TODESCHINI, G. Commerciare nell’Occidente medievale: il Sacro quotidiano

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Obra de análise do comércio na Idade Média.

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    Giacomo Todeschini

    Commerciare nellOccidente medievale: il Sacro quotidiano

    Il commercio come metafora della Salvezza cristiana

    La fiducia di chi compra fa aumentare il valore della merce (Fides ementis, incrementum est mercis):

    questa affermazione freddamente economica non si ritrova in un trattato classico di economia politica, ma in un

    testo teologico del quarto secolo, scritto da un celebre Padre della Chiesa, Ambrogio di Milano (De Joseph

    patriarca, III). La merce di cui si parla il Corpo di Cristo, mentre la fiducia (fides) quella di chi desideri

    ottenerne la grazia: sono i pi credenti nel Cristo a considerarlo pi prezioso, sono coloro pi prossimi a Lui a

    considerarlo di maggior Valore, poich non tutti Lo valutano nello stesso modo (quia non omnibus unius

    aestimatione pretii valet Christus). Il massimo fra i Valori, la Salvezza, vale dunque tanto pi quanto pi viene

    apprezzato da chi lo comprenda. Ancora due autori-testi fondamentali per la storia intellettuale dellOccidente

    europeo, Agostino di Ippona e Salviano di Marsiglia, nel V secolo, dicono che commercium la forma e il

    modello a cui riferire le relazioni sociali perfette, cio, dal loro punto di vista, cristiane. Il commercio

    rappresentato nelle loro parole come una transazione fondata sulla fiducia che una persona ha in unaltra e sul

    credito di cui una persona gode allinterno di un gruppo: giocando sullambiguit semantica delle parole latine

    credere,fides, fiducia, spes, esymbolum(patto ma anche testimonianza di un accordo stipulato), questi

    autori allorigine di tutto un vocabolario concettuale di base parlano della relazione fra cristiani e fra cristiani e

    Dio nei termini di un accordo metaforizzabile come economico. I rischi corsi dai mercanti, laffidabilit dei

    mercanti, la speranza di guadagno dei mercanti, la credibilit dei mercanti sono proposti come modelli logici e

    linguistici di riferimento per chi, cristiano, voglia pensare e rappresentarsi la societ cristiana e il rapporto fra

    cristiani e divinit. La similitudine evangelica fra buon cristiano e mercante alla ricerca della perla perfetta (Mt.

    13, 45), viene sfruttata a fondo da Agostino (Sermo212, 1) per sottolineare che le relazioni quotidiane tra

    fedeli devono essere modellate su dialettiche commerciali basate sulla fiducia e sulla reciprocit. Salviano,

    come molti altri dopo di lui (diventer un topos) indica nella speranza di guadagno mercantile un percorso

    finalizzato analogo a quello del fedele.

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    Il commercio e i commercianti o mercanti esistono dunque allinizio dellEt medievale sia come realt

    quotidianamente utili alla sopravvivenza, testimoniate sporadicamente o sistematicamente da documenti

    contabili o da memorie cronachistiche o da legislazioni come quelle imperiali o episcopali, sia come

    raffigurazioni emblematiche dellorganizzazione di una societ che i capi della nuova religione di Stato, il

    Cristianesimo, volevano coesa ed attivamente operante in vista di una futura Salvezza. Analogamente, forme

    della vita economica come il deposito di una somma presso un banchiere vengono, in questi primi secoli,

    utilizzate come metafore adatte a rappresentare logiche della vita religiosa e spirituale cristiana: lespressione

    depositum fidei, per esempio, che nella lingua cristiana altomedievale significa la solidale reciprocit che la

    fede comune costruisce fra cristiani, allude a unorganizzazione sociale come quella della citt cristiana al

    confine fra Impero romano e alto medioevo, allinterno della quale la coesione religiosa e dunque la fede

    predispongono la possibilit stessa oltre che di un credo comune, di un commercio e di un mercato in grado di

    garantire la perpetuit anche economica delle realt ecclesiali. Commercio, deposito, credito non sono

    testimoniati dunque nellOccidente fra IV e VI secolo soltanto come semplici, contingenti manifestazioni di

    relazioni di utilit quotidiana; essi vengono, piuttosto, precocemente inscritti nel codice significativo della

    Cristianit occidentale per indicare alcune modalit basilari della vita associata dei cristiani, e prima di tutto la

    centralit che lo scambio e la transazione fiduciaria avevano assunto nel sistema di relazioni reali e simboliche

    fra uomini e fra uomini e divinit. Fin da questi primi secoli, commerciare, prestare, chiedere a prestito, ma

    anche avere credito e godere di una fiducia, divengono pertanto momenti delicatissimi e ambigui

    dellorganizzazione economica di una societ che, come quella occidentale, governata da poteri (imperiali,

    episcopali, signorili) che identificano se stessi come cristiani. Il commercio e in generale le dialettiche dello

    scambio, infatti, cominciano ad apparire proprio perch centrali allarchitettura salvifica dellOccidente (Cristo

    stesso viene definito, da Agostino, mercante celeste) quotidianamente in bilico fra la eccezionalit di un

    modello infinitamente produttivo (Cristo scambia mercator coelestis la propria Infinit per una carne

    mortale, e da questo commerciumscaturisce la Salvezza, un Valore che gli uomini possono acquistare credendo

    in esso e impegnando per esso la propria vita), e la quotidianit di transazioni potenzialmente immorali o illecite,

    pericolosamente vicine alla dolosit della contraffazione delle merci, dellinganno sui prezzi e dellarbitraria

    valutazione dei bisogni degli acquirenti. Si pu dunque intendere la crescente attenzione che la teologia morale o

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    la legislazione prima tardoimperiale romana, poi carolingia, riservano alle attivit commerciali non come una

    semplice volont o velleit di controllo politico o etico sul quotidiano economico, ma piuttosto come un modo

    culturalmente preciso di definire e codificare quelle attivit lucrative che, riconducibili alla relazione di

    compravendita e di credito, parevano centrali tanto alluniverso economico quanto a quello simbolico della

    Cristianit. S che disciplina economica sarebbe venuto significando sempre pi, dal V al X secolo, disciplina

    delle relazioni sociali, ed etica economica avrebbe sempre pi coinciso con molteplici forme di acculturazione

    cristiana dellidentit civica.

    E chiaro daltronde che lo sviluppo di realt commerciali e di luoghi di mercato, fra alto e basso

    Medioevo, non appare concepibile, anche nella sua concretezza di tutti i giorni, al di fuori di tale quadro

    ideologico, linguistico e politico. Se, in effetti, come sempre pi spesso il lavoro degli storici rivela, sono le corti

    signorili e sovrane o i monasteri a rendere possibile e ad incoraggiare la crescita di relazioni mercantili in

    Europa occidentale (in Italia centrosettentrionale, in area franco-germanica e inglese, quanto meno), ci avviene

    in conseguenza tanto di bisogni economici di tali centri del potere, quanto di esigenze di controllo territoriali,

    quanto, infine, della necessit di rendere durevoli, solide e sacre sostanze patrimoniali signorili o ecclesiastiche,

    in ogni caso vissute come modelli economici per il popolo cristiano. E proprio fra IX e XI secolo, dunque,

    subito prima della cos detta rivoluzione commerciale dellOccidente europeo, che mercanti e commercio

    rivelano ancor pi che nei periodi precedenti la propria ambiguit agli occhi tanto dei sovrani e dei sacerdoti,

    quanto dei protagonisti stessi delleconomia quotidiana. In questo tratto di tempo, infatti, la crescita di forme

    della sovranit come quella imperiale carolingia, e come quella episcopale e pontificia, ma anche di tipologie del

    potere signorile locale a tendenza dinastica, proprio perch tende a sacralizzare e cio ad eternizzare in termini

    culturalmente cristiani le forme del possesso e della propriet di cui sono titolari imperatori, vescovi, pontefici o

    signori, assegna sempre pi al commercio e allo scambio (ossia ai loro protagonisti empirici: i commercianti)

    una funzione decisiva ma, proprio per questo pericolosa dal punto di vista di coloro stessi che la promuovono. In

    effetti, il problema che si veniva ponendo ai potenti a causa del commerciumin quanto attivit economica di

    scambio gestita dai negotiatores, ossia dai commercianti concretamente attivi sui mercati locali, derivava

    essenzialmente dal ruolo sociale dei mercanti e dal contrasto che poteva verificarsi fra la loro attivit

    specificamente localizzata e lideologia o il linguaggio teologici che del commercio avevano fatto un

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    momento centrale dellidentit degli occidentali. Nellalto Medioevo, ma in particolare fra IX e XI secolo, in

    unarea culturale catalogabile come carolingia, ossia francese, tedesca e italiana, i mercanti erano identificabili

    comeperegriniossia comepauperes. Come soggetti, cio, che potevano e dovevano fruire della protezione dei

    signori nei cui territori si trovavano a transitare e ad agire: come gruppo, in altre parole, qualificato, ancor prima

    che da un attivismo economico, da uno scarso o inesistente potere sociale. Lo Scambio salvifico si veniva

    sdoppiando in forme economiche dello scambio del tutto quotidiane. Esse, da un lato, convalidavano la nozione

    cristiana e teologica di una societ fatta di reti di relazione solidali e di intrecci economici che colmassero le

    differenze fra ricchezze e bisogni, s che il commerciare promosso dai potenti poteva apparire, analogamente alla

    carit dei potenti stessi (laici o ecclesiastici che fossero), una forma di compensazione dei dislivelli economici.

    Daltra parte, per, le dialettiche commerciali erano attivate da persone e gruppi di cui le lites non potevano

    presumere con certezza lafides, ossia una avvenuta e compiuta cristianizzazione. I mercanti, in altre parole,

    proprio perch socialmente deboli, proprio perchpauperese bisognosi di protezione (contro i briganti di strada,

    ma anche di fronte ad altri poteri legittimi che intendessero taglieggiarli), rientravano dal punto di vista

    giurisdizionale e legislativo ma anche teologico, nella vasta categoria di cristiani che i capitolari carolingi, le

    polemiche teologiche, i libri penitenziali e le legislazioni conciliari di questi secoli intermedi ritenevano labili

    moralmente ossia vacillanti nella fede perch motivati nelle loro scelte dalla povert e dallimpotenza del ceto

    a cui appartenevano, perch, inoltre, scarsamente o per nulla alfabetizzati e dunque alloscuro dei significati che,

    misticamente, dovevano connettere leconomia di tutti i giorni con lEconomia della Salvezza. Un paradosso,

    dunque, che, nel momento stesso in cui il commercio e i mercati venivano stimolati e protetti dai poteri signorili,

    regi, monastici ed episcopali, determinava la crescita di sospetti nei confronti degli uomini che, ogni giorno,

    erano i protagonisti di questo commercio e di questi mercati. In particolare, la loro supposta incapacit di

    distinguere fra beni economici sacri e dunque non stimabili a un prezzo corrente di mercato, e beni economici

    comuni, sembra essere allorigine del timore e della diffidenza diffusa nei testi legislativi e teologici fra IX e XII

    secolo, dai capitolari e concili carolingi, alle riflessioni di morale sociale di Raterio di Verona, e sino ai codici di

    diritto canonico di Burcardo di Worms, Ivo di Chartres e Graziano. In queste testimonianze, abitualmente, si

    dubita dellonest dei mercanti soprattutto perch li si ritiene incompetenti a comprendere quanto invece per

    lEuropa dei poteri cristiani fondava ormai leconomia dei regni e delle chiese: linalienabilit ossia lesclusione

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    dal mercato ordinario dei beni fiscali ed ecclesiastici. In capitolari come quello di Nimega, nellottocentosei,

    guardingo nei confronti dei mercanti che comprano da ecclesiastici disonesti i beni delle chiese, come negli

    ammonimenti di Raterio ai mercanti (nel X secolo), come nelle allusioni alla frequenza del dolo commerciale nel

    diritto canonico fra XI e XII secolo, risuona palesemente lallarme nei confronti di unattivit economica che

    negli stessi testi presentata come indispensabile per la societ dei cristiani. Il punto che la dinamica del

    mercato dovrebbe, ma non , essere controllata totalmente dagli esperti del sacro, per poter essere intesa come

    compiutamente cristiana, per non costituire un potenziale attentato al patrimonio delle chiese, sempre pi

    identificato con il Corpo del Cristo di cui i poveri si alimentano.

    Il commercio come forma della socialit occidentale

    E in questa situazione che, fra XI e XII secolo, si manifesta sempre pi visibilmente quanto gli storici

    del secolo scorso hanno chiamato rivoluzione commerciale del Medioevo. Tuttavia, tale moltiplicazione degli

    scambi, delle transazioni creditizie e delle relazioni economiche fra enti pubblici come chiese, monasteri e poteri

    signorili o regi e fra questi soggetti istituzionali e operatori economici privati, ma anche laccelerazione

    delleconomia di scambio e di credito fra individui di variabile condizione sociale, non possono essere

    interpretate come unimprovvisa impennata imprenditoriale o finanziaria dipendente da non ben precisabili

    esplosioni demografiche o, ancor meno, dallimprobabile e repentina liberalizzazione di uneconomia di profitto

    attribuibile a borghesie mercantili fulmineamente apparse sulla scena europea. Pi verosimilmente, proprio il

    nesso fra Sacro ed economico che faceva dellarcipelago europeo di chiese, monasteri e potenti laici tanto il

    motore politico e carismatico degli scambi economici, quanto il produttore di censure etiche e confessionali del

    mercato inteso come potenziale elemento di dissacrazione del mondo, proprio questa identit sempre prossima

    al cortocircuito fra protettori politici e giudici etici del commercio, faceva sempre pi di questultimo, e dei

    mercanti che fisicamente lo rappresentavano, una forma essenziale della socialit occidentale ma nello stesso

    tempo la concretizzazione pi chiara dellossessivo timore occidentale di barattare la Salvezza con un effimero

    benessere quotidiano, di confondere la Ricchezza eterna con il miraggio di pi immediate e tangibili ricchezze.

    Per questi motivi, nei testi che ci parlano di mercati e mercanti, fra IX e XII secolo, vediamo alternarsi il timore

    di unindifferenza di questi agenti dei poteri territoriali e carismatici per il significato sacro dei beni ecclesiali

    e signorili, e una volont di protezione nei loro confronti, in grado persino di trasformarsi come avviene per

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    esempio durante il pontificato di Gregorio VII negli anni 70 dellundicesimo secolo in una competizione fra

    poteri regi e pontifici a proposito del diritto di questi poteri di tassare i mercanti e dunque di annetterli alla

    propria giurisdizione pubblica. In particolare, poi, fra XI e XII secolo, la violenta polemica che oppone la Chiesa

    romana ai signori e sovrani laici che non riconoscano la natura consacrata dei possessi ecclesiastici, si ripercuote

    direttamente sullorganizzazione dei mercati e sulla configurazione sociale dei mercanti. E infatti da questo

    momento che, in analogia con i termini della polemica, le transazioni commerciali vengono distinte, nei

    linguaggi del potere e della amministrazione cristiana, in due grandi categorie: quella delle transazioni

    economiche che rispettano o favoriscono la crescita del patrimonio delle chiese, sempre pi identificato dal

    punto di vista etico e teologico con quello dei poveri, ma anche con quello dei cristiani intesi come societ

    complessiva, e quella delle transazioni che invece lacerano o disperdono o dissacrano privatizzandolo questo

    patrimonio. E in questa fase, e abbastanza precisamente nel secolo che sta fra il 1050/60 e il 1140/50 che

    vediamo prendere rapidamente forma nei testi teologici, giuridici e legislativi italiani, francesi inglesi e tedeschi,

    la doppia ma intercomunicante nozione di simonia come sacrilego attentato alla sovranit economica delle

    chiese e di usura come peccato economico tipicamente ebraico. Il mondo del mercato, dei mercanti e delle

    dialettiche fra debitori e creditori ad esso proprie appare sempre pi rappresentabile come scisso fra unidentit

    che ne fa una continuazione del Sacro e che lo fonda sulla fede (religiosa come contrattuale), e unidentit che

    ne fa una manifestazione dellaperfidia degli infedeli, ossia di coloro che come i simoniaci e gli ebrei

    appaiono indifferenti al primato economico ed etico-economico della Chiesa e dei poteri consacrati. E per

    questo che, soprattutto da questo momento in avanti, diventa centrale nella valutazione morale del commercio,

    ma anche nella sua tecnica articolazione contrattuale, poter stabilire lappartenenza dei suoi protagonisti al

    campo dei fedeli o a quello degli infedeli: e le medesime transazioni creditizie o commerciali che, se

    attivate da gruppi o da persone di fede incerta o nulla, appaiono illegittimi e colpevoli attentati al benessere dei

    cristiani (come avviene nel caso delle polemiche nei confronti dei creditori dei monasteri o delle chiese, tipiche

    della seconda met del XII secolo, dal pontificato di Alessandro III a quello di Innocenzo III), risultano invece

    allorigine di una benefica circolazione della ricchezza se siano promosse da istituzioni o da persone

    riconoscibili come interne alluniverso dei fedeli. Una percezione del mercato che si depositer, nel XIII secolo,

    in testi di diritto canonico come quello di Sinibaldo de Fieschi o del cardinale Ostiense, che, se da un lato

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    condannano recisamente lusuraintesa come incontrollabile accumulazione privata di ricchezza, dallaltro

    legittimano le attivit creditizie delle chiese riconoscibili come funzionali alla prosperit economica delle stesse

    e della societ cristiana nel complesso. In questo ambito, infine, si afferma, ancora fra XII e XIII secolo, la

    nozione della legalit abituale della compravendita delle rendite possedute da una chiesa o da una comunit

    cristiana sia essa regno o citt: questo diffondersi della cessione di un pagamento periodico in denaro o in natura

    da parte di istituzioni sacre a privati che abbiano pagato allistituzione una somma iniziale, come pure la

    legittimazione etico-religiosa di questo tipo di relazione creditizia giudicata da teologi e giuristi di pubblica

    utilit, equivalgono allintroduzione definitiva nel mercato europeo di una differenza netta e di origine

    culturale/religiosa fra prassi economiche. Sempre di pi lappartenenza del mercante o del banchiere

    alluniverso dei fedeli garantito da istituzioni sacre, sempre pi laccertabilit della sua intenzione di

    appartenervi, giocano un ruolo fondamentale nella storia delleconomia di profitto ossia nella storia della sua

    legalizzazione politica e morale.

    La prosperit dei mercanti e la moltiplicazione degli scambi, ossia quanto oggi si pu definire la

    crescita di una civilt del mercato occidentale europeo, vengono dunque crescendo in questo clima, fatto, come

    si vede, di elementi politici, ideologici, teologici ed economici fra loro non separabili. Per quanto,

    indubbiamente, questa vicenda dipenda, in una certa misura, da cicli o da fasi di crescita o di stagnazione, di

    abbondanza o di carestia di valuta in circolazione, in parte risalenti a fattori oggettivi (ritrovamento di miniere di

    metalli preziosi, oscillazioni climatiche, aumento della mortalit in conseguenza di epidemie), e per quanto,

    certamente, soprattutto fra XII e XIV secolo, una fase espansiva a cui rapidamente seguir una contrazione,

    coincida con un rapido affinamento delle tecniche di scambio e di transazione finanziaria, appare erroneo

    intendere la "storia del commercio nellOccidente cristiano come la storia "semplice" di una pratica economica

    orientata da un astratto e metatemporale principio di utilit, indipendente, cio, dal contesto culturale e

    linguistico che la contenne. Cos come appare fuorviante assegnare ai mercanti, che furono, in parte, i

    protagonisti di questa storia, il ruolo di edificatori di una generica e altrettanto astratta razionalit laica degli

    occidentali.

    Il mercante come trasgressore e costruttore dellOrdine

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    Il protagonismo mercantile e il ruolo del commercio, stato spesso notato, acquistano fra XIII e XV

    secolo, in tutta Europa, ma primariamente in Italia, un nuovo significato civico. Non sono soltanto gli scambi ad

    apparire sempre di pi alla ragione ufficiale cristiana come la struttura portante di una socialit in se stessa

    virtuosa e salvifica: la figura sociale del mercante stesso a presentarsi sulla scena e ad essere rappresentata da

    giuristi, teologi e legislatori, sempre meno come "agente" di Poteri superiori e in maniera crescente come figura

    concreta di primario organizzatore del pubblico benessere, ossia di esperto delle logiche dello scambio utile a far

    sopravvivere e ad arricchire le citt e i regni. Appare chiaro che tutto lo sviluppo politico e concettuale di cui si

    detto e che si era venuto stratificando negli scritti e nelle coscienze per secoli, costituisce il fondamento di una

    valorizzazione di questo tipo, certamente, tuttavia, accelerata dalla rivoluzione commerciale e da uno dei

    fenomeni pi rilevanti che le si riconnettono: laumento della quantit e del pregio delle monete in circolazione,

    culminante nel Duecento con la coniazione a Firenze, a Genova e a Venezia di monete doro in grado di

    rappresentare adeguatamente un gioco di scambi di grande significato e valore tanto economico quanto

    simbolico. Come noto, la moneta, e la moneta aurea in specie, avevano, gi prima di questa trasformazione,

    sollecitato nel mondo cristiano riflessioni perfettamente teologiche. Pur senza insistere sulle premesse poste da

    Agostino alle successive metafore monetarie della Salvezza individuale, basate sullidea che lelezione ossia la

    perfezione morale del cristiano potevano essere paragonate allautenticit del conio di una moneta (homo

    moneta Dei), bisogner almeno ricordare che nella prima met del XII secolo un protagonista della riforma

    gregoriana e del primato politico sacerdotale, Goffredo di Vendme, aveva nei suoi trattati eucaristici insistito

    sulla natura metaforicamente monetaria dellostia consacrata, sottolineando con cura le analogie che potevano

    intercorrere fra il suo confezionamento e la battitura legale della moneta, come pure fra il suo potere di

    rappresentare un Valore supremo e la capacit delle monete di raffigurare valori terreni ma anche di quantificare

    se pure illegittimamente altri Valori. Fra Due e Quattrocento banchieri e commercianti, pur intesi come

    segnati da questa ambiguit, sono, proprio in virt di essa, pubblicamente accreditati, se consci del proprio ruolo

    sociale, quali garanti dellequilibrio degli scambi e dei prezzi. La legislazione mercantile pavese del 1295, li

    descrive, per esempio, nel ruolo di pubblici ufficiali addetti, in cambio del proprio profitto, al controllo di pesi,

    misure, prezzi, ma anche al mantenimento e allorganizzazione di strade e vie dacqua, mentre nei trattati di

    morale economica francescana da quello del provenzale Olivi intorno al 1290 a quello del toscano Bernardino

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    da Siena, nella prima met del Quattrocento, essi sono ormai riscontrati come professionisti degli scambi, delle

    monete e dunque del rapporto valore-prezzo, ormai concepito come rapporto che fa dello spazio economico uno

    spazio civico.

    In questo clima, la mercaturaintesa tanto come realt rappresentata da individui quanto come sistema

    di societ interfamiliari si viene opponendo sempre pi chiaramente a tutte quelle transazioni che, accomunate

    dal termine generico usura, sono attribuite ai nemici dellasocietas christiana. Con sempre maggior chiarezza, il

    diritto canonico e civile, fra XIII e XIV secolo, fanno del mercante e delle sue logiche contrattuali, abitualmente

    raffigurate come imprese tanto pi socialmente virtuose ed utili quanto pi a rischio, una manifestazione

    dell'ordine economico-politico in se stessa potenzialmente corrispondente a quella religiosa e carismatica

    costituita dalla chiesa concepita a sua volta come istituzione riassumente in s tutto il carisma degli apparati

    dominativi della Cristianit, siano essi cittadini, regi o imperiali. E, mentre sin dal XII secolo, episodi delle

    Scritture centrali per la razionalit economica degli occidentali, come la cacciata dei mercanti dal Tempio da

    parte del Cristo (Mt. 21, 12), sono sempre pi interpretati come espulsione dalla societ e dall'economia di

    elementi "infedeli" e pertanto ritenuti inutili (eretici, simoniaci, ebrei), cresce vistosamente sia a livello di diritto

    commerciale, che di pratica economica, che di autorappresentazione mercantile, la nozione di una centralit

    civica e religiosa dei mercanti cristiani. Se si considerano in parallelo testi teologico-morali e scritture mercantili

    del XIV-XV secolo riguardanti il ruolo e il significato sociale dei mercanti e del commercio, appare evidente

    una consonanza tematica come logica e semantica. I teologi, prima di tutto quelli francescani e domenicani,

    come pure i mercanti, in ambiti testuali molto differenti come potevano esserlo i trattati o i manuali d'ambito

    penitenziale da un lato e le "pratiche" di mercatura o le memorie personali e familiari dall'altro, rivelano di

    appartenere a un medesimo universo linguistico e concettuale, caratterizzato dalla crescente identificazione tra

    ruolo sociale, diritto alla ricchezza e appartenenza all'ecclesiadei "fedeli". E in questa prospettiva che un

    anonimo mercante fiorentino trecentesco pu ritenere ununica cosa essere "abienti" ed essere "di netta fama"

    cio ben reputati per la propria identit morale e sociale, ovvero al contrario essere "homeni disfatti o di mala

    vita". D'altronde un'intera Scuola di pensiero economico, rigorista nell'intendere la morale evangelica come

    morale applicabile all'ordine politico, stabilir sin dalla fine del Duecento e in misura crescente nel Tre e nel

    Quattrocento, che mercanti e commercianti in quanto cardini dell'organizzazione sociale debbano essere onorati

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    e ricchi, piamente devoti e capaci di definire attentamente il valore delle cose, in grado insomma di arricchire

    nello stesso momento se stessi e la comunit sociale alla quale appartengono. Se, dunque, un teologo come

    l'inglese Giovanni Duns Scoto, alle soglie del Trecento, stabilir che i mercanti devono essere considerati da chi

    governa come i pilastri del pubblico benessere, come "funzionari" pubblici da importare ove uno Stato ne sia

    privo (al modo poi vistosamente concretizzato dalla gestione finanziaria della Roma pontificia fra Tre e

    Quattrocento), si pu agevolmente constatare che le scritture mercantili tre e quattrocentesche a cui si accennava

    addensano nel concetto di "fama" ossia di salda reputazione pubblica di cui il "buon mercante" ovvero il

    mercante cristiano dev'essere provvisto per essere credibile negli affari, tutto un insieme di nozioni allo stesso

    tempo religiose, economiche e civiche. "Buona fama si vuole sempre bramare - osserva l'anonimo mercante

    fiorentino - quanto si faccia la vita del corpo, per ch'ell' troppo preziosa e lodevole chosa; ella spesse volte

    aiuta e difende a luogho e tenppo che l'uomo nulla ne stimerebbe. Niuno ochulto ho no' manifesto amicho

    l'omo, s grande n s charissimo quanto la chiara fama: la quale chi l', no' pu essere se no' buono, giusto e

    diritto, e a chi di tale condizione tutte le chose che sono disotto il cielo e disopra la terra stano e sono per lui."

    Parole in cui risuona, in versione "laica", tutta un'antica tradizione di morale sociale patristica, rinnovata nel

    basso medioevo dal diritto penitenziale degli Scolastici: quella che stabiliva, reinterpretando la vulgata di uno

    deiProverbi(17, 6b, secondo la versione dei Settanta), che "tutte le ricchezze del mondo appartengono all'uomo

    fedele", perch capace di usarle al meglio, mentre "all'infedele" non spetta "nemmeno un soldo" (Fideli homini

    totus mundus divitiarum est, infideli autem nec obolus).

    Questo percorso, simultaneamente pratico e concettuale, condurr nel Quattrocento e pi avanti, tanto

    alla definizione di una "repubblica internazionale del denaro" culturalmente cristiana e politicamente incardinata

    nella geografia dei regni e dei Poteri consacrati, a cominciare da quello pontificio, quanto alla genesi di una

    morale commerciale basata sia sulla nozione di pubblica utilit dei profitti di coloro che siano riconosciuti come

    appartenenti alla comunit dei "fedeli", sia sulla nozione di un doveroso distacco affettivo dalla ricchezza, di un

    "disinteresse", di coloro che hanno, profondamente, diritto ad essa. S che, mentre l'autore di un celebre scritto

    mercantile quattrocentesco, il mercante raguseo Benedetto Cotrugli, stabilir per il mercante veramente

    professionale lobbligo di commerciare "sanza passione", ossia senza sviluppare un attaccamento avarusper la

    ricchezza, il caposcuola dell'Osservanza francescana nel Quattrocento, Bernardino da Siena, affermer, nel suo

  • 5/20/2018 TODESCHINI, G. Commerciare nell Occidente medievale: il Sacro quotidiano - sli...

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    trattato sui contratti, che la prova dell'identit "fedele" e dunque della buona reputazione del commerciante

    cristiano, sta nella sua capacit di fare buoni affari come pure nella sua attitudine a leggere la propria ricchezza

    nella prospettiva del significato sociale che essa pu assumere all'interno della citt e dello "Stato".

    "Commercio" e mercanti si consolideranno, allora, alle soglie del mondo moderno, in quell'ambigua prossimit

    al carisma del Potere e del Valore che, per secoli, a partire da elementi presenti nel patrimonio culturalmente

    genetico degli occidentali, ne aveva fatto progressivamente una struttura politica fondamentale, se pure a tratti

    poco visibile, dell'Europa cristiana.

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