i contadini alle molte altre virtù leggendarie ed eroiche del bandito aggiungono l ’invulnerabilità: Angiolillo si credeva possedesse un anello magico che respingeva le pallottole. Suhaj era invulnerabile perché - le teorie erano discordi - agitando un ramoscello verde deviava le pallottole o perché una strega gli aveva ratto bere una pozione che gli dava il potere di resistere alle pallottole; per questo dovettero ucciderlo con una scure. Oleksa Dovbus, il leggendario bandito-eroe carpatico del x v m secolo, potè venire ucciso soltanto con una pallottola d ’argento, che era stata tenuta per un anno in una scodella di frumento marzuolo, benedetta da un prete nella ricorrenza dei santi apostoli e su cui dodici preti avevano celebrato dodici messe. Non ho dubbi che miti del genere facciano parte del folclore di molti altri banditi famo-
J II romanzo di i. o l h r a c h t , I l bandito N ikola Shuhaj [N ikola Subuj L jU p ein iik ), ed. ted. R ijtten e Loning, Berlin 1953, è non soltanto un Massico, mi dicono, della moderna Cecoslovacchia ma è anche il quadro i l gran lunga più commovente e storicamente esatto del banditismo sonale, che io abbia trovato.
■ A ngiolillo j capo d i banditi, in La rivoluzione napoletana del 1799* Bari 19 12 ,
3 G. MAXWELL. G o d pm iect me from my friends, London 1956 [trad.Dagli amici m i guardi Id d io , Milano 19>7J.4 p. boukde, E iì Corse, Paris 1887, p. 207.
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si Naturalmente nessuna di queste pratiche o credenze è derivata dall’altra. Esse sorgono in zone e in epoche diverse in dipendenza della notevole similarità che esiste nelle rispettive società e situazioni che dànno luogo alla nascita del banditismo sociale.
Può essere utile abbozzare un quadro della vicenda tipica del bandito sociale. Si diventa banditi perché si commette qualcosa che pur non essendo considerata criminale dalla coscienza popolare del luogo, invece lo è per lo Stato o i governanti locali. Cosi Angiolillo si dette alla macchia dopo una lite sorta per il bestiame sbandato con una guardia campestre del duca di Martina. I l più conosciuto tra i banditi che battevano la zona dell’Aspromon- te in Calabria, Vincenzo Romeo di Bova (che, tra parentesi, è l ’ultimo paese d ’Italia dove si parli il greco antico), divenne fuorilegge dopo il rapimento della ragazza che poi sposò, mentre Angelo Macri di Delianova ammazzò un poliziotto che aveva ucciso suo fratello 1. Vendetta di sangue (faida) e matrimonio con ratto sono comuni in questa parte della C alabria3. Infatti la maggior parte dei quaranta fuorilegge (tra i centosessanta ed oltre, fuorilegge latitanti nella provincia di Reggio Calabria nel 19 55) che si dettero alla macchia per omicidio, sono considerati, secondo l ’opinione locale, omicidi per causa d ’onore. Lo Stato interviene nelle «legittim e» dispute private e, secondo la sua considerazione, l'uomo si trasforma in criminale. Lo Stato mostra interesse per un contadino a seguito di una piccola infrazione alla legge, e questi si dà alla macchia perché non può sapere quello che gli deriverà da un sistema che ignora e non comprende i contadini, e che i contadini a loro volta non comprendono. M ariani Dionigi, un bandito sardo degli anni dopo il 1890 , fuggì perché stava per essere arrestato per complicità in
1 Sulle attuali credenze nell’efficacia degli amuleti (in questo caso un brevetto reale) cfr. il n. 3 dell’appendice: l ’ interrogatorio di un brigante borbonico.
2 «Paese sera», 6 settembre 19.5,5.3 « L a voce di Calabria», 1-2 settembre 1955; R. Longone in « l ’Uni
tà» del io settembre 1955 osserva che. anche dopo la sparizione delle altre funzioni delle associazioni segrete locali, i giovanotti ancora «rapiscono la donna che amano e che poi regolarmente sposano».
IL BANDITISMO SOCIALE 23
un omicidio «giustificato». Goddi Moni Giovanni fuggi per la stessa ragione. Campesi (soprannominato Piscim- pala) fu ammonito dalla polizia nel 1896 , arrestato poco dopo per aver contravvenuto aH’ammonizione e condannato a dieci giorni di carcere e a un anno di libertà vigilata; fu anche condannato a una multa di lire 1 2 , jo per aver fatto pascolare le sue pecore nella proprietà di un certo Salis Giovanni Antonio. Egli preferì darsi alla macchia, tentò di uccidere il giudice a fucilate e ammazzò il suo creditore Si dice che Giuliano abbia ucciso un poliziotto che voleva arrestarlo perché vendeva a borsa nera due sacchi di grano, mentre un altro contrabbandiere che aveva denaro a sufficienza per corromperlo veniva lasciato libero; azione, questa, che certamente verrebbe considerata «onorevole». In effetti, quanto abbiamo osservalo a proposito della Sardegna è quasi certamente suscettibile di più generale applicazione:
La «carriera» di un bandito ha quasi sempre origine da un fatto in sé non grave che lo spinge alla latitanza: un’accusa persecutoria per abigeato, una falsa testimonianza, un errore o un intrigo giudiziario, un’assegnazione ingiusta, o comunque sentita come un'ingiustizia, al confino di polizia \
È importante che all’inizio il bandito sociale venga considerato onorevole o non criminale dalla popolazione perché, se fosse considerato criminale per la consuetudine del luogo, non potrebbe godere di quella protezione locale su cui è costretto a fare completo affidamento. Virtualmente quasi tutti coloro che si trovano in contrasto con gli oppressori o con lo Stato hanno titolo per essere considerati vittime, eroi o tutt’e due le cose. Il latitante, perciò, viene istintivamente protetto dai contadini e dalla rorza delle convenzioni locali che si rifanno alla legge « nostra» (consuetudini, faida o quant’altro sia) in contrapposto alla «loro» e alla giustizia «nostra» contrapposta a quella dei ricchi. A meno che non sia molto pericoloso,
1 v. span o, I I banditismo sardo e i problem i della rinascita, bib lioteca i : «Riform a agraria», Roma s. d., pp. 22-24.
2 ID., I l banditismo sardo e la rinascita d e ll’isola , in «R inascita», x, :2 dicembre 1953.
2 4 CAPITOLO SECONDO
egli godrà dell’appoggio della Mafia, in Sicilia, della cosiddetta Onorata Società ' nella Calabria meridionale e della pubblica opinione dappertutto. Cosi gli sarà possibile (e per lo più succede proprio questo ) vivere nelle vicinanze del suo paese, donde verrà rifornito del necessario. Romeo, ad esempio, vive normalmente a Bova con la moglie e i figli e vi ha anche costruito una casa. Giuliano fece lo stesso al suo paese, Montelepre. Infatti l'attaccamento del bandito alla sua terra - generalmente quella dov’è nato e dove vive la «sua» gente - è di solito molto forte. Giuliano visse e mori nel territorio di Montelepre, come i banditi siciliani suoi predecessori, Valvo, Lo Cicero e Di Pasquale, erano vissuti ed erano morti a Montemaggiore e Captato a Sciacca \ La cosa peggiore che possa capitare a un bandito consiste nel venire tagliato fuori dalle proprie fonti di rifornimento locali, poiché egli si troverà allora letteralmente costretto al saccheggio e al furto ai danni della sua gente e diventerà un criminale passibile di denuncia. Le parole di quel funzionario còrso, che lasciava regolarmente nella sua casa di campagna grano e v ino per i banditi, dipingono uno degli aspetti della situazione: «meglio nutrirli in questo modo piuttosto che obbligarli a rubare ciò di cui hanno bisogno» . Il comporta mento dei briganti nella Basilicata illustra l ’altro aspetto. In questa regione il brigantaggio cessava durante l ’inverno e qualche brigante emigrava perfino, in cerca di lavoro, perché era difficile per i fuorilegge trovare da sfamarsi. In primavera, quando vi era di nuovo disponibilità di cibo, ricominciava la stagione del brigantaggio Questi taglia- gole lucani sapevano di non poter obbligare i poveri con-
1 r . lo n g o n e , Leg?yenda e realtà della «mafia calabrese», in « l ’Unità»,io settembre 19*55: « ... Quando qualcuno, ad esempio, in un paese, commette un delitto d ’onore e si rende latitante ia 'Ndranghita iocale: anche se non si tratta di un suo membro, sente il dovere di soccorrerlo, di aiutarlo a nascondersi, a fuggire; sente il dovere di sussidiare la famiglia del ricercato ».
2 G. ALONGi, La M afia, Torino 1887, p. 109; nonostante il suo titolo questo libro è molto più utile per il briganraggio che per la mafia.
3 b o u r d e , E n Corse c it., pp. 2 18-19 .4 G. RACIOPPI, Storia dei moti d i Basilicata... nel i860 , B ari 1909, P-
304. Testim onianza oculare di un rivoluzion ario liberale e funzionario della zona,
IL BANDITISMO SOCIALE 25
tadn i a nutrirli, come certamente avrebbero fatto se fossero stati truppa di occupazione. Il governo spagnolo dopo il 19 50 , pose fine a ll’attività dei guerriglieri repubbli- :ani sui monti dell’Andalusia dirigendo l ’azione repressiva contro i simpatizzanti repubblicani e le fonti di rifornimento dei paesi, obbligando cosi i fuorilegge a procurarsi cibo con il furto e ad inimicarsi i pastori, apolitici, che perciò furono indotti a denunciarli '.
Qualche altra osservazione completerà il quadro della vita del bandito. Di solito è giovane e scapolo o senza ledami, non fosse altro perché è ben più difficile rivoltarsi contro l ’apparato del potere quando si hanno responsabilità familiari: dopo il i860 due terzi dei banditi della Basilicata e della Capitanata avevano meno di venticinque anni \ Naturalmente il bandito può rimanere solo - come di solito accade quando si commette un delitto tradizionale che, giusta le consuetudini, consente l ’eventuale rientro nella piena legalità (quali la vendetta e il ratto). Si dice che la maggior parte dei centosessanta (circa) fuorilegge esistenti nella Calabria meridionale siano lupi solitari di tal genere; individui, cioè, che vivono ai margini del proprio paese, cui sono legati da vincoli di parentela o da necessità di sostentamento, da cui però sono al tempo stesso tenuti lontani dai nemici e dalla polizia. Se si unisce ad altri o forma una banda (con ciò vincolandosi a un determinato numero di rapine) di rado questa banda sarà molto numerosa, e ciò per ragioni in parte economiche e in parte organizzative, perché la sua coesione è assicurata soltanto dal prestigio personale del capo. Si conoscono alcune bande molto piccole - ad esempio i tre uomini catturati in Maremma nel 189 7 (a causa di tradimento, non occorre d i r lo ) S i parla anche di bande molto numerose, fino a sessanta uomini, fra i bandoleros andalusi del x ix secolo, ma esse godevano dell’appoggio dei maggiorenti locali (cacicchi), che le tenevano al proprio servizio, e per
1 j. piTT-RiVERS, People 0/ the Sierra, 1 9 5 4 , p p . 1 8 1 - 8 3 .2 p a n i -r o s s i , La Basilicata, 1 8 6 8 , citato in c. l o m b r o s o , L'uom o delin
quente, 18 9 6 , I , p. 6 1 2 .3 e. r o u tin i, I briganti celebri, Firen ze 18 9 8 , p. 5 2 9 .
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questo motivo esulano forse del tutto dal nostro tema In periodi di rivoluzione, quando le bande diventano potenziali unità di guerriglieri, si formano anche bande più numerose, di qualche centinaio di uomini, ma anche queste godono nell’Italia meridionale dell’appoggio finanziario e d ’altro genere delle autorità borboniche. L ’assetto normale delle bande di briganti-guerriglieri è un complesso di molte unità minori, coalizzate nelle operazioni. In Capitanata,'sotto Gioacchino Murat, c ’erano una settantina di bande; in Basilicata, nei primi anni dopo il Sessanta, trentanove; in Puglia circa trenta. Il numero medio dei componenti le bande della Basilicata viene indicato «da venti a trenta», ma dalle statistiche può venire determinato in quindici-sedici. Possiamo ritenere che una banda di trenta uomini - come quella che Giuseppe de Furia guidò per molti anni durante l ’epoca napoleonica e della restaurazione - rappresenti all’incirca la massima unità che possa venire governata da un capo di media levatura, senza quella organizzazione e disciplina che soltanto pochi capi briganti furono capaci di mantenere, mentre unità più numerose portano a secessioni. (Osserviamo che analogo fenomeno si verifica anche in quelle piccole sette protestanti secessioniste, quali i West Country Bible Christians, che riunivano in media trentatre membri per cappella nel decennio 18 7 0 -8 0 )2.
Non sappiamo esattamente quanto durasse una banda. Supponiamo che la sua durata dipendesse dallo scalpore da essa suscitato, dal grado di tensione della situazione sociale, dalla complessità della situazione internazionale (nel periodo dal 1799 al 18 15 l ’aiuto borbonico e inglese alle bande poteva farle agevolmente sopravvivere per
1 Cfr. le continue e prolisse doglianze di don Julian de Zugasti, governatore della provincia di Cordova, incaricato della repressione del banditismo, nel suo Bandolerismo , Madrid 1876-80, 10 voli.; per esempio, Introduzione, vol. I, pp. 77-78, 18 1 e specialmente 86 sgg.
2 a . LUCARELLI, Il brigantaggio politico de l Mezzogiorno d ’Italia 18 15 - 18 18 , Bari 1942, p. 73; i d ., I l brigantaggio politico de lle Puglie dopo il i860 , Bari 1946, pp. 102-3, 13.5-6; RACiOPPi, Storia dei moti d i Basilicata cit., p. 299; Blunt's "Dictionary 0/ Sects and Aeresies, s. v. «m etodisti», «bryaniti» (London 1874). La posizione socialmente normale del classico Robin Hood è indicata dal fatto che, ad esempio nel Messico, i briganti contadini non parlano il gergo {calò) dei criminali comuni.
L BANDITISMO SOCIALE 27molti anni) e dalla protezione che poteva ottenere. Giu- 'iano (con una forte protezione) durò sei anni ma, verosimilmente, un Robin Hood con qualche ambizione sarebbe fortunato a sopravvivere per più di due o al massimo quattro anni; Janosik, il prototipo dei banditi, attivo nei Carpazi all'inizio del x v m secolo, e Suhaj durarono due anni; Diego Corrientes t re 1; il sergente Romano durò trenta mesi nelle Puglie dopo il i860 , e bastarono cinque anni a spezzare la schiena dei più tenaci briganti borbonici dell'Italia meridionale. Però una piccola banda isolata senza grandi ambizioni, come quella di Domenico Tibur- zi ai confini del Lazio, potette durare per venti anni (dal 1870 al 1890). Se lo Stato glielo permetteva il bandito poteva agevolmente sopravvivere e tornare alla comune vita del contadino; infatti l ’ex bandito poteva facilmente rientrare nella società, dato che le sue attività erano considerate criminali soltanto dallo Stato e dai ceti superiori \
Non ha molta importanza il fatto che un bandito inizi la sua carriera per motivi parapolitici - come Giuliano, che aveva motivi di rancore contro la polizia e il governo - , oppure che si dia alla rapina soltanto perché per un fuorilegge è naturale comportarsi cosi. Quasi certamente egli cercherà di adeguarsi, sotto qualche aspetto, al modello di Robin Hood; cercherà cioè di essere «un uomo che prese al ricco per dare al povero e non uccise mai se non per legittima difesa o giusta vendetta». Egli è virtualmente obbligato a farlo, poiché c ’è da prendere di più al ricco che al povero e se prendesse al povero o commettesse un omicidio «illegittim o», perderebbe il suo bene più prezioso, cioè l ’aiuto e il favore generale. Se è generoso con i suoi guadagni, lo fa perché, nella sua posizione e in una società di valori precapitalistici, solo con la grandiosità egli può ostentare il suo potere e la sua condizione. Anche se in effetti egli prescinda da motivi di protesta sociale, la pubblica opinione sarà convinta del contrario, co
1 c . b e r n a ld o de QuiROS, E l Bandolerismo en Espana y en M exico , Mexico 1959, ( i a ed. M adrid 1933), cap. v.
2 PiTT-RivERS, People of the Sierra cit., p. 183 ; m a f f e i , Brigand L ife In Ita ly , 2 v o li., London 1865, I , pp. 9-10.
2 S CAPITOLO SECONDO
sicché anche un autentico delinquente professionale potrà arrivare a carpire il favore generale. Schinderhannes, il più famoso anche se non il più importante fra i capibanda che infestarono la valle del Reno poco prima del 1800 , non era in alcun senso un bandito sociale (Come è dimostrato dal suo nome, egli proveniva da un basso mestiere, tradizionalmente collegato con il mondo dei diseredati). Per le sue «relazioni pubbliche» tuttavia egli trovava utile divulgare il fatto che derubava soltanto gli ebrei - cioè commercianti e usurai - e gli aneddoti e le leggende che si moltiplicavano sul suo conto gli riconoscevano molti degli attributi eroici di un Robin Hood idealizzato: generosità, riparazione dei torti, cortesia, senso di humour, scaltrezza e coraggio, ubiquità fino all’invisibilità - nell’aneddotica tutti i banditi si aggirano per la campagna con travestimenti impenetrabili - e cosi via. Nel suo caso però questi attributi erano assolutamente immeritati e le nostre simpatie vanno interamente a jean- bon St-André, l ’anziano membro del Comitato di salute pubblica, che sgominò quei banditi. Ciononostante egli potè benissimo, almeno per un certo tempo, sentirsi protettore dei poveri. I criminali provengono dai poveri e, su certi argomenti, sono dei sentimentali. Cosi un tipico criminale quale M r Billy H ill, la cui autobiografia ( 19 5 5) merita uno studio più approfondito dal punto di vista sociologico di quanto finora sia stata oggetto, si abbandona alla consueta autocommiserazione piagnucolosa per giustificare la propria prolungata carriera di ladro e di bandito con la necessità di distribuire denaro alla «sua» gente, cioè a svariate famiglie di manovali irlandesi di Camden Town. Il Robinhoodismo, che essi ci credano o no, è utile ai banditi.
Non tutti però sono costretti a recitare quella parte per forza. M olti l ’assumono spontaneamente, come fece Pasquale Tanteddu in Sardegna, le cui idee (sotto qualche aspetto influenzate dal comuniSmo) vengono esposte più ampiamente in appendice. Mi hanno poi riferito che
1 La fonte principale è b . b e c k e r , Aktemnàssìge Geschichte der Rau- bcrbanden an den beìden Ufern des R beines, Kòln 1804.
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un capo bandito calabrese degli anni precedenti il 19 14 faceva offerte regolari al partito socialista. Si conoscono dei Robin Hood sistematici: Gaetano Vardarelli delle Puglie, che fu dapprima perdonato e poi tradito ed ucciso dal re nel 18 18 , distribuiva sempre ai poveri parte del bottino, li riforniva gratuitamente di sale, costringeva i fattori, pena il massacro, a dare il pane ai lavoratori del fondo e la borghesia terriera del luogo a permettere ai poveri di spigolare nei campi. (Per alcune sue attività, vedere in appendice). Angiolillo fu una vera eccezione, per la sua ricerca sistematica di una giustizia integrale, maggiore di quella che poteva ottenersi con donazioni occasionali e interventi individuali. «Quando arrivava in un paese, - si dice, - riuniva un tribunale, ascoltava i contendenti, emetteva la sentenza e adempiva a tutte le funzioni di un magistrato». Si crede anche che abbia punito trasgressori della legge comune. Ordinava che si ribassasse il prezzo del grano, confiscava il grano immagazzinato dai ricchi e lo distribuiva ai poveri. In altre parole, egli agiva come un secondo governo nell’interesse dei contadini. Non può quindi meravigliare il fatto che nel 1884 il suo paese volle intitolare al suo nome la strada principale.
Alla loro maniera, più rozza, i briganti del Sud dei primi anni dopo il i860 , come quelli del periodo 1799- 18 1 5 , si consideravano campioni del popolo contro i ceti superiori e i «forestieri». Forse l ’Italia meridionale in queste due epoche offre l ’immagine più prossima a una rivoluzione di massa e a una guerra di liberazione guidata da banditi sociali. (Non a caso «bandito» è ormai diventato il termine abitualmente usato dai governi stranieri per i guerriglieri rivoluzionari), grazie a una vasta letteratura erudita ora si comprende bene la natura di queste epoche di brigantaggio e pochi studiosi oramai condividono l ’opinione della borghesia liberale, che in esse vedeva soltanto delinquenza di massa e barbarie se non addirittura l ’inferiorità razziale del Sud; incomprensione, questa, che può ancora trovarsi nel libro O ld Calabria di Norman Douglas '. E Carlo Levi, tra gli altri, nel Cristo
1 Lucarelli (con ampie relazioni) e Racioppi ci danno una buona intro- du7Ìonc al problema, w . p fn d lfto n , Paesani Struggles in Ita ly , in «Mo-
CAPITOLO SECONDO
s: e fermato a E bo li ci ha ricordato quanto sia profondo il ricordo dei banditi-eroi fra i contadini del Sud, per i quali gli «anni dei briganti» sono tra le poche pagine di storia vive e reali perché, a differenza dei re e delle guerre, appartengono a loro. A modo loro i briganti, nel costume del contadino lacero con le mostrine dei Borbonio in abito più sfarzoso, erano i vendicatori e i campioni del popolo. Anche se la loro strada non era che un vicolo cieco, non dobbiamo negare che a spingerli fosse un anelito alla libertà e alla giustizia.
Di conseguenza anche le vittime tipiche del bandito sono la quintessenza dei nemici dei poveri; appartengono sempre, secondo la tradizione, a quei gruppi che sono oggetto di particolare odio da parte dei poveri: avvocati (Robin Hood e Dick Turpin), prelati e frati fannulloni (Robin Hood e Angiolillo), usurai e mercanti (Angiolillo e Schinderhannes), forestieri e altri elementi che sconvolgono la vita tradizionale del contadino. Nelle società preindustriali e prepolitiche tra essi raramente, seppure mai, è compreso il sovrano, che è lontano e sta dalla parte della giustizia. Infatti la leggenda parla spesso del sovrano che persegue il bandito ma non riesce a sopprimerlo e allora lo chiama a corte e fa pace con lui, riconoscendo cosi che, in fondo, l ’interesse del bandito è identico al suo: la giustizia. Questo è stato detto per Robin Hood e per Oleksa Dovbus
I l fatto che il bandito, specie se non possiede una forte coscienza della sua missione, viva bene e faccia mostra della propria ricchezza, di solito non gli aliena il favore popolare. L ’anello con brillante di Giuliano, le collane e
detn Q uarterly», n. s., v i, 3, 19 5 1, riassume queste ricerche. Cfr. anche Enciclopedia Italiana, s. v. «Brigantaggio».
J « L ’imperatore aveva saputo che c ’era quest’uomo che nessun potere poteva sottomettere; cosi gli ordinò di venire a Vienna a fare la pace con lui. M a si trattava di un tranello. Quando Dovbus si avvicinò, gli spedi contro tutto l ’esercito per ucciderlo. E lui si affacciò alla finestra per guardare. Ma le pallottole deviarono, colpirono i tiratori e li uccisero. Allora l ’ imperatore ordinò di cessare il fuoco e fece la pace con Dovbus. G li concesse di combattere dove voleva, non però contro i suoi soldati. A garanzia gli rilasciò una lettera con il suo sigillo. E per tre giorni e tre notti Dovbus fu ospite dell’imperatore alla corte imperiale» (o l b r a c h t , I l bandito \ jl 'n !a $ h:ika' c it., p. 102).
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le decorazioni con cui si ornavano i banditi antifrancesi dopo il r790 nell'Italia meridionale erano considerate dai contadini come simbolo di trionfo sui ricchi e sui potenti e forse anche testimonianze del potere di protezione del bandito su di loro. Invero uno dei principali elementi di attrazione del bandito consisteva e consiste tuttora nel fatto che egli rappresenta il ragazzo povero che ha fatto fortuna, un succedaneo alla impotenza della massa a sollevarsi dalla povertà, dall'abbandono e dalla rassegnazione '. Non sembri perciò un paradosso se le ingenti spese del bandito - cosi come la Cadillac placcata d ’oro e i denti incrostati di diamanti del ragazzo dei bassifondi divenuto campione mondiale di pugilato - anziché allontanarlo dai suoi ammiratori, lo legano ad essi, sempre che egli non si allontani troppo dal ruolo eroico che gli è stato attribuito.
I lineamenti fondamentali del banditismo, quali ho cercato di tratteggiare qui, ricorrono pressoché universalmente con il verificarsi di determinate condizioni. Il fenomeno è rurale, non urbano. Le società contadine in cui esso si riscontra hanno ricchi e poveri, potenti e deboli, governanti e governati, ma rimangono profondamente e tenacemente tradizionali, a struttura precapitalista. In una società agricola come quella dell’ Inghilterra orientale, della Normandia o della Danimarca del x ix secolo non c ’è posto per il banditismo sociale. (Senza dubbio è questa la ragioi per cui l ’Inghilterra, che ha dato al mondo Robin Ilood , il prototipo del bandito sociale, dal x v i secolo in poi non ha più prodotto esemplari notevoli del genere. L ’idealizzazione dei criminali, che è divenuta parte della tradizione popolare, si è trasferita a personaggi urbani quali Dick Turpin e MacHeath, mentre i miserabili braccianti di paese richiamano al più quella modesta ammirazione che si può avere per bracconieri eccezionalmente coraggiosi). Inoltre perfino in società arretrate,
1 «Ecco come stavano le cose: egli era un pastore debole, povero, zoppo e sciocco. Come dicono i predicatori e gli interpreti della Scrittura, il Signore voleva dimostrare con il suo esempio che quanti fra noi sono timorosi, umili e poveri possono fare grandi cose, se Dio lo vuole» (ol- bra ch t, 11 bandito Nikola Shuhaj c it., p. 100). Notare che i capi di bande leggendarie di rado ne sono i membri più forti e violenti.
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con forme tradizionali di brigantaggio, il banlitismc sociale compare solo in una fase precedente a ll’acquisizione da parte dei poveri di una coscienza politica o di me;odi più efficienti di agnazione sociale. Il banditismo è un fenomeno prepolitico e la sua forza è in proporzione inversa a quella della rivoluzione agraria organizzata e del socialismo o comuniSmo. Nella Sila calabrese il brigantaggio cessò in epoca anteriore alla prima guerra mondiale, con l ’avvento del socialismo e delle leghe contadine. Sopravvisse sull'Aspromonte il regno del grande Musolino e di numerosi altri eroi popolari, per i quali le donne pregavano con commozione Ma in quella zona le organizzazioni contadine sono meno sviluppate. Montelepre, il paese di Giuliano, è una delle poche località della provincia di Palermo in cui non vi furono forse leghe contadine, neppure durante la rivolta nazionale contadina del 189 3 ' e, ancora oggi, la popolazione dà molto meno voti che altrove ai partiti politici progressisti e moki di più a gruppi estremisti marginali quali i monarchici o 1 separatisti siciliani.
In società di questo tipo il banditismo è endemico. Sembra però che il fenomeno del robinhoodismo abbia tendenza ad acquistare maggiore vigore quando si verifichi una rottura dell’equilibrio tradizionale: durante e dopo periodi di eccezionali privazioni, quali carestie e guerre, o nei momenti in cui la morsa della moderna civiltà dinamica stringe le comunità statiche per distruggerle e trasformarle. La nostra epoca è, sotto molti riguardi, l ’epoca classica del banditismo sociale, poiché quei fenomeni si verificarono nella storia della maggior parte delle società contadine, nei secoli x ix o xx. Notiamo il sorgere del banditismo - almeno secondo la convinzione popolare - nell ’Italia meridionale e nella Renania alla fine del x v m secolo, durante le guerre e le trasformazioni portate dalla Rivoluzione; nell’Italia meridionale dopo l ’unità eccitato dall avvento della legge e dalla politica economica capita
1 Cfr. il numero speciale del «P om e» sulla Calabria (n. 9-10, settembre-ottobre 1950).
■ Cfr. M. g a n c i, II movimento dei Fasci nella provincia d i Palermo, ?{■> . Mi'vniicntu operaio », n. s., v i, 6, novembre-dicembre 1954-
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lista In Calabria e Sardegna l ’epoca più importante per il brigantaggio cominciò nei primi anni dopo il 1890, con l'avvento dell’economia moderna (e la depressione agricola nonché l ’emigrazione). Nelle isolate montagne dei Carpazi il banditismo prosperò dopo la prima guerra mondiale per ragioni sociali che sono state illustrate da Ol- bracht con la consueta precisione e sensibilità.
Ma proprio questa situazione esprime la tragedia del banditismo sociale. La società contadina lo crea e lo esige quando avverte la necessità di un campione e di un proiettore, ma è proprio allora che egli è incapace di aiutarla. Il banditismo sociale, infatti, è una protesta, ma debole e senza un contenuto rivoluzionario, non diretta contro il tatto che i contadini siano poveri ed oppressi, ma contro il fatto che qualche volta lo siano in misura eccessiva. Dai banditi-eroi non ci si aspetta un mondo di uguaglianza. Essi possono soltanto riparare i torti e dimostrare che qualche volta si può ritorcere l ’oppressione. Non riusciranno però mai a capire quello che succede nei villaggi della Sardegna, per cui alcuni hanno bestiame in quantità ed altri, che ne avevano sempre avuto poco, non ne hanno affatto; nei villaggi calabresi, i cui abitanti diventano minatori di carbone in America; nelle montagne dei Carpazi, che si riempiono di uomini armati, fucili e debiti. La funzione pratica del bandito, nel migliore dei casi, consiste nell’imporre determinati limiti a ll’oppressione tradizionale nel quadro di una società tradizionale sotto 'a minaccia di illegalità, assassinii ed estorsioni. Ma egli non assolve in pieno neppure a questa funzione, ed un giro per Montelepre ce ne convincerà. Al di là di questa sua funzione, il bandito rappresenta soltanto l’incarnazione di un sogno di tempi migliori. «Per sette anni ha combattuto nella nostra terra», dicono di Dovbus i contadini dei Carpazi, «e finche era in vita le cose andavano
1 Cfr. la voce «brigantaggio» in Enciclopedia Italiana. Anche i ban- Jo lcro s spagnoli furono in parie vittim e della libertà di commercio. Come dice nno dei loro protettori ( z u m a s t i , Bandolerismo cit., Introduzione, vol. I, p. 94): «ci sono molti poveri ragazzi che avevano l ’abitudine di andare per le strade a guadagnare una peseta con il contrabbando ma adesso non possono pili farlo e i poverecri non sanno da dove gli possa
■«■■v.nv i! ivo-Mrno pasto».
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bene per il popolo». Si tratta di un sogno suggestivo ed è questa la ragione del formarsi dei miti che attribuiscono ai grandi banditi poteri sovrumani e quella specie di immortalità di cui godevano i grandi re giusti del passato, che in realtà non sono morti ma si sono addormentati e torneranno di nuovo. Cosi dorme Oleksa Dovbus, mentre la sua scure sepolta ogni anno si avvicina di più alla superficie della terra, sospinta dal respiro di un seme di papavero e quando sarà emersa, sorgerà un altro eroe, amico del popolo, terrore dei padroni, combattente per la giustizia e vendicatore dell’ingiustizia. Così, anche negli Stati Uniti di ieri, in cui uomini deboli e isolati lottavano - se necessario con il terrore, come i iw w - contro il dominio di uomini forti e di associazioni, c ’era chi credeva che il bandito Tesse James non fosse stato ucciso ma avesse riparato in California. Cosa ne sarebbe infatti del popolo se i suoi campioni fossero morti per sempre?
Cosi il bandito è impotente di fronte alle forze della nuova società che non può comprendere. Tutt’al più egli può combatterle e cercare di distruggerle
per vendicare l ’ingiustizia, sgominare i padroni, predare le ricchezze che essi hanno rubato e distruggere col fuoco e con la spada tutto quello che non può servire al bene comune: per la gioia, per la vendetta, come ammonimento per le generazioni future - e forse per paura di esse
Ecco perché il bandito è spesso distruttore e selvaggio oltre i limiti del proprio mito, che ne esalta soprattutto la giustizia e la moderazione nell’uccidere \ La vendetta,
1 «Secondo un’altra versione, davvero strana e fantastica, non già il Romano sarebbe caduto a Vallata ma un altro bandito, che gli rassomigliava nel viso e nelle fattezze; il sergente, considerato, nell’esaltata immaginazione delle moltitudini, quasi invulnerabile ed "im m ortale” per le benedizioni del papa come asseriva il Gastaldi, sarebbe vissuto, per molti anni ancora, occulto solitario e ramingo» (l u c a r e l l i , Brigantaggio politico delle Puglie cit., p. 133).
2 o lb r a c h t , I l bandito N ikola Sbubaj cit., p. 98.3 Tuttavia esiste una variante del banditismo sociale, in cui il mito
non esalta la giustizia e la modestia, ma insiste invece su ll’aberrazione morale del brigante, che però ò anche un eroe. Casi sim ili si presentano a fianco de! nobile bandito tradizionale dell’America latina, ad esempio Lampiao (ucciso nel 1938), il leggendario canga^eiro eroe del Brasile nord- orientale, che è d ’altronde assai caratteristico. Può darsi che queste figure rappresentino una ribellione generale, negativa e anarchica, dei poveri
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che in periodi di rivoluzione non è più una faccenda privata ma diventa affare di classe, reclama sangue e la visione dell’ingiustizia in rovina può dare alla testa E la distruzione, come ha giustamente osservato Olbracht, non è un semplice sfogo nichilista ma un inutile tentativo di eliminare tutto ciò che ostacolerebbe la costruzione di una comunità contadina semplice e durevole: i prodotti del lusso, grande nemico della giustizia e della onestà. Infatti la distruzione non è mai indiscriminata. Quello che è utile per i poveri viene risparmiato 2. E cosi i briganti del Sud che conquistarono le cittadine della Lucania nei primi anni dopo il i860 vi fecero rapide incursioni per spalancare le prigioni, bruciare gli archivi, saccheggiare le case dei ricchi e distribuire al popolo quello che non serviva loro: crudeli, selvaggi, eroici e impotenti.
Il banditismo, infatti, in queste situazioni era ed è assolutamente inefficiente come movimento sociale. In primo luogo perché incapace perfino di esprimere una organizzazione guerrigliera efficiente. I banditi certamente riuscirono a suscitare una rivolta borbonica contro i conquistatori del Nord, intendo veri banditi e non partigiani politici, che gli avversari qualificavano banditi. Ma quando un soldato spagnolo borbonico, Borjes, cercò di organizzarli in un efficiente movimento di guerriglia, essi si opposero e lo cacciarono via ’ : la stessa struttura delle
non organizzati socialm ente, contro l'in tero ordine sociale. F in o a che punto questo tipo fisso del «b an d ito eroe cru d ele» esista realm ente, e non solo n elle ballate poetiche stam pate n elle grandi città per un pubbli- co di im m igranti, è un argom ento da approfondire. Q uando scrissi questo volum e, tale sottospecie di banditism o sociale non mi era nota.
1 U na efficace descrizione degli effetti psicologici d e ll ’incendio del quartiere degli affari in una città spagnola è in Death’s Other Kingdom- 1939) di CAMEL WOOLSP.Y.
1 « I l s ont ravage les vergers, les cu ltures scientifiques, coupé les ar- bres fru itiers. Ce n 'est pas seulem ent par haine irraisonnee contre tout ce qui a appartenu au seigneur, e ’est aussi par calcili. I l fa lla it égaliser le dom aine, l ’ap lan ir... pour rendre le partage possible et équitab le ... [V oilà] pourquoi ces hom ines qu i, s ’ils ignorent la valeur d u n tableau, d ’un m eublé ou d ’une serre, savent cependant la valeur d ’une plantation d'arbres fru itiers ou d 'un e explo itation perfectionnée, brisent. brùlent et sacca- gent le tout in distin ctem en t» (r la b r y . Autour du M o u jik , Paris 19 2 3 , p. 76, sul saccheggio delle v ille di cam pagna nel gubernija di Cernigov nel 190^). L a fonte è costitu ita dai verb ali di interrogatori dei contadini.
1 f ' <■ 1 npp[, S'nria dei moti d i Basilicata c it ., cap. x x i .
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bande, che erano di formazione spontanea, escludeva operazioni pili ambiziose e le trentanove bande lucane, che avrebbero potuto continuare a infestare la regione ancora per alcuni anni, furono sgominate. In secondo luogo, perché la loro ideologia non consentiva di organizzare una rivolta efficiente. Non perché i banditi fossero in generale tradizionalisti in politica - infatti essi erano prima di ogni altra cosa votati alla causa dei contadini - ma perché la forza tradizionale cui si rifacevano veniva distrutta o perché la vecchia o la nuova oppressione si coalizzavano, isolandoli e neutralizzandoli. I Borboni potevano promettere di distribuire ai contadini i possedimenti della nobiltà terriera ma non lo facevano mai; al massimo conferivano un grado nelPesercito a qualche ex bandito. Era però più probabile che li tradissero ed uccidessero dopo averli sfruttati. Giuliano fece il gioco di forze politiche che non comprendeva, quando si permise di diventare il capo mi litare dei separatisti siciliani (dominati dalla Mafia). È evidente come quelli che si servirono di lui e poi lo buttarono a mare avessero una concezione della Sicilia indipendente molto diversa dalla sua, che era certamente più vicina a quella dei contadini da lui massacrati durante il comizio del i ° maggio iy.47 a Portella della Ginestra.
Per diventare validi campioni della loro gente, i banditi dovevano smettere di essere banditi: ecco il parados so dei moderni Robin Hood. Infatti essi erano in grado di aiutare le sommosse contadine perché in questi movimenti di masse è la banda piuttosto piccola, a preferenza della folla enorme, a preparare il terreno per una azione efficiente che possa estendersi al di fuori dei confini del villaggio e per truppe d ’assalto del genere, quale altro nucleo sarebbe preferibile alle bande di briganti già formate? Cosi nel 1905 le azioni di contadini del villaggio ucraino di Bvchvostova furono in gran parte avviate dalla banda del cosacco Vasilij Potapenko (lo «zar» della banda) e dal contadino Petr Ceremok (il suo «m inistro»), due uomini che erano stati prima espulsi dalla co-
1 C iò risulta chiaramente dallo studio delia rivolta degli operai inglesi del 1830, di cui l ’unico resoconto edito è ancora The village Labourer di J . L. C -IV HAMMOND.
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munita del villaggio per attività criminale - non sappiamo se spontaneamente o su pressione - e poi riammessi. Come accadde in altri villaggi, queste bande, espressione dei contadini poveri e senza terra e del senso della comunità coniro individualisti ed esclusivisti, furono poi sterminate da una controrivoluzione dei kulaki Per contadini rivoluzionari la banda non poteva rappresentare una struttura organizzativa permanente ma, al massimo, una forma temporanea di organizzazione ausiliaria, senza la quale essi sarebbero stati del tutto disorganizzati.
Cosi i poeti romantici che idealizzarono la figura del bandito, come Schiller nei M asnadieri, erano in torto nel credere che egli fosse il vero ribelle \ Gli anarchici baku- niniani che, proprio a causa del loro spirito distruttivo, idealizzavano più sistematicamente i banditi e credevano di poterli guadagnare alla loro causa, sprecavano il loro tempo e quello dei contadini!. Potevano riuscirci occasionalmente e perlomeno in un caso un movimento contadino primitivo, in cui la dottrina anarchica si associava a una «forte corrente di anarchia rurale», diventò una grande forza rivoluzionaria regionale, anche se temporanea. Ma chi è davvero convinto che, con tutta la genialità del
1 la b r Y , Autour de M oujik c it., riproduce 7 disordini agrari nel gubernia d i Cernigov del 1905, dalla « Istoricesk ij V e s tn ik » , luglio 1 9 1 3 , pp. 202-26. N o ve contadini e sei cosacchi furono uccisi. Labry osserva esattam ente che in questa località, sita ai confini della zona in cui il mir era potente e tenace, se ne stava verificando rapidam ente il tram onto con la form azione di possessi in d iv iduali (pp . 72 sgg,).
2 T u ttav ia non si deve credere che i banditi im m aginati da Sch iller rientrassero rigidam ente nel tipo social-contadino. E ran o (com e Schinder- hannes) bande vaganti di crim inali «p ro fessio n isti» , rinforzate da contadini fuggiaschi, d isertori e appartenenti alla setta dei ch iliasti perseguitati. In quanto com unità tradizionali di proscritti, pare avessero sviluppato delle form e di opposizione alla società ortodossa, religiose e di costum e, che facilitavano l ’assorbim ento di elem enti settari. Probabilm ente l ’anarchia durata a lungo in G erm ania e l'esistenza di num erosi staterelli fa vo rirono lo sv ilu ppo di tali gruppi rurali di professionisti. D ocum enti importantissim i in proposito si trovano in g. k r a f t , Historische Studien zu Schiller’s Schauspicl «D ie Rlìuber», W eim ar 1959 .
C fr . B aku n in : « i l bandito è sem pre l ’eroe, il difensore, il vendicatore del popolo, il nem ico irrico n ciliab ile di tutto il regim e statale, sociale o c iv ile , il lottatore per la vita e per la m orte contro la civ iltà statale aristocratica. l ’aristocrazia funzionariale-clericale» (appello di B ak u nin c it. in v. o f.lt ,a p i-ru ta . La banda del Malese e il fallim ento della teoria anarchica della moderna « jacqu erie» in Italia, in «M o vim en to opera io» , n. s,. n. 3. m aggio-giugno 19,14 , PP. 337-85).
3 CAPITOLO SECONDO
suo capo per la guerriglia, il Machnovscina dell’Ucraina meridionale nel periodo 19 18 - 19 2 1 non avrebbe potuto ottenere altro che sconfitte, chiunque avesse conquistato il potere definitivo sui territori russi?
Il futuro è condizionato all’organizzazione politica. I banditi che non adottano i nuovi sistemi di lotta per la causa contadina, come molti di loro fanno individualmente, di solito in quelle scuole politiche che sono la prigione e il servizio militare, non costituiscono più i campioni poveri, ma diventano semplici criminali o servi dei padroni e dei mercanti. Per loro non c ’è avvenire. Sopravvivono soltanto gli ideali per cui hanno combattuto e su cui uomini e donne hanno composto canzoni che, intorno al camino, alimentano ancora il miraggio di una società giusta, i cui campioni erano valorosi e nobili come aquile, agili come cervi, figli della montagna e delle foreste profonde.
Appunti sui banditi della sinistra presocialista.
Nella misura in cui il bandito sociale aveva una «ideologia» politica, essa era, come abbiamo visto, una forma di tradizionalismo rivoluzionario. Il brigante a ll’insegna «Chiesa e R e» corrisponde al movimento del mob «Chiesa e R e», della città (cfr. cap. v i i ). Dal momento in cui l ’interesse fondamentale del bandito si appuntò sui contadini, sistematicamente ostili alle autorità costituite, anche il più tradizionalista dei banditi non ebbe difficoltà a fare causa comune con oppositori e rivoluzionari di altra
1 II resoconto più obiettivo di questo movimento è fatto da w . H. C h a m b e rlin , L a r iv o lu z io n e ru ssa , Torino 1966, pp. 633 sgg., donde è tratta la citazione. La migliore trattazione del machnovistismo è quella di P . Arsinov. Le memorie di Machno - di cui figurano passi in appendice - non sembra vadano oltre il 19 18 La «corrente d ’anarchia rurale» viene recisamente negata da parte degli anarchici e supervalutata dagli storici bolscevichi, ma si accorda bene con il primitivismo di notevole purezza di questo movimento interessante e a torto trascurato. È significativo - sia detto tra parentesi - che, nonostante il suo campo d azione comprendesse una vasta zona della Ucraina meridionale, Machno di tanto in tanto facesse ritorno al villaggio natio di G uljaj Pole, al quale come ogni capobanda contadino «prim itivo» rimaneva attaccato ( c h am b e r lin , La r iv o luzione russa cit.). Egli visse dal 1884 J 934; dal 19 2 1 in esilio. Si converti all’anarchismo appena ventenne.
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estrazione, specialmente quando appartenevano anch’es- si alla schiera dei perseguitati. Carmine Donatello (Crocco) nel 18 6 3 bandiva il seguente proclama (A. Lucarelli,I l brigantaggio politico delle Puglie cit., p. 138 ):
Fuori dunque i traditori, fuori i pezzenti, viva il bel regno di Napoli col suo religiosissimo sovrano, viva il vicario di Cristo Pio IX e vivano pure i nostri ardenti repubblicani fratelli [cioè garibaldini e mazziniani, anch’essi all’opposizione].
In tutto il Sud si nota di frequente una collaborazione fra repubblicani e borbonici contro i liberali moderati —lo stesso Garibaldi rifiuta offerte di aiuto da parte di numerosi briganti (G . Doria, Per la storia del brigantaggio in «Archivio storico delle provincie napoletane», n. s., x v ii, 19 3 1 , p. 390) - e alcuni ex soldati garibaldini, verosimilmente ribellatisi ai Savoia a seguito del cattivo trattamento inflitto al loro eroe, diventarono capi briganti di minor rilievo (Lucarelli, I l brigantaggio politico delle Puglie cit., pp. 82-83).
C ’è però qualche esempio di banditi italiani presocialisti con ideologia chiaramente di sinistra, giacobini o carbonari, nonché di banditi idealizzati dai giacobini di città, come Angiolillo. Si sarebbe tentati di credere che si tratti di figure per qualche verso eccezionali dal punto di vista sociale. Così i banditi giacobini-carbonari del 18 1^ - 18 18 , di cui parla Lucarelli, non sono contadini, per quanto la stragrande maggioranza dei briganti usuali fossero contadini, pastori o - il che è poi la stessa cosa - ex soldati. Gaetano Meomartino (Vardarelli), che fu accettato fra i carbonari con la sua banda nel 18 16 o 1 8 1 7 era un sellaio; Ciro Annicchiarico, che entrò a far parte della setta dei decisi, era un intellettuale di campagna, cioè un prete di ceppo contadino e di idee giacobine, che si era dato alla macchia in periodo napoleonico per ragioni assolutamente apolitiche, vale a dire per una lite a proposito di una donna. Per le sue convinzioni religiose di illuminismo millenaristico, cfr. A. Lucarelli, I l brigantaggio politico del Mezzogiorno d ’Italia 18 1 5 - 1 8 , pp. 12 9 -3 1 . Naturalmente acquisire una ideologia politica relativamente mo
4 o CAPITOLO SECONDO
derna era molto più facile per un intellettuale o un artigiano di paese — classi che di norma non fornirono molti banditi - anziché per un capraio analfabeta o per un contadino miserabile. Tuttavia, in difetto di dati più completi di quelli attualmente disponibili e in considerazione dell’atmosfera politica confusa e complessa in cui spesso operarono i briganti, non è il caso di formulare ipotesi rigidamente assolute.
Capitolo terzo
La Mafia
i.
Fra il banditismo sociale, di cui al capitolo precedente, e i movimenti che esamineremo in questo capitolo, dei quali la Mafia siciliana è il più interessante e duraturo, non esiste una linea di demarcazione netta e precisa. Entrambi sono fenomeni straordinariamente primitivi, non solo nel senso già chiarito, ma anche in quanto tendono a scomparire non appena si sviluppano movimenti più progrediti. Essi, nel loro insieme, sono scarsamente suscettibili di adattamento. Laddove continuano a sussistere dopo l ’avvento di movimenti moderni, quali le leghe contadine, le associazioni operaie ed i partiti di sinistra, essi perdono ogni carattere di movimenti sociali.
Le mafie — termine che converrà usare per una serie di manifestazioni corrispondenti - hanno un certo numero di caratteri particolari. Prim o, non sono mai puri e semplici movimenti sociali, con scopi e programmi specifici. Costituiscono quasi dei punti di confluenza delle tendenze più disparate che si agitano in seno alle società che le esprimono: la difesa della intera società contro le minacce al suo tradizionale modo di vivere, le aspirazioni delle varie classi all’interno della società, le ambizioni per sonali e le aspirazioni di individui attivi. Esse quindi posseggono un certo grado di fluidità, come i movimenti nazionali, dei quali costituiscono forse una specie di embrione. Dipende dalle circostanze che esse siano caratterizzate dalla nota di protesta sociale dei poveri, come in Calabria,o dalle ambizioni delle classi medie, come in Sicilia, o dalla pura e semplice criminalità, come nella Mafia americana. Secondo, sono in un certo senso disorganizzate. E ve
42 CAPITOLO TERZO
ro che alcune mafie sono, almeno sulla carta, centralizzate e hanno vere e proprie «catene di comando» e di iniziativa, forse sul modello degli ordini massonici. Ma la situazione più interessante è quella in cui una vera e propria organizzazione, peraltro molto primitiva, sussiste -o per lo meno è esistita in un certo stadio di sviluppo - soltanto a livello locale, come nella classica Mafia siciliana.
Quali sono le condizioni per effetto delle quali sorgono le mafie? Non è facile rispondere a questa domanda perché non sappiamo neppure quante ce ne siano o ce ne siano state. La Mafia siciliana è l ’unica associazione di questo tipo dell’Europa moderna, che sia stata ampiamente descritta e analizzata. Un altro fenomeno straordinariamente simile si è sviluppato recentemente nelle piantagioni di caffè della Colombia, ma non se ne hanno finora notizie pubblicate con particolari '. A prescindere da riferimenti casuali ad associazioni a delinquere, società segrete di grassatori e loro protettori, e simili, non sappiamo quasi niente della situazione in altre zone e quel poco che sappiamo ci consente al massimo di affermare che esisteva una situazione da cui la Mafia poteva svilupparsi; non possiamo però dire se quella situazione abbia in effetti originato la M afia'. La mancanza di informazioni non ci autorizza però a concludere per l ’inesistenza di un tale fenomeno. Cosi non vi è alcun dubbio sull’esistenza, come vedremo, di una associazione tipo Mafia nella Calabria meridionale. Ma, a prescindere da casuali riferimenti a queste associazioni segrete in Calabria e nel C ilento, sembra che in passato non se ne sia affatto notata
1 C fr. g . g u z m a n - o. f a l s borda - e . u m a n a l u n a , La V b le n d a en Colombia, I , Bogota 1962, pp. 1 3 1 , 170.
2 Cfr. in z u g a s t i , Bandolerismo cit., Introduzione, vol. I , i rapporti degli alcaesi sulla situazione della criminalità nelle zone di loro giurisdizione nella provincia di Cordova, circa 1870; es. una società segreta di grassatori a Baena, una sociedad de ladrones a M ontilla, qualcosa che assomiglia alla Mafia nel famoso pueblo di contrabbandieri di Benamejì e la sorda opposizione di Iznajar dove «secondo l ’abitudine inveterata di questa città, tutti questi delitti sono rimasti im puniti». Sono propenso ad aderire alla tesi del Brenan, secondo cui si tratta di una situazione da protomafia anziché da Mafia. Cfr. anche il capitolo v, su ll’anarchismo andaluso.
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l'esistenza II che è meno strano di quanto possa apparire. Società segrete costituite prevalentemente da contadini analfabeti operano nell’oscurità. Le classi medie cittadine hanno sempre tenuto un atteggiamento di profonda indifferenza e di sovrano disprezzo per la vile umanità che giace ai loro piedi. Perciò l ’unica cosa che ci resta da fare è di concentrare la nostra attenzione su uno o due esempi di mafie note, sperando che possano eventualmente fare luce sulla situazione delle altre zone finora inesplorate.
La Mafia è meno conosciuta di quanto si possa supporre. Per quanto i dati di fatto siano pacifici e vi sia un buon numero di opere utili, descrittive e analitiche ", la pubblica opinione è stata fuorviata in parte dalla tendenza giornalistica a romanzare e in parte dal mancato riconoscimento che «quella che appariva ai piemontesi e ai lombardi come "delinquenza” siciliana, era in realtà la legge di un’altra società... di una società sem ifeudale»3. È opportuno quindi riassumere ciò che sappiamo sull’argomento.
La parola Mafia sta a significare qui molte cose diverse. Primo, rappresenta un atteggiamento collettivo verso lo Stato e le sue leggi, non più criminale di quanto lo sia il
1 g. a lo n g i, La Camorra, Torino 1890, p. 30. Lo studio sulla camorra in Calabria (in «Archivio di psichiatria», iv , 1 8 8 3 , p. 293) tratta soltanto di un ’organizzazione di delinquenza urbana a Reggio Calabria, ignorando del tutto l ’aspetto rurale del fenomeno, Va osservato come lo studio di tale genere di associazione sia stato coltivato soprattutto dalla scuola di criminologia dei positivisti italiani (Lombroso), il cui organo era l ’« A rchivio».
2 Le principali fonti di consultazione, oltre ad interviste personali in Sicilia, sono: n. c o la ja n n i, La delinquenza in Sicilia (1885); in., La S icilia dai Borboni ai Sabaudi ( 19 0 0 ); A. c u t r e r a , La Mafia ed i mafiosi1900); G. a lo n g i, La M afia (1887); g. m o n ta lb a n o , La Mafia, in «N uovi
argomenti», novembre-dicembre 19 ^ 3 ; inchieste ufficiali varie ed opere sulle condizioni economiche e sociali della Sicilia, fra cui l ’ottimo saggio di L. f r a n c h e t t i , Condizioni politiche e amministrative della Sicilia
18 8 7 ) ; gli articoli di G . Mosca sul «Giornale degli Econom isti» del 19 0 0 e VEncyclopaedia of Social Sciences. La vasta mole di letteratura scientifica ed approfondita su ll’argomento, è apparsa nel periodo tra il 1880 ed il 19 10 . Dopo la prima stesura di questo capitolo, sono uscite altre importanti opere, quali r. r o c h e fo r T , Le travail en S itile, Paris 1 9 6 1 ; M. pan- t a le o n e , Mafia e politica 1943-196 2, Torino 1 9 6 2 ; D d o lc i, Spreco, Torino 1 9 6 2 2. Le prime due opere contengono utili bibliografie.
3 e. seren i, I l Capitalismo nelle campagne 1860-1900, Torino 1948, p. 187.
4 4 c a p i t o l o t i :r z o
similare comportamento, diciamo, degli scolari verso il maestro. Un mafioso, nelle sue private dispute non invocava lo Stato o la legge ma si guadagnava rispetto e sicurezza conquistandosi una reputazione di forte e coraggioso e regolava le proprie vertenze con la lotta. Non riconosceva altri obblighi se non quelli del codice di onore o di omertà, la cui norma fondamentale vietava di dare informazioni a ll’autorità pubblica. In altri termini la mafia (con la m minuscola, se usata in questo senso) consisteva in quel codice di comportamento che tende costantemente a svilupparsi nelle società in cui manca un efficiente ordinamento dei pubblici poteri o nelle quali le autorità sono considerate ostili, totalmente o parzialmente (per esempio nelle prigioni o fra gli strati sociali più bassi), oppure insensibili alle cose che contano veramente (per esempio nelle scuole), o le due cose insieme. Si deve resistere alla tentazione di stabilire un nesso di relazione tra un codice siffatto e il feudalesimo, le virtù aristocratiche o cose del genere. I l suo impero più completo e vincolante si aveva tra i souteneurs e i piccoli teppisti dei bassifondi di Palermo, di condizione quanto mai prossima ai «senza legge» o meglio a uno Stato alla Hobbes, in cui le relazioni tra individui o piccoli gruppi sono simili a quelle tra poteri sovrani. È stato esattamente osservato come nelle zone veramente feudali dell’isola l ’omertà tendesse a significare che era permessa soltanto la denuncia del debole o del vinto '. Laddove esiste una struttura di potere consolidata, l ’onore tende a divenire appannaggio dei potenti.
Nelle comunità senza leggi il potere raramente si disperde nell’anarchismo delle competizioni individuali ma si concentra attorno ai centri di forza locali. Forma tipica ne è il patronato e tipico titolare il maggiorente o padrone con il suo gruppo di aiutanti e dipendenti e la rete di influenza che gli si stende attorno e induce la gente a porsi sotto la sua protezione. La Mafia, nel secondo significato della parola, è quasi sinonimo di protezione, riferita però più ai seguaci (la «bassa Mafia») che ai padroni. Il sistema presentava alcuni aspetti certamente feudali, spe-
1 rp\x:rnt tft Condizioni politiche cit., pp, 2x9 21.
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cialmcnte nei latifondi dell’interno; ed è molto probabile che in Sicilia (dove le situazioni feudali vennero ufficialmente abolite solo nel x ix secolo e ancora oggi i suoi simboli sopravvivono nelle battaglie tra cavalieri e saraceni dipinte sulle sponde dei carretti contadini) forme di fedeltà feudale ne abbiano favorito la formazione. Questo però ne è un aspetto minore, dato che la formazione di un patronato e la funzione dei suoi emissari può aversi anche senza alcuna tradizione feudale. Ciò che caratterizzava la Sicilia era la prevalenza generale di tale patronato e la virtuale assenza di qualsiasi altra forma di potere stabile.
La terza e più usata accezione della Mafia non si distingue agevolmente dalle precedenti: consiste nel controllo della vita della comunità mediante un sistema segreto (o meglio non riconosciuto ufficialmente) di bande. Sembra probabile che ad alcuni stadi della sua storia questo tipo di Mafia fosse, in teoria, una società segreta organizzata gerarchicamente, con un capo nominale che si rivendicava una certa autorità sugli altri membri; in pratica, tuttavia, non potè mai funzionare effettivamente in tal senso '. Probabilmente la più chiara puntualizzazione della situazione è quella offerta dal rapporto del 19 3 1 del procuratore di Palermo: «le associazioni dei piccoli centri di ordinario esercitavano la giurisdizione in essi e nei Comuni contermini; quelle dei centri più importanti erano in relazione fra loro e anche nelle province finitime, prestandosi reciproco aiuto e assistenza» \ Infatti, trattandosi di un fenomeno essenzialmente rurale all’inizio, è difficile credere che la Mafia abbia potuto essere centralizzata gerarchicamente con lo stato delle comunicazioni quale era nel x ix secolo. Esisteva piuttosto una rete di bande locali «cosche» — oggi pare si chiamino «fam iglie»), ora com
1 A lla domanda se la Malia sia mai stata una gerarchia eentral.jz.ua, : ancora difficile rispondere con esattezza. Ma per il decentramento de facto di un gruppo de; genere, organizzato gerarchicamente, se pure solo in teoria, vedi la testimonianza di J . Valachi sulla cosiddetta Malia americana. Da tale testimonianza si vede come il controllo diretto di Vito G enovese stille famiglie che lo riconoscevano quale capo, fosse assai lim itato. Una inchiesta recente ha dimostrato che quanto sussisteva dell unità teorica, è stato spezzato (cfr. c r isf.. in « L ’espresso», 14 luglio iyb3).
1 Citato in MONTALBANO, La Mafia cit., p. 179.
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poste di due o tre uomini, ora molto più numerose, ciascuna delle quali controllava un determinato territorio, di norma un comune o un latifondo, reciprocamente collegate in vari modi. Ogni cosca sfruttava il proprio territorio; talora però, come all’epoca della transumanza delle greggi, le bande dei territori attraverso i quali passava il bestiame cooperavano. Le migrazioni dei mietitori e specialmente la possibilità che la vita del latifondo offriva di avvicinare avvocati in città e di frequentare i numerosi mercati di bestiame e le fiere in tutta la regione, favorivano ulteriori contatti fra i vari gruppi locali
I membri delle cosche si riconoscevano fra di loro non tanto da segni convenzionali segreti o da parole d ’ordine quanto dall’aspetto, dal vestito, dal modo di parlare e di comportarsi. Il loro particolare comportamento è determinato dall’abituale atteggiamento di virilità jattante, dalla condizione di parassitismo e fuori legge ed è destinato, in una società senza legge, ad affermare il potere dei lupi sulle pecore - e forse anche sui leoni - ed a tenerli separati dal gregge. I bravi nei Promessi Sposi del Manzoni si vestono e si comportano in maniera molto simile ai picciotti siciliani di due secoli e mezzo dopo. D ’altro canto ogni banda, nei primi anni dopo il 1870 , aveva rituali di iniziazione e parole d ’ordine singolarmente standardizzati, che però sembra siano in seguito caduti in disuso \ Che siano o meno nati, come sostiene Cutrera, nelle prigioni di Milazzo e poi divulgati attraverso canti popolari o letteratura tipo la Vita e coraggiose imprese del bandito Pasquale Bruno , non saprei dire. È però evidente che si trattava dei rituali di una fratellanza di sangue di antica tradizione mediterranea. I l rito culminante - eseguito di solito (salvo fosse impossibile, come nelle prigioni) di fronte a ll’immagine di un santo - consisteva nel bucare il pollice dell’iniziato e con il sangue estrattone im-
1 a lo n 'g i, La M afia c it ., pp. 70 sgg.2 MONTALBANO, La Mafia c it. L a più esauriente descrizione d i questi r i
tu ali si ha a proposito deg li stoppaglieri d i M onreale e località fin itim e e della fratellanza d i Favara (in provincia d i A grigen to), e centri vic in io ri in varie opere, ad esem pio M ontaibano. S i veda anche f . l e s t in g i , L ’associazione della Fratellanza, in « A rc h iv io d i p sich iatria» , v , 18 8 4 , pp. 4^2 sgg.
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trattare l ’immagine del santo, che poi veniva bruciata. Quest’ultima azione può darsi fosse destinata a legare il novizio alla fratellanza mediante la cerimonia di infrangere un tabù: viene anche citato un rito consistente nello sparare con una pistola contro una statua di Gesù Cristo '. Lna volta iniziato, il mafioso diventava un compare e la parentela spirituale in Sicilia e in altre zone del M editerraneo, rappresentava una forma di parentela artificiale che comportava i più gravi e solenni obblighi di aiuto reciproco tra le parti contraenti. Anche le parole d ’ordine sembrano esser state standardizzate. Ciò però non prova che l ’associazione fosse centralizzata poiché anche la camorra - organizzazione esclusivamente napoletana senza legami con la Sicilia - aveva riti di iniziazione basati su di una fratellanza di sangue di tipo similare*.
A quanto ne sappiamo, pare che ciascun gruppo, per quanto standardizzato, vedesse in questi rituali un proprio legame particolare, quasi come i bambini che adottano a m o’ di linguaggio strettamente privato una comune formula convenzionale per storpiare le parole. È probabile che la Mafia abbia sviluppato qualche genere di coordinamento quasi nazionale, la cui direzione centrale- peraltro non nel senso rigoroso del termine - aveva sede a Palermo. Come vedremo, una tale direzione rifletteva la struttura economica e politica e l ’evoluzione della Sicilia piuttosto che una vera e propria pianificazione della criminalità.
Sotto il regime borbonico o piemontese la Mafia (in rutti e tre i significati della parola), pur vivendo talora in _no strano rapporto di simbiosi con quei regimi, espresse parallelamente un proprio sistema di legge e di potere organizzato; erano questi in effetti l ’unica legge e l ’unico potere efficienti per i cittadini delle zone sotto l ’influen
1 m o n t a l b a n o , La Mafia cit., p . 1 9 1 . In sostanza questo è il rito d ’iniziazione della Mafia quale era ancora usato in America nel 19 3 0 ; tuttavia
non si bruciava l ’immagine di un santo ma un pezzo di carta. Per par- ::colari in proposito, vedere la testimonianza resa da J . Valachi davantii la Sottocommissione permanente del Senato per le investigazioni («N ew York Tim es», 2 ottobre 19 6 3 j.
- Si veda in e . re id , Mafia, pp. 143-44, una iniziazione a New York z t . 19 17 ; a lon gi, La Mafjìa cit., p. 4 1.
4 8 CAP.UOJ.O JLKZO
za della Mafia. In una società quale la siciliana, in cui il governo ufficiale non poteva e non voleva esercitare un potere effettivo, era inevitabile o l'avvento di un tale sistema, con la comparsa del potere delle bande, oppure l ’avvento della alternativa al sistema stesso, rappresentato dai corpi armati privati e delle guardie del corpo del- 1 America liberista. Ciò che distingue la Sicilia è l ’estensione territoriale e la coesione di un tale sistema di potere, a carattere privato e parallelo a quello ufficiale.
Il sistema non aveva però applicazione generale poiché non tutti i settori della società siciliana ne avvertivano in ugual maniera la necessità. I l codice deH’omertà non fu mai applicato, ad esempio, dai pescatori e marinai né si affermò compiutamenLe nelle città - salvo che presso i più bassi strati sociali; intendiamo le vere città e non i grossi agglomerati in cui i contadini siciliani vivevano, nel cuore di una campagna deserta, battuta dai briganti e forse anche malarica. Infatti gli operai delle città, specialmente in periodo di rivoluzioni - come a Palermo nel 17 7 3 e nel 18 2 0 e ’2 1 - miravano ad organizzare proprie milizie cittadine o «ronde» finché l ’alleanza delle classi dominanti, nel timore di sviluppi rivoluzionari, riuscì ad imporre, dopo il 1848, la Guardia Nazionale, più fidata sotto il profilo sociale, e successivamente corpi misti di polizia e mafiosi '. D ’altra parte c erano determinati gruppi che avevano particolare necessità di disporre di difese private. I contadini dei vasti latifondi dell'interno e i minatori di zolfo avevano bisogno di qualcosa d'altro che le periodiche jacqueries per alleviare la propria miseria. Per i proprietari di determinati tipi di beni - il bestiame, che negli incustoditi recinti siciliani è esposto alle facili razzie, cosi come avviene in Arizona; aranci e limoni, aneli’essi incustoditi e facile richiamo di ladri nei frutteti della costa - la protezione era questione di vitale importanza. E in effetti la Mafia si sviluppò proprio in quelle tre zone; dominava la Conca d ’Oro, irrigata e a frutteti, con i suoi poderi fertili e spezzettati, le zone delle miniere di zolfo
' Cfr, in m o n t a l b a n o , La Mafia c it . p p . 19 4 -5 7 , u n a n o te v o le tratta-rione del problema.
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del centro-sud e i latifondi aperti dell’interno. Fuori di queste zone la Mafia era più debole e tendeva a scomparire nella parte orientale dell'isola.
È erroneo credere che istituzioni d ’apparenza arcaica siano effettivamente molto antiche. Può darsi invece che esse siano sorte di recente (per quanto costituite da materiale antico o pseudo-antico) per scopi moderni, come ad esempio le cosiddette scuole pubbliche o l ’aspetto coreo- grafico della vita politica inglese. La Mafia non è una i s t ruzione medioevale ma del x ix e xx secolo. Il periodo della sua maggiore prosperità si ha dopo il 1890. Non v e dubbio che i contadini siciliani nel corso della storia abbiano vissuto, sin da quando la Sicilia divenne la terra tipica del latifondo, sotto il duplice regime di un governo centrale, lontano e generalmente straniero, e di un regime locale di schiavi e di signori feudali. Non vi è dubbio neppure che essi erano abituati (né avrebbe potuto essere altrimenti) a considerare il governo centrale non come un vero Stato ma soltanto come una specie particolare di brigante, i cui soldati, esattori di tasse, poliziotti e tribunali piombavano periodicamente su di loro. Conducevano la loro vita isolata di analfabeti tra il patitone, con i suoi emissari e parassiti, e le proprie abitudini ed istituzioni conservatrici. In un certo senso, quindi, qualcosa di simile al «sistema parallelo» dovette sempre esistere, come esiste in ogni società contadina arretrata.
Ciò non era però ancora la Mafia, per quanto contenesse in sé la maggior parte degli elementi grezzi, dai quali si sviluppò la Mafia. Sembra infatti che la Malia, in senso sroprio si sia sviluppata soltanto dopo il i860. L'uso del termine Mafia, nella sua accezione moderna, compare soltanto nei primi anni successivi al i86 0 ; anteriormente, comunque, era stato circoscritto al gergo di un solo quartiere di Palermo. Uno studioso di storia locale della Sicilia occidentale - che fu covo di Mafia - non ne trova traccia di sorta nella sua città prima del i860 Invece il ter
1 g. PiTRi-:, U si e costumi... del popolo i ìliano , I I I , 1889 , pp. 287 5gg.; voce «M afia» nell’Encyclopaedia of Social Sciences.
2 S. NICASTRO, Dal Quarantotto al Sessanta in Mazzata, i 9 T3 ,P P - 80-8t
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mine dal 1866 viene già usato correntemente da parte di Maggiorani, e, subito dopo il 18 7 0 , è di uso comune nelle discussioni politiche. È evidente che in qualche regione - soprattutto, forse, nella provincia di Palermo - la Mafia dovette affermarsi in epoca ancora precedente. Non potrebbe esserci nulla di più tipicamente mafioso della carriera di Salvatore Miceli, il padrone di Monreale, che portò le sue squadre armate a combattere contro i Borboni a Palermo nel 1848, poi fu perdonato e, nominato capitano dell’esercito borbonico intorno al 18 50 (tratto davvero caratteristico), portò i suoi uomini in aiuto a Garibaldi nel i860 e fu ucciso mentre combatteva i piemontesi nella rivolta palermitana del 1866 E nel 18 7 2 la Mafia di Monreale era sviluppata a tal punto che si verificò la prima di quelle rivolte, poi divenute endemiche, della «giovane Mafia» contro la «vecchia Mafia» (aiutata dalla polizia, che cercava cosi di indebolire l ’associazione) e ne derivò la «setta» degli stoppaglieri!. Tuttavia qualcosa di importanza quasi determinante dovette verificarsi nel «sistema parallelo» dopo l ’abolizione ufficiale del feudalesimo in Sicilia ( 18 12 -3 8 ) e specialmente dopo la conquista da parte della borghesia settentrionale. Ma che cosa? Per rispondere a questa domanda siamo costretti a ricapitolare le nostre cognizioni sulla composizione e struttura della Mafia nel suo stadio di maggior sviluppo. La prima caratteristica, di gran lunga la più importante, consiste nel fatto che tutti i capi delle Mafie locali erano (e sono tuttora) persone facoltose, alcune ex feudatari di zone dell’interno, ma prevalentemente appartenenti alla classe media, agricoltori capitalisti e appaltatori, avvocati e simili. Su questo punto esistono prove inoppugnabili Fin dalle sue origini rurali la Mafia portava in sé i germi di una rivoluzione poiché alla metà del x ix secolo la terra di proprietà della borghesia non superava in Sicilia il 10 % circa dell’area coltivata. La spina dorsale della Mafia era
1 c u t r e r a , La Mafia ed i mafiosi c i t . , p p . 1 7 0 -7 4 -1 «G iornale di Sicilia», 2 1 agosto 1 8 7 7 , citato da m o n t a l b a n o , La
Mafia cit., p p . 16 7 -7 4 .1 c u t r e r a , La Mafia ed i mafiosi cit., pp. 73 , 88-89, 96; f r ANCHEITI,
Condizioni politiche cit., pp. 170 -72 . Il fenom eno del gangsterism o come espressione tipica della classe m edia sbalordì e turbo il Franchetti.
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no i gabellotti - appartenenti alla classe media più ricca - , che corrispondevano ai proprietari feudali assenteisti un affitto globale per l ’intera proprietà e subaffittavano ai contadini e praticamente erano diventati l ’effettiva classe dominante, al posto dei padroni. In effetti, nelle zone di Mafia, essi erano tutti, a quanto pare, mafiosi. Il sorgere della Mafia riflette cosi, nell’ambito del «sistema parallelo», il trasferimento del potere dalla classe feudale al ceto medio rurale, una fase della nascita del capitalismo rurale. Allo stesso tempo la Mafia fu uno degli strumenti principali di questo trasferimento; infatti se il gabellotto se ne serviva per imporre condizioni a fittavoli e mezzadri, se ne serviva anche per imporsi al padrone assenteista. Un equivalente esatto di questo fenomeno si riscontra nella cofradia de mayordomos (confraternita di fattori ) del dipartimento di Caldas in Colombia. Questi usano sistemi terroristici e intimidatori tanto nei confronti dei latifondisti quanto degli affittuari, al fine di assicurarsi il controllo delle zone coltivate a caffè, del raccolto e dello smercio del prodotto.
La Mafia, per il fatto di trovarsi in mano a una classe che potrebbe dirsi di uomini d'affari, potè anche sviluppare una rete di influenze quali mai avrebbe potuto avere se fosse stata soltanto una faccenda da « tipi duri», con orizzonte limitato ai confini del comune di residenza. La maggior parte dei gabellotti aveva rapporti con Palermo, dove percepivano le loro rendite i baroni e i principi assenteisti, cosi come nel x v m secolo tutti i distretti irlandesi erano collegati a Dublino. A Palermo risiedevano gli avvocati (che di solito erano figli o nipoti istruiti della borghesia campagnola), che stipulavano i trasferimenti di proprietà; i funzionari e i tribunali da «orientare»; i commercianti che disponevano dei prodotti tradizionali, quali bestiame e grano, e dei nuovi prodotti ad alto reddito quali aranci e limoni. Palermo era la capitale, dove per tradizione avevano luogo le rivoluzioni, cioè le decisioni fondamentali per la politica siciliana. È quindi più che naturale che le fila locali della Mafia confluissero tutte là, come pare sia stata la tendenza all’inizio del secolo e probabilmente di nuovo oggigiorno. Tuttavia è significativo il
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fatto che i capi nominali della Onorata Società continuavano a provenire dalla zona latifondista delPinterno, dove forse ebbe origine la Mafia: don Vito Cascio Ferro, prima del fascismo, da Bisacquino, don Calogero Vizzini da Villalba, Giuseppe Genco Russo da Mussomeli
L ’apparato di coercizione del «sistema parallelo», al pari della sua struttura politica e legale, non aveva una forma rigida né era centralizzato, ma raggiungeva ugualmente il proprio scopo di assicurare acquiescenza all’interno e potere all’esterno - cioè controllare la popolazione locale e logorare il governo straniero. Non è facile fornire un quadro chiaro e conciso della sua struttura. In ogni società miserabile e oppressa, quale la siciliana, esiste una vasta riserva potenziale di uomini risoluti, come di prostitute. « L ’uomo cattivo», secondo un’incisiva espressione del gergo della malavita francese, è affranchi: e l ’individuo non ha altro mezzo per sottrarsi ai vincoli di un virtuale servaggio se non quello di diventare sgherro o fuorilegge. In Sicilia questa grande riserva era formata prevalentemente da tre gruppi : i soprastanti e le forze di polizia privata (quali guardiani e campieri che sorvegliavano frutteti ed ovili); i banditi e i fuorilegge professionali; e fra i lavoratori regolari, quelli più forti e sicuri di sé. E necessario convincersi che la migliore opportunità che si presentasse a un contadino o a un minatore per mitigare l ’oppressione di cui era vittima consisteva nel farsi una reputazione di duro o di amico di duri. Il normale centro di confluenza di costoro era l ’entourage del locale maggiorente, che ingaggiava uomini di fegato e senza scrupoli e proteggeva i fuorilegge, anche se erano soltanto motivi di prestigio che lo inducevano a farlo, per dimostrare il proprio potere. Cosi veniva a formarsi una rete locale di interessi fra proprietari, guardie private, pastori, banditi, bravacci e uomini di fegato.
Quasi certamente furono due gli elementi che determinarono l ’evoluzione di una situazione del genere e la sua trasformazione in Mafia. In primo luogo, il tentativo da parte del debole governo dei Borboni di costituire le Com-
1 p a n t a l b o n e , Mafia e politica c it., pp. 3 4 , 45, 1 1 8 .
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pagnie armate, che falli, come la maggior parte dei tentativi di affidare la tutela della sicurezza pubblica all’iniziativa privata, fatti da governi deboli per tema di aggravi finanziari. Le Compagnie armate, dislocate in zone diverse, ognuna con propria autonomia, erano tenute a rispondere in proprio per i furti e le rapine consumate nella propria zona. Ne conseguiva che, date le condizioni della Sicilia, l ’interesse preminente di ciascuna compagnia consisteva nell’indurre la delinquenza locale a rubare altrove dietro promessa di accordare un diritto di asilo locale oppure nel contrattare privatamente la restituzione della refurtiva. Da un comportamento del genere ad una effettiva partecipazione delle Compagnie armate - i cui componenti erano della stessa pasta dei briganti - all’attività criminale il passo era breve. In secondo luogo il crescente pericolo rappresentato dal malcontento nelle città e nelle campagne, specialmente dopo l ’abolizione del feudalesimo. Il fermento era, come al solito, particolarmente vivo fra i contadini, impegnati in una lotta, che sarebbe poi diventata perenne, contro la classe media rurale per il possesso delle terre pubbliche ed ecclesiastiche, delle quali la classe media tendeva ad appropriarsi. In un’epoca in cui le rivoluzioni ricorrevano con una frequenza impressionante- quattro o cinque in quarantasei anni - era perfettamente naturale che i ricchi tendessero ad assoldare uomini per la difesa dei propri interessi - le cosiddette controsquadre — o adottassero altre misure per non lasciarsi sopraffare dalle rivoluzioni; ed alle mene del mafioso niente giovava di più di questa combinazione fra ricchi (terrieri) e gente decisa a tutto.
I rapporti tra Mafia, picciotti o emissari e briganti erano quindi di una certa complessità. Come proprietari i capi-mafia non avevano interesse di sorta all’attività criminale; avevano però interesse a mantenere un corpo di seguaci armati per fini di coercizione. D ’altra parte agli elementi assoldati si dovevano consentire ruberie e riservare un determinato campo per l ’iniziativa individuale. I banditi, infine, rappresentavano un flagello quasi generale, per quanto anche essi potessero occasionalmente servire a rafforzare il potere dei padroni (il bandito Giuliano
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fu incaricato di sparare su di un corteo di contadini il primo maggio 19 47 ed è noto il nome dell’influente personaggio palermitano che combinò l ’affare). Tuttavia, in mancanza di un apparato del potere statale centrale, il banditismo non poteva venire eliminato. Da qui quella singolare soluzione di compromesso, che è così tipica della Mafia: monopolio locale di estorsione controllata (che spesso assurge a vera e propria istituzione, al punto da perdere i propri caratteri di forza bruta) con eliminazione di ogni intruso. Il coltivatore di aranci della regione palermitana era costretto ad assumere un guardiano (di frutteti); se era ricco, poteva essere obbligato qualche volta a contribuire al mantenimento dei picciotti; se veniva derubato, poteva recuperare il suo avere decurtato di una percentuale, salvo che non fosse in rapporti particolari con la Mafia. Il ladro individuale era escluso
Nelle formazioni militari della Mafia si può riscontrare un identico miscuglio di lealtà e sottomissione dei dipendenti e di profitto personale dei combattenti. Quando scoppiava la guerra, il padrone locale arruolava le sue squadre - composte prevalentemente, ma forse non esclusivamente, di membri delle cosche locali. I picciotti si univano alle squadre, alcuni per seguire il padrone (quanto più influente era il capo-mafia, tanto più numeroso era il suo gruppo), altri per accrescere il proprio prestigio con l ’unico mezzo che gli si offriva, cioè con bravate e violenze, ma anche perché guerra significava guadagno. Nelle rivoluzioni più importanti i capi-mafia pattuivano con i liberali palermitani una paga giornaliera di quattro tari per uomo, oltre ad armi e munizioni e la promessa di questa paga (per non parlare dei saccheggi di guerra) faceva moltiplicare le squadre.
1 Opinione errata, tra le più comuni, - tramandata in opere quali L'ultim a battaglia della Mafia dell’ ineffabile prefetto m o r i e la i a ed. di Sicilia del g u e r c io - è quella che confonde la Mafia con il banditismo. La Mafia manteneva l ’ordine pubblico con mezzi privati e, generalmente parlando, difendeva la popolazione proprio contro il banditismo.
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II .
Era questo, allora, il «sistema parallelo» della Mafia. Non possiamo affermare che fosse stato imposto ai siciliani da qualcuno. In un certo senso venne espresso dai bisogni di tutte le classi rurali, e ne servi gli interessi in misura diversa. A i deboli - contadini e minatori - offriva quanto meno qualche garanzia che le obbligazioni sarebbero state rispettate 1 e che il peso tradizionale dell’oppressione non sarebbe stato sistematicamente aggravato;il terrore mitigava le tirannie tradizionali. E forse realizzava anche un desiderio di rivincita, facendo si che i ricchi avessero qualche volta la peggio e che i poveri, sia pure come fuorilegge, potessero combatterli. E , in certi casi, poteva anche fornire il nucleo strutturale di una organizzazione rivoluzionaria o difensiva. (Sembra comunque che intorno al 18 7 0 ci sia stata una certa tendenza alla fu sione 2 fra associazioni e gruppi semimafiosi, quali la fratellanza del centro zolfifero di Favara, i fratuzzi di Baghe- ria e gli stoppaglieri di Monreale). Per i feudatari era un sistema per salvare proprietà ed autorità; per le classi medie rurali un mezzo per conquistarle. Per tutti costituiva un mezzo di difesa contro gli sfruttatori stranieri - governi borbonici o piemontesi - e di rivendicazione autonomista nazionale o locale. Finché la società siciliana conservò un assetto essenzialmente statico e feudale e rimase soggetta a un potere esterno, la Mafia, con il suo carattere di cospirazione nazionale anticollaborazionista, le forni una base popolare genuina. Le squadre combatterono con i liberali palermitani (comprendenti l ’aristocrazia siciliana antiborbonica) nel 18 2 0 , 1848 e i860 . Si trovarono alla testa della prima grande rivolta contro la dominazione del capitalismo del Nord nel 1866. Il carattere nazionale,
1 Cfr. n . c o l a J a n n i , G li avvenim enti d i Sicilia, Palermo 1894, cap. v , 1 proposito della funzione della Mafia come codice dei rapporti fra le diverse categorie di minatori di zolfo, specialmente alle pp. 47-48•
2 Non mi convince la tesi, sostenuta da Montalbano, che il sorgere ci queste associazioni intorno al 1870 vada interpretato soltanto in termi- r.i di rivolta degli elementi giovani della Mafia contro i vecchi; questo potrà essere il caso di Monreale.
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e fino ad un certo punto popolare, della Mafia, ne accrebbe il prestigio e le assicurò la generale simpatia e l ’omertà. Si trattava ovviamente di un movimento complesso, comprendente elementi di reciproco contrasto. Pur se a malincuore, lo studioso deve resistere alla tentazione di una classificazione più rigorosa dal punto di vista storico della Mafia in questo stadio del suo sviluppo. Cosi non può condividersi la tesi di Montalbano, secondo cui i picciotti, che allora formavano le squadre, non sarebbero stati veri Mafiosi con la M maiuscola, ma soltanto mafiosi con la m minuscola mentre la «vera» Mafia sarebbe stata costituita dalle controsquadre, formazioni di parte padronale già specializzate e agguerrite. Ciò equivale ad applicare schemi validi per la Mafia del x x secolo a un’epoca cui tali schemi sono estranei '.
In effetti è dato supporre che la Mafia abbia realizzatoi primi veri progressi sulla via della sua maggiore potenza (ed abuso) ponendosi quale movimento regionale siciliano di rivolta contro le disillusioni dell’unità italiana dopoil i860 , più efficiente del parallelo e contemporaneo movimento guerrigliero dei briganti nell’Italia continentale del Sud. Essa, come abbiamo visto, aveva legami politici con l ’estrema sinistra, dato che i radicali garibaldini costituivano il principale partito italiano di opposizione. Questo carattere della Mafia mutò poi per tre ordini di motivi.
Primo, il sorgere di rapporti capitalistici nella società isolana. L ’avvento di forme moderne di movimenti contadini ed operai, che mutarono radicalmente l ’antica situazione, in cui l ’odio di silenziose congiure si alternava a massacri sporadici, misero la Mafia di fronte a uno stato di cose assolutamente nuovo. Per l ’ultima volta nel 1866 essa si ribellò con le armi contro le autorità. La grande rivolta contadina del 1894 - i fasci siciliani - la trovò dalla parte della reazione o, nella migliore delle ipotesi, in posizione di neutralità. Del resto tali rivolte erano organizzate da capi di nuovo genere - i socialisti del luogo — legati a nuove forme di organizzazione, i fasci o le associazioni di mutua difesa, indipendenti dai picciotti. Comin
1 m o n ta lb a n o , La Mafia cit., p. 197.
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ciò cosi a determinarsi quel rapporto, tipicamente moderno, di proporzionalità inversa tra forza della Mafia e attività rivoluzionaria. Fu anche osservato allora che il sorgere dei fasci aveva diminuito il dominio della Mafia sui contadini1. N ;1 iyo o Piana dei Greci, roccaforte socialista, per quanto al centro dell’impero della Mafia, aveva risentito notevolmente meno di altri centri l ’influenza della Mafia 2. Briganti e mafiosi prendono il posto di movimenti sociali soltanto nelle comunità politicamente arretrate e deboli. Nonostante questi cedimenti in singole località, non vi è dubbio però che la Mafia nel suo complesso fosse, durante questo periodo, ancora in fase di espansione nella zona occidentale della Sicilia. Quanto meno ci sembra lo confermino le inchieste parlamentari del 1884 e 19 10 La seconda ragione del mutamento degli originari caratteri della Mafia è da ricercarsi nel fatto che la nuova classe dominante dell’economia agricola siciliana,i gabellotti ed i loro collaboratori cittadini, scoprirono un modus vivendi con il capitalismo settentrionale. Mancavano motivi di concorrenza perché l ’economia siciliana non era interessata alla industria manifatturiera e taluni dei suoi prodotti più importanti, quali gli aranci, difficilmente potevano venire coltivati nel Nord; la trasforma
1 E. c. c a lo n , La Mafia, Madrid 19 0 6 , I I .2 Vedi in Cutrera la preziosa carta della distribuzione della Mafia. P ia
na, per quanto apparentemente restia ad adottare formule di organizzazione contadina, diventò la grande roccaforte dei fasci del 18 9 3 e da quell’epoca è sempre stata una fortezza del socialismo (e più tardi del comuniSmo). Che in precedenza ci fosse stato un dom inio della Mafia è possibile arguire dalla storia della Mafia a New Orleans, la cui colonia siciliana, arrivata intorno al 18 8 0 , comprendeva un notevole contingente di pianesi, a giudicare dalla ricorrenza di caratteristici cognomi albanesi: Schirò, Loja- cono, Matranga. I Matranga - membri degli stoppaglieri - controllavano il racket del porto ed ebbero un ruolo preponderante negli episodi di Mafia del 18 8 9 a New Orleans (re id , Mafia cit., pp. 10 0 sgg.). Evidentemente la famiglia continuò nell’attivita mafiosa, poiché nel 19 0 9 il tenente Petro- sino della polizia di New Y ork , poi ucciso a Palermo - presumibilmente dalla Mafia - indagava sulla vita di un membro della famiglia {ib id ., p. 12 2 ) . Ricordo di aver visto a Piana nel 19.53 la tomba monumentale di un Matranga, rientrato di recente dagli Stati Uniti e trovato pochi anni prima ucciso per strada in circostanze che nessuno si preoccupò di indagare.
J a. D am iani, Inchiesta agraria, 18 8 4 , Sicilia, vo l. I l i ; g. lo r e n z o n i, Inchiesta Parlamentare, 1 9 1 0 , Sicilia, vo l. V I, 1 - 2 ; specialm ente alle pp. 6 4 9 -5 1.
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zione del Sud in una colonia agricola del Nord commerciale ed industriale non ledeva quindi gli interessi degli agrari siciliani. D ’altro canto l ’evoluzione politica del Nord forniva loro un sistema assolutamente nuovo e di valore inestimabile per la conquista del potere: il voto. La grande stagione del potere della Mafia - che preludeva però al suo declino - ha inizio con il trionfo del liberalismo nella politica italiana e si sviluppa con l ’estendersi dell’affrancamento.
Per gli uomini politici del Nord, finita l ’epoca del conservatorismo seguito all’unificazione, il Sud non costituiva un problema. Esso poteva assicurare una maggioranza stabile a qualsiasi governo avesse opportunamente impiegato lo strumento della corruzione o delle concessioni di privilegi nei confronti dei capi locali capaci di garantire la vittoria elettorale. I l che, per la Mafia, era un gioco da ragazzi. I suoi candidati riuscivano sempre eletti, quasi a ll’unanimità, in collegi che erano delle vere roccaforti della Mafia. I privilegi concessi e il prezzo pagato per la corruzione, anche se modesti dal punto di vista del Nord, data la miseria del Sud, sortivano ben più grande risultato ai fini del potere locale in una regione piccola come metà della Sicilia. La politica creava il potere del capo locale; la politica lo accresceva e lo trasformava in un grosso affare.
La Mafia ottenne questo suo nuovo potere non soltanto perché era in grado di fare promesse e minacce ma perché, a dispetto dei nuovi rivali, era ancora considerata parte del movimento nazionale e popolare; proprio comei capi delle grandi città degli Stati Uniti arrivarono al potere non solo con la corruzione e con la forza ma anche perché rappresentavano per le migliaia di elettori immigrati « i nostri»: irlandesi per gli irlandesi, cattolici peri cattolici, democratici (e cioè avversari dei grandi affaristi) in un paese di prevalente indirizzo repubblicano. Non a caso l ’apparato elettorale della maggior parte delle grandi città americane, per quanto corrotto, apparteneva al partito tradizionale di opposizione, allo stesso modo che la maggior parte dei siciliani alimentava l ’opposizione a Roma, che negli anni successivi al i860 , si identificava
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con i garibaldini. Cosi la svolta cruciale nelle fortune della Mafia si determinò solo quando la Sinistra (o gli uomini che si fregiavano dei suoi slogan), dopo il 1876 divenne il partito governativo. In tal modo la Sinistra, come afferma il Colajanni, «produsse in Sicilia e nel Mezzogiorno, una trasformazione che non potè produrre altrove: l'asservimento completo delle masse al govern o»1. La organizzazione politica siciliana, cioè la Mafia, divenne così parte integrante del sistema governativo di favori speculando sul fatto che i propri seguaci, per la mancanza di contatti diretti e per la naturale loro ignoranza, tardassero a rendersi conto che i propri voti non andavano più alla causa della rivolta. Quando -se ne accorsero (come ad esempio durante le sollevazioni degli anni seguenti al 1890) era troppo tardi. La tacita alleanza fra Roma, con le sue truppe e le leggi marziali, e la Mafia, li aveva stretti in una morsa. Era stato instaurato il vero «regno della Mafia». Ora essa costituiva una grande potenza. I suoi membri sedevano in Parlamento a Roma e affondavano le mani nella parte più ricca della greppia governativa: grandi banche, scandali nazionali. La sua influenza ora si estendeva oltre i confini vagheggiati dai capi locali di vecchio stampo, tipo Miceli di Monreale. Alla Mafia non si poteva resistere; ma essa ormai non era più un movimento popolare siciliano come all’epoca delle squadre del 1848 , i860 e 1866.
ih .
H a ora inizio il suo declino. In proposito, le nostre informazioni sono ancora più scarne di quelle che abbiamo sul periodo di splendore, poiché durante l ’epoca fascista non fu pubblicato alcuno studio approfondito e successivamente solo un numero molto esiguo2. Possiamo però
1 La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi (ed. 19.51), p. 78.2 Lo studio di gran lunga più importante - e del quale mi sono avval
so profìcuamente - è Funzioni e basi sociali della Mafia di f . r e n d a , inIl movimento contadino nella società siciliana , Palermo 1956 e m o n t a l ban o , La Mafia cit.
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esporre in breve alcuni fattori determinanti nel corso più recente della storia della Mafia.
In primo luogo, il sorgere delle leghe contadine e del socialismo (successivamente comuniSmo), che rappresentarono un’alternativa alla Mafia per le classi popolari, che vennero cosi allontanate da un organismo che, sempre più apertamente e decisamente, si trasformava in una forza terroristica diretta contro le sin istre1. Così i fasci del 18 9 3 , la recrudescenza delle agitazioni agrarie dell’epoca precedente la prima guerra mondiale e degli anni agitati successivi al 19 18 , si posero come pietre miliari sul cammino che separava la Mafia dalle masse. L ’epoca postfascista, con la guerra dichiarata fra Mafia e sociali- smo-comunismo - i massacri di Vil 1 alba (1944), e Portel- la della Ginestra ( 1947), il tentato assassinio del capo comunista siciliano Girolamo L i Causi, l ’uccisione di vari organizzatori sindacali - approfondirono la frattura2. La base popolare che la Mafia possedeva fra i braccianti senza terra, i minatori di zolfo, ecc., tendeva a diminuire. E sistono ancora, secondo Renda (organizzatore politico e studioso di valore), poche zone rimaste integralmente e «spiritualmente» mafiose, ma « lo spirito e le consuetudini della Mafia sopravvivono ai margini dei grandi sentimenti popolari».
La maggior parte delle province-chiave della Mafia, specialmente nelle campagne, registra voti socialisti e comunisti. È evidente che l ’incremento dei voti dei partiti associati di sinistra dall’ 1 1 ,8 % del 1946 al 29 ,2% del 1963 a Palermo e dal 29 ,1 % del 1946 al 44 ,8% del 1963 nella provincia di Caltanissetta, segna il declino dell’in- fluenza della Mafia come forza decisamente avversa alle sinistre \ Le sinistre hanno dato ai siciliani un’organizza-
1 L o s t e s s o p r e f e t t o M o r i , a o n o r d e l v e r o , a c c e n n a s p o r a d ic a m e n t e a
questo fatto,2 Del primo e del terzo di questi delitti venne formalmente accusato
Calogero Vizzini, un capo mafioso, se non addirittura il capo della Mafia. Del secondo venne accusato G iuliano (m o n t a l b a n o , La Mafia cit., pp. 186-87, cita il rapporto del generale dei carabinieri Branca del 1946. Cfr. m a x w e l l G o d protect me from my friends cit., per i rapporti tra la Mafia e Giuliano).
3 I dati delle elezioni fino al 1953 per le singole province sono tratti da e . c a r a n t i , Sociologia e statistica delle elezioni italiane, Roma 19 5 4 - I-;l
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;:one di ricambio, più moderna, ed una certa protezione csretta e indiretta contro la Mafia, specialmente dopo il :9 4 5 , se non altro in quanto le forme più gravi del terrorismo politico mafioso tendono ora a destare maggior preoccupazione a Roma. Inoltre, da quando la Mafia non e più in grado di controllare le elezioni, essa ha perduto molto del potere che deriva dal clientelismo. In luogo del «sistema parallelo» ora la Mafia, politicamente parlando, costituisce soltanto un gruppo di pressione molto potente.
In secondo luogo vengono le scissioni interne della Mafia. Esse assumevano ed assumono due forme: le rivalità fra «quelli dentro» (di solito la vecchia generazione) e «quelli fuori» (di solito i giovani) in un paese a reddito limitato e ad alto livello di disoccupazione e la tensione tra la vecchia generazione di gabellotti ignoranti e gretti- superiori di poco (tranne che per la ricchezza) ai contadini, in danno dei quali si erano ingrassati — e quella dei loro figli di condizione sociale più elevata. I giovani che diventano «lavoratori dal colletto bianco» o avvocati, le ragazze che trovano marito in una società «m igliore» - cioè estranea alla Mafia - spezzano la coesione familiare della Mafia, su cui si fonda gran parte della sua forza. La tensione del primo tipo, tra «vecchia» e «giovane» M afia è di antica data: come abbiamo visto, si verificò in forma tipica a Monreale già nel 18 7 2 . Il secondo genere di tensione lo vediamo a Palermo già nel 18 7 5 ma nelle zone latifondiste dell’interno si è sviluppato soltanto negli ultimi decenni '. Le rivalità sempre vive tra «vecchia» e «giovane» Mafia, producono quella che Montalbano ha definito «una strana dialettica»: prima o poi i giovani risoluti, che non possono risolvere il problema dell’esistenza con il lavoro, perché lavoro non ce n ’è, sono costretti a risolverlo in qualche altro modo, ad esempio con il delitto. Ma le attività criminali lucrose si trovano sotto il
percentuale complessiva dei voti socialisti e comunisti nelle quattro province mafiose nel 1963 era del 37.8% contro il 4^,4% dei democristiani; la maggior parte dei voti residui era per l'estrema Destra (collegi elettorali di Palermo, Trapani, Agrigento e Caltanissetta).
1 re n d a , 1 1 movimento contadino c it ., p. 2 1 9 .
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controllo dei mafiosi della vecchia generazione, restii a far posto ai giovani e costoro organizzano perciò bande rivali, di solito ricalcando gli stessi schemi della vecchia Mafia; spesso in loro favore interviene l ’aiuto della polizia, che spera cosi di indebolire la vecchia Mafia, e i giovani mafiosi, per raggiungere questo stesso scopo, si valgono della polizia. Prima o poi, se nessuna delle due fazioni è stata in grado di sopprimere l ’altra - la maggior parte degli assassinii della Mafia è il risultato di queste micidiali contese - vecchi e giovani si associano, dopo una nuova ripartizione della preda.
Tuttavia è opinione diffusa che la Mafia sia stata, sin dalla prima guerra mondiale, afflitta da dissensi interni straordinariamente acuti, verosimilmente dovuti a quel tipo di tensione familiare che abbiamo sopra descritto, tensione aggravata da effettive divergenze programmati- che, quali dovevano necessariamente sorgere in un’isola, la cui fisionomia economica, sociale e criminale era mutata con crescente rapidità. Un esempio di tali divergenze programmatiche ci viene dall’America. Colà la Mafia rifiutò a ll’inizio di trattare con emigranti che non fossero siciliani e combattè notevoli battaglie contro i suoi rivali napoletani, i camorristi, quali ad esempio le famose lotte Matranga-Provenzano a New Orleans intorno al 1880 ed altre battaglie del genere a New Y ork intorno al 19 10 . Una ipotesi plausibile è quella secondo cui la liquidazione della «vecchia» Mafia ad opera della «giovane» si sarebbe verificata intorno al 19 30 , quando la vecchia organizzazione venne sostituita da una versione più moderna, che, a differenza della antica fratellanza di sangue, era disposta a collaborare con i gangster napoletani e perfino ebrei. È nel quadro di tali dissensi che può trovarsi la giustificazione più adeguata delle cause della sopravvivenzao meno della Mafia in seno al gangsterismo americano
1 Per le vecchie lotte, vedi re id , Mafia cit., pp. 100, 146. Per la purga del 19 3 0 (non riportata da Reid o da Kefauver) c fr. t u r k u s & f e d e r , M urder Inc., London 1 9 5 3 . La testimonianza che un napoletano, J . Va- lachi, sia stato formalmente ammesso in una organizzazione prevalentemente siciliana e che ancora svolge i propri riti nel dialetto dell’ isola, p a r e la p r o v a conclusiva che la Mafia americana ha decisamente infranto
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Più avanti esamineremo le nuove prospettive «affaristiche» della Mafia moderna.
In terzo luogo viene il fascismo. Mussolini, secondo la versione attendibile di Renda, si trovò costretto a combattere la Mafia dal momento che su questa si appoggiava il partito liberale antifascista (le elezioni del 19 24 a Palermo avevano dimostrato le possibilità della Mafia liberale di opporsi al processo di affermazione politica del fascismo). Le campagne fasciste contro la Mafia, più che contribuire al crescente suo indebolimento, lo resero evidente e si risolsero puntualmente in quell’identico accordo tacito di collaborazione tra potentati locali e governo centrale che si era verificato in passato. Sopprimendo le elezioni però il fascismo certamente privò la Mafia del suo principale strumento per mercanteggiare la concessione di favori da parte di Roma; il movimento delle camicie nere forni a mafiosi scontenti e a mafiosi potenziali una magnifica occasione di usare l ’apparato statale per soppiantare i propri rivali già affermati e in tal modo approfondi i motivi di discordia all’interno della Mafia. Le radici del movimento resistettero: dopo il 1943 esso riemerse in pieno. Tuttavia i gravi colpi infertigli e i compromessi cui fu costretto produssero effetti sociali tutt’altro che trascurabili. I grandi mafiosi potevano abbastanza facilmente venire a patti con Roma. L ’unica conseguenza derivatane alla maggior parte dei siciliani fu che «sistema parallelo» e governo ufficiale entrarono a far parte di un unico complotto per opprimerli; più che di una inversione di rotta si trattò di un passo avanti sul cammino iniziato nel 18 76 . I piccoli mafiosi, d ’altra parte, certamente ne scapitarono. Si è perfino ritenuto che le campagne fasciste provocarono « l ’arresto di un lungo processo che tendeva ad inserire in misura sempre più larga lo stato medio della Mafia nel sistema della grande proprietà terriera in qualità di piccoli e medi proprietari borghesi» ‘ .
Non è perfettamente noto come sia rinata la Mafia dopo il 19 4 3 . È chiaro - secondo il rapporto Branca del
la tradizione fin dal 19 3 0 (deposizione di Valachi, in «N ew Y ork Tim es»,2 ottobre 19 6 3 ) .
1 r k n d a , II movimento contadino c it., p. 2 1 3 .
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1946 - che la Mafia aveva stretti legami con il movimento separatista siciliano, cui andarono le simpatie alquanto avventate degli Alleati dopo l ’occupazione dell’isola, e forse anche con l ’antico partito della proprietà e dello status quo, il partito liberale. Successivamente pare si sia affermata una tendenza verso i monarchici e i demo- cristiani. Comunque il rapido declino dei voti liberali e indipendentisti, dal mezzo milione del 19 47 ai 2200 00 del 1948 , sta a significare qualcosa di più di un semplice mutamento di tendenza degli elettori, considerato soprattutto il fatto che in seguito il processo di indebolimento di quei due partiti fu molto più lento. La maggior parte di questi voti perduti andò ai democristiani, ma i monarchici - il fatto non è irrilevante - non se ne giovarono affatto e continuarono a progredire lentamente per alcuni anni1. È stata avanzata l ’ipotesi assai attendibile, che il peso della Mafia nelle elezioni, oggi si riduca a ll’abilità di far cadere i voti preferenziali su un candidato piuttosto che su un altro neH’ambito della democrazia cristiana e della Destra; pertanto essa influisce soprattutto sulle lotte di fazione all’interno di quei partiti.
Nel dopoguerra però la Mafia ha scoperto due nuovi generi di attività economica lucrosa. Nel settore più propriamente criminale gli orizzonti di determinati raggruppamenti della Mafia si sono certamente estesi in campo internazionale, in relazione all’enorme profitto che si può trarre dal mercato nero e dal contrabbando in grande stile, in un periodo che certo passerà alla storia come l ’epoca d ’oro della criminalità organizzata, ed anche in relazione ai forti legami tra la Sicilia e le forze americane di occupazione, legami rinsaldati a seguito della deportazione in Italia di numerosi famigerati gangster americani. Non c e dubbio che parte della Mafia si sia dedicata con entusiasmo al traffico internazionale della droga. Non è nep
1 I partiti del regime prefascista - liberali e monarchici - sono tuttora notevolmente forti in determinate zone, che possono forse valere quale indice approssimativo dell'influenza elettorale della «vecchia M afia»: a Trapani prevalgono su democristiani e soci al comunisti, a Part inico Monreale - feudo della vecchia Mafia - prevalgono sui socialisti e comunisti. In tipiche /one di Malia, quali Corleone-Bagheria essi però sono stati superati dulie sinistre e ancora di più dai democristiani (elezioni del 1958I.
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pure da escludere - in pieno contrasto con l ’antico provincialismo - che i mafiosi siano disposti a collaborare ad attività criminali organizzate altrove'.
Ben più importante nella storia della Mafia è il sistema con cui essa ha potuto resistere alla distruzione del suo principale sostegno, l ’economia latifondista. Le proprietà si sono dissolte e molti baroni hanno licenziato i loro campieri. Ma il ruolo di influenti personaggi locali ha permesso ai mafiosi di realizzare guadagni sul grande mercato delle vendite di terre ai contadini nell’ambito delle varie leggi di riforma. «Si può affermare - dice Renda - ad esempio, senza tema di sbagliare che la quasi totalità della piccola proprietà contadina sia stata negoziata con l ’intermediazione di elementi m afiosi»2, alle cui mani quindi tendeva a rimanere attaccata buona parte dei terreni e beni di altro genere. Così la Mafia ancora una volta ha avuto la sua parte nella creazione di una classe media siciliana e indubitabilmente sopravviverà al tramonto della vecchia economia. Alla figura tipica del mafioso campiere si è semplicemente sostituita quella del mafioso proprietario terriero e affarista. Il rapido modernizzarsi della Sicilia, la urbanizzazione di Palermo, e l ’atmosfera generale di benessere economico in Italia, hanno dato modo alla Mafia di assumere il controllo di nuovi settori dell’attività economica, specialmente nello sviluppo del mercato immobiliare cittadino e di varie forme di commercio e distribuzione. Evidentemente ciò ha approfondito la frattura tra la «vecchia» Mafia tradizionale e agricola e i «giovani» mafiosi dediti a più moderne imprese criminali ed economiche, talvolta in combutta con ex gangster americani. Inoltre è chiaro che la emigrazione in massa dalla Sicilia al Nord ha fatto sì che le attività della Mafia si estendessero al continente, specialmente a Milano e a R om a3.
1 Le gesta dei fuorilegge iti S icilia , in « I l Messaggero», 6 settembre 19 5 5 , con il resoconto dell’assassinio a Palermo di un contrabbandiere di tabacco da parte della «M afia su ordine di N apoli».
’ renda, I l movimento contadino cit., p. 218 .3 pantai.f.ONe, Mafia e politica cit., capp. x i , x v i i - x ix ; M emoriale sulla
Mafia, in «R inascita», 12 ottobre 1963, p p . 1 1 - 1 2 ; c. r i s e , in «L'espresso», 34 luglio 1963.
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In qual modo si sia modificata l'organizzazione della Mafia nel corso di una tale evoluzione, non sappiamo. Potrebbe ritenersi che sia diventata un organismo più centralizzato, a seguito della autonomia regionale, che ha fatto di Palermo un centro ancora più vitale per la Sicilia di quanto non lo fosse in passato, e anche in relazione alle varie tendenze «moderniste» assunte dalla Mafia nella condotta degli affari. Sul grado di centralizzazione non vi sono che congetture personali e fin quando da fonte giornalistica si continuerà ad additare, contemporaneamente e con la stessa certezza, nei più svariati personaggi i «capi della M afia», sarà prudente limitarsi alla semplice considerazione che, se una direzione centrale esiste, essa quasi certamente si trova a Palermo e probabilmente nelle mani di avvocati.
IV .
La Mafia è il fenomeno più noto ma non è l ’unico nel suo genere. Quanti altri ce ne siano di paragonabili ad essa non lo sappiamo, per il semplice motivo che argomenti del genere hanno attratto raramente l ’attenzione degli studiosi e sporadicamente quella dei giornalisti. (I giornali locali sono spesso contrari a pubblicare notizie che potrebbero pregiudicare il «buon nome» della regione, proprio come nelle stazioni balneari sono contrari a pubblicare troppe notizie di nubifragi). Per quanto la cosiddetta Onorata Società ( ’Ndranghita, Fibbia) sia da tempo nota a tutti nella Calabria meridionale e la stessa polizia l ’abbia certamente notata fin dal 1928-29, noi dobbiamo la sua conoscenza a una serie di eventi fortuiti verificatisi nel 19 53-55 . In quegli anni il numero degli omicidi nella provincia di Reggio Calabria si raddoppiò. E , dato che le attività della Fibbia avevano addentellati politici sul piano nazionale - l ’automobile di un ministro fu attaccata dai banditi, per errore secondo alcuni, e i vari partiti si accusarono a vicenda di servirsi dei fuorilegge locali - il comportamento della polizia durante l ’agosto e il settembre del T055 venne illustrato con insolita ampiezza
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dalla stampa nazionale. Cosi un dissidio interno all’associazione, in cui fu coinvolta la polizia, fece si che molti segreti venissero resi di pubblico dominio . Da tali contingenze dipendono le nostre cognizioni sulle mafie non siciliane.
L ’Onorata Società pare si sia sviluppata in epoca pressappoco contemporanea e sullo stesso modello dei carbonari2; infatti si dice ancora che la sua struttura e il suo rituale siano di tipo massonico. A differenza però dai carbonari, che erano un’associazione di borghesi con finalità di opposizione ai Borboni, l ’Onorata Società «si affermò piuttosto come associazione di mutuo soccorso fra persone che volevano difendersi d^l potere feudale, statale o poliziesco e da private riaffermazioni di potere». A somiglianza della Mafia, anch’essa subi una certa evoluzione storica. Sembra però che, a differenza della Mafia siciliana, la Società abbia conservato, molto più spiccatamente della Mafia, il proprio carattere d ’organizzazione popolare di autodifesa e di difesa del «sistema di vita calabrese». Questa, almeno, è l ’opinione dei comunisti, che, sotto tale riguardo, appaiono degni di fede, data la loro grande avversità ad organizzazioni di quel genere. L ’Onorata Società è cosi rimasta almeno sotto uno dei suoi vari aspetti «un ’associazione primitiva, nonché prepolitica, composta da contadini, pastori, piccoli artigiani, operai non specializzati, i quali, in un ambiente chiuso e arretrato come quello di determinati villaggi calabresi - special
1 c. g u a r in o , Dai Mafiosi ai Cam orristi, in «Nord e Sud», 13 , 195^, pp. 76-107. sostiene che a far scattare la trappola sia stato un membro della società, tal Serafino Castagna, uomo piuttosto inviso, il quale, dopo aver commesso di sua personale iniziativa diversi omicidi particolarmente efferati, richiese l ’aiuto della società per salvarsi. Avendone ricevuto un rifiuto, Castagna, vistosi perduto, scese a patti con la polizia. Nonostante la sua testimonianza fu però condannato ugualmente. Cfr. anche G. c e Rv i g n i , Antologia della F ibbia , ivi, 18 , 19 5 6 .
2 La mia tesi si fonda su g u a r in o , Dai Mafiosi ai Camorristi cit.; c e r - v i g n i , Antologia della F ibbia cit.; a . f i u m a n o e r . v i l l a r i , Politica e Malavita, in «Cronache m eridionali», 11, 10 , 19.5 5 > PP- 6 5 3 sgg., ma soprattutto sui servizi giornalistici del settembre 1955 e specialmente sugli eccellenti articoli di R. Longone su « l ’Unità» tra i quali ha particolare valore Leggenda e realtà della «mafia calabrese», del 10 settembre 19,5.5. Per un breve dibattito pubblicato dopo l ’uscita dell’edizione inglese dei volume, cfr. La C.'ifohrc, a cura di Jean M eyriat, Paris i960, pp. s t v t ? -
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mente di montagna - , si batte no per ottenere quella considerazione, quel rispetto e caella dignità, altrimenti irraggiungibile da parte di nullatenenti e miserabili» (Longone). Cosi Nicola d ’Agostino di Canolo, che poi diventò sindaco comunista del suo paese, viene descritto come un uomo che in gioventù, come si dice da queste parti, «si faceva rispettare». Naturalmente, egli era allora membro autorevole della Società. (Come tanti altri contadini comunisti, egli fu «convertito» in carcere). Come abbiamo già visto, la Società riteneva doveroso aiutare non soltanto i propri membri ma anche tutti coloro che, secondo il costume locale, erano ingiustamente perseguitati dallo Stato, come ad esempio gli omicidi per vendetta di sangue.
Naturalmente essa aveva anche la tendenza a costituire, come la Mafia, un sistema parallelo di legalità, capace di far recuperare i beni rubati o di risolvere altri problemi in maniera molto più efficiente dell’apparato estraneo dello Stato. E , sempre al pari della Mafia e per motivi analoghi, l ’Onorata Società tendeva a trasformarsi in un sistema di estorsione organizzata e di nuclei locali di potere, che potevano venire assoldati da parte di chiunque ambisse, per i propri fini personali, raggiungere una influenza locale. L ’opposizione politica cita casi di capi locali nei cui confronti vennero sospese le misure di polizia per il periodo elettorale perché potessero usare la loro influenza nella giusta direzione. Sono note le associazioni di tipo mafioso che mettono la loro influenza a servizio del miglior offerente - e cioè prevalentemente al servizio degli interessi degli agrari ed affaristi del luogo e dei partiti governativi. Nella piana di Gioia Tauro, vecchio feudo di agrari (che i turisti attraversano in treno, recandosi in Sicilia), pare che funzionari e autorità locali ricorressero ampiamente agli squadristi - squadre armate fornite dalla Società - dal 1949-50 in poi, il che non deve meravigliare, dato che quell’annata registrò la punta massima delle agitazioni delle masse in Calabria per la riforma agraria. Sembra quindi che la Società abbia potuto impadronirsi in larga misura delle leve locali tra datori di lavoro e lavoratori, il che costituisce una evoluzione di
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genere tipicamente m afioso1. Tale orientamento della Società non ha però carattere necessariamente generale, dato che, nonostante le apparenti caratteristiche strutturali di tipo gerarchico, sembra che ogni loggia locale della Società conservasse larga autonomia di azione e qualcuna tendesse addirittura a stringere alleanze con le sinistre.
La situazione viene ulteriormente complicata da rivalità private in seno alle logge e fra loggia e loggia, da vendette di sangue e da altre complicazioni tipiche dell’ambiente calabrese. Fra gli emigrati in Liguria o in Australia, la situazione della Società è ancora più oscura e talora si colora di sangue J. Tuttavia è certo che un processo di evoluzione dello stesso tipo della Mafia siciliana moderna, nella Società non si è verificato se non in misura limitata.
Di conseguenza anche la Società è andata gradualmente sparendo in molte zone con raffermarsi di moderni movimenti di sinistra. Non vi è stata una generale sua trasformazione in forza di conservazione politica. A Gerace pare si sia praticamente dissolta; a Canolo - grazie all’influenza esercitata dal d ’Agostino dopo la sua conversione - è diventata un mero orpello e l ’appartenenza ad essa è quasi oggetto di ridicolo; nei paesi a tendenza di sinistra dove essa è riuscita a sopravvivere, non è - o cosi si dice - che una forma alquanto sonnacchiosa di massoneria locale. Ma - ed è questo il punto essenziale - in nessun luogo la Società, a quel che ne sappiamo, si è collettivamente trasformata in organizzazione di sinistra, mentre, in alcune zone, ò diventata un gruppo di pressione di destra.
Ciò è perfettamente naturale. Come abbiamo visto, nel processo evolutivo della Mafia domina una tendenza nettamente opposta al movimento sociale, indirizzata, nell’i
1 fium ano-vi li .a r 1, Politica e Malavita cit., pp. 657-58.2 Per un'indagine parallela dei due tradizionali fenomeni calabresi, il
ratto della sposa (cfr. cap. 1) c l ’Onorata Società, cfr. « L a Nuova Stampa» del 17 novembre 1956. L ’episodio avvenne a JSordighera. Quanto alla Società in Australia - fenomeno che i sociologhi australiani potrebbero utilmente approfondire - cfr. il caso di Rocco Calabro, capo della Fibbia a Sinopoli ed emigrato da tre anni a Sydney, che fu ucciso nel 1955 nel suo paese di origine pare a seguito di un dissidio con la Società verificatosi a Sydney («Paese Sera» del 7 settembre 1955 e « I l Messaggero» del 6 k ! >^). 11 20To dei sinopolitani sono emigrati in Australia.
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potesi più benevola, verso il gruppo di pressione politica e, nell'ipotesi peggiore, verso il sistema criminale di estorsione organizzata.' Numerose e profonde sono le ragioni per cui non è possibile costruire un movimento nazionale0 sociale sulle fondamenta della Mafia tradizionale, se non a patto di una sua profonda trasformazione dall’interno.
Una prima ragione va ricercata nel fatto che la Mafia tende a rispecchiare la ripartizione non ufficiale del potere in una società oppressa: nobili e ricchi ne sono i padroni soltanto perché essi detengono il potere effettivo nella zona. Perciò, appena si verificano gravi fratture fra1 detentori del potere e le masse - ad esempio con le agitazioni agrarie - è difficile che i movimenti nuovi possano inserirsi negli schemi della Mafia. D ’altra parte, quando l'organizzazione contadina socialista o comunista conquista una quota sufficiente del potere locale, non ha più bisogno di molto aiuto da parte di organizzazioni di tipo mafioso.
La seconda ragione consiste nel fatto che gli obiettivi sociali dei movimenti di Mafia, al pari di quelli del banditismo, sono quasi sempre limitati, eccetto forse per quel che concerne l ’aspirazione all'indipendenza nazionale. Ma anche sotto tale riguardo quei movimenti hanno più una funzione di implicita congiura a difesa della «antica maniera di vivere» contro la minaccia di leggi estranee, che la funzione di strumenti di effettiva indipendenza per l'affrancazione dal giogo straniero. Nelle rivolte siciliane del x ix secolo l ’iniziativa venne dai liberali della città e non dalla Mafia, i mafiosi si limitarono ad aggregarsi. In effetti la mafia, appunto in quanto fenomeno organizzativo antecedente all’avvento nelle masse di un minimo di coscienza politica e in dipendenza proprio dei suoi obiettivi limitati e di natura difensiva, ha tendenza a caratterizzarsi in senso riformista (per usare un termine anacronistico) piuttosto che rivoluzionario. Si accontenta della regolamentazione dei rapporti sociali esistenti e non aspira a una radicale loro trasformazione. Pertanto il sorgere di movimenti rivoluzionari determina l ’indebolimento della Mafia.
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L ’ultima ragione deve vedersi nel fatto che essa tende alla stabilità sociale poiché, nella propria incoerenza organizzativa ed ideologica, è di solito incapace di esprimere un apparato di forza fisica che non sia allo stesso tempo uno strumento di criminalità e di privato arricchimento. In altre parole tende inevitabilmente ad agire a mezzo di gangster, perché incapace ad esprimere dei rivoluzionari professionali. I gangster però accampano una ipoteca sulla proprietà privata, come i pirati sul libero commercio, di cui sono parassiti.
Per tutte queste ragioni un movimento di tipo malioso ha possibilità minime di trasformarsi in un movimento sociale moderno, se non attraverso la conversione individuale dei singoli mafiosi. Ciò però non significa che movimenti essenzialmente rivoluzionari operanti in determinate condizioni storiche non possano esprimere un buon numero di regole di condotta e di istituzioni che richiamino quelle della Mafia.
A ppunti sulla camorra
L ’opportunità di questa breve nota discende dal fatto che spesso mafia e camorra vengono, come « associazioni criminali», considerate sullo stesso piano. Non credo che la camorra possa considerarsi in nessun senso della parola, un movimento sociale, anche se essa — come tutte le forze capaci di spezzare le leggi degli oppressori, qualunque ne siano gli scopi - godette di una parte dell’ammirazione che i poveri hanno per i briganti e fu circondata di miti e celebrata nei canti popolari come «una specie di selvaggia giustizia contro gli oppressori» (Alongi, La Camorra cit., p. 27).
A meno che la generalità degli studiosi sia incorsa in equivoco, la camorra fu (e, nella misura in cui tuttora sussiste, probabilmente ancora è) un’associazione o confraternita criminale di un tipo particolare non ignoto agli
1 Questa nota si fonda principalmente su a l o n g i, La Camorra cit,, opera non molto pregevole ma completa di riferimenti alla letteratura precedente.
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storici; simile forse alla feccia di Basilea, che aveva costituito un proprio tribunale fuori della città sul Kohlenberg o alia Cofradia del Monopodio, di cui parla Cervantes in una delle sue Novelas Ejem plares. Essa non rappresentava alcun interesse di classe o nazionale e neppure un coacervo di interessi di classe, ma soltanto l ’interesse professionale di una élite di criminali. Le sue cerimonie ed i suoi rituali erano propri di una organizzazione destinata ad evidenziare il distacco del milieu dalla massa dei cittadini comuni; ne è esempio l ’obbligo per aspiranti e novizi di consumare un determinato numero di delitti comuni, per quanto le attività usuali della camorra si limitassero all estorsione. Il suo standard di «m oralità» (il concetto richiama i criteri di ammissione nelle normali corporazioni di arti e mestieri) esigeva che gli aspiranti appartenessero al mondo criminale; costoro dovevano possedere forza e coraggio, non avere sorelle o mogli dedite alla prostituzione, non essere rei di pederastia passiva (presumibilmente in quanto forma di prostituzione maschile), e non avere avuto mai rapporti di sorta colla polizia (Alongi, La Camorra cit., p. 39). Essa ebbe origine, quasi certamente, nelle carceri che di norma e in ogni paese creano fra i prigionieri le camorre - raramente però costituite in forme cosi arcaiche.
Non si sa con certezza quando il fenomeno sia comparso al di fuori delle mura delle carceri. La versione pili attendibile indica un periodo tra il 179 0 ed il 18 3 0 , a seguito, forse, delle varie rivoluzioni e reazioni napoletane. Una volta fuori dal chiuso delle carceri, il suo potere e la sua influenza crebbero rapidamente, in gran parte grazie alla protezione dei Borboni, i quali - dopo il 1799- vedevano nel Lum penproletariat di Napoli, e in tutto ciò che ad esso apparteneva, gli alleati più sicuri contro il liberalismo. Quando la camorra arrivò a controllare v irtualmente ogni settore della vita dei poveri a Napoli (per quanto essa traesse forse la maggior parte dei propri profitti dai vari rackets del gioco), divenne elemento sempre più indispensabile per l ’amministrazione locale e conse-
1 a v f - i .a l l e m a n t , Das deutschc Gaunerthum , I , 18.58, p. 48 nota.
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ìuentemente accrebbe sempre più il suo potere. Sotto Ferdinando I I funzionava praticamente come polizia secreta di Stato contro i liberali. Sotto Francesco I I venne ì patti con i liberali, speculando però, sotto mano, sulla minaccia di denunziarne qualcuno, a proprio libito. La camorra raggiunse la punta massima del proprio potere durante la rivoluzione del i8 6 0 , quando i liberali le affidarono in effetti la tutela dell’ordine pubblico a Napoli; compito da essa svolto con grande efficienza e zelo, dal momento che comportava come risultato principale l ’eliminazione della criminalità indipendente e distinta dalla organizzazione camorrista. Nel 1862 il nuovo governo intraprese una serie di vigorose campagne contro di essa. Per quanto però fosse riuscito a sopprimere le attività manifeste dell’associazione, non riusci a eliminare la camorra, che pare sia sopravvissuta - e forse si sia rafforzata - mediante il consueto sistema di «darsi alla politica», cioè di pattuire con i vari partiti politici il prezzo del proprio appoggio (Alongi, La Camorra cit., p. 32).
Non vi è prova alcuna che la camorra avesse un orientamento politico di carattere generale al di là della cura dei propri interessi particolari, per quanto sia dato presumere una certa propensione da parte sua, come di ogni delinquenza professionale, verso il sistema della proprietà privata. A differenza della Mafia, una organizzazione quale la camorra vive completamente al di fuori del mondo legittimo e viene quindi solo in maniera occasionale a contatto con la politica e i movimenti di quel mondo.
A l di fuori delle carceri il fenomeno pare sia stato circoscritto alla città di Napoli, per quanto si dice che, dopo il 1860 , la camorra, o associazioni similari, si siano diffuse in altre province meridionali, quali Caserta, Salerno e Bari (ibid., p. i n ) , forse in dipendenza del miglioramento delle comunicazioni. Data la sua concentrazione in un’unica città, fu per essa più facile organizzarsi su basi piuttosto salde, centralizzate e gerarchiche. In ciò, come abbiamo visto, essa si differenziava dalle varie mafie, a base più decentrata.
La sua storia recente è oscura T a camorra come tale sembra sia scomparsa e in ogi. j questa espressione
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non è più usata se non per alludere genericamente a qualche associazione segreta a delinquere, confraternita o sistema di estorsione organizzata. Qualcosa di simile alla camorra è però riapparsa nel Napoletano; tuttavia i suoi membri pare siano noti non come «camorristi» ma come «m agliari». Traffica prevalentemente in tabacco, benzina- con specializzazione in falsi buoni di prelevamento di benzina dai depositi della Nato - «esenzioni» di vario genere, ma specialmente opera sui mercati della frutta e verdura, che pare siano in gran parte sotto il controllo dei trafficanti organizzati. Le bande - non si sa se di tipo camorrista o di altro genere - sono potenti anche in altre zone, ad esempio nella regione di Nola e nel territorio dei senza legge del Salernitano, tra Nocera Inferiore, Angri e Scafati, che pare siano sotto il controllo di certo Vittorio Nappi («o studente»)1.
In conclusione, se la camorra costituisce argomento di vivo interesse per i sociologi e gli antropologi, rientra nello studio dei movimenti sociali «legittim i», in contrapposizione cioè ai movimenti di «lestofanti», solo in quanto a Napoli i poveri tendono a idealizzare i gangster in un modo che richiama vagamente il banditismo sociale. Non vi è prova alcuna che camorristi o magliari abbiano mai meritato qualsiasi forma di idealizzazione.
1 g u a r in o , Dai Mafiosi ai Camorristi cit.
Capitolo quarto
Il millenarismo I : Lazzaretti
Di tutti i movimenti sociali esaminati in questo libro, il millenarismo è quello meno inquinato di primitivismo. Infatti l ’unico suo carattere veramente primitivo è esterno ad esso. L ’essenza del millenarismo, la speranza di un cambiamento completo e radicale del mondo che si ripercuoterà nel millennio, un mondo purificato di tutti i suoi difetti, non conosce le limitazioni del primitivismo. È presente, quasi per definizione, in tutti i movimenti rivoluzionari di qualsiasi tipo; lo studioso quindi potrà trovare elementi «millenaristici» nelle idealità di ciascuno di essi. Ciò non significa che tutti i movimenti rivoluzionari siano millenaristici in senso stretto e tanto meno che siano primitivi, il che toglie al libro del professor Norman Cohn parte del suo valore È infatti impossibile comprendere appieno la storia delle rivoluzioni moderne se non si è in grado di valutare le differenze fra movimenti rivoluzionari primitivi e moderni, nonostante la comunanza dell’ideale di un mondo completamente nuovo.
Il tipico movimento millenaristico di vecchio modello ha in Europa tre caratteristiche principali. Primo, un profondo e totale rifiuto del perverso mondo attuale e un’ansia ardente di un mondo diverso e migliore; in una parola, rivoluzionarismo. Secondo, una «ideologia» del tutto standardizzata di genere chiliastico, quale descritta ed
1 T he search for the M illennium , 1957. Questo studio erudito di molti movimenti millenaristici medievali è viziato, a mio parere, dalla tendenza a interpretare fenomeni medievali in termini di movimenti rivoluzionari moderni e viceversa, procedimento, questo, che non agevola la comprensione né degli ussiti n é del c o m u n iS m o moderno.
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analizzata dal professor Cohn. Anteriormente all’avvento del moderno rivoluzionarismo laico, l ’ideologia più importante di questo genere è il messianesimo giudaico-cri- stiano. In ogni caso i classici movimenti millenaristici, benché non limitati a regioni d ’influenza ebraico-cristiana, v i sono senza dubbio incoraggiati; infatti una religione la quale sostenga che il mondo cosi com e potrebbe un giorno finire, anzi certamente finirà, per essere poi compieta- mente rifatto, è naturalmente millenaristica, cosi come di sicuro le altre non lo sono. Tuttavia non ne consegue necessariamente che i movimenti millenaristici, anche se chiaramente influenzati dalla tradizione ebraico-cristiana, siano chiliastici in senso strettamente ebraico o cristiano '. Terzo, i movimenti millenaristici hanno in comune una iondamentale incertezza sul modo in cui effettivamente si realizzerà la nuova società.
È difficile precisare meglio quest’ultimo punto, perché ia gamma di tali movimenti va da atteggiamenti di mera passività fino all’adozione di sistemi che rasentano i metodi rivoluzionari moderni - e in effetti, come vedremo, vengono assorbiti nei movimenti rivoluzionari moderni. Tuttavia la questione può forse venire chiarita nel modo seguente. I movimenti rivoluzionari moderni hanno - in modo implicito ed esplicito - idee determinate e assolutamente precise sulla maniera in cui la vecchia società debba venire sostituita dalla nuova, la più importante delle quali riguarda ciò che possiamo chiamare il « trasferimento di potere». La vecchia classe dominante deve venire scalzata dalle sue posizioni. Il popolo (o la classe o gruppo rivoluzionario) deve intraprendere e realizzare de
1 D i recente la letteratura sul millenarismo e il messianesimo si è moltiplicata, benché per lo più tratti del fenomeno nei paesi coloniali extra- europei. Tra i contributi più importanti vi sono: «Archives de Sociologie <ies Religions», 5 , 19.58; v. l a n t e r n a r i , M ovim enti religiosi d i libertà e d i salvezza dei popoli oppressi, Milano i9 6 0 ; w . e . m u e h l m a n n , Chiltasmus und Nativtsmus, Berlin 1 9 6 1 ; M illennial Dreams in Action, in «Comparative Studies in Society and H istory», Suppl. I I , Den Haag 1 9 6 2 ; e la tesi del professor M 1. p. de q u e i h o s , M ovimcntos messianicos: tentativa de classificagào sociologica, Sao Paulo 1 9 6 2 , finora inedita Tutte le opere sopra citate furono pubblicate dopo l'uscita del mio volume ir» inglese. L ’ultima contiene pregevoli critiche alle mie argomentazioni nel presente capitolo e nel seguente.
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terminate misure, la ridistribuzione delle terre, la nazionalizzazione dei mezzi di produzione e quant’altro sia. A tal fine è decisivo lo sforzo organizzato dei rivoluzionari, e vengono sviluppate teorie organizzative, strategiche, tattiche, ecc., talora molto elaborate, per agevolarli nel loro compito. Il genere di imprese compiute dai rivoluzionari consiste, diciamo, nell'organizzare dimostrazioni di massa, erigere barricate, marciare sui municipi, innalzare il tricolore, proclamare la Repubblica una e indivisibile, nominare governi provvisori, lanciare proclami per un’assemblea costituente. (Questa, grosso modo, è la lezione che molti di loro hanno imparato dalla Rivoluzione francese. Naturalmente questa non è l'unica procedura possibile). Ma un movimento millenaristico «puro» opera in modo del tutto diverso, in relazione sia alla inesperienza dei suoi membri o alla limitatezza dei loro orizzonti, sia all’influenza delle ideologie e dei pregiudizi millenaristici.I suoi seguaci non sono artefici di rivoluzioni. Aspettano che la rivoluzione si faccia da sé, per rivelazione divina, per annunzio dall’alto, per miracolo - aspettano che avvenga in un modo o nell'altro. Compito degli uomini prima che avvenga questo mutamento è riunirsi, prepararsi, osservare i segni del destino che matura, ascoltare i profeti che predicono l ’avvento del grande giorno e forse ricorrere a determinate iniziative rituali per l ’ora della decisione e del mutamento, o purificarsi, spogliandosi delle scorie del basso mondo attuale per potere entrare nel nuovo mondo in splendente purezza. Fra i due estremi dei millenarista «puro» e del rivoluzionario politico «puro» trova posto ogni genere di posizioni intermedie. E in effetti su tali posizioni intermedie si trovano i movimenti millenaristici esaminati in questo libro: i lazzarettisti più vicini a uno degli estremi, gli anarchici spagnoli teoricamente molto più vicini all'altro estremo.
Quando un movimento millenaristico si trasforma in movimento rivoluzionario moderno (o ne è assorbito), conserva la prima delle caratteristiche che abbiamo più sopra esposto. Di solito perde invece la seconda, almeno fino a un certo punto, sostituendovi una teoria moderna- cioè laica in genere - della storia e della rivoluzione:
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nazionalista, socialista, comunista, anarchica o di altro tipo. Infine innesta sulle fondamenta del suo spirito rivoluzionario una soprastruttura di politica rivoluzionaria moderna: un programma, una dottrina relativa al trasferimento di potere e soprattutto un sistema di organizzazione. Non sempre ciò è facile, ma i movimenti millenaristici si differenziano dagli altri movimenti trattati in questo libro per il fatto che non presentano fondamentali ostacoli strutturali alla modernizzazione. In ogni caso, come vedremo, la loro integrazione nei movimenti moderni rivoluzionari, o anche riformisti, ha avuto esito positivo. L ’interesse che presentano per lo storico del x ix o x x secolo si appunta sul processo attraverso cui tale integrazione si attua ovvero sulle ragioni per cui talora l ’integrazione stessa non si verifica. L ’argomento verrà trattato in questo capitolo e nei due seguenti.
Non è sempre facile identificare l ’essenza logico-politi- ca dei movimenti millenaristici, poiché l ’assoluta loro spontaneità e la mancanza di una efficiente strategia o tattica rivoluzionaria fa sì che la logica della loro posizione rivoluzionaria venga esasperata fino all’assurdità o al paradosso. Essi sono illogici ed utopistici. Dato che raggiungono il loro massimo sviluppo in periodi di straordinario fermento sociale e tendono ad esprimersi con il linguaggio di una religione apocalittica, il comportamento dei loro membri spesso contrasta con gli schemi normali. È facile quindi che costoro siano degli incompresi, come W illiam Blake, che fino a poco tempo fa era comunemente considerato non un rivoluzionario ma soltanto un eccentrico, mistico e visionario '. Per esprimere la propria critica radicale nei confronti del mondo attuale, essi potranno, come gli anarchici millenaristici spagnoli, rifiutare di sposarsi fino all’avvento del mondo nuovo; per dimostrare il proprio disprezzo per i semplici palliativi e le riforme marginali, essi potranno (sempre come gli scioperanti andalusi al principio del x x secolo) rifiutarsi di chiedere paghe migliori e altri benefici, anche se sollecitati a farlo dal
1 II primo assertore della tesi moderna è stato j. b r o n o w s k i, W illiam Blake, a Man without a Mask, London 1944.
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le autorità. Per esprimere la propria convinzione che il nuovo mondo debba essere fondamentalmente diverso dal vecchio, essi potranno, come i contadini siciliani, creder che in qualche modo perfino il clima potrà trasformarsi. Il loro comportamento potrà essere estatico ad un punto tale che gli osservatori ne parleranno in termini di isterismo di massa. D ’altra parte il loro programma effettivo potrà essere tanto vago da far sorgere negli osservatori il dubbio se ve ne sia uno. Chi non riesce a comprendere quale sia la forza che li anima - ma anche qualcuno che riesce a rendersene conto - potrà essere tentato di interpretare il loro comportamento in termini di assoluta irrazionalità o di patologia o, nel migliore dei casi, in termini di reazione istintiva a condizioni di vita intollerabili.
Pur senza esaltarne o diminuirne l ’importanza, riteniamo che la logica e anche il realismo - se può usarsi una tale espressione - dei movimenti millenaristici debbano imporsi alla considerazione dello storico, poiché altrimentii loro aspetti rivoluzionari riescono di difficile comprensione. A l riguardo viene a determinarsi una situazione caratteristica, nel senso che chi non veda in essi motivo d ’interesse non è in grado di farne una analisi approfondita, mentre chi ne valuti l ’importanza (specialmente se si tratta di movimenti sociali primitivi) spesso è incapace di esprimersi in termini comprensibili ai più. In modo particolare riesce difficile (ma è necessaria) la comprensione di un utopismo o «impossibilismo» - comune a tutti i rivoluzionari, primitivi o meno, eccettuati soltanto quelli più evoluti — che produce anche nei più moderni un senso di pena quasi fisica quando ci si convinca che l ’avvento del socialismo non eliminerà tutti i dolori e le tristezze, gli amori infelici o i lutti, né risolverà o avvierà a soluzione tutti i problemi; sensazione, questa, che si riflette nella vasta letteratura delle disillusioni rivoluzionarie.
Primo, l ’utopismo probabilmente è un espediente sociale necessario per provocare quegli sforzi sovrumani, senza i quali non può realizzarsi nessuna grande rivoluzione. Dal punto di vista storico le trasformazioni prodotte dalle Rivoluzioni francese e russa appaiono straordinarie, ma avrebbero mai i giacobini intrapreso la loro opera sol
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tanto per trasformare la Francia dell’abate Prévost nella Francia di Balzac e i bolscevicbi per cambiare la Russia di Cechov in quella di Chruscèv? Probabilmente no. Per essi era essenziale credere che « la parola definitiva dell’umana prosperità e dell’umana libertà verrà pronunziata dopo il loro esito vittorioso» In essi ovviamente non ci sarà questa convinzione, anche se il risultato della rivoluzione sarà ugualmente positivo.
Sotto un secondo aspetto l ’utopismo può diventare un espediente sociale. Infatti m ovim enti sociali e rivoluzionari costituiscono la prova che al mondo non esiste quasi nulla che non possa venire da essi mutato. Se ai rivoluzionari occorresse una prova che «la natura umana può essere mutata» - che cioè non esiste nessun problema sociale insolubile - basterebbe osservare i mutamenti che nella natura umana si verificano nell’ambito di certi movimenti sociali e in certi momenti:
un altro uomo io avevo sognato un cialtrone ubriaco e vanaglorioso eppure lo evoco nel canto; lui pure ha rinunciato alla sua parte nella commedia occasionale; lui pure, a sua volta, è stato cambiato, trasformato nell’intimo: è nata una terribile bellezza.
È questa consapevolezza di un mutamento radicale, non come aspirazione ma come fatto reale - almeno temporaneo - che ispira il poema di Yeats sulla insurrezione irlandese del 19 16 e risuona, come una campana, alla fine di questi versi: tutto è mutato, profondamente mutato. Una bellezza terribile è nata. Libertà, uguaglianza e soprattutto fraternità diventano realtà in quelle fasi delle grandi rivoluzioni sociali descritte dai rivoluzionari che le vivono in termini normalmente riservati all’amore romantico; «vivere in quell’alba era felicità, ma essere giovani era proprio il paradiso». I rivoluzionari non soltanto s ’im
1 m . g i l a s , ha nuova classe, Bologna 1 9 5 7 , p. 4 0 , tratta questo punto in maniera interessante. Questo libro di un rivoluzionario disilluso è importante per la luce che proietta sulla psicologia rivoluzionaria (e su quella dello stesso autore) e per pochissime altre cose.
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pongono un livello di moralità più elevato di quello degli altri uomini, eccetto i santi, ma, in quei particolari momenti, lo pongono effettivamente in pratica, anche se ciò comporta notevoli difficoltà tecniche, come nei rapporti fra i sessi . In quei momenti la loro è una versione in miniatura della società ideale, in cui tutti gli uomini sono fratelli e sacrificano tutto al bene comune senza abbandonare la propria individualità. Se questo è possibile all'interno del loro movimento, perché non potrebbe esserlo dovunque?
Per le masse estranee all’élite rivoluzionaria, il semplice fatto di diventare rivoluzionari e di riconoscere il «potere del popolo» sembra talmente miracoloso che ogni altra cosa appare ugualmente possibile. Uno studioso dei fasci siciliani ha giustamente posto in evidenza questa considerazione logica: se un grande movimento di masse potesse spuntare d ’improvviso dalla terra, se migliaia di uomini potessero venire scossi dal letargo e dall’apatia secolare con un solo discorso, come potrebbero gli uomini dubitare dell’imminente verificarsi di eventi grandiosi e sconvolgenti? G li uomini erano stati profondamente cambiati e si erano visibilmente trasformati. Tra essi lavoravano uomini eletti, che nella vita avevano seguito i dettami di una società giusta - povertà, fraternità, sanità o qualsiasi altra cosa - : anche gli scettici potevano vederli; e questo era un’ulteriore prova della forza concreta dell ’ideale. Vedremo l ’importanza politica di questi apostoli rivoluzionari tra gli anarchici dei villaggi andalusi, ma qualsiasi osservatore dei movimenti rivoluzionari moderni ben ne conosce l ’importanza in seno a. ciascun movimento e la pressione da essi esercitata sull’élite rivoluzionaria, perché si adegui a un ruolo di moralità esemplare: non già guadagni più alti o vita migliore, ma lavoro più duro, «purezza», sacrificio della felicità privata (quale
1 g i l a s , La nuova classe cit., p. 169: «Fra gli uomini e dom e dej movimento esiste un rapporto chiaro, modesto e cordiale, in cui la premura cameratesca è diventata passione al di fuori dei sensi» ecc. G i ’as, senza dubbio riferendosi al periodo della guerra partigiana, sottolinea l'irp o r- ranza del momento storico («alla vigilia della battaglia decisiva per i potere», quando «è difficile separare le parole dagli atti») però osservi- anche, acutamente, che questa «è la morale di una setta».
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viene intesa dalla vecchia società) al bene pubblico. E quando avranno fatto la loro ricomparsa le vecchie e usuali regole di condotta - ad esempio, dopo il trionfo di un regime rivoluzionario - gli uomini non ne trarranno la conclusione che i mutamenti, cosi ansiosamente attesi, siano irrealizzabili per lunghi periodi o all’infuori della ristretta cerchia di esseri straordinariamente devoti all’idea; concluderanno invece che c ’è stata «ricaduta nell’errore» o «tradim ento». Essi infatti hanno avuto la prova pratica della possibilità, della realtà di rapporti ideali tra esseri umani: quale argomento più convincente di questo?
I problemi che si pongono ai movimenti millenaristici sono, o sembrano, semplici nei momenti inebrianti di ascesa e di progresso, mentre presentano corrispondenti difficoltà nei periodi successivi alle rivoluzioni o alle insurrezioni.
Poiché nessuno dei movimenti trattati in questo libro si è mai trovato finora dalla parte del vincente, non è problema che ci riguardi quello di sapere cosa succeda quando quei movimenti scoprono che la loro vittoria non vale a risolvere effettivamente tutti i problemi umani. Ci riguarda invece la loro sconfitta perché essa li pone di fronte al problema di conservare il rivoluzionarismo come forza permanente. G li unici movimenti millenaristici che eludono questo problema sono quelli assolutamente suicidi, poiché per essi la morte di tutti i loro membri rende il problema stesso meramente accademico . Di solito dalla sconfitta deriva un complesso di dottrine a spiegazione del mancato avvento del millennio e del perché il vecchio mondo può continuare ancora per un po’ : non erano stati interpretati nel modo giusto i segni del nuovo destino oppure era stato commesso qualche altro errore. (Fra i testi-
1 II più noto, ma non l ’unico, del genere fu il movimento di Antonio il Consigliere nelle foreste del Brasile nel 18 9 6 -9 7 , che forni materia al capolavoro letterario di e u c l y d e s da c u n h a , Os Sertòes. La città ribelle di Canudos, combattè letteralmente fino all’ultimo uomo. Quando fu catturata, non era rimasto in vita un solo difensore. I l professor M. I. P . de Queiros di SaÓ Paulo tuttavia mi informa che Da Cunha ha esagerato le tendenze suicide di quel movimento. Esso esistette in forma pacifica per un lungo periodo, e sarebbe probabilmente continuato se non si fossero frapposte le difficoltà della politica locale e nazionale.
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moni di Geova è sorta una vasta letteratura esegetica per spiegare come la mancata fine del mondo alla data origi- r.-iriamente prevista non invalidi la profezia). Riconoscere che il vecchio mondo continuerà vale riconoscere che bisogna viverci. Ma come?
Alcuni millenaristi, come del resto alcuni rivoluzionari. in effetti rinunciano tacitamente al loro rivoluzionariimo e accettano de facto lo status quo, tanto più se lo status quo diventa più sopportabile per il popolo. Qualcuno r'uò anche diventare riformista o forse, passata l ’ebbrezza del periodo rivoluzionario, scoprire che le sue effettive aspirazioni non esigono affatto una trasformazione cosi radicale quale egli aveva immaginato. Oppure - ed è più rrobabile - essi possono rifugiarsi in una vita intensa e segreta di movimento o di setta, incuranti dei traffici del restante mondo e solleciti soltanto per qualche rivendicazione essenziale delle speranze e forse del programma millenaristico: per esempio il pacifismo e il rifiuto di prestare giuramento. Altri però si comportano diversamente. Possono ritirarsi per aspettare la prossima crisi rivoluzionaria (per usare un’espressione non-millenaristica), che certamente porterà con sé la distruzione totale del vecchio mondo e l ’avvento del nuovo. Naturalmente ciò si verifica con grande facilità laddove i presupposti economici e sociali della rivoluzione hanno carattere endemico, come nell’Italia meridionale, dove ogni mutamento politico, indipendentemente dal settore di provenienza, provocava nel secolo x ix le rituali marce dei contadini con tamburi e stendardi per l ’occupazione delle terre ", oppure in Andalusia, dove, come vedremo, in un periodo di circa sessanta o settant’anni si verificarono ondate rivoluzionarie millenaristiche a intervalli di circa dieci anni. A ltri infine, come vedremo, conservano del vecchio fuoco quanto basta per inserirsi o per trasformarsi in movimenti rivoluzionari di genere non-millenaristico anche dopo lunghi periodi di apparente tranquillità.
In ciò, precisamente, consiste l'adattabilità del millena
1 Cfr. a. l a c a v a , La rivolta calabrese del 1S4S, in «Archivio storico Jc llc Provincie Napoletane», n. s., 1947-49, pp. 44,5 sgg., .544, 55-2.
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rismo. I movimenti riformisti primitivi si dissolvono con facilità in una società moderna, se non altro perché l ’obiettivo di assicurare una equa regolamentazione dei rapporti sociali all'interno delle strutture esistenti e la immediata attuazione di condizioni di vita tollerabili o confor- tevoli presenta problemi di complessa specializzazione tecnica, che possono essere molto meglio risolti da organizzazioni e movimenti adatti alle specifiche esigenze di società moderne: le organizzazioni cooperative di mercato rispondono meglio dei Robin Hood al compito di assicurare ai contadini eque remunerazioni. L ’obiettivo fondamentale dei movimenti social-rivoluzionari rimane però molto più fermo per quanto possano variare le condizioni concrete di lotta, come risulta dal confronto fra la critica che i grandi utopisti o gli scrittori rivoluzionari muovono alle società esistenti e i rimedi specifici o le riforme che propongono. I millenaristi (come vedremo nel capitolo sui fasci siciliani) possono facilmente mutare l ’abito primitivo di cui vestono le proprie aspirazioni con l ’abito moderno della politica socialista e comunista. Peraltro, come abbiamo visto, anche nei rivoluzionari moderni più lontani dal millenarismo esiste un’aliquota di «impossibilismo» che li apparenta ai taboriti e anabattisti, parentela del resto mai da loro smentita. L ’incontro tra millenarismo e modernità può quindi avvenire facilmente e, una volta avvenuto, il movimento primitivo può trasformarsi in movimento moderno.
Intendo esaminare tre diverse fasi del movimento millenaristico e il loro adattamento alla politica moderna: i Jazzarettisti della Toscana meridionale (dal 18 75 circa in poi), gli anarchici dei villaggi andalusi (dal 18 7 0 al 1936) e i movimenti contadini della Sicilia (dal 189 3 in poi). Nei secoli x ix e xx questi movimenti hanno avuto carattere prevalentemente agrario, per quanto non sia a priori impossibile una loro caratterizzazione urbana, quale ebbero talora in passato. ( I lavoratori delle città, in epoca attuale, hanno però acquisito forme più moderne di ideologia rivoluzionaria). Dei tre movimenti che ho scelto i lazzarettisti rappresentano un esemplare da laboratorio di una eresia medievale millenaristica, che sopravvive in
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_na zona arretrata dell’Italia contadina. G li altri due so- zo esempi della caratterizzazione millenaristica che assumono i movimenti sociali tra i contadini endemicamente rivoluzionari di zone molto povere e arretrate. L'interesse prevalente degli anarchici deriva dal fatto che essi ci mostrano un millenarismo completamente avulso dalle tradizionali forme religiose, anzi sotto un profilo di ateismo militante e di anticristianesimo. Essi costituiscono altresì la prova della debolezza politica di movimenti millenaristici trasformatisi in movimenti moderni imperfettamente (e cioè inefficientemente) rivoluzionari. I fasci siciliani, per quanto molto meno «m oderni» sotto certi aspetti (i loro membri infatti hanno abbandonato l ’ideologia tradizionale solo in minima parte), ci consentono, in maniera particolarmente evidente, di studiare il fenomeno dell’assorbimento del millenarismo in un movimento rivoluzionario moderno, il partito comunista.
Resta solo da osservare che la mia esposizione è appena abbozzata e sperimentale e che, per quanto ne sia stato molto tentato, ho evitato ogni paragone con i movimenti millenaristici extraeuropei, che di recente hanno richiamato l ’attenzione di qualche studioso molto valente1. I motivi per i quali ho resistito a questa tentazione sono stati brevemente esposti nell’introduzione.
I l Salvatore del M onte Amiata.
La singolare astrazione dei movimenti millenaristici ha spesso indotto gli osservatori a negare loro carattere non soltanto rivoluzionario ma anche sociale. Questo è proprio il caso di Davide Lazzaretti, il Messia del Monte A m iata2. Si assume, ad esempio da parte del Barzellotti
1 p e t e r WORSLEY. The Trum pet Shall Sound, London 1957 [trad. it. La tromba suonerà, Torino 19 6 1], uno studio di prim ’ordine sui cargo cults del Pacifico. [Cfr. l a n t e r n a r i , M ovim enti religiosi d i libertà e di salvezza dei popoli oppressi cit.].
2 II mio interesse per questo movimento fu suscitato dal professor Am brogio Donini, che ha intervistato i lazzarettisti tuttora esistenti e raccolto alcuni loro scritti inediti. Oltre alle notizie attinte da lui, mi sono rifatto alla completa monografia contemporanea di uno studioso locale, Barzellotti, e a varie altre opere. Alcuni studi minori sui lazzarettisti sono
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che i lazzarettisti rappresentarono un movimento puramente religioso. Questa tesi è. in ogni caso, avventata. L« comunità che espressero eresie millenaristiche non sonc di quelle in cui possa tracciarsi una netta distinzione tra cose religiose e laiche. Non ha senso discutere se una setta sia religiosa oppure sociale, poiché comunque essa sarà sempre ed inevitabilmente ambedue le cose. È anche evidente, però, che i lazzarettisti si appassionavano di politica. La loro bandiera recava lo slogan «L a Repubblica e il Regno di D io» oppure «La Repubblica è il Regno di D io», secondo le varie versioni, poiché l ’Italia era in quell ’epoca una monarchia. Marciando in corteo, essi cantavano - forse riecheggiando i canti della guerra italiana di liberazione del 1859-60:
Andiam per la fede La patria a salvare,Evviva la Repubblica,Iddio e la libertà l.
E lo stesso Messia così si rivolgeva al suo popolo, ricevendone risposta:
«Che cosa volete da me? Io porto la pace e la misericordia. Volete questa?» E d il popolo, sempre eguale, rispose a gran voce: «S ì, la pace e la misericordia».
«Siete contenti di non pagare più tasse?» Ed il popolo esultante accompagnò la sua affermazione col plauso più entusiasta.
«Siete contenti della Repubblica? » Ed il popolo, senza neppure comprendere il significato della parola, rispose un’altra volta: sì!
«M a non crediate che questa sia quella Repubblica del ’49; ma pensate ch’è la Repubblica di Cristo. Dunque gridate tutti con me: Evviva la Repubblica di D io» \
Non c ’è da sorprendersi se le autorità del regno d ’Italia,
usciti dopo che io avevo terminato il mio testo, ad esempio: J. SEGUY, D avide Lazzaretti et la s e d e apocalyptique des giurisdavidici, in «Archives de Sociologie des Religions», } , 1958.
1 e. la z z a r e s c h i , D avid Lazzaretti, il Messia d e ll’Amiata, Bergamo 1945, p 248.
2 Ib id ., p. 2 3 8 .
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estinto dalla Repubblica di Dio, consideravano i lazzaret- _ ir i come un movimento sovversivo.
Il Monte Amiata si trova all’estremità sudorientale del- li Toscana, ai confini con l ’Umbria e il Lazio. Il lazzaret- ^ m o era, ed è tuttora, ambientato parte in zona montagnosa, molto arretrata, di pastorizia e agricoltura - in misura minima anche mineraria - e parte nella pianura cornerà, la maremma, di pressoché pari arretratezza; pare però che la maggior parte delle forze lazzarettiste sia veduta dalle montagne. La zona era estremamente arretrata sia dal punto di vista economico che da quello culturale.I due terzi circa della popolazione di Arcidosso, il centro principale della regione, era composto da analfabeti, per essere precisi il 6 3% dei suoi 6491 abitanti G li abitanti erano contadini proprietari o mezzadri, scarseggiavano il bracciantato e l ’industria. Che gli amiatini fossero «terribilmente» poveri o soltanto «m olto» poveri può essere materia di discussione; quel che invece è certo è che l ’avvento dell’unità italiana cominciò a immettere questa zona estremamente arretrata nel circuito economico dello stato liberale italiano e a creare una notevole tensione ed irrequietezza sociale.
Il brusco ingresso del capitalismo moderno nella soderà contadina, di solito sotto l ’aspetto di riforme liberali o giacobine (introduzione di un libero mercato delle terre, laicizzazione delle proprietà ecclesiastiche, ripartizione delle terre comuni, leggi forestali ecc.) ha sempre prodotto in quella società l ’effetto di un cataclisma. Quando ciò si verifica all’improvviso, come risultato di una rivoluzione o di un vasto mutamento di leggi e di politiche, di una conquista o simili, senza essere stato adeguatamente preceduto dall’evoluzione delle forze sociali locali, i suoi effetti risultano quanto mai inquietanti. Sul Monte Amiata la maniera più appariscente con cui il nuovo sistema sociale si sovrapponeva al vecchio erano le tasse; come del resto era altrove. La costruzione delle strade, iniziata nel 1868 , fu pagata con i tributi locali e le città e i paesi della zona ne sopportarono il peso. A Castel del Piano, Cini-
1 la z z a r e s c h I j D avid Lazzaretti, il Messia dell'A m iata cit., p. 262.
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giano, Roccalbegna e Santa Fiora l ’ammontare delle sopratasse provinciali e comunali era più del doppio dell’importo delle tasse erariali e ad Arcidosso era tre volte tant o 1. Si trattava principalmente di tasse sui terreni e sui fabbricati. Non c ’è da meravigliarsi che gli esattori di Santa Fiora si lamentassero che alcuni negozianti rifiutavano di pagare perché Lazzaretti aveva promesso loro r.hp non avrebbero più pagato tasse 2. Anche qui, come dappertutto, l ’introduzione della legge piemontese quale legge comune a tutta l ’Italia, cioè di un rigido codice di liberalismo economico, gettò la società locale nella confusione3. Cosi la legge forestale, con la pratica abrogazione dei diritti consuetudinari di libero pascolo, di legnatico e simili, si abbatté tragicamente sui piccoli proprietari marginali ed esacerbò i loro rapporti con i maggiori proprietari terrieri \ Cosi è naturale che Lazzaretti predichi un nuovo ordine di cose, in cui proprietà e terra vengono distribuite diversamente, fittavoli e mezzadri godono di una maggior quota di prodotto5. (La lotta per una maggiore quota di prodotto è rimasta fino a oggi il tema dominante dell’economia agricola dell’Italia centrale e forse è la ragione principale per cui quella regione è una delle più saldamente comuniste, nonostante la pratica mancanza di latifondi ed industrie. La provincia di Siena, in cui rientra parte del Monte Amiata, vanta la più alta percentuale di voti comunisti in tutta Italia, il 48 ,8% nel 19 53). Esistevano quindi condizioni favorevoli per un movimento di agitazione sociale. E , a causa dello straordinario isolamento di quell’angolo di Toscana, un tale movimento fu portato ad assumere una forma piuttosto primitiva.
Torniamo ora a Davide Lazzaretti. Era nato nel 18 34 e faceva il carrettiere, viaggiando su e giù per la regione. Benché proclamasse di avere avuto una visione all’età di
1 B A R Z E L LO T T i, Monte Amiata e il suo profeta , Milano 19 0 9 , pp. 77-78-2 la z z a r e s c h i , D avid Lazzaretti, il Messia dell'Am iata cit., pp. 282-
283.3 Per una migliore trattazione generale del problema, cfr. E. s e r e n i ,
II capitalismo nelle campagne 1860-1900 , Torino 1949; il libro tratta incidentalmente dei lazzarettisti alle pp. 1 14 - 15 .
4 BARZELLOTTi, M onte Amiata e il suo profeta cit., p. 79.5 Ib id ., p . 256.
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;uattordici anni - nel 1848 , l ’anno della Rivoluzione — se ne parlava come di un materialista, per non dire un bestemmiatore, fino alla conversione, avvenuta nel 1868. La data è significativa perché coincide con uno degli annii i grande fermento popolare in Italia. I l raccolto del 186 7 era stato cattivo, era in corso una crisi industriale, e, soprattutto, la tassa sul macinato, imposta quell’anno dal Parlamento, aveva fatto aumentare i prezzi dei generi alimentari e creato grave malcontento negli ambienti rural i -. In tutte le province, salvo dodici, l ’imposizione di cuesta tassa suscitò disordini; il risultato fu qualcosa con e 257 morti, 1099 feriti e 3788 arresti1. Più che naturale, quindi, che in quell’anno un contadino attraversasse una crisi intellettuale e spirituale. Per di più l'incombente conflitto franco-prussiano, e le sue possibili (poi divenute effettive) conseguenze per il Papato, commossero profondamente le coscienze cattoliche. Lazzaretti a quel rempo era papalino, nonostante la sua predicazione avesse alcune intonazioni di sinistra e repubblicane, naturali oer un uomo che aveva combattuto come volontario nell'esercito nazionale nel i860 . I papalini, in opposizione il governo ateo, in quell’epoca incoraggiavano in ogni caso le agitazioni agrarie - i disordini furono particolarmente intensi nelle province ex papali e si faceva uso di slogans di ispirazione cattolica - , e si diceva anche che proteggessero il Lazzaretti della prima maniera, la cui predicazione poteva fare da contrappeso alla influenza laica liberale. Certamente egli godette per un lungo periodo di rempo dell’appoggio semiufficiale della Chiesa.
Lazzaretti, acquistata nella zona la fama di sant’uomo dopo il 1868 , cominciò a elaborare le proprie dottrine e profezie. Egli era convinto di essere un lontano discendente di un re francese (la Francia in quell’epoca era il principale sostegno del Papato). Sul finire del 18 7 0 nei Rescritti profetici, intitolati anche 11 risveglio dei popoli, egli previde l ’avvento di un profeta, capitano, legislatore e riformatore di leggi, un nuovo pastore del Sinai, che sa
1 N. r o s s e u .t , Mazzini e Bakunin ( 18 6 6 -18 72) , Torino 1927 ; per una iisam ina generale della situazione, pp. 2 13 sgg.
2 s e r e n i , II capitalismo nelle campagne cit., p. i n .
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rebbe sorto a liberare i popoli allora gementi «come schiavi sotto il dispotico potere del mostro dell’ambizione, dell ’ipocrisia, dell’eresia e dell’orgoglio». Un re, cui sarebbe toccato il compito di riconciliare la Chiesa con il popolo italiano, «discenderà dai monti, seguito da mille giovani, tutti di sangue italiano, e questa sarà chiamata la milizia dello Spirito Santo» e avrebbe restaurato l ’ordine morale e civile Presto cominciò a fondare colonie comuniste sul Monte Amiata, dove i fedeli costruirono per lui una chiesa e una torre. Ciò portò all’accusa di attività sovversive ma Lazzaretti riuscì ad evitare la condanna grazie ad alcuni influenti sostenitori locali.
Da allora si lasciò sempre più alle spalle la vecchia ortodossia. Nel corso di vari digiuni e viaggi sviluppò gradualmente la versione definitiva della propria dottrina. Egli, Lazzaretti, doveva essere il re ed il Messia. I l Signore avrebbe costruito sette città sacre, una sul Monte Amiata e le altre in diversi paesi e luoghi adatti. Fino ad allora c ’era stato il Regno della Grazia (che egli identificava con il pontificato di Pio IX), sarebbero poi venuti il Regno della Giustizia e quindi la Riforma dello Spirito Santo, terza e ultima età del mondo. Grandi sciagure sarebbero state il presagio della liberazione definitiva degli uomini per mano di D io 2, ma lui, Lazzaretti, sarebbe morto. G li studiosi del pensiero medievale, e delle dottrine di Gioacchino in particolare, si renderanno conto del sorprendente parallelismo fra questa dottrina e quelle della tradizionale eresia popolare.
Il momento cruciale arrivò nel 18 7 8 . A ll ’inizio dell’anno morirono Vittorio Emanuele e Pio IX e di qui - secondo Lazzaretti - avrebbe avuto fine la successione dei pontefici. È inoltre opportuno ricordare che incombeva sull ’Italia la crisi agricola. Dal 18 7 5 si era verificata una caduta dei prezzi del grano e dei salari e pur non essendovi alcuna ragione particolare per la scelta del 18 7 8 , dato che fu il 1879 l ’anno veramente catastrofico in Italia e in diverse altre regioni di Europa - la depressione degli anni
1 BARZELLOTTi, Monte Amiata e il suo profeta c it., p p . 193-94-2 Ib id ., pp. 28, 23^-36. Di solito ci si aspetta che la terza età sia quel
la della Libertà.
' .VIDE L A Z Z A R E T T I 9 1
rrecedenti aveva ormai convinto i contadini toscani che ; segni e i presagi della fine del mondo, stavano per avverarsi. Lazzaretti ritornò dalla Francia, dove aveva trovato dei protettori facoltosi, e si proclamò Messia. Naturalmente, quando ne informò il Vaticano, fu scomunicato. Ma sul Monte Amiata la sua influenza era enorme. Da lui accorrevano in folla uomini e donne, al punto che le chiese del luogo rimanevano vuote Egli annunciò che sarebbe sceso dalla montagna nel giorno precedente la Assunzione, il 14 agosto. Si riunì una folla di 3000 persone, non sappiamo quanti per osservare e quanti per sostenerlo. I suoi seguaci indossavano le speciali divise comprate
e fatte confezionare da lui per la «Legione italiana» e la • Milizia dello Spirito Santo». Venne issata la bandiera iella Repubblica di Dio. Per vari motivi la discesa dal monte fu rimandata al 18 agosto. In quel giorno i lazzarettisti scesero al canto di inni dalla montagna ad Arci- dosso e incontrarono i carabinieri, che ingiunsero loro di tornare indietro. Lazzaretti rispose: «se volete pace, vi porto pace, se volete pietà, avrete pietà, se volete sangue, eccomi». Dopo un confuso scambio di parole, i carabinieri aprirono il fuoco e Lazzaretti fu tra i morti. I suoi principali apostoli e leviti vennero processati e condannati; la corte tentò invano di dimostrare che essi volevano saccheggiare le case dei ricchi e scatenare una rivoluzione terrena. Naturalmente non era vero. Essi stavano erigendo la Repubblica di Dio, la terza e ultima età del mondo, impresa ben più importante che saccheggiare le case dei signori Pastorelli. Solo, come era stato dimostrato, i tempi non erano maturi.
Sembrò cosi che per i lazzarettisti fosse arrivata la fine, salvo per i più fedeli discepoli, che tirarono ancora avanti; l ’ultimo mori nel 19 4 3 . Infatti un libro scritto in quell ’anno parla dell’« ultimo dei giurisdavidici». C ’è però un epilogo. Quando nel 1948 ci fu un attentato alla vita di Togliatti, leader comunista italiano, in diverse zone i comunisti credettero che fosse arrivato il grande giorno e cominciarono subito ad assaltare i posti di polizia e a im
1 BARZELLOTTI, M onte Amiata e il suo profeta cit,, pp. 256-57.
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padronirsi del potere con altri mezzi fin quando non intervenne l ’azione moderatrice dei capi. Tra le varie zone in cui si verificarono queste rivolte c ’era Arcidosso. Più tardi un esponente comunista che teneva là un comizio, spinto dalla propria mentalità storicistica, non potè resistere alla tentazione di richiamarsi al profeta Lazzaretti e al massacro del 18 78 . Dopo il comizio diversi partecipanti alla riunione lo presero da parte e gli esternarono tutta la loro gioia per quello che egli aveva detto. Erano lazzarettisti: ce n ’erano parecchi nella zona. Naturalmente, poiché erano contro la polizia e contro lo Stato, stavano dalla parte dei comunisti. Certamente anche il profeta sarebbe stato dalla stessa parte. Ma fino a quel momento essi non avevano saputo che la nobile opera di Davide Lazzaretti fosse apprezzata dagli stessi comunisti. Il movimento millenaristico originario aveva cosi continuato ad esistere in forma sotterranea (i movimenti contadini hanno capacità di esistere anche a livello cosi ridotto da riuscire impercettibile agli osservatori cittadini). Era stato assorbito da un movimento rivoluzionario più vasto e più moderno. La rivolta di Arcidosso del 1 9 4 8 fu una nuova, e in certo senso riveduta edizione della discesa dal Monte Amiata.
Chi furono o chi sono i lazzarettisti? Com ’è naturale, pochi erano i ricchi, ma pochi anche i nullatenenti. I l nucleo centrale sembra si trovasse fra piccoli contadini, mezzadri, artigiani e simili dei piccoli paesi di montagna. E cosi è ancora oggi, nonostante i contadini appartenenti alla setta, come spesso accade, abbiano cercato di prosperare nelle faccende terrene ed abbiano raggiunto una agiatezza superiore alla media, cosicché oggi tra loro si contano molti ricchi, rispettati dai propri concittadini. L ’esperienza infatti dimostra che le eresie pure di tipo medievale al giorno d ’oggi hanno forse meno presa sui nullatenenti, i quali puntano decisamente ai movimenti socialisti e comunisti, che sui piccoli contadini in lotta per l ’esistenza, operai agricoli, artigiani di paese e simili. La loro condizione li spinge nello stesso tempo avanti e indietro: verso una società nuova e verso il sogno di un passato puro, l ’età dell’oro o i «bei tempi passati»; e forse la setta mil-
D AV IDE L A Z Z A R E T T I 9 3
lenaristica esprime questo dualismo. In ogni caso le varie sette eretiche, germogliate nell’Italia meridionale, in un’atmosfera che ricorda il rivoluzionarismo dei contadini al tempo di Lutero più che di Lenin, sembrano dimostrare questa tendenza, per quanto non possiamo esserne certi finché non sarà stato seriamente iniziato lo studio, cosi necessario, delle eresie contadine del Sud (dalle più antiche comunità valdesi o dalla Chiesa dei fratelli cristiani alle più moderne della chiesa pentecostale, avventisti, battisti, testimoni di Geova e Chiesa di Cristo) In ogni caso Chironna Evangelico, la cui autobiografia fu scelta da Rocco Scotellaro come tipica di tal genere di contadini, è un operaio agricolo e mezzadro «nato da una modesta famiglia di piccoli coltivatori diretti» I famosi ebrei di San M eandro sembra appartengano ad analoghe classi sociali; il promotore era piccolo proprietario terriero e numerosi esponenti erano artigiani (calzolai, ecc.)5.I pentecostali, secondo la signora Cassin, hanno un seguito speciale fra gli artigiani; gli organizzatori sindacali della confederazione generale italiana del lavoro ( c g i l ) della provincia di Foggia ritengono che l ’organizzazione dei protestanti sia composta principalmente di piccoli contadini, «una setta di ortolani», come mi è stato detto da uno di essi \
Ma i lazzarettisti non hanno affinità soltanto con il socialismo o con il comuniSmo. Il ferm ento religioso è appena uno degli aspetti del rivoluzionarismo endemico tra i contadini del Sud, anche se tende ad acquistare un ruolo
1 Uno studio dettagliato su un notevole gruppo di contadini convertitisi a ll’ebraismo è quello di e le n a c a s s in , San N icandro , Paris 1957, che contiene un prezioso materiale sul fermento religioso nel Monte G argano, lo «sperone» d ’Italia, ed una mappa della distribuzione delle comunità pentecostali in Italia. Opera altamente illuminante. A proposito delJa natura dei pentecostali e delle altre chiese, il cui richiamo si è fatto più intenso dopo la guerra, cfr, la descrizione generale delle sette ameri- :ane dei cotonieri nel capitolo v ili.
2 ro cco s c o t e l l a r o , Contadini del S u d , Bari 19 5 .5 : v t̂a di Chironna Evangelico.
3 c a s s i n , San Nicandro cit., purtroppo indica soltanto la situazione sociale di cinque fra i venti e più membri maschi della comunità.
4 Sono grato al signor Lucio Conte e ad altri membri della federazione provinciale di Foggia della c g i l nonché a vari membri del partito comunista di San Nicandro per le informazioni fornitemi sulla composizione sociale e le opinioni politiche degli appartenenti alla setta nel 19 5 7 .
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di preminenza laddove non abbia ancora assunto un’espressione politica o l ’abbia rinnegata (sempre che possa al riguardo ritenersi probante l ’esperienza del Monte Gargano). Cosi il protestantesimo realizzò i primi importanti progressi dopo il 19 2 2 , cioè dopo la sconfìtta delle leghe contadine, il trionfo del fascismo e la fine della emigrazione in America. M i risulta, inoltre, che nel Foggiano c ’è motivo di ritenere che il settarismo sia alquanto piti forte ai margini del Tavoliere che nelle pianure di forte e antica tradizione socialista. Tuttavia in una situazione quale quella dell’Italia meridionale, per un eretico religioso è praticamente impossibile non allearsi con i movimenti laici anticlericali ed è molto difficile non simpatizzare in qualche modo con i rivoluzionari; non si può quindi tracciare una linea netta di separazione tra contadini socialcomunisti e contadini militanti in sette religiose. Mi risulta che la grande maggioranza degli ebrei convertiti di San Nicandro hanno votato per il partito comunista (il comune è roccaforte delle sinistre), ed i comunisti locali (alcuni dei quali sono imparentati ai protestanti) li considerano «quasi tutti dei nostri». Numerosi protestanti sono anche comunisti militanti ed esistono casi di testimoni di Geova eletti segretari delle Camere del lavoro o, con non poco imbarazzo delle gerarchie del partito, delle sezioni locali. Tuttavia questa tendenza dei contadini eretici a legarsi anche ai movimenti di sinistra non deve venire riferita al millenarismo religioso politico puro, qual è il lazza- rettismo. Esso si presenta come un fenomeno piuttosto eccezionale almeno nell’Europa occidentale e meridionale, per quanto ulteriori ricerche frutterebbero forse la scoperta di altri esempi da collocare a fianco del Messia del Monte Amiata.
Capitolo quinto
Il millenarismo I I : gli anarchici andalusi
Il lettore inglese ha a sua disposizione un’opera che costituisce una così eccellente introduzione allo studio della Spagna e dei movimenti anarchici spagnoli, che non vi è nulla di meglio che richiamarsi ad esso; alludo al libro The Spanish Labyrinth di Gerald Brenan1. I l presente capitolo, anche nei punti che non si fondano direttamente sull’opera di Brenan, non è che una versione leggermente ampliata e dettagliata di una trattazione sulla quale ben pochi studiosi potranno non trovarsi d ’accordo.
È stato detto che l ’Andalusia è la Sicilia della Spagna2; molte delle osservazioni relative a quell’isola (ad esempio quelle che si trovano nei capp. il e v) valgono anche per essa. L ’Andalusia è costituita pressappoco dalla piana del Guadalquivir e dalle montagne che la racchiudono come in una conca. Considerata in generale, è una regione la cui popolazione è concentrata in agglomerati chiamati pueblos, con una campagna spopolata, dove i contadini
1 Questo capitolo si basa principalmente sull’opera di Brenan {Cambridge i9 6 0 ) e su alcune opere della sua bibliografia, specialmente su Hìstoria de las agitaciónes campesinas andaluzas, Madrid 1929» di j. d ia z d e l m o r a l , opera superiore ad ogni elogio da parte dello studioso dei movimenti sociali prim itivi. Degno di menzione ci appare inoltre People of the Sierras cit. di p i t t - r i v e r s , monografia antropologica sul pueblo di Grazalema, Esso contiene utili osservazioni sul movimento anarchico locale, ma non tiene sufficientemente conto del fatto che questa cittadina non era semplicemente anarchica, ma costituiva uno dei centri principali c i tale movimento riconosciuto come tale dall’intera Spagna. Cosi, l ’autore non si preoccupa di spiegare le ragioni per le quali Grazalema sia stata un centro del movimento tanto più importante di altri pueblos, né di illustrare le origini e il dinamismo del movimento stesso; ciò toglie al* l'opera in questione parte del suo valore, almeno da un punto di vista storico.
2 a n g e l m a r v a u d , La question sociale en Espagne, Paris 19 10 , p. 4 2 .
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vanno a vivere per lunghi periodi in ricoveri e baracche, lasciando le mogli al paese. V i sono vaste proprietà improduttive e trascurate dai proprietari, e la popolazione è composta da braceros o lavoratori a giornata, senza terra e di condizione quasi servile. Era insomma il classico paese latifondista, per quanto ciò non significhi che nel secolo scorso, la totalità di esso fosse coltivata in vaste proprietà e fattorie; parte di esso era diviso in piccole aziende concesse in affitto con contratti a breve scadenza. Soltanto una minima parte - piccole isole politicamente conservatrici in un mare rivoluzionario - era costituita da piccole proprietà e da poderi affittati con contratti a lunga scadenza. A Cadice le proprietà superiori ai 250 ettari coprivano nel 19 3 1 il 58 % della superficie della provincia; vi erano tra esse tre proprietà con una media di10 000 ettari, 32 con una media di quasi 5000 e 2 7 1 con una media di circa 900. In tre distretti amministrativi della provincia i latifondi occupavano dal 77 al 96% della superficie totale. A Siviglia vaste proprietà occupavano il 50 % della superficie totale; tra esse ve ne erano 13 con una media di circa 7000 ettari, e 104 con una media superiore ai 2000. U n’analoga situazione, seppure leggermente più attenuata, si riscontrava a Cordova. Inutile dire che le grandi proprietà comprendevano in genere i terreni migliori. Il quadro generale può essere schematicamente completato con l ’osservazione che nelle province di Huelva, Siviglia, Cadice, Cordova e .Taén, 6000 grandi proprietari terrieri detenevano almeno il 5690 del reddito tassabile; il resto era diviso tra 258 0 0 0 proprietari minori, mentre circa l ’8o% della popolazione rurale non possedeva terra affatto 1. Possiamo osservare incidentalmente che l ’Andalusia, come l ’Italia meridionale, subi nel secolo scorso, se non addirittura dal tempo dei mori,
1 b ren an , The Spanish Labyrinth cit., pp. 1 14 sgg.; cfr, anche le mappe a 332-35 e inoltre La reforma agraria en Espana, Valencia 19 37 ; Spain: Th e distribution of property and land settlement, in «International Review of Agricultural Economics», 19x6, n. 5, che fornisce la percentuale dei proprietari terrieri per ogni centinaio di abitanti rurali dediti a ll’agricoltura, cioè meno di 17 nelPAndalusia occidentale, e meno di 20 nel- TAndalusia orientale; mentre nella vecchia Castiglia sono circa 60 (pp. 95 sgg.).
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un processo di disindustrializzazione, essendo incapace di competere con i suoi concorrenti settentrionali e stranieri. Divenne cosi esportatrice di prodotti agricoli e di mano d ’opera non specializzata che cominciò ad emigrare verso il nord industrializzato, mentre i suoi abitanti rimasero legati quasi esclusivamente ad un’attività agricola estremamente povera e malsicura.
Esiste una vasta letteratura unanime nel dipingere con i più spaventosi colori le condizioni economiche e sociali di costoro. Come in Sicilia, i braceros lavoravano quando c’era lavoro per loro, e quando non c ’era pativano la fame, e cosi in una certa misura fanno tuttora. Da uno studio della loro alimentazione mensile ai primi del nostro secolo, risulta che essi vivevano quasi esclusivamente di pane nero (da un chilo a un chilo e mezzo al giorno), un po’ d ’olio, un po’ di aceto e legumi secchi conditi con sale ed aglio. Il tasso di mortalità nei pueblos delle colline del cordovese alla fine del secolo scorso, andava dal 30 al 3 8 %o. A Baena, il 2 0 % delle morti, nel lustro dal 1896 al 1900, furono causate da malattie polmonari e quasi il 10 % da malattie per iponutrizione. A l principio del nostro secolo l'analfabetismo andava dal 65 al 5 0 % della popolazione maschile nelle varie province andaluse; quasi nessuna donna delle campagne sapeva leggere. Non occorre procedere oltre in questa triste descrizione; basterà osservare che alcune zone di questa infelice regione sono tuttora le più povere dell’Europa occidentale1.
Non è da stupirsi che questa zona divenisse decisamente rivoluzionaria, non appena una certa coscienza politica cominciò a risvegliarsi in Andalusia. Grosso modo il bacino del Guadalquivir e le zone montuose a sud-est di esso, cioè in particolare le province di Siviglia, Cadice, Cordova e Malaga erano generalmente anarchiche. Le zone minerarie occidentali e settentrionali (Rio Tinto, Pozo- blanco, Almadén ecc.), centri di socialismo operaio delimitavano da una parte la zona anarchica; la provincia di Jaén, politicamente meno progredita e soggetta all’influs
1 M :\ r v a u d , La question sociale en E Spagne cit., pp. 1 3 7 , 4 5 6 -5 7 ; F. v a lv e r d e Y p e r a le s , Historia de la V illa de Baena, Toledo 19 0 3 , pp. 282 sgg.
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so tanto del socialismo castigliano che delle idee anarchiche andaluse, formava il confine dall’altro lato; Granada, in cui il conservatorismo era più forte - per lo meno, ove i contadini erano più sottomessi - chiudeva il terzo lato. Tuttavia, poiché le statistiche relative alle elezioni in Spagna non forniscono un quadro fedele della composizione politica di questa zona, in parte perché gli anarchici si astennero dal partecipare alle elezioni fino al 19 36 (e alcuni di essi possono essersene astenuti anche allora), in parte perché il risultato delle elezioni veniva alterato per l ’influsso dei proprietari terrieri e delle autorità, questo quadro sarà necessariamente più impressionistico che fotografico '. L ’anarchismo rurale non aveva seguaci soltanto fra i braccianti senza terra. Diaz del Moral e Brenan hanno dovuto infatti constatare come tanto i piccoli proprietari quanto gli artigiani vi svolgessero un ruolo almeno altrettanto importante, se non maggiore, per il fatto di essere economicamente meno vulnerabili e socialmente meno sottomessi. Chiunque abbia visto un pueblo di braceros in cui, a eccezione dei signori, dei capi delle fattorie e di altre persone «nate per comandare», soltanto gli artigiani e i contrabbandieri rivelano nel passo quel- l ’indefinibile segno del rispetto per se stessi, non avrà difficoltà a comprendere.
La rivoluzione sociale si inizia in Andalusia poco dopo il 18 50 . Si citano esempi precedenti — il famoso villaggio di Fuenteovejuna si trova nell’Andalusia si trovano tuttavia scarse tracce di movimenti rivoluzionari di carattere spiccatamente rurale prima della seconda metà del secolo scorso. I l fatto di Fuenteovejuna (14 76 ) non era dopo tutto che una particolare rivolta contro l ’eccessiva tirannia di un singolo signore, che era stata inoltre concertata insieme ai cittadini di Cordova, per quanto la leggenda e il dramma sorvolino su questo punto. Anche le
1 Cosi nelle elezioni del 1936, nella provincia di Cadice, si riscontrò ovunque la maggioranza per il fronte popolare ad eccezione di una parte della costa occidentale e della zona montuosa nei pressi di Ronda che, precisamente, comprendeva alcune tradizionali e leggendarie roccaforti dell’ idea anarchica, e ove fu presumibilmente adottata la politica dell’astensione. H o preso le cifre dai risultati pubblicati sul «D iario de Cadiz» del 17 febbraio 1936.
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-volte per fame del x v n secolo, le cui tinte risultarono iccentuate dal separatismo andaluso, sembra abbiano avuto carattere urbano piuttosto che rurale e riflettono la disintegrazione dell’impero spagnolo di quel tempo e le più vaste rivolte contemporanee in Portogallo e in Catalogna piuttosto che una vera e propria agitazione rurale. In ogni caso, vi sono scarse tracce di un movimento improntato a un vero e proprio millenarismo contadino, seppure senza dubbio un’accurata ricerca potrebbe scoprirne qualche traccia. I contadini andalusi soffrivano la fame come tut- ~ i contadini nei periodi preindustriali, e tutto lo spirito rivoluzionario che albergava in essi trovava il suo sfogo m un culto eccezionalmente fervente del banditismo sociale e del contrabbando; di:
Diego Corrientes, brigante andalusoche derubava i ricchi e soccorreva i poveri
Forse si esternava anche in un attaccamento fanatico alla Chiesa cattolica militante, la cui Santa Inquisizione colpiva gli eretici, anche se ricchi e potenti, i cui teologi spagnoli, come il gesuita Mariana, spalleggiavano la rivolta di Fuenteovejuna, scagliandosi contro i ricchi e proponendo radicali riforme sociali, e la cui vita monastica incarnava talvolta il loro primitivo ideale comunista. Ho udito con le mie orecchie un vecchio aragonese parlare con .ammirazione dell’ordine in cui si trovava suo figlio: « li centro c ’è il comuniSmo, sapete. Mettono tutto in comune, e ognuno prende ciò che gli serve per vivere». La Chiesa spagnola, conservando questo eccezionale carattere popolare che faceva si che i preti delle parrocchie si battessero come capi guerriglieri alla testa del loro gregge nelle guerre di Francia, certamente forni un efficace sfogo di sentimenti che altrimenti avrebbero potuto divenire rivoluzionari in un senso spiccatamente laico.
Verso il i860 si ha notizia di bande contadine vaganti e persino di villaggi «che si impadroniscono del potè-
1 A proposito del ruolo del bandito nella struttura di un moderno pueblo andaluso - cfr. p i t t -r i v e r s , People of the Sierras cit., cap. x n . Per le correlazioni geografiche tra anarchismo nel latifondo e zone di banditismo, ; :r . b e r n a ld o d e q u i r o s , E l Bandolerism o , p p . 250 -.51.
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re» Il primo movimento rivoluzionario indigeno che attrasse in modo speciale l ’attenzione fu la rivolta di Loja e Iznajar nel 18 6 1 , molti anni prima delFavvento degli apostoli di Bakunin. (Ritengo tuttavia che vi siano tracce di un influsso massonico carbonaro di sinistra nell’insurrezione di L o ja )2. I l periodo delle agitazioni internazionali e repubblicane tra il 1868 e il 18 7 3 vide ancora altri movimenti: il cantonalismo, cioè la richiesta dell’indipendenza da parte dei villaggi, caratteristica di tutti i movimenti rurali spagnoli, a Iznajar e Fuenteovejuna; la richiesta di divisione delle terre a Pozoblanco e Benameji «questo pueblo tristemente famoso, i cui cittadini inizialmente erano dediti in gran numero al contrabbando», dove i banditi avevano spesso praticamente assediato i ricchi e nessun delitto veniva punito dallo Stato poiché nessuno si curava d ’inform arlo3. Quando i «figli di Benam eji» (che ancora svolgono il loro ruolo leggendario di individualisti «che si fanno rispettare» nelle romanze gitane di Garcia Lorca) aggiunsero alla rivolta individuale la rivoluzione sociale, ebbe inizio una nuova era della politica spagnola. L ’idea anarchica, diffusa dagli emissari della corrente bakuninista dell’internazionale, apparve sulla scena politica. Così come in altri paesi europei, a partire dal 18 7 0 si verificò una rapida espansione dei movimenti politici di massa. Il nerbo del nuovo movimento rivoluzionario risiedeva nelle classiche province latifondi- ste, specialmente in quella di Cadice e nella parte meridionale di quella di Siviglia. Cominciarono allora a costituirsi le roccaforti dell’idea anarchica andalusa: Medina Sido- nia, Villamartln, Arcos de la Frontera, E 1 Arahal, Bor- nos, Osuna, E l Bosque, Grazalema, Benaocaz.
Il movimento decadde verso il 1880 - non tanto nella provincia di Cadice quanto altrove - si risvegliò di nuovo
1 The agrarian problem in Andalusia, in «International Review of Agricultural Economics», x i, 1920, p. 279.
2 It mio amico Victor Kiernan, dalla cui profonda conoscenza degli avvenimenti spagnoli della metà del secolo scorso ho attinto abbondanti informazioni, mi ha detto che si accenna a questo fatto (forse senza fondamento) n ell’opera di n. d ia z y p f r e z , La Francmasoneria Espanola.
3 z u g a s t i , Bandolerismo cit., Introduzione, vo l. I . , pp. 2 3 9 -4 0 . Iznajar. un altro dei centri propulsori della rivoluzione sociale aveva, secondo la stessa fonte, una legge di omertà straordinariamente rigorosa.
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dopo il 1880 per nuovamente morire. I primi scioperi generali di contadini si verificarono in questa epoca nella zona di Terez, che era, allora come più tardi, il caposaldo di notevoli forze anarchiche. Nel 1892 il movimento scoppiò di nuovo culminando nella marcia, facilmente repressa, di molte migliaia di contadini su Terez. Un altro risveglio si verificò al principio del nostro secolo, questa volta sotto le insegne dello sciopero generale, tattica che prima di allora non era stata adottata sistematicamente come mezzo per fomentare rivoluzioni sociali. Negli anni 19 0 1- 19 0 3, scioperi generali di contadini si verificarono in almeno sedici pueblos, principalmente nella provincia di Cadice '. Questi scioperi rivelano notevoli caratteri millenaristici. Dopo un altro periodo di quiete, il più vasto movimento di massa di cui si abbia memoria fino a quel tempo, fu causato, si ritiene, dalle notizie della rivoluzione russa penetrate fino a questa remota regione. Per la prima volta in questo periodo «bolscevico», Cadice cedette a Cordova il proprio primato fra le province anarchiche. La repubblica ( 19 3 1 - 19 3 6 ) vide l ’ultimo di questi grandi risvegli con la conquista del potere da parte di molti pueblos anarchici, nello stesso anno 19 36 . Tuttavia, a eccezione di Malaga e della zona di confine della provincia di Cordova, la zona anarchica cadde sotto il dominio di Franco quasi dai primi giorni della rivoluzione, e anche le regioni repubblicane vennero presto conquistate. I l 1936-37 segna dunque la fine almeno di questo periodo della storia del movimento anarchico andaluso.
È evidente come in gran parte dell’Andalusia il fermento rivoluzionario delle campagne si trovasse allo stato endemico da prima del 18 7 0 e divenisse epidemico a intervalli di circa dieci anni. È egualmente evidente come nella prima metà del secolo scorso non si verificassero movimenti di una forza e di un carattere paragonabile a quelli che avvennero in seguito. Le ragioni di ciò non sono
1 Nella provincia di Cadice: Arcos, A lcali del Valle, Cadice, Jerez, La Linea, Medina Sidonia, San Fernando, Villam am n. Nella provincia di Siviglia: Carmona, Morón. Nella provincia di Cordova: Bujalance, Castro del Rio, Cordova, Fernàn Nunez. Nella provincia di Malaga: Antequera. N'ella provincia di Jaén: Linares.
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facili da scoprire. Lo scoppio delle rivoluzioni non era soltanto l ’effetto delle pessime condizioni di vita, poiché tali condizioni sono in un certo senso migliorate seppure soltanto in quanto sono state eliminate le catastrofiche carestie come quelle verificatesi nel 18 1 2 , nel 1 8 1 7 , nel 18 34 -35 , nel 18 6 3 , nel 1868 e nel 18 8 2 . L ’unica autentica carestia (se si eccettuano alcuni episodi verificatisi in seguito alla guerra civile) fu quella del 1905. In ogni modo, la carestia aveva normalmente l ’effetto di smorzare piuttosto che di stimolare i movimenti sociali quando era in atto, per quanto il suo avvicinarsi accrescesse l ’agitazione. Quando la gente ha fame, è troppo intenta a cercare del cibo per occuparsi di altre cose; altrimenti si muore. Le condizioni economiche ovviamente determinarono il tempo e l ’andamento periodico dello scoppio delle rivoluzioni - ad esempio i movimenti sociali tendevano a raggiungere la massima intensità nei mesi più difficili dell ’anno, cioè da gennaio a marzo, quando i braccianti hanno meno lavoro (tanto la marcia su Jerez del 1892 che la rivolta di Casas Viejas nel 19 33 si verificarono ai primi di gennaio), e da marzo a luglio, quando il raccolto dell'annata precedente è esaurito e i tempi sono più magri che mai. Tuttavia il sorgere del movimento anarchico non era soltanto un indice del crescente disagio economico. Inoltre esso rifletteva soltanto in maniera indiretta i movimenti politici esterni. I rapporti fra i contadini e la politica (che è affare dei cittadini) sono peculiari in ogni caso; tutto ciò che si può dire è che la vaga notizia di un cataclisma politico, quale una rivoluzione o una «nuova legge», o di qualche avvenimento relativo al movimento internazionale operaio che sembrasse annunziare l ’avvento di un nuovo mondo - l ’internazionale o la scoperta dello sciopero generale come arma rivoluzionaria - suscitava un’eco tra i contadini, qualora i tempi fossero maturi.
La migliore spiegazione possibile è che l ’avvento della rivoluzione sociale fosse connesso all’instaurazione di rapporti capitalistici di ordine legale e sociale nelle campagne del meridione nella prima metà del secolo scorso.I diritti feudali sulla terra furono aboliti nel 18 1 3 e tra
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quella data e la rivoluzione del 18 54 , la battaglia per ottenere liberi contratti agrari prosegui ininterrottamente. Nel 18 5 5 questa battaglia era vinta; la generale liberazione della proprietà civile ed ecclesiastica (Stato, Chiesa, terre incolte ecc.) era stata riaffermata, mentre si davano direttive per la loro vendita sul libero mercato. Da allora le vendite continuarono senza interruzione. È appena necessario soffermarsi sulle inevitabili disastrose conseguenze di questa rivoluzione economica senza precedenti sulla popolazione rurale. La rivoluzione sociale fu una naturale conseguenza di ciò. Una particolarità dell’Andalusia è la trasformazione, estremamente netta e precoce della rivolta sociale e del fermento rivoluzionario, in uno specifico movimento di rivoluzione agraria e sociale, con una chiara coscienza politica sotto la guida di capi anarchici; difatti, come rileva Brenan ', nel i860 l ’Andalusia presentava le stesse caratteristiche di fermento primitivo e confuso che si potevano riscontrare nel meridione d ’Italia. Questo può aver dato origine alla combinazione italiana di brigantaggio sociale e rivoluzionario-borbonico e di occasionali jacqueries, oppure alla combinazione siciliana di ambedue questi elementi con la Mafia, che era essa stessa un complesso amalgama di banditismo sociale, banditismo dei proprietari terrieri e autodifesa generale contro i forestieri. È evidentemente alla propaganda degli apostoli dell’anarchia, che riunirono in un unico movimento le saparate rivolte di Iznajar e Benameji, di Ar- cos de la Frontera e di Osuna, che si deve questa linearità di direttrici politiche. Del resto gli apostoli dell’anarchia si erano spinti fino all’Italia meridionale, ma senza ottenere affatto la stessa reazione.
Si potrebbe osservare che alcune caratteristiche della Chiesa e dello Stato in Spagna contribuirono in ugual misura a determinare la particolare situazione andalusa. Lo Stato non era uno Stato di stranieri come in Sicilia (dei Borboni e dei Savoia) o nell’Italia meridionale (dei Savoia); era spagnolo. Ribellarsi contro un sovrano legittimo richiede sempre una coscienza politica molto maggio-
1 b ren a n , The Spanish Labyrinth c it ., p. 156.
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re di quanta ne sia necessaria per respingere uno straniero. Inoltre lo Stato spagnolo possedeva in ogni pueblo un emissario diretto, efficiente e onnipresente, e ostile ai contadini, la guardia civil costituita nel 1844 principalmente per eliminare il banditismo; essa vigilava sui villaggi dalle sue caserme fortificate, si aggirava per le campagne in coppie armate; i suoi componenti non erano mai «figli del pueblo». Brenan osserva giustamente che «ogni guardia civile forniva nuove reclute per l'idea anarchica, e con l'aumentare del numero dei gruppi anarchici, anche la guardia civile diventava più numerosa» '. Mentre lo Stato costringeva i contadini a caratterizzare le proprie rivolte in senso antistatale, anche la Chiesa li abbandonava. Non è questo il luogo per analizzare l ’evoluzione del cattolicesimo spagnolo a partire dalla fine del secolo x v m \ Tutto ciò che possiamo dire è che, nel corso della sua lotta senza speranza contro le forze del liberalismo economico e politico, la Chiesa divenne, non soltanto una forza conservatrice-rivoluzionaria, come tra i piccoli proprietari di Navarra e di Aragona (che costituirono il nerbo del movimento carlista), ma una forza conservatrice tout court, in quanto si accordò con le classi facoltose. Il fatto di essere la chiesa dello status quo, del re e del passato, non vale a far perdere aH'istituzione il suo collaterale carattere di chiesa dei contadini. Ma il fatto di essere considerata la chiesa dei ricchi l ’allontana definitivamente dai contadini. Quando i banditi sociali divennero bandoleros protetti dai ricchi cacicchi locali, e la chiesa divenne la chiesa dei ricchi, il sogno dei contadini dell’avvento di un mondo libero e giusto dovette trovare una nuova espressione. Questa fu loro fornita dagli apostoli dell’idea anarchica.
L ’ideologia del nuovo movimento contadino era infatti anarchica; o, per darle una denominazione più precisa, comunista libertaria. In teoria, il suo programma econo-
1 Ad esempio, prima della rivolta di Casas Vieias {19 33) soltanto quattro guardie civili erano di fazione nel villaggio; attualmente (19.5Ó) pare che ve ne siano da dodici a sedici.
: Anche su questo punto la trattazione di Brenan è, come al solito, concisa chiara e acuta.
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mico mirava a mettere in comune la proprietà; in pratica, e negli stadi primitivi quasi esclusivamente, mirava al reparto, cioè alla spartizione dei terreni. Il suo programma politico era repubblicano e antiautoritario; tendeva cioè a un mondo in cui il pueblo autogovernato fosse l ’unità sovrana, e dal quale fossero escluse tutte le forze estranee come i re, gli aristocratici, la polizia, gli esattori delle tasse, ed altri agenti del potere centrale, in quanto rappresentanti dello sfruttamento dell uomo sull’uomo. Nelle particolari condizioni dell’Andalusia tale programma era meno utopistico di quanto possa sembrare. I v illaggi si governavano tanto economicamente che politica- mente alla propria maniera primitiva, con un minimo di vera e propria organizzazione amministrativa, governativa e disciplinare; sembrava quindi ragionevole ritenere che autorità e Stato fossero intrusioni superflue. Infatti, perché l ’eliminazione del distaccamento della guardia civile, di un sindaco nominato dal governo e di una serie di formalità ufficiali, avrebbe dovuto produrre nel pueblo il caos e non invece la giustizia? Tuttavia descrivere le aspirazioni degli anarchici come un complesso di precise esigenze politiche ed economiche potrebbe indurci in errore. Ciò che essi volevano era un nuovo mondo morale.
L ’avvento di questo mondo doveva verificarsi alla luce della scienza, del progresso e dell’istruzione; tutte cose nelle quali i contadini anarchici credevano con fervore appassionato, respingendo la religione e la Chiesa, come ogni altra cosa che avesse attinenza col mondo malvagio dell’oppressione. Non sarebbe stato necessariamente un mondo di prosperità e di benessere, poiché il massimo grado di benessere che i contadini andalusi potessero concepire era poco più del pane quotidiano per tutti. I poveri dei paesi preindustriali vedono nella società giusta non un sogno di ricchezza universale, ma un’equa ripartizione dell'austerità. Ma tale regime dovrà essere libero e giusto. Questo ideale non è tipico dell’idea anarchica. D ifatti se il programma che esaltava le menti dei contadini siciliani e di altri contadini rivoluzionari avesse potuto es-
1 O r . n. 5 dell'appendice.
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sere attuato, il risultato sarebbe stato senza dubbio simile alla situazione di Castro del Rio nella provincia di Cordova, nell'intervallo tra la conquista del potere e l ’occupazione da parte dei soldati di Franco: espropriazione delle terre, abolizione del denaro, uomini e donne al lavoro senza proprietà e senza retribuzione prendendo ciò che era loro necessario dal magazzino del villaggio («m ettono tutto in comune, e ognuno prende quello che gli serve») in un clima di formidabile esaltazione morale. I bar del villaggio erano chiusi. Presto non ci sarebbe stato più caffè nel magazzino del villaggio e i militanti desideravano che ogni altra droga si esaurisse. Il villaggio era isolato, e forse ancora più povero di prima: ma era libero e puro e coloro che non erano fatti per la libertà venivano uccisi ’. Se questo programma recava l ’insegna del baku- ninismo, era perché nessun altro movimento politico moderno aveva espresso le spontanee aspirazioni di contadini arretrati con maggiore sensibilità e fedeltà del bakuni- nismo, che deliberatamente subordinò la propria dottrina a tali aspirazioni. Inoltre il movimento anarchico spagnolo, in misura maggiore di qualsiasi altro movimento politico dei nostri tempi, venne elaborato e diffuso quasi esclusivamente da contadini e piccoli artigiani. Come osserva Diaz del Moral, esso, a differenza dal marxismo, non attraeva praticamente alcun intellettuale e quindi non ebbe alcun teorico importante. I suoi adepti erano predicatori ignoranti e profeti da villaggio. La sua letteratura era formata da giornali e da opuscoli che, nella migliore delle ipotesi, spiegavano al popolo teorie elaborate da pensatori stranieri: Bakunin, Reclus, Malatesta. Non esiste alcun serio teorico spagnolo dell’idea anarchica, tranne una sola eccezione, ma è un galiziano. Si trattava di un movimento composto quasi esclusivamente da gente umile. Non ci si deve dunque stupire che esso riflettesse con tanta fedeltà le aspirazioni e gli interessi del pueblo andaluso.
Era forse fra tutti il più vicino al loro rudimentale rivoluzionarismo, nel suo rifiuto totale e assoluto di que-
1 f . b o rk e n a u , Th e Spanish Cockpit} 1 9 3 7 , pp. 16 6 sgg.
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sto malvagio mondo di oppressione, che si esprimeva nella caratteristica passione, quasi senza precedenti, degli anarchici per bruciare le chiese, e che probabilmente riflette l ’amara delusione dei contadini per il « tradimento» della causa dei poveri da parte della Chiesa. La Guide bleu per la Spagna del 19 35 scrive con straordinaria facciatosta: «Malaga è una città di idee progredite. Il 12 e il 13 maggio 19 3 1 vi furono bruciati 43 tra chiese e conventi». Alcuni anni dopo, un vecchio anarchico, contemplando quella stessa città in fiamme, ebbe con Brenan la seguente conversazione:
«Che cosa ne pensate?» egli chiese.Io dissi: «Stanno bruciando Malaga».«Certo, - rispose, - la stanno bruciando. E io vi dico
che non sarà lasciata pietra su pietra, non una pianta e neppure un cavolo vi crescerà più, affinché non vi sia più malvagità nel mondo» '.
E l ’anarchico coscienzioso non soltanto voleva distruggere il mondo malvagio - per quanto in genere non ritenesse che per fare ciò fossero necessari molti incendi e molte uccisioni - ma respingeva immediatamente questo mondo. Tutto ciò che l'andaluso aveva in sé di tradizionale doveva essere abbandonato. Egli non pronunziava più la parola Dio e non aveva nessun rapporto con la religione, era contrario alle corride, si asteneva dall'alcool e anche dal tabacco (nel periodo «bolscevico», nel movimento entrò persino una corrente vegetariana) e per quanto ufficialmente sostenesse il libero amore, stigmatizzava in realtà ogni promiscuità sessuale. Invero, sembra persino che in tempo di sciopero o di rivoluzione praticasse un’assoluta castità: un modo di agire che fu in genere male interpretato dagli osservatori estranei \ Era una rivoluzionario nel senso più completo che i contadini andalusi potessero concepire, e come tale condannava tutto quan-
5 b r e n a n , The Spanish Labyrinth cit., p. 18 9 .2 Ib id ., p. 1 7 5 e m a r v a u d , La question sociale en Espagne cit., p. 4}
osservano che durante lo sciopero generale di Morón nel 19 0 2 , i matrimoni furono rimandati fino al giorno del reparto; ma attribuiscono ciò soltanto ad un eccesso di ingenuo ottimismo.
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to avesse attinenza col passato. Si trattava, in pratica, di un assertore del millenarismo.
Fortunatamente disponiamo almeno di un’eccellente storia degli aspetti millenaristici del movimento anarchico nei villaggi, nell’interpretazione di un dotto e sensibile avvocato del luogo; si tratta dell'imponente Wistaria de las agitadónes campesinas andaluzas di J . Diaz del Moral, che inizia la sua trattazione con gli eventi del 1920 . La sintesi che segue è basata principalmente su Diaz del Moral e su poche altre fonti meno importanti, completata da un mio breve studio di una singola rivoluzione di villaggio, quella di Casas Viejas (Cadice) nel 19 33 ’ .
Il movimento anarchico di villaggio può essere diviso in tre parti: la massa della popolazione locale, la cui attività è intermittente e si esplica quando l ’occasione lo richiede; il gruppo dei predicatori locali, capi e propagandisti - i cosiddetti «operai coscienti» (obreros conscien- tes) chiamati oggi retrospettivamente «quelli che avevano delle idee», la cui attività era continua; vi erano poi i fiancheggiatori: capi nazionali, oratori, giornalisti e simili influenze esterne. Nel movimento anarchico spagnolo questo ultimo gruppo aveva un’importanza estremamente ridotta. Il movimento respingeva qualsiasi organizzazione, o comunque ogni organizzazione rigidamente disciplinata, e rifiutava di prendere parte alla politica; di conseguenza aveva pochi capi di importanza nazionale. La sua stampa consisteva in un gran numero di modesti fogli, scritti per la maggior parte da obreros conscientes di altri villaggi e città, il cui intento non era tanto quello di tracciare una linea di azione politica - dato che il movimento, come abbiamo visto, era scettico nei confronti della politica - , quanto di ripetere e diffondere la difesa della Verità, combattere l ’Ingiustizia, e creare quel sentimento di solidarietà che faceva si che il ciabattino di un villaggio andaluso tosse conscio di avere dei fratelli impegnati nella stessa lotta a Madrid, e New Y ork, a Barcel-
1 La fonte più autorevole in materia è il «D iario de Cadiz» di quel tempo. Tutti i giornali e i libri nazionali e stranieri, senza alcuna eccezione, ne alterano alquanto la storia. H o anche parlato con alcuni sopravvissuti alla rivoluzione nel villaggio stesso.
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-ona e Livorno, e Buenos Aires. Le più attive forze esterne erano costituite dai predicatori e dai propagandisti ambulanti i quali, disprezzando tutto fuorché l ’ospitalità, si aggiravano per il paese predicando la buona novella o fondando scuole locali nei grandi nomi nebulosi dei classici .nitori di scritti fondamentali: Kropotkin, Malatesta. Tuttavia se uno o due uomini potevano raggiungere una rinomanza nazionale attraverso i loro viaggi di propaganda, essi venivano ugualmente identificati col loro villaggio.I n abitante del villaggio aveva la stessa probabilità di conquistare una simile reputazione, poiché ogni lavoratore cosciente considerava la propaganda incessante, ovunque fosse svolta, come suo preciso dovere. Secondo le loro idee, ciò che influiva sull'uomo, non erano gli altri uomini, ma la verità, e l'intero movimento si imperniava sulla propagazione della verità da parte di chiunque fosse ar rivato a possederla. Infatti, avendo ricevuto la straordinaria rivelazione che gli uomini non devono più essere poveri e superstiziosi, come potevano astenersi dal comunicarla agli altri?
G li obreros conscicntes erano dunque, piuttosto che organizzatori, educatori, propagandisti e agitatori. Diaz del Moral ci ha dato una splendida descrizione del loro tipo; erano forse più spesso piccoli artigiani di villaggio e piccoli proprietari, che braccianti senza terra, per quanto questa circostanza non sia del tutto provata. Leggevano e si coltivavano con un entusiasmo appassionato. (Anche ora, quando si chiedono agli abitanti di Casas Viejas le loro impressioni sui primi attivisti, ormai quasi tutti morti o dispersi, accade spesso di udire frasi come questa «non faceva che leggere e discutere»). Vivevano di queste idee. Il loro più grande piacere consisteva nello seri vere lettere o articoli per i giornali anarchici, spesso pieni di paroioni e di frasi altisonanti; estasiati dalle meraviglie delle moderne conoscenze scientifiche acquisite, che erano ansiosi di comunicare agli altri. Se particolarmente dotati, essi acquistavano quella specie di eloquenza popolare che nell'Inghilterra del x v n secolo moltiplicò gli opuscoli e i trattatelli. José Sanchez Rosa di Grazalema (nato nel 1864) scrisse opuscoli e dialoghi tra il lavoratore e
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il capitalista, novellette, sermoni sul modello delle antiche sacre rappresentazioni, favorite dai frati spagnoli (per quanto, come naturale, con un contenuto del tutto diverso) che venivano recitate — in parte anche improvvisate - nelle fattorie e negli alloggiamenti dei lavoratori nei grandi latifondi, in cui gli uomini occupati lontano dai loro villaggi passavano la settimana.
L ’influenza di costoro sui villaggi non derivava da una posizione sociale, ma soprattutto dalle loro virtù di apostoli. Coloro che per la prima volta avevano portato ai loro compagni la buona novella, forse leggendo ad alta voce dei giornali ai colleghi analfabeti, potevano giungere a godere della fiducia quasi cieca degli abitanti del villaggio, specialmente se la devozione puritana della loro vita faceva fede del loro valore. In definitiva, non tutti potevano avere la forza di rinunziare al fumo, all'alcool e alle donne e di resistere alla pressione della Chiesa, per il battesimo. il matrimonio e il funerale religioso. Uomini come M. Vallejo Chinchilla di Bujalance, o Justo Heller di Castro del Rio «avevano - come scrive Diaz del Moral - un ascendente sulle masse, paragonabile a quello dei grandi conquistadores sui loro uomini». A Casas Viejas il vecchio Curro Cruz (detto «sei dita»), che incitò il popolo alla rivoluzione e venne ucciso dopo una sparatoria di dodici ore con le truppe regolari, sembra avere esercitato un analoga funzione. Era nella natura delle cose che il piccolo gruppo degli eletti fosse estremamente compatto.Il caso di Casas Viejas, ove rapporti personali e familiari legavano il gruppo dei capi anarchici, può essere considerato tipico: la nipote di Curro Cruz, Maria («la libertaria»), era fidanzata a José Cabanas Silva («il pulcino»), capo dei giovani militanti; un altro Silva era segretario dell’unione dei lavoratori. Le famiglie Cruz e Silva furono decimate nella repressione che segui. G li obreros con- scientes provvidero alla continuità della direzione del movimento,
In genere il villaggio li considerava semplicemente come i suoi cittadini più influenti, la cui parola era determinante in ogni campo; dall’opportunità o meno di assistere alle rappresentazioni di un circo ambulante (gli attori
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ambulanti impararono presto che occorreva essere raccomandati al capo del villaggio) a quella di fare una rivoluzione. Naturalmente però le rivoluzioni si facevano soliamo se il villaggio stesso lo voleva; infatti gli obreros ccnscientes non ritenevano che la pianificazione dell’agitazione politica facesse parte delle loro funzioni, ma soltanto la propaganda, cosicché si ricorreva all’azione soltanto cuando un particolare sollevamento dell’opinione pubblica del villaggio, della quale essi stessi facevano parte, la rendevano non solo consigliabile, ma praticamente inevitabile. (Lo sviluppo del sindacalismo anarchico, con una maggiore organizzazione e una più marcata politica sindacalista, venne poi a compromettere questo affidamento alla spontaneità totale; tuttavia noi non ci occupiamo ora della decadenza e della fine dei movimenti anarchici di villaggio, ma del loro periodo di massimo splendore). In pratica risulta che ciò si verificava ad intervalli di circa dieci anni. Per quanto riguarda il villaggio tuttavia, accadeva in genere o quando qualche elemento della situazione locale costringeva all’azione, oppure quando una corrente esterna veniva a ravvivare la fiamma delle latenti idee rivoluzionarie. Talvolta una notizia, un evento straordinario, una cometa, interpretati come un segno che il tempo era venuto, penetrava nel v illaggio. Poteva essere il primo arrivo degli apostoli baku- ninisti intorno al 1870 , o qualche vaga notizia della rivoluzione russa; o la notizia che una repubblica era stata proclamata, o che era in discussione una legge di riforma agraria:
Al principio dell’autunno scorso [1918]... nella mente dei contadini andalusi, si formò la convinzione che fosse stata creata qualche cosa che essi chiamavano la «Nuova legge». Essi ignoravano chi l ’avesse decretata, dove e quando, ma tutti ne parlavano
Prima dei moti di Casas Viejas erano circolate voci di ogni specie; il tempo era venuto, duecento pueblos erano
1 c. b e r x a ld o de QuiROS, E l espartaquismo agrario andaluz, Madrid 1919. P. 39-
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già passati al com uniSm o, le terre stavano per essere d iv ise, e cosi via. (Q uesta ultim a voce fu p ro bab ilm ente suscitata dalla notizia che un va s to la t i fo nd o delle v ic inanze era in effetti soggetto alla r i fo rm a agraria, secondo una legge recentem ente approvata).
I n tali m om enti l ’idea anarchica endem ica assum eva carattere epidem ico. D iaz del M o ra l ha descritto m irab i lm ente tale fen om en o:
Coloro che vissero in quel periodo dal 19 18 al 19 19 , non dimenticheranno mai quello spettacolo straordinario. Nei campi, nelle capanne e nei cortili, ovunque i contadini si riunissero a parlare, per qualsiasi scopo, uno soltanto era l ’argomento delle conversazioni, sempre discusso con serietà e fervore: la questione sociale. Quando gli uomini si riposavano dal lavoro, durante la sosta per fumare, durante il giorno e dopo il pasto serale, il più istruito leggeva ad alta voce manifesti e giornali, mentre gli altri ascoltavano con profonda attenzione. Venivano quindi le perorazioni che confermavano quello che si era appena letto, e una serie interminabile di discorsi in lode di esso. Vi era qualcosa che non riuscivano ad afferrare, alcune parole che non conoscevano. Talvolta le loro interpretazioni erano infantili, talvolta maliziose, a seconda della personalità dell'individuo ; ma alla fine tutti si trovavano d ’accordo. E come avrebbe potuto essere altrimenti? Ciò che avevano appena ascoltato, non era forse quella pura verità che avevano sentito per tutta la vita, sebbene non fossero mai stati capaci di esprimerla? Leggevano in ogni momento. Non vi erano limiti alla curiosità di questi uomini e alla loro sete di conoscenza. Leggevano persino mentre cavalcavano le loro bestie, lasciando penzolare redini e cavezza. Preparando il cesto della colazione, non mancavano di mettervi dentro qualche cosa da leggere... È vero che per il 70 o l ’8o?ó di essi erano analfabeti, ma questo non costituiva un ostacolo insuperabile. L'analfabeta, pieno di entusiasmo, comprava il suo giornale e se lo faceva leggere da un compagno. Quindi si faceva segnare da costui l'articolo che più gli era piaciuto. Chiedeva poi ad un altro compagno di rileggergli l ’articolo segnato, e dopo alcune letture, lo sapeva a memoria ed era in grado di ripeterlo a chi non lo avesse ancora letto. Esiste una sola parola per definire ciò: frenesia (p. 190).
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In questo modo, la buona nuova si trasmetteva spon- :aneamente da un individuo all’altro:
In poche settimane, il nucleo originale di 10 o 12 adepti si era trasformato in uno di 200; e in pochi mesi pratica- mente tutta la popolazione lavoratrice, presa da ardente proselitismo, propagava fanaticamente la fiamma dell’ideale. I pochi che se ne astenevano, per timidezza o per amore della tranquillità o per timore di perdere la pubblica considerazione, erano assediati da gruppi di «convinti» sulla montagna, mentre aravano il campo, nei loro casolari, nelle taverne, nelle strade e nelle piazze. Venivano soffocati di ragionamenti, di imprecazioni, di disprezzo, di ironia, finché non acconsentivano. Era impossibile resistere. Una volta conquistato il villaggio, l ’agitazione si diffondeva... ognuno era un agitatore. Cosi la fiammata si appiccò facilmente a tutti i villaggi «infiammabili». In ogni caso, l ’opera del propagandista era facile. Bastava che leggesse un articolo di «Tierra v Libertad» o di « E 1 Productor», perché i suoi ascoltatori si sentissero improvvisamente illuminati dalla nuova fede.
Ma come si sarebbe verificato il grande mutamento? Nessuno lo sapeva. Alla fine, i contadini si convinsero che sarebbe in qualche modo avvenuto, a condizione che tutti gli uomini si dichiarassero simultaneamente per esso. Questo fu fatto nel 18 7 3 , ma il mutamento non avvenne. Nel 188 2 essi costituirono l'Unione, e le ragazze cantavano:
Tutte le belle ragazze hanno in casa una scritta che dice in lettere d’oro: morirò per un unionista !.
Ma l'unione falli. Nel 1892 marciarono sulla città di Je rez. se ne impadronirono e uccisero alcune persone. Ma vennero facilmente dispersi. In seguito, intorno al 1900, giunse in Andalusia notizia delle discussioni internazionali sullo sciopero generale, che agitavano in quel tempo i movimenti socialisti; ritennero dunque che lo sciopero
1 «Todas las ninas bonitas I tienen en casa un letrero ! con letras de ero que dicen ; Por un asocìado muero» (b e rn a ld o de q u ir o s , E l esparta- quismo agrario andaltiz cit.; p. io).
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generale costituisse la soluzione. (In effetti, la scoperta di questo nuovo metodo brevettato di attuazione degli ideali millenaristici, probabilmente riuscì a scuotere i villaggi dalla loro apatia).
Questi scioperi erano del tutto spontanei e compatti; anche le cameriere e le bambinaie delle case signorili si astenevano dal lavoro. Le taverne erano vuote. Nessuno formulava petizioni o richieste, nessuno cercava di condurre trattative, per quanto talvolta le autorità riuscissero a fare esprimere ai contadini una domanda di aumento di paga e a concludere un accordo di qualche genere. Ma tali sforzi erano irrilevanti. Il villaggio scioperava per qualcosa di molto più importante di un aumento delle paghe. Dopo circa due settimane, quando ormai era evidente che nessuna rivoluzione sociale era scoppiata in Andalusia, lo sciopero cessava improvvisamente, compatto l ’ultimo giorno come il primo, e ognuno tornava al lavoro e all’attesa. In effetti, come osserva acutamente Diaz del Moral, i tentativi da parte degli anarchici e di altri capi di usare di questi scioperi per il rafforzamento della organizzazione o per il raggiungimento di scopi limitati e precisi incontrò opposizioni o scarso entusiasmo: i contadini volevano «scioperi messianici» (p. 358).
Non è facile analizzare questi scioperi e altre iniziative analoghe che furono talvolta attuate. È certo che furono rivoluzionari: loro unico obiettivo era l ’avvento di un mutamento fondamentale e totale. Essi erano millenaristici nel censo indicato dalla presente trattazione, in quanto non erano strumenti diretti di rivoluzione; gli uomini e le donne di Lebrija, Villamartm o Bornos, abbandonavano gli attrezzi di lavoro non tanto per rovesciare il capitalismo, quanto per dimostrare che erano pronti per questo rovesciamento, che doveva verificarsi in qualche modo, ora che avevano dimostrato la loro prontezza. D ’altra parte, ciò che somigliava al millenarismo può talvolta essere stato soltanto un riflesso della mancanza di organizzazione, dell'isolamento e della relativa debolezza degli anarchici di villaggio. Essi ne sapevano abbastanza da rendersi conto che il comuniSmo non poteva essere instaurato in un solo villaggio, per quanto fossero
GLI A N A R C H IC I A N D A L U S I 115convinti che, una volta introdottovi, avrebbe funzionato. Casas Viejas fece questo tentativo nel 19 3 3 . I suoi abitanti tagliarono le linee del telefono, scavarono fossati attraverso le strade, isolarono le caserme della polizia; quindi, al riparo dal mondo esterno, inalberarono la bandiera rossa e nera dell’anarchia e si accinsero a dividere le terre. Non fecero alcun tentativo di diffondere il movimento e non uccisero nessuno. Ma quando arrivarono le truppe da fuori, seppero di essere stati sconfitti e il loro capo ordinò loro di darsi alla macchia, mentre egli e i suoi immediati seguaci combatterono all’ultimo sangue, asserragliati in un casolare, e furono uccisi, come del resto certamente si attendevano. A meno che il resto del mondo non imitasse l ’esempio di questo villaggio, la rivoluzione era perduta; e non era in loro potere influire sul resto del mondo, se non forse per mezzo dell’esempio. Nelle particolari circostanze, ciò che aveva l ’aspetto di una dimostrazione millenaristica, era forse soltanto la meno disperata delle tecniche rivoluzionarie a loro disposizione. Nessun villaggio rifuggi dal fare una vera e propria rivoluzione - strappando il potere ai funzionari locali, alla polizia e ai proprietari terrieri - ogni qual volta vide una possibilità di riuscita; ad esempio, nel luglio 1936 . Comunque, anche se fosse possibile trovare una spiegazione logica, piuttosto che storica, del comportamento apparentemente millenaristico del movimento anarchico dei villaggi spagnoli, essi non avrebbero agito in quel modo, se la loro idea del «grande mutamento» non avesse avuto quel carattere utopistico, millenaristico, apocalittico, che tutti i testimoni gli hanno concordemente riconosciuto. Essi non vedevano nel movimento rivoluzionario l ’impegno ad una lunga guerra contro i suoi nemici, con una serie di campagne e di battaglie culminanti nella conquista del potere nazionale, a cui seguirebbe l ’instaurazione di un nuovo ordine. Essi vedevano un mondo malvagio destinato a finire rapidamente, seguito dal « giorno del mutamento», che avrebbe dato inizio a un mondo giusto, in cui coloro che si trovavano in fondo si sarebbero trovati in cima e i beni della terra sarebbero stati equamente distribuiti tra tutti. «Senorito, - disse un giovane
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operaio a un signore, - quando verrà il gran giorno?» «Quale gran giorno? » « Il giorno in cui tutti saremo uguali, e la terra sarà distribuita tra tutti». Appunto perché il mutamento sarebbe stato così radicale e apocalittico - e anche su questo punto tutti i testimoni sono concordi- essi ne parlavano così liberamente, «in pubblico, con assoluta ingenuità, anche davanti ai possidenti, con tranquilla esultanza» '. Tale era infatti la forza dell’idea mil- lenaristica che, se il suo avvento si fosse verificato, neppure i possidenti avrebbero potuto tenerle testa. Il suo avversario sarebbe stato il risultato non tanto di una lotta di classe - poiché la lotta di classe apparteneva in definitiva al vecchio mondo - , quanto di qualche cosa di inesprimibilmente più grande e universale.
Il movimento anarchico rurale spagnolo è forse l ’esempio più saliente di un moderno movimento di massa millenaristico o semimillenaristico. I vantaggi e svantaggi politici che esso implica possono perciò essere facilmente studiati. I vantaggi consistevano nel fatto che esso esprimeva l ’effettivo modo di sentire delle masse contadine con maggiore fedeltà e efficacia di qualsiasi altro moderno movimento sociale e poteva quindi a volte ottenere, senza sforzo, una unanimità di azione manifestamente spontanea, che non poteva non produrre una profonda impressione sugli osservatori. Ma gli svantaggi erano insormontabili. Proprio perché l ’agitazione sociale moderna pervenne ai contadini andalusi sotto una forma che trascurò del tutto di insegnare loro le necessità dell'organizzazione, della strategia, della tattica e della pazienza, le loro energie rivoluzionarie furono compieta- mente sprecate. Una tale agitazione, durata circa settantanni, esplodendo spontaneamente in vaste zone del regno, a intervalli di pressappoco dieci anni, sarebbe bastata a rovesciare regimi ben più solidi dei traballanti governi spagnoli del tempo; eppure in pratica il movimento anarchico spagnolo, come ha osservato Brenan, non
1 151-knaldo de q u i KOS, E l cspartaqutsmo agrario anàaluz cit., p. 3 9 ; Diaz d e l m o r a l , l i istoria de las agilacióncs campesirias a/idaluzas c it., p. 2 0 7 .
I I A N A R C H IC I A N D A L U S I 1 1 7rappresentò mai per le autorità nulla di più che un ordinario problema di polizia. Non poteva fare nulla di più: poiché la rivolta contadina spontanea è per sua natura locale, o, nella migliore delle ipotesi, regionale. Perché divenga generale, è necessario che ogni villaggio entri in azione simultaneamente, di sua propria iniziativa e per .ini ben precisi. La sola volta che il movimento anarchico spagnolo si avvicinò a questo punto, tu nel giugno 19 36 , quando il governo repubblicano incitò alla resistenza contro i fascisti; ma, per quanto concerneva il movimento anarchico, questo invito veniva da una entità che esso 'i era sempre rifiutato per principio di riconoscere, e non era quindi preparato a valersene. Il riconoscimento degli svantaggi derivanti dalla pura spontaneità e dal messianesimo è avvenuto per gradi. La sostituzione del sindacalismo anarchico, che prevedeva vagamente un'organizzazione e una politica sindacale, all’anarchia pura aveva già segnato una tappa verso l ’organizzazione, la strategia e la tattica; ma ciò non era sufficiente a inculcare né la disciplina né la disposizione ad agire sotto precise direttive, di un movimento basato sulla fondamentale convinzione che entrambe le cose fossero indesiderabili e inutili.
Inoltre è nella disfatta che l ’anarchismo dimostrava e dimostra la propria impotenza. Nulla è più facile che instaurare un'organizzazione illegale, in un villaggio tutto concorde. Piana degli Albanesi in Sicilia costituisce, come vedremo, un chiaro esempio di ciò. Ma quando la frenesia millenaristica del villaggio anarchico si placa, non resta altro che l ’esiguo gruppo degli obreros conscientes, i soli veramente convinti, di fronte a una massa delusa, che attende il prossimo «grande momento». E se anche questo piccolo gruppo viene disperso, per morte o emigrazione dei suoi membri o per il controllo sistematico della polizia, non resta più che l ’amara consapevolezza della sconfitta. È forse vero, come osserva Pitt-Rivers, che, dopo la guerra civile, il movimento anarchico andaluso ha cessato di svolgere qualsiasi ruolo attivo, mentre quella scarsa attività illegale che ancora esiste, viene svolta dai comunisti, la cui importanza era in precedenza tra
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scurabile Se questo è vero, non c ’è da stupirsene, poiché un movimento contadino del tipo anarchico è incapace di organizzare una resistenza alla repressione veramente efficiente e al controllo sistematico che, i governi spagnoli prima di Franco, non si erano mai preoccupati di esercitare, preferendo che le occasionali rivolte divampassero e poi morissero isolate.
Il classico movimento anarchico è dunque una forma di movimento contadino praticamente incapace di un effettivo adattamento alle moderne condizioni, per quanto sia un prodotto di queste ultime. Se una diversa ideologia avesse penetrato le campagne andaluse intorno al 18 7 0 , avrebbe potuto trasformare la spontanea e instabile sediziosità dei contadini in qualcosa di assai più formidabile, in quanto più disciplinato, come il comuniSmo talvolta è riuscito a fare. Ma ciò non è accaduto. Quindi la storia del movimento anarchico, esempio quasi unico tra i moderni movimenti sociali, segna un fallimento continuo e senza rimedio; e, a meno che non si verifichino imprevisti mutamenti storici, è probabile che venga ricordato nei libri insieme agli anabattisti e a tutti gli altri profeti, che, per quanto armati, non seppero che cosa fare delle loro armi, e furono sconfitti per sempre.
1 People of the Sierras cit., p. 223. Ciò sembra in pii rie dovuto al fatto che i nuclei di resistenza armata sulle sierras dietro G ibilterra, che sopravvissero alla guerra civile o furono ricostituiti nel 1944-46, sono stati probabilmente ritorniti di anni, di equipaggiamento, e forse di uomini, dai comunisti, che vi provvedevano molto più elìicacementc degli anarchici. Sulla inefìicienza dei guerriglieri in Andalusia dopo la guerra civile (e per il ritorno di questi alla tradizione dei bandoleros) cfr. T. c o s s i a s , La lucha contra el «M aqu is» en L s paria, Madrid 19.56, pp. 73-76.
Capitolo sesto
Il millenarismo I I I :i fasci siciliani e il comuniSmo nelle campagne
Questo studio sui fasci siciliani e sa alcune delle loro conseguenze politiche ha lo scopo di fornire una descrizione completa del processo per il quale un movimento sociale di carattere primitivo viene assorbito da un altro di carattere prettamente moderno. I contadini siciliani (cosi come altri italiani del Meridione) non si sono infatti arrestati allo stadio intermedio di anarchia rurale, ma, ogni qual volta sono giunti a superare lo stato di primitivismo, nanno in genere aderito agli organizzatissimi movimenti socialista o comunista. Cosi l ’essenza del millenarismo contadino, manifestatosi in Andalusia sotto le forme rudimentali di organizzazioni anarchiche di villaggio, in Italia e venuto a inserirsi in un quadro politico molto più complesso. Ciò non significa che il singolo contadino della Sicilia o della Lucania, socialista o comunista - entrambii partiti sono marxisti rivoluzionari in Italia - abbia sulla politica un punto di vista personale molto diverso da quello del suo fratello andaluso. Significa invece che la storia politica del villaggio e del movimento a cui appartiene è diversa, perché la causa che egli serve lo spinge a diverse e più complesse attività; come, ad esempio, il voto e la gestione di cooperative agricole, l ’occupazione forzata delle terre e gli scioperi generali.
La ragione per la quale il movimento rivoluzionario contadino italiano - caso quasi unico tra i movimenti contadini dell'Europa occidentale - debba essersi posto fin dagli inizi sotto l ’egida del marxismo, non è facile a dirsi. In ogni modo, è indubbio che gli apostoli del bakunini- smo si siano dedicati a ll’evangelizzazione del Meridione
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d ’Italia con lo stesso fervore di cui avevano dato prova in Spagna. Pine, essi ottennero qualche successo soltanto presso i giovani intellettuali del Sud, brillanti e acuti ingegni che, allora come ora, il Meridione produceva in abbondanza. Certo non è un caso che i grandi nomi del movimento anarchico italiano siano degli intellettuali, per lo più appartenenti alla cosiddetta «élite rivoluzionaria», come Errico Malatesta e Carlo Gallerò; mentre i grandi nomi del movimento anarchico spagnolo provengono dal popolo e sono tutt’altro che dei teorici. Per quanto ne sappiamo, nel Meridione d ’Italia, zona di rivoluzionarismo endemico, non si sono mai verificate gravi sollevazioni anarchiche. Il più celebre tentativo degli anarchici di suscitare una rivolta, quella del 18 77 a Benevento, si risolse in un insuccesso per difetto di sincronizzazione conlo stato di malcontento dei contadini. Se tale sincronizzazione si fosse verificata, i contadini di Letino e di Gallo non avrebbero risposto all'invito del nobile Malatesta a procedere all’esproprio dei terreni con questa osservazione cosi giudiziosa e contraria allo spirito spagnolo: «la nostra comunità non può difendersi da tutta l'Italia. Questa non è una sommossa generale. Domani i soldati saranno qui e saremo tutti fucilati». E si che, quando i tempi erano maturi, più volte i contadini del Sud si sono mossi per espropriare i terreni.
Forse, per il momento, la migliore spiegazione di tale fenomeno è la seguente. Nella Spagna meridionale, come abbiamo visto, prima della metà del secolo scorso non vi era traccia di movimenti rivoluzionari attivi nelle campagne; di conseguenza, come abbiamo visto, i propugnato- ri dell’anarchia costruirono dal nulla. Il movimento contadino andaluso nacque cosi sotto l ’influsso della loro ideologia. Nel Regno delle Due Sicilie, invece, ancor prima dell’avvento di qualsiasi ideologia moderna, esisteva già, nelle campagne, un primitivo fermento rivoluzionario allo stato endemico. Ogni impulso politico proveniente dall’esterno, tanto liberale (come nel 18 2 0 -2 1, nel 1848-49 o nel 1859-60), che filoborbonico (come nel 1799), produsse una vasta messe di jacqueries. G li anarchici arrivarono prima che i contadini si fossero resi con-
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:o dell’inadeguatezza delle varie ideologie precedenti - banditismo, mafia, ideologie filo-borboniche o garibaldine - e quindi in un momento in cui essi non sentivano alcuna urgente necessità di una nuova fede. Quando infine .a sentirono, l ’ondata anarchica era già in fase decrescente, e la «nuova» ideologia predominante era ormai il socialismo rivoluzionario di Stato, con un profondo substrato marxista; fu dunque a quest’ultimo che essi aderirono '. Vi sono altre differenze, che soltanto una conoscenza estremamente approfondita della storia e della sociologia della Spagna e del Regno delle Due Sicilie potrebbe permetterci di analizzare in modo esauriente. Comunque, ;0 scopo che mi propongo non è quello di cercare una spiegazione di tali differenze, di cui mi limito a prendere atto.
La Sicilia è una terra troppo vasta e multiforme perché si possa procedere, in questa sede, a una sintesi, per quanto sommaria, dei suoi problemi agricoli e sociali. Ai nostri fini sarà sufficiente prendere nota delle notevoli analogie generali rispetto all’Andalusia, insieme ad alcuni altri elementi. Innanzi tutto, la Sicilia è sempre stata economicamente e socialmente più arretrata delle altre regioni d ’I talia. Il regime feudale vi perdurò ufficialmente fino al 18 12 , ma l ’effettiva abolizione legale di esso non si compì prima del 18 38 , o addirittura del 1862. A causa dell’occupazione inglese, le riforme radicali introdotte dai francesi nel continente subirono, per la Sicilia, delle dilazioni e delle modifiche. Vaste zone, specialmente nell’interno della regione, erano, e continuarono ad essere anche dopo le riforme ufficiali sancite dalla legge, sotto il controllo dei baroni latifondisti e del loro seguito di intendenti e di guardiani armati, coltivati da braccianti o da vassalli affittuari, per la maggior parte a cereali o a pascolo. Come abbiamo visto nel capitolo sulla Mafia, la nuova borghesia rurale, faceva uso dei sistemi, legali o illegali, dei proprietari terrieri feudali, e contemporaneamente dei più mo-
1 M i riferisco alla maggior parte O di’ Italia meridionali: 11 caso eli regioni come la Romagna, dove le ideologie anarchiche ebbero una notevoleinfluenza, è alquanto d iverso , e non può essere paragonato, sotto l'aspetto econom ico, po litico o sociale, a qu ello del M erid ion e o a qu ello d e li ’A n dalusia.
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derni sistemi commerciali del capitalismo agricolo. I l padrone, il suo campiere armato e il gabellotto comandavano: il contadino obbediva passivamente '. In secondo luogo, i contadini siciliani erano oppressi dalla miseria, ignoranti e sfruttati; e anche in relazione al tenor di vita dell’epoca, la indigenza di questa classe era generale. Basti dire che intorno al 18 7 0 , tra le parecchie migliaia di abitanti di Piana dei Greci, soltanto quattro famiglie erano considerate appartenenti alla classe dei «galantuomini» o «boiardi», e soltanto sei famiglie appartenenti alla borghesia, cioè che esercitassero il commercio dei cerealio che tenessero in affitto proprietà che erano in precedenza feudali, ecc. \ In terzo luogo, la Sicilia si trovava allora, e in una certa misura ancora si trova, in una situazione in cui a un latente fermento rivoluzionario contadino, e a una lotta di classe a stento repressa, corrispondeva l ’assenza quasi totale di un ordine pubblico garantito dalla legge, specialmente nelle zone dell’interno, che nessun governo era mai riuscito a sottomettere a qualcosa che somigliasse a un’amministrazione efficiente .
Come abbiamo osservato, le forme tradizionali assunte dal malcontento dei contadini furono estremamente primitive, e praticamente prive di qualsiasi contenuto ideologico, programmatico od organizzativo. In ogni tempo. i contadini hanno odiato i padroni, i loro intendenti e la borghesia; i «berretti» - i contadini siciliani usavanoil tradizionale berretto a calza, o berretto frigio, dei paesi mediterranei - odiavano i «cappelli ». Nei periodi in cui la
1 II capitalismo nelle campagne cit . <1 i i sf.kfni (pp. 1 7 5-881 offre un b reve ma efficacissim o quadro, che può essere com pletato su Ha scorta d i vari rapporti e inchieste contem poranei, com e ad esem pio, quella di Son ni no e Franche! ti del 18 76 . Q uesti due irrep ren sib ili lib era li toscani furono aspram ente accusati dagli indignati proprietari terrieri locali, e di conseguenza un clic dai g iorn ali, di fom entare la lotta d i classe. C fr . 0. p ro c a c c i. Le elezioni del 1 S - 4 e l'opposizione meridionale, M ilan o 19 56 ,p p . j 8-7<j.
* p . vii.t.a r i . Lettere meridionali. T orin o 18 8 5 , p. 27.* L a frequenza delle vendette di sangue è una delle cause p ii nei pali
ilei l ’a ltissim a percentuale di om icid i. C tr. coi. ai a n n i . La delinquenza in Sicilia c it., p. 39. Una indicazione del l'im portanza del fenom eno nei periodi precedenti è data ila Ila seguente enum erazione dei m oventi degli om icid i processati n ell'iso la nel 18 ^ 4 ( k . j . a . m i t t f r m a i f r . Italienische Zustande , H eidelberg 184 4 , pp. 128-29): totale degli o m icid i: 64; rapinao altri m oventi econom ici: 18 ; gelosia, adulterio , ecc.: 16 ; vendetta: v k
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rivoluzione era allo stato latente, si idealizzavano briganti e mafiosi, che sembravano incarnare la vendetta e le aspirazioni dei contadini contro Io sfruttamento padronale. (Cosi come in Italia meridionale, l ’epoca d ’oro di questo brigantaggio è stato il ventennio posteriore all’unificazione ). In tempo di rivoluzione, e cioè ogni qual volta una delle grandi e cronicamente sediziose città dell'isola - Palermo, Catania o Messina - dava il segnale, i contadini insorgevano con cieca e selvaggia violenza, occupando le terre comuni, saccheggiando i municipi, gli uffici delle imposte, gli archivi comunali, le case e i ritrovi della nobiltà. In una sua novella intitolata L ibertà , Verga ci ha dato una mirabile descrizione di una di queste jacqueries Il x ix secolo è un continuo succedersi di queste sommosse; nel 18 2 0 . nel 18 3 7 , nel 1848 , nel i860 e nel 1866. Il mo- eimento dei fasci, oltre ad essere il più esteso, è anche il primo che possa essere definito come un movimento organizzato, con dei capi, un’ideologia moderna e un programma; è questo, in effetti, il primo movimento contadino che si distingua da una semplice reazione spontanea dei contadini
Le ragioni precise che portarono allo scoppio di un’altra sommossa dei contadini, nel 18 9 1-9 4 , esulano dal nostro argomento; ciò che ci interessa, infatti, non sono tanto le cause che dettero origine ai fasci, quanto la forma che, nell’ambito di essi, assunse l ’attività rivoluzionaria dei contadini siciliani . Ci limiteremo a osservare che gli effetti abituali dell’instaurazione di rapporti di natura capitalistica risultarono accentuati dalla crisi mondiale dell’agricoltura degli anni intorno al 1880, ancor prima che
1 D. m ack s m it h . T h e p ea sa n ts r e v o lt o f S ic i ly in i8 6 0 , in S c r it t i in o n ore d i G in o L n z z a tto , M ilano 19 50 ; S. p . rom ano , M o m e n t i d e l R is o r g im e n to in S ic i l ia . M essina-Firenze 19 52
2 Questo studio sui fasci si fonda principalm ente su ll’opera di c o l a tanni, G l i a v v e n im e n t i in S ic i l ia cit.; A d o lfo r o s s i , L ’a g ita z io n e in S ic il ia , M ilano 1894; e sul numero speciale di «Movim ento operaio», n. s., novembre-dicembre 19 54 , sui fasci siciliani. Dopo l ’uscita del presente volume è stata pubblicata una storia del movimento ottima ed esauriente: s. r . rom an o, S t o n a d e i L a s c i s ic i l ia n i , Bari 19 5 9 -
3 D i tutta la letteratura su lle cause dei fasci, cito soltanto i tre articoli apparsi sul « G io rn a le degli E co n o m isti» , I, 18 9 4 , specialm ente quello, eccellente, d i e. l a lo g g ia . J M o t i d i S ic i l ia . C fr . anche F. v o lic iit in g , L a q u e s t io n e m e r id io n a le (N apoli s. d .), pp. 2 0 4 - 11 .
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l ’emigrazione in massa, destinata a divenire una caratteristica peculiare dell'isola, riuscisse a mitigarli, se pure in parte. In effetti, il periodo dei fasci segna l ’inizio dell’emigrazione in massa; è questa la ragione per la quale non si verificarono altre rivolte di contadini di una certa entità fin dopo la prima guerra mondiale. Questo movimento si risolse nella fondazione e nello sviluppo di leghe di contadini (i cosiddetti fasci), per lo più capeggiate da socialisti, in sommosse e in scioperi agricoli di entità tale da mettere in allarme il governo italiano, inducendolo ad adottare speciali misure militari che riuscirono facilmente a soffocarlo.
Non si trattava, in effetti, di un vero e proprio movimento insurrezionale. A differenza dei moti del 18 2 0 , del 18 4 8 , del i86 0 e del 1866 , che erano, in sostanza, dei tentativi compiuti dai liberali o dai patrioti italiani o siciliani di rovesciare dei governi e impadronirsi del potere, i fasci rimasero sempre un movimento diretto ad ottenere particolari miglioramenti economici, per quanto, nelle intenzioni di coloro che vi aderirono, tendessero a scopi molto più vasti. Tuttavia, considerarlo come un semplice movimento riformista sarebbe un errore paragonabile a quello di considerare il cartismo ! un movimento diretto unicamente ad ottenere delle riforme parlamentari. Esso occupa infatti nella storia della Sicilia una posizione sotto alcuni aspetti analoga a quella del Cartismo.
La direzione del movimento venne dalle città e dai lavoratori delle città stesse. Come è noto, gli anni successivi al 1889 segnarono in tutta l ’Europa un rapido sviluppo dell’influenza e della propaganda socialista; le teorie e la propaganda della Seconda Internazionale furono portate in Sicilia tanto dagli intellettuali di idee radicali quanto dagli artigiani, che si accinsero a costituire nelle città associazioni di sinistra, società e organizzazioni di mutuo soccorso: queste furono i fasci. Tuttavia, a causa dell’atmosfera, rivoluzionaria allo stato endemico, questi ultimi
1 [M ovim ento dem ocratico inglese che m irava ad estendere il potere po litico a lle classi lavoratrici (1837-4 8). I l nome deriva dal program m a, « P e o p le ’ s C h arter» , pu bblicato dag li aderenti a tale m ovim ento nel 1838].
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51 diffusero in tutto il paese e divennero organizzazioni adatte a tutti gli scopi, aperte a tutte le categorie di siciliani malcontenti, compresi i contadini, per quanto i fasci rurali venissero in genere fondati molto più tardi di quelli cittadini. L'organizzazione in quanto tale non era ignota ai contadini siciliani, che tuttora vivono, per la maggior parte, piuttosto che in villaggi, in vaste comunità, in seno alle quali ciascuna classe ha per antica tradizione la sua confraternita religiosa, con scopi solamente funerari; faceva eccezione la borghesia, che non ne aveva la necessità economica, e che forse le riteneva incompatibili con il proprio individualismo. Piccole associazioni contadine si erano inoltre costituite qua e là negli anni intorno al 1880, per quanto, in genere, non fosse possibile trasformare in fasci questi tipi di organizzazioni primitive .
Osserviamo pertanto che, per quanto concerne i fasci, è assolutamente da escludere un iniziale contenuto religioso o sociale. Si trattava di organizzazioni di carattere economico, ispirate dalla propaganda socialista, e i contadini le conobbero come tali. Le loro istanze non avevano nulla a che fare col millenarismo. Quasi invariabilmente esse esigevano la riforma del sistema municipale e l ’abolizione di tasse e dazi - , in parte per le ragioni già illustrate nel capitolo sui lazzarettisti, in parte a causa del sistema, enormemente diffuso, di accaparramento delle cariche municipali da parte di qualsiasi fazione della borghesia che esercitasse il controllo sul governo locale\ N elle zone più arretrate i contadini chiedevano la spartizione dei latifondi; nelle zone più progredite la riforma dei contratti agrari, tanto per i braccianti che per i mezzadri e gli affittuari. G li scioperi che si verificarono, e che furono coronati dal successo, erano diretti a quest’ultimo scopo. Le sommosse e le dimostrazioni meno organizzate, verificate-
1 F. re n d a , O rigini e caratteristiche del movimento contadino della Sicilia Occidentale, in «Movimento operaio», n. s., maggio-agosto 1 9 .5.5 , pp. 619-67. L ’autore descrive le confraternite della propria città durante il periodo fascista: la Confraternita del Purgatorio, che reclutava i maestri artigiani, e quella dell'Immacolata, formata soprattutto da contadini.
2 Tra la vasta letteratura che denunzia la politica municipale siciliana, cfr. specialmente: Le condizioni economiche e sociali della S icilia , di G. a l o n g i, in «Archivio di psichiatria», x v , 1894, p. 229, specialmente pp. 242 sgg.
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si per lo più nei centri meno progrediti, erano principalmente dirette contro la municipalità e le tasse Non vi è alcuna prova che i capi del movimento mirassero a una conquista immediata del potere.
Non vi era dunque nessun elemento particolarmente atto a incoraggiare il millenarismo tra i contadini. Pure, si deve tenere presente che coloro che aderirono a questi movimenti avevano una mentalità di tipo prettamente medievale. Cosi, sebbene gridassero «Abbasso le tasse», spesso gridavano anche «V iva il re e la regina! », saldi nella tradizionale convinzione che il re, se soltanto sapesse quali ingiustizie vengono commesse in suo nome, non le tollererebbe2. Ugualmente naturale sembrava loro portare crocifissi o immagini di santi in testa alle processioni, tenere crocifissi con candele accese davanti, nella sede del fascio, e trattare i capi socialisti in visita come vescovi; uomini e donne si prosternavano a terra e cospargevano di fiori il loro cammino’ . Tutto ciò sembrava tanto più naturale, in quanto una delle più notevoli caratteristiche dei fasci, come di ogni altro movimento rivoluzionario, era l ’attiva partecipazione di folti gruppi di contadine Non vi è dunque da stupirsi se le grandi, commoventi speranze rivoluzionarie che i contadini riponevano nei fasci venivano espresse nella tradizionale forma millenaristica.
È indubbio che ciò su cui si appuntavano le speranze dei contadini fosse la rivoluzione, con una nuova società comunista, regno della giustizia e dell’uguaglianza. «Che cosa intendete per socialismo?» chiese un giornalista settentrionale ai contadini di Corleone, uno dei capisaldi del movimento. «L a rivoluzione», risposero in coro alcuni di essi. «M ettere tutte le proprietà in comune e mangiare tutti allo stesso modo», risposero degli altri. Una contadina di Piana dei Greci espresse le comuni aspirazioni con sorprendente chiarezza*. Tutti devono lavorare. Non ci
' Vedi l ’utile «tabella dei m oti», in la lo ggia , / M oti d i Sicilia cit. Per quanto concerne l ’assenza di sommosse nei centri in cui i fasci erano più forti, cfr. ib id .. p. 2 12 .
2 COLAJANNI, G li avvenim enti in Sicilia cit., p. 186.5 r o s s i , L'agitazione in Sicilia cit., pp. 7, 10 .4 Ib id ., pp. 69 sgg., 86. Le opinioni della contadina sono riportate,
in modo più completo, nel n. 3 dell’appendice.
I F A S C I S I C I L I A N I E I L C O M U N IS M O AGRARIO 1 2 7devono essere né ricchi né poveri. Tutti devono essere uguali. Non è necessario dividere le case e i terreni. Tutto deve essere messo in comune e il reddito deve essere distribuito equamente. Questo non farà nascere litigi od egoismi, poiché vi sarà la fratellanza (i membri dei fasci si chiamavano «fratelli») e coloro che agiranno contro la fratellanza saranno puniti. Non che un simile modo di sentire fosse una novità; ma ciò che fino allora non era stata che un'aspirazione segreta e senza speranza, sembrava ora realizzabile, poiché i contadini avevano avuto una rivelazione, che degli uomini nobili e buoni avevano recato loro; uomini che un contadino di Canicatti definiva «angeli discesi dal Cielo. Eravamo al buio, e ci hanno rischiarati» ' Era stato loro rivelato che l ’unione fa la forza, e che con l ’organizzazione si poteva creare una nuova società. Non fa dunque meraviglia che i contadini andassero ai fasci non solo per organizzarsi, ma anche per istruirsi:
«Non andiamo più in chiesa, - diceva una contadina diPiana dei G reci, - ma al fascio. Là dobbiamo istruirci, là organizzarci per la conquista dei nostri diritti»1.
Non sarebbe dunque del tutto esatto definire questo come un movimento millenaristico, né in senso lazzaret- tista né in senso anarchico. La dottrina dei fasci non era millenarismo, ma politica moderna. Tuttavia, nelle particolari condizioni della Sicilia, doveva necessariamente avere una marcata impronta millenaristica per il semplice ratto di essere rivoluzionaria. Era, come gli studiosi del movimento non si stancavano di ripetere, una nuova religione. « È questo un popolo primitivo, reso fanatico da una nuova tede», scrive il Rossi. Più tardi, nell’Inchiesta parlamentare ufficiale si leggerà quanto segueJ:
... e il contadino ne fu colpito e credette veramente che una nuova religione si fosse inaugurata, la vera religione di Cristo, già travisata dai preti alleati ai ricchi. E in molti paesi, abbandonò i preti...
1 r o s s i , L'agitazione in Sicilia cit., p. 38.1 Ib id ., p. 10.1 Inchiesta parlamentare, vo l. V I, 19 10 ; c. lo r e n z o n i, Sicilia, parte
I I , p. 633.
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Era logico che la dottrina socialista non potesse trovarsi in conflitto con la vera fede di Cristo. Gesù, diceva la contadina di Piana, era un autentico socialista, e voleva esattamente quelle stesse cose per cui si battono i fasci; ma i preti non lo rappresentano come dovrebbero, specialmente quando praticano l'usura.. Dopo la fondazione del fascio, i preti si scagliarono contro di esso dal confessionale, dichiarando che i socialisti erano scomunicati. Ma i contadini risposero che i preti avevano torto, e, in segno di protesta, disertarono la processione del Corpus D om ini1. Inoltre, qua e là, gruppi di ribelli cristiani dissidenti vennero a ingrossare le file dei fasci. A Bisacquino, il cappellano della chiesa della Madonna del Balzo, padre Lorenzo, era chiamato «il Socialista» perché, mentre dava ai contadini i numeri per il lotto, diceva apertamente che gli aderenti al fascio non incorrevano nella scomunica, e che san Francesco era stato uno dei primi e dei più grandi socialisti, che aveva, tra l ’altro, abolito il denaro. Alcuni decenni addietro, un esponente della borghesia locale, S. D imino, prete spretato, aveva fondato a Grotte, fra i minatori di zolfo, una Chiesa evangelica, che era riuscita a consolidarsi malgrado l ’accanita opposizione ecclesiastica. Ora, tutti i minatori evangelici divennero socialisti, e fondarono il «circolo Savonarola», ove Dimino predicava loro il socialismo cristiano \ Non è da stupirsi che alcuni uomini di chiesa ritenessero che la parola di Dio predicata dagli intellettuali socialisti fosse anche la parola della religione.
La nuova religione non significò dunque, come in A ndalusia, una netta rottura con la vecchia, per quanto sia probabile che, se i socialisti avessero svolto un’intensa propaganda antireligiosa, sarebbero riusciti, come già gli anarchici, a scristianizzare una parte dei contadini. Vi furono dei contadini che, invece di portare i bambini a battezzare in chiesa, li portavano al fascio. Tuttavia, la religione restava sostanzialmente al di fuori del movimento, se non per il fatto che, istintivamente, i contadini espri-
‘ Rossr, L'agitazione in Sicilia cit., p. 70.2 Ib id ., pp. 89-90.
I FASCI SICILIANI E IL COMUNISMO AGRARIO I 2 9
mevano le loro aspirazioni in termini religiosi. L ’importante era creare un nuovo mondo:
L ’avvento del nuovo mondo, senza miseria, senza fame e senza freddo era un fatto sicuro, perché era voluto da Dio. E si trattava di un avvento imminente. Quasi per incanto. sorgevano i fasci in tutto il palermitano: bastava un discorso di Barbato o di Verro perché le coscienze si svegliassero dal letargo di secoli. Come dubitare, dunque, della prossimità dell’evento? '.
E la diffusione del nuovo vangelo si compì nella stessa atmosfera di fanatismo che abbiamo già osservata in Andalusia. La seguente frase del Rossi potrebbe riferirsi tanto alla campagna cordovese che alla Sicilia:
In certe regioni, si era diffuso una specie di contagio; le turbe erano invasate dalla credenza che fosse imminente un nuovo regno di giustizia \
Come in Andalusia, non era del tutto chiaro il modo in cui questo nuovo mondo sarebbe venuto alla luce, né, come abbiamo visto, i capi del movimento avevano, almeno per il momento, piani rivoluzionari per tradurlo in atto: per quanto né essi né i fasci si trovassero obbligati all’attesa millenaria, o al rifiuto di richiedere e di accettare quelle concessioni minori atte ad alleviare provvisoriamente le penose condizioni dei contadini. I l movimento fu sconfitto. Ma, a questo punto, la storia della Sicilia e quella dell’Andalusia assumono direzioni diverse. Poiché in Spagna il ciclo dell’attesa, della preparazione e dello scoppio di nuovi moti millenaristici riprese, ammettendo solo a un ritmo lento e incerto le ingerenze politiche e organizzative. Ma in alcune zone della Sicilia, le dottrine non anarchiche del socialismo riuscirono a salvare qualche cosa dal naufragio della disfatta. Sorsero qua e là dei movimenti contadini permanenti, capaci di sopravvivere all’oppressione e di sfruttare anche i periodi non rivoluzionari. Può essere interessante illustrare tale fenomeno con l ’esempio di una comunità rurale particolarmente tur
1 g a n c i . Il movimento dei lu sc i cit., p 8 7 3 .: r o s s i . f.\ifiitJzione ni Sicilia cit., pp. 6-7.
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bolenta, quella di Piana dei Greci (ora Piana degli Albanesi) .
Piana fu fondata alla fine del xv secolo, quando alcune tribù albanesi, scampate alla conquista turca, vennero a rifugiarsi in Sicilia. La comunità, che è tuttora il centro più orgogliosamente albanese dell’isola, e conserva la propria lingua e il rito greco cattolico (uniate ), è ancora composta dai discendenti dei primi fondatori; infatti la popolazione locale è praticamente'tutta contenuta entro un numero ridottissimo di nomi di famiglie, la cui genealogia risale al secolo xv , sono quelli delle « nobili famiglie albanesi»; Matragna, Stassi, Schirò, Barbato, Lojacono . Gli albanesi stabilitisi in Italia sono sempre stati assai turbolenti, probabilmente perché lo sforzo costante dei signori locali per ridurre i privilegi da essi ricevuti all’atto del loro insediamento, i continui tentativi della Chiesa per trasformarli in cattolici romani, e la singolarità delle loro concessioni di terre, che, dopo l ’abolizione del regime feudale, fece si che i loro villaggi si trovassero in una situazione critica, inaspriva i loro rapporti con le autorità. Forse a questa situazione contribuì anche la tenacia con la quale mantenevano compatto il loro gruppo nazionale. Comunque sia. Piana era considerata un focolaio di ribellione già molto prima del 18 9 3 . « L ’indole degli abitanti- diceva a Rossi un moderato locale - è così facile alla ribellione, che ogni volta che si verificano tumulti o rivoluzioni, a Palermo o nel continente, a Piana, trascendono subito a gravi eccessi» Assai dì frequente davvero, anche prima di allora, Trevelyan la definisce «la roccaforte della libertà della Sicilia occidentale», poiché i pianesi erano
1 Questa descrizione frammentaria del movimento di Piana si basa principalmente su informazioni raccolte nel paese stesso, grazie alla gentilezza del sindaco onorevole Michele Sala, e su vari resoconti di giornali e di fonti secondarie. Per buona sorte, Piana, che si trova abbastanza v icino a Palermo, è stata ampiamente descritta da giornalisti e altri osservatori che l ’hanno visitata.
2 I Matranga, gli Schirò e i Barbato vengono menzionati come « famiglie nobili» originarie da P. p. r o d o tà , in D el riio greco in Italia, I I I , Roma 1 7 6 3 e da v. d o rsa , in Sugli A lbanesi, Napoli 1847. Su ll’antica comunità cfr. anche a m ic o e s t r a t e l l a , Lcxic. Sicu l., I I , 11 s. v. p. 83 («Piana Graecorum»). E inoltre: Breve cenno storico delle colonie greco-albanesi in Sicilia, in Roma e l ’Oriente, I I I , 1 9 1 1 - 1 2 , p. 26 4 .
3 r o s s i , L ’agitazione in Sicilia cit., p. 3 2 .
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insorti molto prima che Garibaldi sbarcasse coi Mille a Marsala; e già molti anni addietro, il luogotenente generale aveva dovuto riferire al re, a Napoli, che Piana, insieme ad altre zone, aveva una popolazione «bellicosa e sempre pronta a fare rivoluzioni»
Per quanto concerne le cause di tali rivoluzioni, tutti gli studiosi sono concordi; uno di essi, il Villari, ha descritto. nelle sue Lettere m eridionali, le spaventose condizioni degli abitanti, e la loro grave situazione economica nel 1878 . Piana si trovava, e ancora si trova, sulle alture cerealicole tenute a latifondo. Intorno al 1890, la sua popolazione era per la maggior parte composta da braccianti senza terra e da affittuari proletarizzati in seguito ai moti dei fasci, «mezzadri e lavoratori a giornata si erano fusi in un unico strato di poveri» e, a giudicare dalle cifre riportate dal La Loggia, le paghe erano ancora più basse che ai tempi descritti dal Villari . Il paese non aveva una forte tradizione di organizzazioni contadine, per quanto, nel 1890 , avesse una piccola associazione di circa cento membri \ La politica locale, se si eccettuano i tempi di rivoluzione, era dominata dalle famiglie della borghesia che si contendevano il controllo della municipalità, dal terrore dei mafiosi e dei campieri, e dal cieco odio di classe dei «berretti» per i «cappelli».
I fasci spazzarono il paese come l ’onda di una mareggiata. Per buona sorte, uno dei loro leader nazionali - e forse il più abile - era un pianese, il dottor Nicola Barbato, un medico poco oltre la trentina. «Entro quindici giorni - disse al Rossi il suo informatore moderato - Barbato divenne il vero padrone del distretto». A ll ’avvento, piuttosto tardivo, del fascio (aprile 18 9 3), tutta la popolazione adulta, uomini e donne, «tranne i ricchi», vi aderì in massa. Secondo i calcoli della polizia, il numero degli iscritti ammontava a 2800, cioè a più del doppio di quelli di tutti gli altri fasci della provincia, se si eccettua quello di Palermo *. L ’organizzazione locale era cosi perfetta che
1 r . g u a rd to n e , II dom inio dei Borboni in Sicilia ( 1830-61 ) , Torino 15107, I I , p. 56.
2 la lo g g ia , I M oti di Sicilia cit., pp. 2 15-16 .3 r en d a , O rigine e caratteristiche cit., pp. 637-38.
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non si verificò alcuna rivolta di una certa entità, nonostante l'uccisione di uno o due dei membri più influenti del fascio, presumibilmente ad opera dei proprietari terrieri, che minacciavano di morte i militanti. L ’organizzazione sopravvisse all’arresto di Barbato.
Nonostante il fatto che, come abbiamo visto, le aspirazioni dei pianesi fossero di carattere pressoché millenaristico, e lo stato d ’animo nel quale aderirono al fascio fosse estremamente esaltato - le donne vi partecipavano con un fervore particolare - il movimento che li accolse era piuttosto realistico, e diede loro utili e proficue lezioni di politica non millenaristica; organizzazione, e, per il presente, elezioni. Così come in altre località, il fascio presentò sollecitamente candidati per il consiglio municipale, e a farne eleggere un buon numero. Quando Rossi chiese in che modo pensavano che si sarebbe verificato l'avvento del socialismo, la contadina da noi già citata in diverse occasioni mostrò di avere, come al solito, delle idee molto chiare in proposito. Alle prossime elezioni, i fasci avrebbero conquistato la maggioranza a Piana, poiché tutti i votanti, eccetto gli ex padroni, erano dalla loro parte. O vviamente, questo per il momento significava solo che la municipalità avrebbe potuto proteggere un poco i cittadini contro gli abusi e l ’eccessivo potere dei «signori». M a, a suo tempo, i fasci avrebbero eletto dei consiglieri provinciali, dei deputati, e quando a Roma vi fosse stata una maggioranza socialista, tutte le leggi vessatorie sarebbero state abolite '. Per quanto era in suo potere, Piana si è attenuta a questo programma. Il consiglio municipale e il deputato al Parlamento divennero socialisti già prima dello scoppio della prima guerra mondiale, e, in seguito, comunisti; nel 19 5 3 , il partito comunista vi ottenne la maggioranza assoluta dei voti, senza contare i socialisti.
Ciò che più conta, è che i pianesi non soltanto conservarono la loro organizzazione, ma la ampliarono. Una lega di contadini sopravvisse al fascio, con un numero di membri fluttuante, ma sempre considerevole: 600 nel
1 r o s s i , L ’agitazione in Sicilia cit., p. 74 .
: F A S C I S I C I L I A N I E I L C O M U N IS M O A GRARIO 1 3 3
1906, 1000 nel 190 7 , 400 nel 1908 A partire dal 18 9 3 , inoltre, i leader socialisti si adoperarono attivamente per l'impianto di aziende agricole collettive, considerate non soltanto come centri sussidiari del movimento contadino, ma anche come nuclei della nuova società in seno alla vecchia; era questa una forma cooperativistica che, come è naturale, attirava i contadini molto più di altre forme meno ambiziose di cooperazione agricola. Essi prendevano in affitto terre dai gabellotti, le coltivavano in comune e si dividevano i frutti ". Naturalmente, Piana ebbe una di queste aziende fin dall’inizio, e la conservò attraverso tutte le vicissitudini politiche ed economiche clic seguirono .il 1890, con una tenacia veramente eccezionale. Nel 19 53 essa contava 750 membri, su circa 2000 famiglie, esclusivamente socialisti o comunisti.
Dal tempo dei fasci, dunque, i pianesi avevano conservata intatta la loro triplice fedeltà: al com uniSm o, agli albanesi e alla Chiesa greca; a tale attaccamento aveva naturalmente conferito nuovo vigore la conversione della terra natale di Scanderberg alla causa che i pianesi avevano abbracciata già tanto tempo prima di Enver Hoxha. Dal maggio 18 9 3 , mai una volta, neppure sotto il fascismo, avevano tralasciato di recarsi in processione a un remoto passo di montagna, Portella della Ginestra, per tenervi il comizio del primo maggio e ascoltare i discorsi pronunciati dalla «pietra del dottor Barbato», una roccia dall’alto della quale quella nobile figura aveva una volta arringato il popolo. È indubbio che durante il fascismo si facessero soltanto processioni simboliche; tuttavia, i pianesi insistono nell'affermare che qualcuno ha sempre celebrato il prim o m aggio in quel luogo. Nel 19 4 7 , la Mafia ingaggiò il bandito Giuliano perché aprisse il fuoco contro tale dimostrazione: ciò che egli fece, uccidendo una quindicina di persone, e suscitando uno scandalo politico su piano nazionale che ebbe fine soltanto nel 19 56 , con la condanna dei membri superstiti della banda per questo massacro. Per l ’attività politica delle sinistre, questa zona
‘ i.orkn zo n i. Sicilia cit., p. 663.2 Italy: Collective Farms, in «International Review of Agricultural
Economics», v ili , 19 18 , pp. 617-30, specialmente p. 62b.
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è stata sempre estremamente pericolosa, anche se, come abbiamo visto in uno dei precedenti capitoli, fin dall’epoca dei fasci, a Piana la Mafia è sempre stata assai meno potente che in qualsiasi altra località della provincia. I pianesi non hanno cessato di essere rivoluzionari, anche se oggi la loro ideologia non potrebbe essere definita mille- naristica, e neppure, di per sé, sediziosa, e anche se, pur essendo tuttora molto poveri, le loro condizioni sono ora ben lungi dalla disperata indigenza dei primi anni dopo il 1890. La forza della loro organizzazione è bastata, per se stessa, a conquistare loro numerosi vantaggi. Ma lo spirito originario non si è indebolito al punto di divenire meramente riformista. Questo spirito può assumere forme imprevedibili, come nel 19 4 3 , quando, in seguito alla caduta del fascismo, essi costituirono, mi risulta, per pochi giorni, una repubblica indipendente, finché il partito comunista non li convinse dell’inopportunita di tale iniziativa. Ancora oggi, ogni volta che si sente parlare di dimostrazioni nelle campagne, occupazioni dirette di proprietà e simili in qualsiasi zona della Sicilia, la partecipazione dei pianesi è più che sicura. Il loro primitivo entusiasmo millenaristico si è trasformato in qualche cosa di più duraturo: una fedeltà costante e disciplinata a un moderno movimento sociale rivoluzionario. Il loro esempio dimostra come il millenarismo non rappresenti necessariamente un fenomeno temporaneo, ma possa, in condizioni favorevoli, costituire la base di una forma di movimento estremamente resistente e tenace .
Abbiamo dunque illustrato le cause e la natura del millenarismo contadino, insieme ai rapporti che lo legano ai moderni movimenti sociali. Dobbiamo ora considerare la funzione da esso svolta nei movimenti rurali; poiché in effetti esso ebbe una funzione pratica, che vale a giustificare la presenza di un’atmosfera millenaristica intorno a
1 Una magnifica esposizione, fatta da un abitante di Piana, che mostra chiaramente come si combinino le idee politiche con il tono di un predicatore anabattista del Cinquecento, è pubblicata in Inchiesta a Palermo di pa n ilo dolci (Torino 1956, pp. 383-87).
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molti moti rivoluzionari, che altrimenti non avrebbero nulla a che fare con il millenarismo. Esso fece sì che delle masse popolari, fino allora disorganizzate, si organizzassero quasi simultaneamente su un piano nazionale.
Tutti i movimenti sociali si espandono a sbalzi; nella storia di ciascuno di essi si riscontrano periodi in cui la mobilitazione di masse fino allora indifferenti riesce straordinariamente, e spesso vertiginosamente, rapida e facile. Quasi sempre questa espansione assume la forma di un contagio; un propagandista arriva in un luogo, e in breve tempo tutta la regione ne è contagiata; qualcuno costituisce o ricostituisce un’associazione di mestiere disorganizzata, e nello spazio di poche settimane essa è letteralmente inondata di nuovi membri; scoppia uno sciopero,0, meglio ancora, uno sciopero ottiene successo, e in pochi giorni centinaia di fabbriche che si tenevano in contatto con i primi scioperanti scioperano a loro volta '. N ell’ambito di un paese o di una città, il contagio si sviluppa facilmente, dato che uomini e donne si trovano in stretto contatto personale; nei paesi progrediti le notizie vengono diffuse dalla stampa, dalla radio e dalla televisione, e le comunicazioni sono facili. Ma nei paesi arretrati, esse sono lente e irregolari. Le difficoltà di organizzare un movimento su scala nazionale sono ironicamente sóttolineate dall’esperienza siciliana riguardante l ’organizzazione della prima celebrazione del primo maggio, nel 1890 : se non fosse stato per il nervosismo delle autorità, che facevano presente ai funzionari locali la necessità di impedire che, in quel giorno, si verificassero disordini - notizia che si diffuse rapidamente di bocca in bocca - molti socialisti locali spesso non avrebbero neppure saputo che l ’Internazionale aveva dato ordine di fare una dimostrazione. Ma un’atmosfera di forte esaltazione facilita notevolmente la diffusione delle notizie. Schiere di uomini e donne portano allora le liete novelle dovunque possono, poiché, come abbiamo visto per l ’Andalusia, in tempi millenaristici tutti diventano propagandisti. «Contadini di Piana dei G re
1 H o illustrato alcuni aspetti di questa discontinuità in Economic Fluctuations and some Social Movements, in «Economic History R eview », s. I I , v, 1, 1952.
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ci e di San Giuseppe Iato - scriveva un giornale della provincia di Trapani - sono venuti per la mietitura nelle contrade di Paceco e descrivono l ’entusiasmo di là e infiammano i nostri contadini» . L ’entusiasmo circonda anche il più piccolo progresso organizzativo di un’atmosfera di invincibilità e di fiducia in un prossimo trionfo, e nulla è più contagioso del successo. A questo modo, un movimento può mobilitare quasi simultaneamente le masse di una vasta zona; e questa è una mossa di enorme importanza politica, poiché sei villaggi che si muovono simultaneamente esercitano un impulso molto maggiore, e da un punto di vista politico incomparabilmente più efficace, che se effettuassero lo stesso movimento a intervalli, per esempio, di un anno. Il millenarismo, infatti, non è la semplice, commovente sopravvivenza di un passato ormai remoto: è invece un fenomeno estremamente utile, di cui i moderni movimenti politici e sociali possono servirsi con profitto al fine di estendere la loro sfera di influenza, e di imprimere le loro dottrine nelle menti di coloro che vi aderiscono. Poiché, come abbiamo veduto, se non è sostenuto da un giusto ordine di idee, per quanto concerne l ’organizzazione politica, la strategia e la tattica, e da un programma appropriato, il millenarismo è inesorabilmente condannato. Da solo, esso può sussistere, nel migliore dei casi, come un flusso sotterraneo di credenze in una determinata setta, ad esempio nel lazzarettismo, o come un gruppo di capi in potenza, o una predisposizione a periodiche insurrezioni, come in Andalusia. Si tratta di un movimento che può essere, e certamente sarà sempre, oggetto del più appassionato interesse per chiunque abbia a cuore i destini dell'umanità; ciò non toglie che, come già vedemmo, esso sia perpetuamcnce sconfitto.
Nondimeno, qualora venga posto al servizio di un movimento moderno, il millenarismo non soltanto può divenire politicamente efficace, ma può divenirlo senza perdere quello zelo, quella fede ardente in un nuovo mondo, quella generosa esaltazione che lo contraddistinguono an
1 s. COSTANZA, I Fasci dei lavoratori nel Trapanese, in «Movimento operaio» cit.. p. 1028 nota.
I F A S C I S I C I L I A N I E I L C O M U N IS M O AGRARIO 1 3 7
che nelle sue forme più primitive e aberranti. Non.è possibile leggere la testimonianza di gente simile all’anonima contadina di Piana, senza sperare che il loro spirito non vada perduto.
Capitolo settimo
Il mob cittadino
Finora ci siamo occupati quasi esclusivamente di movimenti sociali i cui membri e i cui programmi erano egualmente primitivi. Invero, è per uno strano capriccio della storia che i banditi, i mafiosi, i lazzarettisti, i socialisti rurali della Sicilia e gli anarchici rurali dell’Andalusia si sono trovati a vivere nei secoli x ix e x x , invece che nel x iv . Essi erano legati a un modo di vita molto più arretrato; fu per loro una tragedia che un nuovo mondo, per loro non del tutto comprensibile, li travolgesse verso un futuro contro il quale tentavano di lottare a forza di illusioni e di violenza. Passiamo ora ad occuparci delle forme primitive di movimento sociale presso coloro che appartenevano al nuovo mondo cittadino dell’industria e del capitalismo moderno. In questo campo, come è naturale, non troveremo un primitivismo altrettanto marcato; pure, se ne troverà sempre una certa misura, dato che la prima generazione dell’attuale popolazione industriale era allora tutt’altro che avvezza a un genere di vita cosi nuovo e tumultuoso. Essi impararono, alla fine - per la Gran Bretagna, collocherei questa svolta cruciale intorno al 18 5 0 - ciò che si può chiamare «le regole del gioco» della moderna società industriale; i moderni movimenti operai rappresentano il risultato più impressionante e più diffuso di questa loro educazione. Non si deve tuttavia dimenticare che in tutti i paesi, il nucleo iniziale della mano d ’opera industriale fu costituito, come il popolo americano, da una prima generazione di immigranti provenienti da società preindustriali, anche se in realtà non si erano mai mossi dal loro luogo di nascita. E , come tutti gli apparte
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nenti a una prima generazione di immigranti, essi guardavano tanto al passato quanto all’avvenire.
Comunque, prima di trattare del primitivismo tra le classi che caratterizzano la moderna società capitalistica, sarà opportuno parlare di alcuni movimenti che stanno tra il vecchio e il nuovo: di quelli, cioè, delle grandi città preindustriali. I più caratteristici movimenti di tali centri sono e furono le corporazioni artigiane, un tipo di organizzazione che appare universalmente diffuso, in ogni luogo e in ogni tempo, ovunque vi sia una città preindustriale. La natura di tali corporazioni e il ruolo da esse svolto nella politica cittadina sono abbastanza noti da rendere inutile una dissertazione sull’argomento. Anche i legami che uniscono tali corporazioni (e organizzazioni analoghe) e i successivi movimenti urbani di operai specializzati sono altrettanto noti In generale, la discriminazione sociale nell’ambito di un mestiere, o tra un mestiere e l ’altro, diede origine ad organizzazioni modellate sullo schema delle più antiche corporazioni o confraternite, ma che tuttavia esprimevano gli interessi specifici di gruppi particolari, specialmente dei lavoranti; e, in seguito, buona parte della struttura tradizionale passò - le modalità di questo trapasso sono ancora, qua e là, oggetto di controversia - ai primi sindacati di operai specializzati del periodo industriale. Inversamente, alcune delle più antiche organizzazioni di lavoranti - come i Compagnonnages francesi o i Gesellenverbànde tedeschi - prima di cedere il passo alla più moderna struttura del sindacato, assunsero, all ’inizio del periodo industriale, alcune funzioni caratteristiche di quest’ultimo :. Alcuni aspetti della sopravviven
1 L ’opera Industrial Organization in the Sixteenth and Seventeenth Centuries di G. unw in, rimane la migliore trattazione su ll’argomento per l ’Inghilterra. . . .
- L ’articolo di sc h o en la n k , Gesellenverbànde, nelle prime edizioni del Handworterbuch der Staatswissenscbajten e Le Compagnonnage di M. ST-LtON, costituiscono le più urili basi per questo studio. Per un artigianato particolarmente tradizionale, illustrato anche da Unwin, cfr.: G. d es m a rl/ , Le Compagnonnage des Chapeliers Bruxellois, Bruxelles 1909, e J. v ia l , La Coutume Chapelière, Paris 19 4 1. Per l ’assunzione di alcune funzioni sindacali da parte dei compagnonnages, cfr. per esempio e . todt e H. radan t , Zur F riihgeschichte der deutseben Gewerkschaftsbe- wegung 1800-1849, Ost. Berlin, 1950.
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za di queste tradizioni verranno esaminati nel capitolo sul rituale dei movimenti sociali.
Ugualmente conosciute sono le attività politiche dei lavoranti e degli operai specializzati cittadini nel periodo preindustriale; o meglio, il fatto che essi fossero, da un punto di vista politico, estremamente attivi e coscienti, è generalmente noto. Chi dice calzolaio dice radicale, e lo stesso avveniva per gli altri piccoli artigiani. Per quanto i loro movimenti possano avere avuto un’impronta di «prim itivism o», in complesso devono essere considerati come i raggruppamenti più moderni e progrediti del proletariato operaio, e come quelli più propensi ad adottare nuove ideologie, - in genere varianti dell’ideologia giacobina.
Qui, tuttavia, ciò che a noi interessa non è tanto questa corrente centrale della politica e dell’organizzazione dei lavoratori nelle città. Ci occuperemo invece di qualche cosa che, può essere definito, piuttosto che come una corrente, come un perenne vortice nella vita cittadina. Usando la classica espressione inglese, possiamo chiamarlo semplicemente il mob, poiché una delle più appariscenti caratteristiche del fenomeno, che colpisce a prima vista gli osservatori, è appunto la sua estrema m utabilità'. Il mob può essere definito come il movimento di tutte le classi proletarie cittadine al fine di ottenere, mediante un'azione diretta (cioè mediante insurrezioni o ribellioni), riforme di natura economica o politica; questo movimento non era ispirato da nessuna ideologia particolare; o, se pure esprimeva in qualche modo le proprie aspirazioni,lo faceva in termini tradizionalisti e conservatori (come il mob «per la Chiesa e per il R e»), Si trattava di un movimento prepolitico, e, come tale, primitivo nella nostra accezione del termine. È comunque assai strano che, per quanto in tutti i tempi si sia fatto un gran parlare del mob e delle sue sommosse, e ne sia stata fatta severa condan
1 Spero che da quanto segue risulti chiaro che non ogni sommossa cittadina è una sommossa del mob, e che del pari non ogni grande assembramento di cittadini costituisce un mob, nel senso in cui questa parola viene usata nel presente capitolo. La chiarificazione non ci appare inopportuna, dal momento che pochi termini sono stati usati più indiscriminatamente di questo.
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na, questo movimento sia stato cosi poco studiato. Tuttavia, in molti paesi si stanno ora intraprendendo seri studi su queste rivolte; cito in particolare quelli del dottor George Rude, che ha lavorato su materiale francese e inglese, e alla cui profonda conoscenza dei moti del x v m secolo io devo moltissimo. Tale forma di agitazione deve essere studiata oggi, se si desidera comprenderla appieno, dato che, in molte parti del mondo, essa ha già da lungo tempo cessato di essere quel metodo corrente, e persino comunemente accettato, di azione popolare che era una volta '. Il mob come fenomeno sociale ha mostrato una tendenza a scomparire, cedendo il passo, in molti luoghi, alla classe operaia industriale. Inoltre, in seguito alla R ivoluzione francese e al sorgere dei movimenti socialisti le pubbliche autorità, specialmente nelle grandi città e nelle capitali, sono divenute molto più guardinghe, in fatto di assembramenti e disordini, di quanto lo fossero prima; e forse in conseguenza di ciò, nel corso degli ultimi centocinquant’anni, l ’apparato dell’ordine pubblico si è fatto sempre più vasto ed efficiente, anche nei paesi in cui l ’azione dello Stato è riguardata con maggiore diffidenza. Soltanto al di fuori dell’Europa occidentale si possono ancora trovare dei normali cittadini di grandi città che abbiano qualche esperienza di rivolte e di mob preindustriali.
Il fatto che il mob sia un fenomeno prepolitico non significa necessariamente che esso sia privo di idee politiche esplicite o implicite. È vero che spesso si insorgeva «senza alcuna idea», vale a dire, in generale, contro la disoccupazione e per una diminuzione del costo della vita- dato che, nell’epoca preindustriale prezzi da carestia e disoccupazione tendevano normalmente a coincidere ‘ - e, di conseguenza mercati, commercianti, e tributi locali come, ad esempio, i dazi, ne costituivano, in tutti i paesi, gli obiettivi naturali e quasi immutabili. I napoletani, che, durante la rivoluzione del 16 47 , cantavano:
1 Per il «diritto tli ribellione» ctr. h a i.lvv A History of the EnglishPeople it: 1 S 1 ; , I , pp. 93 sgg.
■ L . T. H O B S H A W M , Economic Fluctuations and some Social M ovements, in «Economic History Review », I I , v , I, 1952, p.
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Sui viveri non ci fu mai gabellanon ci fu mai né dazio ne dogana 1
esprimevano un'aspirazione alla quale quasi tutte le classi indigenti delle città avrebbero fatto eco. Poiché, per il fatto che la massa dei poveri delle città, anche in tempi normali, viveva ai limiti delle necessità di sussistenza, e che ogni aumento dei prezzi o della disoccupazione li precipitava nella catastrofe, assai di frequente le loro sommosse non erano altro che reazioni automatiche e inevitabili a tali mutamenti. A Parigi, durante la rivoluzione francese, l ’andamento dei prezzi dei viveri costituiva, come è noto, un barometro infallibile dell’agitazione delle masse. Comunque, l ’attività e le idee del mob non si limitavano a delle pure e semplici sommosse contro il carovita.
Nelle sue manifestazioni, infatti, si ritrovavano in genere almeno due - o forse tre - altre idee. In primo luogo il mob chiedeva di esser preso in considerazione. In genere, il mob non insorgeva soltanto per protesta, ma perché sperava, cosi facendo, di ottenere qualche cosa. Esso presumeva che la rivolta avrebbe impressionato le autorità, e che forse le avrebbe indotte a fare qualche concessione immediata; poiché il mob non era un puro e semplice assembramento di persone raccolte a caso per il perseguimento immediato di un fine particolare, ma una entità permanente in quanto riconosciuta, benché di rado fosse stabilmente organizzata come tale. Pure, lo era talvolta, ma le forme permanenti di organizzazione della plebs - diverse dalle corporazioni artigiane - debbano ancora essere studiate, come, ad esempio, le confraternite religiose delle città europee, o i vari pangs della Cina. In secondo luogo, le attività del mob, qualunque ne fossero l ’obiettivo ufficiale, una ideologia o l ’assenza di qualsiasi teoria, erano sempre dirette contro i ricchi e i potenti (se pure non necessariamente contro il capo ufficiale dello Statoo della città). Durante i moti anticattolici di Gordon i distretti con più vasto contingente di popolazione cattolica se la cavarono quasi a buon mercato. Il maggior numero
1 m . s c h i p a . La cosiddetta rivoluzione di Masaniello, in «Archivio Storico delle Provincie Napoletane», s. I I , pp. n , 7.3.
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delle case distrutte si trovava, con una sola eccezione, in distretti ove il gruppo dei cattolici era esiguo. Tra i 136 cittadini che chiesero risarcimenti, in seguito ai moti, e di cui conosciamo la professione, 33 erano Pari, ambasciato- ri o gentiluomini, 23 erano professionisti o preti, 29 erano osti e simili, 33 commercianti, rivenditori o negozianti, 15 probabilmente artigiani, e soltanto quattro salariati'. I viennesi insorti contro l ’esecuzione del re di Francia, nel 17 9 3 , diressero la loro furia contro i nobili francesi emigrati '. I lazzaroni napoletani, che incarnavano la quintessenza del mob, furono strenui difensori della «Chiesa e del re», e, nel 1799 , antigiacobini ancora più accaniti. Cosi, cantavano canzoni che si scagliavano contro tutte le classi dirigenti, le quali, a loro avviso, avevano «tradito il re», specialmente «nobili e frati»; saccheggiavano imparzialmente le case dei realisti, e chiamavano giacobino e nemico del re chiunque possedesse una proprietà, o, più semplicemente, chiunque andasse in carrozza Questo andazzo ha talvolta suscitato in osservatori prevenuti - e quasi tutti gli osservatori, di qualsiasi indirizzo politico, non hanno considerato il mob classico con eccessiva simpatia - la tentazione di descriverlo come un branco di lumpenproletari e di criminali in cerca di bottino \ Ed effettivamente, non c ’è dubbio che i depravati e i delinquenti, cosi numerosi nelle grandi città, si appropriassero di tutto ciò di cui queste misere popolazioni, come sa chiunque abbia trascorso anche solo poche ore a
5 GKORGE rudi-. The G ordon Riots, in «Transactions of the Rovai H istorical Society», s. v., v i, 1956. Rude ha poi continuato i suoi bellissimi studi con W ilkes and Liberty, O xford 1962. r. h. rose , in The Priestley riots o f 17 9 1 , ci fornisce ora un resoconto completo di un’altra importante sollevazione inglese di questo periodo, ma rimane ancora da studili re la rivolta di Liverpool del 1776. e. Thompson, in The making o f the E n glish working class (London 1963, pp. 19 , 62-78), analizza anche a fondo il fenomeno del «mob per la Chiesa e per il Re».
2 Sono grato, per queste notizie, al dottor Ernst Wangermann.3 In Curiosità Storiche di n. croce (Napoli 19 19 ), a pp 136-37, sono
citati alcuni versi. Per il saccheggio delle case dei realisti, nel 1860, cfr, croce, Storia del Regno d i N apoli, Bari 1925, p. 224, e La Rivoluzione napoletana del 1779-, m afff .i. La vita dei briganti.
4 Cfr. F. BRANCA!0, O rigini e carattere della rivolta palermitana del 1886, in «Archivio Storico Siciliano», s. I l i , v, 1952-53, I, pp. 139 sgg. per alcuni rapporti consolari francesi che smentiscono apertamente tale interpretazione.
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Napoli o a Palermo, hanno estremamente bisogno. Tuttavia, come vedremo, il mob non era, in sostanza, una banda di individui del genere.
Il terzo fattore costante era forse l ’ostilità verso i forestieri; cioè verso i non cittadini. Una sorta di campanilismo istintivo sembra essere una caratteristica costante del classico mob. Le rappresentazioni popolari di Vienna, dal 170 0 al i860 , che, rivolgendosi al comune pubblico «suburbano» forniscono un magnifico specchio di quelle opinioni popolari che di solito rimangono inesprcsse, riflettono con estrema chiarezza questo intimo orgoglio del cittadino. I lazzari napoletani avrebbero difeso la gloria della loro città contro i disprezzati provinciali anche a costo di dare il loro appoggio ai giacobini.
Chi, dunque, faceva parte del mob? Il nerbo di esso era costituito da quella classe che nel continente viene comunemente chiamata popolino (menti pettple o popolo minuto), e specialmente dagli abitanti di certi antichi quartieri con un marcato spirito di coesione, come Faubourg St-Antoine a Parigi, Trastevere a Roma, o Mercato a Napoli. Era un insieme di salariati, piccoli proprietari, e di inclassificabili poveri cittadini '. Per quanto concerne la città di Napoli, dove questo gruppo era forse pili cosciente della propria entità collettiva, sotto il nome di lazzari o lazzaroni, e dove è stato più di frequente accusato di annoverare principalmente mendicanti e lumpenprole- tari, possediamo su di esso una documentazione assai esauriente. Secondo Goethe, i lazzari erano semplicemente popolo minuto o disoccupati. Un cronista, citato da Croce, che scriveva durante la rivoluzione del 179 9 , ce ne dà una descrizione assai più precisa. Ne facevano parte i facchini - una classe che, anche in altre città, soleva capeggiare le sommosse' - , e probabilmente i portuali, gli apprendisti e i lavoranti dei più umili mestieri: cordai, fabbri, lattonieri, magnani, stagnini, conciatori di pelli,
1 c rudi-:, The M otives of popular insurrection during the French R evolution, in «Bulletin Institute Historical Research», x x v i, 1 9 5 3 , P- 55 notn.
• lb., I..a taxation populaire de mai 17 7 5 , in «Annales Ilistoriques de la Revolution Friin^aise», aprile-giugno 1956, p. 38.
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sarti c calzolai. Gli artigiani della lana e della seta, gli intagliatori di legno, gli orafi, gli argentieri, i gioiellieri, e persino i servitori di case ricche, si consideravano superiori ai lazzari . Naturalmente, si deve aggiungere lo stuolo dei venditori ambulanti, dei piccoli rivenditori di tutte le specie, e di coloro che vivevano di espedienti, di cui le città preindustriali abbondavano. I lazzari si identificavano dunque, in sostanza, col popolo minuto delle altre città, distinguendosene soltanto per la loro maggiore coesione; essi infatti eleggevano ogni anno dei capolazzari ed erano fanaticamente attaccati al culto napoletano di san Gennaro, come i loro pari, a Palermo, osservavano il culto della patrona della città, santa Rosalia. Essi assursero a classe riconosciuta durante la rivoluzione del 16 4 7 , che portò temporaneamente al potere uno di essi, il pescivendolo Masaniello; questa non fu né la prima né l ’ultima, ma certamente la più impressionante delle numerose sommosse di questa città :. Per lo meno, il nome di lazzari appare per la prima volta nel 16 47 , per designare i partigiani di Masaniello, e, per quanto dal 1650 al 17 50 esso sia poco usato, più tardi riappare ed è definitivamente fissato nell’uso comune dalla loro contro-rivoluzione del 179 9 s. Sembra che, a Roma, il popolo minuto indigeno, forse per antica tradizione, fosse assai meno dedito all’artigianato, e che preferisse dedicarsi ai mestieri di macellaio, barcaiolo, carrettiere, pescatore, facchino, conciatore di pelli, «selciatolo», o di venditore ambulante di merci varie, lasciando, come riferiscono alcune fonti, i vari mestieri artigianali ai forestieri venuti a Roma in cerca di fortuna1. Non c ’è dubbio che tra di essi la percentuale di lumpen- proletari fosse assai alta. Era bassa, invece, in una grande città del Nord come Milano, ove, tra la popolazione ma
1 b. cuori:. I lazzari, in Varietà ili storia letteraria t* civile, Bari 1935*I , pp. iS y sp s .
- Cltr., a questo proposi ro, s c iu p a , La cosiddetta ri colazione d i Af«i- saniello eie., in «Archivio Storico delle Provincie Napoletane», n. s., voli. Il e I I I . e inoltre il suo La niente di Masaniello, ivi, voli. I, X X X V III. XXXIX.
J h. c ro c i, Varietà intorno ai lazzari, in «N apoli Nobilissim a», xiv , 190^, pp. 140, 17 1 , 190.
J s i l v a g n i , La C orte cit., da 1. d a l pani:, in Storia d e l lavoro in Ita lia 17 0 0 1 8 1 5 , Milano 19 4 3 , p. 102 .
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schile, vi erano circa 27 000 operai e piccoli negozianti, e soltanto 2500 tra «mendicanti, oziosi, vagabondi, carcerati, con le loro donne»
In ogni modo, è pacifico che il mob fosse costituito dalle classi povere della città, e non soltanto dalla feccia. A ssai spesso, anzi, i gruppi «rispettabili» della città, come le corporazioni artigiane, vi collaboravano, o addirittura si univano ad esso, come nei moti del 17 7 3 a Palermo, o nei moti del 1790 a Bologna, ai quali presero parte «non solo persone di bassa e vile estrazione, ma anche membri del- l ’artigianato» \
Un simile nucleo di ribelli in potenza, e spesso in atto, esisteva in ogni città di una certa importanza, in cui la polizia e l'esercito fossero fiacchi. Tuttavia, vi erano alcune città in cui il mob aveva un'importanza particolare, ed era contrassegnato da una sua propria conformazione prepolitica; erano queste le classiche metropoli preindustriali, in genere delle capitali, che vivevano a spese della corte, del governo, della Chiesa o dell’aristocrazia che vi risiedevano. La maggior parte di tali città si trovava nell'Europa meridionale, dato che la combinazione di queste caratteristiche si riscontrava per lo pili in città la cui esistenza si protraeva ininterrottamente da epoca anteriore all ’alto Medioevo, e che non avevano mai avuto regime re- pubblicano.
G li esempi più caratteristici di questa tradizione cittadina sono rappresentati da città come Roma, Napoli, Palermo, e forse anche Vienna o Istambul, grandi città imo da tempi remoti, che sempre furono governate da un principe.
In tali città il popolino viveva con i suoi governanti in uno strano rapporto, in cui confluivano in parti uguali elementi di parassitismo e di ribellione. Il loro modo di pensare, se tale è la definizione esatta, può essere enunciato con chiarezza nel modo seguente. È compito del sovrano e della sua aristocrazia provvedere al sostentamento del popolo, sia col fornirgli lavoro, ad esempio proteggendo
1 dai. p a n e , Storia del lavoro in Italia c it ., p . io o .2 Ib id ., pp. Z7<), 323.
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gli artigiani locali, spendendo generosamente e facendo elargizioni come si conviene a un principe o a un gentiluomo, sia attirando nuove fonti di lavoro e di lucro, come, ad esempio, il movimento dei turisti e dei pellegrini. Ciò è tanto più necessario, in quanto questi centri di corti principesche non sono, in genere, delle città industriali, essendo spesso troppo grandi perché le industrie locali forniscano lavoro sufficiente; infatti, come spesso è stato osservato, le più grandi città preindustriali erano in genere cosi vaste in quanto centri amministrativi e residenza di una corte. Naturalmente, come nel caso di Roma, il popolino poteva spingersi fino ad avversare l'industrializzazione, poiché i suoi componenti la consideravano al di sotto della loro dignità di cittadini, e preferivano non avere un’occupazione fissa. Comunque, se per qualsiasi ragione l ’abituale tenore di vita delle popolazioni fosse stato compromesso o ridotto, era dovere del principe e della sua aristocrazia distribuire soccorsi e mantenere basso il costo della vita.
Se costoro adempivano a questo dovere, potevano contare sull’appoggio effettivo ed entusiastico del popolo. In vero, per quanto cenciosa e miserabile, la plebe identificava se stessa con lo splendore e la grandezza della città, che spesso, se pure non necessariamente, identificava a sua volta con la persona del sovrano. Cosi, Vienna era la corte imperiale, Roma era il Papato, e, con ogni probabilità, i Borboni di Francia furono male consigliati a preferire alla lealtà tumultuosa, ma effettiva, dei loro parigini la tranquillità di Versailles, dove, se era più facile domare le sommosse, i vantaggi politici della residenza regale erano ridotti al minimo. Nulla di più facile, dunque, per il popolino, che identificarsi con la città e i suoi governanti. Per quanto povero e diseredato, esso non subiva uno sfruttamento diretto da parte della corte borbonica o papale, ma ne era invece il parassita, partecipando, se pure in minima parte, a quel generale sfruttamento da parte delle città, delle province e delle campagne - fondamento di tutta l ’economia urbana preindustriale dei paesi Medi- terranei - , come pure allo sfruttamento del resto del mondo attraverso il commercio, i turisti e i pellegrini. Cosi, i
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governanti e questo popolo di parassiti vivevano in una specie di simbiosi. Non si sentiva neppure la necessità di tenere queste due classi separate, come nelle città moderne. La tradizionale metropoli medievale o assolutista non ha quartieri eleganti; come si può tuttora osservare in alcuni rioni di Roma o di Palermo, e nei più antichi quartieri di Parigi - ma non in quelli posteriori alla rivoluzione - i tuguri e i mercati a ll’aperto fiancheggiavano i palazzi. La città era un’unità culturale. È assai probabile che la tacita convenzione per la quale l ’aristocrazia di Vienna, di Venezia o di Napoli proteggeva il teatro dialettale e parlava una versione solo leggermente corretta dell'idioma popolare del luogo, e non un particolare linguaggio sofisticato, esprimesse questa fondamentale comunanza di interessi di tutta la città contro gli sfruttati campagnoli o forestieri. Non è facile, ai nostri tempi, immaginare un imperatore che conversa con i suoi arciduchi nell’equivalente viennese di un cockney solo leggermente corretto, come fecero gli Absburgo fino alla fine.
Purché, dunque, il sovrano compisse il suo dovere, la plebe era pronta a difenderlo con ardore. In caso contrario, continuava a fare sommosse finché quel dovere non fosse stato adempiuto. Di tale meccanismo erano ben conscie ambedue le parti; e finché il normale attaccamento del popolo alla città e ai governanti non fu sostituito da un altro ideale politico, o finché il mancato adempimento del loro dovere da parte dei governanti fu soltanto temporaneo, ciò non fece sorgere gravi problemi politici, a parte qualche sporadica distruzione di proprietà. La perpetua minaccia di ribellioni faceva si che i governanti controllassero i prezzi, dessero lavoro ed elargizioni, e prestassero ascolto al loro fedele popolo anche su altre questioni. Poiché le rivolte non erano dirette contro il sistema sociale, l ’ordine pubblico poteva rimanere, rispetto a quello odierno, straordinariamente rilassato. A l contrario, il popolo era assai soddisfatto dell’eflicacia di questo meccanismo al fine di esprimere le proprie esigenze politiche, e non cercava altro, dato che ciò che chiedeva era poco più dello stretto necessario per vivere, un po' di divertimento e il riflesso della gloria del principe. Un mirabile quadro
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di questa situazione è stato tracciato per la città di Parma, ove il rozzo proletariato, che viveva dei sussidi concessi dalla beneficenza ducale, non desistette mai dalle sue «sante» insurrezioni, alzando barricate e tirando mattoni, pur rimanendo sinceramente affezionato alla sua amata duchessa Di conseguenza, i parmensi ebbero la più grande difficoltà ad adattarsi ai nuovi sistemi politici della fine del secolo scorso, cioè alle elezioni e ai sindacati, di cui non riuscivano a comprendere la necessità. Ancora nel 1890, quando già intorno ad essi' tutti si erano orientati verso i nuovi sistemi, i parmensi, malgrado i leader riformisti delle loro associazioni di lavoratori, facevano ancora delle sommosse, e nel 18 9 5 , quando Milano e la Romagna votarono per le sinistre, Parma non lo fece. Il popolo non era ancora pervenuto a considerare il voto come un’arma politica seria. A questo proposito, è significativo il fatto che nel 1898 , soltanto nelle campagne si organizzavano scioperi, oltre che sommosse: nella città di Parma ci si limitava alle sommosse. Comunque, l'ondata nazionale delle insurrezioni di quell’anno, che ebbe un’importanza cruciale per lo sviluppo del socialismo italiano, portò anche i parmensi a schierarsi colle sinistre, per quanto, anche allora, Parma rimanesse un’isola massonico-radica- le in una regione socialista; vale a dire che il suo spostamento a sinistra fu determinato dalla piccola borghesia, piuttosto che dalla classe operaia.
Questo ritardo politico della città (non industriale) rispetto alle campagne, non era e non è una caratteristica esclusiva di Parma. Si tratta invece di un fenomeno assai diffuso nelPItalia meridionale fino ai nostri giorni, benché nel corso dell’ultimo decennio sia cominciato lo spostamento a sinistra nelle elezioni delle grandi città cosi, come abbiamo visto nel capitolo sulla Mafia, nelle prime elezioni dopo la caduta del fascismo, i voti ottenuti dalle sinistre a Palermo, Messina e Catania, erano meno della metà di quelli delle zone rurali, per quanto, da allora, il loro numero sia quasi raddoppiato. Nelle stesse elezioni (1946) a Roma i voti apolitici, compresi quelli per il par
1 b. RiGuzzi, Sindacalismo e riform ismo nel Parmense, Bari 19 3 1.
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tito monarchico, furono notevolmente più numerosi che in qualsiasi altra provincia del Lazio; a Napoli, furono alquanto più numerosi che in qualsiasi altra zona della Campania Nella provincia calabrese di Cosenza, nel 19 5 3 , le sinistre ottennero più del doppio dei voti dei monarchicineofascisti: ma nella città di Cosenza ottennero soltanto il 159Ó in più Non è per caso che uno dei partiti monarchici, rappresentato principalmente da un armatore miliardario e demagogo assai influente nella città, sia risultato a Napoli più forte che in qualsiasi altra grande città d ’Italia. Nel 19 56 vi ottenne un numero di voti quasi triplo di quello dei comunisti. Tuttavia, questa mancanza di interesse da parte dei proletari delle grandi città per la politica moderna - che si risolve, quando votano, in una specie di conservatorismo - , non è soltanto il risultato delle particolari simbiosi di cui sopra, ma può anche derivare semplicemente da debolezza o da mancanza di qualche cosa che - come le grandi fabbriche o una solidarietà artigiana o paesana - li aiuti a consolidare le loro opinioni politiche. Uno dei fatti più noti della storia politica della città di Londra è il voto apolitico dell’East End fino agli albori del nostro secolo, quando passò al partito laburista senza attraversare lo stadio precedente della coscienza politica, costituito dal liberalismo radicale. Le antiche circo- scrizioni di artigiani e piccoli negozianti, specialmente quelle situate a sud del Tamigi, pervennero molto prima a una coscienza politica, cioè al radicalismo, e ad esso rimasero fedeli molto più a lungo, passando al partito laburista soltanto intorno al 1920 .
Nondimeno, la simbiosi del mob con coloro contro i quali periodicamente si ribellava non era necessariamen
1 I voti dati al partito monarchico o al partito qualunquista (neofascista) sono giustamente considerati dagli studiosi del Meridione d ’Italia come indicatori dell’assenza di i:na coscienza politica piuttosto che come voti politici. Un basso nuni<-:\> di voti per la democrazia cristiana o per il socialcomunismo contraddisnngue quella che è stata definita la «zona grigia» eieI risveglio politico, così come un cervellotico spostamento da un candidato estremista al l ’altro. Cfr. sc o t e l la r o , Contadini del Sud cit., pp. 31-32.
2 Sono grato al signor Nino Cavatassi, segretario della federazione del p c i di Cosenza, che mi ha fornito le cifre delle elezioni provinciali, suddivise per città e villaggi.
IL MOB CITTA D IN O 151
te il fattore essenziale della sua politica. Il mob si ribellava, ma talora faceva anche delle vere rivoluzioni, anche se venivano fatte apparire come controrivoluzioni. Il mob era povero; «loro» erano ricchi; la vita era dunque fondamentalmente ingiusta verso i poveri. Questa la sostanza del loro atteggiamento, che è espresso nelle parole di innumerevoli ballate popolari («in tutto il mondo è sempre lo stesso, il povero ha sempre torto» a Londra come a Siviglia; «Sono rinchiuso in una cella perché non ho denaro; con una chiave d ’oro non v e porta che non si apra») che idealizzavano la ribellione anarchica di briganti o banditi da strada, divenuti fuorilegge in seguito a contrasti con un gran signore o con lo Stato, che sempre venivano traditi e sempre traevano la propria rivincita. Le idee rivoluzionarie insite nel mob erano di carattere primitivo; erano cioè, a modo loro, l ’equivalente cittadino di quello stadio di coscienza politica rappresentato nelle campagne dal banditismo sociale. Come il banditismo, quando si manifestò come un fenomeno di carattere apertamente politico, generalmente lo fece in una forma che può essere definita come un legittimismo barricadiero; ad esempio, nei paesi assolutisti, come il «mob per la Chiesa e per il Re».
Vale la pena di soffermarsi un istante ad analizzare questo legittimismo popolare, poiché le idee che ne costituiscono il sottofondo non sono una prerogativa delle grandi città, ma sono state largamente condivise da tutte le popolazioni prepolitiche. I movimenti contadini della Russia zarista fino agli inizi del nostro secolo erano profondamente compenetrati da queste idee, che, in sintesi, possono essere espresse come segue '.
In primo luogo, il sovrano (o una istituzione come la Chiesa) simbolizza e rappresenta in un certo senso il popolo e il suo modo di vivere, cosi come può apparire ad una pubblica opinione incolta. Può essere malvagio, corrotto o ingiusto, o piuttosto, tale può essere il sistema di governo che rappresenta; ma finché la società sulla quale
1 M. c h e r n ia v s k y , in Tsar and People (New Haven 19 61), esamina in forma brillante i presupposti e i miti del realismo popolare in Russia.
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esercita il potere rimane stabile nelle sue tradizioni, esso rappresenta la norma di vita. Questa legge, tranne che in circostanze particolarmente fortunate, non è certo molto favorevole alla massa del popolo; carestia, epidemie, pestilenze, guerre, assassini, morti improvvise, miseria e ingiustizia sono sempre presenti o in agguato dietro l ’angolo; pure, questo è il destino dell’uomo. Tuttavia, se questo ordine stabilito, per quanto duro e ingrato, veniva a essere minacciato dall’esterno o dall’interno, il popolo, a meno che il sovrano avesse causato o tollerato in una misura maggiore del consueto la miseria, le ingiustizie e i lutti (e a meno che, secondo il detto cinese «il mandato del cielo fosse scaduto»), gli si stringeva intorno, in quanto egli rappresentava, in un senso simbolico e quasi magico, «loro stessi» o almeno la personificazione dell’ordine sociale. Cosi i castigliani si strinsero intorno ai borboni per combattere lo straniero invasore. Questo non è, per se stesso, un movimento sociale vero e proprio; ma se la sfida all’ordine tradizionale assume la forma di nuove forze sociali distruttrici, il legittimismo può dissimulare una rivolta in massa contro le ingiustizie del nuovo ordine, una specie di luddismo politico. I legittimi monarchi e le istituzioni come le Chiese possono non vedere di buon occhio un simile movimento. L ’imperatore Francesco I d ’Austria guardava con sospetto al legittimismo rivoluzionario del suo popolo, osservando giustamente: «O ra sono patrioti per me, ma un giorno potrebbero esserlo contro di me». Dal punto di vista di un’istituzione prettamente conservatrice, la disposizione ideale è l ’obbedienza, non l ’entusiasmo, qualunque ne sia la natura. Non è un caso che lo slogan di ogni principotto tedesco fosse «Ruhe ist die erste Biìrgerpflicht» (la tranquillità è il primo dovere del cittadino).
In secondo luogo, il sovrano (un'istituzione per sua fortuna remota) rappresenta la giustizia. Per quanto sia evidente che i signorotti locali, i funzionari, il clero e altri sfruttatori succhiano il sangue del popolo, ciò probabilmente avviene perché il monarca ignora i misfatti commessi in suo nome. Se soltanto Io zar o il re di Francia sapessero, senza dubbio percorrerebbero il paese in lungo
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e in largo fulminando col loro occhio d ’aquila i disonesti funzionari, e dispensando la giustizia al loro fedele popolo. Questo atteggiamento viene espresso da una serie di leggende popolari, come quella, cosi cara alle masse, del re che si aggira in incognito per il paese, allo scopo di smascherare le ingiustizie e di dispensare la giustizia, attribuita a tutti i sovrani, da Hàrùn al-Rashìd a ll’imperatore Giuseppe I I . La remota distanza alla quale si trovano i re (o i papi) salvaguarda la loro reputazione. Naturalmente, però, appena le ingiustizie e le sofferenze patite dal popolo sono deposte direttamente ai loro piedi, tale reputazione svanisce. Nessuno si muoverà più per difendere un monarca ingiusto, per quanto legittimo - per un Nicola I I dopo tre anni di massacri - poiché un monarca ingiusto è la negazione della regalità. U n’istituzione meno personale, come la Chiesa, resiste meglio alla scoperta della fallibilità; tuttavia, come abbiamo visto a proposito del millenarismo, anch’essa è minacciata dalla scoperta, egualmente disastrosa, che non si tratti della «vera» Chiesa, ma di una congiura degli oppressori per mantenere i poveri nell ’ignoranza. Il cristiano devoto, ma fieramente anticlericale, è una figura familiare nella storia delle rivoluzioni europee.
I movimenti «per la Chiesa e per il R e» sono dunque autentiche proteste sociali, per quanto assumano carattere rivoluzionario soltanto in quella che ho definito come la loro fase luddista. I l loro scopo è, in genere, quello di salvaguardare la norma tradizionale dei rapporti sociali, il che implica un’accettazione della gerarchia tradizionale, per quanto il sogno secolare di una società veramente e completamente libera, nella quale non vi siano né «cappelli» né «berretti» (per usare l ’espressione siciliana) esploda a tratti in massacri selvaggi. Esso diviene follia rivoluzionaria soltanto in periodi rivoluzionari. Presumendo che questo movimento avesse una teoria costituzionale, si potrebbe spiegare ciò che lo distingue dal legittimismo reale dicendo che quest’ultimo implica soprattutto un monopolio dell’obbedienza; il legittimismo popolare implica invece alcuni servizi, reali o immaginari, che il re rende alla giustizia, o che potrebbe rendere se altri non
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glielo impedisse. I movimenti popolari «per la Chiesa e per il Re» esprimono dunque delle critiche e pongono delle condizioni; e in verità, poiché in fondo non si preoccupano di ciò che il re o la Chiesa ne possano pensare, ne tengono ben poco conto. Nel 1 588, i parigini non si preoccuparono di sapere se Enrico I I I approvasse il movimento insurrezionale da essi suscitato in suo nome. I napoletani e i parmensi non esitavano un istante a ribellarsi contro il sovrano quando ritenevano che mancasse al suo dovere di fornire loro quel modesto sostentamento a cui pensavano di avere diritto. I cittadini di Dublino, nelle opere di Sean O 'Casey, non si preoccupano di sapere se la Chiesa approvi la loro ribellione - in effetti, i rapporti tra la Chiesa e la fratellanza repubblicana irlandese, le cui origini risalgono al secolarismo e al deismo del x v m secolo, sono sempre stati piuttosto vaghi. Essi non riuscivano a concepire che la Chiesa potesse non essere dalla parte dell’Irlanda. Non vi è dunque da stupirsi dell’improvviso abbandono dei loro sovrani da parte dei sudditi legittimisti, che, nel corso degli ultimi quarant’anni, ha ridotto la monarchia, nel 19 14 una istituzione quasi universale dell’Europa centrale, orientale e meridionale, a una trascurabile anomalia politica.
Il popolino, dunque, insorge per la giustizia sotto le insegne del re e dello zar, come nella terribile jacquerie della città di Napoli nel 179 9 , o in molte altre sommosse rurali in cui i contadini, siano essi della Sicilia o della regione del Volga, non possono credere che le forze dello Stato si siano mosse per annientarli, dato che essi credono in buona fede di agire secondo i desideri del proprio sovrano. «Non sparate su di noi, - gridavano i contadini di Bezdna al generale Apraksin, facendosi il segno della croce, - state sparando su Aleksandr Nikolaevic, state spargendo il sangue dello z a r» 1. Essi non pensavano a uno zar reale, o a qualsiasi reale sovrano, ma allo zar ideale del popolo legittimista, figura che non ha riscontro nella realtà. Ove, come a Napoli, il re non sia un personaggio
1 Per questa interessantissima sommossa, vedi r . l a b r y , Autour du M oitijk , Paris 1 9 2 3 , e f . v e n t u r i , I l populism o russo, Torino 19 .52, basato sui più recenti studi sulla Russia.
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cosi lontano da essere personalmente sconosciuto e ;rr.c:- noscibile, la mancata adesione al legittimismo, come lo intendevano i governanti, risulta ancora più evidente. I lazzari erano legati soltanto a un re - una repubblica impersonale era infatti qualcosa che sfuggiva alla loro comprensione - , non già a un re borbonico. Invero, in seguito alla conquista francese, essi non ebbero difficoltà a trasferire la loro lealtà al generale francese Championnet, che stimavano migliore del «re che se ne era andato» e causa del suo modo di fare più democratico. Buona parte della reputazione di volubilità del mob è dovuta a questo empirismo. Esso vuole un re che faccia il proprio dovere, come deve farlo il suo santo; a questa condizione, uno vale l ’altro. Per i lazzari era dunque logico, dopo la sconfitta, fare una dimostrazione contro san Gennaro e trasferire temporaneamente la loro devozione a sant’Antonio'.
In fondo, tuttavia, il mob non era legato a nessun re, governante o sistema; erano queste semplici etichette politiche apposte a movimenti privi di qualsiasi programma positivo, ad eccezione dell’odio per i ricchi e di un certo ideale di uguaglianza di sapore larvatamente anarchico. Neppure l ’anarchia poteva costituire una soluzione positiva. Un villaggio di contadini potrebbe sperare di svolgere la propria vita col semplice consenso della comunità, se soltanto lo Stato, la legge e i ricchi che lo sfruttano e si ingeriscono nelle sue faccende, venissero eliminati. Ma una città non può sperare di governarsi a questo modo. L ’unica soluzione che l ’idea anarchica primitiva sia in grado di proporre per le città e la loro distruzione; proposta che, come già vedemmo, può essere accolta con entusiasmo dai contadini anarchici, ma che, per la loro stessa situazione, i poveri delle città non possono approvare. Occorre che qualcuno provveda all'organizzazione della città e al suo sostentamento. In essa l ’uguaglianza, se pure esiste, si riduce a quella specie particolare rappresentata dal voto o da uguali possibilità, o da qualche altra cosa del genere; non sarebbe mai la semplice uguaglianza di coloro che coltivano in comune la terra, in uno spirito di
3 c r o c e , I la z za ri c it., pp. 19 7 -9 8 '
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fratellanza, e magari procedono a una periodica ridistribuzione di essa. I l mob dispone dell’arma della ribellione. È questa un’arma notevolmente efficace, poiché, vivendo nelle capitali, si ha un’idea assai più precisa di ciò che significa il governo, il potere e la conquista del potere, di quella che possono averne i contadini di remoti villaggi. Tuttavia il mob non poteva fare nulla più che ribellarsi periodicamente contro il destino umano per poi placarsi, preferendo una tacita accettazione del governo - qualunque esso fosse - e dei suoi datori di lavoro, e battendosi per ottenere vantaggi immediati di scarsa importanza. Non si preoccupava gran che della bandiera sotto la quale insorgeva. Nel corso degli ultimi due secoli, non vi è traccia di movimenti millenaristici tra i classici mob delle grandi città, dato che a questa massa riusciva eccezionalmente difficile concepire l ’idea di un mondo nuovo e perfetto.
Nondimeno, a poco a poco il mob mutò indirizzo, se questa affermazione non è troppo precisa e categorica. Qualora, ai fini del nostro studio comparativo, ci si limiti al basso popolo delle città assolutiste o di tradizione assolutista del Meridione, si potranno osservare gli stadi successivi di tale evoluzione dalla Rivoluzione francese in poi. A partire dalla Rivoluzione francese, infatti, il menu peuple di Parigi, qualunque fosse Io scopo che si prefiggeva, insorse sempre sotto gli auspici delle sinistre. Il basso popolo viennese, che intorno al 179 0 era lealista ed an- tigiacobino (con la caratteristica eccezione dei calzolai che erano filofrancesi perché i francesi erano contrari alla religione ‘ ), nel 1848 era rivoluzionario. Attraverso uno studio delle rappresentazioni di periferia, possiamo localizzare in modo ancora più preciso questo mutamento dell ’atmosfera politica popolare tra il 18 3 0 e il 18 4 8 '. In Spagna, gli eroi le cui gesta venivano cantate nei caffè-concerto di Siviglia e Barcellona, dopo la metà del secolo
1 II dottor Ernst Wangermann ha tratto questa informazione dagli archivi.
: 0. r o m m k l , D ie AUtviencr V olkskom ódie , Wien 19 5 2 , è l'opera classica sull’argomento; Johann Nestroy è il tipico attore-autore delle rappresentazioni popolari anteriori al 1848.
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scorso, a giudicare dal testo delle coplas (canzoni) e dalle memorie dei cantanti, erano generali di idee liberali Persino a Napoli, roccaforte del proletariato filoborbonico, nel i860 i Borboni attesero invano una seconda edizione della sommossa dei lazzaroni del 1799 . I lazzari non si mossero. In effetti, da qualche anno la camorra era venuta a patti con i liberali, e Garibaldi conquistò le classi povere napoletane come conquistava i cuori di tutta la gente umile. Cosi, se la sommossa del 1866 a Palermo era ancora «per santa Rosalia», era anche «per Garibaldi e la Repubblica», poiché la città aveva da lungo tempo preso l ’abitudine di sollevarsi insieme o anche prima dei suoi liberali. Ciò non implica che il mob meramente prepoliticoo favorevole alle Destre avesse cessato di esistere, per quanto ora, assai di frequente, più che come una forza dichiaratamente tradizionalista, agisse come sospinto da una demagogia di tendenze apertamente di sinistra - antisemita come a Vienna, anticlericale e anticapitalista come a Barcellona - che sembrava adattarsi al complesso degli elementi conservatori. È in questo spirito che Alejandro Lerroux, « l ’imperatore del Paralelo» reclutò i suoi uomini nel Barrio Chino, malfamato quartiere di tuguri e bordelli nel centro della vecchia Barcellona, per la «settimana tragica» in cui imperò il mob anarchico, nel 1909 2.
Perché avvenne questo cambiamento? In parte, senza dubbio, perché il mob procedeva empiricamente, e i regimi «per la Chiesa e per il R e» erano in via di decadenza. Nei tuguri delle città non troveremo certamente l ’ostinato tradizionalismo dei contadini vandeani, dei carlisti aragonesi e navarrini che si battevano per una causa persa. La causa di ciò era in parte nel fatto che con i movimenti rivoluzionari della nuova epoca era apparso un nuovo genere di eroe, che parteggiava per il popolo e spesso pro-
1 Silverio, il padre del flamenco, forma d ’arte generalmente apolitica, aveva, ne] suo più antico repertorio, un’elegia dedicata a ll’eroe repubblicano Riego: cfr. d e m o f il o , E l canto Flam enco, Sevilla 1 881 , p, 194.Il menestrello f e r n a n d o e l d e t r i a n a , in Arte y artistas flamencos, Madrid 1952, pp. 85-89, narra come conquistò i! pubblico di Barcellona, ostile ai canti andalusi, componendo un tango sulle gesta del generale Prim.
2 b ren an , The Spanish Labyrinth cit,, p. 34. Questo movimento fu tacitamente tollerato dal governo perché anticatalano.
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veniva anche dal popolo, campione, e forse anche miraggio. di una società libera, e non soltanto ordinata. G aribaldi, la cui capacità di incarnare l ’ideale del «campione del popolo» aveva del miracoloso (egli resta tuttora l ’uomo che ha suscitato da solo le più vaste dimostrazioni di massa che Londra abbia mai visto) ne costituisce forse il più vivido esempio. Molto prima che gli italiani del Sud avessero abbandonato il loro tradizionale rivoluzionarismo, egli li conquistò nonostante la loro incomprensione delle vere cause a cui prestava il suo nome, forse perché, come il Mack Smith ha giustamente osservato, egli stesso era un uomo semplice, dalle idee ancora rudimentali, e sapeva per istinto come trattare con i poveri di mentalità prepolitica. Il mob era tradizionalista soltanto per mancanza di qualcosa di meglio, ed era appunto questo che i nuovi movimenti, giacobino, nazionalista, socialista, sembravano promettere, anche se in un modo vago.
È evidente che essi non potevano assorbire compieta- mente il mob. La facilità con la quale questo insorgeva, rese all’inizio più agevole il compito dei rivoluzionari, ma tale vantaggio fu annullato da una quasi totale incapacità di comprendere che l ’agitazione sociale non si esaurisce quando la sommossa ha ottenuto il suo scopo immediato, e che la disciplina è necessaria. Quasi tutti i movimenti socialisti o comunisti moderni preferirebbero, se potessero scegliere, la disciplinata stolidità di un piccolo distretto minerario alla turbolenza di tre grandi città come Palermo. Invero, con alcune eccezioni, quasi fin dal principio la vera forza dei moderni movimenti operai risiede non già nelle capitali non industrializzate, ma nelle province; nei dipartimenti del Nord e del passo di Calais, nella Germania centrale, nel Galles, nell’Inghilterra del Nord, a Torino e a Milano. L ’epoca d'oro dei movimenti rivoluzionari del proletariato urbano è stata quella del giacobinismo e del primo radicalismo.
Ma anche nelle sue roccaforti, il classico mob ha subito una sensibile decadenza. In primo luogo, l ’industrializzazione ha sostituito al popolino la classe operaia industriale, la cui essenza stessa è l ’organizzazione, e una permanente solidarietà, mentre quella del vero mob era costitui
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ta da brevi e intermittenti sommosse. In secondo luogo, il mutamento delle condizioni economiche ha eliminato la carestia periodica combinata a un'alta percentuale di disoccupazione, sostituendovi una forma di crisi economica che non produceva, come reazione automatica e inevitabile, le sommosse per il pane. Infine, la crescente sensibilità dei governi ai disordini nelle capitali in seguito alla Rivoluzione francese, e probabilmente anche l ’evoluzione compiutasi nell’urbanistica durante il secolo scorso, tendente a separare i ricchi dai poveri in quartieri diversi e ad allontanare entrambi dai centri commerciali e politici, rese più difficile lo spontaneo accendersi delle rivolte e delle insnrrezioni, anche ove ne permanessero le cause. L ’osservatore che conosca soltanto Londra, Parigi o Berlino della fine del secolo scorso troverà difficoltà a comprendere la vera essenza del mob. Soltanto qualora percorra a piedi, ad esempio le vie di Palermo, ove i Quattro Canti formano ancora il cuore della città, e veda, a breve distanza dai palazzi e dagli uffici del governo, i mercati e i tuguri, sentirà nel suo intimo tutto il significato del grido «il popolo è insorto!» ai tempi dell’autentico m o b 1.
Pochi rimpiangeranno la sua fine. Raramente i difensori dello status quo hanno menato vanto per il solido tradizionalismo del mob come hanno fatto per quello del movimento conservatore contadino, anche quando ne hanno tratto vantaggio. Esso ha rappresentato in complesso una forza che ha ritardato la conquista delle grandi città non industriali da parte del movimento operaio; e l ’influsso favorevole da esso esercitato in alcuni luoghi non è stato tenuto in alcun conto. Neppure gli anarchici, che logicamente sostengono la ribellione primitiva e spontanea, anche se ha effetti negativi, sono stati molto propensi a idealizzarlo. La trasformazione del popolino delle grandi capitali in una classe operaia moderna ha portato ad una perdita di colore locale, ma chiunque abbia visto l ’orripilante spettacolo del sottoproletariato napoletano sarà pro-
1 A proposito dell’ influenza che ebbe sull’ urbanistica il timore delie rivoluzioni cfr. l ’opera di Haussmann a Parigi, e, per quanto riguarda Vienna, H. b e n e d i k t , D ie wirtschaflliche Entw icklung in der Franz- Joscph-Zeit, Wien-Munchen 1958, pp. 46-47.
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penso a considerare con indulgenza persino Stoke-on- Trent Ma, con tutti i suoi inconvenienti, il mob è pur sempre un fatto storico; esso costituisce forse la forma di agitazione sociale là cui ininterrotta esistenza può essere fatta risalire più addietro nel tempo, poiché è tutt’altro che assurdo riconoscerlo nelle fazioni degli azzurri e dei verdi nei circhi dell 'antichi cà. E poiché, forse senza rendersene pienamente conto, esso ha svolto un ruolo importante nell’evoluzione politica del mondo moderno, prima di cedere il passo a movimenti più evoluti e ad altri raggruppamenti del proletariato, lo storico ha il dovere di cercare di comprenderne l ’essenza, per quanto anche questo, come altri movimenti sociali primitivi, diffìcilmente possa destare la sua simpatia.
1 (Squallido cittadina industriale inglese!.
Capitolo ottavo
Le sette operaie 1
I.
La Rivoluzione americana c la Rivoluzione francese del x v m secolo costituiscono, forse, i primi movimenti politici di massa nella storia del mondo, che abbiano espresso le proprie ideologie e aspirazioni in termini di razionalismo laico invece che in quelli tradizionali della religione. Questo fenomeno segna una cosi profonda evoluzione nella vita e nelle opinioni del popolo, da rendere difficile la valutazione della sua natura anche per coloro che sono cresciuti in un’epoca nella quale la politica è agnostica, qualunque siano le convinzioni individuali degli uomini politici e dei loro elettori. II moderno movimento operaio deriva, sotto due diversi punti di vista, da questa epoca. In primo luogo, perché la sua ideologia dominante, il socialismo (come pure il comuniSmo e l ’anarchia che appartengono alla stessa famiglia) è l ’ultimo, estremo derivato dell’illuminismo e del nazionalismo del x v m secolo; in secondo luogo perché le stesse classi lavoratrici, sue sostenitrici, figlie di un’epoca senza precedenti, erano, probabilmente, meno influenzate dalle religioni tradizionali di qualsiasi altro gruppo sociale, ad eccezione di alcuni
1 Uno studio ottimo e molto compie to sul protestantesimo c la classe operaia inglese nel periodo della prima industrializzazione esiste ora. Thompson, The making of the l i n gl is h working class cit. I l saggio di K. s. INC ms, Churches and the working classes in Victorian Un gland, London 1963, contiene un capitolo assai utile sul Misere ito della salvezza, il cui fondatore era un ex cartisra. ma per il resto non è molto importante; inoltre la critica al presente capitolo ivi contenuta è inaccettabile. V iceversa l ’articolo di T. Dunbain sulle leghe di lavoratori agricoli del 1873 (« l3ast & Present». 26, 1963) illumina molti altri lati del problema e tra l ’alt rei porta l'attenzione sugli aspetti millenaristici degli aderenti alle leghe.
I 0 2 CAPITOLO OTTAVO
gruppi circoscritti o di élite, come gli intellettuali borghesi. Ciò non significa che i lavoratori fossero, o siano, per la maggior parte, agnostici o atei. Significa soltanto che il passaggio universale o individuale dal villaggio alla città, o dalla condizione di contadino a quella di operaio, ha, generalmente, portato a una netta riduzione dell'influenza delle religioni tradizionali e delle chiese. Le inchieste compiute sulle tendenze e sulle pratiche religiose della classe operaia dal 1840 al 19 50 , hanno rivelato, quasi senza eccezione, che questa classe, rispetto alle altre, è caratterizzata da una forte dose d ’indifferentismo religioso '. Anche le eccezioni sono spesso più apparenti che reali, poiché i gruppi eccezionalmente religiosi, tra le classi operaie - nell’Europa occidentale, si tratta normalmente di cattolici romani - rappresentano spesso delle minoranze nazionali come gli irlandesi in Gran Bretagna e i polacchi nella Germania imperiale, per i quali la propria religione particolare è un emblema, come un altro, della propria nazionalità. E anche costoro, per quanto più religiosi dei loro compagni, lo sono, in genere, assai meno di quanto lo siano in patria i loro correligionari non appartenenti alla classe operaia. Per quanto concerne i leader e i militanti dei movimenti socialisti, essi sono stati, praticamente, fin dal principio, non soltanto indifferenti nei riguardi della religione, ma, in genere, dichiaratamente agnostici, atei e anticlericali.
La caratteristica forma moderna di movimento delle classi operaie è, dunque, di un laicismo completo, se non militante. Tuttavia non sarebbe credibile che le forme e gli atteggiamenti della religione tradizionale che, da tempo immemorabile, avevano accompagnato la vita del popolo minuto, potessero, all’improvviso, cadere nel nulla. Nei primi stadi di movimenti sociali e politici, anche di carattere più spiccatamente laico, spesso si osserva una specie di nostalgia per le vecchie religioni, o, forse più precisamente, una incapacità a comprendere nuove ideologie
1 La prima di queste grandi inchieste c il censimento religioso del l ’ Inghilterra e del G alles nel 19 5 1; recentemente i migliori studi, posteriori al 19 4 1, sono costituiti dalle opere di Le Bras e della Scuola cattolica francese di sociologia religiosa.
LE S E T T E OPERAIE
che esulano dagli schemi delle vecchie, magari con degli dèi trasformati o di statura più ridotta, magari con delle tracce di vecchi culti e riti. La stessa borghesia illuminista aveva la propria religione massonica e la rivoluzione francese, il culto della Dea Ragione e dell’Essere Supremo. Un esempio ancora più tipico, citato ultimamente da A lbert Soboul, è rappresentato dall’introduzione del culto, secondo gli schemi tradizionali, di nuovi santi e martiri anche miracolanti, da parte dei rivoluzionari militanti: Perrine Dugué nel Sarthe, che sali al cielo con ali tricolori, e sulla cui tomba gli ammalati guarivano e, tra i sanculotti parigini, Marat, Lepeletier e Chalier Spesso le forme primitive di socialismo, nell’epoca delle comunità utopistiche, assunsero l ’aspetto di nuove religioni (come il sansimonismo) o di settarismo profetico (come quello di Wilhelm Weitling). La capacità dei movimenti secolari di suscitare nuovi culti si mantenne a lungo, perfino il positivismo di Auguste Comte aveva la sua religione dell’umanità. Tuttavia, se si eccettuano gli stadi iniziali, questi fenomeni sono singolari, piuttosto che importanti. In effetti i nuovi movimenti socialisti assolvevano, per i loro membri, molte delle funzioni proprie delle religioni tradizionali, dando luogo a manifestazioni analoghe. I socialisti spagnoli si rivolgevano l ’uno all’altro, nella corrispondenza, il titolo di «correligionario». Tuttavia, queste analogie sociologiche esulano dall’ambito della nostra trattazione. Il movimento socialista operaio è perfettamente moderno nel suo laicismo.
La più importante eccezione a questa regola generale, è costituita dalle sette operaie dei paesi anglosassoni \ La storia delle ideologie dei movimenti operai inglesi non è certo completamente diversa da quella relativa ai paesi del continente. Come quelli del continente, i movimenti operai e socialisti inglesi eran dominati dalla tradizione laicistico-radicale che forni i più influenti pamphlettisti da
1 Sentiment religieux et cultes populaires pendant la Revolution, in «Archives de Sociologies des Religions», n. 2, luglio-dicembre 1956.
‘ Non voglio dire che sim ili sette non esistano altrove, tuttavia mi sembra più opportuno trattare quasi esclusivamente dei fenomeni inglesi. Essi sono, in ogni modo, i più importanti.
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Tom Paine a Bradlaugh e Blatchford, e, in pratica, tutti i teorici del movimento, dagli «economisti del lavoro» spenceriani, owenisti ed o ’brienisti, ai marxisti ed ai fabiani, e la maggior parte del suo impulso politico. V i sono luoghi, specialmente Londra, ma anche alcune delle altre città, in cui l ’agitazione operaia e artigiana ha una tradizione che risale a prima della rivoluzione industriale, ove il militante operaio religioso o settario è sempre stato una curiosa anomalia. Il laicismo costituisce la trama ideologica che unisce la storia dei movimenti operai, dai giacobini di Londra e da Place attraverso gli antireligiosi owenisti e i loro collaboratori, gli ugualmente antireligiosi giornalisti e librai, attraverso il libero pensiero dei radicali seguaci di Holvoake che affluivano alla «H all of Science» di Bradlaugh, alla federazione socialdemocratica e ai fabiani di Londra con la loro dichiarata avversione per la retorica di cappella. A Londra, persino un rivoluzionario, fondamentalmente religioso come George Lans- bury, dovette svolgere la sua carriera in un’organizzazione atea e marxista come la s d f , poiché neppure il clericale partito laburista indipendente era riuscito a prendervi piede. Non si può tuttavia negare che nel complesso in Gran Bretagna sussistessero degli intimi legami tra la religione tradizionale e i movimenti operai; legami assai più forti e duraturi che in molti altri paesi. Fin nel 1929 , di 249 membri laburisti del Parlamento, sulle cui convinzioni religiose uno studioso tedesco condusse un’inchiesta, otto soltanto si dichiararono agnostici o atei '. Da allora, non si è più fatta alcuna inchiesta del genere.
Molto si è discusso sui precisi rapporti tra la religione tradizionale e i movimenti operai, per quanto, in generale, sulla base di una documentazione insufficiente, e con l ’intralcio di pregiudizi politici o settari'. Prima di tratta
1 r. lin d e n , Soziaiismus und Religion, Leipzig 19 32 .2 La tesi di Halévy, secondo la quale l ’avvento del metodismo impedì
la rivoluzione in Gran Bretagna, è stata la base della maggior parte di queste trattazioni. Per un esame critico, vedi il mio Methodism and the threat of Revolution in Britain, in «H istory Today», febbraio 1957. La maggior parte del materiale è stato raccolto da storici metodisti nell’intento di illustrare il contributo portato dai loro gruppi al movimento operaio, e specialmente da R . Wearmouth, che ha pubblicato una serie di volumi sul-
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re delle sette operaie come tali, sarà opportuno riassumere ciò che conosciamo sui rapporti generali tra la religione e le classi lavoratrici inglesi nel periodo posteriore alla rivoluzione industriale
Il periodo dell’industrializzazione per la Gran Bretagna (circa 179 0 -18 50 ) segnò uno dei più importanti mutamenti religiosi; esso vide, infatti, il sorgere del nonconformismo protestante come religione di massa. Le sette erano state numerose e influenti, durante il rivoluzionario secolo x v ii, ma nel corso del x v m avevano perso considerevolmente terreno. I «vecchi dissenzienti», gli indipendenti, i battisti, i presbiteriani inglesi, gli unitari e i quaccheri, erano poco più che modeste comunità della media e piccola borghesia rispettabile, intaccate qua e là dalle forme del deismo e del razionalismo. Il risveglio metodista prima della Rivoluzione francese, non aveva ancora convertito stabilmente un gran numero di persone; i suoi membri erano allora meno di 60 000. Nel 1 8 5 1 , la situazione era radicalmente mutata, poiché il censimento religioso di quell’anno rivelò che la Chiesa ufficiale d ’In ghilterra manteneva a mala pena la sua supremazia sopra le sette protestanti dissidenti nel complesso del paese, mentre era, con una sola eccezione, nettamente superata da esse nelle città e nelle regioni industriali. Questa straordinaria conversione in massa al settarismo protestante si verificò soprattutto nel periodo tra il 1805 e il18 50 . Cosi i metodisti crebbero da circa 10 7 0 0 0 nel 18 0 5 , a quasi 600 000 nel i8 5 t , senza contare i 12 5 000 metodisti calvinisti del G a lles'. Evidentemente, queste conversioni coincidevano con periodi di tensione econo- mico-sociale. G li anni che videro la più rapida espansione
l ’argomento, dai quali ho largamente attinto per la compilazione di questo capitolo. Negli ultimi tempi, l ’affermazione : « I l laburismo inglese deve più a Wesley che a M arx», è stata più spesso fonte di confusione che di luce.
1 Questa sintesi si fonda principalmente sul censimento religioso del18 5 1 . e sulle statistiche relative ai membri delle varie sette religiose.
2 Wesleyani e kilhamiti nel 1805, wesleyani, kilham iti, metodisti prim itivi, associazione metodista wesleyana e riformatori metodisti wesleyani nel 18 5 1. La mancanza di statistiche adeguate per le sette dissenzienti meno centralizzate rende difficile ottenere per queste analoghe cifre. Per dati approssimativi vedi quelli del censimento del 18 5 1.
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metodista furono quelli dell’epoca giacobina (1793-95), gli ultimi anni, di crescente tensione, delle guerre napoleoniche (r8o5-r6 , e specialmente 18 13 - 16 ) gli anni del Reform Bill e della Poor Law ( 18 3 1-3 4 ) , che registrano il più rapido ritmo di sviluppo annuale, e cosi via. Ugualmente significativo è il fatto che tale progresso rallentasse e si arrestasse temporaneamente per tutte le sette dal 18 50 al 18 5 5 , l ’unico periodo del secolo che registrò una netta diminuzione del numero dei loro membri. Furono questi gli anni che segnarono anche il declino del cartismo e del radicalismo. Risulta, qui, evidente lo spiccato parallelismo tra l ’evoluzione della coscienza religiosa, sociale e politica.
Non sappiamo in questa massa di nuovi convertiti quanti fossero lavoratori, dato che né le statistiche contemporanee né gli annali delle sette stesse forniscono dati indicativi della composizione sociale del gruppo dei loro aderenti. Tuttavia, qualora si accetti il fatto - assai probabile - che le attrattive del non conformismo diminuiscono quanto più si sale dalla zona di confine tra la borghesia e le classi lavoratrici verso l ’alta borghesia, o quanto più si scende da questa linea alle infime profondità della miseria, è evidente come molti lavoratori prendessero parte a questo vasto movimento religioso. Certamente molti di essi furono spinti al non conformismo nel corso dei periodici e semisterici «risvegli», cosi caratteristici nel protestantesimo del x ix secolo, nel corso dei quali si compirono o si iniziarono i maggiori aumenti del numero degli appartenenti alle sette: 179 7-18 0 0 ; 1805-807; 18 T 5-18 ; 18 2 3-2 4 ; r8 3 i-3 4 ; 184 9 ; 18 59 e 1904-905.
Praticamente tutte queste conversioni avvenivano verso sette dell’uno o dell’altro tipo; l ’aumento della comunità cattolica fu dovuto, infatti, all’immigrazione dei cattolici irlandesi piuttosto che alla conversione di gruppi non cattolici; e la conversione di alcuni dei più ricchi non conformisti alla Chiesa d ’Inghilterra era un fenomeno di elevazione sociale, non già di conversione religiosa. Quale fu il ruolo svolto dalle sette cristiane nella vita della primitiva classe lavoratrice industriale?
G li strati del proletariato sui quali essa esercitava mag
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gior presa, erano in gran parte quelli più rozzi e di più recente formazione. La classe degli artigiani specializzati in una città preindustriale come Londra aveva un suo determinato modo di vita e di agitazione politica (giacobino e radicale), per quanto, come è naturale, anche questo spesso si fondasse su una versione riveduta e corretta di un precedente settarismo protestante rivoluzionario Le città industriali, come Sheffield, erano painiste e oweni- ste; in esse il nucleo dei non conformisti era costituito dagli artigiani e dai piccoli industriali. Ma le nuove zone industriali - villaggi trasformati rapidamente in città industriali - non avevano un tenore di vita adeguato alla nuova epoca e, ciò che più conta, nessuno sentiva la responsabilità di creare una qualsiasi forma di comunità umana, eccetto, forse, gli albergatori. Alcuni di questi agglomerati, così come molti dei più antichi distretti minerari, erano abitati soprattutto da una popolazione indigena che si sviluppava con il suo alto tasso di natalità formando centri rigidamente isolati, chiusi o compatti, in cui uomini e donne attingevano alle sole risorse spirituali di cui potessero disporre; le consuetudini preindustriali e la religione. Sono questi i luoghi che videro nascere i canti popolari degli albori dell’industrializzazione, che più tardi si sarebbero perduti nell’ondata dell’urbanesimo e dell’emigrazione; canti dei minatori, dei tessitori, dei marinai. Altri erano agglomerati misti di indigeni e di immigrati raggruppati intorno a una o due industrie principali. Un terzo gruppo nel quale la disorganizzazione sociale era anche maggiore, era costituito da numerosi agglomerati di emigranti in città come Londra e nelle città portuali, nelle quali la gente viveva di una indefinibile varietà di occupazioni, e specialmente di quelle non specializzate. In tali città, medie o grandi che fossero, non sarebbe stato possibile ricreare la vita preindustriale adattandola alle nuove circostanze, come si faceva nei villaggi industriali2.
1 Le osservazioni che seguono sulla religione delle classi operaie non si riferiscono a questi più antichi gruppi di artigiani, anche se alcuni di essi erano, a modo loro, settari. Per un’eccellente descrizione di una simile comunità vedi l . y . sa u n d e r s , Scottish Democracy 18 15 -18 5 0 , Edinburgh 1950, p, 127.
1 La migliore trattazione da me conosciuta sulla religione delle clas-
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In tutte queste zone la vita delle classi lavoratrici era misera, meschina, sordida, bestiale, breve e soprattutto malsicura, e le religioni che queste classi si sceglievano rispecchiavano tale situazione. Il loro culto era estrema- mente fervente. (« Il fervore delle associazioni religiose è un compenso per la mancanza di sicurezza sociale», dice il Pope). Visioni di splendore, del giudizio finale e del fuoco dell’inferno per i malvagi balenavano dinanzi agli occhi di coloro che cercavano un appoggio per portare il fardello delle loro sofferenze; la potenza suggestiva delle prediche sul fuoco dell’inferno, sui miracoli e simili recavano un diversivo nella loro vita. Una signora, parlando delle filande di Courtauld nell’Essex intorno al 1840 osservò il bisogno di eccitamento che le ragazze avvertivano quando non erano costrette al lavoro; « In mancanza di altro, l ’entusiasmo religioso fornisce talvolta questo eccitamento» «Sono assetati di sangue», diceva un ministro della sua congregazione. Soltanto i più poveri e socialmente meno organizzati si trovavano forse a un livello cosi basso che neppure la religione poteva toccarli, per quanto l ’Esercito della salvezza si sforzasse di avvicinarli.
Si trattava dunque di una religione puramente emotiva, priva di un contenuto teologico o intellettuale. La caratteristica delle sette religiose operaie è che esse furono create per gente incolta, cosicché gli unici criteri della fede e della salvezza erano la passione e la moralità; concetti che si trovano alla portata anche dei più ignoranti. Tutte le sette che facevano proseliti tra la nuova classe operaia industriale (distinta da quella più antica o dagli artigiani in migliori condizioni economiche) hanno tentato di diventare magniloquenti. La seguente osservazione di Pope vale anche per la Gran Bretagna: «Accettano sem-
si operaie agli albori dell’industrializzazione è M illhands and Preachers, Y ale 1942, di l . po pe, che parla di Gastonìa, nella Carolina del Nord, tra il 1900 e il 1939. Per quanto il mio studio riguardi le condizioni dell’In- ghilterra, la religione di questi poveri montanari trasformatisi in operai ha delle analogie cosi marcate con quella dei settari del x ix secolo che citerò di tanto in tanto il Pope per meglio descriverla.
1 m a r y m e r r y w e a t h e r , Experience of Factory L ife , London 18625, p. 18. C fr. Pope, M illhands and Preachers c it., pp. 89*91 per l'esprimersi del risveglio religioso nei festeggiamenti della comunità: « L e riunioni religiose sono quasi l ’unico divertimento che abbiamo» (p. 89).
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plicemente le nozioni [teologiche] provenienti da una grande varietà di fonti e le riuniscono insieme senza curarsi della loro coerenza». Per queste stesse ragioni tale religione era anche democratica; le congregazioni partecipavano al culto assai più attivamente che altrove per mezzo del canto corale, dei discorsi, delle «testimonianze», per mezzo della predicazione laica (compresa quella delle donne) e degli innumerevoli comitati e uffici della Chiesa. Era questa una democrazia religiosa in seno alla comunità, poiché una delle principali caratteristiche della setta era che forniva a una comunità lavoratrice, una sua propria coesione e scala di valori, mediante le quali il povero poteva sentirsi superiore al ricco. La povertà divenne infatti un segno della grazia, l ’austerità un segno di virtù, di rigore morale, in confronto alla rilassatezza di costumi del reprobo; una nuova gerarchia spirituale veniva cosi a sostituire quella del mondo secolare, e a inserirsi nelle istituzioni della comunità che altrimenti sarebbero state quasi del tutto inesistenti'.
D ’altronde, ed è questa la singolarità delle sette operaie inglesi, in genere la setta trattava i problemi dei proletari eludendoli o piuttosto risolvendoli non per l ’intera classe, ma per l ’individuo o per un gruppo scelto di privilegiati (da ciò deriva probabilmente la incorreggibile tendenza di queste sette esaltate a frantumarsi in una miriade di conventicole indipendenti e rivali). Dalla religione ci si aspettava davvero un aiuto, magari soltanto per mezzo di una specie di magia o di superstizione 1 che potesse in qualche modo mitigare la sorte a cui erano soggetti; per esempio, influire sulla prosperità o sui sistemi della loro fabbrica o della loro miniera. Ma le condizioni economiche erano volute dal destino; era quindi inutile lottare contro di esse. L ’essenziale era la salvezza dell’individuo: «nella teologia degli operai di fabbrica il mondo
1 Nella Chiesa della Santità d i Gastonia la gerarchia era la seguente: salvati, santificati, battezzati nello Spirito Santo, battezzati nell’acqua, p r i m a , seconda e te r z a benedizione ecc. ( p o p e , M ill hands and Preachers cit., p. 1 3 7 ).
‘ « L a loro religione è intimamente connessa alle lotte e alle vicissitudini quotidiane di una vita malsicura e serve a interpretare e trasformare gli avvenimenti: " la sua azione muta le circostanze” » {ib id ., p. 86).
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è un grande campo di battaglia sul quale Dio e il demonio si contendono ogni singola anima. Il "sangue di C risto” e la lettura della Bibbia favoriscono la vittoria di Dio» (Pope). Per quanto concerne la politica, gli adepti traevano in genere soltanto due elementi dalla loro religione: la sopportazione e una specie di vendetta spirituale, in quanto «si attendeva lo scatenarsi della collera divina», come nelle molte sette che si diffusero durante la crisi del 19 30 , descritta nel Brynm awr di Hilda Jennings ', o come presso i lookers di cui Gw yn Thomas ha scritto nei suoi mirabili romanzi ambientati nel Galles del Sud. Ambedue questi elementi hanno trovato una classica espressione nel dramma di Gerhart Hauptmann l tessitori, una versione storicamente esatta dei moti luddisti della Slesia nel 18 4 4 ; a questo punto non vi è nulla di meglio che citare da questa notevole opera drammatica due discorsi pronunciati da un vecchio adepto:
A te, potente Iddio, noi non possiamo esprimere abbastanza la nostra gratitudine per averci conservato in grazia tua anche questa notte... e Tu hai avuto compassione di noi, o Signore, la tua bontà giunge tanto lontano e noi siamo poveri peccatori, indegni di una tua sola parola, tanto siamo colpevoli e cattivi. Ma tu, Padre celeste, ci guardi con occhio pietoso e ci difendi per amore del tuo caro Figlio, nostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo. E se talvolta ci scoraggiamo, nelle prove che tu ci mandi, nei castighi- anche se talvolta il fuoco purificatore è troppo cocente - non farci troppo caso, perdona le nostre colpe. Concedici pazienza, Padre celeste, affinché dopo questi dolori possiamo partecipare alla beatitudine eterna. Amen
E ancora:
Dammi retta, Gottlieb! Non dubitare della sola cosa che rimane a noi poveri. Per cosa mi sarei rotto il filo della schiena al telaio per più di quarant anni? E sarei stato tranquillamente a vedere come quei là si rimpinzano d’ogni bene di Dio e fanno d’ogni erba un fascio e fan quattrini della mia fame e dei miei dolori? Perché mai? Perché avevo
1 H i l d a je n n in g s, Brynm awr , London 1 9 3 4 , p . 124.2 [/ tessitori, atto V , trad, di Enrico Gagliardi, Milano 1894]-
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una speranza. Su tanta miseria ho qualche cosa di mio [...] Tu hai la tua parte qui io al di là, questo mi son detto. E mi sono lasciato squartare, tanto ne son sicuro. C e stato promesso. Verrà il giorno del giudizio universale, ma i giudici non saremo noi. Mia è la vendetta, ha detto il Signore, nostro Dio '.
In effetti la frase «oppio dei popoli» è una definizione tutt’altro che inesatta dello spirito della maggior parte di queste sette1. Il nucleo delle religioni operaie era formato da quelle che Troeltsch ha definito «sette non aggressive», i cui membri erano persuasi che il vero credente dovesse volgere le spalle al mondo per guardare soltanto alla gloria dell’eterna salvezza, assicuratagli dalla conversione. I W alworth Jum pers, una setta evidentemente proletaria del cui estremismo mistico possediamo una descrizione3, arrivavano a credere fermamente di morire al momento della conversione, che li faceva rinascere alla vita eterna, quindi per l ’avvenire sarebbero stati immortali.
II.
Le sette operaie vere e proprie si distinguono da queste forme religiose in quanto sono essenzialmente attive. Non soltanto i membri del gruppo provengono principalmente dai salariati, ma l ’intera setta è intimamente legata ai movimenti operai e sindacali, attraverso la teoria, l ’organizzazione o le attività degli aderenti. Inoltre, vi è in esse la ricerca di una dottrina religiosa e di una organizzazione che rispecchi non soltanto il destino, ma le aspirazioni collettive della nuova classe. Questa forma estrema si riscontra però difficilmente. Il solo autentico esempio
1 [/ tessitori, atto V , trad. cit.].2 «Evidentem ente, la leligione delle Chiese operaie appare indifferen
te alle condizioni economiche dei fedeli. In realtà essa è in parte il prodotto di quelle particolari condizioni; distogliendo l ’attenzione da esse, la religione ne costituisce indirettamente la sanzione» (p o p e , M illhands and Preachers cit., p. 91). È opportuno ricordare che questo autore è un cristiano profondamente contrario a ll’« interpretazione economica della storia».
* c. m. d a v ie s , Unorthodox London, 1873 , I , pp. 89 sgg.
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che io conosca di una setta di questo tipo, formata da lavoratori con una chiara coscienza di classe, costituisce un fenomeno tardivo ed effimero, la Labour Church, per quanto sia forse possibile scoprire degli altri esempi. Ciò che più comunemente si riscontra è la parziale trasformazione di una setta non aggressiva in una setta operaia, sotto la pressione dell’agitazione sociale dei suoi membri. In forma attenuata questo fenomeno è assai diffuso; i wesleyani delle classi operaie e altri troncarono ogni rapporto con il conservatorismo per partecipare ad attività luddiste, radicali e cartiste '. Nonostante il loro ascetismo (che implicava un atteggiamento ostile verso i sindacati) i predicatori delle Chiese di Dio e delle Chiese della Sacra Pentecoste di Gastonia, durante gli scioperi del 1929 presero spesso le difese degli scioperanti, semplicemente perché le loro chiese si identificavano in tutto con la classe lavoratrice. Tuttavia esistono pochi esempi di sette in cui l ’attività sindacale sia divenuta sistematica invece che eccezionale. L ’esempio più conosciuto è rappresentato dai metodisti primitivi \
I metodisti primitivi si distaccarono dai wesleyani verso la fine delle guerre napoleoniche, cioè all’inizio del periodo delle conversioni in massa nell’industria. (Un gruppo molto simile a questo, i cristiani della Bibbia, molto forte nell’Inghilterra occidentale e poi nel Kent, se ne distaccò poco prima). La ragione ufficiale di queste scissioni era una divergenza di opinioni su ciò che si può chiamare democrazia religiosa. I l wesleyanismo, come è noto, rimase arminianista3, nella sua teologia, centralizzato e gerarchico, e poiché il predicatore era nettamente distinto dal laico di organizzazione sacerdotale, inoltre, per quanto concerne la politica, decisamente conservatore. Per
1 Cfr. R. w earm outh , Methodism and the W orking Class Movement 1800-1850, e il mio articolo Methodism and the threat of Revolution in Britain cit,
2 Oltre ai documenti della setta, ho consultato: h . b , k e n d a l l . H i story of the Prim itive M ethodist Church, 2 voli., 1906; t o w n s e n d -w o r k - m a n -e a y r s , N ew History of M ethodism , 2 voli., London 1909, e inoltre le opere di R . Wearmouth.
J [È cosi chiamato da Jacopo Arminio un movimento di reazione contro le dottrine di Calvino, formatosi in Olanda al principio del secolo x v ii , che ebbe come risultato la creazione della Chiesa dei dimostranti].
L E S E T T E OPERAIE 173quanto avesse preso piede come una fede non intellettuale, che si rivolgeva direttamente a ciascuno in una forma emotiva, senza alcuna discriminazione di classe, non era, pure nel suo entusiasmo, del tutto priva di inibizioni. Così, quando gli evangelisti americani di frontiera inventarono il sistema del camp meeting alla fine del x v m secolo, che uno di essi portò in Inghilterra pochi anni dopo, i veri wesleyani non lo accettarono per diffidenza nei riguardi di queste dimostrazioni di massa di estasi religiosa, in cui enormi folle erano portate a un isterismo collettivo e a conversioni in massa, non disgiunte, secondo l ’opinione dei cinici, da forme assai meno sante di sfogo emotivo. I metodisti primitivi, il cui soprannome di «declamatori» allude allo stile delle loro prediche, accolsero questi meeting con entusiasmo. Inoltre essi insistevano sulla necessità della predicazione laica, e sul diritto delle donne a predicare; è questo un altro motivo di dissenso e un segno quasi infallibile di tendenze istintivamente radicali '. In tutto il corso della sua esistenza, questa setta ebbe di gran lunga la più alta percentuale di predicatori laici. Per quanto la politica vera e propria non avesse a che fare, almeno coscientemente, con questo argomento, è tuttavia probabile che l ’anticonservatorismo vi abbia avuto la sua parte. Abbiamo notizia di almeno una secessione in quella che doveva essere la roccaforte del meto- dismo primitivo, in seguito alla riforma parlamentare e alla questione controversa se i predicatori dovessero o meno rinunciare, come i primi cristiani, a qualsiasi ricompensa per la loro predicazione evangelica; a un certo punto il nuovo gruppo si spinse quasi fino ad aderire ufficialmente al radicalismo .
Evidentemente, la predicazione dei primitivi non trattava deliberatamente di teologia, ma il carattere della loro religione era severo e implacabile. Qualunque ne sia il contenuto preciso, la religione del povero e dell’indifeso deve comportare uno spiccato contrasto tra lo splendore
1 j . B e n n e tt, The History of Dissenters during the lust 30 Years, Lon- cion 1839, pp. 3 1 - 3 4 -
2 «M onthly Repository», vol. V , 1820, p. 560; w harm outh. M ethodism and the W orking Class M ovement 1800-1850 cit., pp. 2 1 1- 12 .
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dell’anima redenta e la bruttura del reprobo tra le fiamme; una combinazione che era forse espressa meglio dalla dottrina della predestinazione e della dannazione predicata dal calvinismo. Tra una setta più mite e una più severa, le masse sceglievano invariabilmente la più severa (come ad esempio, nel Lancashire, i battisti particolari di rigorosa osservanza calvinista, piuttosto che i calvinisti moderati)'. Sarà forse opportuno osservare che questo non derivava dalle condizioni particolari dei proletari, dato che vi erano altri gruppi ugualmente poveri e indifesi. Queste sterili e tragiche forme di religione attiravano egualmente altre persone che vivevano isolate nelle difficoltà, nell’incertezza, nella miseria, come i contadini dei Monti Allegheny o dell’Inghilterra settentrionale e occidentale (ove erano in prevalenza metodisti primitivi), la gente di frontiera e soprattutto i pescatori che, sia come metodisti primitivi a Grim sby o a Yarmouth, che come membri di molte altre sette severe in Norvegia o in Olanda aderirono a questa religione apocalittica con uno zelo contro il quale neppure l ’attrattiva del comuniSmo (in Norvegia e in Islanda) poteva competere. La religione dei lavoratori è in genere una variante particolare di un settarismo molto più diffuso: quello delle classi lavoratrici povere, preindustriali siano o no proletarie.
La nuova setta, che si manifestò come tale soltanto per gradi, fu designata fin dal principio come un culto quasi esclusivamente delle classi lavoratrici. Basta infatti guardare le fotografie delle sue prime cappelle nell’opera di Kendall, o leggere i loro discorsi, per abbandonare qualsiasi dubbio in proposito. La topografia religiosa della Gran Bretagna è estremamente complessa, e spesso i primitivi non riuscirono a penetrare in regioni che erano state precedentemente conquistate da un’altra setta che vi adempiva la stessa funzione, come ad esempio i wesleyani nella Cornovaglia, nel Dorset, nel West Riding e nel Lincolnshire. Essa divenne quindi in un certo senso una religione regionale. I suoi capisaldi erano situati nel
1 r. mal le y , Lancashire, its Puritanism and Nonconform ity, Manchester 1869, I I , pp. 482-84.
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nord, specialmente a Durham, nell’est, specialmente a A Norfolk, e nella zona povera di piccole industrie decrepi
te nel West Midlands, e nei villaggi della valle del Tami- | gi. (Sia detto per inciso che nel Galles del Sud, contraria-: mente all’opinione comune, nessun genere di metodismo; aveva preso piede, dato che nella predicazione dei batti-; sti o dei congrezionalisti locali si trovavano già abbastan-; 2a elementi apocalittici; nel Galles del Nord predomina
va una setta quasi nazionale, quella dei predicatori metodisti calvinisti che predicavano in gallese).
1 Come le altre sette, seppure in un modo più accentuato i primitivi si diffusero con maggiore rapidità tra il 18 15 e il 1848, nel periodo del maggiore fermento sociale e della rapida industrializzazione. Nella seconda metà del secolo il loro impeto andò scemando, per quanto facesse -
I ro dei notevoli progressi in zone di recente industrializzazione in cui mancava la struttura antiquata del lavoro
; specializzato, come nell’East End di Sheffield, considera-\ to separatamente dalla zona dell’antico artigianato dei| coltellinai Nella sua qualità di setta operaia essa era par-j ticolarmente sensibile alle fluttuazioni periodiche e ai mo
vimenti della disoccupazione che in genere giustificava ! ogni variazione nel numero dei suoi membri soprattuttoI in termini economici'. N ell’ultimo quarto del secolo, se< non prima, questa setta aveva perso quasi ovunque il suo
dinamismo.I primitivi non erano soltanto una setta operaia; erano
soprattutto una setta operaia di villaggio; fatto che è stato ampiamente illustrato e commentato. È forse questa la
I ragione per cui questo movimento è più forte in alcune? zone agricole e minerarie, ove i lavoratori vi hanno pro
babilmente trovato un contenuto rivoluzionario più marcato di quello che i loro confratelli cittadini fossero normalmente disposti ad accettare. Risulta infatti che l ’incendio nei fienili compiuto nel 18 30 dai lavoratori del
| Berkshire fosse «colpa dei declamatori; poiché tutti di
1 Cfr. «The Beehive», 15 giugno 1867.: r . w f .a r m o u t h , Methodism and the Working Class Movement 1850 -
Ip o o , p. 10 1 .
1 7 6 CAPITOLO OTTAVO
cono, fa ciò che vuoi, non è peccato» In ogni zona, il nerbo di questa setta non risiede nelle città industriali di media grandezza e tanto meno nelle grandi città, cosi ino- S D i t a l i verso la religione delle classi operaie ma nei centri tra la cittadina e il villaggio. Questo spiega la ragione per la quale nel 18 50 il numero delle cappelle dei orimitivi fosse una volta e mezzo quello dei ministri wesleyani (rispettivamente r 555 e 10 34 ) per quanto i loro proseliti fossero meno di un terzo di quello dei wesleyani. Cosi, nel 1873-74 , i primitivi contavano meno di settecento membri a Newcastle-on-Tyne, ma ottocento a Shotley Bridge, e settecento a Thornley, che erano soltanto dei villaggi. Ci si imbatte continuamente in villaggi in cui la massa della popolazione deve avere appartenuto a questa setta: W angford (Suffolk), Rockland (Norfolk), Docking (Norfolk), Brinkworth (W iltshire), Motcombe (Dorset), Minsterlev (Shropshire). Si sarebbe dunque portati a concludere che le sette operaie costituiscono un fenomeno proprio di una fase embrionale dell’industrializzazione, e che le condizioni a esse favorevoli tendono a scomparire con lo sviluppo dei moderni schemi urbanistici e della grande industria manifatturiera. Probabilmente ciò è in parte dovuto al fatto che i primitivi, come tutte le sette operaie, erano più efficienti nelle piccole congregazioni, in seno alle quali era possibile attuare un semplice sistema democratico tra i fedeli, ottenendo il massimo grado di partecipazione dei laici. Non si deve dimenticare che si tratta di una setta di attivisti; fino al 18 5 3 ebbe sempre nelle sue file circa il dieci per cento di membri che erano effettivamente dei predicatori, fìssi o viaggianti \
Questa tendenza all’attività individuale può contribuire a spiegare la caratteristica più sorprendente dei primitivi, cioè gli stretti rapporti che li legano al sindacalismo. In effetti, non sembra eccessivo considerarli principalmente una setta di quadri sindacali. Quando nel T844 Lord Londonderry espulse i suoi minatori scioperanti,
1 Royal Commission on the Poor Law s, «Parliament Papers», XXXIV o f 1834, Rural questions 53: Sutton Wick, Berks.
: C fr. censimento religioso del 18.51, LX X X II.
LE S E T T E OPERAIE 177due terzi dei primitivi metodisti del distretto di Durham rimase senza tetto. Praticamente nel x ix secolo, tutti i capi dei minatori del Northumberland e di Durham appartenevano alla setta: Hepburn, Burt, Fenwick, John W ilson, W illiam Crawford, John Johnson, Peter Lee. Erano straordinariamente forti anche in altri distretti carboniferi, ove pure erano assai meno numerosi. I capi di minatori dello Yorkshire come Parrot e Cowey, quelli delle Midlands come Enoch Edwards, Albert Stanley, Sam Finney, quelli del Derbyshire, come Barnett Kenyon, Tovn di Cleveland, Tom Cape del Cumberland, erano tutti metodisti primitivi. Lo stesso si dica per le associazioni di lavoratori agricoli; si affacciano qui spontanei alla mente i nomi di Joseph Arch, George Edwards, E d win Gooch; ma vi furono delle zone, quali il Norfolk, ove l ’associazione spuntava in pratica come una diretta propaggine della setta. Questa tendenza sindacalista della setta è tanto più sorprendente in quanto le altre sette- ad esempio i wesleyani - furono assai meno feconde di capi sindacalisti; pare infatti che i soli capi importanti del secolo scorso di provenienza weslevana siano stati Henry Broadhurst, muratore. Ben Pickard, minatore dello Y o rk shire, e Arthur Henderson, e ciò nonostante il fatto chei wesleyani fossero cinque volte più numerosi dei prim itivi. Soltanto in zone remote come il Dorset, essi svolsero un ruolo analogo; tre dei sei martiri di Tolpuddle erano predicatori laici wesleyani.
È opportuno osservare che rari erano i rapporti diretti tra il metodismo primitivo e i movimenti operai. La dottrina primitiva, per quanto simpatizzante con la causa del radicalismo, della riforma, dell’astinenza totale e di altri movimenti delle sinistre, non lo era in misura maggiore del rimanente dei gruppi non conformisti, e lo era forse meno di alcuni gruppi di «vecchi dissidenti», ad esempio dei congregazionalisti e degli unitari. I capi della setta erano ovviamente favorevoli ai sindacati e, in determinate circostanze, agli scioperi, ma non più di quanto ci si potrebbe aspettare da una setta i cui membri ricorrevano con tanto entusiasmo agli uni e agli altri. Tra di essi si riscontrano difficilmente tracce di idee collettivistiche po
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litiche ed economiche, per quanto il loro storico metta in evidenza, a mio parere giustamente, che il sorgere del movimento della temperanza, e della forma più estremista di esso, l ’astinenza totale, «cominciò ad aleggiare sulla società e sulle chiese levigando i rigidi contorni dell’individualismo e fondendo gli uomini tra di loro in una cosciente comunanza d ’interessi»1. In effetti, se non fossimo a conoscenza dell’intima relazione esistente tra i primitivi e l ’organizzazione dei lavoratori, non sarebbe facile dedurre questa circostanza da un semplice studio delle loro dottrine e della loro organizzazione.
Che cosa dunque faceva di essi una setta di carattere cosi spiccatamente operaio? In primo luogo, a mio avviso, la generale rispondenza della particolare tecnica della loro evangelizzazione alla mentalità delle classi lavoratrici a cui si rivolgeva; in secondo luogo, la predicazione dell ’ebraismo del Vecchio Testamento, che rese tutti coloro che le prestarono orecchio simili agli antichi profeti, gente orgogliosa che si rifiutava di inchinarsi nel «Tempio di Rimmon». È del tutto evidente che nella dottrina metodista primitiva non vi fosse nessun elemento, atto a scoraggiare l ’organizzazione per la difesa della classe lavoratrice; vi erano anzi molti elementi favorevoli ad essa. In terzo luogo, la loro organizzazione. I l Wearmouth ha descritto particolareggiatamente i numerosi elementi che i movimenti operai attinsero dal metodismo, e per quanto egli calchi le tinte, si tratta di un fatto indiscutibile. La cappella, specialmente la piccola e indipendente cappella di villaggio, era in realtà una scuola di organizzazione preordinata al raggiungimento di qualsiasi obiettivo e tanto tra i minatori che tra i salariati agricoli si nota spesso come il sindacato abbia fatto proprie le formule della sett a 2. Soprattutto la natura antigerarchica della setta forniva un meccanismo di prim ’ordine per la scelta e l ’addestramento dei capi e dei quadri. Privo di istruzione, a causa dell’assenza di ogni sanzione sociale contro i suoi tenta
1 k e n d a ll , H istory of the Prim itive M ethodist Church c it., I , p. 474.2 Un simile documento, appartenente ai salariati agricoli di Norfolk
si trova riprodotto nel mio libro Labour’s Turning Point, London 1948,
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tivi di emergere, il predicatore laico poteva distinguersi tra i suoi compagni, e la pratica della predicazione gli conferiva fiducia in se stesso e spigliatezza. Ancora oggi non è difficile trovare, specialmente tra i minatori, il capo di un sindacato che sia nel tempo stesso predicatore laico. Il metodismo primitivo non era dunque fatto su misura per lavoratori con una precisa coscienza di classe; poche sette importanti lo erano, ed anche queste erano di scarsa efficienza. Ma ovunque il metodismo primitivo prese piede fra i lavoratori, l ’opportunità della sua tecnica non poteva mancare di trasformarlo in una scuola di dirigenti sindacali .
Tuttavia le sette e il movimento operaio - specialmente per quanto concerne i militanti e i capi del movimento- erano collegati anche per un'altra via; attraverso il processo di conversione, cioè per l ’improvvisa e prepotente emozione della rivelazione del peccato e della ricerca della grazia, che il metodismo nella sua qualità di dottrina della «rinascita» dell’uomo già adulto, favoriva. (È significativo che un’altra setta della «rinascita», quella dei battisti fosse probabilmente, dopo quella dei metodisti primitivi, la setta che ebbe più seguito tra i lavoratori manuali). La coscienza e l ’attività politica di un gran numero di capi dei movimenti operai si iniziò al momento della conversione o poco dopo. Arthur Henderson si converti alla religione all’età di sedici anni: «la conversione segnò l ’inizio della sua vita» Fenwick, Batey (segretario dei lavoratori delle miniere), Reid (rappresentante del Fondo permanente di soccorso per i minatori del Northumberland e di Durham), Peter Lee, dei minatori di Durham, Parrott, dei minatori del Midland, Samuel Jacks di Dewsbury, Bioor, capo dei Staffordshire Underground Firemen, Kenyon, dei minatori del Derbyshire, George Edwards,
1 «Q uelli tra i lavoratori che hanno una naturale tenden2a al comando trovano nella Chiesa praticamente il solo mezzo di esercitare questa loro tendenza; ciò contribuisce a spiegare la ininterrotta popolarità delle "testimonianze” nelle quali alcuni fedeli hanno la possibilità di parlare in pubblico, e il numero relativamente grande di funzionari e di comitati che si trovano nelle chiese operaie» ( p o p e , M iilbands and Preachers cit., p. 89).
2 w e a r m o u t h , Methodism and the W orking Class Movement 1S50- iono cit., p. 274.
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capo del sindacato bracciantile del Norfolk, sono tra quelli che fecero l ’esperienza della conversione tra i dodici e i vent’anni (non erano quindi, come molti altri sindacalisti, nati in seno a una setta religiosa). J . H. Thomas, ferroviere, si converti alla Chiesa battista poco prima dei vent’an- ni, e Fred Messer, membro laburista del Parlamento, all ’età di ventun anni. Le conversioni a un’età più avanzata, come quella di John W ilson, minatore di Durham, sembra siano state meno frequenti. Non erano infrequenti invece quelle in giovanissima età chiamate «dei fanciulli predicatori». George Dallas, un bracciante che divenne più tardi capo sindacalista e membro del Parlamento, a diciassette anni insegnava nella scuola religiosa della domenica. C. Simons, anch’egli membro del Parlamento, a sedici anni era già predicatore laico; William J . Brown, del Sindacato dei funzionari pubblici, A. J . Cook e A rthur Horner, minatori del Galles meridionale, iniziarono tutti la loro carriera come fanciulli predicatori. Aggiungo che è estremamente difficile trovare delle statistiche esaurienti sull’argomento. La sola seria inchiesta svolta sulla religione dei membri laburisti del Parlamento, quella di Franz Linden, non è del tutto esauriente, e non comprende un’adeguata rassegna dei vari capi sindacalisti. Queste osservazioni possono quindi essere errate; tuttavia le cifre appaiono tanto più sorprendenti, qualora si consideri che molti membri della classe lavoratrice erano nati in una setta e quindi o non avevano bisogno di conversione, o non davano rilievo a un avvenimento del genere.
In mancanza di ulteriori dati biografici, esitiamo ad esaminare troppo da vicino queste conversioni. Tutto ciò che possiamo dire è che esse segnarono un improvviso mutamento dell’atteggiamento del singolo nei riguardi dell'esistenza in generale, cioè tanto della sua attività di ogni giorno, che della sua vita spirituale; l ’atteggiamento caratteristico dei membri delle sette operaie è essenzialmente pratico, e non già mistico, o, se lo è, il misticismo resta subordinato alle attività terrene. Non è dunque sorprendente che la conversione producesse, riflettesse o forse incoraggiasse quel genere di attività altruistica che è propria del militante operaio. Poiché, allora come ora, colui che
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svolge seriamente la propria attività di militante, in un certo senso vi si consacra rinunciando ad altre attività, spesso in apparenza più attraenti, comprese le attività lucrose. Naturalmente, un certo genere di conversione è assai comune nei movimenti operai. In quelli inglesi, tuttavia, di carattere eminentemente arcaico, tale conversione era in genere del tipo religioso tradizionale, quando non era una conversione politica che assumeva una veste religiosa.
A questo punto poniamo incidentalmente la questione se vi fosse qualche differenza, per quanto concerne la religione, tra i quadri e la massa degli appartenenti alle sette operaie. È probabile che cosi fosse, ma non ne abbiamo le prove. Una inchiesta sui membri laburisti del Parlamento nel 1 92 9 non ha portato ad alcuna conclusione. Dei 249 membri che dichiaravano le loro convinzioni religiose, soltanto quarantasette erano anglicani, percentuale ovviamente molto al di sotto di quella nazionale, cinquantuno erano metodisti di diverse specie, quarantadue vecchi dissidenti (indipendenti, battisti, unitari, quaccheri), diciassette presbiteriani, tre ebrei, diciotto cattolici, otto agnostici o atei, e il rimanente cristiani senza precisa denominazione, per la maggior parte tendenti probabilmente verso sette dissidenti. Tuttavia, i membri laburisti del Parlamento provenivano in genere da zone in cui la Chiesa anglicana contava un numero eccezionalmente esiguo di fedeli, come nel Nord, nel Galles e in Scozia; il loro gruppo quindi, non può riflettere esattamente la composizione religiosa del complesso della popolazione. Non sembra infondata l ’opinione che i quadri operai fossero più propensi degli altri ad aderire a ideologie religiose o laiche. Cosìil positivismo francese e il secolarismo anglosassone, rispettivamente alla metà e alla fine del secolo scorso, divennero per un certo tempo una specie di religione per gli attivisti e i capi di associazioni sindacali, per quanto avessero scarso seguito tra le masse '. Ma la questione deve essere lasciata in sospeso.
1 r . GOETZ-GIREY, L a pensée syndacale frangaise, 19 4 8 , P- 2 4 - I l tipo- grafo Keufer e il decoratore Isidore Finance, due colonne del riformismo, erano ambedue positivisti.
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I metodisti primitivi erano il prodotto dello stadio iniziale dell’industrializzazione. La prova della lunga durata dell’attività delle forze creatrici di sette operaie è data dalla storia di una delle poche sette operaie create intenzionalmente come tali; si tratta della Labour Church di John Trevor, fondata a Manchester nel 18 9 1 Come c ’era da aspettarsi, la Labour Church non ebbe lunga durata. La sua funzione principale fu quella di facilitare il passaggio dei lavoratori del Nord dal liberalismo radicale al partito laburista indipendente; una volta adempiuta questa funzione essa scomparve rimanendo soltanto in alcune città come un utile punto d ’incontro neutrale del socialismo in senso lato per i differenti gruppi delle sinistre. Ma ciò che è straordinario nella Labour Church non è il fatto che venisse eliminata, ma che un fenomeno di questo genere possa essere apparso naturale in Inghilterra alla fine del secolo scorso.
II fondatore di questa Chiesa, John Trevor, ha descritto l'evoluzione della propria idea e della propria Chiesa in una verbosa ma interessante autobiografia \ Riassumiamo brevemente che era nato da un’ambiziosa famiglia della bassa borghesia, in una piccola setta di battisti profondamente compenetrati dal terrore del fuoco delPinferno, del genere che tende a separarsi da congregazioni più. grandi onde assicurarsi della purezza dei veri credenti, separando i puri eletti dai reprobi. Dopo un periodo di pietismo infantile egli perse la fede verso il 18 7 5 , ma la ritrovò in seguito, dopo un periodo di incertezze, sotto la forma di un deismo estremamente mitigato. Dopo il 1880 alle sue perplessità di natura teologica venne ad aggiungersi una coscienza sociale. Coadiuvato da Philip Wick- steed egli cercò di essere accolto nella setta Unitaria, ma deluso da tutte le religioni organizzate fondò la Labour Church. La teologia di questa Chiesa è diffìcile da spiega
1 G li unici adeguati resoconti dati alle stampe di questo strano movimento si trovano nell'opera di H. f e l l i n g , Origins of the Labour Party, 1954 e in iNGLis, Churches and the working classes in Victorian England cit. Le presenti note si fondano sul giornale di questa Chiesa, il «Labour Prophet» (1892-98), sui documenti delia Labour Church di Birmingham e su molto altro materiale biografico contemporaneo.
2 M y Quest for G od, 1898.
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re, in quanto praticamente inesistente. Certamente non era una setta cristiana nel senso tradizionale. Quanto a Trevor la sua professione di fede è la seguente:
Dio è con il movimento operaio. Cosi ci è stato predetto... Il grande movimento religioso del nostro tempo è il movimento per l ’emancipazione delle masse lavoratrici. I lavoratori rispettano le chiese molto più di quanto le chiese rispettino i lavoratori. E siccome è necessario ai lavoratori se vogliono ottenere la loro salvezza (che comporta la salvezza di tutta la società), essere indipendenti da qualsiasi partito politico, è anche necessario che essi, se vogliono mantenersi torti nella vita religiosa, comprendano che possiedono una religione loro propria che può renderli indi- pendenti dalla particolare dottrina di qualsiasi chiesa, per quanto «liberale» possa essere '.
Purché il movimento laburista avesse una sua propria religione, non importava molto quale fosse, e Trevor, convinto che essa avrebbe dovuto «restare indipendente, senza né preti, né parroci, né credo, né tradizione, né Bibbia» certamente non si preoccupava di definire i dogmi. Tuttavia, come stabilivano i principi della Labour Church Union, non si trattava di una religione di classe, ma di una religione che serviva a unire i membri di tutte le classi lavoratrici per la abolizione della schiavitù commerciale .
In effetti, le chiese che rapidamente si diffusero non condividevano in pratica né la teologia di Trevor né il suo rifiuto a formare una religione di classe. Esse accoglievano soprattutto lavoratori cresciuti nell’atmosfera delle sette protestanti dissidenti, per cui era inconcepibile che una scissione politica ed economica dal capitalismo non portasse anche a una secessione religiosa. A Bradford, ove da lungo tempo si era parlato di costituire una Chiesa separata, ciò non fu fatto «finché molti leaders non conformisti della città non ebbero manifestato un’aperta avversione alla candidatura del socialista Ben T ille t» 3. A Plymouth ci si domandava «perché [membri della Labour Church] non sono andati ad ascoltare la predicazione
1 «Labour Prophet», 1892, p. 4.2 f e l l in g , Origins of the Labour Party cit., p. 143 .3 «Labour Prophet», 1892, p, 64.
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del Vangelo nell’una o nell’altra delle Chiese? Perché tanto i non conformisti che la Chiesa di Stato hanno bestemmiato e vituperato nelle loro prediche il Falegname di Nazareth. esortando il popolo a contentarsi dello stato che Dio aveva voluto assegnare lo ro » 1. Seth Ackroyd, della Labour Church di H ull, un segatore a macchina già wesle- vano di grande energia morale, si espresse chiaramente in questi termini:
I lavoratori pensano che le Chiese cristiane (cosi come la stampa ufficiale) siano state assoldate dai capitalisti; il ministro che parli liberamente è rapidamente allontanato per far posto a un altro che farà commercio del suo ministero e della sua coscienza. Vediamo cosi che le organizzazioni ecclesiastiche sono entrate a far parte del sistema di concorrenza capitalista; e poiché esse sono governate secondo gli interessi dei datori di lavoro, è necessario che i lavoratori abbiano una Chiesa loro propria, e un loro proprio servizio che sarà per essi un ritrovo familiare nel giorno festivo, e la cui influenza svilupperà ciò che vi è di migliore e di più nobile nella loro personalità. L'unica salvezza dei lavoratori sta nell’unione, ma affinché questa unione sia effettiva, è necessario avere una personalità. Quindi una Chiesa del lavoro, plasmatrice di tale personalità, è indispensabile per il vero bene dei lavoratori '.
A quanti siano cresciuti in un’atmosfera dissidente, nulla sembrerà più naturale che formare un’altra setta sul modello tradizionale, e la Labour Church, con le forme di culto abituali delle sette dissidenti - sermoni, inni, bande di ottoni e gite di fanciulli - esprimeva la nuova ideologia socialista in termini familiari alla loro esperienza. Questo fenomeno ebbe sempre portata ridotta; per quanto simili Chiese si diffondessero rapidamente nel Nord. Penso cheil numero complessivo dei loro membri fosse di duemila intorno al 18 9 5 , mentre in precedenza doveva essere stato maggiore. Tuttavia queste Chiese non erano frequentate soltanto dai loro membri; cosi, verso il 1890 si trovano delle congregazioni di parecchie centinaia di persone
1 «Labour Prophet», 1893, p. 8.2 s. a c k r o y d . Labour’s Case for a Labour Church , i n «Labour Pro
phet», 1897, pp. 1-3.
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in piccolissime Chiese, e nel 1892 la Chiesa di Birmingham ordinò cento libri di inni. Nel momento di massimo sviluppo del movimento vi erano simili Chiese in venti- quattro località, sedici delle quali nel Lancashire e nel West Riding. Le più numerose erano Manchester e Bradford, con circa trecento membri, per quanto la prima subisse un rapido declino; H alifax, Leeds, Hyde e Birmingham. con cento-centotrenta membri le seguivano in ordine di grandezza. Molte di queste Chiese erano le propaggini di associazioni operaie laiche, in genere del partito laburista indipendente. Bolton, Bradshaw, Farnworth e Morlev erano in effetti governate dall’esecutivo locale del partito di cui sopra, mentre la Chiesa di Plymouth era una emanazione del sindacato dei gassisti La maggior parte di esse decadde quando l ’energia dei loro attivisti venne ad essere assorbita da un’organizzazione socialista eminentemente laica; poiché anche sul piano ideologico la propaganda di altre organizzazioni socialiste e del «C larion» - il cui editore, Blatchford, doveva divenire un propagandista del libero pensiero - neutralizzava quella del settarismo operaio tradizionale. Verso la line del secolo le Chiese non erano più un movimento vero e proprio. Il loro erede principale fu il partito laburista indipendente; per quanto una piccola corrente di idee dissidenti indugiasse ancora nell’oratorio, non si trattava più di una setta operaia, ma di un partito politico laico. Il maggiore interesse storico che le Chiese presentano è dato dal fatto che esse costituiscono una delle forme di organizzazione elaborata dai lavoratori del Nord nell’intento di scindersi, sul piano politico come sul piano ideologico, dal partito liberale.
I I I .
Non è diffìcile scoprire le ragioni dello straordinario sviluppo delle sette operaie nelle isole britanniche. Esso fu il coronamento o la condanna dell’opera del pioniere
1 «Labour Prophet», 1894, p. 1 27 .
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sociale, poiché l ’ironia della storia vuole che il pioniere rivoluzionario lasci sussistere, dell’ordine contro cui insorge, molto di più di quanto non lascino i suoi successori. L ’ideologia dei movimenti politici operai deriva da quella dei suoi predecessori rivoluzionari borghesi; la maggior parte dei movimenti socialisti, prima di elaborare teorie proprie, ha attraversato uno stadio di giacobinismo di sinistra. Ma solamente nelle isole britanniche la rivoluzione borghese fu combattuta e vinta prima che l ’ideologia laica raggiungesse il proletariato o le classi medie. La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino apparve al popolo britannico non già rivestita della toga romana e della prosa illuministica della fine del x v m secolo, bensì sotto le spoglie dei profeti del Vecchio Testamento e nel linguaggio biblico di Banyan: la Bibbia, il P ilgrim ’s Progress e il Book of Martyrs di Foxe furono i testi sui quali gli esponenti della classe operaia inglese appresero l ’abc della politica, se non anche l ’abc della lettura. Per la massa, dunque, esprimere le proprie primitive aspirazioni in un linguaggio religioso era altrettanto naturale che per gli oratori e per i giudici americani continuare ad esprimersi nelle frasi ritmiche della prosa del x v m secolo, quando altrove esse erano già da tempo sparite dall’uso comune. Nulla infatti lascia su un popolo un’impronta più profonda delle grandi rivoluzioni che quel popolo ha attraversato.
Inoltre, per quanto la rivoluzione dellq sette dissidenti del secolo x v n fosse fallita, e lo stesso fondamento sociale delle loro ideologie fosse stato in gran parte distrutto, esse costituirono un fenomeno ufficialmente riconosciuto. V i sarebbe stata da allora in poi in Inghilterra una specie di religione, che non si identificava con lo Stato né con qualsiasi altro potere, se pure non era in aperto contrasto con essi. Anche l ’anticlericalismo rivoluzionario, fenomeno quasi universale del periodo della rivoluzione borghese e dei primi movimenti operai, non era dunque necessariamente scismatico o antireligioso. Ciò che nella Francia del x ix secolo era volterriano, nell’Inghilterra dello stesso periodo era non-conformista; fatto, questo, che ha indotto gli osservatori superficiali a trascurare le notevoli analo
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gie tra le manifestazioni politiche dell’anticlericalismo nell’uno e nell’altro di questi paesi. Inoltre la setta non era soltanto un'espressione organizzata di dissenso, ma una forma estremamente elastica di organizzazione popolare, adatta a tutti gli scopi, compresa l ’agitazione sociale per obiettivi di natura pratica. Non vi era nulla di più naturale del fatto che i gruppi dei primi lavoratori industriali adottassero una forma cosi opportuna e di cosi facile attuazione, poiché nessuno aveva fatto loro conoscere l ’esistenza di una forma migliore.
E chi avrebbe potuto farlo? I gruppi di artigiani, e di operai delle città preindustriali - Londra, Sheffield, Norwich e simili - avevano lentamente plasmato le loro particolari forme di associazione artigiana dalle più antiche società di lavoratori, e la loro forma specifica di giacobinismo agnostico dai resti dello spirito settario del x v ii secolo; oppure conservavano tra di loro un nucleo particolarmente resistente dell’appassionato e intellettualistico puritanesimo degli egualitari, della specie che Mark Rutherford ha ritratto nella figura di Zachariah Coleman in The Revolution in Tanner's Lane-, non un predicatore fanatico né un fautore del risveglio religioso, ma un calvinista moderato, appassionato lettore di Bunvan e di Milton, forte ragionatore e repubblicano convinto. E forse da questi piccoli gruppi di militanti non privi di cultura derivarono sette del genere della Rational Society degli owenisti, che fondarono la cooperativa di Rochdale '. Ma accanto a questi gruppi con una lunga e continua tradizione di coscienza politica e sindacale, vi erano le masse di lavoratori che affluivano nelle città dalle campagne, e le masse dalle quali si sviluppò un proletariato agricolo o un proletariato o un quasi proletariato industriale in villaggi isolati dal mondo della politica radicale; masse indifese, ignoranti, e spesso ancora più incolte dei loro predecessori vissuti prima dell’industrializzazione. Il loro scontento era di natura prepolitica; quindi la propaganda dei radicali e dei liberi pensatori delle città, anche quando riusciva a raggiungerle, non aveva molta presa su di loro. In In-
‘ c. d . il. col i :, A Century of Cooperation, 1 9 4 4 , capp. m - i v ,
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ghilterra i minatori del Nord rimasero per la maggior parte lontani dal cartismo, anche quando il ritmo del loro malcontento particolare era in fase con quello dei movimenti generali. G li operai della Francia settentrionale rimasero estranei alla rivoluzione del 1848 , scioperando e ribellandosi soltanto per questioni salariali o per ostilità verso gli immigrati belgi; tra di essi l'idea repubblicana riusci ad affermarsi alquanto solo a partire del 18 5 1 . In genere questi gruppi venivano evangelizzati da apostoli venuti dall’esterno, che insegnavano loro il modo di agire quando erano pronti a seguirli; ma non erano invece abbastanza maturi per elaborare delle importanti organizzazioni operaie loro proprie. Cosi gli uomini della Prima In ternazionale intorno al 18 70 , i socialisti marxisti verso il 1890 , e i comunisti (come negli stabilimenti cotonieri di Gastonia nel 1929) divennero i primi organizzatori; e spesso la loro attività aveva come risultato la conversione unanime e definitiva alla nuova fede delle masse a cui predicavano la nuova dottrina. L ’avvento dei sindacati socialisti ed il successo elettorale socialista in molte zone di remoti e dimenticati villaggi industriali e miniere dovette avvenire con straordinaria rapidità; nel 1886, si scriveva che nella zona di Liegi i lavoratori «aborrivano i socialisti» ; ma poco dopo il 1890 l ’8oaò di essi - e nella vallata di Vesdre il <.)Ocrc - diedero il voto ai socialisti \ Tuttavia ciò potè verificarsi soltanto nelle zone in cui l ’industrializzazione si compì con tale ritardo, che queste zone arretrate poterono essere conglobate in un preesistente e già attivo movimento moderno entro un periodo assai breve. In Gran Bretagna, ove la industrializzazione si era compiuta già da tempo, spesso si dovette costituire un certo tipo di movimento operaio assai prima che formazioni moderne fossero in grado di dirigere le masse lavoratrici fornendo loro un’ideologia e un programma.
In queste condizioni la setta operaia dovette riempire il vuoto, in mancanza di qualcosa di meglio \ Non doveva
1 a. s w a i n E, Hcim arbeit in der G ew ekrindustrie von Luettich , «Jahr- buch tur Nationalokonomie», s. I l i , 1896, p, 218.
* «Attraverso i miei studi di teologia giunsi presto alla convinzione clic le condizioni sociali del popolo non erano conformi ai disegni di Dio. Le
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superare molti ostacoli politici, dato che le sue ideologie politiche non differivano da quelle dei movimenti operai laici e radicali, e quando ne differivano, i settari le assimilavano rapidamente allo schema della democrazia radicale. II settarismo non impediva di collaborare con i radicali laici e con i socialisti, né di apprendere qualcosa da essi; Zachariah Coleman era pronto a collaborare coi suoi contemporanei senza Dio, cosi come i minatori del Galles meridionale, quasi tutti appartenenti a sette dissidenti, seguirono il libero pensatore Zephaniah Williams nella sommossa di N ew port'. Coloro che lottavano per la stessa causa combattevano insieme; ciò favori, in seguito, il tentativo della Labour Church di unificare tutti i gruppi del movimento politico operaio, benché i dissidi di setta continuassero sempre. La setta operaia fu dunque facilmente assorbita nella corrente generale delle attività delle sinistre, ottenendo cosi il triplice inestimabile vantaggio di esprimere la protesta sociale dei lavoratori nel linguaggio familiare e possente della Bibbia, di fare ciò con metodi alla portata dei lavoratori più ignoranti e meno qualificati, e di fornire loro, come si è visto, un patrimonio inestimabile di nozioni e di esperienze.
Nondimeno, la setta aveva dei limiti. Da un punto di vista sociologico, tendeva, come tutti i raggruppamenti del genere, ad abbandonare il carattere di setta riservata a una unica classe di lavoratori, tanto più facilmente in quanto in teoria non era vincolata a una comunità di classe, bensì a una di veri credenti senza discriminazione di classe. A meno che non provvedesse a salvaguardare la propria purezza mediante secessioni periodiche - come fecero in molte città alcune piccole sette operaie prive di qualsiasi influenza - tendeva inevitabilmente a produrre
gravi ingiustizie subite dai miei genitori e le terribili sofferenze da me sopportate nell’ infanzia bruciavano la mia anima come un ferro rovente. Molte volte giurai a me stesso che avrei fatto qualche cosa per migliorare le condizioni della mia classe» (g . e d w a r d s , From Crow-Scaring to Westminster [ed. 19 57 ], p. 36). Edwards, capo del sindacato lavoratori agricoli della contea di Norfolk, si convertì al metodismo prim itivo nei 1869 e divenne un sindacalista militante contemporaneamente a ll’avvento di Jo seph Arch.
1 d. w i l l i a m s , John Frost, 19 3 9 , pp. 15 0 e 324 per le relig io n i dei dim ostranti.
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una messe di confratelli che facevano carriera e adottavano le opinioni della borghesia; e in genere costoro tendevano a occupare i posti direttivi, nell’ambito della congregazione come nell’ambito nazionale. Soltanto le comunità più compatte, come ad esempio i villaggi di minatori, in seno alle quali l ’ascesa sociale non era possibile se non attraverso l ’azione coordinata dei lavoratori, rimasero in parte immuni da questo inconveniente. Da un punto di vista teologico, risentiva dello svantaggio proprio di tutte le sette cristiane, cioè che le loro scritture obbligano alla ribellione e, nello stesso tempo, (attraverso san Paolo) all’accettazione del governo esistente come moralmente buono. Questa ambiguità della dottrina, cristiana può certamente essere eliminata da un’esegesi o da una casistica adeguate; rimane però sempre un ostacolo alla formulazione di una solida dottrina sociale rivoluzionaria. Risentiva infine della natura frammentaria della propria dottrina; poiché, come abbiamo visto, raramente, nelle sue forme attive, elaborò un programma organico di azione politico-sociale, ma in genere attuò simili programmi elaborati a ll’esterno. Le sette operaie non produssero grandi teorici. Le teorie radicali e socialiste da esse scaturite provenivano dal patrimonio, razionalizzato e pervaso da ideologie giacobine, dei vecchi dissidenti del x v n secolo (unitari, quaccheri, con tracce di congregazionalismo) che andarono a perdersi nel complesso della tradizione razionalistica giacobina. Non esisteva un socialismo cristiano operaio di una certa importanza, ma soltanto il tipo corrente di socialismo elaborato da pensatori laici e tradotto nella terminologia familiare della Bibbia.
La setta operaia contribuì dunque molto meno di quanto ci si sarebbe potuto aspettare in rapporto alla loro importanza numerica all’evoluzione del movimento laburista inglese; tanto che il loro contributo pratico si riduce a poco più di qualche limitata attività organizzativa e propagandistica, e a un lavoro preparatorio presso alcuni gruppi di minatori e di agricoltori, la cui portata è assai diffìcile da valutare. Come abbiamo visto, essa perse ogni importanza alla fine del secolo scorso, eccetto forse, per le ragioni esposte nel paragrafo precedente, in quanto una
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forma di tradizione che contribuì a consolidare la tendenza, già assai forte, moderata e riformista nel movimento laburista inglese. Essa rimase a lungo un campo di addestramento per i quadri del movimento operaio; era questa la loro principale funzione pratica, come giustamente scrisse Seth Ackrovd di Hull. Questi quadri non erano necessariamente moderati; abbiamo visto che un rivoluzionario nato come il comunista Arthur Horner si era formato nell’atmosfera di tale setta. Tuttavia, anche questa funzione tramonta a partire dal 188 0 ; le organizzazioni marxiste e, dai primi del nostro secolo, i movimenti per l ’istruzione degli adulti, assorbirono la maggior parte di queste funzioni, ad eccezione di uno o due gruppi specializzati. Cosi le sette operaie si esaurirono, per quanto il loro spirito sia tutt’altro che spento in zone come il G alles sudoccidentale o in alcuni remoti villaggi agricoli. E sse si addicevano forse maggiormente alla prima fase radi- cal-democratica del movimento operaio, e si estinsero insieme a questo tipo di coscienza politica delle classi lavoratrici.
Capitolo nono
Il rituale dei movimenti sociali
I.
Tutte le organizzazioni umane comprendono una parte di cerimonie e di riti; i movimenti sociali moderni, invece, sono stranamente privi di un rituale deliberatamente predisposto. Ufficialmente, ciò che unisce i loro membri è il contenuto e non la forma. Lo scaricatore di portoo l ’intellettuale che ottiene la tessera del suo sindacato o della sua associazione professionale (purché questo sia un atto di libera scelta) sa, senza bisogno di particolari formalità, di impegnarsi a determinate attività e a un determinato comportamento, come ad esempio alla solidarietà nei confronti dei suoi compagni. Colui che entra a far parte di un partito comunista si impegna a un complesso di attività intense e impegnative, paragonabili, almeno per alcuni membri, a quelle a cui ci si impegna entrando negli ordini religiosi. Eppure, costui o costei compie tale atto senza altra cerimonia che quella di ricevere un pezzo di cartoncino a scopo puramente utilitario, sul quale si attaccano periodicamente delle marche.
Ovviamente, questo non vale a escludere il rituale dai sindacati e dai partiti politici; qualora esso non sia previsto nei piani dei loro fondatori o dei loro capi, esso è capace di crearsi spontaneamente se non altro per la tendenza degli esseri umani a rivestire di riti e di formalità i reciproci rapporti. Le dimostrazioni, il cui scopo originario era, nei movimenti operai, quello utilitaristico di dimostrare agli avversari la forza della coesione delle masse lavoratrici e di incoraggiare con questo mezzo i loro sostenitori, divennero cerimonie di solidarietà il cui valore, dal punio di vista di molti partecipanti, sta tanto neH'c>pci'i-
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meritare la propria unità quanto in qualsiasi fine pratico che si possa cercare di ottenere. Sorge cosi una complessa strumentazione rituale: stendardi, bandiere, inni corali e cosi via. In organizzazioni il cui spontaneo sviluppo è meno inibito dal razionalismo di quanto lo siano i movimenti operai, l ’ansia di creare un rituale può produrre una fioritura simile a un sottobosco tropicale. I Congressi dei partiti americani ne costituiscono forse l ’esempio più significativo. Ma il fatto che gli uomini attribuiscano un contenuto rituale alle proprie azioni, cosi che in alcuni partiti comunisti l ’annuale distribuzione delle tessere costituisca un’occasione molto più solenne di quanto comporterebbe il semplice acquisto di un nuovo pezzo di cartoncino, è di secondaria importanza. Ciò che mantiene compatti i comunisti è l ’ideologia del partito a cui aderiscono, così come ciò che mantiene uniti i membri del partito democratico americano non sono le grottesche manifestazioni dei loro congressi quadriennali.
Nei movimenti sociali europei primitivi la forma svolge un ruolo assai più importante, per quanto sia evidente come ai loro membri non venga neppure in mente la moderna distinzione tra forma e contenuto. Nessuno dei due può sussistere senza l ’altro. Tali fenomeni sono familiari agli studiosi del Medioevo. I sudditi devono fedeltà al re, ma se il re non compie alcune formalità necessarie, ad esempio quella di farsi incoronare e ungere a Rheims, i suoi diritti e i loro doveri sono molto più discutibili. Soltanto un fabbro può entrare a far parte dell’associazione della sua categoria; ma se non vi è entrato nella esatta forma richiesta e nel tempo e nel luogo stabilito, con le speciali domande e risposte, non è un membro effettivo e i suoi diritti possono essergli negati, cosi come egli può rifiutare di compiere i suoi doveri. Non essere stato battezzato o unito in matrimonio col giusto rituale o al momento designato dal rituale stesso, può ancor oggi compromettere l ’appartenenza di un individuo a una comunità religiosa. Questo eccessivo formalismo può avere, e in realtà ha sempre avuto, una giustificazione razionale, perlo meno qualora esso concerna dei sistemi legali, specialmente di quelli basati sulla tradizione o sul diritto consue
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tudinario. Si può sostenere che il conformarsi scrupolosamente alla tecnica della procedura garantisca l ’efficacia della legge, per quanto a volte la condanna di alcuni criminali possa essere stata invalidata a causa di irregolarità formali nel loro processo. Si può anche argomentare che in società composte da gente incolta, o nelle organizzazioni gestite da persone di scarsa intelligenza, come molti eserciti, che anche una leggerissima deviazione dalla procedura tradizionale rigorosamente stabilita possa portare a un allontanamento sempre crescente dalla pratica tradizionale o addirittura al caos e alla confusione. Non di meno, buona parte di questa cura meticolosa nell’attenersi alla lettera del rituale non è, in pratica razionale secondo il nostro modo di pensare. L ’argomento che gli ebrei vengano circoncisi perché la circoncisione porta dei vantaggi di natura medica, non è certo quello per cui i genitori ebrei di tutti i tempi hanno fatto circoncidere i loro figli.
In questo formalismo dei movimenti socialisti primitivi si possono distinguere diversi elementi. In primo luogo vi è l ’importanza delle forme vincolanti di iniziazione. Nelle associazioni volontarie come i movimenti sociali, l ’iniziazione assume la forma di una cerimonia compiuta da uomini e donne capaci di operare una scelta cosciente (quindi non prima della pubertà) da qui proviene la pratica del battesimo degli adulti a preferenza di quello dei bambini fra le sette rivoluzionarie del x v i secolo. L ’iniziazione, secondo i termini del rituale che le è proprio, può servire a legare intimamente il membro all’organizzazione, ad esempio inducendolo a infrangere tabu di valore universale, come nel caso delle confraternite di individui coscientemente al di fuori della società, come quelle dei ladri '. Inoltre essa crea generalmente una particolare atmosfera di solennità e di magia allo scopo d'im primere nella mente del candidato l ’importanza del passo che sta per compiere, oppure (questo è probabilmente uno stadio posteriore degenerato) allo scopo di impressionarlo con le sanzioni alle quali lo esporrebbe una mancanza di
1 Das deut sche Gaunerthum cit,, fornisce alcuni esempi interessanti seppure sgradevoli data la natura del caso. Cfr, anche il cap. n .
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fedeltà. Il candidato può essere messo alla prova o esaminato in diversi modi. La vera e propria iniziazione culminava in un atto rituale come l ’imposizione delle mani, e in genere conteneva un giuramento solenne o una dichiarazione fatta dal candidato che lo vincolava per sua propria volontà.
In secondo luogo, vi è il cerimoniale delle riunioni periodiche, che di tanto in tanto servono a riaffermare l'u nità dei membri: assemblee, processioni, atti di culto in comune e simili. In terzo luogo, troviamo ciò che si può chiamare il rituale pratico che permette ai membri di adempiere alle loro particolari funzioni, come i segni di riconoscimento formali e segreti, la «parola massonica» la stretta di mano dei frammassoni, le parole d ’ordine ecc.
Viene poi il simbolismo, l ’elemento più importante e pili suggestivo. Nelle organizzazioni primitive esso serviva a unire la forma al contenuto. Il simbolismo che troviamo abitualmente nei movimenti moderni - il distintivo, la bandiera, le figurazioni simboliche, ecc. - non è che una espressione fievole e degenerata del vero simbolismo. È vero che per gli attuali socialisti e comunisti una bandiera rossa, una stella a cinque punte, una falce e martello (che simboleggiano, credo, l ’unione dell’operaio all’agricoltore) può essere un’espressione sintetica del suo movimento, del suo programma, delle sue aspirazioni, delle sue conquiste, della sua coesione e del suo potere emotivo, con l'evocare tutto ciò. Ma nei movimenti primitivi, come nelle cattedrali gotiche, si può trovare un intero universo di simboli e di allegorie, in cui ogni singolo elemento corrisponde e realmente «rappresenta» un particolare, grande o piccolo, di una complessa ideologia, di un movimento. Le elaborate insegne allegoriche, le intestazioni delle lettere dei sindacati inglesi del secolo scorso rappresentano una versione alquanto mitigata di tale fenom eno2. Il simbolismo massonico è forse il tipo più conosciuto di un simile universo estraneo alle religioni
1 d . KNOOP e G. p . j o n e s , The Genesis of Freemasonry, Manchester 1947 ; PP- 96-107.
2 L ’emblema del sindacato dei portuali (1889) viene particolareggiatamente descritto nel mio Labour's Turning Point, London 1948; pa-
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ufficiali, e anche, per i nostri fini, il più influente. È straordinario vedere quale inopportuna ingenuità entrò nel passato nella elaborazione di questi complessi simbolismi, ciascun elemento dei quali poteva assumere un significato diverso per i membri dei vari gradi dell’organizzazione. La maggior parte di questo simbolismo aveva scarsa portata per quanto concerne le funzioni di una organizzazione, in quanto movimento sociale, poiché queste ultime sono sempre state in ogni circostanza concrete e limitate. Quando era stato tratto da organizzazioni e da tradizioni del passato, la maggior parte di questo simbolismo rimaneva soprattutto come un elemento emotivo usato dai movimenti sociali per scopi molto meno elaborati di quelli per cui era stato originariamente creato.
II.
In quali movimenti sociali del secolo scorso possiamo aspettarci di trovare un simile primitivismo? Innanzi tutto in organizzazioni che, essendo o dovendo essere segrete, o avendo degli scopi rivoluzionari estremamente ambiziosi, imponevano ai loro membri un grado eccezionale di coesione; in secondo luogo in organizzazioni che, derivando da istituzioni e tradizioni più antiche, conservavano legami eccezionalmente tenaci con il primitivismo del passato. In altre parole, da una parte gli ordini e società rivoluzionarie segrete, dall’altra i sindacati e le società di mutuo soccorso, specialmente quelle derivate dalle associazioni di artigiani specializzati indipendenti. La categoria delle società che possiamo chiamare « massoniche », costituisce un legame tra questi due gruppi. Naturalmente questa classificazione non esaurisce tutte le varie combinazioni possibili.
L ’organizzazione dei primi sindacati, le società di mutuo soccorso, cosi come le norme consuetudinarie e le convenzioni non ufficiali dei lavoratori nei loro luoghi di la-
gine 87-88. V i è molto da dire a proposito del simbolismo dei primi sindacati inglesi, alcuni emblemi dei quali si possono ancora ammirare.
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voro, rivelano indubbiamente numerose tracce di primitivismo. Poiché praticamente tutte queste manifestazioni finivano in bevute, la più completa enumerazione di tali cerimonie in Gran Bretagna (per quanto piuttosto povera di particolari non riguardanti l ’alcoolismo) si deve a ll’opera di zelanti apostoli della temperanza come John Dunlop ', ansiosi di mettere in guardia il pubblico contro i molteplici ostacoli che si opponevano alla sobrietà del cittadino britannico.
Consideriamo dunque l ’iniziazione, che può essere iniziazione a un mestiere (come quando l ’apprendista diviene artigiano) o a una organizzazione (come quando l ’artigiano diviene membro della sua associazione o compa- gnonnage, spesso come conseguenza necessaria della prima iniziazione) o a un nuovo lavoro e residenza (come quando un artigiano arriva in una città forestiera). Questo rituale degli inizi rimase quasi universale in Gran Bretagna nella prima metà del secolo scorso. Cosi, tra i fabbricanti di carrozze, il nuovo apprendista era accolto con un determinato cerimoniale, e ogni nuovo genere di lavoro in cui si cimentava veniva ugualmente celebrato; il nuovo operaio doveva solennizzare con apposite cerimonie la propria ammissione, il passaggio da un banco all’altro dell’officina, la prima visita della moglie dell’operaio all’officina, il suo matrimonio e la nascita di ogni figlio. Tutto veniva celebrato e il nuovo socio del datore di lavoro era obbligato ad offrire una cena agli operai. Al principio della stagione invernale ciascuno riceveva un’oca. Alla consegna di una carrozza il cocchiere del cliente riceveva un regalo; l ’operaio ultimo arrivato nell’officina diventava «connestabile» e riceveva una mazza presentatagli con grande cerimonia. Talvolta, ma non sempre, si usava «bagnare» i vestiti nuovi. E cosi via. Questi usi erano in genere comuni a tutti i mestieri.
Qualora si tenga presente questa diffusa pratica di celebrare con cerimonie ogni inizio, oppure ogni formale mutamento nella vita dell’individuo, risulterà pili agevole
1 Artificial and Compulsory D rinking Usages o f the United Kingdom , in varie edizioni sempre più compiete.
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comprendere la cerimonia più solenne che segnava l ’iniziazione di una persona in un particolare gruppo dei suoi compagni, stabilita allo scopo di sottolineare gli elementi distintivi dagli altri gruppi e di vincolare il nuovo membro con i più forti legami possibili. Questo cerimoniale riuniva in sé il timore reverenziale, l ’elemento dell’esame del candidato e quello della sua istruzione ai misteri dell ’associazione, e naturalmente culminava in una forma estremamente solenne di dichiarazione - generalmente un giuramento - e in una cerimonia che simboleggiava l ’adozione del candidato da parte del gruppo. I più elaborati rituali di questo tipo sembra siano stati quelli delle associazioni degli artigiani francesi (compagnonnages) per quanto esse non facciano altro che seguire uno schema che diviene sempre più familiare allo studioso del rituale di tali società La particolarità dei compagnonnages stava nel fatto che non erano soltanto associazioni di mestieri particolari, ma confraternite che accoglievano varie specie di mestieri, per quanto sembri che originariamente si siano sviluppati nel settore dell’edilizia, e che abbiano per questo molto in comune con i primi stadi della massoneria. Pare che all’origine vi siano state due principali confraternite rivali fra loro: gli enfant s du pére Soubise (originalmente carpentieri, mentre più tardi accolsero altri mestieri connessi con l ’edilizia) e gli en- fants du maitre Jacques (in origine selciatori, carpentieri, falegnami e magnani, e più tardi una più vasta gamma di
I mestieri); una terza, quella degli enfants de Salom on , per quanto vantasse origini antichissime, pare sia stata una propaggine tardiva delle due prime, che non si sviluppò completamente fino al secolo scorso, ed era riservata principalmente alle varie categorie di operai dell’edilizia
I l rituale segreto dell’iniziazione a tali gruppi aveva del
1 Per una esauriente descrizione di queste ultime cfr.: o f f i c e d u t r a v a i l , Les associations professionnelles ouvrières, 4 voli., specialmente il v o l . I (1894), c a p . t i , p p . 90 s g g . Per d e l le in fo r m a z i o n i c o m p le t e c f r . r . l e c o t t é , Essai bibltographique sur les compagnonnages de tous les devoirs du Tour de France et Associations ouvrières à form e initiatique, Paris 19 5 1.
1 L ’articolo a s s a i documentato compagnonnage nel Larousse du x ix e s ie d e , d à l ’ e s a t t a c o m p o s i z io n e d i q u e s t i g r u p p i .
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le cerimonie veramente straordinarie. Per prima cosa il candidato veniva sottoposto alla «épreuve de travail», probabilmente per mostrare la propria abilità nel mestiere. La cerimonia vera e propria cominciava per tempo la sera e doveva concludersi a mezzanotte. Prima di quell'ora il candidato veniva condotto tre volte nella stanza dell’iniziazione per compiere varie formalità, e per tre volte ne era ricondotto fuori. In questa stanza i confratelli erano disposti in cerchio intorno a lui, mentre i tre funzionari gli stavano di fronte. Veniva introdotto dal rouleur con tre colpi di mazza. La stanza era addobbata con un baldacchino bianco e conteneva un altare sul quale stava un crocifisso con sei torce (risparmiamo al lettore la spiegazione del significato simbolico di tutto ciò). Sull’altare era posato un pugnale la cui punta era avvolta da un nastro rosso, simbolo del sangue che il candidato era pronto a versare piuttosto che rivelare i segreti della confraternita. La «tovaglia», che come vedremo aveva un ruolo importante nelle cerimonie delle riunioni periodiche, era stesa di fronte all’altare, con sopra un vassoio sul quale stavano i futuri «colori» del candidato nella confraternita; su un altro la scelta dei «nom i» della società, tra i quali avrebbe dovuto scegliere il proprio - generalmente una combinazione simbolica del luogo d ’origine con l ’allusione ad alcune qualità morali o di altro genere - e una bottiglia contenente il vino con cui doveva essere battezzato. Indi il candidato dichiarava la propria volontà di partecipare a uno scambio rituale di domande e di risposte. Veniva quindi sottoposto a tali prove dopo essere stato bendato.
Queste prove consistevano in burle, in «giudizi di D io» o in pratiche umilianti e ridicole di vari generi (quelle dei carpentieri di Soubise erano particolarmente brutali) e in prove morali come la richiesta di abbandonare la propria famiglia o la propria religione, di commettere un delitto per la confraternita, o di uccidere un uomo; prova questa che veniva simulata con tale abilità che il candidato bendato spesso continuava a credere per qualche minuto di avere veramente immerso il pugnale nel corpo di qualcuno. Superate queste prove, egli pronunciava
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il giuramento di custodire sempre fedelmente i segreti della confraternita:
Vorrei piuttosto, e l ’avrei meritato, che mi si tagliasse la gola, che il mio corpo fosse bruciato e le ceneri gettate al vento; prometto di trafiggere col mio pugnale il cuore di chiunque si renda spergiuro; che lo stesso sia fatto a me se divenissi tale.
V i era anche, talvolta, una prova del sangue: si faceva sprizzare il sangue del candidato che con esso firmava, o almeno se ne toglieva una goccia simbolica e il candidato fingeva di firmare con esso. Talvolta si faceva anche la prova del fuoco spegnendo una candela accesa contro il capezzolo sinistro del candidato.
Il giuramento veniva ripetuto tre volte. Quindi il candidato riceveva il suo nome nella società, sceglieva tra i presenti un padrino, una madrina e un «prete» ' e veniva battezzato con del v in o 2.
L ’unico elemento che manca a questa iniziazione è quello dell’informazione sulla natura generale della società, distinta dai suoi segni segreti di riconoscimento e simili. Le iniziazioni degli artigiani tedeschi, per quanto conservassero in genere gli altri elementi in una forma meno elaborata e formale, mantennero molto a lungo questo particolare elemento. Cosi, tra i tipografi, il battesimo si era ridotto alla fine del secolo scorso a poco pili dello scherzoso rituale della traversata dell’equatore sulle navi; tra i falegnami le prove erano diventate null’al- tro che un gioco chiassoso, e l ’imposizione di un nuovo nome era cosa assai semplice; anche i contrassegni segreti erano molto meno complicati. Tuttavia YH obelpredigt divenne forse più lungo con l ’abbreviazione del resto del rituale; simili discorsi vengono riportati a proposito di gran parte delle altre confraternite Questi sermoni era-
1 Nel x ix secolo costui era chiamato semplicemente «testim onio», ma dai resoconti della metà del x v n secolo - poco prima d ell’ufficiale condanna teologica dell’iniziazione al compagnonnage, avvenuta nel 365.5 - risulta che questo personaggio veniva chiamato cure.
2 Associations profeisionnelles ouvrières, I , pp. 1 1 7 - 24 .3 w. k r e b s , A lle Handiverksbràuche, Basel 1933, cap. i v . Molti altri
s e r m o n i s o n o r i p r o d o t t i in r . w i s s e l l , Des alten Handwerks Rechi und CciL'ohnhàt, 2 v o l i . , Berlin 1929-39.
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no un misto di retorica e di catechismo, spesso assai corrotto, dato che l ’antico rituale delle prove su cui si basavano era stato dimenticato; i consigli pratici all’artigiano che entrava a farne parte si erano spesso trasformati quasi in una burla. Nella migliore delle ipotesi essi assomigliavano a una fiaba dei fratelli Grim m; nella peggiore- quando ad esempio venivano pronunciati da un padrino piuttosto alticcio - erano altrettanto noiosi dei sermoni protestanti dai quali è probabile abbiano attinto la loro popolarità, almeno come parodie. Cosi, tra i bottai tedeschi, si diceva al nuovo membro che, sul punto di lasciare la città, doveva soffiare su tre piume, una delle quali sarebbe volata a destra, un’altra a sinistra e l ’altra ancora dritta in avanti. Egli avrebbe dovuto seguire quella del mezzo. Sarebbe cosi arrivato a uno stagno ove avrebbe trovato una quantità di rane gracidanti «arg, arg, arg» (male, male, male). Malgrado questo avvertimento avrebbe dovuto proseguire; è probabile che questo sia la traccia di un incontro rituale molto più serio di un incontro con le ranocchie. Sarebbe poi giunto a una ruota di mulino che girando direbbe (in modo onomatopeico, almeno in tedesco) «torna indietro, torna indietro»; avrebbe poi passato tre cancelli, incontrato tre corvi, dei mugnai, dei contadini con le loro mogli, e cosi via. In ogni caso si domanda al candidato che cosa avrebbe fatto, e gli si danno consigli su ciò che avrebbe dovuto fare
Col sorgere della massoneria, altro ramo della stessa famiglia di rituali delle confraternite di artigiani, la tendenza delle associazioni artigiane a subire l ’influenza massonica fu naturalmente molto marcata. Per lo meno in Gran Bretagna, ove il compagnonnage preindustriale non si era certamente sviluppato in un gruppo di organismi specializzati come nel continente, l ’influenza massonica è molto accentuata, anche quando non è detto espressamente, come nel caso degli O ddfellow s, di essere stati originariamente istituiti secondo i principi massonici; . Su que-
! k. HEUT.NBfcRCER, Gcschicbte der Bottcher-, Killer- und Schafjìerbe- we&ung, s. I. 1928.
«O ddfellow s Magazine», I, Munches re r 1829. p. 146. Per le società di mutuo soccorso, vedi i>. h . g o s d e n , The fr ie n d ly S o r ìd ir f in Vn- gland i S n - 7?. M .inchester 19 6 1.
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sti u ltim i eran o evid en tem en te m o d e lla ti i g iu ram en ti e le cerim on ie d elle p rim e organ izzazion i o p era ie , com e, ad esem p io l ’in iziazione dei card atori di la n a '. L e in iz iaz io ni co m p iu te in In g h ilte rra eran o in genere m olto m eno terr ib ili di q u e lle fran cesi, e p ersin o una d e lle p iù b ru ta li che, cosa assai stran a , ap p artien e a l l ’associazione p e rfe ttam ente legale e in nocu a degli O d d fe llo w s , è ben poca cosa in co n fro n to a lle p ro ve a ffro n tate dai can d id ati al com pagn onnage
Il candidato all’associazione, prima di essere introdotto nella sala della loggia veniva accuratamente bendato e, dopo avere oltrepassato i guardiani esterni e interni, sentiva un terrore strano e misterioso pervadere i suoi sensi, a causa del solenne, mortale silenzio che ivi regnava. Tosto l ’udito, appena intorpidito, gli veniva risvegliato con terrore dal tintinnio di grandi catene di ferro, e dal suono di voci umane inintelligibili. A questo stadio dell’iniziazione, se il neofita non era gettato e fatto rotolare fra i cespugli, o immerso fin sopra la testa in una grande tinozza \ gli veniva tolta la benda dagli occhi, e la prima cosa che riusciva a vedere era la punta di una spada sguainata puntata contro il suo cuore. Appena riusciva a distogliere lo sguardo dal suo terribile guardiano e dalla sua spada, quasi sempre i suoi occhi si posavano su una grande immagine della morte, il cui ghigno sinistro avrebbe fatto gelare il caldo sangue delle sue vene, mentre tutta la stanza era piena di simboli sacri e profani, il cui significato pochi erano in grado di spiegare.
V a le fo rse la pena di o sservare in cid en ta lm en te che la con vin zio n e dei go v e rn i inglesi d el p rim o O tto cen to , secon do la q u ale le in iziazion i e i g iu ram en ti segreti d o v e v a no n ecessariam en te essere di n atu ra so v v e rs iv a , era e rra ta. G l i estran ei co n tro i q uali la co n fra te rn ita ritu a le sa lva g u a rd a va i suoi segreti non eran o so ltan to i b o rg h esi, né
1 Citato in Attempts at General Union ( 1 9 5 3 ) di G. D. H. c o le , cfr. n. 5 deH 'appendice.
2 s . t . d a v i e s , O ddfellow sbip, its History, Constitution, Principles and Finances, Witham 18.58.
3 Per simili sinistre burle (probabilmente derivate dai prim itivi rituali di prove) tra i primi frammassoni, cfr. k n o o p -j o n e s , The Genesis of Freemasonry cit., pp. 209, 249-50.
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sempre i governi. In Francia erano in generale i membri dei compagnonnages rivali, con i quali i confratelli si trovavano in permanente stato di guerra; nelle società di mutuo soccorso inglesi chiunque non facesse parte del gruppo, l ’appartenenza al quale era contrassegnata principalmente dal possesso dei segreti. Soltanto qualora tutte le organizzazioni di lavoratori, in quanto membri di una classe particolare, intraprendessero attività viste di mal occhio dai datori di lavoro e dalle autorità, l'iniziazione eil giuramento vincolavano i membri deliberatamente contro questi ultimi. Non vi era dunque inizialmente una distinzione tra le società che dovevano necessariamente essere segrete, e le altre che non avevano questa necessità, ma soltanto tra le attività di confraternite nelle quali i membri erano legati da un vincolo di solidarietà, alcune delle quali erano secondo la legge, mentre altre non lo erano.
Anche i rituali delle assemblee periodiche si sono conservati in modo molto più completo nel continente che in Gran Bretagna, ove nel secolo scorso non ne rimanevano che scarse vestigia, se si eccettua il rituale riguardante l ’elemento più importante di ogni associazione artigiana;lo scrigno o arca, nel quale si conservavano gli atti e altri oggetti propri della società. Possediamo scarse tracce dei rituali delle assemblee, come quelli dei carpentieri irlandesi ove «il padre dell’officina» presiedeva la riunione e «suonava il chiodo» tre volte (cioè batteva un utensile per produrre un suono), per significare che la «corte» era adunata; o quelli dei tipografi ove il «padre della cappella» adunava i membri intorno a sé per amministrare la giustizia sulla «pietra solenne» della tipografia. Ma ciò è nulla in confronto al rituale dei fabbri tedeschi che disegnavano un «circolo dei membri», una figura somigliante al diagramma di un salvagente o di un pneumatico, ad eccezione del fatto che il circolo esterno veniva lasciato aperto. Si scrivevano i nomi di tutti i presenti tra i due cerchi, quindi si chiudeva il cerchio esterno per significare la presenza di tutti i confratelli ad ogni assemblea. D opo il pagamento della quota si disegnava un altro circolo, e il gesso, generalmente conservato nello scrigno (L ade)
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veniva ricollocato dentro '. Eppure il rituale di questi fabbri ferrai era meno elaborato di quello dei compagnons francesi, che pronunciavano un giuramento sacro di riunirsi {faire la montée de chambre), quando vi fosse un numero determinato di membri in ogni città, alle due precise di ogni domenica, meno che a Parigi ove le possibilità di altri divertimenti giustificavano le disposizioni per le quali era permesso adunarsi soltanto due volte al mese. G li atti rituali obbligatori di tali assemblee erano cosi numerosi e complicati da suggerire che essi rappresentassero uno stadio dell’evoluzione delle società, in cui queste ultime non avevano nulla di meglio da fare. I compagnons dovevano vestire correttamente, con le giacche abbottonate fino al terzo bottone a sinistra, secondo l ’uso della confraternita, ma senza ricercatezza. Il «tovagliolo» era steso dinanzi al prem ier en ville, il più vecchio artigiano della città, nella posizione prescritta. Sopra di esso, al centro, stava una bottiglia di vino con due bicchieri posti uno alla destra e uno alla sinistra del presidente; quello di destra era pieno a metà di vino e conteneva una fetta circolare tagliata dalla crosta superiore di una pagnotta (era espressamente prescritto che fosse la crosta superiore) chiamata pavilion, quello di sinistra, la «coppa della fratellanza» era vuoto. Tra i due bicchieri doveva stare un coltello con la punta nascosta in un pezzetto di pane. A ltre croste (questa volta tagliate in quadrato ma sempre dalla crosta superiore) erano collocate in ogni angolo del tovagliolo \
Tutte le confraternite avevano cerimonie pubbliche generali oltre a quelle delle assemblee periodiche riservate agli iniziati. Si trattava in genere di cerimonie religiose, almeno nei paesi cattolici, in cui si facevano invariabilmente processioni di vario genere nel giorno del santo della confraternita; san Giuseppe per i carpentieri, sant ’Anna per i falegnami, sant’Eligio in estate per i maniscalchi, sant’Eligio in inverno per i fabbri, san Pietro per i magnani, san Crispino per i calzolai - e in genere anche
1 E. b a s n e r , Geschicbte der deutscken Schm iedebewegung, Hamburg 19 12 .
2 Associations professionnelles ouvrières, p. 103 nota.
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nei giorni solenni e festivi. Queste processioni e cerimonie annuali ricorrenti in giorni fissi rimasero nell’uso universale in Gran Bretagna e i regolamenti delle società di mutuo soccorso dei villaggi contenevano in genere i più complicati provvedimenti in vista di esse. In che misura esse riflettessero ancora le antiche feste dei Santi, è una questione che potrebbe essere studiata dagli appassionati di antichità locali. Comunque, in Francia questi rituali pubblici religiosi furono osservati meno strettamente col procedere del secolo scorso.
I rituali pratici che comprendono in genere i contrassegni segreti per il riconoscimento, come il controllo e la parola d ’ordine, il segno e il contrassegno, la parola d ’ordine per i viaggiatori1 avevano una giustificazione razionale molto più evidente. Nei primi tempi della confraternita i confratelli erano per la maggior parte analfabeti; e anche se non lo erano, la proibizione di tenere documenti scritti ai fini della sicurezza (i compagnons li bruciavano ogni anno, mescolando le ceneri al vino che bevevano) obbligava la società a fare uso di contrassegni non scritti. Anche qualora non vi fosse stata nessun’altra ragione, il rischio costante che degli estranei potessero usufruire illegittimamente dei vantaggi della società rendeva indispensabile l ’uso di un sistema di riconoscimento dei confratelli legittimi: i documenti delle associazioni artigiane inglesi pullulano di provvedimenti contro coloro che reclamavano abusivamente l ’ospitalità dei gruppi locali. Dobbiamo ricordare che tutti questi gruppi consideravano il fatto che gli operai si spostassero da un luogo all’altro; i confratelli di una città dovevano avere perciò mezzi sicuri per riconoscere i forestieri; come al solito questo rituale di riconoscimento andava dall’utile al fantastico, dalle forme più semplici a quelle assai complicate dei compagnonnages, la cui descrizione occupa tre fitte pagine, e dal prosaico al folcloristico e poetico. Non è necessario descriverli dettagliatamente in questa sede. Né è opportuno dilungarsi sul simbolismo, sulle insegne e sulla « teologia» di tali organizzazioni. Essi erano oggetto di orgo
1 G eneral Law s of the Ancient O rder of Foresters, Bolton 1865.
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glio e di edificazione per i membri, mentre destavano lo stupore e l ’ilarità degli estranei. Per quanto riguarda i più vasti movimenti sociali, le associazioni artigiane trasmisero o inventarono una grande varietà di sistemi che facevano appello all’emotività delle masse, ai quali questi movimenti poterono attingere nei casi di necessità . Vi è un solo aspetto che vale la pena di sottolineare; la pratica, senza dubbio derivata dall’antica tradizione artigiana, di classificare i membri in una gerarchia analoga a quella, per quanto spesso più elaborata, di apprendista, artigiano e maestro operaio.
Per quanto il rituale dell’una e dell'altra forma fosse un fenomeno universale, le organizzazioni operaie aventi un rituale alquanto complicato erano assai più rare di quanto si possa pensare, eccetto che fra gli artigiani appartenenti a mestieri tradizionali e a organizzazioni che non avevano come scopo principale un’azione collettiva economica o politica, come le società di mutuo soccorso, gli ordini conviviali di carattere semi-massonico e simili. Anche fra i mestieri preindustriali il rituale non era un fenomeno universale, per quanto tendesse a manifestarsi ovunque fiorissero società artigiane con funzioni analoghe a quelle dei sindacati. Nel i7 9 r in Francia, soltanto ventisette mestieri facevano parte di compagnonnages e- ad eccezione di specialisti come i cimatori o, in Inghilterra, i pettinatori di lana - essi apparivano più deboli nei gruppi di carattere più marcatamente proletario, come ad esempio quello degli operai tessili. I movimenti sociali moderni che si trovavano al di fuori di questi ambienti ormai antiquati tendevano ad adottare il rituale specialmente al fine più utilitaristico di difendersi dagli attacchi dei nemici. Per questa ragione, ad eccezione delle grandi società di mutuo soccorso rituali a carattere apolitico e di altre organizzazioni del genere, le caratteristiche organizzazioni con un alto contenuto di rituale erano probabilmente di modeste dimensioni. L ’atmosfera del secolo scorso non era propizia al rituale, a meno che non
1 Cfr. a d esempio o. k a r m i n , L'influcnce du sym bolisme maqontiique sur le symbolisme révolutionnaire, in «Revue Historique de la Revolution Fran?aise»; I , 19 10 , pp. 176 sgg.
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si trattasse di un rituale apolitico. Tra i sindacati inglesi i giuramenti segreti e simili caddero rapidamente in disuso, e già nel 18 30 erano molto più rari di quanto gli osservatori ostili fossero disposti ad ammettere . Tra gli artigiani tradizionali il rituale cadde in disuso, forse a causa dell’urbanizzazione; alla fine del secolo scorso si osservò che a Parigi il compagnonnage era più forte tra gli artigiani reclutati in piccole città di provincia, come i costruttori di carrozze2. G li stessi compagnonnages furono scossi da una secessione razionalista che guadagnò terreno in seguito al 18 30 , quando una insurrezione di giovani artigiani contro il tentativo dell’assemblea costituita dei confratelli di monopolizzare i privilegi del compagnonnage rese più forte il richiamo del senso comune. Una confraternita aperta di artigiani venne formata dai dissidenti di tutti i devoirs e gli ispiratori di questo gruppo «elim inarono tutte quelle consuetudini che, per quanto nel Medioevo fossero giustificate, non lo sono più ai nostri giorni» 3. Alla fine del secolo, circa il 40 % degli artigiani organizzati in compagnonnages piuttosto che in sindacati- un piccolo gruppo che contava meno di diecimila membri - avevano aderito a questa organizzazione aperta. In fine l ’organizzazione rituale operaia non era più che una sopravvivenza destinata rapidamente a scomparire.
in .
Se la confraternita rituale non fosse stata nulla più di questo, non varrebbe la pena di trattarne diffusamente, Tuttavia, il periodo che va dal 178 9 al 1848 segnò una evoluzione delle organizzazioni rituali che riveste una notevole importanza per la storia dei movimenti sociali come per la storia mondiale. Per tutto il periodo delle tre rivoluzioni francesi, la confraternita rivoluzionaria segreta costituì la forma di gran lunga più importante di orga
1 Cfr. Je relazioni del Select Committee of Combinations of Workmen 1838, a proposito della rarità dei giuramenti.
2 Associations professionnelles ouvrières, I I , p. 802.3 Larousse du x ix e siècle cit., p. 769.
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nizzazione d ella società in evo lu zion e d e ll ’E u ro p a o cc id en ta le ; e sp esso il suo co m p licato ritu a le la faceva som ig lia re p iù a u n ’op era lirica ita lian a che a un 'associazion e rivo lu z io n aria . In a ltri p aesi s im ili co n fra te rn ite hanno con servato u n ’im p ortan za p o litica , e alcune sono ancora in v ig o re . I lo ro e lem en ti r itu a li non sono d u n q ue di in teresse p u ram en te arch eo logico .
N o n è q u esta la sede o p p o rtu n a p er un com pendio storico d elle co n fra tern ite segrete , argo m en to estrem a- m ente com p lesso e d ifficile , a trattare il q u ale non m i sento su ffic ientem ente p rep arato . È tu tta v ia e v id en te com e tutte ten d essero a rag g ru p p arsi in u n ’un ica fam ig lia , in p arte in fo rza d e lla com une discendenza da g ru p p i m assonici del x v m seco lo , in p arte a causa della rec ip ro ca em ulazione 1 e in p arte perch é il m ondo dei co sp ira to ri, sp ecia lm en te nei lu ogh i d ’asilo in tern azion ali in cu i g li em igrati si riu n ivan o (G in e v ra , B ru x e lle s , P a r ig i, L o n d ra) era un p icco lo m ondo u n ito , e in un certo senso co o p eran te , m algrad o i fe ro c i e in term in ab ili d iss id i sco p p iati in seno a esso . U na p ro va d i ciò è co stitu ita d alle is titu zion i non u fficia li del tipo d e lla corte d ’on o re d inanzi alla qu ale g li em igrati p o rta v a n o le lo ro co n tro v ers ie p erso n ali, e d a lla p ratica di p assare in fo rm azio n i a p ro p o sito di n o ti agenti di p o liz ia ai g ru p p i r iv a li \
M o lto si è d iscusso a p ro p o sito dei rap p o rti tra la m asso n eria , o le co n fra tern ite filom asso n ich e, e i m ovim en ti r ivo lu z io n a ri, sp ecia lm en te da p arte d i co lo ro che p re d iligo n o una v is io n e esa lta ta d e lla s to ria ; non si tra tta q u in di d i un p ro b lem a che uno storico coscienzioso p ossa a ffro n ta re con en tu siasm o. L a m asson eria del x v m secolo ci ap p are , p iu tto sto che com e u n ’unica organ izzazione con u n a d o ttrin a e un p ro gram m a d eterm in ati, com e un co m p lesso d i g ru p p i d ifficili a d efin ire , n o n o stan te avessero
1 C fr. F. v e n t u r i , II populism o russo, Torino 1 9 5 2 , I , p. 5 8 7 per l'ispirazione tratta dai russi dal babouvismo, il Report of the Sedition Comm ittee 19 18 , Calcutta 1 9 1 8 (meglio noto sotto il nome di Rowlatt Report), per ciò che i terroristi bengalesi attinsero dai narodniki russi, e Chittagong Arm oury Raiders: Rem iniscences, Bombay 19451 di K alpana Dutt, per ciò che essi attinsero d all’esercito repubblicano irlandese.
2 Per un esempio della corte d ’onore vedi e , i l CARR, The Romantic E xiles (p. 1 2 7 dell’ed. Penguin).
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tu tti uno stesso schem a o rgan izzativo e ritu a le e una co m une credenza nei v a lo ri deH ’illu m in ism o . R iesce q u in d i d iffic ile so sten ere la teo ria d i una cosp iraz io n e m asson ica d e l tipo p iù losco . D ’a ltro n d e , la stessa sim p atia dei m assoni (o d i a ltri g ru p p i m o d ellati su l lo ro stam p o) per le id ee che tro varo n o esp ressio n e nella rivo lu z io n e am ericana e n e lla rivo lu z io n e fran cese , fa cev a d i m o lti d i essi dei r iv o lu z io n a ri; in o ltre , l ’organ izzazione m asson ica ren d ev a fa c ile a lle logge o ai g ru p p i p iù v a sti tra s fo rm a rsi in cen tri p o litic i o g ru p p i d i p ressio n e, creare o fa v o r ire fr a tern ità rivo lu z io n arie o sub ire a lo ro v o lta d e lle in filtra zioni da p a rte d i q u este u ltim e. L a m asson eria in flu ì p ro fo n d am en te su lle rivo lu z io n i fran cese e am ericana, e nel 179 8 , in Ir la n d a , eran o tante le logge affiliate ag li United Irishm en, che le au to rità riten n ero ch e v i fo sse un in tim o legam e tra le due organ izzazion i. Q u a lo ra non esistessero a ltre o rgan izzazion i, ad esem p io in segu ito a lla sconfitta di un m o vim en to r ivo lu z io n a rio , le lo gg e m asson ich e tend evan o a d iven ire il r ifu g io dei rib e lli. C o s i nelle p ro v in ce fran cesi d o p o il 18 3 4 , l ’o p p o siz io n e rep u b b lican a si r ifu g iò per la m aggio r p arte nelle lo gge co n tro la vo lo n tà del G ra n d e O rien te A l n u o vo rid estarsi ed esp an d ersi d e ll ’agitazione rivo lu z io n a ria , assai spesso la m asson eria creava o rd in i rivo lu z io n ari m aggiorm en te sp ecia lizzati, p iù o m eno sim ili ad essa , a p arte alcune v a r ia n ti nel r itu a le e nel sim b o lism o . Q u este organ izzazion i con servaro n o p artico lari rap p o rti con la m asso n eria , a lcune staccan d osene p u r m antenend o con essa m olti legam i, a ltre v a le n d o si d ella m asson eria com e di una zona d i rec lu tam en to p e r i lo ro m em bri, e ad op eran d o si a co n ve rtire le logge. C o s i, p are che g li illu m in ati d i W e ish a u p t, fo rm atis i n e ll ’a tm o sfera m asson ica, ab biano c o n ve rtito una p arte dei g ru p p i m asson ici a lle lo ro id ee rivo lu z io n a rie (so p ra ttu tto , sem bra , a ttra v e rso il rito d e i tem p lari scozzesi), d and o co si o rig in e a una serie d i co n fra te rn ite segrete n e l p e rio do nap o leon ico e d u ran te la R estau raz io n e , m o lte d elle q u a li r ive la v a n o una tendenza a ren d ersi in d ip en d en ti d a lla m asso n eria ; i filad e lfi (che d iven n ero a lo ro v o lta la cul-
' G. p e r r e u x , A n temps des socìétés secrètes, Paris 19 3 1 , pp. 365 sgg.
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la di società segrete e di compagnonnages venuti a trovarsi sotto il loro influsso), i Tugendbiinde, gli adelfi, i carbonari . Il tentativo di Napoleone di assoggettare la massoneria al controllo del governo che, al principio del secolo scorso, fu la causa del passaggio di numerosi massoni a ll’opposizione politica, favori, come era naturale, tali tendenze. Non si può certamente negare che molti, e forse la maggior parte, dei rivoluzionari e dei cospiratori ancora esistenti nel periodo dal 1789 al 18 3 0 , avessero un sottofondo di idee massoniche, e conservassero, per quanto riguarda l ’organizzazione, una mentalità massonica. Ciò vale soprattutto per uno dei principali cospiratori di quest’epoca, Filippo Buonarroti ( 17 6 1- 18 3 7 ) a proposito del quale possediamo ora più esaurienti inform azioni2.
Questo sottofondo comune delle confraternite segrete, insieme all’ambiente che le circondava, può spiegare la loro costante tendenza ad alimentare vaste cospirazioni internazionali, o a creare un'autorità coordinatrice al di sopra delle singole confraternite e logge, composta generalmente di iniziati di grado superiore a quelle delle organizzazioni ordinarie. Questa pratica avrà certo contribuito notevolmente a creare la forte tradizione internazionalista dei movimenti socialisti posteriori, cioè la convinzione che tutti questi movimenti dovessero essere idealmente coordinati e diretti da un’Internazionale; per quanto l ’ideale di una Internazionale che riunisse tutti i vari gruppi di ribelli venisse presto abbandonata 3. A i suoi tempi, Buonarroti, aveva a che fare non soltanto con la massoneria, il babouvismo e la C a r b o n e r i a , ma dominava i n o l t r e
1 H o attinto queste informazioni da G li illum inisti d i Weishaupt e l ’idea egualitaria in alcune società segrete del Risorgim ento, di c. f r a n c o - viCHj in «Movimento operaio», luglio-agosto 1952, Tali argomenti sono stati contestati da altri studiosi specializzati; i quali, però, non hanno una relazione diretta, né in un senso né in un altro, con il contenuto di questo capitolo.
; Per la bibliografia ormai ampia, del Buonarroti, cfr. e . e i s e n s t e i n , Filippo M ichele Buonarroti, Harvard 1959.
3 La prima Internazionale (1864-73) sembrava incarnare ideale, per quanto i blanquisti se ne mantenessero fuori; tuttavia, la difficoltà di coordinare fra di loro i marxisti, i mazziniani, i proudhonisti, i baku- ninisti e una quantità di altri rivoluzionari e gruppi di sinistra si rivelò insormontabile. Tutte le internazionali seguenti, ad eccezione di quelle per gruppi determinati, come quella delle Cooperative sono state dominate da un’unica ideologia.
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uno dei più noti di questi fantomatici accentramenti di cospiratori; quello dei Perfetti e Sublimi Maestri la cui gerarchia aveva tre gradi, il più alto dei quali era quello del Sublime Eletto; aveva anche un Grand Firmament a Parigi, e aveva concluso degli accordi per riconoscere i gradi di alcune confraternite affiliate. Si dice che i carbonari italiani, alcuni fra i massoni francesi, i Tugendbunde tedeschi e i decabristi russi fossero legati ad esso '. Le idee dei Perfetti e Sublimi Maestri furono riprese dalla Carboneria universale democratica che pochi anni più tardi formava l ’oggetto della sua attività. Secondo gli studi del dottor Dakin, un’altra organizzazione del genere, ma di carattere massonico più spiccato, il cui quartier generale aveva sede a Gibilterra, appare attivamente impegnata nel movimento filellenico intorno al 18 2 5 , lanciandosi in una serie di pittoresche imprese di cappa e spada. In seguito, le energie dei ribelli internazionali furono assorbite e trasfuse in un più vasto e più ordinato internazionalismo, e soltanto rivoluzionari romantici di stampo antico come Bakunin continuarono a stringere «alleanze segrete» di questo genere. Quale sia stata la loro efficienza anche nei periodi di più intensa attività, non è facile a dirsi.
La classica co n fra te rn ita segreta era un g ru p p o di é lite gerarch icam en te o rd in ato con una p esan te zavo rra d i r ituale p er l ’in iz iazion e e p er a ltre circostanze, s im b o li, un vo ca b o la rio ritu a le , con trassegn i, p aro le d ’o rd in e , g iu ra m enti e sim ili. Il can d id ato ve n iv a scelto con ogn i cu ra e, d o p o l ’am m issio n e, avan zava p ro gressivam en te a ttra v e rso tu tta una gam m a d i g rad i, c iascuno d ei q u a li co m p o rtava una m aggiore resp o n sab ilità e un m aggio r grad o di in iz iazion e, finché, se la fo rtu n a l ’a ssis tev a , e n trava (o p iu tto sto era ch iam ato p er coop tazion e) nel p iù e levato di tu tti i c irco li d ire tt iv i d e l l ’organ izzazione. M a rx , che non n u triva u n ’eccessiva s im p atia p er q u esto genere d i cose, ne p a rla v a com e di un « a u to r ita r ism o su p e rst iz io so » ; e la fra se ci sem bra ap p ro p ria ta . Le vere e p ro p rie fu n zion i p o litich e d e lla co n fra te rn ita eran o du plic i. In p rim o luo-
1 FRANC0V1CH, G li illum inisti di Weishaupt c i t . , p. 5 8 4 ; b e r n s t e i n , Buonarroti, Paris 1 8 4 9 , pp. 1 6 7 - 6 8 , 1 7 8 ; j . w i t t , Les socìétés secretes de France et d 'Ita lie , Paris 1830, p p . 6-7, 9,
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go, ciascuno degli iniziati, che era anche membro di varie organizzazioni generali formate da non iniziati, cercava di influenzare queste ultime nella direzione desiderata dalla confraternita. La confraternita stessa, non sempre, e neppure di frequente, agiva attraverso un movimento più vasto che si identificava esattamente con la sua politica, ma «pervadeva» - per usare un’espressione cara ai fabiani - qualsiasi organizzazione che le sembrasse adatta allo scopo. In secondo luogo, in tempo di insurrezione mirava a suscitare agitazioni per mezzo eli piccoli gruppi di zelanti iniziati che, come si sperava, avrebbero trascinato con loro le masse, e sarebbero riusciti in qualche modo a impadronirsi del potere. Quando i tempi non erano ancora maturi per le insurrezioni, la confraternita fomentava le agitazioni, compiva atti terroristici per proprio conto e si dedicava ad altre attività idonee a preparare la rivoluzione.Il più chiaro esempio dell’attività (non rituale) di una simile confraternita, cioè dato dalla più duratura tra esse: la Fratellanza repubblicana irlandese, meglio conosciuta sotto il nome di feniani, che rimase attiva dal 18 50 fino ai nostri tempi .
L e società segrete rivo lu z io n a rie , g iu stam en te p erse g u itate d a llo S ta to , d o v ev an o n atu ra lm en te p ren d ere p ro v ved im en ti ai fini d ella lo ro sicu rezza; e per q ueste società , che d iscen d ono dal g ru p p o d elle co n fra tern ite artig ian e m asson ich e, n u lla è più n atu ra le che ad o ttare a tal fine i r itu a li d i q ueste u ltim e. C o m e ab b iam o ve d u to , d u n q ue, i ritu a li p ra tic i fu ro n o creati a scopo u tilita r io , cosi com e l ’organ izzazione gerarch ica d e lle società segrete per la qu ale i m em bri di un gru p p o non co n oscevan o q u e lli d eg li a ltr i g ru p p i, e i g rad i in fe r io r i co n oscevan o so ltan to l ' i d en tità d e i lo ro su p erio ri im m ed iati. T u tta v ia è ev id en te che il d o v ers i d ifen d ere d alla legge v a le v a a giustificare so ltan to in p arte q u e ll ’esib iz io n ism o di tra v e stim e n ti, che in realtà n u oceva a lla segretezza. L ’agente d i p o liz ia D e la
1 Non sembra chc esista un esauriente resoconto storico a proposito dell’ i r b . Per il giuramento di questa associazione cfr. T he Irish Republic, London 1 9 3 7 , di d. m a c a r d l e , p. 64. Le sue analogie con gli schemi continentali sono state spesso sottolineate, per esempio da d . c . p o l l a r d , in The Secret Societies of Ireland, London 1 9 2 2 , pp. 46, 4 9 ; non è stato tuttavia finora possibile stabilirne l'origine precisa.
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H o d d e o sserva che le co n fratern i io fran cesi d iven n ero v e ram en te segrete q uan do la ma- - dei lo ro m em bri d ive n ne p ro le ta r ia , c io è , dal p un to di v ista del p o liz io tto , an o nim a, e le riun ion i eb b ero lu o go nelle stanze in tern e dei p u b , e non più negli ad d o b b ati locali d elle logge, il cui a rred am en to era in genere tro p p o in gom b ran te ed e la b o ra to p er essere alla p o rta ta dei p o ve ri. I lu ngh i e com p licati r itu a li dei carb o n ari, d i cui ci è restata m em oria ', sem bravan o in v iti p erm an en ti alla p o liz ia . L a n om en clatura fa n tastica d elle co n fra tern ite era tutt ‘a ltro che p ratica , a d i fferen za di q u ella d elle organizzazioni rivo lu z io n arie p o sterio ri, che si sono in genere p reoccu p ate di scegliere n o m i in d icativ i d elle lo ro id eo lo g ie e del lo ro p ro gram m a. L ’enum erazion e d elle co n fra tern ite esisten ti in P u g lia può fo rse isp irare un am atore di lib re tti di op ere lirich e , m a d ifficilm ente un auten tico rib e lle : carbon ari di va r ie d en o m inazion i, m aestri su p rem i, m uratori p e rfe tti, filad elfi, ed en n isti, e lle n isti, p a trio ti eu ro p e i, decisi, p u g n a la to li, scam iciati, in n o m in ati, illu m in ati, p e lleg rin i b ian ch i, tre co lo ri, q u attro co lo ri, sette le tte re , o tto le tte re , setta dei cin q ue, san G io v a n n i B a ttis ta , So cietà del V en e ra b ile , le anim e del p u rg a to rio , la c ip o lla , la tom ba cen tra le , S o c ie tà d elle s tag io n i, la b ella C o stan tin a ecc. \ I l più serio fra i rivo lu z io n ari d i p ro fe ssio n e , il B la n q u i, co stitu ì una So cietà d elle stagion i la cui un ità d i base era la settim an a (sei uom ini con un capo ch iam ato domenica)-, q u a ttro se ttim ane fo rm avan o un m ese com an date da Luglio, tre m esi una stag ion e , sotto la gu id a d i primavera, e q u a ttro stagion i un anno, il cu i capo a ve v a il nom e so rp ren d en tem en te in co lore di agente rivoluzionario . E v id e n te m e n te , il ritua-
1 Ad esempio p e r k e u x , A u temps des sociétés sacre te s cit., pp. 37 1 sgg.
2 a . l u c a r e l l i , 7 moti rivoluzionari nel 1848 nelle Puglie, in «A rchivio Storico delle Provincie Napoletane», n. s., x x x i, 1947-49, pp. 436- 437. La pili completa descrizione dell'atmosfera della Carboneria che costituisce il più noto fenomeno del genere si trova nell’anonimo Memoirs of the Secret Societies of the South of Italy particularly the Carbonari, John Murray, London 18 2 1. Si crede che l ’autore sia un certo Bertholdi, che gli esperti in materia per il periodo in questione dicono si fosse accuratamente documentato; difatti il libro è assai ricco di informazioni.
3 DE LA h o d d e , H istoire des sociétés secretes et du parli républicain, Paris 18.50, p. 2 17 .
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le delle confraternite aveva una funzione sociologica distinta dalle necessità pratiche di un’agitazione illegale. O ltre a essere un gruppo politico, la confraternita era quindi anche qualcosa di simile a una setta religiosa.
IV.
Prima di considerare le ragioni del loro eccessivo apparato rituale, sarà opportuno tratteggiare in breve il processo di decadenza della confraternita rituale. L ’epoca d ’oro di queste confraternite, che le vide come un’unica famiglia, compatta almeno da un punto di vista teorico, si concluse con ogni probabilità con i moti del 18 30 . È probabile che le cospirazioni del 1830-48 abbiano preservato in parte l ’originale struttura Carbonara; tuttavia il sorgere di gruppi di particolare carattere nazionale e sociale indebolì la loro coesione. Fuori dell’Europa occidentale le confraternite segrete rivoluzionarie conservarono la loro importanza, o meglio assunsero importanza in periodi corrispondenti a quello tra il 178 9 e il 1848 nella storia dei paesi in cui si affermarono. Alcuni degli esempi più caratteristici si riscontrano nell’Asia del xx secolo - ad esempio il movimento terroristico bengalese, il cui rituale risentiva poco o nulla della tradizione dell’Europa occidentale, attingendo invece la propria ispirazione dalla religione indù e specialmente dal culto della dea Kali, che, oltre a fomentare la rivoluzione, si batteva per la costruzione di un tempio in un luogo «lontano dalla contaminazione delle città moderne, e finora quasi mai calpestato dal piede dell’uomo; in un’atmosfera pura ed elevata, pervasa di calma ed energia» e per la fondazione di un nuovo ordine di devoti, alcuni m em bri del quale dovevano essere sanvasi, e la maggior parte celibi, che sarebbero ritornati all'eremitaggio dopo compiuta la missione di liberare l ’India . Tuttavia, nella quasi totalità dei gruppi rivoluziona-
5 Cfr. i! Rotolati Report, che cita l ’opuscolo Bhatvani Man dir del 1905. I l legame tra l ’attività rivoluzionaria e la castità rituale si mantenne solido. KAI.PANA d u t t (Cbiltagong Arm oury Raiders cit.) scrive come il terrorista Su ri yn Sen passasse la notte nuziale sotto la sorveglianza di un santo uomo, e non coabitasse mai con sua moglie (1918-28).
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ri si osserva una decadenza del rituale, specialmente in quelli che tendevano verso i movimenti socialista e laburista, come alcuni dei più decisamente rivoluzionari; i terroristi del Bengala si convertirono in gran parte al comuniSmo intorno al 19 30 , mentre sembra che i comunisti irlandesi derivino in gran parte da defezioni dall’esercito repubblicano irlandese verso le sinistre. A sua volta la decadenza del rituale automaticamente indebolì l ’attrattiva esercitata dalle confraternite.
Q u esta d ecadenza si m an ifesta sotto m olte fo rm e. A d esem p io , è sig n ifica tivo che la So cietà d elle stag ion i di B la n q u i, dopo le prim e sconfitte , si r ico stitu isse sotto una n om en clatura m olto più so b ria (agen ti rivo lu z io n a ri, capi g ru p p o , m em bri). I l cerim o n ia le illega le degli u ltim i b lan q u isti, com e q u e llo d ella m aggior p a rte dei narod n ik i ru ssi, p are non sia stato nu lla p iù d i q uan to ci s i p ossa asp ettare da un gru p p o d i rivo lu z io n ari p ro fe ssio n isti d alle id ee sa ld e , p er q u an to fo rse p o liticam en te e rra te , co stre tto ad ag ire con tro la leg ge ; è tu ttav ia d ifficile fa re d elle a ffe rm azioni categorich e su un argom ento cosi oscuro M a il più ch iaro esem p io d ella e ffe ttiva decadenza d i una organ izzazione ritu a le è anche il p iù s ign ifica tivo , in q uan to co n cerne le o rig in i del m arx ism o ; .
Nel 18 34 , quando i n Francia l ’attività rivoluzionaria legale dovette ancora una volta cessare, sorse a Parigi una Lega dei fuorilegge (Bund der Geachtcten) sorta dai frammenti di una Società popolare germanica; una vasta organizzazione di massa di emigranti tedeschi, priva, per quanto ne sappiamo, di qualsiasi particolare elemento rituale. (Dobbiamo tuttavia tenere presente che il nucleo degli emigranti tedeschi era costituito da lavoratori viaggianti già appartenenti alla tradizione del compagnonnage). La lega aveva l ’usuale struttura a piramide e una nomenclatura di sapore carbonaro: Hùtten (corrispondente alle vendite C a r b o n a r e ) , Bergc (montagne), dicasteri e la Na-
1 Per questn sommaria forma di iniziazioni cfr. Les Conspirateu, s , dia. c u f .n u , P-iris 1850, p. 20 e n. 13 dell’appendice.
■ Particolari tratti da Die Com ninnisi envcrschu'ijrungcn des tie un- zchnten Jahrhunderts, Berlin 1953, di w e r m u t i i e s t i e b e r , e varie biografìe di M.irx,
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tionalhiìtte (la capanna nazionale); più tardi questa nomenclatura veniva sostituita da un’altra di tenore quasi militare, come tende, campi, fuochi (Brcnnpunkte). Una netta separazione esisteva tra i due gradi inferiori e i due superiori. Vi erano certamente dei riti di iniziazione, almeno per la ammissione al Berg, ma già l ’importanza del rituale stava scemando. Cosi, mentre a Parigi i candidati venivano bendati, le sezioni tedesche lasciarono cadere questa formalità. Naturalmente si faceva uso di segni di riconoscimento e di parole d ’ordine, costituiti talvolta da domande e risposte rituali, probabilmente tratte dalle pratiche dei compagnonnages e della massoneria, oppure da semplici parole astratte come «virtù civica». Vi era un giuramento, per quanto alcuni osservatori ritengono che non fosse nulla più di una dichiarazione solenne, dato che non era espressa in forma religiosa.
Dai fuorilegge derivò alla fine la Lega dei giusti che si trasformò, a sua volta, sotto l ’influsso di Marx e di Engels, in quella lega dei Comunisti per la quale fu scrittoil famoso Manifesto. I comunisti non erano più una confraternita del vecchio tipo. Marx, che era fondamentalmente contrario alle confraternite (egli si rifiutò sempre di entrare a far parte di una qualsiasi di esse), provvide a ciò e sentenziò espressamente l ’eliminazione dalle loro regole, di qualsiasi autoritarismo che fosse basato sulla superstizione. La nuova organizzazione, democratica ma centralizzata, eleggeva tutti i suoi funzionari, che erano soggetti a essere deposti. Ai Imi pratici, si trattava di un'organizzazione prettamente moderna. Abbiamo dunque un esempio del ciclo completo di transizione da una quasi Carboneria, rappresentata dai «Fuorilegge», a un'organizzazione a base assolutamente razionale. L ’intero processo si svolse tra il 18 34 e il 1846.
Per quale ragione le confraternite rituali decaddero e scomparvero? La spiegazione più semplice è costituita dalla scoperta che il rituale non soltanto era superfluo, ma poteva anche costituire un intralcio. Il rituale aveva due principali funzioni pratiche: legare intimamente il membro alla confraternita a salvaguardarne i segreti; tuttavia non era indispensabile a nessuno di questi due scopi. Già
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molto tempo prima il Bruto di Shakespeare aveva detto:
No: niente giuramenti. Se non bastano o sono motivi inefficienti il nostro volto d’uomini, la pena dei nostri cuori, le offese di questa età, tronchiamo finché siamo in tempo: ritorni chi vuole al caldo del suo letto,... avremo noi bisogno di altro sprone che non sia la nostra stessa causa, per sollecitarci a mettere ordine? '.
G li uomini forti e devoti avrebbero costituito i segreti in ogni modo; i deboli li avrebbero traditi nonostante qualsiasi giuramento. Ciò che teneva uniti i membri non era il giuramento, ma la causa comune; e, per quanto ciò non si possa affermare categoricamente, sembra che persino in numerose confraternite tradizionali il giuramento fosse divenuto poco più che una dichiarazione solenne, e che da esso sia stato eliminato quel rito di infrangere un Tabù che talvolta abbiamo riscontrato in esso. I rituali pratici erano utili alla sicurezza, ma la vera forza delle regole di sicurezza proprie delle cospirazioni sta nella loro logicità. Apprenderle sotto forma di rituale può effettivamente nuocere alla loro efficacia. Non è dunque straordinario il fatto che tra i terroristi indiani dei primi del nostro secolo, le regole per le attività segrete modellate su quelle dei russi, fossero di carattere meramente pratico, e che le idee religiose espresse in pubblicazioni come l ’opuscolo Bbawam Mandir tosto svanissero in un secondo piano, mentre soltanto i giuramenti e i voti venivano ricordati.
Non di meno, questa spiegazione meramente utilitaristica della decadenza dei rituali non ci appare sufficiente. Si può in effetti dare un’altra spiegazione del fenomeno.
Le classiche confraternite rituali erano per la maggior parte composte da coloro che De la Hodde chiama «intellettuali disoccupati» e da altri membri im puissants dell ’alta e media borghesia \ Esse trovavano un forte appoggio in un altro gruppo praticamente declassato - e per sua natura amante delle divise e delle cerimonie - gli ufficiali
1 [G iu lio Cesare, atto I I , scena I , trad, di Cesare V ico L o d ovic i, Torin o 1964].
2 ilisto ire (ics sociétés secretes et du parti républicain c it ., p. 1 3 .
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dell’esercito e i sottufficiali. La rivoluzione per cui questi uomini si battevano era in un certo senso qualcosa di artefatto, imposto dall’esterno a coloro che ne avrebbero dovuto trarre beneficio. Le masse come tali non avevano quasi nessun peso nei loro calcoli Essi erano nazionalisti, quando la massa dei loro concittadini non lo era ancora: l ’isolamento dei carbonari e dei mazziniani delle città, dalla massa dei contadini italiani, costituisce l ’esempio quasi leggendario di tale fenomeno. Erano razionalisti - almeno dal punto di vista ideologico, se non da quello organizzativo - quando ancora le masse potenzialmente rivoluzionarie erano rimaste fedeli alla religione tradizionale. (Per un paradosso, il libero pensiero era forse assai più diffuso tra i conservatori moderati o tra i liberali). La liberazione dell’umanità dalla tirannia, come un vago ideale, non derivava direttamente, neppure secondo il modo di pensare di costoro, dagli interessi di una classe o di un gruppo particolare. Il fatto che a nostro avviso essi difendano o rappresentino una classe particolare, non significa che essi lo abbiano fatto deliberatamente.
La strategia e la tattica delle confraternite classiche, erano dunque quelle di gruppi di élite autoselezionati che imponevano la rivoluzione a una massa inerte e cionondimeno ad essi riconoscente, o che, nel migliore dei casi, trascinavano all’azione, sul loro esempio e dietro loro iniziativa isolata, una massa passiva come nella rivoluzione della Pasqua 1 9 1 6 a Dublino. Persone che agivano isolate, trovavano i rituali simboleggiami la loro unità e la loro coesione spirituale, non soltanto opportuni, ma indispensabili. Quanto più grande era la distanza reale o im-
1 Questa opinione è naturalmente soggetta ad alcune restrizioni, specialmente qualora si considerino i diversi indirizzi politici perseguiti con vario successo dalle diverse logge di tanre confraternite. Alcune eccezioni a questa regola generale si allacciano alla mente di ogni studioso, spc d al men te per quanto concerne le società del Meridione d ’Italia. Non si può tuttavia dubitare della sua generale validità. I programmi rivoluzionari di queste confraternite, come vengono dettagliatamente descritti ad esempio nell’append ice V I dei Memoirs of the Secret Societies, erano in sostanza gli stessi del classico pronunciamento; in effetti i tradizionali colpi di mano militari della penisola iberica, che sempre si sono fondati su confraternite segrete di ufficiali e soldati, riflettono ancora questa forma.
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maginaria che separava il gruppo dal resto del popolo, tanto più esso era propenso a creare simili convenzioni interne.
Tuttavia la radicale trasformazione verificatasi intorno al 18 30 , per lo meno in una parte del movimento rivoluzionario, fu costituita dal declino del cospiratore borghese e dall’avvento del cospiratore operaio, con l ’affermarsi di una teoria proletaria della rivoluzione. I blanquisti costituiscono un classico esempio di questo fenomeno. La dottrina della loro iniziazione, cosi' come ci è stata riportata da De la Hodde per il 18 34 , era già assai chiara. Che cosa è il governo? Un insieme di traditori, che agisce nell ’interesse di un piccolo gruppo di sfruttatori: aristocratici, banchieri, monopolisti, grandi proprietari e tutti gli altri sfruttatori dei loro simili. Che cosa è il popolo? L ’insieme dei cittadini che lavorano e che sono condannati alla schiavitù. Qual è il destino del proletario sotto il governo dei ricchi? Quello di un servo e di uno schiavo. È necessaria una rivoluzione sociale o è sufficiente una rivoluzione politica? Una rivoluzione sociale. E poco dopo si verificò un mutamento nella composizione dei membri delle società. «L e recrutement qui s ’était fait dans les mauvai- ses couches de la bourgeoisie va s’opérer exclusivement dans les bas-fonds de la classe populaire» La Lega dei giusti era a sua volta un ramo di composizione operaia distaccatosi dai «fuorilegge» (se si possono chiamare operai gli artigiani specializzati tedeschi). Questo ramo era formato principalmente da sarti, tipografi e calzolai.
1 L a naìssance d e la R é p u b liq u e en jé v r ie r 18 4 8 , B ru xelles 18 5 0 , d i D e la H odde, indica le professioni dei quattro agenti rivoluzionari della Società delle stagioni a partire dal 18 3 9 ; uno stipettaio , un doratore, un incisore d i rame, e lu i stesso, g iornalista (e, possiam o aggiungere, spia della polizia). « A lb e r t » , l ’operaio che entrò a far parte del governo p ro v v isorio nel febbraio 18 4 8 , vi giunse attraverso la Societé des nouvelles sai- sons, erede di quella d e lle saisons. La Società com unista rivoluzionaria aveva , secondo D e la H o dde, com e suoi p rin cipali m ilitanti un barbiere, un sarto, un m eccanico e uno spaccapietre. L a Società dissenziente (delle nuove stagioni) contava tra i suoi capi due sarti, un ex soldato, un fab b ricante di oggetti in paglia, un m ercante di vin i e un m edico (pp. 10 , 15 - 16 ) . L ’attrattiva che il b lanquism o esercitò in seguito sugli in te llettu ali, specialm ente sugli studenti non deve farci d im enticare il fatto che esso sia stato in origine un m ovim ento m olto più sostanzialm ente plebeo delle confraternite segrete intorno al 1820.
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A questo punto, si potrebbe pensare che un tale mutamento nella composizione dei membri accentuasse il carattere rituale delle organizzazioni, a causa dell’inclinazione che generalmente si riscontra nelle persone ignoranti e politicamente impreparate, verso manifestazioni violente, come i giuramenti e le cerimonie segrete. In effetti (per lo meno nelle organizzazioni blanquiste) le formule del catechismo per iniziati, divennero pia rudi e vivaci, quando la (proletaria) Società delle stagioni, si sostituì alla (borghese) Società delle famiglie. Tuttavia, come già vedemmo, questo catechismo era un documento politico perfettamente razionale. Ma tali lievi mutamenti nello stile delle organizzazioni segrete, non tolgono il fatto che la loro evoluzione in senso proletario segnasse la decadenza di quel rituale di cui non avvertivano più un’effettiva necessità, Il rivoluzionario proletario (o l ’intellettuale che tendeva a identificarsi con esso) non sentivano infatti la necessità di formule romantiche. Entrambi, secondo la teoria rivoluzionaria, si muovevano nella direzione e nell’ambito della corrente storica del proletariato. Se era un operaio, non faceva che compiere in modo più efficiente ciò che egli e gli altri lavoratori, che avessero una coscienza di classe, consideravano fosse la strategia adatta alla propria situazione sociale. Per dei lavoratori con una coscienza di classe, sarebbe stato assai più difficile astenersi dal collaborare o dal simpatizzare con «il movimento». Se invece si trattava di un intellettuale bastava che considerasse la situazione dei lavoratori per sentirsi, per quanto individualmente al di fuori della loro classe, partecipe di una collettività naturale. I gruppi di élite cessarono di essere unità isolate nella lotta e divennero, secondo la frase di Lenin, l ’avanguardia di un vasto esercito. Forse questa avanguardia doveva ancora essere creata, ma l ’esercito era già pronto. La storia stessa che lo aveva plasmato lo avrebbe consolidato, assicurandone il trionfo. M arx non era contrario alle confraternite segrete, soltanto a causa della sua naturale e comprensibile avversione per le azioni politiche maldestre e improvvisate, e quindi anche nei riguardi di persone del tipo di Mazzini, ma perché il suo genere di movimento creava una più forte carica emotiva
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tra un più vasto numero di persone, rispetto a quelle che erano capaci di suscitare le società segrete di stampo massonico.
Allo stato attuale delle nostre cognizioni non è prudente spingere oltre le nostre considerazioni. Molto lavoro resta ancora da compiere dagli studiosi (che vanno distinti dai curiosi), sulle società segrete rivoluzionarie degli ultimi centocinquant’anni in tutto il mondo, prima che ci sia consentito di spingerci oltre, in uno studio generale del fenomeno nelle sue grandi linee. Rimangono da chiarire i rapporti coi movimenti di liberazione nazionale, in quanto distinti da quelli per l ’emancipazione sociale, i legami che le uniscono a varie tradizioni locali e gli elementi da esse attinti da tradizioni occidentali, e inoltre i loro contatti coi movimenti primitivi da noi illustrati nei capitoli precedenti. Ciò che fin qui è stato detto si riferisce alle confraternite che furono qua e là assorbite direttamente o indirettamente dai moderni movimenti operai e socialisti, ma non necessariamente ad altre organizzazioni similari.
Questo assorbimento avvenne con notevole facilità; molti dei loro membri, purché fossero dei veri rivoluzionari, si trasferirono ai movimenti non rituali e vi svolsero ruoli direttivi, come si può constatare seguendo le v icende dei membri originari della Lega dei giusti e dei gruppi blanquisti di cui abbiamo notizia. Il carattere di cospirazione segreta nell’organizzazione di cui furono i pionieri, continuò ad essere utile, spogliata del suo contenuto rituale, ogni qualvolta la situazione richiedesse una devozione assoluta e una pericolosa attività contro la legge. I bolscevichi di Lenin devono molto più di quanto siano mai stati disposti ad ammettere, a ll’esperienza e ai metodi di lavoro della tradizione buonarrotista e a quello dei narodniki, per quanto Pantiritualismo marxista abbia fatto del suo meglio per creare un’atmosfera di deliberata ed estrema praticità e sobrietà, anche in attività «di cappa e spada », che, come indica il loro nome popolare, tendono a controbilanciare con una certa dose di romanticismo la estrema tensione alla quale sono sottoposti coloro che vi partecipano. Le antiche confraternite decaddero,
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dato che nella politica non vi era più posto per le congiure, a eccezione di alcune situazioni circoscritte che ancora davano luogo qua e là ad attività del genere al quale le confraternite erano solite dedicarsi. In effetti, il tempo ha in genere risolto il problema delle confraternite. Esse erano primitive in quanto rappresentavano una forma precoce e immatura di organizzazione rivoluzionaria, e dovevano in qualche modo ricercare un compenso alla loro mancanza di una chiara strategia, di una tattica e di veri e propri programmi politici. Ogni qualvolta i movimenti rivoluzionari abbiano oltrepassato questo stadio, le confraternite diventano superflue, e spesso vengono sommerse, come i blanquisti dopo la Comune, in più vaste attività, parlamentari o meno, che collaborarono alla causa rivoluzionaria. Tuttavia, il loro primitivismo era in gran parte fortuito; esso risultava dalla combinazione di una forma particolare di attività isolata di élite, con una quantità storicamente determinata di elementi ideologici e organizzativi. A differenza di altri movimenti primitivi, illustrati in questo libro, esse appartengono alla storia, piuttosto che alla preistoria, dei moderni movimenti sociali, per quanto rappresentino i primissimi albori di tale storia.
Appendice
Documenti in versione originale e testimonianze dirette
1 . L ettera di Pasquale T an teddu , fuorilegge e bandito (Sardegna, 1954)
2. Il brigante VardareU i aiuta i poveri (P uglie. 18 17)3. Interrogatorio di un brigante borbonico (Italia meridionale, su
bito dopo il i860)4. D onato M anduzio sm aschera un falso apostolo (San N icandro, su
b ito dopo il 1930)y U na contadina parla della società giusta (P iana dei G rec i, 1893)6. Una comunità contadina incontaminata dalla città (Ucraina, 19 18 )7. I contadini diffidano del governo (Ucraina, 19 17)8. I l volere dello Zar (Ucraina, 1902, 190.5)9. C o llo q u io con G io van n i Lopez, calzolaio (C alabria , 19 5 5 )
10 . Due sermoni per gli scioperanti (Carolina del Nord, 1929)i r . U n unionista del L in coln sh ire : Josep h Chapm an (A lfo rd , 1899)12 . I « d e c is i» raccom andano un confratello (Lecce, P u glie , 18 17 )13 . G iuram enti segreti (G ran Bretagna, 1830-40; N ap o li, 181.5-20;
P arig i, 1834).
Attraverso la documentazione qui raccolta non intendo illustrare tutti gli argomenti sviluppati nel testo ma solo aiutare il lettore - se mai nc avesse bisogno - ad immedesimarsi nei pensieri e nelle convinzioni dei «ribelli primitivi» descritti in questo libro. Nella ricerca di queste «testimonianze» non ho seguito alcun criterio sistematico ma mi sono limitato a riprodurre quei documenti, che nel corso delle varie mie ricerche sull'argomento, mi sono apparsi più significativi. Uno di questi documenti consiste nella registrazione di un'intervista effettuata mediante un colloquio di un’ora.
L ’utilità di questi documenti per il lettore può consistere tanto in una mera lettura a lini di rievocazione di atmosfera e di suggestione quanto in un esame analitico soggettivo, alla luce delle argomentazioni del testo, di cui i documenti stessi rappresentano un'illustrazione da vari punti di vista. I nn. i,
6-9 e r i rispondono forse meglio alle esigenze di un esame approfondito. Il n 1 illustra le imprese alla Robin Hood, l ’egocentrismo e l'ardore dell'isolato campione e vendicatore dei poveri; il n. 3 la fede «Chiesa e re» e la magia. 11 n. 4 ci porta nell’atmosfera di fervore religioso in cui fiorirono il millenarismo e le sette operaie. Il n. 5 (il documento sotto vari aspetti più importante) è una chiara esposizione delle idealità dei rivoluzionari contadini; il n. 6 descrive la realizzazione di tali ideali I nn. 6 e 7 illustrano la profonda diffidenza dei rivoluzionari contadini per le «città». 11 n. 8 ci mostra la fiducia nel «re giusto» e il disegno millenaristico della «nuova legge», a lungo attesa, e del «manifesto a caratteri d’oro», che istituisce la libertà; chiarisce anche la potenza distruttiva dei rivoluzionari primitivi. Nel n. 9 il lettore può rendersi conto dell ’interpretazione sociale della Bibbia, dell’anticlericalismo e del senso profondo dell’uguaglianza nonché del singolare binomio amor fraterno - inesorabilità (cfr. anche i nn. 5 e n ) .
2 2 6 A P P E N D I C E
Il n. io ci mostra una coscienza politica estremamente immatura e un'interpretazione della religione, fondamentalmente ultraterrena (fautrice della prevalente importanza della salvezza dell’anima e della superiorità di Dio sui ricchi della terra) ma risolta in termini di protesta sociale. U n. n contiene spunti millenaristici (cfr. anche i nn. 5 e 9), avversione per preti e «professori aridi c sterili», accenna all'esclusione dal millennio di quanti non sono guidati dallo spirito di Dio ed allo sdegno per l'ineguaglianza sociale; il tutto peraltro praticamente ammorbidito in un’aria di modesto riformismo. Il n. 12 illustra aspetti pratici delle associazioni segrete nel periodo del loro maggior iulgore. Il n. 13 , ci mostra alcuni giuramenti segreti e il tramonto del ritualismo.
i.
Lettera di Pasquale Tanteddu, fuorilegge e bandito.Fonte, r . c a g n e t t a , Inchiesta su Orgosolo, in « N u o v i A rgo m en ti» , settem bre-ottobre 19 54 , pp. 2 0 9 -11 . Pasquale Tanteddu era nato ad O rgosolo nel 19 26 . F in dal 1949 fu un fuorilegge. V en n e condannato in contum acia nel 19 53 dalla C orte di assise di C agliari per i massacri d i V illagran de e «sa v e ru la » , im putato d e ll ’om icidio d i sci carabin ieri, tentato om icid io di a ltri nove carabin ieri, due rapine, associazione a delinquere, ecc. V enne assolto, sem pre in contum acia, d a ll’accusa di om icidio in persona di N ico lò , G io v an n i e A ntonio T aras, ritenuti confidenti della polizia. La taglia pagaia nel 19 54 per la sua cattura fu di cinque m ilion i. I l dottor C agnetta, che ha com piuto u n ’appro- fondita inchiesta sociologica su l posto, descrive Tanteddu com e «u n bandito m olto popolare a O rgosolo , poiché è opin ione generale che eg li, a differenza per esem pio di Salvatore G iu lian o , non ha mai com messo delitti contro i "p o v e r i” e non ha m ai voluto d iventare servo dei "p a d ro n i"» .
Caro Cagnetta,
informatomi del tuo soggiorno ad Orgosolo per denunciare alla opinione pubblica tramite la stampa la nostra tragica situazione, non essendo possibile farmi intervistare personalmente da te, per evitare qualche spiata o simili grattacapi, mi faccio scrivere da altri, non sapendo purtroppo neppure firmare, e ti indirizzo la presente lettera, al fine di chiarire tutte le menzogne che ripetutamente vengono inserite nelle colonne di giornali, che non ho visto un giornalista, buffoni! e che circolano nella bocca di tanti sfaccendati, che cianciano approfittando della mia triste condizione di fuorilegge analfabeta. Anzitutto voglio che tu dia bella forma letteraria e corretta ai fatti che mi appresso di sottolineare.
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Voglio partire dalle prime persecuzioni. La prima volta venni accusato di rissa, avevo sedici anni ed ero servo pastore. Mentre eravamo nell’ovile un compagno non so per quale pretesa abusando delle forze mi trascinò alle gambe in mezzo la stanza: essendomi trovato col coltello in mano al fine di impaurirlo e lasciarmi andare, mossi la mano e, come s’è spostato, la punta del coltello gli bucò la schiena. Venni arrestato, ed assolto dopo sei mesi di carcere dal Tribunale dei minorenni di Cagliari.
Nel 1945 fui accusato di un furto di cavalli da un altro ragazzo che dopo le torture subite dai carabinieri fu costretto a fare il mio nome e di un altro compagno.
Nel 1947 mentre nella Corte di Nuoro assistevo un dibattimento mi vidi preso aH’improvviso a spintoni da un carabiniere, col supposito che facevo bordello. Cercai di insistere, dicendo che ero abbastanza calmo, vistomi insistere il carabiniere si avventò addosso. Fui acciuffato allora da un nugolo di poliziotti che mi tradussero alle carceri. Accusato di reato di oltraggio e violenza, dopo quattro mesi di carcere, fui condannato a quattordici mesi di reclusione.
Espiata la pena lavoravo in casa con un branco di pecore di nostra proprietà e curavo l ’inaffiatura di qualche orto col mio fratello più grande Pietro. Lui aveva fatto il partigiano, aveva capita la vera situazione dello sfruttamento e oppressione dei ricchi contro a noi, poveri. Ed il fatto di esser tali fece andare in bestia i proprietari, come le spie, del paese. E nel 1949 siamo stati ricercati solo per questo io e mio fratello al confino di polizia. Abbiamo cercato di sfuggire perché sapevamo di essere innocenti. Ma vistici uccel di bosco i mariscialli, spalleggiati dai ricchi, cercarono di imputarci ogni reato che allora succedeva. Il più fedele «beneamino» fu il maresciallo Lod- do, che ad Orgosolo per due o tre anni ebbe pieni poteri di fare il santo Inquisitore, confinando tutti quelli che manifestavano di sottrarsi al suo giogo e minacciando il confino ai pregiudicati senza carattere e pagandoli per collaborare con loro. Fecero tante montature criminali fino a giungere alla famosa strage di «sa verula» dove perdettero la vita tutti quei poveri carabinieri che forse ignoravano i folli piani dei mari- scialli Loddo, Ricciu e Serra, i capi Inquisitori del Nuorese. E come per ogni altra strage vennero accusati i fratelli Tanteddu. Ed anche se tutti gli altri capi di accusa attribuitimi dal Loddo in numero di una diecina mi furono liberati dai giudizii, per quest’ultima, in base ad un accusatore il più infame che la storia della Sardegna ricordi, il famigerato Mereu
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Sebastiano, degno servo dei Mariscialli assetati d’ingiustizia e disordine, ini colpito all'ergastolo per ricevere il premio della «benemerita» dal sicario siciliano Mario Sceiba (come lo ha dato a Luca dopo che hanno ucciso a tradimento il loro caro amico e massacratore di lavoratori. Salvatore Giuliano). Questo infame confidente, che riuscì di incriminare tanti onesti cittadini, disse di avermi riconosciuto di una foto che avevo fatto in gruppo quando ero ragazzo, e in una occasione che ero inalato di febbre perniciosa deperito al punto che nessun orgosolese riusciva a conoscermi. Mi meraviglio come i Giudici abbiano voluto dare credito a un elemento cosi sfondato, e spero che si possa lare giustizia nell’Appello.
Sia per «sa verula» che per Villagrande perché sono innocente e non voglio scontare colpe infamemente attribuitemi.
Ed è proprio dall'agire sporco del metodo vile e criminoso dei carabinieri che il paese vive in un conflitto muto e terroristico. E per ogni delitto cercano di fare il mio nome.
Infatti la cosidetta polizia, che non sta facendo altro che « sporchizia», cerca di braccarmi con tutti i mezzi. E non potendo prendere a me se la prende con i miei parenti. Forse credono che dopo avere arrestato mio fratello, un ragazzo incensurato dedito alla custodia del gregge, la mia sorella, che dopo la morte della mia povera Madre rimase sola in casa, e il mio povero Babbo, un uomo vecchio e paralitico, che io possa essere indotto a presentarmi.
O pure se fossi - e non lo sono - un criminale, vedendo tante ingiustizie diventassi un agnello.
La prova che non sono un assassino è data dal fatto che selo fossi, per ciò che mi viene fatto dovrei uccidere ogni giorno almeno dieci poliziotti, o sia di quella ridicola marmaglia che Sceiba ha mandato nelle nostre campagne, che chiedono bonifica, tecnica, trattore e non poliziotti, mitrie e spie. Che se non sarò proprio destinato a morire non mi prenderanno mai neanche se ne mettono diecimila.
Abborrisco la vita del latitante, ma per galera preferisco cento volte la morte. Soffro molto alla testa se mi chiudono, e allora certo morirei.
L ’unico mio desiderio è di vedere abolito il confino, le taglie, la disoccupazione, lo sfruttamento dei lavoratori e vedere cosi il nostro martoriato paese in via di pace serena e di civile progresso.
Pasquale Tanteddu
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2 .
Il brigante Vardarclli aiuta i poveri.Fo n te. A. L u c a r e l l i , 11 brigantaggio p o lit ico d e l M ezzogiorno.
a) D e M atteis, giudice del T ribu n ale di A n dria , riferisce al procuratore generale di T ran i, n febbraio 18 17 .
Nel partirsene Don Gaetano Vardarelli a cavallo chiamò il Massaro e ordinò che all’istante si fosse distribuito per ogni operaio di quella Masseria un perrozzo di pane di un rotolo e mezzo, e questa distribuzione che ascendeva al numero di cento, non essendosi potuto fare momentaneamente per tutti, perché mancò il pane, Don Gaetano impose al Massaro che avesse adempiuto il giorno appresso al resto della distribuzione: altrimenti al suo ritorno, uno di questi operai che non avesse avuto il pane, lo avrebbe massacrato egualmente che fece a due Massari di altre masserie.
b) G aetano V ardarelli scrive al sindaco di A tella :
Io, Gaetano Vardarelli, vi ordino e vi comando di chiamarvi tutti i proprietari della Comune di Atella e fargli sentire che facessero spicolare tutt'i poveri, altrimenti saranno da me abbrugiati, e dico come dico.
Gaetano Vardarelli, Comandante della Fulminante a cavallo
c) G aetano V ardarelli scrive al sindaco di Foggia:
Signor Sindaco, vi compiacerete partecipare a tutti codesti proprietari in mio nome che non facessero mangiare la spica delle di loro masserie agli animali neri, ma bensì a farla spicolare a’ poveri, e se loro sono sordi a questo mio ordine, io gli brucierò tutti i loro averi. Tanto eseguirete, e con stima vi saluto, e vi dico che se io avrò qualche ricorso, che voi non farete eseguire i miei ordini, voi sarete responsabile.
Li 30 giugno 18 17 .Io, Vardarelli
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3 -
Interrogatorio di un brigante borbonico.Ponte, m a f f e i , Brigand L ife m Italy, London 1 8 6 5 , vol. I I , pp. 1 7 3 - 1 7 6 [trad, dal l ’originale in inglese],
g i u d i c e Con questa convinzione, perché tu e i tuoi compagni non vi siete arresi? Non sapevate che l ’odio dell'intera popolazione metteva in continuo pericolo la vostra vita? Tu sai che il paese di Sturno, terrorizzato da voci tendenziose sul numero dei briganti che l ’accerchiavano, non fece a tempo a liberarsi dei due ruffiani che vi erano penetrati che si mise di nuovo sotto la protezione dell'esercito di Vittorio Emanuele e benedisse il suo nome e l ’unità d ’Italia.
b r i g a n t e Noi combattevamo per la fede. g i u d i c e Cosa intendi per fede? b r i g a n t e La santa fede della nostra religione. g i u d i c e Ma tu certamente sai che la nostra religione con
danna i ladrocini, l ’incendio di case, gli assassinii, le crudeltà e tutti i misfatti empii e barbari, di cui ogni giorno si macchiail brigantaggio e di cui tu stesso ed i tuoi compagni vi siete resi responsabili.
b r i g a n t e Noi combattevamo per la fede e ci aveva benedetto il Papa e se io non avessi perduto una carta che veniva da Roma voi vi sareste convinto che noi combattevamo per la fede.
g i u d i c e Di che genere di carta si trattava? b r i g a n t e Era una carta stampata, quella che veniva da
Roma.g i u d i c e Ma qual era il contenuto di quella carta? b r i g a n t e Diceva che i veri briganti sono i piemontesi,
che hanno portato via il regno a Francesco II, che loro sono scomunicati e noi siamo benedetti dal Papa.
g i u d i c e In nome di chi era scritta quella carta e che firme c’erano?
b r i g a n t e La carta era un ordine di Francesco II, ed era firmata da un generale che aveva anche un altro titolo che non ricordo, come non ricordo il nome. C ’era attaccato un nastro, con un sigillo.
g i u d i c e Di che colore erano il nastro e il sigillo, e che cosa era impresso sul sigillo?
b r i g a n t e II nastro era bianco, come il lino, e il sigillo era bianco e portava impresso Francesco II, si parlava di Roma...
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g i u d i c e Non è possibile ammettere o supporre che il Papa possa benedire tali nefandezze o che Francesco II possa umiliare la propria dignità di re ordinando uccisioni, estorsioni e incendi, anche se, con tali sistemi disonorevoli, possa sperare di recuperare la corona; quello che hai detto deve essere falso.
b r i g a n t e Avete portato i bersaglieri e sto per essere fucilato, ebbene poiché so che sto per morire, vi dico che quella carta l ’avevo e che c’era scritto proprio tutto quello che vi ho detto e se avete arrestato con me anche qualcun altro dei miei compagni, vi convincerete allora che non ho mentito.
g i u d i c e Non mi meraviglio che tu tenga legato sul petto con una stringa un pezzo della corona di Francesco II , come una medaglia, perché tu, quando uccidi ed esigi taglie e depredi, credi di combattere per lui. Ma è incredibile che tu, nel perpetrare queste nefandezze, possa volere a testimone e, oserei dire, se non fosse una bestemmia, a complice dei tuoi delitti la Vergine benedetta, portando sul tuo petto queU’imma- gine insudiciata della Madonna del Carmine. Basta questo per convincermi che la tua religione è più empia e malvagia di quella dei diavoli, se i diavoli hanno una religione. Questa è la beffa più infernale che si possa fare a Dio!
b r i g a n t e I o e i miei compagni abbiamo la Vergine come nostra protettrice e se io non avessi perduto il documento con la benedizione, certamente non sarei stato tradito.
Informato che l ’ora della esecuzione era prossima, rispose: «Confermerò tutto quello che ho detto al confessore, che spero mi sarà concesso».
4 -
Donato Maniuzìo smaschera un falso apostolo.
Fonte, r .l e n a c a s s i n , San Nicandro, H isloire d ’une conversion, P a ris 19 57 , pp. 28-30. D onato M anduzio fu il fondatore cd il capo di una piccola com unità di con vcrtiti a ll ’ebraism o a San N icandro, in provincia di Foggia, P uglie. La com unità fu fondata intorno al 19 30 e da a llora la m aggior parte dei suoi mem bri è em igrata in Israele. 11 g io vane che si è recato da M anduzio (presum ibilm ente sotto l ’ influsso di letteratura d istribuita da m issionari protestanti) è convinto di essere il cavallo bianco d e ll’A pocalisse ( « E io v id i e osservai un cavallo bianco: e colui che gli stava in groppa aveva un arco: e sul capo gli stava una corona: e procedeva conquistando e andando a conquistare » , R ivelazione 6 .2). S i pensa che egli stia chiedendo a M anduzio, nove llo C risto , di entrare in R om a, che è G erusalem m e. I l parallelo con re P ip in o è tratto dai Reali d i Francia, una raccolta di racconti cavallereschi m olto popolari n e ll’ Ita lia m eridionale e che, sia detto per
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inciso, era la principale lettura profana di Davide Lazzaretti. L ’episodio illustra il fermento apocalittico, intenso ma appena incipiente, in una società contadina a struttura feudale.
Una sera, era giovedì', venne da lui un giovane e gli chiese se quella era la casa di Israele, Dichiarò di essere «un inviato del Signore», venuto ad annunziare il prossimo avvento del Regno dei cieli, ed aggiunse «Io sono il Cavallo Bianco». Manduzio era sospettoso e guardingo ma il giovane continuò a parlare della Bibbia e del popolo eletto finché a Manduzio non rimase che invitarlo a cenare e a dormire, come avrebbe fatto il patriarca Abramo in una situazione del genere. Il giorno dopo il giovane dichiarò che Donato era un Dottore della legge e che essi dovevano scrivere al Rabbino di Roma di mandarlo a chiamare a Roma. I sospetti di Donato aumentarono e per mettere alla prova il giovane lo invitò a scrivere lui stesso a Roma... Il giovane scrisse la lettera. Quella sera già cominciò a manifestarsi la sua «malizia». Manduzio gli chiese all’improvviso «chi è il vero Figlio di Dio? » e il giovane - in ossequio al motto «colui che ha fiele nello stomaco non può vomitare zucchero» - rispose senza esitare «Gesù Cristo». Donato allora rispose che, secondo Isaia 56.4-5, tutti coloro che osservano il Sabato e la legge sono figli del Signore. Dopo questo incidente, che ebbe luogo venerdì sera, Donato pregò Dio di manifestargli con una visione la verità sullo sconosciuto; e quella notte egli vide un albero e su di esso una ragazza con una roncola. Gli mostrò un ramo secco e gli disse di tagliarlo perché era marcio. Donato cominciò a tagliare il ramo e la visione spari. Donato rifletté: la visione era chiara: bisognava mandare via il giovane.
La mattina del sabato, come d'uso, il piccolo gruppo di Fratelli e Sorelle si radunò nella casa di Manduzio: una lampada ad olio illuminava la cerimonia. Arrivò il giovane, e, vista splendere la lampada, gridò: «non c’è più bisogno di lampade perché è arrivato il Messia». Manduzio gli rispose che mentiva ma che, se fosse stato un uomo buono, Dio lo avrebbe perdonato. Il giovane replicò che il cattivo era lui, Manduzio, che gli negava fiducia. A questo punto intervennero i Fratelli e le Sorelle per chiedere a Donato di lasciare in pace il giovane, che credesse o facesse quel che voleva. Manduzio annotò nel diario come in quel momento avesse capito che i figli di Israele «erano capaci di uccidere il vero profeta per seguire il cattivo pastore che aveva trasgredito la Legge» (iR e 19 .14). Ma l ’immagine che gli si affacciò spontaneamente alla mente fu quella del Re Pipino, quando, accortosi del tradi
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mento di Elisabetta, che aveva preso nel letto il posto di Berta, voleva gettare nel fuoco la traditrice e le due figliolette che aveva avuto da lei, ma quelli che gli stavano intorno glielo impedirono.
5 -
La società giusta.Fonte. Adolfo r o s s i , L ’agitazione in Sicilia, Milano 1 8 9 4 , pp. 69sgg. Parla una contadina di Piana dei Greci (in provincia di Palermo),intervistata da un giornalista settentrionale durante la rivolta contadina del 1 8 9 3 .
- Vogliamo che come lavoriamo noi, lavorino tutti. Che non vi siano più né ricchi né poveri. Che tutti abbiano del pane per sé e per i figli. Dobbiamo essere uguali. Io ho cinque bambini e una sola cameretta, dove siamo costretti a mangiare, a dormire e a far tutto, mentre tanti signori hanno dieci o dodici camere, dei palazzi interi.
- E cosi vorreste dividere le terre e le case?- No, basta metterle in comune e distribuire con giustizia
quello che rendono.- E non temete che, anche se si arrivasse a questo colletti
vismo, non venga fuori qualche imbroglione, qualche capo ingannatore?
- No, perché ci deve essere la fratellanza e se qualcheduno mancasse ci sarebbe il castigo.
- In quali relazioni siete coi vostri preti?- Gesù era un vero socialista e voleva appunto quello che
chiedono i Fasci, ma i preti non lo rappresentano bene, specialmente quando fanno gli usurai. Alla fondazione del Fascio i nostri preti erano contrari e al confessionale ci dicevano che i socialisti sono scomunicati, Ma noi abbiamo risposto che sbagliavano e in giugno, per protestare contro la guerra che essi facevano al Fascio, nessuno di noi andò alla processione del Corpus Domini. Era la prima volta che succedeva un fatto simile.
- Le autorità e i signori accusano alcuni Fasci di accogliere nel loro seno anche pregiudicati per reati commessi. Ne avete iscritti voi?
- Si. Ma non sono che tre o quattro su qualche migliaio di soci. E noi li abbiamo accettati per migliorarli, perché se hanno rubato qualche po’ di grano lo hanno fatto unicamente per
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che spinti dalla miseria. Il nostro presidente ci ha detto chelo scopo dei Fasci è di dare agli uomini tutte le condizioni per non delinquere. In mezzo a noi i pochi pregiudicati sentono di appartenere'ancora alla famiglia umana, ci sono riconoscenti di averli accettati come fratelli malgrado le loro colpe e faranno di tutto per non commetterne più. Se fossero cacciati anche dal popolo, commetterebbero altri delitti, La società dovrebbe anzi ringraziarci se li ammettiamo nei Fasci. Noi siamo per il perdono, come Cristo.
6 .
Una comunità contadina incontaminata dalla città.Fon te. N e s t o r m a c h n o , L a revo lu tio n russe en U kra in e. M ars 1 9 1 7 - A v r il 1 9 1 8 , P aris 19 2 7 , pp. 297-99. L a com unità apparteneva al gruppo di qu elle fondate a G u lja j-P o le , rocca forte di N estor M achno, nell ’U craina m eridionale, fra il D nepr e il D on, a nord del mar d ’A zov. M achno (dalle cu i m em orie è tratto questo brano) era un anarchico d i estrazione paesana, che possedeva n otevoli doti di capo m ilitare e le cui form azioni contadine, indipendenti sia dai bolscevich i che dai bianchi (ma a lleati ai p rim i, contro i secondi) ebbero un ruolo decisiv o nella guerra c iv ile in U craina. L u i stesso ci descrive, con notevole precisione, le caratteristiche d e ll ’anarchism o contadino. L e sue interessanti m em orie, salvo che per il prim o volum e, sono d isp o n ib ili solo in lin gu a russa. P urtropp o la storia del M achn ovstin a è stata scritta esclusivam ente da apologeti, che l'h ann o idealizzata e sublim ata, o da detrattori, che l ’hanno denigrata. La m ig lior trattazione d i questo m ovim ento è ancora quella d i P . A rsin o v , in russo, tedesco, francese e italiano (p . a r s i n o v . Storia d e l m o vim en to m achnovista 1 9 1 8 - 1 9 2 1 , N ap oli 19.54. pubblicata per la prim a vo lta nel 1922).I pom escik i sono gli aristocratici e la ricca borghesia terriera. I ku- la k i sono i contadin i indipendenti ricchi. Sch o d y (tradotto con assem blee d i villagg io ) sono le period iche riun ion i della com unità del v illaggio al com pleto.
In ognuna di queste comunità c ’era qualche contadino anarchico ma la maggioranza dei membri non lo era. Nondimeno, nella vita della comunità, il comportamento di costoro era improntato a quel solidarismo anarchico di cui sono capaci, nella vita comune, soltanto quei duri lavoratori, la cui naturale semplicità non sia stata ancora corrotta dal veleno politico delle città. Infatti le città emanano un tanfo di menzogna e di tradimento, che riesce a contaminare perfino molti di coloro che si considerano anarchici.
Ogni comunità comprendeva dieci famiglie di contadini ed operai, per un totale di cento, duecento o trecento membri. Per disposizione del Congresso regionale delle comuni agricole ogni comunità riceveva un’idonea estensione di terra,
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quanta cioè potessero coltivarne i suoi membri, nelle immediate vicinanze della comunità, ricavata dalla proprietà già appartenente ai pomesciki, donde venivano tratti anche bestiame ed attrezzi agricoli.
Cosi i liberi lavoratori si mettevano all’opera, al canto di inni di libertà e di gioia, che rispecchiavano lo spirito della Rivoluzione e quello dei lavoratori che erano morti per essa0 che avevano combattuto lunghi anni per il grande ideale della giustizia, che deve trionfare sull’iniquità e diventare la fiaccola dell’umanità. Essi seminavano ed accudivano ai loro orti, pieni di fiducia in se stessi e ben fermi nel proposito di non permettere mai agli antichi proprietari di riprendersi quella terra che i contadini avevano appena strappato dalle mani di chi non l'aveva mai lavorata...
Gli abitanti dei borghi e dei villaggi circostanti non avevano ancora conquistato una piena coscienza politica e non si erano ancora liberati dal servaggio dei kulaki. Perciò erano gelosi dei comunardi e, più di una volta, esternarono il proposito di riprendersi tutto quello - bestiame ed attrezzi - che1 comunardi avevano tolto ai pomesiiki per dividerselo tra loro. « I liberi comunardi possono sempre ricomprarlo da noi in seguito», dicevano... Tuttavia questa opinione era giudicata con severità nelle assemblee generali di villaggio dalla maggioranza assoluta dei lavoratori, che vedevano nelle comunità agrarie il germe fecondo di una vita sociale nuova, la quale, quando la Rivoluzione avesse attinto il vertice della propria marcia trionfale, avrebbe continuato a svilupparsi e ad accrescersi, incoraggiando l ’organizzazione di una società analoga nell’intero paese o almeno nei villaggi e nei borghi della regione.
7 -
I contadini diffidano del governo.
F o n te, m a c h n o , h a revo lu tio n russe en U kra in e c i t . , p p . 166-67. P er quanto G u lja j-P o le non fosse poi cosi isolata, le notizie della R iv o lu zione d ’ottobre non vi giunsero che alla fine di novem bre o agli inizi d i dicem bre. L a sfiducia nei governi, di cui è cenno in questo brano, non im pedì ai contadini di accogliere con fa \« fc le notizie della R iv o luzione, specialm ente nelle regioni di Zaporoz’e e della costa del mar d ’A zov , poiché vedevano nella R ivo lu zio n e l ’avallo ed il con solidam ento deile loro conquiste di terra d e ll ’agosto 1 9 1 7 [ ib id ., p. 16 5 ). La prin cipale form azione rivoluzionaria a G u lja j-P o le era costituita dagli anarchici (onde era preved ib ile l ’assoluta sfiducia dei b olscevich i); è però indub itab ile che sentim enti del genere di quelli riflessi nel bra
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no seguente debbano essere st.iti largam ente condivisi dai contadini non politicizzati, nel cui anim o secoli di oppressione avevano alim entato u n ’ostilità passiva e rassegnata verso tutte le autorità estranee alla com unità del villaggio .
La massa dei duri lavoratoli ucraini, e specialmente dei contadini dei villaggi di condizione servile, nel nuovo governo socialista-rivoluzionario (del novembre 19 17) non videro granché di meglio di qualsiasi altro governo del genere di quelli la cui esistenza si era manifestata loro solo al momento in cui depredava i contadini con le tasse, reclutava soldati o si inseriva con qualche altra azione violenta nella dura vita di quelli che lavorano. Era frequente afferrare i discorsi con cuii contadini esprimevano la propria vera opinione sui regimi prerivoluzionari e rivoluzionari. Sembravano scherzosi ma in realtà erano estremamente seri e sempre pieni di sofferenza e di odio. «Dopo che ci siamo sbarazzati del pazzo (durak) Ni- kol'ka Romano, - dicevano, - un altro pazzo ha cercato di prenderne il posto, Kerenskij, ma anche lui ha dovuto andarsene. Chi farà adesso il pazzo a nostre spese? Il signor Lenin? » Erano queste le loro domande. Ed altri dicevano: «Noi non possiamo fare a meno di qualche "pazzo” (e con la parola durak intendevano sempre il governo). Le città non hanno altro scopo che questo. È l ’idea ed il sistema delle città che è cattivo. Esse favoriscono l ’esistenza del durak, il governo». Cosi dicevano i contadini.
8 .
I l volere dello Zar.
1. Poltava 1902.Fonie. Resoconto dei disordini agrari nel gubernija d i Pollava, in« Istoricesk ij V estn ik » , aprile 130 8 , riprodotto in R. l a b r y , Autour duM oujik, Paris 19 23 .
L ’intero nostro villaggio prese parte al saccheggio della proprietà Cernigov. Fu compiuto con tale rapidità che a mezzogiorno era tutto finito. I contadini fecero ritorno a casa cantando, pieni di gioia. Eravamo a tavola. Avevamo appena mandato giù la prima cucchiaiata di minestra che (io ricevetti un) biglietto... ci informava che alle tre anche noi avremmo subito il saccheggio... Non era ancora scoccata l ’ora fatale che si presentò il fattore ad annunziare che i contadini stavano per arrivare...
- Perché siete venuti? - chiesi loro.
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- Per avere il grano, per chiederti di darci il tuo grano, - risposero insieme molte voci.
- Cioè, siete venuti a saccheggiare?- A saccheggiare, se lo preferisci, - rispose dalla folla un
ragazzo che fino allora era rimasto in silenzio.Non potetti trattenermi dal ricordare loro come li avessi
trattati per tanto tempo.- Ma che possiamo farci? - risposero diverse voci. - Non
lo stiamo facendo per noi, ma in nome dello Zar.- Questo è l ’ordine dello Zar, - disse una voce tra la folla.- Quest'ordine dello Zar l'ha diffuso in tutti i distretti un
generale, - disse un altro.Infatti all’inizio dell’agitazione si era diffusa nella popola
zione la voce che era arrivato da Pietroburgo un generale, un emissario dello Zar, con la missione di bandire al popolo un proclama scritto «a caratteri d ’oro»... Si diceva che falsi sergenti di polizia circolassero per i villaggi, distribuendo al popolo cosiddetti «decreti». 1 contadini sono inclini a credere tutto ciò che giovi al loro interesse. Cosi accettavano le dicerie sul preteso generale. Nessuno dei miei vicini lo ha visto: ma l ’ha visto un tale o un altro tale ed è bastato questo perché tutti credessero nella reale esistenza di questi impostori e della loro missione.
- Comunque, barin, - dicevano i vicini, - se non darai nulla ai tuoi contadini, verranno a prenderselo gli estranei. Se in- vese si saprà che sei stato saccheggiato, non verranno. Noi non vogliamo farti del male. Ma gli altri, chi lo sa cosa potrebbero farti?
2. Cernigov 1905.Fonte. I disordini agrari nel gubernìja d i Cernigov nel 1905, in«Istoriceskij Vestnik», luglio 19 13 , riprodotto in l a b r y , Autour duM oujik cit.
Durante la fase più violenta della rivolta ed anche dopo la fine del movimento, l'atteggiamento dei contadini nei confronti delle autorità rimase assolutamente corretto. I funzionari non avevano timore a mostrarsi nelle campagne, special- mente giudici istruttori e sostituti procuratori, obbligati a spostarsi attraverso l ’intera provincia per motivi del loro ufficio. Quanto poi ai membri della polizia, costoro, salvo rare eccezioni, non si fecero mai vedere nei villaggi durante i saccheggi. I buoni rapporti tra contadini e magistrati sono confermati con estrema evidenza dagli avvenimenti del villaggio
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di Recki, nel distretto di Gorodnja, dove si verificarono contemporaneamente il saccheggio della fattoria di proprietà En- ko e un pogrom contro gli ebrei. Durante il saccheggio della fattoria, i rivoltosi si avvicinarono alla abitazione del magistrato inquirente del luogo, che alloggiava in una delle case di Enko, ma la risparmiarono. Si udirono voci tra la folla: « Il giudice è uno dei nostri, lavora per una crosta di pane». L ’abitazione non venne toccata...
Una grandissima parte di quelli che prendevano parte alle sommosse si rifiutavano di considerare criminali, anche in minima parte, le proprie azioni, poiché, secondo il loro punto di vista, non facevano che rivendicare i diritti loro concessi. Credevano perfino di contribuire, con le sommosse, al trasferimento delle terre dalle mani dei proprietari alle proprie, realizzando cosi i diritti che erano stati loro riconosciuti. Solo cosi si può spiegare perché, nel saccheggio delle proprietà, essi distruggessero, con furia particolare, aranceti e giardini - che per loro non presentavano utilità di sorta - e quadri e mobilio delle abitazioni, in una parola tutto ciò che essi consideravano non necessario per la vita ma segno di agio e di lusso. Risparmiavano invece il bestiame ed avevano cura di non distruggere le scorte di grano.
Molti contadini erano convinti di essere autorizzati ad appropriarsi dei beni della nobiltà e degli ebrei da proclami imperiali. Che questa fosse la loro convinzione è dimostrato con particolare evidenza da quanto accadde nel villaggio di Kus- siey, nel distretto di Gorodnja... Il 26 e 27 ottobre alcuni contadini fecero ritorno a Kussiey dal villaggio di Dobrjanka, trasportando il bottino ricavato da un pogrom contro gli ebrei. Tutti furono allora convinti che una legge nuova permettesse a chiunque di prendersi quel che voleva dove voleva. L ’esistenza di questa nuova legge fu enunziata con certezza e confermata da due contadini di ritorno dal lavoro dai paraggi di Cernigov, Vasilij Sinenko e Kiril Evtusenko. Costoro affermarono che i pogrom contro nobiltà ed ebrei si erano verificati nel gubernija di Kiev e in altre province proprio in base a quella legge...
L ’atteggiamento tenuto dai saccheggiatori nei confronti degli ordini delle autorità è illustrato dal caso che segue, emerso dall’istruttoria giudiziaria e confermato nel processo. Subito dopo il pogrom di Repki la polizia arrestò e tradusse alle carceri di Cernigov settanta contadini colpevoli di avervi preso parte. Al trasporto dei prigionieri da Repki a Cernigov, su una distanza di trentatre verste, furono comandate soltan
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to due guardie campestri disarmate, per giunta contadini dello stesso villaggio, molto probabilmente immischiati nella faccenda. Quando il convoglio si fermò per la notte a metà strada, a Rojcenskij, tre prigionieri dissero alle guardie che avevano ancora delle faccende da sistemare a casa, fecero ritorno a Repki la stessa notte, appiccarono il fuoco alla casa del contadino Fédor Redkij, che si era opposto al pogrom ed aveva informato le autorità; poi, per non rimanere indietro, presero un carretto e raggiunsero i compagni. In carcere riferirono l ’accaduto.
9 -
Colloquio con Giovanni Lopez, calzolaio.F o n ie . R e g i s t r a z i o n e d i E . J . H o b s b a w m n e l s e t t e m b r e 1 9 5 5 a S a nGiovanni in Fiore, Calabria, nella bottega del Lopez.
Giovanni Lopez, calzolaio, di San Giovanni in Fiore, di circa 50 anni.
Sono nato nel 1908, nella mia vita ho fatto una cinquantina di mestieri: guardiano di capre, sbrigafaccende, sacrestano, servitore, calzolaio, non posso neppure contarli tutti. Mio padre mori quando avevo sette od otto mesi e noi eravamo molto poveri, veramente molto poveri. Diventai guardiano di capre intorno ai sei anni, e mi convinsi che i ragazzi sono gli schiavi ed i servi di tutti. Poi mi presero i preti, diventai sacrestano e fimasi con loro per anni. Poi ne ebbi abbastanza dei preti e li lasciai. Mi dissero: «è meglio che tu impari un mestiere». Cosi trovai un brav’uomo, che mi prese con sé, mi insegnò il mestiere di calzolaio e mi dette un salario decente. Penso che avevo ragione. Il Signore ha detto: «mangerai il pane con il sudore della fronte», e non con le mani pulite come i preti, ecco perché è meglio fare il ciabattino; però so ancora un po’ di latino e posso quindi discutere coi preti.
Ho fatto il servizio militare, ma dopo sono sempre rimasto qua, a San Giovanni. Ero figlio unico, ora sono sposato con due figli; il maschio è falegname ed ha una bella bottega, perfino col motore elettrico, la femmina si sposerà a Natale. Allora resterò solo con mia moglie. Mio padre e mia madre erano socialisti tutti e due. Dovete capire, a quei tempi non c’erail partito comunista. Conservo ancora le loro tessere ed i loro ritratti a casa, dove li ho tenuti nascosti durante il fascismo. Naturalmente io sono comunista. Il Signore disse: «cacciate dal tempio i profittatori». Mi piace quello che 1 preti dicono
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ma non quello clic fanno. Se tu mi dicessi che questa suola è di cuoio e io scoprissi invece che è di cartone, direi che sei un bugiardo. La Bibbia va d ’accordo con il comuniSmo. Conosci la parabola della vigna. Il Signore disse: «darò a lui quanto ho dato a te». Questa è la prova che dovrebbe esserci uguaglianza. Se piove, dico che dovrebbe piovere per tutti. Ma se piove per me, operaio o calzolaio, e non per te, benestante o autorità, allora mi ribello. Guarda che non mi sto lamentando, Sono un buon calzolaio, lavoro per i carabinieri di qui e per i cantonieri. Il governo mi lascia lavorare perché sono un buon calzolaio e non perché sono comunista.
Il nostro paese, San Giovanni, è un bel paese, bene attrezzato. Abbiamo quattro mulini, venti o venticinque anni fa ci hanno dato l'elettricità e lo scorso giugno abbiamo avuto anche il telefono. C ’e un gran movimento e brava gente, il sindaco è un brav’uomo, un capomastro. Eravamo schiavi e ora siamo liberi. Guarda tutti quei ritratti che ho al muro: Stalin, Togliatti. Li ho ritagliati dai giornali. Sotto il fascismo non avremmo potuto avere questo. La libertà è una gran cosa. Io vado d'accordo con la gente, anche con quelli che erano fascisti e che ora stanno rispuntando fuori. Non porto loro rancore, perché noi comunisti vogliamo soltanto il benessere e la felicità di tutti gli uomini. Vogliamo la pace, perché la guerra non porta mai nulla di buono. La ragione per cui discuto coni preti è che loro dicono si pace, ma con la spada, e io non sono d’accordo. Io sono per la pace con tutti, ma non con i ladri e gli imbroglioni. Tagliate loro le mani, dico.
10.
Due sermoni per gli scioperanti di Loray, nella Carolina del Nord, 1 9 2 9 .
I o n ie D a l l o « C h a r l o t t e O b s e r v e r » e dal « B a l t i m o r e S u n » , c i t a t i da p o i ’ ! ' , M itlk iw d s and Preachers c it .
i . «Non ho mai implorato aiuto. Non ho mai chiesto aiuto a nessuno. Sarei quasi morto di fame se qualcuno non mi avesse aiutato, ma nessuno di Lorav mi ha aiutato; l’aiuto è venuto da qualcuno di fuori».
Ci furono acclamazioni... «Ma, - disse, - non dovete pensare che questa lotta per ottenere qualcosa da mettervi addosso e da mangiare vi porterà in cielo, perché cosi non sarà. Voi dovete essere solo dei buoni soldati per il Signore, come Io siete mentre lottate e faticate per vivere. Si, alcuni di voi si
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sentono bruciare, ma non dimenticate che c'è un posto che brucia ancora più di questo che vi attende e che conduce all'interno ».
Il predicatore ordinò che alzassero la mano quelli che erano stati salvati dal sangue di Cristo; soltanto una diecina alzarono le mani. Egli raccontò delle sue esperienze, varie e numerose, e ricordò di aver visto tre compagni uccisi sul colpo. Dopo essersi riferito ai testi sacri, osservò molto sottilmente: «Non vorrei trovarmi nei panni di certuni della contea di Gaston, che conosco, i quali derubano Iddio». Questo provocò grandi applausi.
2. Gli scioperanti, rifugiatisi sulla montagna, oggi sono tornati. II. J. C rabtree , ministro della Chiesa di Dio, inginocchiato su di un vecchio bancone, salvato dalla distruzione del quartier generale degli scioperanti, ha invocato l'aiuto di Dio sullo sciopero. iMentre il vecchio pregava, un gruppo di scioperanti stava a testa china e, come egli si è avvicinato, una dozzina di essi si è associato all'«amen»... Poi il fratello Crabtree si è messe.) a predicare. «Liberami, o Signore, dall’uomo perverso; tienimi lontano dall'uomo violento». «Chiamo Dio a testimoniare chi è stato violento in questo sciopero, - ha detto il predicatore. - Ma dobbiamo sopportare. Paul e Silas hanno dovuto tarlo, e ora essi cantano intorno al grande trono bianco. Tra pochi giorni anche voi andrete cantando per le strade di Lorav con un buon salario. I poveri sono vicini al Signore. Gesù Cristo stesso nacque a Betlemme in una vecchia capanna. Fu percosso, trafitte' con le lance ed alla (ine inchiodato ad una croce. E per che cosa.' Per il peccato. È il peccato la causa di questi disordini. Il peccato del ricco, di chi crede di essere ricco...
Tutti i ricchi che si trovano in mezzo a questa folla, alzino la mano. Io alzo la mia per primo. Mio padre possiede l'intero mondo. Egli possiede ogni collina di questo mondo ed ogni zolla di queste colline».
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Un unionista del Lincolnshire: Joseph Chapman.Fonti' k f x c: r u s s a i . T h e R evo lt o f the F ie ld in L in es (Lincolnshire ( ’uuntv Committee of the National Union of Agricoltura! Workers), pp i? 7 , 138. Il brano è tratto da un opuscolo pubblicato da Chapman nel 1899. Si fece metodista prim itivo nel 1836 (a quattordici anni).
Sono stato tra i Primitivi del distretto di Alford per oltre trenta anni, Ho lavorato come predicatore per la causa di Cristo... Quando comparve ad Alford la prima unione sindacale, m’intcressai moltissimo ad essa... Non essendo stipendiato, di giorno lavoravo per vivere e di notte andavo a tenere discorsi per l'unione... Nell'anno 1872 è nata l'unione sindacale. Io, Joseph Chapman, con Joseph Arch e William Banks di Boston abbiamo dato la nostra eloquenza, il nostro cervello, il nostro cuore, la nostra influenza per il progresso dell’unione. Noi non crediamo, che signori e dame, preti e mogli di preti debbano essere considerati sacri e i contadini soltanto stracci. Pensiamo che non sia giusto che l ’ozioso segga a banchetto ed all’operoso rimangano crosta e briciole. Oso affermare che abbiamo fatto di pili noi in Inghilterra per l'emancipazione degli schiavi bianchi che tutto il clero moderno messo insieme... Credo che non sia lontano il momento in cui Dio manderà alla sua Chiesa nuovi apostoli e profeti, che faranno visita ai poveri vecchi e si informeranno come possano vivere con i tre scellini alla settimana che passa loro la parrocchia, spese per carbone e luce a parte, e protesteranno energicamente contro tale crudeltà e pregheranno intensamente Dio perché uccidao converta i professori aridi e sterili. Avverto i presagi della grande unione che si verificherà quando il principe, il borghese ed il contadino si uniranno e collaboreranno per il bene comune. E tutti guidati dallo spirito di Dio. Cosi sarà un giorno e sarà grande come il mondo intero, il mondo unito.
1 1 .
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1 2 .
I «decisi» raccomandano un confratello.Fonie Memoirs ot the Scerei Societies of the South of Italy, particularly the Carbonari, London 18 2 1, pp. 130 , 132 .
S.D.S.(La Decisione Salentina [loggia]. Salute) n, 5 Gran Massoni L.D.D.T.G.S.A.S.D.C.I.T.D.U. ecc.
(La Decisione [loggia] di Giove tonante spera di muovere guerra ai tiranni dell’universo ecc.),
II mortale Gaetano Callieri è un Fratello Deciso, n, 5, appartenente alla Decisione di Giove tonante, estesa sulla faccia della terra, per sua Decisione, ha avuto il piacere di appartenere alla Decisione Salentina Repubblicana. Invitiamo, perciò, tutte le Società filantropiche ad offrirgli il loro forte braccio e ad assisterlo nei momenti di bisogno, essendo egli arrivato alla Decisione di avere libertà o morte. Datato il giorno 29 ottobre 18 17 .
Firmato . . . .Pietro Gargaro (il Gran Maestro Deciso n. 1) Vito de Serio, Secondo Deciso Gaetano Caffieri, Registratore del Morto
Le lettere L .D .D .T . ecc. e qualche altra iniziale sono scritte col sangue. 1 quattro puntini sopra il nome del Gran Maestro stanno ad indicare il suo potere di emettere sentenze di morte. Sugli angoli superiori del foglio figurano due teschi con la scritta «Tristezza» c «M orte» , sugli angoli inferiori due gruppi di ossa incrociate, legate insieme da un nastro, con la scritta «Terrore» e « Lu tto» e due timbri: i fasci e il berretto frigio su una testa di morto fra due scuri; e un fulmine che, partendo da una nuvola, colpisce una corona e una tiara. La loggia agiva a Lecce, in Puglia.
13-Alcuni giuramenti segreti.
1. La Corporazione dei cardatori di lana.F o n te Character, O b jects and E ffects o f Trades U nions, L o n d o n 1S34 , p. 66.
Io, A. B., cardatore di lana, trovandomi alla presenza augusta del potente Iddio, dichiaro volontariamente che perse
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vererò nella lotta per sostenere una fratellanza, denominata Società di mutuo soccorso fra operai delle manifatture tessili e di altre industrie, e dichiaro solennemente e prometto che non mi opporrò mai ai suoi tentativi di difendere i salari, ma l ’assisterò lino al limite delle mie possibilità, in tutte le occasioni giuste e legittime, per ottenere una paga adeguata al nostro lavoro. E chiamo Dio a testimone di questa mia solenne dichiarazione, che cioè né speranze, né paure, né ricompense, né punizioni e neppure la stessa morte mi indurranno mai, direttamente o indirettamente, a dare informazioni su alcunché che riguardi questa loggia, o ogni altra loggia della società; né lo scriverò, né farò in modo che si scriva, su carta, legno, sabbia, pietra o qualsiasi altro mezzo che possa farlo sapere, a meno che non ne sia autorizzato dalle autorità dell'associazione. E non permetterò mai che denaro appartenente all’associazione venga diviso o preso per qualsiasi altro scopo che non sia l'uso della società o il sostegno della professione. Perciò, Signore, aiutami e mantienimi fedele a questa solenne promessa; e se mai dovessi rivelare parte di questo solenne giuramento, possa la società cui appartengo giustamente disprezzarmi finché io viva, e possa ciò che ora sta davanti a me trascinare la mia anima in un perenne abisso di disperazione. Amen.
2. Il giuramento dei carbonari.Tonte. M cviotrs o f the Secret So cieties o f the South of h e y . 1S21,P-
Io, N. N., prometto e giuro sullo statuto generale dell'Ordine e sopra questa spada, strumento vendicatore dello spergiuro, di mantenere scrupolosamente il segreto della Carboneria; di non scrivere né disegnare né dipingere nulla che la riguardi, senza prima averne avuta autorizzazione scritta. Giuro di aiutare i mici Buoni Cugini in caso di bisogno, per quanto possa, e di non fare mai nulla contro l ’onore delle loro famiglie. Io acconsento e desidero, se mi dovessi rivelare spergiuro, che il mio corpo venga tagliato a pezzi, poi bruciato e le mie ceneri sparse al vento, affinché il mio nome venga esecrato dai Buoni Cugini in ogni parte della terra. Cosi D io mi aiuti.
D O C U M E N T I E T E S T I M O N I A N Z E 245
3. Il rituale del giuramento delle Stagioni in sintesi (1834).
Fonie. A. c h e n u , Les conspirateurs, Paris 18.50, p. 20.
Copreaux, in qualità di padrino, mi bendò gli occhi e mi venne letto il seguente formulario:
- Sei repubblicano?- Lo sono.- Giuri odio alla monarchia?- Lo giuro.- Se intendi diventare membro della nostra società segre
ta, sappi che devi obbedire a qualsiasi ordine dei tuoi capi. Giura ubbidienza assoluta.
- Lo giuro.- Ti proclamo quindi membro della Società delle stagioni.
Arrivederci, cittadino, ci rivedremo presto...- Eccoci qui, - disse Copreaux, - ora tu ci appartieni. An
diamo a bere per darti il benvenuto.
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