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IO, ROCCO l'autobiografia di Rocco Siffredi È più forte di me…”

Rocco Siffredi - Io Rocco

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Page 1: Rocco Siffredi - Io Rocco

IO, ROCCO

l'autobiografia di Rocco Siffredi

“È più forte di me…”

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Ingrandimenti

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Rocco Siffredi

IO, ROCCO

MONDADORI

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Indice

Le fotografie contenute nell'inserto, ove non diversamente specificato, appartengono alla collezione privata di Rocco Siffredi.

ISBN 88-04-55995-0

Copyright © Adcan, 2006 Rocco par Rocco This hook is published by arrangement with the French Publishing House

Michel Lafon Publishing S.A. © 2006 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano

Titolo dell'opera originale: Rocco par Rocco I edizione settembre 2006

11 Premessa 13 Da Ortona... 23 ...a Parigi 31 Da Denise a Supersex

41 La scuola americana e la scuola francese

45 Attore porno, un mestiere a rischio

51 Una parentesi nella mia vita di attore

59 Alla conquista degli States

65 H caro prezzo della gloria

71 I miei rapporti con i fan

77 Rocco's style 83 L'ipocrisia dei media 87 I misteri della legislazione 91 Fantasticherie e realtà

95 II porno e le sue metamorfosi

101 Rocco e le sue sorelle

109 Ieri, oggi e domani

117 Vent’anni di carriera, vent'anni di passione

133 Dall'altra parte della camera

141 Gabriele, il mio alter ego 145 Rocco e i fantasmi

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147 CINEMA e cinema 159 Che fortuna avere dei genitori fantastici

169 Gennaro, il mio fan più sfegatato

175 La mia tribù: la mia ragione di vita

191 Domani è ora

Io, Rocco

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Ho iniziato a fare film porno più di vent'annifa, e quando mi hanno offerto l'opportunità di parlare di me attraverso un libro l'ho accolta con entusiasmo, perché sicuramente è la migliore occasione che po-tessi immaginare.

Dedico, dunque, questo libro a tutti i miei fan con i quali, pur-troppo, anche quando li incontro durante i miei viaggi, non ho mai il tempo di parlare con calma. A tutti voi che avete sempre seguito e apprezzato il mio lavoro.

Intendo darvi qui un'immagine franca e sincera dell'ambiente della pornografia e, al tempo stesso, offrimene una descrizione meno caricaturale di quella che abita le fantasie dell'immaginario comune.

Voglio trasmettervi la mia passione e la mia energia, ma soprat-tutto era da tempo che cercavo il momento per ringraziarvi di esser-mi stati accanto per vent'anni: tutti ifilm che ho fatto, che mi hanno dato piaceri ed emozioni che non dimenticherò mai, sono tanto miei quanto vostri.

Spero di cuore di esserci riuscito.

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Premessa

Da sempre la pornografia è oggetto delle più diverse riflessio-ni da parte dell'umanità. Che cosa è pornografico, e che cosa non lo è? Che cosa è perverso, e cosa no?

Sono domande che portano le persone a confrontarsi e a scon-trarsi tra loro.

Questo mi ha sempre incuriosito. Il modo in cui le persone si accalorano su questi argomenti

e come difendono affermazioni parziali con un convincimento assoluto mi ha fatto sempre sospettare che in fondo a ognuno di noi queste domande restino sospese come in un ammasso nebuloso di contraddizioni e grandi conflitti intimi.

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Da Ortona...

Sono nato nel 1964, il 4 maggio, a Ortona, una cittadina sulla costa adriatica, in Abruzzo. Mio padre faceva il cantoniere e mia madre, come la maggior parte delle donne in quel perio-do, faceva la moglie e la madre di cinque maschietti e una femmina.

Com'è stata la mia infanzia? Normale. Oggi, che sono un uomo adulto, che so cosa vuol dire essere

padre, mi rendo conto di quante e quali rinunce abbiano do-vuto fare i miei per darci una vita dignitosa. E non è solo que-sto. Ciò che ancora mi emoziona è il ricordo della loro delica-tezza e generosità di modi nei confronti di noi bambini, quando cercavano di non farci capire che i soldi erano già fini-ti e che loro, per esempio, mangiavano cose diverse da quelle che stavano nei nostri piatti.

***

Io sono il penultimo dei figli e con Antonio, il più piccolo, ho vissuto la mia infanzia insieme ai miei due amici Claudio e Luciano.

Vìvevamo nel complesso delle case popolari dove i bambini giocano tutti per la strada. C'erano due bande, una la comanda-vo io e l'altra Ernesto. Io ed Ernesto, naturalmente, eravamo ri-vali. E questa cosa, ancora oggi, mi fa sorridere, quando mi ca-pita di incontrarlo in paese. I giochi erano sempre gli stessi, le

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bande si battono o per il territorio o per il semplice gusto di bat-tersi. Ma il nostro gioco preferito era costruire le capanne sugli alberi e bruciare quelle della banda avversaria. Eravamo una ventina, le nostre armi erano archi fatti con le stecche degli om-brelli. Ci allenavamo a tirare su uno dei ragazzi scelto a sorte, e questo, per non prendersi una freccia in un occhio, si metteva di spalle; ciononostante, più d'una volta ho dovuto riportare qualche bambino dalla madre con una freccia in un orecchio... che incoscienza, ho i brividi quando ci ripenso! La nostra era una banda rispettabile, avevamo perfino il nostro quartier ge-nerale. A casa di Donato. Uno di noi la cui madre non aveva più marito e perciò doveva andare a lavorare. Quando lei usciva di casa, noi prendevamo possesso del territorio. Distribuivo le mie guardie sulle mura del fortino e con i miei ufficiali aprivo il consiglio di guerra. Una volta la mamma di un bambino è ve-nuta a dirmi di lasciare che anche suo figlio qualche volta faces-se il capo. Io, intimorito, subito le ho detto di sì, ma appena se n'è andata ho dato al figlio due giorni di rigore. Una delle po-che cose che un bambino sa da subito è cos'è un capo!

Il personaggio della mia famiglia che più di tutti mi incuriosi-va era un uomo che in realtà io non ho mai conosciuto. Era il mio nonno materno. Mia nonna, sua moglie, come fanno le vedove che restano sposate anche nel lutto, non faceva che parlarmene, e più mi raccontava e più quest'uomo, nella sua astrattezza, diventava per me una figura fantastica.

Mia nonna ha sfornato un figlio all'anno, non ne ha saltato uno, regolare come un orologio svizzero. E così, siccome il nonno di mogli ne ha avute due, tra quelli della prima e quelli della seconda, ha avuto ventiquattro figli!

L'Italia era ancora un Paese rurale e la famiglia di mia ma-dre viveva dell'allevamento di tori da monta. Non cederete mica alla tentazione di risatine allusive...! C'è stato un mo-mento, a quell'epoca, in cui questo lavoro ha avuto una grande crisi. Ve lo ricordate quel film di Totò, per me il più grande attore della commedia brillante italiana, in cui si parla della "grande moria delle vacche"? Ecco, il periodo era quello. C'e-

ra stata una grande carestia di vacche da monta e i tori erano molto nervosi. Non si accoppiavano da diversi giorni e co-minciavano, come si dice dalle mie parti, a fare cattivo sangue. Mio nonno è morto perché, mentre cercava di rinforzare gli attacchi di uno di questi tori irrequieti, la catena si è spezzata e il toro l'ha incornato.

***

I miei genitori erano credenti e praticanti. Sono andato a mes-sa tutte le domeniche mattina fino a quindici anni. E non sol-tanto andavo in chiesa, ma dovevo anche fare il chierichetto. Mia madre avrebbe voluto che io diventassi prete della comu-nità della parrocchia di San Giuseppe. Ci teneva tantissimo. Ero il più alto dei suoi figli, avevo un bell'aspetto e per lei sa-rebbe stata una soddisfazione enorme vedermi vestito con una tunica nera lunga fino ai piedi. Ma il mio destino non ha previsto per me che prendessi i voti!

Oggi il mio rapporto con la religione è ben più consapevole di allora. Ma la mia è una scelta personale, interiore, che mi conduce a una spiritualità intima e mi porta a non riconoscer-mi nei dettami dei rappresentanti della Chiesa.

Ho avuto una sessualità precoce, e senz'altro questo lavoro ha fatto sì che la potessi liberare nel corso degli anni in modo sempre più forte.

La domanda che mi sono sentito porre più volte, in tutto questo tempo, è stata sicuramente perché ho scelto di fare l'attore porno. Naturalmente il motivo sembra essere troppo evidente per essere credibile: il piacere di fare sesso con tantissime don-ne belle e diverse, di tutto il mondo. Una risposta che può sem-brare banale, ma è la pura e semplice verità.

Mi sono masturbato per la prima volta a dieci anni. La pri-ma eiaculazione è stata come scoprire il paradiso! Potevo go-dere semplicemente accarezzandomi, da solo, potevo farlo ogni volta che volevo, dipendeva solo da me, in totale autono-mia. Una sensazione di piacere e di libertà insieme! Da quel

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momento, ho cominciato a chiudermi in bagno sempre più di frequente. Purtroppo, però, la finestra della terrazza dava pro-prio sul bagno e, un giorno, mentre me ne stavo lì tutto inten-to, ho alzato la testa, ho aperto gli occhi e chi c'era dall'altra parte di fronte a me? Mia madre! Stava facendo il bucato, si era accorta di me e mi stava guardando!

Sono rimasto impietrito dalla vergogna. Non avevo il corag-gio di uscire e affrontare il suo sguardo. Sono rimasto in bagno per altre due ore. Sentivo la voce di mia madre che, come se nulla fosse, mi chiamava per la cena: «Hai finito? La pasta si raffredda». Alla fine mi sono detto che non potevo restare lì per tutto il giorno. Accada quel che deve accadere! Ho preso un gran respiro e sono uscito. Non sapevo esattamente che ti-po di reazione mi sarei dovuto aspettare, evidentemente nem-meno lei. Mia madre non ha detto niente. Sono riapparso in cucina e lei ha fatto finta di niente, mi ha guardato e nei suoi occhi ho visto una malizia delicata: si era accorta che suo figlio era diventato grande.

La domenica pomeriggio tutti i miei amici restavano incol-lati alle radioline ad ascoltare le partite di calcio. Io impazzi-vo, mi sembrava di essere l'unico a sentire questa spinta in mezzo alle gambe. Mi sentivo strano, diverso.

Naturalmente, crescendo le cose sono peggiorate. D'estate, dopo la scuola, lavoravo come ragazzo di spiaggia:

aprivo gli ombrelloni, portavo le sdraio, pulivo la spiaggia. Bastava che una ragazza mi stringesse la mano o mi lancias-

se uno sguardo ammiccante, che accavallasse le gambe, e mi ri-trovavo con un'erezione immediata e incontrollabile. Ve li ri-cordate quei costumi degli anni Ottanta a pantaloncino così stretti... Dovevo tuffarmi subito in acqua. E restarci per delle ore, a volte, finché la ragazza non se ne andava!

Se capitava che una ragazza, mentre prendeva il sole, muo-vendosi, lasciasse intravedere qualche pelo pubico dal costu-me, correvo a masturbarmi dentro una cabina o dietro la rimes-sa delle sdraio.

Facevo anche tre ore di autobus per andare a trovare una

ragazza, sperando almeno che mi desse il bacio che mi aveva fatto desiderare.

A scuola ho immaginato le insegnanti in qualsiasi situazio-ne erotica, ho avuto su di loro fantasie improbabili. Non ne ho risparmiata nessuna, a prescindere dalla loro età e dalla loro bellezza. Le fantasie erotiche che avevo a quel tempo mi sor-prendono ancora oggi, dopo che ho fatto oltre mille film!

La mia libido si stava sviluppando in modo imbarazzante. Co-minciavo a rendermi conto che tutto il mio vigore sessuale po-teva essere davvero troppo ingombrante in un paese piccolo come Ortona. All'epoca non si parlava di sesso, o meglio non si parlava della propria sessualità, non ci si confidava su argo-menti del genere. Non avevo un termine di paragone, e davo per scontato che la mia sessualità fosse come quella di tutti gli altri.

In ogni caso, mi sono masturbato così tanto, nella beatitudine di questi anni, da procurarmi una cistite cronica all'uretra. Quando marinavamo la scuola, facevamo varie stronzate per passare il tempo. Una volta ho lanciato l'idea del torneo di se-ghe. Vinceva chi veniva più volte. Il mio record all'epoca rima-se imbattuto: undici eiaculazioni in sei ore.

La cistite mi provocava un forte bruciore dentro il pene che io scambiavo per voglia di sesso e così continuavo a masturbar-mi. Per qualche ora mi sentivo appagato e poi, giù di nuovo, ri-cominciavano forti bruciori. Era diventato un circolo senza fine, più mi bruciava e più mi masturbavo.

Mia madre era preoccupata per i miei bruciori all'uretra. Mi fece ricoverare e, dopo circa due settimane di controlli minu-ziosi, un giorno il medico venne nella mia stanza e mi disse discretamente all'orecchio: «Ragazzo, bisogna che smetti di masturbarti se vuoi guarire».

Tuttora non so se corrisponda a verità quella storia che se ti masturbi troppo perdi la vista, ma a quel tempo io ho perso sette o otto diottrie per occhio!

***

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Ho scoperto la pornografia a tredici anni. Andavo al mare a piedi e lungo la strada statale trovavo le riviste pornografiche gettate via dai camionisti e le raccoglievo. Le pagine erano ap-piccicate dallo sperma, io le staccavo piano piano, con atten-zione, per non rovinare le fotografie, e le conservavo gelosa-mente nascoste in cantina. La scoperta di queste riviste ha avuto un'importanza assoluta. Le donne che vi trovavo erano le mie fidanzate, mi davano orgasmi inimmaginabili. Era co-me se ognuna di loro mi regalasse un pezzo del proprio corpo e io me ne prendessi cura.

Tra questi giornalini quello che mi aveva completamente sedotto era "Supersex". Sarà stato per il modo di fotografare in bianco e nero, o non so cosa, ma dentro quelle immagini c'era un realismo avvincente, come se i personaggi mi si mate-rializzassero davanti.

Il protagonista era una specie di supereroe che veniva da un al-tro pianeta e viveva avventure sul genere dell'heroic fantasy. Grazie al suo fluido erotico, tutte le donne si sentivano irresi-stibilmente attratte da lui. La sua frase celebre, ogni volta che aveva un orgasmo, era "ifix tcen tcen" che rimane tuttora la pa-rola d'ordine fra gli affezionati. Quando ho scoperto Supersex, ne sono rimasto subito ammaliato.

Ogni ragazzo ha i suoi eroi, una rockstar, un campione spor-tivo, un attore del cinema. Io avevo Gabriel Pontello! L'attore che interpretava Supersex. Ogni volta che trovavo per la strada una rivista con lui, me la guardavo avidamente. Pensavo: "Che fortuna! Scopa tutte le donne più belle del mondo e magari lo pagano pure!".

Gabriel Pontello era così carismatico! Aveva una personalità poderosa, energica. Sembrava uscire dal giornale e materializ-zarsi nella realtà.

Questo attore aveva un impatto fortissimo sull'immaginario erotico dei lettori. Voglio raccontare un episodio, accaduto in un paesino di montagna vicino L'Aquila, tanto per darvi un'idea di fino a che punto il suo personaggio fosse capace di coinvolgere i lettori.

Entriamo in un ristorante in compagnia di Gabriel Pontello. Il cameriere lo riconosce. Sta quasi per svenire. Comincia a tremare, sudare e balbettare e, quando finalmente si rilassa un attimo, durante il pranzo, gli si avvicina e gli chiede: «Mi scu-si, posso farle una domanda? Siccome ho mancato l'uscita dei numeri 233-234 che ero influenzato... mi ricordo che nel 232 lei era sceso sul pianeta Terra e aveva recuperato le due fiche che l'avevano aiutato a fuggire... ma poi cos'è successo? Perché nel 235 subentra quel personaggio che non ho mai visto prima e che vuole farla fuori... Cos'è successo?».

Immaginatevi la faccia di Pontello! Che ne sapeva lui delle storie che l'impaginatore costruiva intorno alle sue scene di sesso? E immaginatevi pure la faccia del cameriere che in quell'istante aveva intuito che nessuno di quegli attori, com-preso Gabriel Pontello, conosceva le storie che interpretava.

In ogni modo, è stata la scoperta di Gabriel Pontello e dell'u-niverso della pornografia a cambiare la mia vita.

***

Accade qualcosa un giorno a casa mia. All'interno della mia fa-miglia. Un'emozione violenta come un terremoto che scon-quassa tutti i nostri equilibri.

Mio fratello maggiore, Claudio, muore a soli dodici anni. Io ne avevo sei. È stato il dramma di tutta la mia infanzia.

I miei genitori hanno fatto di tutto per salvarlo, avrebbero da-to la loro stessa vita. Per sei o sette anni l'hanno portato da ogni specialista che sembrava prospettare una via di salvezza. Ma lui si era ammalato di una malattia incurabile. Un pomeriggio è an-dato a dormire come faceva di solito e non si è più risvegliato.

Prima dei sei anni non ho alcun ricordo, tranne questo. Quel giorno nella mia camera c'erano dei palloncini che avevo por-tato a casa da una festa: li ho scoppiati tutti dalla rabbia. È sta-ta la mia prima vera tristezza.

Mia madre è sprofondata nel dolore, il dolore di chi subisce la peggiore maledizione, quella di sopravvivere al proprio fi-glio. Io sono stato mandato per qualche mese a Milano da una

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zia. Cinque o sei mesi dopo le cose cominciavano a migliorare, perciò mi hanno fatto tornare a Ortona. Ma quando ho visto mia madre che apparecchiava la tavola e serviva tutti, anche Claudio, come se stesse ancora con noi, per me è stato uno shock brutale.

Mio padre ha dovuto tentare, faticosamente, di riportarla alla realtà, ma mia madre si è ostinata, giorno dopo giorno, a riempire questo piatto davanti al posto che sarebbe rimasto vuoto per sempre...

Quando Claudio è morto si è vestita di nero e ha continuato a vestire il lutto ogni giorno. E ogni giorno è andata con mio padre al cimitero. Un anno a Ortona ci fu una nevicata parti-colarmente abbondante, ma loro riuscirono comunque a fare la loro visita quotidiana al cimitero, in Vespetta, perché mia madre obbligò il marito a spalare la strada. Mio padre rientrò a casa bestemmiando. La Vespetta era il solo mezzo di cui di-sponeva. Più di una volta sono caduti per la pioggia o sul ghiaccio, e spesso mia madre si è fatta male.

Questo è stato un periodo di grande sofferenza che mi ha la-sciato troppi ricordi tristi. Oggi mi capita spesso di sentirmi di-re che nei miei occhi c'è sempre un leggero velo di malinconia.

Da quel momento in poi, la percezione che appena comin-ciavo ad avere di me stesso nella realtà è cambiata. Mi sentivo grande, responsabile, volevo partecipare ai sacrifici dei miei genitori, togliere loro qualche responsabilità. Ed ero orgoglio-so di poter contribuire in qualche modo, anche solo in rrrinima parte.

È stato per questo che sin dall'età di nove, dieci anni, du-rante le vacanze scolastiche, andavo a lavorare in spiaggia.

***

Ho smesso di studiare a sedici anni, dopo aver preso l'attestato di tecnico elettronico. L'elettronica non era nemmeno mai stata una mia passione! Be', la mentalità dell'epoca prevedeva una formazione professionale e io avevo uno zio che lavorava alla SIP. Questo zio mi aveva promesso che mi avrebbe fatto

entrare in azienda con lui se mi fossi impegnato a terminare i tre anni di studio, e con il massimo dei voti.

Tuttavia, benché ci fossi riuscito, mio zio non mi ha mai tro-vato lavoro. In un certo senso, lo devo ringraziare, altrimenti ora starei ancora a piazzare telefoni e, molto probabilmente, a cercare di sedurre qualcuna delle clienti!

Ho lavorato anche in cantiere, come manovale, e lì ho sco-perto che costruire case è molto faticoso. E dunque ho pensa-to, come la metà dei miei coetanei, di farmi un libretto di navi-gazione. Sono andato dal medico che rilasciava il certificato di idoneità. Dopo la visita, il medico mi ha detto che aveva biso-gno dell'esame dello sperma.

«Ma come dello sperma?» faccio io. E lui: «Certo. Devi andare per mare, no?». E mi ha allungato

un giornalino porno. «Masturbati!» Mentre io mi facevo questa sega lui mi si è piazzato davanti,

mi guardava e ansimava forte, senza mai distogliere lo sguardo dal mio pene. Era disgustoso. Parlando con gli altri ragazzi, poi, ho scoperto che tutti erano passati per la perversione di quel medico.

Parto, dunque, come mozzo per tre mesi su una piccola pe-troliera. È stata un'esperienza terribile, perché prima di allora non lo sapevo mica che soffrivo di mal di mare! Per tutti e tre i mesi ho vomitato pure l'anima! Il lavoro non era male, dovevo pulire i bagni, la mensa, la cucina e servire ai tavoli. Ma, dopo qualche settimana, le mie condizioni erano peggiorate: ero debilitato fisicamente a causa del troppo dar di stomaco. Il primo ufficiale ha avuto pietà di me e mi ha trasferito nella sa-la macchine, con la speranza che il mio stato migliorasse.

Durante la navigazione facevo turni di lavoro di due ore e quattro di riposo. Il lavoro si limitava al controllo dei macchina-ri. Purtroppo, in sala macchine, con l'odore di benzina, era an-cora peggio e, appena lasciavo la cuccetta, dovevo camminare per tutto il tempo che ero in servizio con un secchio in mano...

Se mi hanno sbarcato in Sicilia, tuttavia, non è stato a causa del mal di mare. In stanza con me dormiva un ragazzo nero, e i marinai l'avevano preso di mira con scherzi davvero pessimi. A

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22 Io, Rocco

pranzo vedevo spesso che non mangiava o addirittura rimette-va tutto. Una volta mi sono deciso e ho assaggiato il suo pasto. Era immangiabile, disgustosamente salato. Qualche giorno do-po sono salito di proposito in sala mensa prima degli altri e ho sorpreso uno dei marinai mentre svuotava l'intera saliera nel piatto del ragazzo. Mi sono avventato su di lui e ci siamo riem-piti di pugni. È stato quell'episodio che mi ha fatto finire dal ca-pitano assieme al marinaio stesso e, senza nemmeno cercare di capire chi avesse torto o ragione, questi ci ha sbarcati entrambi.

Finiva così la mia carriera marinaresca, ma stava per inizia-re la prima più grande avventura della mia vita.

Rotta per Parigi...

...a Parigi

Tornato a casa, avevo mille domande nella testa, mille dubbi. L'idea di fare lavoretti per guadagnarmi da vivere non era en-tusiasmante, perciò cosa avrei avuto da perdere se avessi ten-tato di andare a fare qualcos'altro da qualche altra parte? Te-lefono ad Armando, mio fratello, che lavora in un ristorante a Parigi.

Armando mi trova da lavorare con lui come cameriere. Ho diciassette anni, mi ritrovo in Francia e sono... felice.

Mio fratello era il direttore di un ristorante della catena Casa Nostra. Per sei mesi ho lavorato e mi sono adattato alla lingua e alla vita francesi senza alcun problema. Finito di lavorare, fi-lavo dritto alla palestra Gymnase Club di Porte Maillot. Ado-ravo fare sport. Nei pomeriggi d'estate andavo a rimorchiare le ragazze alla Place Trocadéro. E stato uno dei più bei periodi della mia vita. Finalmente mi sentivo a mio agio nel pieno del-la mia giovinezza, potevo esprimere tutto il vigore delle mie energie. Ero libero, indipendente e vivevo a Parigi.

Ero nel bel mezzo di questa spensieratezza quando ho cono-sciuto Claudia. Una classe di studenti tedeschi era venuta a mangiare nel ristorante dove lavoravo. Quando ho servito Claudia i nostri sguardi si sono incrociati e in quell'attimo, non so perché, ho saputo subito che io e questa sconosciuta ci sa-remmo innamorati. D. colpo di fulmine! Proprio come te lo rac-contano, e tu pensi sempre che non esiste.

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24 Io, Rocco ... a Parigi 25

Lei non parlava né francese né italiano, e io non conoscevo né il tedesco né l'inglese. Non sono riuscito a smettere di guar-darla per tutto il tempo; non potevo dirle una sola parola, l’ammiravo e basta. Non ho realizzato che stava per ripartire finché questo non è accaduto. Non ho pensato di darle un nu-mero, di fare qualcosa per non perderla. Non potevo pensarci, mi dicevo: "Sei un coglione". La sera sono tornato al lavoro e lei era lì davanti al ristorante e stava aspettando me. Non sia-mo stati a cercare le parole, non siamo stati a pensare ai modi, ci siamo stretti. E basta. Io avevo diciassette anni e lei quindici, non di più. In qualche modo è riuscita a spiegarmi che aveva trovato un escamotage per restare fuori tutta la notte. Quella è stata la prima volta che ho passato una notte intera con una donna stretta addosso a me, a fare l'amore.

Non è stato come la "prima volta".

Avrò avuto più o meno quattordici anni, ma sembravo più grande. Accadde a Pescara con una studentessa che avevo in-crociato sull'autobus e che aveva, credo, ventitré anni. Stava per finire i suoi studi e abitava in un appartamento con altre quattro amiche. Non era straordinariamente bella, e si è presa cura di me come avrebbe fatto una professoressa che istruisce uno studente all'amore. Era dolce e mi comunicava molta com-plicità. Io ero nervoso, e lei aveva una pelle bianca con un pube peloso e nero. Per la prima volta lo mettevo dentro una donna. Era bagnata, calda e avvolgente! Dopo tre o quattro colpi, sono venuto subito.

Da quella volta, poi, ho solo cercato di rifarlo, ma spesso con scarso successo. Ero costretto soprattutto a praticare il co-siddetto "petting". Le ragazze che incontravo rimandavano continuamente con le solite scuse: l'amore vero, il fidanza-mento, il matrimonio e così via.

Ovviamente, a Ortona frequentare una ragazza era normale, ma già alla seconda dovevi cominciare a fare attenzione. Alla terza avevi ormai la reputazione di essere un porco. Vivere in un paesino era così.

Claudia, così giovane, aveva cancellato in una sola notte tutta questa frustrazione. E divenne la mia prima storia sentimen-tale seria.

Questa notte costò a Claudia qualche problemuccio. Perché in hotel si erano accorti che lei non c'era. Era stata perfino avver-tita la polizia.

È ripartita per la Germania due giorni dopo e per due settima-ne circa non ho più saputo nulla di lei. Ero innamorato. Ero bloccato a Parigi, e non sapevo cosa fare per rivederla. Anche Claudia si era innamorata esattamente come me e, forse sarà stata l'incoscienza dei suoi quindici anni, di punto in bianco ha fatto le valigie e lasciato la sua famiglia e il suo Paese per venire da me. Il suo coraggio mi ha fatto sentire un uomo. Mi sono tro-vato cresciuto tutto a un tratto. Era felicità pura e spensierata. Io e lei eravamo una coppia, una vera coppia, anche se vivevamo da mio fratello. E cominciavamo a fare i nostri progetti per il fu-turo. Ma, nemmeno due settimane dopo, arriva la cattiva noti-zia dall'Italia: ricevo la cartolina di chiamata al servizio milita-re. Il servizio militare in sé non mi creava alcun problema, ma l'idea che per un anno avrei dovuto interrompere la quotidia-nità con Claudia mi era assolutamente insopportabile. Allora decido di portare Claudia a Ortona: voglio che i miei genitori la conoscano. Passiamo insieme ancora gli ultimi dieci giorni pri-ma della mia partenza e poi insieme andiamo alla stazione, lei se ne torna a casa in Germania e io mi dirigo alla caserma di Al-benga.

Volevo essere riformato. Ho fatto di tutto. Poi mi sono ricor-dato della mia cistite cronica... e, all'improvviso, ha ricomin-ciato a farmi stare molto male! Riesco a farmi spedire all'ospe-dale militare di Genova per gli esami. Ingenuamente, inquino perfino il flacone degli esami dell'urina lasciando che qualche goccia di sangue ci cada dentro. Naturalmente, quel dottore ne ha viste più di quante io ne possa immaginare. Mi rifa l'esame, ma questa volta, urinando davanti a lui, non posso usare la la-ma del rasoio, e così può accertare che i valori sono assoluta-

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26 Io, Rocco

mente nella norma. Sono stato subito rimandato alla mia unità che, dopo il primo periodo di addestramento, era stata trasferi-ta a Cremona. Per cinque mesi Claudia e io ci siamo scritti let-tere interminabili, tutti i giorni, ininterrottamente. Lei mi ri-spondeva sempre, poi tutto a un tratto non ho più ricevuto niente. Claudia ha smesso di scrivermi, senza motivo. Non po-tevo immaginare che si fosse stancata di me, e vivevo nella speranza che non fosse quella la ragione.

Dopo il servizio militare sono tornato a Parigi. L'ultima spe-ranza era che Claudia fosse andata da mio fratello. Ma, ovvia-mente, lei non c'era e, per la prima volta, Parigi mi sembrava brutta: senza Claudia non era più la stessa.

Lavoravo da Pizza Pino, agli Champs-Elysées, ma dopo due settimane mi sono ritrovato coinvolto in una rissa e il direttore mi ha cacciato. Ho trovato facilmente un nuovo lavoro, in un al-tro ristorante. Avevo deciso che Parigi sarebbe stata comunque la mia città, con o senza Claudia. E non sarei mai più tornato a Ortona. Ho affittato un appartamentino su Rue de la Pompe... Lavoravo tutto il giorno, ma non smettevo mai di pensare a Claudia.

Un giorno, senza motivo, preso dalla forte nostalgia salgo sulla metro per tornare nel posto dove l'ho incontrata la prima volta. E, come se qualcuno avesse voluto esaudire i miei desi-deri, accade una cosa incredibile, magica, irreale. Sono appena uscito dalla metro e un taxi si ferma alle mie spalle, davanti al-la porta del ristorante: è Claudia. Scende dal taxi...

Ci siamo guardati sbalorditi e ci siamo abbracciati. Siamo rimasti per più di mezz'ora senza parlare. Piangevamo come bambini per esserci nuovamente ritrovati. Quando abbiamo ripreso fiato, lei mi dice che non mi ha più scritto perché si è innamorata di un altro ragazzo. Mi è crollato addosso il mondo intero. Ora che me lo diceva, mi rendevo conto che era la cosa più naturale da immaginare. L'avevo anche pensato, ma lo rifiutavo. E saperlo così, direttamente da lei, mi faceva male forte ma, al tempo stesso, mi stava già guarendo dalla cotta.

La cosa più sorprendente di questa storia era che lei era ve-nuta a Parigi con il suo nuovo ragazzo nella speranza di incon-

... a Parigi 27

trarmi e chiarire tutto. Andiamo a cena insieme, me lo presenta e lui, prendendomi in disparte, cerca di spiegarmi che lei non ci sta più capendo niente, è innamorata di lui, ma non riesce a togliersi me dalla testa. Non può scegliere. L'ho tolta io dal-l'imbarazzo e ho scelto per lei. Lei è scoppiata in lacrime e lui, un giovane generoso, ha continuato a ripeterci che quell'incon-tro casuale, davanti al ristorante, era stato un segno del destino e che dovevamo rimanere insieme. Era vero che c'era stato del magico, ma ora qualcosa era cambiato. La vedevo diversa. For-se io ero deluso.

Io e Claudia ci siamo rincontrati sette anni dopo. Un'altra coin-cidenza fortuita. Ero su un set. Una truccatrice con molta di-screzione mi chiede se non sono mica quel Rocco che viveva a Parigi. In questo caso, mi dice, avremmo un'amica in comune, Claudia. Grazie a questa ragazza, io e Claudia ci siamo rivisti, abbiamo cenato insieme. Lei nel frattempo si era sposata con un altro ragazzo ed era mamma di due bambini. Il fatto che io fossi diventato ormai un pornostar l'ha fatta ridere così tanto! Tutti gli incontri con Claudia erano stati dettati dal destino. Non so perché, ma sapevo che quella era l'ultima volta, non ce ne sarebbero state altre. Non l'avrei mai più rivista.

***

Sylvie l'ho incontrata dopo che Claudia se n'era andata. Io la-voravo in un ristorante di Rue de Bellefeuille. Lei veniva a pranzo da noi tutti i giorni, era simpatica, solare. Mi ha sedotto la sua dolcezza. Quasi subito mi ha proposto di andare a stare da lei. Viveva insieme a sua madre. Mi stupii di come la madre accettasse con estrema naturalezza quella convivenza a tre. Per un po' abbiamo vissuto una storia d'amore molto te-nera. Il solo problema per me, in realtà, era la mia età. Ero gio-vane, volevo divertirmi e trovavo deprimente l'idea che per tutta la vita sarei andato a letto solo con Sylvie. Ho cominciato a tradirla e mi sentivo giustificato. Di Sylvie, però, conservo ancora un ricordo molto dolce.

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A proposito dei miei amori parigini, vorrei ricordare anche la mia breve relazione con Rita, una ragazza che, sebbene non abbia avuto una grande importanza nella mia vita sentimen-tale, si è trovata al centro di un aneddoto che, ancora oggi, do-po più di vent'anni, mi provoca un forte imbarazzo.

All'inizio, Rita e io abbiamo vissuto una bella storia come quella che possono avere dei ragazzi che stanno in una città tanto romantica come Parigi. Rita però era troppo saggia e troppo quadrata per me. Non aveva né la mia follia né la mia passione per il sesso. Io uscivo sempre più di rado con lei, tro-vavo ogni volta nuove scuse per non vederla. In verità, appena finivo di lavorare scappavo al 106, un locale per scambisti attraverso cui mi sono avvicinato al mondo della pornografia. Ci andavo senza di lei. Non ho mai chiesto a Rita di accompa-gnarmi, davo per scontato che non avrebbe capito.

Una sera che ero sulla scala del 106, completamente nudo, stavo prendendo da dietro una ragazza quando ho sentito una mano sulla spalla. Mi sono voltato, era Jean-Claude, uno degli amici di mio fratello. Mi sono sorpreso di vederlo lì, ma non troppo, anche lui aveva abitudini libertine. Ho notato subito che mi guardava allarmato... c'era qualcosa che non andava.

Lui sembrava quasi in imbarazzo per me, me ne accorgevo, ma stava accadendo tutto così velocemente che non ho fatto nemmeno in tempo a staccarmi dalla ragazza. Gli ho detto, ri-dendo: «Oh! Jean-Claude! Come stai? Stasera è uno sballo qui! Vedrai che...».

Non avevo ancora finito la frase quando, dietro di lui, vedo Rita! Lei mi ha lanciato uno sguardo freddo e duro, disgustato. Io mi sono letteralmente squagliato dalla vergogna, il mio ses-so si è svuotato di qualsiasi desiderio. Ero lì, io, l'unico nudo come un verme, non sapevo dove scappare, con questa ragaz-za china davanti a me che si gira, mi guarda completamente ignara di quello che stava accadendo dietro al suo sedere, e io vedo soltanto il buco del suo culo! Avrei voluto infilarmici di testa e sparire. Rita non ha detto niente. Ha girato i tacchi e se n'è andata.

Qualche settimana dopo mi ha chiamato per dirmi, in tono

ironico, che ora almeno aveva capito perché io ero sempre molto stanco!

A Parigi mi sono davvero divertito. Julienne, per esempio, la mia fisioterapista e mia cliente al ristorante, dopo un incidente in moto in cui mi ero rotto entrambi i gomiti, si era offerta "gen-tilmente" di seguirmi nella riabilitazione degli "arti". Questa donna, elegante e raffinata, aveva lo studio proprio sopra al ri-storante. Il primo giorno di seduta, mi sono steso sul lettino e lei ha cominciato a lavorarmi il gomito per cercare di piegarlo. Ma a ogni suo movimento il suo corpo sfiorava il mio.

Era una sollecitazione continua. Il suo braccio sfiorava il mio sesso - indossavo dei pantaloncini corti -, il suo corpo premeva sul mio e il mio sesso è uscito fuori. Dapprima Ju-lienne è sembrata imbarazzata, ma poi l'ha trovato divertente. Ha spostato i suoi esercizi su questa parte del mio corpo e da quel giorno ogni seduta è iniziata sempre così.

Tutti i giorni lei pranzava al ristorante e ogni volta, prima di andarsene, mi diceva in tono professionale e distaccato: «Ci vediamo dopo per la seduta». E con la stessa compostezza mi salutava quando terminavamo la terapia.

Geneviève era un'agente immobiliare conosciuta sempre al ri-storante. Bionda, alta, molto nordica, di carnagione chiara con le lentiggini su tutto il viso. Una ragazza molto particolare con una gran parlantina. Siamo usciti insieme e mi ha proposto di salire nell'appartamento che diceva essere suo. Ci siamo spo-gliati veloci, infoiati, e ci siamo buttati sul letto...

È stato allora che abbiamo sentito qualcuno entrare. Per l'e-sattezza abbiamo sentito il padrone di casa, con i bambini che scorrazzavano per il corridoio. Lui ci vede, riconosce l'agente immobiliare incaricata di mostrare il suo appartamento in ven-dita, nuda nel suo letto sotto di me, e resta pietrificato. Ha avu-to la classe di non dire niente e di aspettare che ci rivestissimo.

Credo che Geneviève abbia avuto non pochi problemi con il suo lavoro in seguito. E con me non si è mai più fatta viva!

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Da Denise a Supersex

La prima volta che sono andato da Denise il suo locale si chia-mava 106; poi, in seguito, è diventato il 41, perché i suoi locali prendevano il nome dal numero civico della via.

Avevo appena vent'anni, ero uscito con una donna di quaranta ed eravamo finiti a letto insieme. Lei diceva che avrei dovuto smettere di sprecare il mio tempo al ristorante, ero un bel ragazzo e avrei dovuto senz'altro cercare di fare fortuna come modello.

Le ho risposto che non conoscevo nessuno. «Ma, piuttosto, tu conosci i locali di scambisti?»

Lei ha riso: che c'entravano ora questi locali? «Vorrei andarci e si può entrare solo in coppia. Tu puoi ac-

compagnarmi?» Mi ha risposto di sì, che il suo ex marito li conosceva e che

mi avrebbe accompagnato.

Il giorno dopo è stato uno dei momenti più eccitanti della mia vita. Riuscire finalmente a entrare in uno di quei locali! Ero co-me un bambino sotto l'albero con i regali che ha tanto deside-rato. La proprietaria ci ha ricevuti personalmente. Denise, cele-bre pornostar degli anni Ottanta, era una donna di gran classe e femminilità, alta e bionda. Le sono subito piaciuto. Aveva aperto questo club con l'intenzione di limitarlo a una piccola cerchia di habitué, persone selezionate con cura, un posto in

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cui si ritrovava il jet set francese che, nel rispetto della privacy, non nominerò. A loro va la mia più sincera gratitudine, perché grazie a loro ho cominciato a fare sesso con tutte quelle mera-vigliose donne che li accompagnavano. L'AIDS in quegli anni non era ancora conosciuto, e ogni notte c'erano orge incredibi-li! Locali di questo tipo, negli anni a seguire, sono stati aperti un po' dappertutto, ma all'epoca ci si divertiva davvero.

Oggi sono diventati troppi: appena un locale è in crisi viene automaticamente trasformato in un club per scambisti. Con la mera illusione di arricchirsi velocemente, i gestori inseriscono coppie finte, pagate apposta per far divertire i single che sbor-sano almeno il triplo del prezzo dell'entrata se non sono ac-compagnati.

Questo non succedeva nel periodo d'oro del 106...

Quella sera Denise mi promise che mi avrebbe fatto entrare lo stesso in seguito anche se fossi stato da solo. Allora, tutte le notti, finito di lavorare, andavo nel suo locale. Aspettavo con ansia che il tempo volasse. Servivo gli ultimi clienti a velocità impressionante! Soprattutto se arrivavano coppiette di inna-morati, con l'intenzione di prendersela comoda in coccole, af-fettuosità e moine. Facevo di tutto per farli sentire a disagio e tutt'altro che in un posto romantico per mandarli via il prima possibile. Rovesciavo acqua e cibo "accidentalmente" sulle lo-ro gambe e li servivo alla velocità della luce, mettendo a dura prova la pazienza di mio fratello.

A quel tempo la tradizione voleva che nei locali per scambisti si iniziasse semplicemente col togliersi la giacca: arrivando, i clienti lasciavano borse o giacche. Io, invece, per non perdere tempo lasciavo direttamente tutti i vestiti al guardaroba e iniziavo a girare nudo, mano nella mano con Denise, facendo l'apertura con le coppie che si sentivano pronte. Ero diventato, in un certo senso, quello che dava il la all'orgia, quello che riscaldava l'ambiente, soprattutto con le coppie più timide.

Una sera come tante passate al 106 è successa una cosa magi-ca. Ho visto materializzarsi davanti a me, in carne e ossa, Su-persex, il mio mito adolescenziale, accompagnato da due ful-gide ragazze com'era sua abitudine.

Fremevo. Ho chiesto a Denise che me lo presentasse. Dentro di me sapevo che quella era un'occasione da non perdere. Lei, usando tutta la sua discrezione, gli ha parlato all'orecchio e mi ha accontentato. Emozionato dal fatto di poter parlare con Ga-briel Pontello, gli ho espresso la mia più grande ammirazione, ma lui mi ha guardato dall'alto in basso con fare snob. Era davvero pieno di sé, forse anche un po' arrogante.

Mi ha detto in tono freddo davanti a tutti: «Allora, saresti tu? Si dice in giro che tu abbia un cazzo enorme. Fammi vede-re quello che sai fare...». Si è acceso un enorme sigaro e mi ha ceduto le sue ragazze.

Le due ragazze erano Barbara Dare, una grande pornostar degli anni Ottanta, e Patty Rhodes, una produttrice, che poi ho ritrovato nel corso della mia carriera e che è diventata una delle mie più grandi amiche. Malgrado avessi dovuto essere in imbarazzo per la situazione e per la presenza di Supersex, ero eccitato come non lo ero mai stato. Ho fatto l'amore con entrambe, per un paio d'ore con immenso piacere, e poi sono tornato da lui, come un allievo che attende il voto dal suo pro-fessore. Mi ha sorriso, mi ha dato l'indirizzo del suo studio a Montrouge e mi ha detto di presentarmi il mattino dopo alle nove.

Si trattava di una serie di fotoromanzi di cui il primo, indi-menticabile, era Adam et Ève. Io interpretavo il ruolo di Ada-mo. Quello di Eva era interpretato invece dalla più bella star dell'hard che io abbia mai incontrato in Francia. Per me, lei ri-mane unica e incomparabile: era Marilyn Jess, conosciuta an-che come Platinette. Una bionda sensuale con seni e forme perfetti e un fascino irresistibile. Senza esagerare, tutti la defi-nivano all'epoca la "Marilyn Monroe dell'hard". Ero lusingato dalla fortuna di iniziare con lei!

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Varcando per la prima volta la soglia dello studio di Gabriel Pontello, mi sono detto che, questa volta, mi trovavo vera-mente tra le delizie del giardino dei desideri. Platinette, le luci, l'atmosfera, le macchine fotografiche: mi affascinava tutto. Io, che venivo da un paesino italiano, stavo per realizzare il mio sogno... a Parigi!

Eravamo pronti, nudi, coperti solo da una foglia di fico. Io stavo dietro Platinette e, senza nemmeno toccarla, ho avuto un'erezione e la foglia si è staccata completamente.

Pontello mi ha detto: «Rocco, dobbiamo fare soft. Puoi te-nerlo buono per cinque minuti?».

L'ho guardato e, con aria stupita, ho chiesto sinceramente preoccupato, ingenuo: «Ma come si fa? Voi avete una tecnica o qualcosa?».

Pontello è scoppiato a ridere. «Normalmente, noi abbiamo semmai il problema opposto con gli attori!»

Per risolvere l'impasse, abbiamo fatto una piccola pausa e sono rimasto solo in camerino per circa venti minuti. Poi, al momento di riprendere, ho chiesto a Pontello di mettermi da-vanti a Platinette questa volta. Ero assolutamente sicuro che se le fossi rimasto dietro mi sarei eccitato di nuovo. All'inizio è andato tutto bene e ha cominciato a bersagliarci di flash, ma quando lei si è spostata per cambiare posizione e ho sentito il suo odore e il suo respiro sulla spalla, mi sono eccitato ancora e più di prima. Nello studio c'è stato uno scoppio di risate e così Pontello ha dovuto decidere di passare direttamente alle foto hard.

Queste sedute fotografiche sono durate quattro giorni, dalla mattina alla sera. Era duro, molto diverso dal portare piatti, ma infinitamente più divertente.

La sera dell'ultimo giorno, Pontello mi si è avvicinato con tre o quattro biglietti da cinquecento franchi, ringraziandomi, e io mi sono detto: "Che figata mi pagano pure!". Era più o meno quello che guadagnavo in quindici giorni al ristorante!

Subito dopo Pontello ha ricevuto una telefonata dal produt-tore Marc Dorcel. Davanti a me, ancora estasiato per la mia

prestazione, mi ha proposto immediatamente a Marc. Io non stavo nella pelle. Poi, come se la fortuna mi stesse inseguendo, lo sento confermarmi che il venerdì successivo ci sarebbe stato posto per me in un film diretto da Michel Ricaud. E grazie a Gabriel Pontello, infatti, mi sono ritrovato a girare il mio pri-mo porno, Belle d'amour.

Il giorno di inizio riprese ero veramente tanto emozionato, teso, ma non imbarazzato perché, alla fine, stavo realizzando quello che era il mio più grande sogno. Non so se vi riesce minimamente di immaginare la sensazione che ho potuto provare quando ho finalmente aperto la porta di quell'appartamento nel quinzième arrondissement di Parigi, vicino alla Tour Eiffel. Tremavo di gioia, avevo il fiatone e le tempie che esplodevano. Era la prima volta che vedevo dal vivo ragazze incredibilmente belle in giarrettiere e tacchi a spillo, fino a quel giorno le avevo viste solo in fotografia! Lavorare in quell'ambiente significava per me iniziare a vivere in un mondo che fino a quell'istante avevo solo immaginato, desiderato e sognato di toccare con mano. Ero come un bambino meravigliato che ha gli occhi spalancati. Ero soggiogato dalla bellezza di tutte quelle donne e dall'atmosfera del tutto particolare tipica dei set cinematografici. Ricordo di essere arrivato sul set con la valigia piena di vestiti, facendo la figura del tipico italiano che ogni volta che si sposta porta con sé tutto l'armadio! Camminavo dentro un appartamento lussuosissimo, mi vedevo intorno una decina di ragazze che si muovevano nude, disinvolte e naturali, si infilavano abiti sexy, truccate come star. Il mio cervello è andato subito in tilt. Tutti i miei desideri, da quando mi masturbavo con "Supersex" fino alle donne con le quali facevo sesso al 106, si stavano materializzando all'improvviso!

Si stava decidendo della mia vera vita, quella che volevo: sa-rei stato in grado di recitare in un film hard?

C'era Pontello, c'era Marc Dorcel, il produttore, e c'era Mi-chel Ricaud, il regista più famoso del momento, e c'ero io, fottu-to di emozioni. L'atmosfera era carica, piena di tutto: del sesso, dell'amore e dei profumi delle donne; mi sono sentito travolge-

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re da un'eccitazione inebriante, avevo i brividi in tutto il corpo. Mi sono chiuso in bagno a masturbarmi perché avevo paura che mi chiamassero subito in scena. Avevo il cervello in ebolli-zione. Volevo essere assolutamente certo che, al momento di co-minciare a recitare, non sarei venuto troppo in fretta.

Mi hanno chiamato, c'eravamo. Toccava a me. La mia scena era con un'austriaca bruna, molto donna, con

un gran fisico prestante, e una biondina francese molto, molto sexy. E un uomo, André Vinus, il protagonista del film, una grande star all'epoca. Ho salutato tutti, cercando di dissimula-re il mio imbarazzo di debuttante, e ho ascoltato molto atten-tamente le indicazioni di Michel Ricaud, il regista.

All'epoca l'ambiente del porno era ancora molto maschili-sta. E la scuola francese lo era più di ogni altra: l'uomo non aveva bisogno di toccare la donna per avere un'erezione o un orgasmo. La professionalità di un attore si misurava limitando al massimo l'utilizzazione fisica del corpo femminile: meno toccava la donna e più aveva credito di essere un ottimo pro-fessionista. Erano sempre gli stessi cinque o sei a lavorare. Una vera e propria lobby: era dura entrarci e ancora di più rimaner-ci. Gli attori si muovevano dall'Italia alla Francia, spostandosi da un set all'altro, compatti, solidali e gestendo così le date di inizio di ogni film. Erano sempre gli stessi attori a tenere la si-tuazione sotto controllo, impedendo ai nuovi di accedere a questa cricca, perché per ogni nuovo attore uno dei vecchi sa-rebbe dovuto uscire. Gli stessi produttori erano molto restii al ricambio degli attori, a loro interessava avere la sicurezza di un cazzo che potesse garantire l'erezione. E se, nonostante tutto, qualcuno riusciva a passare le maglie di una rete così serrata, i veterani non gli rendevano certo la vita facile.

André non faceva eccezione alla regola. Mi ricordo che pri-ma di iniziare la scena si inginocchiò e prese a masturbarsi. Senza mai guardare le donne. Per me era un'assurdità che, da-vanti a due splendide ragazze così, lui non riuscisse ad avere un'erezione naturale. Io invece me ne stavo in piedi, e sfoggia-vo già un'erezione orgogliosa. Così, quando lui mi ha consi-gliato di cominciare a farmelo succhiare, ho creduto che mi

stesse dando un "gentile" suggerimento tecnico. L'ho accetta-to, ingenuamente, senza rendermi conto che dietro la sua pro-posta si nascondeva una serpe velenosa che voleva solo ve-dermi "capitolare" in fretta sulla scena e screditarmi agli occhi del regista. Le due ragazze continuavano a praticarmi questo doppio meraviglioso pompino, indimenticabile... soprattutto per l'epilogo.

Non sono riuscito a trattenermi e, mentre me ne stavo ve-nendo, ho intravisto che André mi scrutava e come un lampo si alzava in piedi con un'erezione mantenuta con molta abilità; poi, con il tono di chi detta legge, ha detto: «Allez, on tourne».

Nel pieno del silenzio che nel frattempo era sceso sul set, ho sentito Dorcel che gridava a Pontello: «Di' un po', Gabriel! È lui il tuo italiano? Il tuo animale da letto che riesce a non venire per otto ore filate?».

Pontello non gli ha risposto, è venuto dritto da me. «E allo-ra? Che cosa ti succede?»

«Non so, Gabriel, non capisco, te lo giuro! Me lo succhiava talmente bene che non sono riuscito a trattenermi!»

«E per la scena, come facciamo ora?» Sentivo Dorcel, che si era messo a gridare: «Dai, Pontello!

Lascialo perdere il tuo italiano». Mi è crollato il mondo addosso. Ci stavo da così poco, ed

ero già riuscito a mandare tutto a puttane? Mi sono fatto co-raggio e sono andato a chiedere a Ricaud di darmi solo cinque minuti, cinque inutili minuti per ricompormi e per tentare di rifare la scena. Non aveva per niente l'aria molto convinta, ma me li ha concessi. Sono sceso di sotto al bar, ho bevuto almeno tre camomille, cercando di rilassarmi, di distendere i nervi.

Alla fine sono riuscito a farla quella scena, ma non è stato niente di eccezionale, ero solo un debuttante troppo emozio-nato.

Quando ci ripenso mi considero fortunato che mi abbiano dato una seconda occasione, soprattutto considerato quanto l'ambiente non brillasse in generosità. Ai giorni nostri, la por-nografia è un'industria enorme, ci sono riviste specializzate e

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festival dell'hard in tutto il mondo, è molto facile per le perso-ne che desiderano entrarci incontrare registi e produttori.

Pontello ha deciso di darmi una seconda opportunità e mi ha chiesto se volevo andare in Italia con lui per il primo film di un'italiana esordiente, Moana Pozzi.

Ne ho parlato con mio fratello, e lui mi ha obbligato a sce-gliere: o il ristorante o il porno. Io non ho avuto dubbi, ho scel-to il porno. Arrivato in Italia, ho incontrato il branco, la lobby feroce degli attori con cui non mi ero ancora confrontato.

***

Sul set del film Moana, la bella di giorno ho immediatamente ca-pito che Jean-Pierre Armand, il numero uno incontrastato tra gli attori dell'hard francesi, e la sua combriccola, Christopher Clark, Eric Drée eccetera, mi consideravano un potenziale concorrente. Le proporzioni del mio sesso li infastidivano, ma anche il mio aspetto fisico. L'accoglienza pertanto è stata deci-samente glaciale. Ricordo che quando mi sono presentato a Jean-Pierre Armand e gli ho teso la mano, lui l'ha scansata in-fastidito, dicendomi di correre a casa da mamma a farmi to-gliere la merda dal pannolino. Vi lascio immaginare il clima... Jean-Pierre era il più temuto fra gli attori. Aveva una repu-tazione terrificante e si diceva che nessun attore debuttante che avesse lavorato al suo fianco fosse riuscito ad avere un'e-rezione.

Dovevamo girare la scena di un'orgia e gli attori avevano fatto in modo che io avessi l'attrice più vecchia, Karin Schubert, nella speranza che fallissi. Quello che non sapevano, però, era che questa attrice aveva fatto parte del mio immaginario erotico adolescenziale, mi ero masturbato un'infinità di volte su di lei, e quindi, loro malgrado, mi stavano facendo un gran bel regalo! Jean-Pierre aveva due ragazze straordinarie e ha fatto di tutto per destabilizzarmi. La sua prestazione più che una scena di sesso sembrava un esercizio di ginnastica artistica alla Juri Che-

chi, per il quale ho la massima stima. Avrà eseguito più di venti posizioni, tutte complicate e all'insegna della performance. Io ero in ginocchio davanti a Karin Schubert, pieno di rispetto per questa superdonna, aspettando che la macchina si spostasse su di me, quando... è finita la pellicola. Hanno interrotto le riprese per cambiarla. Armand si è reso conto che la sua dimostrazione non mi aveva impressionato, allora è passato alla mossa di ri-serva. Mi si è avvicinato roteando il pene, come le pale di un elicottero, rasentandomi la spalla, senza dire niente.

Karin Schubert se n'è accorta e gli ha detto: «Jean-Pierre, smetti di fare il tuo giochino!».

E lui: «Ti sta scopando bene il lattante?» mentre si avvicina-va sempre più al mio viso, fino a toccarmi l'orecchio.

Ho perso il controllo, mi sono alzato di colpo, l'ho preso per il collo e l'ho attaccato al muro. Sì, l'ho minacciato. «Ora ti di-mostro che non sono un frocio come te! Aspetta che finisca la scena e poi ti spacco la faccia.» Avevo accumulato troppo stress, dalla mattina, con tutti i giochetti che lui e i suoi amici conti-nuavano a fare.

Questo episodio ha segnato, irrevocabilmente, la mia entrata ufficiale nell'ambiente, soprattutto perché su quel set c'erano tutti i più grandi attori dell'epoca e ho potuto dimostrare a ognuno di loro che non era facile farmi fuori, né psicologica-mente né fisicamente. Finita la scena sono corso a rivestirmi velocemente, e Jean-Pierre è venuto da me scusandosi e cer-cando di farmi credere che era la prima volta che ne combina-va una del genere. Ho accettato le scuse, avevo messo in conto che, se finora non avevo trovato il bigliettaio all'entrata, prima o poi qualcuno sarebbe venuto a incassare il mio ticket d'in-gresso in quel mondo.

E da lì è iniziato un lungo e divertentissimo periodo. Le pro-poste fioccavano a una velocità pazzesca. Tutti i giorni giravo su set differenti, in produzioni e Paesi diversi. Era iniziato il mio periodo d'oro.

Giravo in media venti, venticinque giorni al mese, gli altri mi servivano per gli spostamenti da un set all'altro. Ero final-mente in una vera full immersion di sesso.

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Dopo quella sua esibizione, Jean-Pierre Armand mi ha sem-pre rispettato. Debbo dire, non fui sorpreso dal suo comporta-mento, era perfettamente in linea con la mentalità di tutta la sua generazione. Un'altra volta, in un ristorante di Roma, in-sieme agli attori di una superproduzione americana, Jean-Pierre ha sfidato tutti a dargli un tempo per eiaculare.

Uno degli americani, credendolo ubriaco perché era già con il cazzo fuori, in piedi a capotavola, gli ha risposto: «Eh, già, ora io dico uno, due e tre e tu vieni?».

E lui: «Come hai detto? "Uno, due e tre?"» e mentre lo dice si tira tre volte il cazzo ed eiacula sul tavolo.

Lui era impressionante!

Devo ammettere che dai francesi ho imparato molte cose. La scuola francese è stata, per tre generazioni di attori, runica in-contrastata d'Europa.

Quando ho iniziato, nel 1985, c'erano Gabriel Pontello, An-dré Vinus, Le Gitan, Richard Lemieuvre, Eric Drée, Alban Ce-ray, e Jean-Pierre Armand che, eccetto qualche appassionato, nessuno più ricorda. Loro facevano dei veri e propri film in trentacinque millimetri. Agli inizi del cinema hard, al contra-rio di oggi, si dava molto più spazio alla trama che al sesso. Ora il sesso è il novanta per cento se non il cento per cento del film per una produzione. L'importanza della trama nel film hard si notava soprattutto nelle produzioni americane, con re-gisti di grande calibro quali Gerard Damiano, Anthony Spi-nelli, Henry Pachard, Alex Derenzi, per citarne alcuni tra i più importanti. Loro erano i più vicini al cinema, erano interessati alla narrazione prima che al sesso. E infatti credo che il loro modo di lavorare abbia molto turbato il mondo di Hollywood che ha deciso di chiamare questo genere, che fino ad allora era stato definito underground, X-rated, "proibito".

La scuola americana e la scuola francese

Bisogna dire che in quel momento c'erano solo due scuole di cinema hard: quella americana e quella francese, due mondi che avevano del resto pochissime cose in comune. La caratte-ristica principale della scuola francese era che gli attori non avevano bisogno dell'aiuto della donna né per avere un'ere-zione, né per avere un orgasmo. L'attrice era solo un gran bel-l'oggetto, ma non aveva alcuna rilevanza per la performance del pornostar. Di conseguenza il porno era tutto incentrato sull'uomo.

La scuola americana, rispetto alla francese, aveva una visio-ne completamente diversa del sesso. Le attrici s'impegnavano a tal punto per far sembrare vera la scena che spingevano gli atteggiamenti all'esagerazione estrema. È altresì vero che gli attori davano maggior prova di professionalità nelle loro pre-stazioni e quindi appassionavano e coinvolgevano molto di più lo spettatore. A questo proposito, mi ricordo per esempio l'episodio di Ashlyn Gere, una superstar americana che du-rante una scena in posizione da cowgirl, cioè quella in cui è la donna che cavalca l'uomo, si era seduta su di me e si muoveva su e giù freneticamente. La sua performance era così cari-caturale che mi stava facendo perdere l'erezione, e più io la perdevo più lei aumentava il ritmo e la foga.

«Yes,fuck me... Yeah... more more fuck me!» A un certo punto ho dovuto fermarla e chiederle: «Ashlyn,

ma stai sentendo davvero qualcosa?».

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42 Io, Rocco La scuola americana e la scuola francese 43

E questo, solo per raccontarvi l'assoluta immedesimazione nella parte dell'attrice americana!

Bisogna anche precisare che in America si gira in presa di-retta, a differenza che in Europa, e, nel caso in cui si lavori con una partner che dimostri una totale mancanza di partecipa-zione, il fatto che i film vengano doppiati rappresenta una sal-vezza. Una volta, in Europa appunto, giravo una scena molto forte con un'attrice che non dava nessun segno di vita.

Il produttore, disperato, mi dice: «Rocco, salvami questo film. È importantissimo. Me ne frego di cosa dirà, ma tirale fuo-ri un minimo di espressione».

Allora io ho ricominciato la scena daccapo, con molta più energia e foga. L'attrice non apprezzava per niente questo mio modo di fare sesso e ha preso a inveire contro di me.

Urlava: «Disgraziato! Ti ammazzo! Smetti, non puoi farmi questo!».

Quando ho visto il film finito, ho capito il grosso vantaggio del doppiaggio! Tutti i suoi insulti e improperi erano diventati: «Oh, sì, Rocco, fammi male, scopami forte, oh, sì, mi fai godere».

Non mi piacciono le classificazioni, in genere le trovo sempre delle forzature, tuttavia talvolta sono utili per distinguere, se non altro, delle categorie esemplari. L'antitesi fra la scuola fran-cese-europea e quella americana potrebbe essere ridotta all'op-posizione fra "meccanica mancanza di sensualità" e "appassio-nata professionalità".

Per quanto questi due metodi possano essere massimamente antitetici, entrambi mi sono stati estremamente utili. Mi hanno dato, l'uno, la tecnica per affrontare al meglio ogni eventuale impasse sul set e, l'altro, la passionalità emotiva per comunicare con i partner e con il pubblico. Perché questo tipo di lavoro ti espone nudo, mi pare il caso di dirlo, a una serie di contraddizio-ni che ti mettono in difficoltà, non soltanto psicologicamente ma anche empiricamente: le sperimenti proprio sulla tua reazione fisica. Ciò che intendo dire è che, anche se sono il primo a soste-nere che il sesso non si può recitare, al punto che ne ho fatto il

mio motto, tuttavia, nel momento in cui ti trovi davanti una macchina da presa devi recitare.

Non puoi continuare a essere completamente te stesso, tu sai che stai davanti all'obiettivo. E per sostenere questo paradosso, per esserne all'altezza, devi attingere dentro di te a una gamma infinita di sentimenti, sensazioni, ricordi, motivazioni, convincimenti. Se vuoi fare questo lavoro, e vuoi farlo bene, non puoi mai permetterti di scansare la contraddizione, l'incoerenza, l'inconciliabilità fra i vari aspetti della tua vita. Perché se non le analizzi continuamente in modo consapevole non potrai andare avanti per molto.

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Attore porno, un mestiere a rischio

H mestiere dell'attore è estraneo a ogni concezione classica di lavoro. Più di una volta, rientrando nell'ordinaria quotidianità, mi sono sentito un extraterrestre atterrato da un altro pianeta.

Mi trovavo in Germania, a Dusseldorf, nell'88, sul set di un film americano diretto da Freddy Lincoln e, come al solito, gli attori americani avevano l'esclusiva su tutti i ruoli principali. Io, come europeo, avevo avuto solo una parte minore, quella di facchino dell'hotel. La protagonista era Alicia Monet, una grande star americana, che quel mattino, prima delle riprese, si era buttata giù, ancora non ne colgo il vero motivo, un mi-scuglio di droghe e alcol.

Nella scena lei si trovava distesa sul letto, con le gambe spa-lancate, e io dovevo semplicemente entrare, lasciare le valigie e dire: "Good morning, lady, you're very beautiful...".

E tutto ciò, in un inglese molto approssimativo, perché allo-ra non parlavo ancora bene questa lingua.

Lei avrebbe dovuto rispondermi: "Oh, amore mio..." in ita-liano, ma siccome nemmeno lei conosceva la lingua, la scena risultava terribilmente comica e bizzarra.

Io cercavo, comunque, di rimanere concentrato, almeno per fare una buona scena di sesso. Come da copione, mi sono ingi-nocchiato davanti a lei per cominciare a leccarla. A quel punto lei ha lanciato un peto raccapricciante! Un fetore terrificante ha invaso tutta la stanza.

Tutte le persone del set, imbarazzate, hanno stretto i denti per

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non ridere, nel rispetto di non so cosa, e il regista, con un ghi-gno, mi ha chiesto: «Rocco, can you, please, do it again?».

E io mi sono riportato i bagagli dietro la porta aspettando di nuovo l'azione. Alicia era completamente in barca e non si ren-deva conto di niente. Per lei era tutto normale e intanto i mac-chinisti aprivano le finestre.

Alcuni secondi dopo, di nuovo silenzio sul set, il ciak, e io so-no rientrato. Mi sono messo di nuovo in ginocchio con la faccia sotto il suo sedere e dopo l'ennesimo "amore mio" Alicia, come se fosse nel copione, ha mollato un peto ancora più assordante e nauseabondo del primo! Mi chiedevo perché mi stesse facen-do questo, non capivo e in più non sapevo del cocktail che ave-va ingollato. A tutta la troupe è venuta una ridarella inconteni-bile, io ho guardato Freddy, sperando che desse lo stop, ma lui, cercando di restare serio, mi ha fatto cenno di continuare. Però l'atmosfera era ormai degenerata.

Stando al copione io avrei dovuto possederla, ma lei mi ha spinto sul letto e, con lo sguardo torbido da ubriaca, mi ha det-to: «I wanna fuck you, baby...».

Era completamente stordita dal miscuglio che si era fatta, era così instabile che dovevo sorreggerla perché non mi cades-se sopra. La scena è durata un'ora buona e, mentre lei cercava di cavalcarmi, mi chiedevo come avessero fatto gli americani a conquistarsi la fama di migliori professionisti...

Quando abbiamo finito di girare, Hans Moser, il coprodut-tore europeo, ci ha chiesto di restare ancora sul set per fare qualche foto da utilizzare per la copertina della videocassetta.

A quel punto Alicia mi ha preso il cazzo in mano e, prima di succhiarlo, mi ha lanciato un altro sguardo torvo e ha farfuglia-to: «Rocco... Amore mio...».

Poi si è messa voracemente il mio cazzo in bocca e, senza al-cuna ragione, ha iniziato a morderlo con tutta la forza dei denti! Il dolore è stato indescrivibile: in un lampo ho capito che, se l'a-vessi spinta via, me lo avrebbe letteralmente strappato. Alicia continuava a stringere a più non posso e, all'improvviso, ho vi-sto il sangue colarmi sulle gambe. A quel punto l'ho presa per la gola e le ho premuto le dita sulla glottide. Per non soffocare,

lei ha dovuto lasciarmi e poi ha cominciato a sputare. Sputava sangue. C'era sangue dappertutto, su di me, sulle lenzuola, sembrava di stare dentro un film horror. Solo che il sangue era vero ed era il mio! Ero allucinato, pietrificato dal dolore. Quan-do ha ripreso fiato, Alicia ha iniziato a gridare, in preda a una crisi di nervi. Intanto Ziggie, l'assistente, portava me di corsa all'ospedale di Dusseldorf. Per la cronaca, subito dopo, è suc-cesso che Alicia è scappata eludendo la sorveglianza dell'equi-pe, è scesa in strada, completamente nuda e sporca di sangue, e se n'è andata a spasso per le vie della città come se niente fosse! Immaginate lo scandalo che ha provocato in pochi secondi nel quartiere...

Quando siamo arrivati all'ospedale, l'assurdo non era ancora finito. Avevo una tovaglia intorno al pene insanguinato e cer-cavo disperatamente di spiegare al dottore cosa mi era succes-so, senza sapere una parola né di inglese né di tedesco.

Ziggie ha parlato per me e, mentre io soffrivo terribilmente, il dottore è scoppiato a ridere come un matto e continuava a ripe-tere: «Ja, ja, ja, ja, ja!» in quel modo tipico dei tedeschi quando trovano qualcosa divertente.

Quando è riuscito a ricomporsi, il dottore mi ha medicato e messo i punti attorno al glande. Non credete che sia stato uno scherzetto, era doloroso come avere ancora i denti di Alicia conficcati nella carne.

Ma non è finita lì! Del resto, andando avanti, vedrete che ogni mia disavventura ha sempre avuto retroscena grotteschi, inim-maginabili! Insomma, torno in albergo con una medicazione ta-le che mi impedisce di camminare normalmente, e trovo il mari-to di Alicia che mi aspetta sulla porta della mia camera.

«Sei tu che hai picchiato mia moglie?» In realtà, nessuno l'aveva picchiata, ma lo staff della produ-

zione, che era riuscito a riacciuffarla per le strade di Dussel-dorf, l'aveva prelevata velocemente e molto energicamente per non avere grane con la polizia, e nella manovra lei aveva sbat-tuto la testa contro il tetto del van.

Questo accadeva mentre io ero ancora in ospedale e non ne

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sapevo nulla, perciò gli ho semplicemente risposto: «No, io non ho picchiato Alicia. Ma penso che lo farò ora...».

A questo punto lui ha tirato fuori un coltello e mi si è sca-gliato contro. In quell'istante ho visto Ziggie arrivare da dietro e torcergli il braccio fino quasi a romperglielo.

«E ora tu e quella puttana di tua moglie ve ne andate imme-diatamente via! Sparite!»

Il giorno stesso sono stati riportati in aeroporto e imbarcati per gli Stati Uniti.

Dopo questa storia, Alicia e quello psicopatico di suo mari-to sono totalmente scomparsi dal mondo dell'hard. Credo che nessun attore abbia mai più voluto rischiare di rimetterle l'uc-cello in bocca.

***

Un'altra volta, sempre in Germania, nel '92, ho lavorato in un film il cui protagonista era Ron Jeremy, un altro di quegli atto-ri che ha segnato la storia della pornografia. Credo che sia l'at-tore più anziano ancora in attività! Purtroppo, malgrado la sua fama di grande professionista, le ragazze avevano il terrore di lavorare con lui perché aveva una pancia enorme e peli dappertutto, un'abbondante e maleodorante sudorazione e un sesso di dimensioni davvero impressionanti.

Le riprese erano già iniziate da una settimana e Ron ogni giorno andava a trovare Teresa Orlowsky, la produttrice, dalla quale riceveva sempre la stessa risposta: «Ron, mi dispiace, tutte le attrici si rifiutano di lavorare con te. Non so cosa fare. Se vuoi, puoi ritornare negli Stati Uniti».

Lui era disperato. A me Ron stava troppo simpatico, e sicco-me avevo un buon feeling con Nathalie, un'attrice francese, l'ho supplicata di cercare di fare uno sforzo. Alla fine Nathalie ha accettato e siamo andati tutti sul set quello stesso pomeriggio. Eravamo su un laghetto, era estate e faceva un caldo torrido.

Il regista stava per dare l'azione, eravamo pronti per la sce-na di sesso, quando all'improvviso una coppia di attori che aveva finito di girare un attimo prima è venuta da noi corren-

do e gridando: «Via! Scappate! È pericolosissimo qui! È pieno zeppo di zanzare giganti!».

Ron avrebbe preferito essere morto! Dopo tutto lo sforzo, ci mancavano pure le zanzare a impedirgli di lavorare! L'ho vi-sto sprofondare nello sconforto.

«Non c'è problema, Ron, non saranno mica un po' di zanza-re a fermarci!» ho detto. E ci siamo sistemati per riprendere con le scene.

Io avevo il ruolo dell'amante e lui quello del voyeur che veni-va a sbirciare di nascosto. Cominciavamo a sentire tutti troppo caldo. Sto per spostare Nathalie per mettermela sopra, e le vedo fare un'espressione agghiacciata. Con gli occhi spalancati guar-dava in lontananza e, dopo un attimo, stava gridando come una pazza! C'era un nugolo nero e denso di grosse zanzare, che an-cora non so dire se fossero veramente zanzare. Comunque, in meno di cinque secondi questi insetti ci hanno attaccati e divo-rati completamente. Facevano un rumore assordante. Siamo scappati verso il van della produzione. Cercavamo di proteg-gerci alla bell'e meglio. Quando siamo riusciti a chiuderci den-tro, ho dovuto stendermi; avevo una sensazione di congelamen-to, tutto il veleno che gli insetti mi avevano iniettato cominciava a fare effetto. Avevo una paura fottuta. Ero ricoperto di punture su tutto il corpo, ma ciò che mi preoccupava di più erano quelle sul sesso. Ne avevo una ventina intorno al glande. Non sapevo cosa pensare e ignoravo che tipo di pericolo stessi correndo.

La sera, al ristorante, Jeremy ha raccontato al resto del cast la sua versione della storia. «Questo pomeriggio ci siamo dati in pasto alle zanzare. Ma io sono stato fortunato, perché la zanza-ra capo del plotone tedesco mi ha punto per primo e ha sputato subito il mio sangue con disgusto. Si è accorta che sono ebreo americano. Poi ha visto Rocco, che è italiano e non è ebreo, e ha gridato alle sue truppe di buttarsi tutte su di lui!»

E, incredibile ma vero, lui aveva una sola puntura in tutto in corpo.

Allora io ho replicato immediatamente: «Guarda che le zan-zare condividono i gusti delle attrici!».

La settimana successiva ho dovuto girare diverse scene e ho

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sofferto come un cane perché il mio sesso era gonfio e doloran-te, e ricoperto di piccoli crateri aperti. Ma dovevo tenere duro ancora per una settimana! Le mani, la bocca, il sesso delle attri-ci, tutto mi faceva terribilmente male. E, via via, questi crateri si sono trasformati in croste, che mi prudevano, ma che, ovvia-mente, non potevo grattare via perché mi sarebbe venuta un'in-fezione. Per fortuna, in quel periodo l'AIDS non era ancora così diffuso. Se ciò fosse accaduto oggi, per ovvie ragioni avremmo dovuto immediatamente annullare le riprese!

Quando non mi sono capitati incidenti sul lavoro, non di ra-do sono stato io stesso a favorirli, come se inconsciamente de-siderassi autodistruggermi.

Cinque anni fa, dopo un periodo abbastanza stressante, ho cominciato a sviluppare delle allergie. Ho fatto i test a Roma e i medici mi hanno confermato un'allergia alle graminacee. Mi hanno prescritto un vaccino. Queste iniezioni avrebbero dovu-to essermi somministrate in un lasso di tempo di tre mesi, nel-lo stesso giorno della settimana, alla stessa ora e soprattutto da un allergologo. Ma per me era impossibile rimanere per tre mesi nello stesso posto, in più sono abituato a farmi le iniezioni da solo e quindi ho deciso che potevo provvedere autono-mamente. Purtroppo, non mi era stato detto che si trattava di iniezioni sottocutanee, e non intramuscolari, quindi, come un idiota, tutte le domeniche mattina, alla stessa ora, mi facevo una bella puntura sulla spalla. Con questo ritmo, nel giro di tre mesi mi sono ritrovato sfinito: l'allergia era considerevolmente aumentata. In altre parole, mi ero iniettato prodotti allergiz-zanti ad altissime dosi, elevando il mio grado di sensibilità dal-le quindici alle venti volte!

E sfortunatamente da quando ho fatto questa stronzata mi è successo più di una volta di dover ricorrere a punture di corti-sone per crisi allergiche molto forti.

Per non parlare di tutte le fratture che ho riportato a causa della mia sconsiderata passione per la moto e per la velocità, tanto che i miei figli mi chiamano Robocop per la quantità di viti e placche di metallo chirurgico che ho in corpo!

Una parentesi nella mia vita di attore

C'è stato un momento nella mia carriera, circa tre anni dopo che avevo iniziato, in cui ho dovuto smettere con questo lavo-ro. È stato quando ho incontrato Tina.

Me ne stavo andando dallo studio romano di un fotografo perché, dopo due ore che aspettavo, la modella non si era an-cora presentata. Dovevo prendere un aereo la sera stessa e per nulla al mondo potevo permettermi di perderlo.

Scendendo le scale, incrocio una biondina trafelata e sfinita, che continua a ripetere: «l'm late! l'm late!».

Ci siamo guardati e io ho provato la sensazione fortissima di ricevere un colpo in pieno stomaco! Un po' com'era successo con Claudia.

Le ho tenuto la porta aperta, lei mi è passata davanti e, pri-ma che sparisse per le scale, le ho chiesto: «Excuse me, but who are you?».

«l'm a model, and I have to do some photos... But l'm late, l'm late!» L'ho accompagnata in studio. Sono rimasto lì e la sera l'ho

invitata a cena. Io ero con il mio amico Maurizio, che mi ac-compagnava, e lei con la sua amica inglese. Sarebbe dovuta andare come sempre: corteggiarla, portarla nel mio studio e poi farci sesso, magari anche una cosetta a quattro. Quella sera Maurizio e l'amica di Tina hanno fatto l'amore come pazzi sul divano di casa mia. Invece io e Tina niente, eravamo a letto, già paralizzati da un sentimento fortissimo e incapaci di fare qualsiasi cosa davanti agli altri due.

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A un certo punto Maurizio mi ha detto: «Cazzo, Rocco! È una bomba 'sta piccoletta! Una vera troietta! E la tua? Me la passi che la provo un po'?».

Io ero confuso e Tina, che aveva capito tutto, mi ripeteva sottovoce: «No, Rocco! I don't want..».

Non sapevo che fare. Con Maurizio eravamo abituati a scam-biarci sempre le ragazze, ma quando queste erano d'accordo! Quella notte, invece, Tina e io non volevamo dividere con nes-sun altro la nostra notte d'amore, la nostra prima notte d'amo-re, volevamo conservarla tutta per noi. Fare l'amore davanti a un'altra coppia avrebbe sciupato tutto. Abbiamo rimandato alla notte successiva.

Con Tina ho avuto una relazione di sesso eccezionale. Faceva-mo l'amore di continuo senza mai perdere il desiderio, né l'ec-citazione. Eravamo al tempo stesso puri e violenti come anima-li. Non avevo mai provato, prima che con Tina, qualcosa del genere. Prima di lei, non avevo mai schiaffeggiato una ragazza. Ma Tina mi aveva subito fatto capire, senza mezzi termini, che il suo piacere era anche fatto di violenza, che aveva bisogno di essere dominata con la forza e che questo non era la negazione dell'amore, né della dolcezza dei sentimenti, anzi, era qualcosa che ci isolava e che ci rendeva distanti da tutto e tutti.

Ha iniziato lei. La prima volta è stata una cosa strana. Stava-mo facendo l'amore e, all'improvviso, mi ha dato uno schiaffo-ne fortissimo in pieno viso. D'istinto gliel'ho restituito e l'ho sentita venire sotto di me, come mai prima di allora. Ho prova-to una sensazione di complicità assoluta.

Questa violenza amorosa è aumentata sempre di più nel corso della nostra storia. Una volta mi facevano male le mani a forza di schiaffeggiarla e lei continuava a implorarmi perché non riusciva a venire, allora l'ho colpita con il lato più duro della mano. Le ho fatto sanguinare il labbro, mi sono spaventato, l'ho abbracciata. «Basta, Tina, diventa pericoloso!»

E la gamma delle emozioni legate alla mia sessualità è cre-sciuta.

Ma Tina non amava il mio lavoro. Abbastanza presto mi ha chiesto di tagliare i rapporti con tutto quanto avevo intorno e, sostanzialmente, di scegliere tra il porno e lei.

Ho risposto immediatamente, senza pensarci nemmeno un secondo: «Io voglio te».

Ero molto giovane e non avevo ancora la consapevolezza di quello che volevo fare. Ho tentato così un'altra strada, quella di modello. Io e Tina abbiamo deciso di trasferirci a Londra. Sono andato subito a propormi da Gavin's Models, un'agenzia per modelli molto famosa. Purtroppo, però, in tre mesi ho lavorato un solo giorno.

Cominciavo a perdermi d'animo, ma proprio in quei giorni si è fatta viva un'agenzia madrilena con una proposta. Io e Ti-na siamo partiti per Madrid. Andava un po' meglio che a Lon-dra, i Grandi Magazzini ed El Cortes Inglés mi avevano scelto come testimonial, ma non era abbastanza. Incontravo molte difficoltà come modello, nessuno mi spiegava perché. Dopo vari casting ho cominciato ad accorgermene da solo. Avevo un corpo troppo muscoloso, troppo strutturato. Se si vuole lavo-rare in questo settore, bisogna assolutamente avere delle mi-sure standard, e non era certo il mio caso. Occorre che il mo-dello stia bene all'abito e non il contrario. E io non ero così speciale perché mi facessero dei vestiti su misura! Se riuscivo ad arrivare a fine mese era soprattutto per qualche lavoretto nella pubblicità in televisione.

Siamo partiti per la Grecia. Non era possibile proseguire in quel modo. Nel giro di poco tempo i soldi erano finiti. Non ave-vamo nemmeno il denaro per comprare da mangiare. Per quasi un mese ci siamo nutriti solo di spaghetti in bianco con un filo di olio di oliva. Appena ho preso la prima paga, siamo andati dritti al ristorante e abbiamo ordinato dieci piatti in due, tanto eravamo affamati! Ma i nostri stomaci si erano ristretti a forza di non ingerire alimenti e abbiamo potuto mangiare poco più di un piatto e mezzo a testa. Eravamo proprio al verde, ma erava-mo felici!

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«Che ne dici di tornare a fare foto di nudo insieme?» le ho detto. «Per un fotografo mio amico a Roma con il quale ho già lavorato.»

Era l'89, abbiamo rimesso ancora tutto in discussione e siamo partiti per Roma.

Questo fotografo era Riccardo Schicchi e, com'era immagi-nabile, conoscendolo, lui approfittò subito della mia situazio-ne precaria e mi disse che con Tina avrebbe potuto fare solo un set, ma che se io avessi accettato di lavorare con un'altra modella avrebbe avuto più giorni per me.

Non era facile. Tina, nonostante si rendesse conto di tutti i nostri problemi, non voleva che lavorassi con altre modelle. Accettò, alla fine, solo perché obbligata dalla situazione.

E qui ho incontrato Magica, una bella ragazza ungherese che Riccardo stava cercando di convincere da molto tempo a fare foto hard. Non appena l'ho sentita contro di me, la sua pelle sulla mia, ho avuto voglia di lei. Era un desiderio anima-le, sessuale, istinto allo stato puro, perché tutta la mia passione e il mio amore, invece, erano solo per Tina.

Tra una ripresa e l'altra, Schicchi mi ha detto sottovoce: «Roc-co, questa ragazza è pronta per fare delle foto hard, sai?».

E io gli ho risposto: «Può darsi, ma io non posso ora. Nella mia condizione, posso solo fare simulazione».

E lui ha insistito: «Dai, solo qualche foto hard. Ne hai già fat-te migliaia, chi vuoi che se ne accorga! Inoltre, prenderai tre vol-te tanto quanto ti spettava...».

Lui insisteva, io, in realtà, ero sinceramente molto tentato, e ho trovato nel guadagno quello che mi sembrava un buon motivo per accettare. Non ho pensato minimamente a quanto quelle foto avrebbero influito sul mio rapporto con Tina, ma solo che mi avrebbero dato la possibilità di uscire dalla tensio-ne della crisi economica, almeno per qualche giorno. E questo è stato l'inizio della fine con Tina.

Gli ho risposto immediatamente: «Ma a una sola condizio-ne. Se metti qualcuno di guardia all'entrata dello studio, per-ché Tina dovrebbe raggiungermi qui fra poco».

A quel tempo, però, non conoscevo granché della psicologia

femminile. Oggi so che le donne hanno un intuito fenomenale. Tina non aveva visto niente di quella seduta, ma ha sentito, appena è arrivata, che avevo fatto sesso con Magica. Me lo ha letto negli occhi. L'ha annusato nell'aria.

Mi ha subito chiesto: «Che cos'hai fatto con quella ragazza?». Io mi sono aggrovigliato tra scuse e bugie e Riccardo è scop-

piato a ridere, perché lui è di una perversità naturale e quella si-tuazione lo divertiva. Senza dire una parola Tina se n'è andata, pallida come un fantasma. Quando l'ho raggiunta in hotel, ho continuato a negare, a cercare di convincerla che non l'avevo tradita. Ma lei non mi ha mai creduto.

Siamo ritornati ad Atene. Tina era molto cambiata, mi dimo-strava indifferenza e non perdeva occasione per dirmi: «Sta' zit-to... tutto quello che sai fare nella vita è abbassarti i pantaloni e scopare».

Ho cercato di farla ragionare, di sedurla nuovamente, di ri-cordarle che se avevamo tutti quei problemi, se ci trovavamo in tutte quelle difficoltà, era perché avevo messo da parte la mia carriera di attore porno per lei.

Ma ormai era andato tutto in frantumi. Prima non smettevamo mai un attimo di fare l'amore, ora

ero costretto a masturbarmi in bagno, guardandola leggere i suoi libri a letto. Ho cercato di fare l'amore con lei tutte le not-ti. E la risposta era sempre la stessa: «Sono stanca...».

Speravo che con il tempo saremmo riusciti a ritrovare sere-nità, fino a che lei non ha cominciato seriamente a delirare e a dirmi cose assurde. «Ero la più bella modella del nudo e tu mi hai letteralmente sfondato la fica! Guardala adesso! È tutta al-largata! È colpa tua!»

Creava ogni occasione per mettermi in difficoltà, si metteva a gridare in mezzo alla gente che volevo picchiarla e spesso ho rischiato che le persone intorno mi spaccassero la faccia.

Non c'erano alternative, dovevo lasciarla. Non è stato un bel periodo. Sono tornato a Ortona. Non ave-

vo più un lavoro e da quasi due anni non avevo contatti con il mondo del porno. Tina mi cercava al telefono e io non le parla-

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vo. Era dura, soffrivo molto, ma volevo evitare di cadere di nuovo nella sua trappola. È stato l'istinto di autoconservazione che mi ha sempre salvato, anche nel mio lavoro, durante tutta la carriera. La parte razionale di me, il mio cervello, mi ha im-pedito di riallacciare i rapporti con Tina.

Quando ho trovato la forza di reagire, sono andato a Monaco dov'ero stato chiamato da un'agenzia per fare un servizio foto-grafico, ma già dalla prima notte con gli altri modelli, nella stan-za dell'hotel, ho capito subito che davvero l'universo della moda non faceva per me. Non sentivo altro che uomini che mi davano e si davano tra loro consigli estetici del tipo: "Dovresti annerire le ciglia per mettere in risalto lo sguardo, dovresti usare la cipria per farti più emaciato" e stronzate del genere. Eravamo in quat-tro, ma mi sentivo un uomo solo. Non ho dormito per tutta la notte. E la mattina avevo preso quelle serie decisioni, per la mia vita, che sarebbero rimaste incrollabili. Il mio mondo, quello in cui sentivo di poter crescere con spontaneità e piacere, era quello della pornografia e dei film hard. Mi sono imposto che non mi sarei mai più innamorato sul lavoro. E soprattutto che non avrei mai più anteposto nulla e nessuno alla mia professione. Con Ti-na avevo commesso troppi errori. Le persone non si possono cambiare, è impossibile. E a ciò che rende fondamentale lo svi-luppo e la salute della nostra vita non si può rinunciare.

Questo lavoro è dentro di me, e se Tina avesse potuto amarmi con un sentimento lucido e non fosse stata ossessionata dal sangue che le annebbiava il cervello, non mi avrebbe mai mes-so davanti a una tale decisione.

Rosa, mia moglie, l'ha capito e l'ha accettato. Sono tredici an-ni che viviamo felicemente insieme, perché con lei non ho mai dovuto essere qualcun altro.

A questo punto, dovevo rientrare nell'ambiente. Ho telefonato subito a Teresa Orlowsky, una grande pornostar tedesca che, assieme al marito, aveva rivoluzionato la produzione della pornografia creando uno studio gigantesco, supertecnologico, costato all'epoca cinquanta milioni di marchi.

Quando Teresa mi rispose al telefono, fece un grido di feli-cità nel sentirmi. Io ne fui lusingato. Mi serviva quell'emozio-ne. Come se in un cielo completamente nero alla fine ricomin-ciassi a intravedere qualche raggio di sole. Ero felicissimo. Mi disse subito di questa nuova produzione, nello studio tutto nuovo. E visto che io ero già in Germania, presi immediata-mente il primo treno per Hannover.

Su quel set mi sono veramente sentito rinascere, come se mi fosse arrivata una boccata di ossigeno che mi riportava a re-spirare a pieni polmoni. Finalmente, dopo essere stato a lungo lontano, mi sentivo di nuovo a casa. Conoscevo le regole del gioco in quell'ambiente, ero nuovamente in un universo di cui conoscevo tutti gli ingranaggi, che sapevo controllare. Non dovevo truccarmi, non dovevo adulare nessuno per ottenere sfilate o sedute fotografiche. Finalmente ritornavo a essere me stesso. Di fronte a me c'erano belle ragazze truccate e vestite in modo molto sexy che, come me, stavano lì per fare sesso.

Dopo alcune settimane ho ultimato pazientemente il mio percorso di ricostruzione per tornare di nuovo a essere final-mente il vero Rocco Siffredi, e di quella persona che era esistita al mio posto per due anni non era rimasto più nulla, l'avevo completamente smantellata. Compromessi, mezze verità, sa-crifici. Basta! Avevo deciso di fare davvero l'attore porno.

Ora era tutto estremamente chiaro nella mia testa. Volevo diventare un vero professionista. Ed è proprio questa passione per la pornografia che mi ha salvato e ha permesso la meta-morfosi.

Comunque, l'esperienza con Tina mi aveva definitivamente fatto crescere. La forza di respingere la persona che amavo mi ha dato tanta sicurezza in me stesso. Da lì ho preso l'impor-tante decisione di non indossare più nessuna maschera nelle scelte che avrei fatto nella vita di tutti i giorni, di non avere più vergogna del lavoro che avevo scelto. All'inizio della car-riera, quando conoscevo una ragazza e mi chiedeva che me-stiere facessi, io rispondevo sempre che facevo il modello. E

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vedevo nascere nella sua espressione un sorriso lusingato. Ma più venivo apprezzato come modello, più mi sentivo a disagio. Vent'anni fa un attore di film hard, nell'immaginario collettivo, non era considerato migliore di un ex carcerato o di una prostituta. Ora potevo trovare il coraggio di presentarmi come attore porno, senza paura. Non ho mai più mentito sul mio mestiere.

E, come faccio abitualmente nella vita, ho messo sul piatto del-la bilancia gli aspetti positivi e quelli negativi di questa scelta, e ho potuto constatare che i lati positivi erano superiori a quel-li negativi. Il mio lavoro mi appassionava, mi aiutava a restare vivo. Ho iniziato a rivendicarlo senza più vergognarmene. E di ciò che la società intorno avesse voluto credere di me non mi sarebbe più importato nulla. Io ero libero e felice. Nemmeno se avessi vissuto altre cento vite a Ortona, avrei ottenuto la metà di ciò che ho avuto da questo lavoro!

E ho anche deciso in piena consapevolezza di rinunciare a sposarmi un giorno e ad avere una famiglia. Sono cresciuto in un ambiente in cui l'influenza della Chiesa sulla mentalità della gente rende l'idea di famiglia inconciliabile con la scelta di un lavoro di questo genere.

Alla conquista degli States

Tanto oggi quanto in passato, se si vuol diventare una star del porno, ed essere riconosciuti come tale, bisogna prima affer-marsi negli Stati Uniti. Ecco perché ho cominciato a sognare una cosa che, a quel tempo, era semplicemente impensabile: andare direttamente sul territorio americano. Fino a quel mo-mento nessuno dall'Europa ci aveva ancora provato. Semmai era il contrario, erano gli americani che venivano in Europa e al loro confronto noi eravamo considerati dei dilettanti, attori di seconda categoria.

Quando sono arrivato negli Stati Uniti per lavorare, sapevo di dover fare i conti con un universo che mi sarebbe stato ostile.

Furono Patty Rhodes, una delle due ragazze che incontrai al 106 la sera che conobbi Pontello, e suo marito Freddy Lincoln a incitarmi a intraprendere l'avventura negli States. Loro crede-vano in me. Freddy era sempre stato affascinato dal mio modo di fare sesso, diceva che ero molto passionale, molto vero, e quando aveva saputo che ero italiano si era entusiasmato. Il suo vero cognome è, infatti, italiano, lo stesso dicasi per John Leslie, Joe Silvera e John Stagliano, Tom Byron, Alex Derenzi e molti altri.

Mi diceva: «Rocco, sei sprecato per rimanere in Europa. Va-li molto di più. Vieni in America, ti aiuteremo noi a farti un nome».

Al mio arrivo, sono rimasto loro ospite per tre mesi e mi han-no presentato a tutti i loro amici produttori e registi. Ma avevo

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questo grosso problema della lingua. Con l'inglese riuscivo a cavarmela un po', ma il mio accento italiano era ancora troppo marcato e le parole che dicevo spesso non si capivano bene. Per quasi tre mesi, la durata del permesso di soggiorno turistico, avevo lavorato solo pochi giorni e solo per Freddy e Party. Nes-sun altro mi aveva dato una possibilità. Era veramente difficile convincere gli americani che qualcuno che non fosse dei loro potesse comunque far parte del loro sistema.

La mia prima scena in America fu con Britney Morgan, una biondina pimpante. Eravamo su un letto e, prima ancora di iniziare le riprese, lei era in ginocchio davanti a me con le sue unghie finte (era la prima volta che le vedevo, da noi non si usavano), mi graffiava le gambe e mi diceva con una voce ar-rapante: «Oh baby, give me your big code».

Io cercavo in tutti i modi di distrarmi, non ero abituato a tanta enfasi; da noi, se il regista non dava l'azione, l'attrice non ti toc-cava neanche con un dito. C'era una sorta di strana mentalità, ti-po: se inizio a succhiarglielo prima del ciak pensano che io sia una troia. Più di una volta mi è capitato che le attrici non si con-cedessero completamente nemmeno durante la scena e, quando gliene chiedevo la ragione, mi rispondevano: «Se mi vede qual-cuno che conosco, almeno non mi prende per una troia».

Come se nel ciucciare bene un cazzo o nel godere come una troia ci fosse qualcosa di sbagliato!

Una settimana prima che scadesse il visto ho ricevuto una te-lefonata da John Leslie, il più grande pornostar degli anni Ot-tanta insieme a John Holms, che nel frattempo era diventato uno dei registi più ambiti del momento. L'avevo conosciuto a Roma, qualche anno prima. Adesso stava iniziando a girare un film dal titolo Catwoman. E mi proponeva un ruolo.

Quello è stato il primo semaforo verde al mio successo negli Stati Uniti. Non appena i produttori americani hanno saputo che John mi aveva fatto lavorare nel suo film, la mia segreteria ha cominciato a registrare proposte di lavoro. Sfortunatamen-te, però, il mio visto stava per scadere e dovevo rientrare subi-to in Europa, rinunciando a queste offerte.

In Europa ho girato qualche film, giusto per rifarmi finanzia-riamente, e poi sono ripartito per gli States. Il tempo di ricon-tattare i produttori e i registi che mi avevano cercato. Ma la lingua era ancora una difficoltà!

Lo stesso John Stagliano, un regista fra i più affermati negli Stati Uniti, mi fece fare un casting, ma mi disse di tornare quan-do avessi saputo parlare meglio in inglese.

Dopo quel rifiuto ero completamente afflitto. Ma la fortuna ha voluto che la fotografa Suze Randall mi chiamasse per un servi-zio per la rivista "Penthouse" con la modella olandese Zara Whites. All'epoca Zara era una classica modella di soft. Le foto dovevano essere solo erotiche e per questo motivo il mio sesso non doveva assolutamente comparire.

Ma, ovviamente, il mio problema è sempre quello di riuscire a tenerlo a bada, e la fotografa, donna di grande humour e sim-patia, con la quale poi ho legato tantissimo, mi ha detto: «Mer-da, Rocco! Dobbiamo fare del soft, se non riesci a non eccitarti, trova almeno un buco per nascondere il tuo cazzo!».

Io non sapevo che fare, ero tanto imbarazzato quanto ecci-tato.

A quel punto Zara, con un sorriso malizioso, si è voltata e mi ha detto: «Rocco, se vuoi, puoi nasconderlo dentro di me, se può esserti d'aiuto...».

E il servizio è stato straordinariamente realistico. In seguito abbiamo lavorato molto insieme, Suze era una perfezionista e i suoi servizi duravano anche cinque o sei ore! Mi adorava co-me modello.

Zara quella sera mi ha confessato che avrebbe voluto prova-re anche lei a fare l'attrice porno, così il giorno dopo ci siamo incontrati con John Stagliano e lei ha puntualizzato che la sce-na di sesso l'avrebbe fatta solo con me.

Ed è stato unicamente grazie alla scena con Zara Whites che John Stagliano ha lasciato correre il mio cattivo inglese. E così, con il film Buttman Ultimate Workout la mia carriera negli Sta-tes ha preso il volo.

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62 Io, Rocco Alla conquista degli States 63

Con John ho girato tutta la serie di Buttman negli Stati Uniti ma anche in Inghilterra, in Francia, in Italia, in Ungheria, in Canada, in Australia e nei Paesi Bassi.

Nella mia carriera ho lavorato con tutti i più grandi registi di porno al mondo, ma quando i miei fan mi incontrano mi rico-noscono soprattutto per il ruolo fìsso che interpretavo nei film di John Stagliano, Dario, un famoso attore di cinema tradizio-nale che sguinzagliava il suo amico cameraman John per anda-re a scovare donne con bei sederi, perché lui era troppo cono-sciuto e non poteva esporsi in pubblico direttamente. In quegli anni di lavoro con John Stagliano ho avuto la fortuna di vedere e testare i più bei culi del mondo...! John Stagliano ha una pas-sione sconfinata per i culi, ecco il perché del nome Buttman.

Gli americani non erano abituati a vedere un attore europeo re-citare tra loro e quindi si mostravano molto diffidenti. E stato duro riuscire a convincerli e provar loro che valevo davvero.

Quando ho iniziato a girare anche per altri registi, la mia vita si è complicata ulteriormente. Quelli un po' più nazionalisti mi hanno reso il lavoro estremamente difficile. Avevo conosciuto diversi attori americani in Europa, come Billy D., Randy West, Jerry Butler, e con alcuni di loro era nata una forte amicizia. Ma poi, una volta là, le cose sono cambiate molto. Era come se non mi avessero mai conosciuto prima, probabilmente non crede-vano che sarei davvero arrivato negli States...

Ricordo un set teso e imbarazzante dove Randy West spesso gridava contro il regista di spiegargli per quale cazzo di moti-vo si ostinava a lavorare con un immigrato italiano: «What a fuck! Why have you gotta work with these silly immigrants?».

E meno male che lui era uno di quelli che mi dicevano: «When you'll come to USA, you'll he my guest, man»l

Senza presunzione posso dire che se oggi gli attori europei sono molto più rispettati e accettati negli Stati Uniti il merito è sicuramente in gran parte mio. Si sono ritrovati a percorrere una strada già spianata.

Quando ho ricevuto il mio primo Oscar, a Las Vegas nel 1991, ero davvero commosso nel tenere tra le mani questo trofeo, non solo perché è il più prestigioso di tutti, ma perché questo signi-ficava che ero stato definitivamente accolto dal grande circo del porno americano. Dopo aver incontrato così tanti ostacoli, l'im-migrato otteneva finalmente la sua rivincita e tutto ciò mi riem-piva davvero di soddisfazione.

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Il caro prezzo della gloria

Oggi mi rendo conto che i miei primi sette, otto anni di vita da attore sono stati i più divertenti e i più spensierati. Quando la fama è arrivata agli inizi degli anni Novanta, quella leggerezza d'animo con cui avevo iniziato è scomparsa e mi sono ritrova-to in una situazione molto più delicata e complicata da gestire, poiché, oltre a essere attore, avevo deciso di passare dall'altro lato della camera ed ero diventato regista e produttore. Da un lato c'erano la pressione delle aspettative mediatiche e quella di gestire così tanti problemi di carattere produttivo che prima di allora non avevo mai affrontato, dall'altro, inevitabilmente, erano cambiati tutti i piani di relazione con gli altri colleghi, at-tori e attrici. Le ragazze che dovevano girare con me mi aveva-no in qualche modo messo sul piedistallo e i rapporti umani erano mutati. Mi rattristava, soprattutto, l'atteggiamento delle attrici nei miei confronti. Mi vedevano più come una star che come un loro collega. E i registi non facevano che appesantire questa situazione.

«Ti rendi conto? Lavori con Rocco Siffredi!» Venivo continuamente contattato da attrici che desiderava-

no lavorare con me solo perché, mi dicevano, volevano vincere l'Oscar per "la miglior scena di sesso", visto che io me lo acca-parravo ormai tutti gli anni.

Questa cosa mi deprimeva moltissimo. È stato allora che ho capito che il divertimento puro, ormai, era finito. Tutto era di-ventato meno spontaneo, meno naturale. E, sessualmente par-

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66 Io, Rocco Il caro prezzo della gloria 67

lando, non è il massimo se fai questo lavoro con l'obiettivo di dare il meglio di te.

Un'altra tristissima conseguenza del passaggio nei ranghi delle star internazionali è stata che alcuni miei colleghi hanno iniziato a invidiarmi e certi, addirittura, a odiarmi nel senso più stretto del termine. Capisco la competizione, che mai co-me oggi predomina nell'esistenza dell'uomo - sei obbligato a rincorrere la posizione di numero uno altrimenti sei tagliato fuori -, ma credo che i miei colleghi non abbiano avuto alcun ritegno.

Mi riferisco, soprattutto, agli attori che miravano a prendere il mio posto. Alcuni di loro hanno veramente fatto di tutto per mettermi fuori gioco, con ogni mezzo che avevano a disposi-zione. Basta appena un mal di denti per pensare male di un at-tore di film porno, figuratevi se comincia a girare la voce che ha contratto il virus dell’HIV!

Per dieci anni, con regolarità, hanno fatto circolare queste sim-patiche dicerie sul mio conto. Potete immaginare il mio stato d'animo quando una ragazza veniva sul set e mi chiedeva il re-ferto del test dell'HIV... Ovviamente, con una tale reputazione, il minimo dolore, raffreddore o malessere sembra subito accre-ditare le voci che corrono nei corridoi. Oggi presentare il test dell'HIV a ogni ripresa è obbligatorio e sono convinto che sia giustissimo. Tuttavia, all'epoca era già tanto se se ne parlava, e per me era diventato davvero molto faticoso dover affrontare una tale sporca menzogna. Questa storia me la sono portata dietro per qualche anno, con cattiverie reiterate e gratuite che avevano l'intento di demolirmi psicologicamente.

Ho ricevuto telefonate da amici e produttori che si preoccupa-vano, non solo per me, ma anche per la mia famiglia.

Una volta ha chiamato un mio distributore. «Pronto Rocco! Abbiamo appena saputo da Internet che hai contratto L'AIDS... Sii forte, non ti preoccupare, ora si può curare!»

Ma la volta che in assoluto mi sono incazzato davvero è sta-to quando hanno toccato la mia famiglia.

Un direttore di produzione tedesco mi ha chiamato in piena notte e mi ha detto: «Rocco, so che la vita può essere crudele, ma bisogna che tu sia forte. Capisco che è molto dura per te, e che è ingiusto. Ma fatti forza, ti prego...».

Erano circa le tre del mattino, ero in pieno sonno e non capi-vo assolutamente quello che voleva dirmi. «Ma che dici? Di che parli?»

«Rocco... Mi hai appena chiamato tu...» «Ma che cazzo dici? Come facevo a chiamarti se stavo dor-

mendo!» E lui è caduto dalle nuvole. «Cosa? Ma era la tua voce, un

attimo fa al telefono, mi hai detto che volevi suicidarti!» Allora ho iniziato a capire. Credo di essere riuscito appena a

sospirare: «Ma sei ubriaco? Se è uno scherzo è di cattivo gusto». E lui, ancora più convinto di prima: «Te lo giuro, Rocco! Mi

hai appena detto che volevi suicidarti perché avevi saputo di aver trasmesso l'AIDS a tua moglie e a tuo figlio!».

Io ero furioso, il sangue mi è arrivato fulmineo al cervello, ero scioccato, una belva feroce, non ho più chiuso occhio. Era-no riusciti a colpire il mio punto debole, minando la mia in-crollabilità. Mi avevano colpito nell'intimo!

Fino a quella notte non avevo dato troppo peso alle dicerie e alle cattiverie Ma a quel punto ho cominciato a fare delle ricer-che. Mi sono chiesto se la fonte di questa meschinità fosse diret-tamente lui o qualcun altro. Alcuni dicevano che dietro questa storia di cattivo gusto c'era un produttore tedesco, e altri, inve-ce, che si trattava di un attore francese. Ho iniziato a indagare per conto mio e alla fine ho scoperto che erano entrambi coin-volti, coalizzati contro di me.

Solo che l'attore francese lo faceva con molta più cattiveria, convinta, ostinata.

Lui aveva debuttato nel cinema porno uno o due anni prima di me. Quando io ho cominciato lui era considerato la star del-l'epoca. Il mio ingresso in questo mondo lo aveva oscurato, mi ha visto immediatamente come quello che avrebbe messo in se-ria crisi la sua carriera e si è accanito contro di me fin dall'inizio. Era diventato l'eterno secondo. Ma essendo lui un lucidissimo

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68 Io, Rocco Il caro prezzo della gloria 69

stratega, ha cominciato dapprima facendo di tutto per conqui-stare la mia amicizia, si spacciava per il mio migliore amico per entrare nella mia intimità e potermi osservare da vicino. Nella mia ingenuità da ventenne, io non capivo perché ostentasse tanta generosità nei miei confronti. Quando uscivamo la sera, dopo le riprese, prima di tornare a casa lui si fermava sempre davanti a un locale pieno di prostitute e mi diceva: «Dai, Rocco, divertiamoci» e pagava sempre lui. Non capivo perché mentre io avevo rapporti completi lui si limitava a toccare i seni delle donne, fingendo di masturbarsi. Oggi immagino che lo facesse nella speranza che il giorno successivo sul set avrei avuto pre-stazioni scarse.

Altre volte, per mettermi in difficoltà, veniva da me dicendo-mi: «Hai visto quella che ti devi scopare tu? Ha le unghie nere e putride. Secondo me non si lava neppure...».

Poi, quando ha visto che niente faceva veramente presa su di me e sulle mie prestazioni sessuali, è passato ad altro, qualcosa di più diabolico, più a effetto. Ha cominciato a far circolare quelle voci ignobili di cui parlavo prima. Andava anche dalle attrici per dir loro: «Non lavorare con Rocco. È violento, ti farà del male. E poi non dimenticare che tutti dicono che ha l'AIDS». Oppure: «È importante che tu lavori con Rocco, è il numero uno. Ma poi, ti avverto, ci sarà l'ambulanza fuori dal set ad aspettarti». È dura quando comincia a creartisi intorno questo genere di ambiente.

Ma se fin qui qualcuno potrebbe ritenerla pura competizio-ne, quello che ha fatto in seguito è stato degno di un serpente velenoso. Un giorno un ex legionario che gli aveva fatto da guardia del corpo per tre anni, e con il quale aveva finito per rompere ogni rapporto, è venuto a confessarmi tutto quello che sapeva. Durante il periodo in cui aveva lavorato per lui avevano parlato soprattutto di come eliminarmi. Mi ha spie-gato che era ossessionato da questo desiderio. Il legionario stesso si era proposto per spezzarmi le gambe, ma il francese aveva bocciato questa soluzione, ritenendola troppo pericolosa perché palesemente riconducibile a lui nell'ambiente. Aveva pensato, piuttosto, a una cosuccia raffinata per mandarmi

in galera. Si trattava di introdurre sui miei set una minorenne con documenti falsi, che poi, una volta finito di girare, sarebbe andata subito a sporgere denuncia contro di me. Se questo piano gli fosse riuscito, certo, sarebbe stata una soluzione de-finitiva! Aveva offerto al legionario un sacco di soldi per at-tuare questo piano.

Ho preso il telefono e ho chiamato questo psicopatico, con il quale non avevo rapporti da più di tre o quattro anni. Ho ten-tato di fargli capire la gravità di quello che aveva intenzione di fare. Pensavo soltanto: se questo progetto fosse andato in porto e fossi finito in prigione, che cosa ne sarebbe stato di mia moglie e di mio figlio? Lui, come immaginavo, ha negato tutto. Io conoscevo la sua perfidia e il suo carattere ossessivo, era davvero capace di arrivare a tanto, ne sono assolutamente convinto. D'altra parte non sono stato né il primo né il solo che ha cercato di togliere di mezzo. Una volta, a Parigi, ha re-clutato alcuni maghrebini armati di coltello per spaventare un altro attore.

L'invidia è stata una componente costante della mia carriera. Sebbene spesso sia rimasto veramente senza parole, profonda-mente disgustato da tutte le voci che facevano circolare su di me e, cosa ben peggiore, dalla situazione in cui veniva trasci-nata anche la mia famiglia, ho sempre cercato di spingermi ol-tre e tentare di vedere il lato positivo. In un certo senso più mi invidiavano, più mi rendevano forte. Era come se riuscissi a prendere le loro energie e a metabolizzarle a mio vantaggio. La loro crudeltà forgiava ancora di più la mia forza di volontà. Più loro cercavano di tirarmi verso il basso, di affossarmi, più io mi creavo una barriera di protezione contro le loro bassezze. L'invidia è davvero il peggiore tra i sentimenti. Non ti aiuta a crescere ma semmai a sprofondare. Perfino alcune donne, seppure fortunatamente un'esigua minoranza, non mi hanno certo risparmiato. Ci sono state delle ragazze che si sono mes-se in competizione con me. Tentare di non farmi avere un'ere-zione sembrava l'ultima specialità sportiva in voga. È para-dossale, no? Per una donna non dovrebbe essere visto come

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70 Io, Rocco

qualcosa di positivo non riuscire a eccitare il proprio partner! Nel caso di queste attrici, era una sfida. Era come se riuscire a non fare avere un'erezione a Rocco Siffredi dovesse essere qualcosa di cui vantarsi!

Quando ripenso a tutte queste grane, riconosco che effettiva-mente sono cominciate quando ho vinto il mio primo Oscar a Las Vegas e quando, l'anno successivo, a Cannes ho ricevuto l'Hot d'Or come miglior attore del cinema hard. Da allora a og-gi, ho ricevuto più di cento riconoscimenti! Vi state chiedendo se li danno con i punti del supermarket? Il fatto è che ci sono numerose manifestazioni in tutto il mondo.

All'inizio l'Adult Video News di Las Vegas, sponsorizzata dall'omonima rivista, era l'unica manifestazione di premiazio-ne, e ancora oggi resta la più attendibile. In seguito ne sono fiori-te molte altre in Europa, prima fra tutte l'Hot d'Or di Cannes, che è durata meno di dieci anni, sponsorizzata dalla rivista fran-cese di settore "Hot Vìdeo".

Ricevo costantemente inviti, ma mi è impossibile presenziare a tutte le manifestazioni. Sono arrivato al punto che purtroppo non vado più nemmeno a ritirare i premi che mi vengono asse-gnati. Fra tutte le premiazioni, la più divertente, ma anche la più imbarazzante, di cui sono stato protagonista indiretto è il Best Wide Ass (cioè "il miglior culo aperto"). Ci tengo a puntua-lizzare, però, che il culo non era il mio, ma quello dell'attrice, e se ero imbarazzato io, figuratevi lei che ha dovuto ritirare il premio davanti a qualche migliaio di persone. Quando siamo saliti sul palco, tutto il pubblico rideva e lei, un po' imbarazza-ta, ha ringraziato frettolosamente ed è scesa! Per fortuna non ha ringraziato mamma e papà come ho visto fare altre volte. Comunque, questa manifestazione è durata soltanto un anno…

Credo che gli Oscar siano serviti a fare di questo lavoro un mondo un po' più dignitoso. Senz'altro hanno motivato attori e registi a impegnarsi in produzioni più laboriose.

I miei rapporti con i fan

Diventare una celebrità, dall'oggi al domani, non è un cambia-mento della tua vita che affronti e gestisci in modo facile. Le re-gole del gioco sono dure, il fatto è che l'unico modo che hai per impararle è giocare. Ora fa parte di me, e sono piuttosto sereno, ma il prezzo da pagare è stato alto. E lo è tuttora. Ci sono mo-menti in cui vorresti diventare invisibile. Io adoro stare in mez-zo alla gente, così, normalmente, come uno qualsiasi, ma è un lusso che a un certo punto puoi concederti di rado. So che alcu-ne persone pagherebbero oro per essere al mio posto, per poter-si mostrare sugli schermi televisivi, vedersi sui giornali, parlare alla radio, partecipare alle cene di gala. Ma quando gli impegni di lavoro sono davvero molti, cerchi di ritagliare più tempo possibile per stare anche con la tua famiglia. Io sono uno che ama stare a casa, con la moglie e i figli, nella mia sfera privata. Con le persone che mi cercano sono disponibile, non mi sono mai sottratto ai miei fan. Abbiamo un rapporto importantissi-mo, da sempre, di profondo e reciproco rispetto, perché quello che ricevo da loro è l'energia che restituisco con il mio lavoro.

Una volta, per la promozione del film Romance, durante il Festival di Cannes, mi ricordo che un bambino, non avrà avuto più di dieci o undici anni, mi è passato davanti con sua madre, si è bloccato indicandomi e ha gridato: «Guarda, mamma! È Rocco Siffredi! L'uomo col cazzo più grande del mondo!».

Sua madre è diventata rossa come un peperone e si è dilegua-ta col figlio in mezzo alla folla. Sicuramente quel bambino non

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72 Io, Rocco

guardava i miei film, ma la televisione sì, e forse aveva sempli-cemente registrato e ripetuto quello che i media dicono di me.

In quell'occasione, l'organizzazione aveva assolutamente voluto darmi delle guardie del corpo. Io non volevo, perché non è nella mia mentalità. Ma quando mi sono trovato in mezzo alla folla, con mia moglie e mio figlio appena nato, il pubblico entusiasta ed elettrizzato, i fan che ci sono letteralmente saltati addosso, ho avuto paura per il piccolo e ho accettato la sicurezza dei bodyguard.

Ricevo migliaia di lettere e soprattutto di e-mail dai fan di tutto il mondo. A volte sono davvero sbalorditive!

Ci sono mariti che mi offrono soldi per fare sesso con le loro mogli. Mi ricordo che un ricco gioielliere di Napoli mi contattò per passare un paio di settimane con lui, la moglie e altre cop-pie di amici sul loro yacht privato, come guest star delle mogli.

Una delle lettere più curiose che ho ricevuto è stata quella che è arrivata da Kansas City, in cui mi si chiedeva quanto co-stasse una prestazione di sesso privata. Ho risposto che non ne facevo, e l'altro mi ha scritto una seconda lettera in cui esprime-va tutta la sua disperazione. Mi è sembrato incredibile, mi sen-tivo a disagio per un uomo che nemmeno conoscevo. Lui era un habitué dei film porno e la moglie ne era molto seccata. Però, quando casualmente lei si era imbattuta in uno dei miei film, erano riusciti a trovare un compromesso, li avrebbero visti insieme e solo quelli in cui recitavo io.

Pian piano, però, le cose si sono complicate. All'inizio le bastava chiamarmi Rocco mentre facevamo l'amore, poi mi ha chiesto di parlarle in italiano e io ho imparato qualche parola per compiacerla, e poi la situazione è degenerata. Essere te mi creava troppa confusione... Sono andato da uno psicologo e lui mi ha detto che il rimedio più efficace era lo stesso che funzionava con i bambini che fanno i capricci per qualcosa. Quando l'hanno ottenuta, non ne hanno più bisogno. «Se sua moglie vuole questa cosa gliela dia.»

I miei rapporti con i fan 73 C'era poi un'altra fan che voleva fare a tutti i costi sesso con

me. Il suo uomo aveva escogitato di farle girare un film porno con me, come regalo di San Valentino. Ci siamo incontrati a Pa-rigi per le riprese e alcuni mesi dopo mi hanno mandato un'e-mail in cui mi ringraziavano moltissimo perché questo episo-dio aveva fatto nascere tra di loro una maggiore complicità e ora finalmente aspettavano un figlio che avevano desiderato da tempo, ma che sembrava non arrivare mai.

L'e-mail che mi ha fatto più tenerezza in assoluto, invece, è stata quella di un ragazzo australiano di Melbourne che mi in-vitava a casa sua e mi diceva di non preoccuparmi dei soldi del biglietto perché li stava mettendo da parte lui per comprarme-lo. Aveva una fidanzata di diciotto anni che era una mia gran-dissima fan e lui aveva deciso di farmela conoscere. E aggiunse: «Quel che deve succedere, succeda!». Non ha pensato nemme-no per un attimo che avrei potuto dire di no, ma la cosa davve-ro divertente era la foto che mi aveva inviato della sua ragazza abbracciata ai nonni materni...

In vent'anni di carriera ho incontrato molte ragazze che hanno iniziato a fare le attrici dopo essere state prima mie fan. Alcune di loro a quindici anni avevano la mia foto sui diari di scuola e la loro speranza era di incontrarmi sul set. Infatti, il più delle volte, quando mi è capitato di lavorare con alcune di loro, non riuscivano a rilassarsi mai completamente per la troppa emozione. Questo per me era molto toccante, perché si trattava non più solo di sesso, ma di qualcosa di più profondo, quella particolare forma di "affetto" che si sviluppa quando si proietta il sentimento di fiducia e di stima sul proprio idolo.

Quando ho deciso di smettere di fare l'attore, ho ricevuto delle e-mail davvero commoventi. Alcuni miei fan mi chiedevano cosa avrei fatto, altri mi invitavano a continuare. Ce n'è stata una in particolare, di un ragazzo di un paesino simile a Ortona, sempre in Abruzzo, che mi diceva: "Rocco! Pensa tu quanta ne hai avuta se hai deciso di smettere! Oggi tu lasci tutto. Ma qui c'è un ragazzo con i tuoi stessi sogni, stesse ori-

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74 Io, Rocco I miei rapporti con i fan 75

gini e stesse problematiche di vita che potrebbe cominciare a sognare davvero solo se tu gliene dessi l'occasione". Mi ha sbalzato immediatamente indietro di venticinque anni, a quando al suo posto c'ero io... Mi ha fatto riflettere su quanti ragazzi ci siano, sparsi in questi paesini, ragazzi con sogni, speranze, voglio dire in ogni campo, che non sanno davvero da che parte prendere il proprio sogno per poter cominciare a costruirlo.

Tra le cose che avrei dovuto conservare, sicuramente ci sono tutti i messaggi registrati sulla mia segreteria telefonica. Ce ne sono stati di tutti i colori, generi e specie. Una volta il mio ufficio è ri-masto chiuso per ferie due settimane. Quando la mia segretaria è rientrata ha trovato più di cento messaggi della stessa ragazza lasciati a decine ogni giorno.

Dove lo trova uno il tempo di lasciare cento messaggi? E la cosa più incredibile di quella storia è che nonostante mi avesse lasciato cento volte il suo numero di telefono, quando ho deciso di richiamarla, mi ha risposto un operatore automatico che diceva che il numero non era più attivo!

Rispondo sempre a tutte le e-mail che ricevo. A tanti ho da-to l'occasione di lavorare nei miei film, credo di essere stato uno dei pochissimi registi a utilizzare ragazzi non professioni-sti. Spesso inserivo scene di gruppo proprio nella speranza di individuare nuovi talenti, ho perfino fatto interi film con attori non professionisti, ma nel momento in cui dovevano lavorare da soli con le partner femminili, per loro diventava impos-sibile. La presenza della camera li inibiva completamente!

Naturalmente, ne uscivano molto delusi, e non era sempre semplice spiegare a questi ragazzi che fare sesso davanti a una telecamera non è cosa da poco. Spesso dicevo loro: «Ragazzi siete voi quelli normali, gli anormali siamo noi!».

In uno dei miei ultimi film ho voluto dare un'opportunità a due fratelli che avevo incontrato a un salone dell'erotismo a To-losa. Insistevano di voler fare dei film con me, si erano già tro-vati perfino il nome d'arte, i Barbarian Brothers, per la loro pre-sunta "bestialità" sessuale. Mi hanno così tanto tartassato di

e-mail che li ho fatti venire a Budapest. Ma appena si sono ritro-vati sul set, si sono trasformati in due ragazzetti pietrificati dalla timidezza. A un certo punto, uno dei due ha avuto un'erezione e, non appena l'attrice glielo ha preso in bocca, è venuto immediatamente. Allora l'altro mi ha chiesto di mostrargli co-me l'avrei fatta io quella scena! Avevo messo in conto che sareb-be finita così, avevo previsto il loro fallimento. Sono entrato in scena, ma ho lasciato comunque che assistessero. Ho consiglia-to loro di cominciare da produzioni più modeste e meno im-pressionanti. E giusto qualche mese fa mi hanno chiamato di-cendo che nel frattempo hanno lavorato molto in Francia e sono pronti a girare un film con me.

Nella maggior parte dei casi questo tipo di esperienze si ri-vela un fiasco, è molto rischioso dal punto di vista economico, puoi buttare via l'allestimento di un set. Ciò non giova né agli attori né alla produzione. Per questo continuerò sempre a ri-petere che quello dell'attore porno è un vero e proprio lavoro. Non puoi improvvisarlo.

Vorrei davvero poter trovare il modo per insegnare questo mestiere a qualcuno.

Se il lavoro può ancora riservarmi una grandissima soddisfa-zione, potrebbe essere proprio questa! Mi frulla in testa da un po' l'idea di aprire una scuola per attori di cinema porno, esat-tamente come quelle di arte drammatica. Chi lo sa! Comunque ho in progetto di fare molto presto un film didattico, utilizzan-do aspiranti attori o, se vogliamo, "studenti", mettendoli insie-me ad attori professionisti affinché possano imparare tutte le tecniche e le difficoltà che si incontrano in questo lavoro.

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Rocco's style

Spesso nella mia carriera mi sono ritrovato a dovermi difen-dere da critiche sulla mia cosiddetta "esuberante energia" o "troppa violenza". La scena che viene sempre tirata in ballo dai media quando vogliono discutere di questo argomento è quella famosa del bagno nel film Sandy l'insaziabile, in cui, du-rante un rapporto anale, io infilo la testa dell'attrice francese Sidonie nella tazza del cesso e tiro l'acqua.

Ho incontrato questa ragazza a Parigi, me l'ha presentata Alban Ceray, un grande pornostar degli anni Ottanta, che mi ha detto: «Rocco, conosco una parrucchiera che adora il sesso a trecentosessanta gradi, adora essere dominata e il suo sogno è fare un film con te».

Io stavo preparando il mio nuovo film a Roma e le ho pro-posto una parte.

Prima della scena le ho chiesto, come faccio in genere con tutte le attrici, se c'erano cose particolari che voleva o non vo-leva fare.

Lei con un gran sorriso mi ha detto: «Fammi tutto quello che vuoi, sono tua».

La scena nel bagno era una scena molto passionale, con un crescendo di energia molto forte. Durante il rapporto anale con Sidonie mi sono reso conto, appena l'ho penetrata, che ero entrato nella sua testa. Lei si è girata e, con quello sguardo ti-pico della donna che ti si sta sottomettendo, che non puoi non riconoscere se almeno una volta l'hai già visto, mi ha autoriz-

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78 Io, Rocco Rocco's style 79

zato a fare di lei qualunque cosa! La scena ha avuto un cre-scendo forte e passionale, e quando ho visto il suo volto ap-poggiato sull'orlo della tazza, istintivamente le ho infilato la testa dentro e ho tirato lo sciacquone sui suoi lunghissimi e bellissimi capelli biondi. E lì, per un attimo, il dubbio che po-tesse avere una reazione incazzata mi è venuto, ma niente di tutto questo: lei si è girata e mi ha abbracciato e baciato. Da quel momento, per quasi un anno, ho avuto difficoltà a lavo-rare con questa ragazza, perché si era completamente invaghi-ta. Ma questo non sarebbe stato un problema se non fosse di-ventata una maniaca ossessiva che mi ha perseguitato, che ha cercato di intrufolarsi nella mia famiglia in ogni modo per po-ter avere informazioni su di me. Faceva praticare riti di magia su di noi e soprattutto su mia moglie. Siamo stati vittime della sua ossessione morbosa per diverso tempo.

Dopo questo episodio i colleghi e i media che non hanno par-ticolare simpatia nei miei confronti si sono serviti della storia per cucirmi addosso l'immagine di personaggio violento. Non ho avuto la benché minima voglia di lasciarmi trascinare in una querelle del genere. Cosa avrei dovuto fare? Smentire con sottotitoli, o inserire didascalie esplicative nei miei film? Ma per favore! Io odio il politically correct e non renderei mai il ses-so meno animalesco di quanto lo è stato in scena.

Dall'esterno, alcune scene possono sembrare violente, è ve-ro. Ma, nel tempo, ho potuto constatare che queste accuse mi venivano rivolte o da chi aveva bisogno di strumentalizzarle, o da chi manifestava chiare inibizioni rispetto alla propria ses-sualità!

Tutti i miei più grandi detrattori, e parlo di registi, attori e produttori che fino a qualche anno fa trovavano che la mia sessualità fosse troppo violenta, oggi sono tutti, e quando dico tutti non esagero, passati a fare film per cui la parola "hard" non è più esaustiva!

Io ho sempre tratto l'ispirazione per la mia sessualità da una ricerca pura infinita, senza sottostare ad alcun cliché formale, e soprattutto l'ho sempre vissuta con la mia partner, cercando

con lei nuove emozioni e sensazioni. C'è un momento speciale in cui la propria partner, sul set così come nella vita, si concede a tutte le fantasie immaginabili. I miei colleghi che invece han-no visto nel sesso estremo solo un'opportunità economica, l'hanno fatto dimenticando dettagli fondamentali che motivano questo tipo di sessualità, senza capire che, soprattutto in casi simili, si richiede molta più sensibilità. La maggior parte delle scene è senza coinvolgimento o, ancor peggio, il coinvolgimen-to è maldestramente simulato, e la violenza è forzata e gratuita. Non è possibile che, a scena appena iniziata, le attrici si ritrovi-no un paio di schiaffoni o qualche sputo in faccia invece di un bacio passionale! Come si può essere credibili? Come si può en-trare in sintonia con la psicologia femminile? Io credo che fare semplicemente l'attore porno, senza avere passione per la ricer-ca del piacere, non sia sufficiente a capire le donne. Io adoro ve-der godere le donne, godo a essere il mezzo che utilizzano per conoscere di più la propria sessualità, mi piace che tirino fuori, attraverso di me, aspetti della loro sessualità che fino a quel momento erano rimasti sconosciuti e inappagati.

Spesso molti attori, anche affermati, mi hanno raccontato che i registi chiedevano loro di guardare i miei film per spiegare co-me volevano che la scena venisse fatta.

Dicevano: «Do it like Rocco's style». Per un verso, oggi mi fa piacere sapere che per molti il mio

stile è considerato innovativo e ha contribuito a cambiare l'a-spetto della pornografia classica. Sono stato copiato ed emula-to in centinaia di film, mi dispiace solo che forse non tutti mi abbiano saputo capire, per quanto io abbia cercato di rimarcare quella sottile linea che separa la passione e il coinvolgimento dalla violenza gratuita. La carica sessuale che si trova nei miei film proviene direttamente dalla mia passione per il sesso. Piacere e finzione sono due concetti che non frequentano gli stessi luoghi.

Spesso nei miei film si ha l'impressione che io abbia sempre il ruolo di macho. Tuttavia sono stato anche pesantemente cri-ticato quella volta che cinque ragazze inglesi erano venute da

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me a dirmi che avevano una fantasia "proibita" in comune, quella di dominarmi. Non mi hanno detto cosa mi avrebbero fatto. La cosa mi ha eccitato moltissimo e quindi ho accettato.

Sono arrivato da loro, mi hanno travestito da donna, trucca-to, infilato tacchi a spillo e poi legato a una croce. Queste cinque ragazze mi hanno cosparso il corpo di cioccolato e marmellata e mi si sono avventate addosso barbaramente. Avevo lingue dap-pertutto. Mi hanno leccato e dominato per diverse ore. Per me è stata comunque un'esperienza straordinaria! Quando, finalmen-te sfinite, mi hanno liberato, avevo gambe e piedi a pezzi a cau-sa dei tacchi a spillo!

Il mio amico regista Pierre Woodman mi ha detto: «Cazzo, Rocco! Tu sei il nostro eroe, sei il simbolo della virilità, sei il nostro incontrastato Rocco Siffredi... A che cazzo ti è servito vestirti da donna e farti dominare?».

Ecco, pormi una domanda come questa significa cercare di limitarmi in quello che amo di più: fare sesso.

E così pure sono stato criticato per aver interpretato, nel ci-nema tradizionale, il ruolo di un omosessuale. Io non ho mai avuto problemi di identità e perciò entrare nella parte dell'o-mosessuale non mi creava alcun fastidio, al contrario, senza dubbio per me è stato uno dei ruoli più belli che abbia mai in-terpretato. Tuttavia, è un sottile meccanismo inconscio che posso capire. Il mio pubblico è abituato a vedermi fare sul se-rio, non a vedermi fingere. Il punto è che a criticarmi è stato non il pubblico, ma il mio stesso ambiente. I primi moralisti stanno proprio nel porno: qui dominano categorie molto rigi-de, quelle di una libertà sessuale canalizzata dentro uno sche-ma ben preciso. Ne sa qualcosa, per esempio, Peter North, un vero mito del porno americano in auge da più di venticinque anni; eppure in tutto questo tempo ha dovuto sopportare di sentirsi ripetere sempre la stessa storia: "È frocio, ha fatto film gay". Io conosco bene Peter, la sua sfortuna è stata solo quella di iniziare la sua carriera con un film gay.

La stessa Catherine Breillat, la regista francese con la quale ho girato Romance, un giorno mi ha chiesto di farmi fare un pom-pino da un uomo.

Io, per ovvi motivi, ho risposto di no, e lei si è messa a ride-re, dicendo: «Nel mio ambiente, dagli attori con i quali lavoro sono abituata a sentirmi dire "questo lo faccio e questo no", ma sentirlo da Rocco Siffredi mi pare inconcepibile».

Questo piccolo episodio fa riflettere su quanto, perfino nel nostro ambiente, la libertà sessuale sia più presunta che effet-tiva.

La rivista "Hot Video" per le nomination degli Hot d'Or a Cannes, per esempio, non ha mai fatto concorrere un film che mostrasse scene di sesso vero, libero, passionale, estremo, uno di quei film che ti scuote dentro e che devi vedere da solo per-ché in compagnia ti provoca imbarazzo. Nonostante questi film avessero l'approvazione non solo della critica del pubbli-co ma anche delle vendite. Piuttosto sono sempre stati preferi-ti quei film dalle scene di sesso composte e "morigerate", un genere che, non per niente, si è dimostrato un fallimento e ora è completamente morto.

Vi sembrerà assurdo, ma c'è ancora molta gente che cerca di darsi risposte sulla sessualità. Soprattutto degli altri! La presen-tatrice di un'emittente televisiva italiana mi ha fatto un'intervi-sta in cui ha sostenuto per tutto il tempo che il sesso anale è sba-gliato e mi ha accusato di praticare sodomia sulle attrici. Secondo lei l'ano serve solo per andare di corpo e la vagina, in-vece, è stata creata appositamente per il sesso.

E gli omosessuali allora? Sono tutti pervertiti? E le donne alle quali piace il rapporto anale più di quello vaginale?

Mentre questa conduttrice parlava di cose che nemmeno conosceva, a me tornava in mente quella mia amica americana che, dopo ore di sesso, mi aveva detto: «Okay, Rocco. Fammi godere adesso...».

«Cosa?» le avevo risposto. Ero sicurissimo che fosse già ve-nuta più di una volta.

Ma lei senza dire niente, mi aveva guardato, sorridendo ma-liziosa, si era tolta il sesso dalla vagina e se l'era messo dietro.

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Dopo qualche minuto l'avevo sentita godere come raramente ho sentito godere una donna.

Stando a quanto la conduttrice sosteneva, la mia amica era senz'altro da denunciare all'Inquisizione... Per fortuna, su una cosa eravamo d'accordo, il pene si poteva usare, e non tirarlo fuori solo per pisciare!

L'ipocrisia dei media

Ho costruito tutta la mia vita all'insegna del coraggio e della libertà di essere me stesso.

Se evito di espormi ai media, sia in Italia sia in Ungheria, dove vivo, limitando all'indispensabile le mie apparizioni te-levisive, è senz'altro per proteggere la riservatezza della mia famiglia e per poter vivere il più possibile in mezzo alla gente.

Dal momento in cui appari in televisione, devi mettere in conto che qualcosa di tuo, di molto intimo, è perduto. Diventi un prodotto televisivo e non importa più quello che sei, ti tra-sformi immediatamente in un messaggio massificato. Non mi piace la paura preconcetta della televisione degli ultimi anni di perdere l'audience.

In Italia non posso certo dire di non essere conosciuto, se en-tro in un ristorante sento gli occhi addosso, o vedo qualcuno che mi indica, ma limitando le apparizioni televisive favorisco una sorta di riluttanza ad avvicinarmi. Se sei un pornostar sei quotidianamente bombardato da richieste mediatiche di ogni genere. Ma, attenzione! Il porno in TV fa alzare l'audience. Esattamente come la violenza. E come pure ogni forma di esal-tazione di uno qualsiasi degli aspetti più istintuali della nostra natura se trattati con morbosità strumentale. Eppure la televi-sione, spudoratamente, nega ciò che mostra mentre lo mostra, assumendo un atteggiamento pregiudiziale che la assolve pre-ventivamente dal parteggiare per qualsivoglia contenuto. Questo comportamento non lo considero nemmeno vigliacco, questa per me è l'unica forma di volgarità possibile.

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Una volta mi ha chiamato un giornalista scandinavo per un reportage riguardo a una certa storia che si stava verificando in Svezia. Gli ospedali stavano registrando un certo numero di ri-coveri in pronto soccorso di adolescenti femmine con l'ano sfondato! La motivazione di questi fatti era che i loro compagni maschietti, vedendo fare la penetrazione anale nei film porno, volevano rifarla con loro, ma, non essendone capaci, le rovina-vano. Il programma avrebbe usato questo esempio per dimo-strare che il porno è diseducativo nella formazione sessuale de-gli adolescenti.

Certamente il porno può essere diseducativo, esattamente come lo è il cinema tradizionale, come lo è la PlayStation, co-me lo è Internet, come lo sono le emittenti radiofoniche e so-prattutto la stessa televisione.

Intendo dire, non credo che il caso degli adolescenti svedesi si possa spiegare individuandone le ragioni soltanto nella frui-zione di prodotti pornografici, è piuttosto un bombardamento generale quello a cui i ragazzi sono sottoposti. Subiscono dosi massicce di immagini violente, assorbono comportamenti e at-teggiamenti aggressivi dagli ambienti che li circondano, dal linguaggio che sentono usare intorno a loro. Non credo che la maggior parte dei ragazzi contemporanei possa anche solo im-maginare alcuni momenti di dolcezza infinita che era possibile vivere ancora fino a un paio di generazioni fa! In più la Play-Station li ha abituati a credere che la violenza sia solo virtuale. Mi ricordo il caso di quei due fratellini americani: il più grande aveva sparato con la pistola del padre al più piccolo e poi si era sorpreso che questi non si rialzasse come succedeva nel gioco! Da quando nascono, i bambini vedono scene di guerra in giro per il mondo, ma le vedono in TV e per loro sono virtuali!

Senza considerare, poi, quanto Internet abbia trasformato non solo le forme e la fruizione della pornografia, ma anche il modo di comunicare la sessualità: penso alle chat, per esempio.

L'ipocrisia dei nostri mezzi di comunicazione è ormai platea-le, la falsità delle loro domande mal poste è sempre più sma-scherabile. Nella maggior parte delle poche trasmissioni che

ho frequentato la domanda che mi è stata rivolta più frequen-temente è: «Rocco, ma quanto è grosso il tuo pene?».

Le misure del mio uccello sono sempre le stesse, nemmeno a furia di chiedermelo sono aumentate. L'audience, invece, si al-za ogni volta che viene posta una domanda di questo genere!

La televisione fino a pochi anni fa era un meraviglioso mezzo d'intrattenimento per le famiglie, ora è il più grande strumento di potere, di guerra. Ha modificato i comportamenti naturali della gente, ha omologato i gusti, i desideri, le ambizioni. Ha annullato le peculiarità individuali, impedendone lo sfogo se non attraverso l'aggressività. E poi mi vengono a dire che il porno è diseducativo!

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I misteri della legislazione

La legislazione nell'ambito di questo lavoro è quanto di più fittizio si possa immaginare. Considerate che, a parte le incon-gruenze insite nello stesso corpo di leggi, molto spesso la nor-mativa è in contraddizione da Paese a Paese. In Italia, per esempio, non è per niente chiaro se girare film porno signifi-chi rischiare davvero condanne! Però la distribuzione non è vietata! Come a dire: purché non siamo noi a farli, potete co-munque vederli. Che significa?

I Paesi nordici sono sempre stati più emancipati per quanto riguarda la pornografia, nessuno sa però che proprio i Paesi scandinavi, forse tra i pionieri in questo ambito - ve li ricorda-te, no, i film con le svedesine? - oggi sono i più duri nei con-fronti del porno. Comitati di censura visionano ogni film che deve essere immesso nei canali distributivi e tagliano tutte le scene che vengono ritenute fuori dal loro personale concetto di morale.

Una volta mi sono visto ridurre un film di oltre due ore a poco più di trenta minuti, e da allora la mia distribuzione nei Paesi scandinavi è diventata un disastro perché per riuscire a fargli montare un film di durata decente, cioè almeno novanta minuti, dovevo dargliene tre, per una durata complessiva di oltre sei ore! L'avreste mai immaginato!

Secondo me, il Paese più libero, non ipocrita, con un'aper-tura sincera è la Spagna, la cui legislazione è la più chiara in assoluto e il porno è, come un qualsiasi altro lavoro, regolato

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da doveri e diritti. La società stessa è coerente nell'uso che ne fa. Non a caso, qui hanno sede molte società europee, tra cui due delle più grandi multinazionali: International Film Group e Private Pictures. Il Festival dell'hard di Barcellona è l'unico al mondo in cui puoi assistere a scene di sesso dal vivo e a spettacoli hard senza alcun tipo di censura. La cosa bellissima da vedere è il popolo spagnolo che partecipa al festival con massima compostezza e grandissimo rispetto nei nostri con-fronti. E soprattutto non è un pubblico menzognero, è un pub-blico coerente e aperto che non si vergogna di manifestare pubblicamente il proprio apprezzamento per questo genere di spettacolo. E non come in certi Paesi europei dove fingono an-cora di sorprendersi che il porno esista.

Negli Stati Uniti la legislazione a riguardo è ben più trasparen-te che nella maggior parte dei Paesi europei, ma alcune regole sono davvero assurde e chi non le segue paga. Anche dura-mente. Se si vogliono fare scene di bondage, per esempio, cioè quella pratica di dominazione con strumenti vari, corde, fruste eccetera, la violenza può oltrepassare i limiti, ma non deve es-serci penetrazione. Infilare quattro dita nella vagina di una donna è permesso, ma se ti scappa il quinto dito il distributore e il produttore se ne vanno dritti in galera! Perché il fisiing è vietato. Tuttavia, magari proprio per questo motivo, in nes-sun'altra parte del mondo è praticato il fìsting domestico come in America!

Il pissing si può praticare in un film porno. Purché l'urina non finisca addosso a qualcuno!

Senza dimenticare che in molti Stati americani è ancora vie-tato il rapporto anale e, addirittura, il sesso fra bianchi e neri.

E ci sono tanti altri piccoli cavilli simili che è importantissimo conoscere se non si vuole finire invischiati in problemi giudi-ziari molto gravi. Non dimentichiamoci che gli americani prendono tutto sul serio, anche il sesso!

Tutta questa confusione lascia gli addetti ai lavori diso-rientati e molto frustrati. Mi piacerebbe poter chiedere a chi

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ha scritto queste leggi qual è stata la discriminante su cui si sono basati quando hanno dovuto legiferare su questi argo-menti!

Ma il vero, enorme paradosso è che poi da qualsiasi casa, in qualsiasi posto del mondo, anche nei Paesi in cui la pornogra-fia è vietata e se ti trovano un film porno ti tagliano l'uccello, è possibile collegarsi a Internet e accedere a qualsiasi tipo di con-tenuto, dal filmato più soft, passando per la pedofilia più atro-ce, genitori che vendono sessualmente i propri figli, rapporti sessuali con gli animali, e ogni genere di devianza inumana, fi-no agli snuff movies. L'era di Internet ha realisticamente vanifi-cato in questo settore, almeno fino a oggi, ogni tipo di catego-ria giuridico-morale precedente all'avvento della Rete.

La società di produzione americana forse più attenta a questi problemi è senz'altro la Vivid, con cui ho spesso lavorato. È quella che da sempre scrittura le più belle ragazze del porno americano. La Vivid è l'unica al mondo che utilizza preserva-tivi e fa molta attenzione che il tipo di sesso praticato sia parti-colarmente soft. Tutte le volte che facevo un film con loro ave-vo lo stesso problema: le ragazze si aspettavano da me un sesso più forte. Così se davo uno schiaffo sul sedere venivo ri-chiamato, se la prendevo un po' più energicamente il regista veniva puntualmente a interromperci e a ricordarci che erava-mo su un set della Vivid, in America. È successo addirittura che il cameraman mettesse la camera a terra rifiutandosi di continuare a filmare quando le ragazze chiedevano di essere soffocate per raggiungere l'orgasmo. Per me è un'assurdità in-terrompere il feeling intimo che si sta creando fra due attori, è molto frustrante.

«Mettevi d'accordo e fatemi sapere!» dicevo in questi casi. Ho cercato spesso di spiegare al regista che poteva riprende-

re tutto e poi regolarsi in montaggio, e che era stupido limitare le vere emozioni che due persone stanno vivendo per un cavil-lo legale. Ma sono sempre state parole inutili con la Vivid.

Pochissimi registi americani sono riusciti a mantenere la lo-

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ro integrità artistica senza limitazioni. Fra questi John Staglia-no e Joe Silvera. Quest'ultimo mi chiamò, un giorno, per alcu-ne riprese con una sua amica che voleva assolutamente girare con me, ma sapeva che solo se ci fosse stato lui come regista avrebbe potuto essere se stessa. La ragazza, che nella vita fa-ceva anche l'avvocato, diceva che il suo sogno era girare in Europa perché in America, a causa della troppa censura, nes-suno la faceva scopare come voleva.

Ho iniziato a giocare con questa donna, a farle domande perverse, a provocarla con cose del tipo: «E se ti piscio addos-so», e lei mi rispondeva: «No, per favore, in bocca» mentre continuava a toccarsi la fica e a bagnarsi sempre di più. La sua voglia di fare sesso senza regole e senza limitazioni era troppo forte, se fosse rimasta lì sarebbe stato veramente duro per lei continuare a lavorare nel porno americano!

Io mi ritengo molto fortunato ad avere l'opportunità di la-vorare senza dover sottostare a costrizioni così rigide. Il sesso non dovrebbe avere alcun tipo di limitazione e se è praticato fra maggiorenni consenzienti, capaci d'intendere e volere, io non darò mai lo stop all'azione, qualsiasi cosa loro facciano. Sul set, ai miei attori, chiedo di essere adulti e responsabili. Sono un regista, non un censore. Sto lì non per vietare, ma per spingerli a oltrepassarsi, a lasciarsi totalmente andare quando fanno sesso.

Fantasticherie e realtà

Nel nostro ambiente esistono tante verità quante fantasie. Non desidero fare il punto definitivo sulla pornografia contempora-nea, ma vorrei invece parlare con semplicità degli aspetti posi-tivi e negativi di questo lavoro.

Come ho appena detto, se decidi di lavorare in questo settore, devi ricordarti che non hai alcun diritto, né come lavoratore, né come imprenditore.

Quando lavori nell'ambiente dell'hard hai la sensazione di es-sere considerato una sottospecie di donna e di uomo. Né i re-gisti né gli attori, infatti, hanno diritti simili a quelli di cui go-dono le persone che lavorano nel cinema tradizionale. Un regista, una volta riscosso il suo cachet, non prende più alcun compenso per il film che ha realizzato, qualunque sia il mer-cato delle vendite. Idem per l'attore. Viene pagato solo per la scena! Ho recitato in oltre milletrecento film e non ho mai pre-so un centesimo per i diritti d'autore, nonostante si versino allo Stato, sempre, in tutti i Paesi di distribuzione dei film, i diritti SIAE.

E questo non è tutto! I film vengono fatti uscire e venduti. Poi, però, i produttori

possono tagliarli, rimontarli, utilizzare spezzoni non sfruttati, rinominarli con un altro titolo e rimetterli sul mercato senza versare un soldo né ai registi né agli attori, e senza aver biso-

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gno di alcuna autorizzazione. Se uno dei miei film venisse pi-ratato o, comunque, me ne fosse rubata la paternità, io non avrei concretamente alcun mezzo per convincere il giudice in un tribunale che quel film è mio. Fanno eccezione pochissimi Paesi, in cui sono presenti organismi di Stato che si occupano di garantire la legittimità anche in questo ambito.

Questa mancanza di un orizzonte giuridico nel settore che ga-rantisca i lavoratori e il prodotto ha molteplici ripercussioni perfino su quest'ultimo. Si sente spesso accusare i film porno-grafici di essere poveri a livello di trama e di dialoghi o co-munque molto approssimativi.

Vorrei che qualcuno mi spiegasse un giorno qual è il metro di comparazione su cui si basano, in genere, questi giudizi.

Perché se è quello adottato per il cinema tradizionale, non ci siamo proprio!

Nell'hard non abbiamo un budget sufficiente per pagare scenografi, sceneggiatori e dialoghisti, né tanto meno per ga-rantire tutte le voci di produzione del cinema tradizionale. Inoltre le persone che sono sul set non escono certamente dal-le scuole di arte drammatica. Se l'hard fosse riconosciuto co-me un vero e proprio settore di intrattenimento, il nostro am-biente sarebbe attorniato di professionisti, invece siamo costretti a lavorare con l'arte dell'improvvisazione. Nessun re-parto escluso.

Un altro dei più gravi handicap di questo settore è l'impossi-bilità di usare i media per pubblicizzare i film. Tutti si rifiutano di promuovere film pornografici su mezzi di informazione, an-che quando sono ottimi prodotti. Così l'utente finale che entra in un videonoleggio o in un sexy shop non ha alcuno strumen-to che lo orienti nella scelta.

È capitato spesso che i miei fan mi abbiano chiesto: «Rocco, ma come si fa a trovare un buon film nel tuo settore?».

Il più delle volte, infatti, il cliente sceglie forse attratto dalla copertina, o per il genere che lo appassiona, talvolta per la star del cast, ma fino a che non porta a casa il film, non può sapere cosa ci troverà dentro.

Sulla base di quanto ho detto e sapendo che la diffusione di film pornografici nelle sale è vietata, o soggetta a una regola-mentazione molto severa, e che non si ha nemmeno diritto a una percentuale sugli incassi, su quali introiti una produzione dovrebbe contare per montare un'operazione degna di questo nome?

Insomma, i film prodotti in questo settore non sono minima-mente comparabili con quelli prodotti dal cinema tradizionale.

Le armi sono impari e le regole sono diverse. La nostra è un'industria di intrattenimento e spettacolo a

tutti gli effetti, ma la società, nel suo insieme, quando parla di noi, lo fa tuttora in termini sprezzanti e svilenti, sebbene nel complesso tutto ciò che ruota attorno a questo lavoro generi fatturati di milioni di euro e di dollari.

Tuttavia, a volte, con tanta forza d'animo e utilizzando al mas-simo l'arte del risparmio, riusciamo a produrre qualcosa che comunque si distingue. Durante il Festival dell'Hot d'Or a Cannes, che si svolgeva in concomitanza con quello tradizio-nale, mentre passeggiavo insieme all'amico Ron Jeremy ho in-contrato un regista debuttante che veniva dagli Stati Uniti per presentare il suo film, Reservoir Dogs, una piccola produzione low budget.

Lui era Quentin Tarantino, all'epoca un emerito sconosciu-to. Si sorprese, vedendomi, e mi fermò. «Ma tu non sei l'italia-no in The Chameleon?»

E io: «Sei un appassionato di porno?». Tarantino è molto sensibile alle immagini emotive. Lo capii

in quell'attimo. «Quanti giorni ha impiegato John Leslie a fare quel film?»

E io: «Cinque giorni, e due settimane di prove in cui tutti hanno lavorato gratis perché non c'erano soldi».

E lui, sbalordito: «John è un genio». Non affrontando in modo chiaro e sotto i più diversi punti

di vista l'esistenza del nostro lavoro, viene in buona sostanza negata la possibilità di formare all'interno del settore delle ve-re categorie di professionisti.

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Una ragazza può fare dell'hard il suo mestiere finché non vie-ne troppo notata, quando però le si dovesse prospettare un'op-portunità di affermarsi, si scontrerà con non pochi problemi: il disprezzo della società, la solitudine, la difficoltà di avere una vita sentimentale, per non parlare di un rapporto stabile, o una famiglia. È per questo motivo che, nella stragrande maggioran-za dei casi, le attrici fanno solo una brevissima carriera e poi scompaiono.

Il nostro ambiente è tollerato dalla legge, ma non c'è niente di più razzista del concetto di tolleranza!

Il porno e le sue metamorfosi

Nel nostro settore si dice "intelligence is not requested!" per di-ventare attori di film hard, ma nemmeno essere idioti è obbli-gatorio!

Ho conosciuto attori porno che erano tanto intelligenti quanto oneste e degne persone. Allo stesso modo, ho incrocia-to persone fuori dal mio settore che hanno la reputazione di essere onesti lavoratori, ma che si sono rivelate dei perfetti fa-rabutti e dei truffatori. L'abito non fa il monaco, e molto tem-po fa mi sono imposto di non farmi opinioni sulle persone per sentito dire, ma incontrandole e imparando a conoscerle.

Nella mia carriera sono stato attore, produttore e regista, però il posto del mio cuore è senza alcun dubbio davanti alla tele-camera. La mia passione per il sesso me la sono vissuta in pri-ma persona, le emozioni che ho provato trovandomi davanti bellissime ragazze con le quali avrei fatto sesso non le ho mai sperimentate facendo il regista. Ed è per questo che mi sento molto più vicino agli attori che ai registi o ai produttori. Gli anni di esperienza accumulati davanti alla camera mi permet-tono di garantirvi che le attrici e gli attori di film pornografici meritano in assoluto più rispetto di tutte le altre persone che gravitano nell'ambiente dell'hard.

È sicuramente bello avere la possibilità di lavorare facendo sesso. Ma a volte ci si ritrova sul set sbagliato, o in condizioni

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fisiche non favorevoli, e tutt'a un tratto ogni cosa viene rimes-sa in discussione.

Vi siete mai chiesti cosa significhi per un'attrice arrivare sul set e avere in programma una scena anale multipla, magari con attori superdotati, e non essere proprio nello stato d'animo giusto per affrontare la situazione, perché quel giorno lei, che è una persona come tutti, è presa da altre preoccupazioni? Ma deve farlo comunque.

Per un uomo non è molto diverso. Un detto napoletano che mi trova estremamente d'accordo dice: "Un cazz' nun vo' pen-sier". Pensate per un attimo a come ci si può sentire nudi da-vanti a una donna e a una troupe cinematografica quando c'è totale assenza di coinvolgimento sessuale, così come può ca-pitare nella vita di rutti i giorni, per esempio davanti alla pro-pria fidanzata o moglie. La grande differenza è che con la fi-danzata prendi tempo, inventi un mal di testa, ma sul set questo tipo di escamotage non si può usare. Il tempo concesso per avere o riprendere un'erezione è minimo, senza conside-rare l'imbarazzo e il nervosismo che si creano. Perché magari le ragazze o i tecnici che avete di fronte non hanno nessuna voglia di fare notte per colpa vostra. Credetemi, in occasioni come questa, la dignità di un uomo subisce un duro colpo.

Questo è un mestiere particolarmente faticoso, sia sul piano psicologico sia su quello fisico. Anche per l'influenza di una semplicissima regola che si applica a tutte le attrici e gli attori: every day you work, you get money.

Si viene pagati a prestazione e non si ha alcuna assicurazio-ne per disoccupazione o malattia, in caso di influenza o per la slogatura di una caviglia.

Inoltre, oggi, i ritmi del lavoro di un attore porno si sono ade-guati alla frenesia della vita che facciamo tutti.

Vent'anni fa, quando ho cominciato, era raro che i film aves-sero più di tre o quattro scene di sesso, oltretutto le riprese du-ravano poco perché si girava in pellicola. E la pellicola non con-sentiva, sia per le limitazioni tecniche sia per i costi, riprese lunghe. Per non parlare delle posizioni che erano molto stan-dard: insomma corrispondevano alla realtà del sesso casalingo.

Oggi il lavoro di attore porno è diventato molto più impe-gnativo, sia per gli uomini, sia, soprattutto, per le donne. Si è sottoposti a uno sfruttamento fisico che una volta era impensa-bile. Sono persuaso che ormai sia un lavoro molto logorante. Oltretutto, con l'avvento della videocamera i costi di ripresa so-no diventati irrisori e i registi hanno la possibilità di girare sen-za stop di camera per almeno un'ora. Le scene hard si sono ade-guate alla moda dell'estremo, come nello sport. Una volta le attrici che facevano penetrazione anale erano una rarità, oggi è la regola per una ragazza che voglia diventare attrice porno. Già la maggior parte delle attrici pratica la doppia penetrazione anale, alcune di loro anche la tripla. La vecchia DP, cioè uno nella vagina e uno nell'ano, è démodé. Inoltre, si dà sempre più spazio a scene esclusivamente di sesso e meno al racconto della storia. I ritmi sono diventati massacranti, soprattutto in seguito all'avvento della "tecnica del gonzo", detta anche "Pro-Am", ovvero una via di mezzo tra il professionale, che utilizza attori professionisti, e l'amatoriale, che allude al video casalingo, in cui il cameraman interagisce direttamente con la scena di sesso. La ripresa è la sua stessa soggettiva. Questa tecnica fa sembrare che l'attrice faccia sesso con la telecamera, e quindi induce nello spettatore l'illusione che lo stia facendo direttamente con lui. Ha iniziato a prendere piede circa dieci anni fa, limitandosi a ri-prese in soggettiva, fino ad arrivare, oggi, a togliere di mezzo tutte le inquadrature classiche, campo-controcampo, totali: non c'è alcun bisogno né di scene recitate, né di dialoghi scritti, la base è l'improvvisazione. Sono soprattutto scene di sesso.

Il classico cameraman professionista, quello che una volta veniva dalla televisione, è stato completamente soppiantato. Il suo ruolo non è più soltanto quello di semplice operatore, ma quello di tenere propriamente le fila della regia di tutto il set. Fi-no ad arrivare, talvolta, a vederlo entrare in scena per fare ses-so: la sua mano entra nell'inquadratura per toccare il corpo del-l'attrice, l'inquadratura si abbassa in soggettiva sull'attrice mentre lei gli fa un pompino. Ciò ha comportato, via via, una naturale trasformazione dell'attore che, dal cameraman al regi-sta, ricopre contemporaneamente quasi tutti i ruoli.

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Il gonzo ha cambiato il porno come il reality show ha cambiato la televisione: il prodotto preconfezionato, chiuso dentro l'e-lettrodomestico televisivo, si trasforma, in entrambi i casi, in un'illusione accessibile di cui lo spettatore si sente protagoni-sta, facendo leva contemporaneamente sia sull'aspetto voyeu-ristico sia su quello esibizionistico, una contraddizione tipica del moderno pubblico televisivo.

Questa tecnica ha favorito progressivamente lo sviluppo del genere Ali Sex che negli ultimi due o tre anni è diventato il più guardato. Ormai è adottato dal novanta per cento dei pro-duttori di film porno e ha incrementato del mille per cento il numero di prodotti sul mercato.

Se, per un verso, questa tecnica è geniale e sfrutta fino in fon-do, al massimo delle sue potenzialità, l'identificazione catartica, per l'altro, però, avendo ridotto al minimo i costi di produzio-ne, ha permesso a chiunque di fare il produttore, anche attori con solo tre film alle spalle, con zero esperienza, che hanno la loro production. Per non parlare di come abbia agevolato l'intru-sione nell'ambiente di molti loschi individui. È facile produrre un film a queste condizioni, bastano poche migliaia di euro, qualche ragazza e un appartamento per girare le scene. E se poi si fanno delle buone scelte strategiche, si possono guadagnare anche un sacco di soldi. Per questa ragione molti truffatori, che vogliono guadagnare denaro facile, si lanciano sul mercato con prodotti che sono vere e proprie schifezze, sotto ogni punto di vista. Negli Stati Uniti, che sono stati i primi a introdurre il con-cetto del low cost, si arriva a girare anche due film in una sola giornata!

Se oggi dovessi definire in tre parole cosa si richiede agli attori porno direi solo: FUCK FUCK FUCK, con tutte le conseguenze che questo comporta. Le ragazze quasi mai arrivano sul set al cen-to per cento della propria condizione fisica, spesso hanno pro-blemi a causa di scene di sesso troppo faticose in tempi molto serrati e continuati. Dopo aver fatto una doppia penetrazione anale la mattina e, magari, su un altro set una doppia vaginale il pomeriggio, ve l'immaginate come arrivano il giorno succes-

II porno e le sue metamorfosi 99

sivo? Ma continuano a lavorare, forse perché vogliono guada-gnare molto e subito. Dopo una settimana, con questo ritmo, sono fuori uso.

Ho conosciuto diverse ragazze che hanno dovuto farsi ricu-cire l'ano per non aver capito quando era il caso di fermarsi. Attori stanchi e depressi per i ritmi troppo serrati. Senza conta-re la trasmissione di tutte le malattie sessuali che si cronicizza-no, perché non si ha il tempo di curarle, e vengono diffuse di continuo.

Io di cronicità ne so qualcosa, dopo aver lavorato per oltre dieci anni a una media di due orgasmi al giorno, mediamente per venti, venticinque giorni al mese! Come la maggior parte dei veterani del porno, soffro di problemi alla prostata legati all'eccessiva sollecitazione a cui i nostri ritmi ci sottopongono. I tempi di riproduzione dello sperma sono molto più lenti di quelli richiesti dalla produzione cinematografica!

Se state fremendo per conoscere la ricetta per riuscire a so-stenere un ritmo simile, eccovi accontentati: mescolate un litro di latte, cinque uova, due banane e un po' di proteine in pol-vere, e bevete l'intruglio tutte le mattine prima di fare colazio-ne. E fatene buon uso!

Insomma, quando parlo della gestione che gli attori porno devono avere di se stessi, intendo la complessità di tutta que-sta serie di fattori, considerata nella sua interezza. La depres-sione è dietro l'angolo e la sovraesposizione è un pericolosis-simo boomerang. Oggi molto più che qualche anno fa.

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Rocco e le sue sorelle

Quando ho iniziato questo mestiere ho avuto la fortuna di la-vorare con tante pornostar che dovevano il loro successo alla grande esperienza accumulata in anni di lavoro. La prima tra queste è stata Moana. Era l'inizio dell'86 e lei era a Roma per il suo primo film. Per me era la seconda esperienza. Una ragaz-za dolcissima, molto alta, con i capelli lunghissimi biondo na-turale, fisico atletico, dotata di portamento e femminilità da lasciare senza fiato. Con Moana è nato subito un bel rapporto, un grande feeling, e in tutti i suoi film successivi lei ha conti-nuato a volermi come suo partner fisso.

Moana era una persona molto riservata nella vita e soprat-tutto sul set. Durante le pause delle riprese se ne stava sempre nel suo camerino, e io ero l’unico al quale permetteva di entra-re. Facevamo grandi chiacchierate sul volo e sullo sport in ge-nerale, condividevamo le stesse passioni sportive.

All'inizio della carriera era molto timida, tipico delle attrici italiane. Non si lasciava andare davanti alla troupe, aveva quasi vergogna. In seguito, dopo i suoi primi film negli States, Moana era completamente cambiata. Aveva capito molto di più sul suo mestiere, e su che tipo di lavoro doveva fare su se stessa per riu-scire al meglio. Così, appena rientrata, è diventata da subito, con la sua bellezza, la più grande pornostar italiana di tutti i tempi. Perché da quando questa magnifica ragazza è venuta a mancare, il panorama italiano non è mai più riuscito a rimpiaz-zarla; io credo, sinceramente, che resterà insostituibile.

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Kelly Stafford è una meravigliosa inglesina con la quale ho gi-rato alcuni dei film più belli degli ultimi anni. Tra noi c'era un rapporto davvero incredibile. Lei era una vera passionale e una ragazza molto imprevedibile nel senso più stretto del termine. Quando le ho prospettato la prima volta di recitare con me, ha accettato, ma quando ha ricevuto l'assegno non ha voluto esse-re pagata. Le ho spiegato che il film sarebbe stato venduto in di-versi Paesi, che ci avrei fatto dei soldi e che era dunque logico che lei venisse remunerata, ma lei ha risposto semplicemente: «È fuori questione: mi sono talmente divertita sul set che non accetterò una sola sterlina!».

In seguito abbiamo girato insieme ancora quattro o cinque film e, ogni volta, rifiutava i soldi che le offrivo. Quando sono tornato a Budapest, le ho inviato un assegno di quindicimila sterline. Per me ogni lavoro deve essere pagato. Il prezzo me-dio di una scena va da cinquecento a mille dollari, e io mi sono fatto un punto d'onore di darle mille sterline a scena.

Con Kelly abbiamo girato film davvero pazzeschi, abbiamo gli stessi gusti sessuali, ma all'inizio, quando l'ho conosciuta, pensavo che avesse qualche problema di stabilità psichica; in-vece, mi sono accorto, dopo, che adorava i giochetti strani. Lei faceva parte di quella categoria di attrici assolutamente atipi-che. Prima di ogni scena si comportava come se tutto a un tratto non capisse più perché stava lì, faceva una quantità di capricci impressionanti, finché una volta persi le staffe e dissi: «Tutti a casa, basta».

Lei mi rispose: «Ma non lo capisci che lo faccio apposta? Io godo così, nel sentirmi costretta».

Aveva bisogno di creare attorno a sé un ambiente in cui tutti gli equilibri cominciavano a saltare, diceva frasi come: «A me fanno schifo questi attori che mi scopano in modo professionale».

Una volta era seduta sull'attore in penetrazione anale, ma se ne stava come annoiata e con le braccia conserte, io giravo, le ho chiesto di reagire, di darmi espressioni in camera, lei mi ha domandato: «Quale vuoi fra quelle tipiche da pornostar?».

E io: «Kelly, please».

E lei: «Mica è colpa mia se non sento nulla!». Allora, l'attore, offeso nella sua dignità di uomo, se la toglie

di dosso, si alza di scatto, l'afferra per i capelli e la trascina per tutta la stanza, e Kelly, finalmente sorridente e soddisfatta: «Oh, era ora, comincia a succedere qualcosa d'interessante».

Kelly era assolutamente imprevedibile, riusciva a dare un'a-nima, una profondità, ai suoi personaggi con la forza della sua interpretazione. Durante le riprese di un film in cui faceva il ruo-lo di una teenager (nella vita e nel ruolo aveva solo diciotto an-ni) che veniva adescata da un signore di mezza età, Alain Pou-densan, nel corso della scena interpretò la "perversione" del suo partner con una tale intensità da sconvolgere l'attore stesso e tutto il resto del set. Lo aggredì fisicamente, lo prese a schiaffi sul volto, gli fece schizzare via gli occhiali, che andarono a fran-tumarsi contro la parete. Tutto ciò continuando a fare sesso con lui e, al tempo stesso, a insultarlo e ad aggredirlo. L'attore, finito di girare, era terrorizzato, quella sera stessa lasciò il mio set, di-cendo che in tutta la sua carriera non gli era mai capitata una co-sa simile e che non avrebbe più lavorato per me. Fu una situa-zione davvero assurda, ma se lei avesse spiegato alla troupe le sue intenzioni avrebbe perso spontaneità e vigore.

Per me lei rappresenta il massimo dell'interpretazione delle scene di sesso. Pochissimi attori hard hanno la capacità di dare una levatura al personaggio mentre fanno sesso. A chi sostiene che Kelly era una psicopatica voglio dire che lei è, sì, la perso-na meno gestibile su un set, ma che in assoluto è stata la più grande nel darmi emozioni dall'altra parte dell'obiettivo. Que-sto suo modo troppo avanti per i nostri set creava problemi, so-no stati pochissimi gli attori capaci di lavorare con lei.

Lei odiava comportarsi come la classica pornostar, lavorare sul planning strutturato: faceva di tutto per distruggere la con-centrazione del gruppo. Destabilizzare il set nutriva le sue energie sessuali, assolutamente non convenzionali.

Ma, soprattutto, Kelly sfondava l'obiettivo. Il suo carisma era fuori del comune. I film con Kelly resteranno tra i più originali della mia filmografia e lei rimarrà un personaggio del tutto anomalo nella storia della pornografìa.

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A parte Kelly, credo comunque che le inglesi, in generale, sia-no molto portate per questo lavoro, almeno dalla mia espe-rienza diretta. La sessualità non rappresenta un problema per loro, tutt'altro, sanno prendere l’iniziativa e non hanno biso-gno di indicazioni. Forse non saranno le più carine, ma sono quelle che sprigionano più energia sessuale davanti a una te-lecamera.

Le pornostar americane degli anni Settanta, da Linda Love-lace a oggi, hanno fatto la storia del pomo. Sono sempre state fra le ragazze più belle del mondo. Recitano con una tale faci-lità, sono molto reattive; ho sempre sostenuto che fare film con loro è uno spasso sia per il regista sia per l'attore: fanno tutto loro, non devi nemmeno dare indicazioni. Ciononostante bisogna fare una considerazione importante.

Negli Stati Uniti il pensiero delle persone è schiacciato da un fortissimo provincialismo. Il peso della considerazione so-ciale è molto forte e, soprattutto, i media enfatizzano questo atteggiamento. Gli americani vivono tutto in maniera molto conflittuale. Ho visto molte attrici dall'anima lacerata e la mente confusa a causa di questa influenza. In dieci anni di produzioni negli States ho assistito un'infinità di volte a scene che rasentavano il patetico. Qualcuna arrivava sul set, aveva una voglia forte di sesso estremo, magari voleva più uomini alla volta, e in scene al limite della legalità. Il giorno successi-vo, però, arrivava in lacrime perché desiderava una famiglia, e voleva smettere con questo lavoro.

All'inizio prendevo tali reazioni come moti dell'anima au-tentici, mi commuovevo sinceramente; assistendo però alla stessa situazione ripetuta, con le stesse dinamiche, mi sono ac-corto che era il loro modo di sfogare la conflittualità esaspera-ta fra la propria personalità e i modelli comportamentali im-posti dalla società.

Le europee, come dire, non si possono definire in blocco, han-no tutte qualcosa di diverso. Per certi versi, sono la via di mezzo fra le ragazze americane e le ragazze dell'Est. Non abbiamo mai avuto un vero e proprio flusso di ragazze europee in questo ambiente. Certi Stati più liberi, come Ger-mania, Olanda e Francia, hanno registrato qualche presenza in alcuni momenti, ma comunque non di rilievo. L'Italia è in assoluto la meno rappresentativa mentre la Spagna, per

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esempio, ha molte più attrici. Sarà un'inibizione dovuta al fatto di ospitare lo Stato del Vaticano?

Tuttavia, la vera svolta il porno la ottiene negli anni Novan-ta. Subito dopo la caduta del Muro di Berlino, le ragazze del-l'Est invadono il mercato. Praticamente, oggi vengono impie-gate per il novanta per cento delle produzioni europee e per un buon quaranta-cinquanta per cento di quelle americane.

Da più di tredici anni filmo ungheresi, ceche, ucraine, rume-ne e qualche polacca, tra Budapest e Praga. A contatto con que-ste culture ho constatato una differenza sorprendente tra il loro atteggiamento mentale e il nostro. Il porno nell'Est è considera-to solo un mezzo pratico e divertente per fare soldi in fretta e pagarsi gli studi o, in caso di bisogno, per migliorare il tenore di vita proprio e della propria famiglia. Non interviene alcun altro fattore di carattere morale o psicologico nella valutazione di questo tipo di lavoro.

Con l'Ungheria, a parte mia moglie, ho un legame emotivo par-ticolare perché qui ho girato il primo film come attore, regista e produttore Rocco e le storie vere (1 e 2). Il film è stato girato nel gennaio del '93, e il titolo nasce per sottolineare il fatto che quel-lo che io voglio vedere e far vedere in un film porno è solo il "sesso vero".

L'agenzia aveva detto che sarebbero venute molte ragazze al casting, abituate a fare servizi di nudo o di moda, ma che comunque il porno nessuna di loro lo aveva mai fatto prima. Dipendeva solo da me saperglielo porgere in modo che potes-sero accettare. Questa condizione mi rendeva un po' teso, sa-pevo che non avrei potuto immaginare le parole che avrei usa-to con ognuna di loro finché non le avessi avute davanti.

A mano a mano che entravano, chiedevo se potevano mo-strarsi nude e loro senza nessun tipo di inibizione si spoglia-vano subito, ma la maggior parte non parlava inglese e senza

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dilungarmi troppo chiedevo solo: «Ti va di fare sesso davanti alla telecamera?».

La risposta era la stessa per tutte. O dicevano di sì o annuiva-no con la testa. È stato incredibile, perché delle oltre cinquanta ragazze incontrate quel giorno, nessuna disse di no. La cosa mi lasciò alquanto perplesso, non credevo che facessero tutte sul serio, così nel dubbio ne ho scelte più di trenta, perché, mi sono detto, se la maggior parte non verrà almeno quattro o cinque ci saranno. Il problema fu inverso, vennero tutte e trentatré. Con i ragazzi, invece, ho avuto più problemi. Nessuno di quelli scelti riuscì a girare delle scene convincenti. A quel punto ho dovuto accollarmi tutte le scene dei due film. È stato divertente, ma molto duro. Le riprese sono durate otto lunghissime giornate in cui sono dimagrito sette chili, verso le ultime scene il mio viso era così scavato che non era più raccordabile con quello delle prime!

Nella Repubblica Ceca, invece, mi sento abbastanza un pio-niere.

Andavo a trovare il mio amico Claudio, oggi titolare della più grande agenzia di modelle porno, la Bohème Agency. Ero a Praga per un casting e, dopo quattro ore di attesa, non si era presentata nemmeno una ragazza, così io e Claudio ce ne sia-mo andati in un night a farci una bevuta.

Il proprietario del night mi riconosce e mi propone di girare un film nel suo locale. Io naturalmente gli rispondo: «E le ra-gazze?».

E lui, indicandomi il suo parterre: «Prendi quelle che vuoi». Non ero per niente fiducioso, tuttavia gli ho proposto di gi-

rare la sera stessa e sono corso in albergo a prendere la teleca-mera. Mi fa preparare una stanza e comincia a mandarmi una dopo l'altra cinque ragazze. Sono tornato in Italia, ho organiz-zato il materiale per la produzione e sono ripartito per Praga a realizzare Praga by Night, un film ambientato in cinque diversi locali. I proprietari mi hanno aiutato con le ragazze e dato gra-tis il locale in cambio della pubblicità che facevo loro ripren-dendo le insegne.

Durante le riprese, ho parlato molto con le ragazze. Volevo sapere qualcosa di più della loro vita e perché avessero accet-tato di partecipare al film visto che non erano attrici porno. La cosa che mi affascinava era la loro assoluta naturalezza nel-l'affrontare l'argomento, non mi hanno mai dato l'impressione di essere a disagio. Argomentavano senza cercare quei sot-terfugi strani, tipici delle società ipocrite.

Non so da dove venga questo loro approccio al sesso, quasi imbarazzante a volte per l'estraniazione che comunica: non si tratta nemmeno di libertà sessuale in senso proprio, è qualco-s'altro, ma senza dubbio è un modo di pensare molto distante dal nostro. Forse sarà perché sotto i regimi comunisti il sesso era una delle cose meno controllate. Oppure perché, come di-cono molte persone che sono state giovani sotto i regimi, "era l'unico divertimento che avevamo!".

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Ieri, oggi e domani

La concorrenza si è fregata le mani quando ho deciso di inter-rompere la mia carriera! E tuttavia, spesso mi giungeva il suo-no di un'altra campana: «I tuoi film funzionano perché ci sei tu, perché la gente vuole vedere te!».

Ogni volta che faccio un film, le uniche preoccupazioni mie e di mio cugino Gabriele, al mio fianco da più di dieci anni, non sono la trama, le ragazze o l'ambientazione, ma gli attori! So-no diventati un'incognita. Questo vi sembrerà esagerato, ma bisogna che gli attori siano affidabili per arrivare al termine delle riprese. Quando recitavo io, questi problemi mi toccava-no marginalmente, perché avevo sulle mie spalle tutto il peso della produzione. Gli altri non mi preoccupavano, perché le scene importanti le facevo io. Tuttavia, da quando mi sono ri-tirato, cercare di fare film competitivi senza Rocco è stata la mia nuova sfida. All'esordio nella regia ho commesso il grave errore di cercare me stesso negli attori, di aspettarmi che pro-vassero le stesse emozioni e sensazioni che provavo io quando stavo davanti alla telecamera. Poi ho cominciato a lavorare sulla loro vera personalità ritagliando per loro ruoli su misura. Sfortunatamente, il problema che affligge ancora oggi il settore del porno è la mancanza di attori affidabili e professio-nisti. A dimostrazione di quanto sia difficile fare bene questo lavoro, basti pensare che nell'arco di tutti questi anni il nume-ro di pornostar di sesso maschile non è certamente cresciuto.

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Dirigere è una grande soddisfazione, ma devo ammettere che all'inizio è stata dura. È frustrante non poter vivere certe scene se non dall'esterno. Oggi purtroppo non si ha più una situazione di naturalezza sul set. La società basata sulla performance ha contagiato anche il nostro settore. C'è un grosso giro di doping e l'ansia da prestazione è il sentimento predominante. Io sono contrario agli aiuti chimici associati al-l'atto sessuale, quando non sono necessari, ma purtroppo devo conviverci. Me ne accorgo subito se qualcuno ha preso qualcosa. Ci sono vari dettagli da cui lo posso capire: c'è, per esempio, chi ce l'ha duro dall'inizio alla fine e anche durante la pausa, la sigaretta, o la bevanda, resta perennemente in ere-zione senza flessioni; o chi ha bisogno di masturbarsi ancora per mezz'ora prima di avere un orgasmo dopo magari due o tre ore di sesso; oppure chi continua a interrompere per andare al bagno portandosi dietro la pochette e uscendo con il sesso estremamente rinvigorito. Sono atteggiamenti nuovi che in vent'anni di mestiere non avevo mai visto. In ogni caso, non vale per tutti, ma soprattutto per la nuovissima generazione di attori porno. Sostanzialmente la cosa che mi infastidisce non è un'erezione aiutata, ma le conseguenze, cioè la totale mancanza di passione da parte dell'attore che, prescindendo dallo stimolo, lavora in modo meccanico e automatico. Per fortuna, c'è ancora chi, come me, usa il vecchio metodo: nei momenti in cui perdi la concentrazione non c'è niente di me-glio di un bel sedere a novanta gradi tutto da leccare finché i livelli di pressione non tornano stabili.

In questi vent'anni ho assistito alla trasformazione delle pro-blematiche, oggi è sicuramente più dura fisicamente. Quando io ho iniziato era forse più difficile psicologicamente, ma se do-vessi decidere quale periodo preferire, non saprei dirlo, mi piac-ciono ancora alcune cose di ieri, ma sarei ipocrita a dire che oggi non trovo più niente di interessante. Un attore che rappresenta al meglio il presente con un po' del passato è Nacho Vidal.

L'ho conosciuto molti anni fa al Bagdad, uno strano locale di Barcellona. Singolari personaggi, molto felliniani, lavoravano

al Bagdad, dal nano italiano Only One, che si dilettava a far sesso con due bellissime giovani gigantesse, a un ragazzo ma-drileno che passava tutte le notti con una bombola di gas attac-cata all'uccello, oppure lo usava come arco per tirare le frecce, a diversi altri insoliti personaggi. Insomma, in questo circo per adulti incontrai Nacho, che faceva sesso dal vivo da due anni senza mai una défaillance... fino alla sera in cui lo conobbi. La mia presenza lo inibì. Così, dopo lo spettacolo, venne fuori rabbioso, cercando di giustificarsi, non gli era mai successo prima. Ma io non avevo bisogno di spiegazioni, si vedeva che aveva carisma, era uno di quelli giusti, uno di quelli che hanno talento e gli chiesi se voleva provare a fare un film. Non se lo fece ripetere due volte e la mattina dopo venne sul set dove gi-ravo il mio film Rocco Never Die. La scena era un'orgia, lui ar-rivò con la sua fidanzata e girò la sua prima scena timidissimo. Se ne restava in disparte, non si mischiava con gli altri e non mi fece vedere nulla di straordinario. Ero sicuro che non mi aveva ancora mostrato quello che valeva. Gli proposi di venire con me a Budapest. E, infatti, lì mi dimostrò che non avevo avuto torto. Appena arrivato, ha preso fiducia in sé e ha tirato fuori tutte le qualità che fanno di un attore un vero pornostar.

Nacho era passionale, dotato di una concentrazione fuori del co-mune, era carismatico, piaceva alle donne e agli uomini, e pote-vi dargli qualsiasi ruolo che lui lo calzava alla perfezione. Mi ri-cordo una scena di sodomia di quattro o cinque ore con una ragazza che continuava ad avere perdite fecali; lei non era nem-meno più imbarazzata, perché Nacho continuava a fare battute e a farla ridere. Non ha mai mollato. Ogni volta andava a lavarsi e poi ricominciava come se niente fosse successo e senza mai perdere l'erezione.

Dopo appena due anni passati con me, a mano a mano che i film uscivano, tutti i produttori hanno cominciato a chiamare Nacho. E di lì a poco è diventato la star più richiesta al mon-do. Lavorava di continuo fra gli States e l'Europa.

Salire in vetta, quando si hanno le qualità che ha Nacho, è senz'altro più facile, ma restarci è un'altra cosa. È talmente

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impegnativo essere sempre performanti a ogni ripresa che la pressione a cui si viene sottoposti diventa molto pesante se non si è capaci di gestirla. Purtroppo questo è quello che è successo a Nacho Vidal. Non sopportava più la pressione me-diatica a cui era sottoposto. Era subentrata una grande confu-sione e ha deciso di smettere. Peccato, perché sicuramente lui era destinato ad avere una splendida carriera.

Chi pensa che il successo di un attore porno sia direttamen-te proporzionale alle dimensioni del suo cazzo, evidentemente non ha abbastanza immaginazione per capire di che lavoro stiamo parlando.

Naturalmente, se si è superdotati si parte già con qualche punto in più. I cameraman dicono che un grande cazzo è più fotogenico da riprendere e i registi dicono che crea di più l'il-lusione del piacere. Ma questo non è tutto. Conoscere qualche lingua, meglio se l'inglese, anche questo aiuta.

Tuttavia, come in tutte le cose della vita, anche per imparare questo mestiere ci vuole umiltà. Se non avete umiltà non potre-te mai imparare nulla. Ma soprattutto, il vero segreto per evita-re ciò che è capitato a Nacho è l'equilibrio psicofisico; è il pun-to cruciale, è quello che vi frega se non sapete gestirvi. Imparate a conoscere voi stessi e i vostri limiti per la program-mazione del vostro lavoro. Imparate a scegliere le persone giu-ste che vi possono insegnare qualcosa, e a loro concedetevi senza risparmiarvi: verrete ripagati con gli interessi.

Durante le scene hard è importante saper suddividere il pen-siero, un po' come nelle discipline orientali. Io sono concentra-to per il cinquanta per cento sulla partner. Le donne sono di-verse da noi, hanno bisogno di attenzione, di preliminari: fate sentire loro che siete presenti. Durante il rapporto stringetele sia con le gambe sia con le braccia, guardatele negli occhi, è im-portantissimo che la vostra partner si senta sempre e solo con voi. La cosa si complica quando le partner sono più di una. Riuscire a coinvolgere più donne richiede molta esperienza.

Per il trenta per cento, invece, mi dedico al lato artistico, che è quello che fa la differenza: non aspettate che sia il regista a

dirvi quello che dovete fare, prendete l'iniziativa, ma non cer-cate di strafare. Non c'è niente di meglio e di più efficace che eccitarsi per davvero. Fatevi questo viaggio insieme alla vostra partner alla ricerca del piacere. Il restante venti per cento è rap-presentato dal vostro serbatoio di energie di scorta e dal vostro dispositivo di controllo su tutto quello che state facendo, affin-ché possiate corrispondere a qualsiasi indicazione del regista o risolvere qualsiasi problema senza mai perdere il controllo del-la situazione. È importante non far sentire alla vostra partner che una parte di voi è obbligatoriamente altrove, cosa inevita-bile davanti alla telecamera. Se la scena sta per iniziare, cercate di non farvi mai trovare impreparati, cioè non ancora lavati o senza aver imparato le battute. Anticipate i tempi, meglio cin-que minuti prima che dopo. Tutto quello che dovete fare per voi fatelo prima della scena, ma quando si inizia pensate solo a concedere il cento per cento di voi stessi. Se avete problemi di erezione non è mai colpa della vostra partner, anche se non in-contra il vostro gusto o se è antipatica e sgarbata.

E ancor peggio è se avete l'uccello duro e vi fermate a discu-tere con il regista per screditare la ragazza con frasi come: "Io sto facendo il mio lavoro, non vedi che ce l'ho duro! È lei che non sa fare un cazzo".

Evitate, fin dall'inizio della carriera, di eccitarvi con un'altra sul set che non sia la vostra partner: è il peggior sbaglio che possiate fare! Anche perché l'eccitazione dura poco e nel momento in cui tornerete sulla partner avrete un grosso pro-blema, a meno che non facciate come Don Fernando, un attore messicano naturalizzato USA, che prima di eiaculare metteva un giornalino porno giapponese sulla faccia della sua partner!

Altra regola d'oro, se si vuole fare il pornostar, è non inna-morarsi mai delle proprie partner. Ovviamente mi è capitato di provare un'attrazione straordinaria per alcune attrici con cui ho fatto l'amore: con loro avrei potuto vivere molto più di una scena di sesso sul set. In ognuna di queste occasioni, però, ho cercato di reprimere la sensazione di affinità e il sentimento di trasporto. Ho avuto profondi rapporti di amicizia con alcune ragazze, ma non mi sono mai innamorato di nessuna di loro.

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Ho sempre separato la vita affettiva dal lavoro. All'inizio della carriera mi è capitato di uscire con un'attrice francese, dopo aver girato una scena molto bella con lei, ma il giorno successi-vo, sul set, dovendo recitare con lei e un'altra ragazza, sono ar-rivati i problemi.

Mentre facevo l'amore con l'altra, lei mi diceva: «Sei un por-co! Quella ti piace più di me, vero?».

Allora ho capito che mischiare lavoro e vita privata è un er-rore madornale.

Un attore porno deve riuscire a fare sesso senza innamorar-si, unicamente per desiderio sessuale. Ma questo non vuol dire non utilizzare l'intera gamma dei sentimenti!

Per essere un vero professionista bisogna riuscire a non porta-re sul set la propria personalità. Sul set vi serve soltanto la parte più lucida del vostro buonsenso e della vostra morale; intendo dire, la razionalità e la dignità. Il resto della vostra personalità, invece, potrebbe rivelarsi il vostro peggior nemi-co, in certe circostanze.

Il fisico, poi, fa la sua parte, anche se sarebbe quasi antiero-tico parlare di atleti del sesso. Personalmente posso dire che si finisce facilmente fuori fiato o indolenziti se non si è sufficien-temente allenati a sostenere i ritmi del vero pornostar.

La regola numero uno è: il regista conta solo su di voi per por-tare a casa la scena. Quindi, avrete capito che la parola da te-nere sempre presente è: generosità.

Se riuscirete a praticare parte di questi miei, chiamiamoli, consigli per un "perfetto pornostar", sarete sulla buona strada.

***

Un'altra difficoltà concerne il senso di responsabilità che biso-gna assumersi di fronte alla condizione stessa di essere un pornostar, con tutto quanto questo comporta, a prescindere dal tempo e dal luogo in cui ci si trova. Ovviamente sul set ci si diverte molto. Una volta spenti i riflettori e riposte le teleca-

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mere, però, ognuno si ritrova molto solo e pieno di dubbi. Nella società odierna un attore di film pornografici è brutaliz-zato dalla solitudine. Bisogna essere psicologicamente forti, abbastanza per non farsi distruggere. Da quando faccio questo lavoro ho incontrato molte attrici e diversi attori che si sono lasciati andare fino a spegnersi.

Oggi la riconoscenza del pubblico comincia a spuntare, le persone non si vergognano di fermarti per la strada a salutarti o a chiederti un autografo, perché, almeno una volta nella loro vita, tantissimi uomini e una percentuale non indifferente di donne si sono masturbati guardando un film pornografico. Tuttavia, non dobbiamo cedere a facili entusiasmi: nell'imma-ginario collettivo resteremo ancora a lungo persone fuori del normale e non per forza in senso positivo.

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Ventanni di carriera, ventanni di passione

Non fu affatto semplice prendere la decisione di diventare attore di film porno. Alcuni dei miei fratelli la presero molto negativamente. Non capivano le mie scelte, e tanto meno riuscivano a capire come mia madre avesse potuto lasciarmelo fare. Quando ho avuto il consenso dei miei genitori, e soprattutto quello di mia madre, l'unica, in verità, che avrebbe potuto mettermi in seria crisi se non mi avesse approvato, a questo punto ero tranquillo. Il consenso di tutti gli altri non era fondamentale per le scelte della mia vita. Effettivamente, ci sono stati non pochi attriti.

A cominciare dal medico di famiglia. Mi fece chiamare, io già immaginavo di cosa intendesse parlarmi. «Sarai ghettizza-to, sarai escluso, sarai...»

Al terzo "sarai" me ne sono andato. «Buona giornata, dot-tore.»

Per non parlare dell'ipocrisia degli amici che mi dicevano: «Fai bene, magari potessimo farlo noi...» e poi sparlavano alle mie spalle.

Oggi sarebbe un po' più semplice, ma vent'anni fa era dav-vero scandaloso. I condomini venivano in processione da mia madre, chi per biasimarla, chi per rincuorarla.

Carmela, mia madre, per un periodo di tempo è rimasta zitta ad ascoltare tutte le loro chiacchiere, poi un giorno, all'en-nesimo squillo di campanello, ha aperto la porta e ha detto: «Senti, gli ho fatto un cazzo così (indicando la misura con le

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mani!) e lui ci fa quello che gli pare!». Da quel giorno non si è più visto nessuno sul nostro pianerottolo per compiangere la mia povera mamma.

Non nascondo che tutte queste critiche mi hanno fatto vive-re un po' male l'inizio del mio lavoro. Perfino io, la prima volta che mi sono visto sullo schermo, al cinema, ho provato una vergogna terrificante perché tutti i tabù radicati nella mia men-talità d'origine sono improvvisamente riaffiorati in quel mo-mento. Mi vedevo tutto d'un tratto come pochi uomini si pos-sono vedere in vita loro, da dietro, con i testicoli, i glutei e l'ano che si muovevano freneticamente.

Il primo pensiero che ho avuto è stato: «Ma che schifo! È di-sgustoso...». Poi, verso il terzo film, questo fastidio e questa vergogna sono scomparsi.

Fra tutte le persone significative nella mia carriera, ho il dove-re di citare innanzitutto Gabriel Pontello, alias Supersex, che, come dicevo, per primo, fin da subito, ha creduto in me.

Lavorare per Pontello per me era un onore e davo tutto me stesso per cercare di soddisfarlo. Per lui ho fatto di tutto, o qua-si. Una volta ho fatto sesso con una ragazza sui pattini di un eli-cottero che volava in overing, stando fermo sul posto, a tre, quattro metri dal suolo. Ovviamente non ero agganciato e ogni tanto l'elicottero, che perdeva un po' di quota, doveva risalire di una dozzina di metri di altezza.

Gabriel a terra riprendeva con la telecamera gridando: «Vai Rocco! Più forte! Più forte!».

Un'altra scena che mi torna in mente è quella in cui ho ri-schiato di essere bruciato insieme alle due ragazze che faceva-no sesso con me per l'esplosione dei fusti di benzina che servi-vano per la simulazione pirotecnica di un incendio. Uno stunt passava con una macchina sulla rampa sopra le nostre teste e colpendo i fusti di benzina doveva creare una pioggia di fuoco su di noi. Avevamo benzina infuocata tutt'intorno, ed eravamo completamente nudi, senza alcuna protezione.

La sera a cena, dopo un bicchiere di troppo, Pontello, come al suo solito non ha perso occasione di ricordarci che la scena

sarebbe potuta venire senz'altro meglio se invece di merdine come noi ci fosse stato lui come attore.

Ora ci rido, ma dimostrare a Pontello la mia gratitudine, per la fiducia che aveva riposto in me, mi ha fatto rischiare la pel-le più di una volta!

Gabriel è un fetente, un gran giocatore, un chiacchierone, uno che ama mettersi in mostra e che farebbe qualsiasi cosa per farsi notare, ma io lo adoro. Ancora oggi, quando lo vedo, dopo tanti anni, il cuore mi si riempie di ricordi e di emozioni.

Nei ristoranti aveva l'abitudine di tirarselo fuori e farsi ma-sturbare dalle sue accompagnatrici davanti a tutti. Lui era un esibizionista senza pari!

Una volta mi ha messo in una situazione davvero imbaraz-zante. Dopo le riprese di un film avevo prenotato trenta posti al ristorante di mio fratello, lui ci aspettava contento di acco-glierci.

Entriamo, presento mio fratello a Gabriel, questi lo guarda dall'alto in basso e mi dice: «È tuo fratello questa mezza car-tuccia?». E si è accomodato.

Io ero di un imbarazzo glaciale, ma mio fratello Giorgio mi ha tranquillizzato e ha detto solo: «Lascia stare, Rocco. Non vale la pena...».

In quel momento arriva la moglie di mio fratello e io la pre-sento a Pontello. Lui assume immediatamente un'aria ramma-ricata, e se ne esce così: «Oh... Ma lei ha commesso un errore terribile a sposarsi con lui. Come ha fatto? È cieca?...». E, indi-cando me, ha alluso molto esplicitamente al fatto che mia co-gnata avesse sposato il fratello sbagliato!

Che figura! Quando l'ho sentito, sarei voluto morire di ver-gogna e di rabbia. Non sapevo se cacciarlo o spaccargli la fac-cia per aver messo mio fratello e sua moglie in una situazione così sgradevole. Lui è fatto così. Per non parlare di quando ab-biamo lavorato insieme come attori: se c'era una ragazza sul set, o magari due o tre, era uguale, se le prendeva tutte, e tu eri obbligato a masturbarti per il resto della scena. Questo Super-sex è davvero un personaggio speciale, una vera prima donna.

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Un'altra persona che occupa un posto rilevante nella mia carriera è Teresa Orlowsky, un'attrice tedesca di origine polacca. Se esistesse un modo per clonare la perfetta pornostar, io sicuramente clonerei lei. Teresa è una di quelle donne dalla grande femminilità, estremamente sensuale, che emana erotismo animale. Un corpo da vera femmina, e la cosa che più mi faceva impazzire di lei è che restava bagnata per ore e ore. Non l'ho mai vista usare un tubetto di lubrificante né davanti, né dietro.

La scena più indimenticabile della mia vita professionale con Teresa fu all'inaugurazione del suo nuovo superstudio di Hannover: era un'orgia con le star americane degli anni Ottanta. Erika Boyer, Barbara Dare, Porche Linn, Tracy Adams, e con il grande Tom Byron.

La scena fu incredibilmente lunga, iniziammo le riprese verso le dieci del mattino e, ininterrottamente, andammo avanti fino a tarda sera. C'erano tantissimi problemi, legati all'inesperienza dei tecnici sulle nuove apparecchiature, e il marito di Teresa ci faceva ripetere la stessa scena all'infinito.

Gli americani, incazzati neri, continuavano a chiedere lubrificante. «Lub, please, more lub, fuck more lub.» E via via cominciavano ad abbandonare il set.

Restammo soltanto io, Teresa e Tom. Fu una cosa incredibile. Lei è rimasta bagnata tutto il tempo, senza mai utilizzare una goccia di lubrificante, aveva la fica e il culo paragonabili alle cascate del Niagara. Non diceva mai basta, io e Tom continuavamo a prenderla, era una scena di doppia penetrazione, finché il marito non ci ha dato lo stop.

Teresa, oltre alla sua provocante bellezza da mora e la sua eleganza, era anche una donna appassionata del suo lavoro di attrice. Io la considero, secondo la mia personale visione di come dovrebbe essere la perfetta pornostar, la più grande che sia mai esistita in Europa.

Prima che lasciasse questo ambiente, avevamo un rapporto di amicizia molto stretto: ero il suo attore preferito. All'epoca avevo poco più di vent'anni e dopo le riprese lei veniva a passarmi il sapone sotto la doccia, si prendeva cura di me

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come se fossi suo figlio. E il debole per me le è costato numerosi litigi con suo marito. Spesso, durante i servizi fotografici dopo le riprese, Teresa voleva che mentre la sodomizzavo continuassi a muovermi mentre lei si masturbava e aveva orgasmi a ripetizione.

Suo marito, vedendola in quello stato di eccitazione, le gridava: «Teresa! Teresa! Smettila!».

Allora lei mi guardava con i suoi occhioni neri e mi mormorava sottovoce: «Non smettere, che sto per venire».

Suo marito, fuori della grazia di Dio, più di una volta ha preso la macchina fotografica e l'ha sbattuta per terra.

Quando si sono separati (ma non per colpa mia!) hanno creato due case di produzione distinte.

Una sera sono stato invitato a cena dal suo ex marito. C'era il fior fiore degli attori che lui era riuscito a convincere a lavorare solo per lui e non con Teresa.

Nel momento in cui sono entrato, lui si è alzato in piedi e ha gridato davanti a tutti: «Rocco, se ti siedi a questo tavolo significa che hai deciso di non lavorare più con Teresa. Ma se scegli lei, vuol dire che non lavorerai più nel porno».

Lui mi conosceva e sapeva che non sono il tipo che lascia correre un tono così sgradevole, tuttavia mi limitai a prendere definitivamente atto della sua idiozia, e me ne andai scegliendo, una volta per tutte, di lavorare solo con Teresa.

Da quel giorno lui iniziò la sua campagna contro di me, spargendo la voce che avevo l'AIDS.

Nella mia carriera sono state tante le presenze significative che mi hanno fatto crescere sia dal lato umano sia da quello professionale. Tra queste vorrei ricordare i registi francesi con cui ho iniziato, Michel Ricaud e Alain Paillet. Entrambi persone autentiche e passionali, che hanno dato tantissimo al settore. Li ho sempre ammirati per la loro professionalità e voglia di portare il nostro lavoro a un livello superiore. Si annoverano tra questo genere di persone anche i registi Giorgio Grande e Mario Bianchi, e i produttori Ugo Matera e Carlo Reali: con

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loro ho fatto il mio debutto quando il cinema era ancora in pellicola.

Ricordo con molto affetto il periodo passato accanto a Riccar-do Schicchi, fotografo e agente di tutte le più grandi pornostar italiane e per il quale nutro grandissima stima e ammirazione. Un personaggio ambiguo, divertente e alquanto imprevedibile come pochi ne ho conosciuti nella mia vita.

E Mario Salieri, regista di grande passione che ha cercato di introdurre nel cinema porno un'originalità che prima non esi-steva, con i suoi primi film ambientati nella comunità napole-tana in stile neorealista. Purtroppo, per incompatibilità caratte-riale non abbiamo più lavorato insieme, ma resta comunque una delle persone che stimo di più in questo settore.

I due registi con i quali ho avuto un feeling straordinario e che mi hanno permesso di fare i film più belli e di stare dove mi trovo sono stati John Stagliano e Joe D'Amato. Con John tutto è nato negli Stati Uniti. Dopo il successo di Buttman Ultimate Workout è iniziata una lunga serie di film che mi ha permesso di girare il mondo. Con John c'è sempre stato un rapporto di grande complicità fin dal primo film. Pensate, non mi ha mai lasciato fuori da nessuna produzione fino al suo ultimo lavoro, Fashionistas, per il quale ha ricevuto più di dieci Oscar negli Stati Uniti. È sicuramente grazie a lui che ho cominciato a cre-scere dal punto di vista sia professionale sia umano. Ho cono-sciuto tante persone in questo settore, ma mai nessuno tanto onesto e generoso quanto lui, che mi ha sempre supportato con la sua esperienza e con il suo consiglio, nella mia carriera di re-gista e produttore. Lo considero uno dei miei migliori, più cari amici.

Grazie a Joe D'Amato ho avuto la gioia d'interpretare i più grandi ruoli storici, quelli più conosciuti al mondo. Per esem-pio, il protagonista in Le avventure erotiche di Marco Polo pro-dotto dal regista e produttore Luca Damiano, un'esperienza di grandissimo impatto emotivo. Abbiamo girato negli stessi posti dove anni prima il mio mito, Marlon Brando, aveva gira-

to Apocalypse Now, utilizzando parte della stessa troupe tecni-ca di filippini. In seguito, c'è stata una lunga serie di film: Tar-zan X, Rocky X, Torero, I magnifici 7, Il Marchese de Sade.

Con Joe c'era un rapporto bellissimo. Ricordo che mi diceva sempre: «Rocco, la differenza tra te e

gli altri è che con loro devo usare la camera a spalla, per movi-mentare la scena, e con te invece uso solo lo zoom».

Mi sembra ancora di vederlo seduto dietro la sua macchina da presa, con il suo sigaro. Joe era quello che si diceva un vero regista, veniva dal cinema tradizionale, aveva una grandissima esperienza, è stato forse il più grande esperto di cinema di ge-nere a trecentosessanta gradi conosciuto in tutto il mondo. Era analitico, dotato di una capacità di semplificazione che non ho mai visto in nessun altro regista. Era decisamente il più conte-so dai produttori. Poteva tirare fuori quattro, cinque film di-versi dallo stesso set, semplicemente giocando con le luci. Joe mi ha insegnato molto. Era un vero artista. Dico "era" perché, purtroppo, è venuto a mancare troppo presto e con lui il cine-ma ha perso un grande rappresentante.

Ho un ricordo affettuoso di Alex Derenzi, Anthony Spinelli, Henry Pachard, John Leslie, Paul Thomas, TT Boy, John Do, Ron Jeremy, con i quali sono nate delle belle amicizie.

E poi vorrei parlare degli attori con i quali ho diviso giornate di puro divertimento e di piacere, e per i quali nutro un profondo sentimento di rispetto. Roberto Malone e io abbiamo iniziato a lavorare nello stesso anno; è uno di quelli che hanno fatto la storia del porno italiano, un grande caratterista, io amo definirlo il Robert De Niro del porno. Franco Roccaforte, o più semplicemente Teo, il dolce gigante nero, è stato a lungo l'unico attore nero professionista in Europa, adorato e contemplato da tutte le più belle ragazze del porno, e non solo. Zenza Raggi, o meglio Karim, è senz'altro il più simpatico, dotato di grande tecnica, sia come attore sia come amante: so-no sicuro che non avrebbe alcun problema a recitare nel cine-ma tradizionale, anche se avrebbe potuto avere un grande fu-turo nel calcio!

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Ma l’attore che in questi ventanni è stato il mio più caro amico e soprattutto il mio "compagno di battaglia", con il quale ho girato in tutti i Paesi del mondo è Joe Silvera. Con lui ho dato sfogo a quel lato del mio carattere che solo in pochi conoscono. Ne abbiamo combinate di tutti i colori!

Ho conosciuto tante persone durante i miei viaggi negli Stati Uniti, ma nessuno che avesse il cuore di Patty Rhodes, la produttrice alla quale devo l'inizio della mia avventura ame-ricana. Dolce, disponibile a qualsiasi ora del giorno e della notte. Lei e il suo compagno Freddy Lincoln sono i miei più grandi amici americani.

***

In tutta la mia carriera ho sempre cercato di dare il piacere pri-ma ancora di riceverlo. È per questo che, se un'attrice mi chie-deva una scena piena di romanticismo e di carezze, la facevo in quel modo, se una donna mi diceva che amava il sesso mol-to forte, ero capace anche di quello per farle raggiungere il piacere. Per riuscire a fare bene questo lavoro occorre essere molteplici. Non si può avere un tipo di donna predefinito: devi poter esprimere la stessa passione, lo stesso entusiasmo e la stessa eccitazione con qualsiasi tipo di partner con la quale ti trovi a lavorare, indipendentemente dalle caratteristiche fisi-che che preferisci e dai tuoi gusti sessuali.

A me piaceva moltissimo passare da una scena tenera e ro-mantica a una scena molto forte. Questa tavolozza di sfuma-ture per un regista era sicuramente interessante tant'è che, di fatto, non sono mai stato relegato a un solo ruolo.

Accanto alla versatilità dell'attore, esistono, come ho detto, due stili che qualificano il cinema porno professionale: quello americano e quello europeo. Senz'altro entrambi mi hanno for-mato, ma poi ho preso a seguire semplicemente il mio istinto, cercando di essere il più naturale possibile sul set per vivere e far vivere a pieno la scena che viene filmata. Bisogna però in-tendersi sul concetto di "naturale", che non vuol dire fare tutto

come viene. Immaginatevi un attore di cinema tradizionale, si dice che più è naturale più è bravo, eppure utilizza delle tecni-che molto complesse per arrivare a dare quell'illusione della realtà. Dal runner all'elettricista, al direttore della fotografia, al regista, stanno tutti lì, un attore se li vede intorno. Ma c'è un momento in cui devono scomparire dalla sua mente e, tuttavia, mai completamente. Questo è importante dal punto di vista tec-nico, per prendere la luce giusta, per muoversi con spostamenti misurati, senza esagerazioni nei gesti, per stare nell'angolo giu-sto della camera, ma anche da quello artistico, perché è il mo-mento in cui gli attori concedono la loro intimità, la loro anima.

Questo genere di lavoro ti fa arrivare a una sorta di estrania-zione dal tuo corpo e soprattutto dal tuo pene, tanto che io, a un certo punto, ho cominciato a pensarlo dotato di vita pro-pria, indipendente da me e ho provato addirittura pietà per lui, viste le situazioni incresciose in cui lo mettevo.

Altre volte mi sembrava che avesse un'anima e che mi guardasse con un grande occhio al posto del glande, come a dirmi: «Rocco, mi hai fregato un'altra volta, ma che cazzo mi fai fare, perché mi metti in queste situazioni!».

Non saprei bene come spiegarlo, ma nutro sinceramente un sentimento che definirei di grande stima per lui, che mi ha supportato per tutti questi anni senza mai chiedermi di andar-cene in vacanza, e così è come se fossimo diventati due amici di ventura (e, a volte, anche di sventure).

Quando ci ripenso, mi rendo conto di aver avuto veramente una vita incredibile. Ho girato film in tutti i Paesi dove il por-no è legale, e più di una volta anche dove non lo è. Tranne che in Giappone. Lì mi è stato vietato di recitare perché avevo, mi dicevano, un sesso troppo grande per le attrici porno giappo-nesi. Quando poi ho lavorato con le asiatiche negli Stati Uniti mi sono reso conto che era un'assurdità monumentale, non ho mai avuto il minimo problema. Ma il Giappone è un Paese molto strano! Per esempio, mi è capitato di girare davanti a un parterre di giapponesi, a Los Angeles, perché il coproduttore

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del film era giapponese e aveva invitato una decina di amici sul set a vedere le riprese. Hanno passato tutto il tempo seduti in fila a guardarmi fare sesso, bevendo Coca-Cola e man-giando patatine. Vi giuro che, forse, è stata la situazione più assurda e insolita in cui mi sia trovato!

La cosa più difficile per un attore è trovare l'energia per po-ter ancora eiaculare quando ha dato fondo a tutta la forza fisi-ca e mentale per raggiungere l'orgasmo. Una volta ero sul punto di avere un infarto. Ho una tale passione per il mio la-voro che non valuto mai quanta energia un regista mi chiede. In quel caso, durante una ripresa, non ho sentito - o non ho voluto sentire - che stavo superando i miei limiti. È stata tutta colpa mia: nel momento in cui venivo, ho mosso la mia part-ner e la telecamera non ha potuto riprendere l'eiaculazione. Il regista mi ha dunque chiesto se fossi in grado di farlo di nuo-vo. Erano già parecchie volte che venivo ed ero stremato, ma ho comunque ricominciato. Mi sono masturbato spingendo sulla prostata come un pazzo e, nel momento in cui sono ve-nuto, mi sono sentito mancare. Il mio corpo ha ceduto di col-po. Si è fermato. Mi ci è voluta una buona mezz'ora per "tor-nare in superficie". Però il regista ha avuto tutto quello che voleva dalla giornata di lavoro.

Se ti costringi a fare una cosa del genere è per la considera-zione che hai di questo mestiere, della produzione! In casi si-mili sottoponi il tuo corpo a una vera e propria tortura, nel senso più violento del termine. Un orgasmo di fronte alla tele-camera è sempre un orgasmo angosciato. Un orgasmo nella vita privata, invece, è dieci volte più gradevole e benefico, cal-mo e rilassante. Ed è per questa ragione che, in tutta la mia carriera, non importava per quante ore e per quanti giorni fossi stato sul set, appena uscito cercavo di fare sesso il più possibile in privato.

Di una cosa sono certo però: nell'ottanta per cento dei casi ho provato molto piacere nel girare, per il restante venti per cento è stata una vera e propria sofferenza, duro da vivere, sia fisica-mente sia psicologicamente. Certo che se la percentuale fosse invertita, la mia sarebbe stata veramente una vita del cazzo!

Se ho deciso di concludere la carriera a quarant'anni non è stato per ragioni di vecchiaia né per difficoltà fisiologiche, come qualcuno ha ipotizzato, soprattutto i media e Internet, ne ho let-te e sentite di cotte e di crude. Come se dopo una ventina d'an-ni di onorato servizio avessi bisogno di scuse per smettere!

Già qualche tempo fa avevo deciso che il 2004, in cui avrei compiuto i quarant'anni, sarebbe stato il mio ultimo anno di lavoro come attore.

A un certo punto ti trovi a un capolinea. Penso che valga per tutti, qualsiasi cosa tu faccia. Io ho sentito la necessità di uscire di scena, senza farmi troppe domande. Mi sono guardato in-dietro, sono passati vent'anni, mi sento appagato per tutto quello che ho avuto. È stata soprattutto una decisione che ho preso come uomo nei confronti di mia moglie. Rosa non ha mai lasciato che il mio lavoro influenzasse il nostro rapporto, ed è giunto il momento che io mi dedichi a lei completamente. La mia è stata una decisione senza stress, naturale.

Metto in conto che dare un taglio improvviso e netto a una vita così intensa di sesso potrebbe avere delle ripercussioni sulle mie abitudini fisiologiche.

Appena la notizia si è diffusa ho cominciato a ricevere lette-re di fan molto amichevoli da tutto il mondo, alcune davvero commoventi. In quel momento ho capito quanto i miei fan mi fossero vicini. So che ho fatto divertire più di qualche persona, ma non pensavo che da questo potessero nascere dei senti-menti così belli come quelli che mi avete manifestato. Non mi avete fatto domande, non mi avete chiesto giustificazioni, semplicemente c'eravate.

Una frase che mi sono ripetuto spesso, facendo i miei film, è: «Io mi diverto, speriamo che si diverta pure qualcuno a casa così avrò la possibilità di continuare!».

Nella mia vita ho avuto anche altre passioni che gli impegni di lavoro non mi hanno dato la possibilità di sviluppare come avrei voluto, ADORO VOLARE. E tutto ciò che vola. Tutto ciò che può librarsi in aria mi affascina. Ho un debole per l'elicottero. Appena posso, vado a pilotare. Mi diverte molto.

E poi le moto, specialmente quelle da fuoristrada. Così pos-

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so trovare quel tempo, che altrimenti non riuscirei a ritagliar-mi, per stare su prati e colline. A contatto con la terra. Nel fan-go. Amo il contatto così selvaggio con la natura.

Non so cosa sta accadendo ultimamente, sicuramente inizio a invecchiare perché gli ultimi due anni li ho passati tra il set e l'ospedale a farmi riparare le mille fratture che mi sono provo-cato soprattutto cadendo con la moto, la più recente proprio sul set del mio ultimo film. Forse ho voluto dare alla mia car-riera un epilogo molto doloroso! Purtroppo non riesco a limi-tarmi, qualsiasi cosa faccia, e non so fino a che punto c'entri il mio carattere. Sembra che, poi, l'ultimo anno sia stato il peg-giore in quanto a sfighe.

Il mio ultimo film The Emperor, prodotto da Vivid e diretto da Paul Thomas, per esempio, è stato un concentrato di sfighe personali! Paul mi ha fatto una corte spietata per lunghi mesi e alla fine ho accettato di salutare il mio lavoro con quest'ultimo progetto. Sono a tutt'oggi convinto di aver fatto in assoluto il film più maledetto della mia carriera! E magari beccherò anche qualche Oscar!

Il primo giorno di riprese la mia partner americana era mol-to tesa perché doveva lavorare con Rocco Siffredi, quindi per rilassarsi non aveva trovato soluzione migliore che bersi tre o quattro bicchieri di vino già alle nove del mattino. Non appe-na ci siamo trovati davanti alla telecamera, come da copione lei ha cominciato a schiaffeggiarmi, ma con una forza e un vi-gore che la sceneggiatura non prevedeva. Ho capito subito dalla sua violenza che aveva perso il controllo della situazio-ne, ma non volevo fare la parte di quello che si lamenta per un paio di schiaffi ben assestati! Solo che lei continuava a pic-chiarmi sempre più forte e con una mira così precisa che ho cominciato a sentire che la palpebra mi si gonfiava tutta di un colpo rendendomi difficile tenere l'occhio aperto. Allora l'ho fermata, e sono andato in bagno. Mi sono visto allo specchio, ero come un pugile malmenato. Il giorno successivo sono arri-vato sul set con un occhio nero.

Le riprese non erano iniziate proprio nel migliore dei modi.

La storia era molto liberamente ispirata a quella di 81/2 di Fe-derico Fellini, e io ero molto fiero d'interpretare il ruolo di Marcello Mastroianni.

Il secondo giorno dovevo fare una scena con Brianna Banks, una superstar americana, che mi ha confessato, con voce molto emozionata, che aspettava quel giorno da cinque o sei anni e che questo desiderio risaliva alla sua adolescenza: mentre le sue compagne di classe collezionavano le foto di Tom Cruise, lei ac-cumulava le mie. E per provarmelo me le ha portate sul set!

Quando abbiamo iniziato, lei si è buttata sul mio cazzo per-ché la scena prevedeva un pompino assolutamente incredibile. Ma è successa una catastrofe! Le si è disarticolata una ma-scella. Non mi era mai capitato niente di simile in vita mia. Urlava dal dolore, poveretta. Quando ha ripreso fiato, mi ha spiegato che non dovevo sentirmi in colpa. Il suo ex ragazzo le aveva rotto la mascella con una mazza da baseball qualche mese prima durante un litigio molto violento. Brianna, dopo essere uscita dall'ospedale, è andata a trovare il suo ex fidan-zato e mi ha detto di averlo schiacciato con la macchina contro il muro, senza ucciderlo, ma rovinandogli gravemente i geni-tali. Io ascoltavo, sbalordito, quella storia delirante,

Nelle scene successive, Brianna aveva molte parti dialogate ma, dopo l'incidente, non riusciva a parlare senza emettere un fischio, un fastidioso sibilo che sul set stuzzicava la voglia di ridere. Eravamo tutti preoccupati perché un film in sedici mil-limetri costa molto caro e ripetere le scene troppe volte è un lusso parecchio costoso.

Dopo questi due incidenti eravamo quasi a metà film, e ho deciso di approfittare del primo giorno libero per fare un po' di motocross e scaricare la tensione. Avevo bisogno di stare solo, immerso nella natura. Quando sono arrivato sulla pista da cross, ho avuto la netta sensazione che non avrei dovuto correre. Ho pensato ai rischi per il film se solo mi fossi fatto male. Dun-que, ho deciso di limitarmi a spianare la pista con una ruspa, per due ore. Quando ho finito ero soddisfatto e molto rilassato. E so-no ripartito, scegliendo un percorso di strade solitamente deser-te. All'improvviso, dietro l'unica curva, mi spunta davanti a tut-

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ta velocità una vecchia auto russa, una Trabant, guidata da due ragazzi che stavano facendo rally. Lo schianto è stato inevitabile. E molto doloroso. Nel momento in cui ho scorto la macchina, in quella frazione di millesimo di secondo, mi sono visto davanti la faccia di Paul Thomas. In quell'attimo l’unica mia preoccupazio-ne era il film. Mi sono rialzato subito, ho visto che potevo stare in piedi, ero contento. Evidentemente non avevo niente di rotto. Almeno a caldo! Il tempo di arrivare a casa e la situazione si era notevolmente aggravata. Quando i miei muscoli si sono raffred-dati e mi sono spogliato, ho avuto l'impressione che il mio corpo fosse finito sotto uno schiacciasassi. Mi sono rifiutato di andare in ospedale, perché sapevo che avrei avuto i soliti problemi.

Non potevo assolutamente permettermi di non presentarmi sul set, soprattutto per una produzione come quella. Il giorno dopo mi sono imbottito di antidolorifici e sono andato a lavo-rare. Il regista ci dice le scene che avremmo girato: io avrei avuto tutto il periodo della vecchiaia di Rocco. "Wow!" mi so-no detto. "La fortuna è dalla mia!" Dopo una lunghissima se-duta al trucco, mi sono calato nel personaggio del vecchio senza il minimo sforzo. Ma mi era sfuggito che nella scena successiva il vecchio Rocco tornava a poco a poco giovane e forte e faceva l'amore con molta foga. Lì, ho veramente vissu-to l'inferno. Il ginocchio era praticamente inutilizzabile. La cassa toracica mi faceva troppo male e non potevo respirare. Mi sono cosparso con un potente antidolorifico. E qui viene il bello! L'attrice che mi stava addosso a un certo punto ha spa-lancato gli occhi atterrita, non sentiva più tutta la parte supe-riore del corpo. Credeva di avere qualche grave problema. L'ho tranquillizzata subito, non doveva avere paura, era solo l'effetto del potente spray antalgico.

Quando decidi di lavorare nel porno, devi sapere che stai accettando di lavorare nell'improvvisazione pura. Qui, la maggior parte delle volte, non esistono tutte le pianificazioni che trovi su un set di cinema tradizionale, così come non ci so-no tutte quelle figure professionali indispensabili per girare scene un po' pericolose. Durante le riprese del film Rocco, lo stallone italiano (remake hard di Rocky, con il grande Sylvester

Stallone) ho incassato da un ragazzo nero di oltre centotrenta chili un uppercut indimenticabile che mi ha mandato KO. HO conosciuto quello che nella box si chiama "la lampadina spen-ta"! Eppure la scena l'avevamo ripetuta tante volte, il pro-gramma era preciso, ma al momento del ciak quel ragazzo di centotrenta chili ha fatto un po' di confusione. Forse, se al suo posto ci fosse stato un vero stunt, non si sarebbe verificato un inconveniente così. Purtroppo nei budget dei nostri film non si hanno mai soldi a sufficienza da permettere di sacrificare giorni di lavorazione, perciò ho dovuto accontentarmi di un po' di ghiaccio in testa per tre ore e poi ho continuato a girare per tutta la notte.

Un'altra volta, per una scena di omicidio, è stata portata sul set una pistola che sarebbe dovuta essere a salve, garantita, e che solo per un purissimo caso è stata provata prima della sce-na. Be', quella pistola ha prodotto un foro di 22 mm su un car-tone. Sono rimasto impietrito!

Quando ho dovuto girare scene con esplosivi, è accaduto di tutto: attori, ragazze e la gente del set hanno riportato brutte ustioni, anche abbastanza gravi.

E di episodi come questo ce ne sono stati tantissimi in una carriera così lunga. In Jekyll and Hyde, Budapest, inizio anni Novanta, sono rimasto per cinque ore sulla pavimentazione ghiacciata di una piazza, temperatura sotto zero, con la cami-cia aperta. Dovevamo fare una ripresa in morphing per la scena in cui Mister Hyde, dopo la morte, ritorna Doctor Jekyll, con tre telecamere posizionate sul set. Allora la tecnica non era an-cora così all'avanguardia, oggi si usa la computer grafica per questo tipo di effetti speciali. Al termine di queste riprese non riuscivo ad alzarmi e hanno dovuto portarmi in ospedale. Là, per sbloccare la spalla mi hanno fatto due iniezioni di cortiso-ne. Tuttora a causa di ciò soffro di tendinite alla spalla.

Forse la volta che ho veramente sentito il mio cuore fermar-si è stato quando giravo una scena con due ragazze: era estate, faceva molto caldo. Mentre afferravo la mano di una di loro, tirandola verso di me, i suoi tacchi a spillo sono partiti come due saponette. Lei è crollata sul pavimento e ha battuto la te-

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sta sul marmo, ha cominciato ad avere spasmi con gli occhi rovesciati. Mentre mi chinavo su di lei "ho visto il film della mia vita". Che paura!

Quando devi realizzare un grande film con pochi soldi sei costretto a cercare di risparmiare al massimo su tutto, non puoi permetterti sprechi, devi prevedere gli inconvenienti che si possono verificare e risolverli già prima che diventino un problema. Il denaro che hai ti serve soprattutto per curare gli aspetti scenografici e per i mezzi tecnici di ripresa. Molto spesso sei costretto ad assumerti, non di rado in totale inco-scienza, responsabilità rischiose.

Su un set di cinema tradizionale puoi almeno essere coperto da una polizza assicurativa, nel nostro settore no. Sul set non è possibile avere garanzie di copertura, innanzitutto per le questioni riguardanti la legittimità giuridica su cui ci siamo già soffermati e, oltre a questo, quale compagnia sarebbe di-sposta ad assumersi i rischi legati alla salute, visto il nostro mestiere?

Quando qualche anno fa mi è venuto in mente di assicurar-mi il "pene", io stesso sono stato scoraggiato da una serie di cavilli burocratici che mi ha indotto a lasciar perdere.

Dall'altra parte della camera

Dimenticarmi di Rocco Siffredi, l'attore hard, non è così facile, perciò in questo momento mi sto sforzando di capire come poter trasferire la stessa soddisfazione che trovavo nel lavoro di attore in quello di regista.

Questa decisione è stata il frutto di una riflessione pondera-ta, che mi ha portato anche a un lavoro di maggiore approfon-dimento su me stesso, nel quale ho dovuto analizzare e meta-bolizzare la mia dipendenza dal sesso prepararmi ad affrontare le conseguenze di un distacco netto.

D'ora in avanti non sarò mai più il leader di un gruppo mu-sicale, ma il direttore d'orchestra.

Quando nel '92 ho deciso di iniziare la mia carriera di regi-sta, ho smesso per un po' di fare l'attore, per dedicarmi com-pletamente alla preparazione della mia prima produzione. Quello fu un periodo molto difficile, perché fino ad allora, per anni, avevo fatto sesso sul set in media per venti, venticinque giorni al mese, e sono passato a uno stop totale. Avevo erezio-ni improvvise, anche senza provocazioni, durante tutto il giorno. Dovevo masturbarmi e, spesso, andare in cerca di pro-stitute. I primi cinque o sei mesi sono stati il periodo peggiore, ma successivamente il mio corpo si è adattato al nuovo stile di vita. Scopare di meno mi portava a riflettere di più!

In principio tutti gli altri attori e registi pensavano che sarei arrivato al massimo alla fine della prima produzione e poi sa-rei tornato a fare il mio lavoro di attore. I loro dubbi non erano

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del tutto infondati: non era mai accaduto prima che un attore europeo decidesse di passare alla regia e alla produzione. Il fallimento lo davano quasi per scontato. E, onestamente, all'i-nizio è stato tutt'altro che facile. Quando ero solo attore dove-vo limitarmi a gestire il mio lavoro, ma quando oltre a quello devi preparare il resto del casting, trovare le location, creare la troupe e capire a quale progetto stai mirando, cioè che tipo di film vuoi fare, oltre poi a tutto il resto, la storia si complica al-quanto.

Un regista deve essere molto reattivo, per lo più lavora con persone che ha visto una volta in fotografia, e il tempo a di-sposizione per realizzare un film nella maggior parte dei casi non supera i tre, quattro giorni. Tutto può sempre cambiare fi-no a un attimo prima, è meglio metterlo in conto e imparare fin da subito che per risolvere i problemi ci vuole prontezza. Anche fare l'attore diventa molto più complicato quando sei nel contempo il regista e il produttore. Magari fino al giorno prima hai dovuto discutere di soldi con tutti, poi come regista discuti con qualcuno per i suoi atteggiamenti sul set, magari proprio con la stessa attrice che qualche minuto dopo sarà la tua partner in una scena di sesso. È tutto molto più complicato, bisogna entrare e uscire dai ruoli con attenta e sottile psico-logia. Infatti, se potessi reinventarmi un lavoro, questo sarebbe quello dello psicologo. Anche se non ho fatto studi teorici, ho maturato una grande esperienza grazie a questi vent'anni passati sui set porno con tante persone, le più diverse, a volte al limite del borderline! La psicologia in questo lavoro è tutto. Sfiori l'anima della gente da troppo vicino.

Uno può pensare che basti pagare di più; sì, è vero che con il dio denaro ti si aprono tutte le porte (o quasi), però perché una persona possa aprirti l'anima hai bisogno di cercare le chiavi giuste.

Specialmente se sei un venditore di illusioni sessuali, la componente psicologica ha un'influenza del cento per cento, soprattutto se è la sessualità vera che stai cercando, cioè due corpi che danno sfogo a un sesso puro, senza finzione. Con i

soldi puoi comprare la carne degli attori. Ma per ottenere il lo-ro desiderio e la loro passione devi passare per la testa!

Sento sempre dire che i film porno sono tutti uguali. Non è vero. La differenza è straordinaria quando vedi due che stanno scopando con l'anima, il cuore e la testa.

Mi è capitato più volte che qualche collega regista mi abbia detto: «Ho visto quell'attrice nei tuoi film, era una bomba e l'ho presa. Ma si è rivelata una delusione totale!».

Quando realizzo un film, lo faccio sempre dando tutto me stesso, senza lesinare né sui sacrifici né sui mezzi, perché alla fine la sola cosa che mi sta a cuore è che gli spettatori siano soddisfatti e non delusi. Oggi posso guardarmi allo specchio con serenità, perché non ho mai cercato di ingannarli. Ho sempre dato il meglio di me. La mia condotta professionale potrebbe dunque riassumersi in: fare le cose seriamente, ma sen-za mai prendersi troppo sul serio. Cerco sempre di attorniarmi di persone positive. Sui miei set ci si diverte, si ride, tento di creare un'atmosfera che renda leggero il lavoro anche se tutti ci impegniamo molto. Perché, alla fine, la cosa più importante è quello che è contenuto nella telecamera.

Io faccio questo lavoro con una mentalità da artigiano, se-guo tutto in prima persona, più di una volta ho provato a de-legare, ma ho dovuto rimetterci le mani. È il difetto delle per-sone perfezioniste.

Contrariamente a quello che pensano numerosi registi, per me il casting è uno dei momenti clou della produzione. Se, co-me a me, ti interessa filmare dei bei momenti di sesso, prima devi mettere insieme gli attori giusti, è tutto lì il segreto, capi-re a colpo d'occhio i gusti e i limiti delle persone.

Nel cinema tradizionale, ma anche nel porno, soprattutto americano, quasi sempre prima si scrive il copione e poi si scel-gono gli attori. Io ho fatto per lo più il contrario (a parte qual-che eccezione): ho deciso e improntato i progetti sulle qualità e sui talenti delle ragazze e dei ragazzi che incontravo, ho co-struito i ruoli sulle loro personalità. Naturalmente, conta molto anche l'aspetto fisico, visto che trattiamo il desiderio, ma molte volte ho scartato ragazze bellissime perché non mi ispiravano

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nulla dal punto di vista creativo. Ho bisogno di parlare con lo-ro, vedere il loro sguardo, indovinare i gusti, le tendenze, os-servare come si muovono. Occorre che mi si rivelino un po' psicologicamente, che mi dicano perché sono venute al casting e che cosa le spinge a fare sesso davanti a una telecamera.

Non vi nascondo che ho una sorta di rigetto per le "profes-sioniste" del porno, dallo sguardo spesso vuoto e dal sorriso di plastica, che aprono la porta e prima ancora di salutare ti dicono freddamente: «My name is... e faccio: l'anale, doppio anale, pissing, questo e quell'altro!».

Mi cadono le braccia...! Oppure ci sono quelle che se ne stanno sedute davanti a te pri-

ve di espressione, con una vuota tranquillità, e dicono di sì a tut-to, del tipo "basta che mi paghi e puoi farmi fare tutto quello che vuoi". Peggio ancora quelle che con l'orologio alla mano ti chie-dono: "Quanti minuti di anale, quanti minuti di DP?" eccetera.

D'altra parte quando qualcuno mi scrive o viene da me per chiedermi di diventare un attore o un'attrice, la mia prima do-manda è sempre: «Perché vuole fare questo lavoro?».

Se mi rispondono che è per soldi o perché hanno bisogno di lavorare, cerco di far capire loro che è una scelta di cui potreb-bero pentirsi amaramente.

Spesso, da parte di altri colleghi, ho ricevuto pareri negativi su ragazze che mi incuriosivano molto: "È pazza" o "È rompi-coglioni" e così via. Io le incontravo lo stesso, a causa della mia curiosità per le personalità estreme, e quasi mai il mio in-tuito mi ha deluso.

Sono sempre stato convinto che questo tipo di persone, an-che se più difficili da gestire, sono quelle in grado di darti le interpretazioni più sorprendenti e coinvolgenti.

Le ragazze che preferisco sono quelle che desiderano cono-scere emozioni nuove, che vogliono vivere cose che non han-no ancora provato tranne che nei loro sogni proibiti. Ma so-prattutto, quello che più mi eccita è sorprenderle un attimo prima della consapevolezza, quando si sentono inappagate per un desiderio che non sanno ancora di avere. Con queste attrici mi preoccupo particolarmente che il passaggio all'atto

sia positivo, senza spiacevoli sorprese per nessuno. Rispetto le loro scelte, se non hanno voglia di fare qualcosa non le forzo mai. Invece, se vengono da me dicendomi che vorrebbero pro-vare questa o quella cosa, faccio di tutto per soddisfarle. Co-me regista non sono impositivo, voglio che le scene nascano dagli attori. E sono in grado di garantirlo solo se ho un feed-back da loro. È importante che sentano che si possono fidare di me e ancora di più lo è non tradire il sentimento di fiducia. È un momento emozionante ineguagliabile quando, a lavoro finito, le persone se ne vanno ringraziandoti.

Ho sentito molto spesso attori lamentarsi che nei miei film ci sono scene troppo lunghe. In certi casi purtroppo è vero. Il problema è che a volte una scena diventa interessante solo do-po un'ora - non dimentichiamo che spesso gli attori si sono appena presentati, e forse nemmeno salutati. Se la scena non parte, preferisco provocare il set finché non riesco a ottenere qualcosa di vero. Sono particolarmente allergico al sesso finto. Pornografico. Senza passione.

Considero questo il mio modo per essere onesto con me stesso e con il mio pubblico.

Questo stile di lavoro l'ho ritrovato anche sul set di Catherine Breillat. Il suo metodo è infatti quello di spersonalizzare l'atto-re, smontarne tutte le costruzioni artificiose per riuscire a en-trare nella sua anima e tirare fuori qualcosa di autentico. Da lei ho imparato che per realizzare una scena magica è assoluta-mente indispensabile che gli attori offrano la loro anima, non solo al regista, ma anche al film. Se questa alchimia funziona, si può veramente sperare di ottenere immagini straordinarie.

***

In quest'ultimo anno di lavoro ho conosciuto tre attori, tre ra-gazzi particolarmente singolari che mi hanno permesso di realizzare alcuni dei film più belli degli ultimi tempi.

Mike Chapman, un ragazzo nero di New York che vive da anni a Budapest facendo il deejay, ha un talento non comune,

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la pura arte dell'improvvisazione è dentro di lui. Ha interpre-tato tutti i miei ultimi film da protagonista, facendomi diverti-re ed emozionandomi.

Se volete avere un'immagine più precisa di Mike, pensate a Eddie Murphy!

Omar Galanti è un ragazzo italiano di Vercelli che ha un cuore più grande del suo uccello (per altro di dimensioni considere-voli!), una grande generosità e un umorismo incredibile. Gra-zie a lui e a Mike ho cambiato la mia idea sull'ironia nel porno: con le loro performance mi hanno convinto che a volte ridere durante il sesso può anche essere divertente. Una cosa che non avevo mai preso in considerazione prima.

Jazz Duro, un simpatico italo-irlandese, è un attore di grande professionalità. Innanzitutto, un amico sincero e fedele, doti rarissime in questo ambiente. Jazz mi segue un po' dappertutto in giro per il mondo.

Quanto all'equipe tecnica, è formata dal mio grande amico Daniele, segretario di produzione, da Massimo, il mio monta-tore, e da Angelo, musicista di tutti i miei film. Amicizie nate e consolidate in più di dieci anni. È un team supercollaudato, siamo molto affiatati, ed è grazie alla loro professionalità che i miei film sono sempre risultati vincenti. Non hanno mai man-cato di dimostrarmi la loro stima e con la loro presenza hanno rappresentato un valido supporto per la mia crescita profes-sionale e artistica.

A proposito di attrici, invece, vorrei parlarvi di Mai dire mai a Rocco, che è una delle produzioni che preferisco perché la trama mi riguarda molto da vicino; parla di tutto quello che mi piace fare, ovvero aprire le porte della sessualità alla mia partner. È considerato dai miei fan, e io sono d'accordo, il mio film più bello.

Sul set del Marchese de Sade avevo incontrato una giovane attrice, Laetitia, una ragazza svizzera di diciotto anni. Tra una

scena e l'altra, è venuta da me e mi ha chiesto come mai nei miei film ci fossero così tante scene di gang bang (cioè scene di più uomini con una donna).

Il motivo è semplice, le dico, ricevo tantissime richieste dai fan che vogliono recitare nei miei film. Siccome sono tanti e non professionisti, ne prendo venti, trenta per volta. Allora Laetitia, con gli occhi che le brillavano, mi ha risposto che lei non l'aveva mai fatta una gang bang, ma che le sarebbe piaciu-to moltissimo provare.

Sono come un bambino: mi elettrizzo tutto quando i deside-ri e la possibilità di realizzarli si incontrano. Trovo che nella sincronicità ci sia una magia eccitante.

Me la sono vista, ho immaginato le scene che avrebbe gira-to, lo avrebbe fatto non per soldi, ma per il desiderio di farlo, e la sua emozione si sarebbe trasmessa immediatamente agli spettatori. Capite perché detesto i pornostar che hanno di-menticato che in questo lavoro per trasmettere il piacere biso-gna innanzitutto provarlo?

Ho scritto il film per Laetitia, tutte le scene erano basate su gang bang faraoniche. Una era ambientata in una sala da boxe, in cui lei era circondata da una cinquantina di bianchi, un'altra in un antico rudere con altri bianchi e tanti neri, e poi oltre cento ragazzi per le strade e nei parchi, tutti membri del mio fan club. Finito di girare lei era ancora sotto adrenalina.

Le ho detto: «Allora com'è stato? Certo, non è che fossero tutti belli, c'era di tutto, alti, bassi, brutti, belli, con cazzi gros-si e piccoli».

Lei mi ha risposto: «Hai ragione, ma quando sei in ginoc-chio sono tutti belli!».

Effettivamente, non faccio alcuna discriminazione, né per l'aspetto fisico, né per le dimensioni del pene, quando selezio-no i miei attori. Credo che chiunque debba avere il diritto di realizzare il suo sogno.

Ho fatto anche un film soltanto con attrici amatoriali, Rocco, ti presento mia moglie. È stato divertente, sono partito da solo con la telecamera e la mia jeep e ho percorso tutta l'Italia, dal

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Nord al Sud, per andare a girare le scene. Avevo pubblicato un annuncio sulle riviste specialistiche per incontri amatoriali e su trecento risposte ne avevo selezionate una cinquantina. Avevo scelto anche ragazze semplici, non di una bellezza per-fetta, ma con un fascino verace. Mi sono incontrato con una dozzina di coppie e ho chiesto loro di fare solo quello che vo-levano. Potevo essere attivo con loro, o semplicemente regista. Gli uomini potevano tenere la telecamera mentre io facevo sesso con le loro donne, tutto era assolutamente libero. Devo dire che questo film è stata un'esperienza incredibile.

Gabriele, il mio alter ego

Sono sempre stato attratto dalla gente un po' fuori dagli sche-mi, ma credo che mio cugino Gabriele sia in assoluto la perso-na più speciale con la quale ho condiviso le passioni e le emo-zioni di questi ultimi dieci anni.

Gabriele è il mio alter ego professionale e il mio più grande amico. Da giovanissimo si è distinto dagli altri membri della famiglia per il suo carattere bisbetico e imprevedibile. All'epo-ca, lui si occupava di magia nera. Ricordo che conduceva per-fino un programma televisivo in cui parlava di esoterismo e religioni. Gabriele, di due anni più grande di me, era conside-rato la pecora nera della famiglia per i suoi modi di fare sem-pre al limite del concepibile. Sin da quando era bambino era diverso da tutti, pieno di iniziative geniali. Ricordo quel gior-no che mi chiamò tutto eccitato perché aveva inventato una soluzione per sintetizzare un composto chimico, ma qualcosa non funzionò come doveva, ci fu un'esplosione e si bruciò il naso e una mano.

Dopo un'infanzia divertente le nostre vite si sono separate e per circa dieci anni non ci siamo più visti. Sapevo che si era fatto una famiglia, viveva a Milano e lavorava in banca. Lo scon-quasso che avevo portato in famiglia, appena tutti avevano sa-puto del mio nuovo lavoro, aveva raggiunto anche lui. Gabriele mi telefonò quasi subito, per chiedermi di incontrarci immedia-

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tamente da lui a Milano. Era affascinato, sorpreso, elettrizzato. Lui mi conosceva come un ragazzino timido, abbastanza intro-verso, e tutto avrebbe potuto immaginare di me tranne una co-sa del genere! Mi confidò senza indugio che la vita che io avevo scelto era sempre stata anche il suo sogno. Era sbalordito, non ne avevamo mai parlato.

Siamo rimasti insieme una settimana, a Milano, e tutti i gior-ni mi diceva: «Lascio il mio lavoro in banca e parto con te».

Io cercavo di dissuaderlo, perché sapevo quanta fatica gli era costato quel lavoro, ma anche per evitare il linciaggio defi-nitivo del resto della famiglia.

Gabriele possedeva in realtà tutto quello che un uomo può de-siderare. Tutto, tranne l'essenziale: la sensazione di vivere la vita con intensità.

L'universo della pornografia gli era sembrato l'occasione deale per questo. Ha così insistito, ha parlato con tanta pas-sione della possibilità di una nuova vita che, alla fine, ho ce-duto e ho accettato di portarlo con me a Parigi.

Purtroppo Gabriele ha un temperamento troppo emotivo per essere un attore porno affidabile sul set. Attraverso di me, ha avuto la possibilità di tentare più volte, con produzioni e film differenti, tuttavia era sempre più difficile per lui, e io mi sentivo in colpa. A Milano aveva lasciato la stabilità e ogni si-curezza, i ricordi e tutti i suoi affetti.

Ha cominciato a essere sempre più sconfortato, confuso, deluso. Io cercavo di spiegargli che non era un lavoro facile quello dell'attore porno e che la sua reazione era del tutto normale.

E un giorno è semplicemente scomparso dalla circolazione. Via, sparito, non se n'è saputo più nulla. Ho telefonato dapper-tutto, sia in Francia sia in Italia, ma nessuno l'aveva visto. Tre anni dopo, improvvisamente, si rifa vivo. Era diventato fotore-porter di guerra. Era stato in Afghanistan, in Kashmir e in altri Paesi mediorientali. Ci siamo rivisti e mi ha spiegato che si era preso tutto quel tempo per cercare di trovare un senso alla sua vita. Si era convinto che non era tagliato per fare l'attore hard,

ma gli sarebbe piaciuto tornare nell'ambiente, magari stando dietro le quinte. Era stanco di fotografare morte e distruzione. Io ero contento di ricominciare a lavorare insieme a lui. E que-sto rapporto non si è più interrotto. Gabriele ha ricoperto tanti ruoli in questi anni, è stato fotografo di scena, assistente, sce-neggiatore e regista. La cosa fantastica è che io e mio cugino è come se fossimo un'unica persona, abbiamo lo stesso modo di vedere le cose, sia dal punto di vista tecnico-cinematografico sia, soprattutto, dal punto di vista della ricerca e dello stile del-l'immagine sessuale. Siamo così complementari che molto spesso uno compensa la stanchezza dell'altro. Insieme abbia-mo realizzato più di cento film.

Ovviamente, come tutte le coppie, discutiamo e a volte liti-ghiamo, principalmente perché abbiamo lo stesso tempera-mento mediterraneo, ma sono sempre litigi che così come ini-ziano finiscono.

Quando mi capita di perdere le staffe, a torto o a ragione, per esempio, e gli urlo di lasciare il set, mi risponde sempre: «Siamo sulla stessa barca, Rocco, riportiamola in porto. Poi decidiamo».

Ma una volta in porto, come vecchi marinai, andiamo al bar a berci un bicchiere insieme, prima di ripartire per una nuova avventura.

È capitato spesso che Gabriele si sia preso delle grane che si-curamente sarebbero spettate a me. Così facendo si è attirato anche le antipatie di molte persone che lavoravano sui miei set. In alcuni film complicati, come per esempio Ass Collector, in cui abbiamo lavorato per trenta, quaranta ore di fila senza interruzione, gli attori se la prendevano con lui perché non avevano il coraggio di venire a lamentarsi da me.

Gabriele crede in quello che fa e vuole che tutti diano il massimo, così come ha sempre fatto lui in tutte le nostre pro-duzioni. L'ho visto anche con la lingua a penzoloni per la stanchezza!

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Tutti i fan che hanno amato i miei film devono sapere che sono sempre stati frutto della fusione di due persone, Rocco e Gabriele.

John Stagliano dice che noi due siamo uno dei migliori team al mondo. Non so se questo sia vero, ma tra noi esistono una complementarità e una complicità sorprendenti. In altre paro-le, parliamo la stessa lingua: quella della passione.

Rocco e i fantasmi

Questa storia prima d'ora l'avevo raccontata solo a mia mo-glie. Da piccolo facevo un sogno pazzesco: sto guidando un'auto, nonostante l'età, e ho un incidente, devo morire ma mi si materializza davanti una strana figura che mi dice che può aiutarmi a dimenticare tutta questa brutta avventura, che mi farà restare vivo se vorrò diventare suo amico. Dipende so-lo da me. Sono bloccato dentro il sogno, non posso parlare e lui continua a ripetermi sempre la stessa domanda finché, sforzandomi, non riesco a dirgli sì.

Sono stato atterrito da questa figura per moltissimi anni, ha continuato a ritornare nei miei sogni, anche se non era un incu-bo ricorrente. Ogni volta lui si presentava chiedendomi di con-fermargli la mia fiducia e promettendomi felicità, ricchezza e benessere. Io, bambino, combattevo contro l'idea di essere suo amico, non volevo un amico così brutto e cattivo. Questo scono-sciuto è tornato nei miei sogni fino a poco tempo fa, ma io l'ho respinto con tutte le mie forze e con tutta l'anima, gridandogli che mai, assolutamente mai, sarei passato dalla sua parte.

Negli anni questo sogno, non so perché, aveva consolidato in me la certezza che sarei morto entro i quarant'anni. Quando ho conosciuto Rosa ho sentito il dovere morale di avvertirla che avrebbe potuto capitarmi una disgrazia. Lei non ci fece caso!

Sei mesi prima di compiere i quarant'anni ho cominciato a

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preoccuparmi di cosa avrebbe fatto la mia famiglia senza di me. Ho assillato fino allo sfinimento mia moglie su come avrebbe dovuto organizzarsi dopo la mia morte. Ma Rosa mi prendeva in giro.

Ho tentato di interpretare questa figura da adulto, sulla scorta delle spiegazioni che sia l’immaginario religioso, sia quello psicanalitico possono offrire. L'immagine di quest'uo-mo, in questo sogno, mi fa paura ancora oggi.

CINEMA e cinema

In tutti questi anni davanti all'obiettivo mi sono spesso chiesto in cosa il cinema tradizionale e il cinema pornografico fossero diversi.

Circa una decina di anni fa, ricevetti una telefonata da una regista francese, che non mi disse immediatamente il suo no-me, ma mi chiese se fossi interessato a fare una parte nel film che avrebbe voluto realizzare se fosse riuscita a trovare i soldi. Dopo questa telefonata non l'ho più sentita. Più di cinque anni fa ricevo un'altra telefonata dalla stessa regista e mi fa di nuovo la stessa domanda, ma questa volta il film è pronto a partire. Le ho chiesto di inviarmi il copione anche se, lo am-metto, ero titubante. Due giorni dopo, invece, ho ricevuto a casa la sceneggiatura del film.

Quella regista è Catherine Breillat e il film era Romance. Attraverso di lei, e attraverso l'esperienza che lei mi ha mes-

so in condizione di fare, ho avuto finalmente l'opportunità di cominciare a capire.

Ho discusso spesso, negli anni, questo tema con i registi di cinema tradizionale che incontravo. Per alcuni di loro il porno è un genere come un altro e, per altri, invece, la sola idea di paragonare i due filoni pareva offenderli.

Quando ho chiesto a Catherine per quale motivo aveva scelto me e cosa la rendeva sicura che sarei riuscito a soddi-sfarla, lei mi ha dato una risposta che mi ha lasciato senza pa-role: «Sono sicura che sei un bravo attore, è vero che ti ho visto

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solo fare sesso, però quando lo fai ci metti tutto te stesso. E a me importa solo che un attore sia disposto a darmi l’anima, tutto il resto, poi, lo faccio io».

Dopo Romance, un'altra esperienza in Italia, Amore estremo di Maria Martinelli, e poi, di nuovo con Catherine Breillat, Anatomie de l'enfer.

Ho dedotto che il bello di essere attore non sta tanto nelle soddisfazioni economiche o nella celebrità, bensì consiste pro-prio in quella particolare fortuna che hai di interpretare ruoli che nella vita di tutti i giorni non potresti impersonare e, in questo modo, di far uscire sfumature di personalità che sostan-zialmente non ti appartengono ma che, in qualche modo, hai dentro di te, nascoste nel magma della complessità interiore.

In Anatomie de l'enfer il mio impegno di attore è durato circa un mese. Immaginatevi uno di quei film le cui riprese durano sei o sette mesi e anche oltre: trovo che sia straordinario vivere per un tempo così lungo dentro la vita e la personalità di qual-cun altro, è un regalo concesso a pochi fortunati, gli attori do-vrebbero mantenere sempre viva questa emozione nella loro carriera, e non abituarcisi come se fosse qualcosa di scontato.

Una persona comune, come un cameriere in un bar, un auti-sta di taxi, un professore o un muratore, dopo il lavoro, può ave-re un hobby o una passione per il football, per gli scacchi o per la musica, ma non sono nulla rispetto a tutte le emozioni che po-trebbe vivere. Un attore, invece, può essere tutto. E chiunque. Può provare qualsiasi cosa. Non lo trovate straordinario?

È eccezionale, esattamente come lo è per noi attori hard. Il set ci dà la possibilità di sperimentare una gamma così vasta di combinazioni sessuali, mille fantasie, di fare sesso nei modi più diversi, con tantissime partner bellissime, che non sarebbe possibile vivere in dieci vite da uomo comune.

Più di una volta mi sono sentito dire che il nostro lavoro di at-tori hard ha più a che fare con la prostituzione che con la reci-tazione perché siamo pagati per fare sesso. Quest'affermazio-ne perde di vista che su un set porno i protagonisti vengono pagati per esibire un rapporto sessuale destinato a raggiunge-

re un vasto pubblico, esattamente come gli attori di cinema tradizionale quando mettono in gioco i loro sentimenti e le lo-ro emozioni nel compimento delle esigenze di sceneggiatura.

Dopo tanti anni ho imparato a riconoscere immediatamente la natura di una donna, e che, talvolta, l'abito può fare il mona-co! Ho avuto a che fare con ragazze che non erano mai state davanti a una telecamera e perciò erano intimidite: è bastato truccarle e metterle davanti a uno specchio, con un abito che esaltava il loro corpo, insomma trasformare il loro look, e im-mediatamente tutte le loro inibizioni sono saltate.

E posso assicurarvi che ciò funziona anche nella vita privata. Per esempio, provate a vestire la vostra donna con accessori fe-tish, regalatele scarpe alla Betty Page, e vedrete che trasforma-zione! Vi chiederà quello che non vi ha mai chiesto prima e, al tempo stesso, la metamorfosi le darà il coraggio di farlo.

Nel film Anatomie de l'enfer io interpretavo il ruolo di un omo-sessuale, fragile e disperato. Era una cosa assolutamente inim-maginabile per me! Non volevo dare un'interpretazione che fosse una caricatura formale. Ho attinto al ricordo del mio ca-ro amico Franco, mi ha aiutato molto nella ricerca di un inti-mismo omosessuale profondo. Per diverse settimane ho do-vuto ospitare dentro di me un'altra persona. Alla fine delle riprese mia moglie mi ha trovato molto turbato. Non credo che fosse una sua esagerazione, credo che avesse ragione. Quando si interpreta profondamente un ruolo, non te lo togli di dosso solo perché hai finito di girare le scene che stavano sul piano di lavorazione della giornata. Per me è stata un'e-sperienza molto importante e non mi sono certo risparmiato. Ho vissuto con il mio personaggio, ho dormito con lui, ho mangiato con lui, ho riflettuto con lui. Dopo il film ho avuto bisogno di un po' di tempo prima di dimenticarmelo comple-tamente.

Tuttavia, sono convinto che raramente un attore di film por-nografici possa anche essere un attore capace di recitare nel ci-nema tradizionale, e viceversa. I metodi, i tempi di ripresa e

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soprattutto la preparazione sono completamente diversi. Un attore di film tradizionali non si ritroverebbe nell'ambiente dell'hard per via dei nostri ritmi, non avrebbe a disposizione tutte quelle voci che nel nostro settore non esistono per ragio-ni di budget e di tempo. Nessun set di film hard potrebbe di-lungarsi tre giorni su una scena di sesso, come è stato fatto in-vece in Romance.

Avevo molti dubbi, era un'esperienza completamente di-versa. "Sarò sufficientemente convincente?" mi domandavo. Anche se la maggior parte delle critiche sulla mia prestazione al cinema tradizionale era positiva, so che non sono la nuova star. Per intraprendere questa carriera dovrei reimpostare tutta la mia vita e, per come l'ho strutturata, non potrei permet-termelo.

Dopo Romance, la Breillat ha annunciato sul quotidiano "Le Monde", e non soltanto per ribadire la stima nei miei confron-ti, ma credo soprattutto per il piacere della provocazione, che sono il miglior attore europeo, indignando il ceto perbenista francese. Mi sono immaginato subito la faccia di tutti quegli attori che hanno passato anni e anni a studiare recitazione nel-le accademie di arte drammatica!

Lavorando sui set di questi film, ho dovuto constatare che in molti Paesi europei i pregiudizi, le riserve e gli atteggiamenti preconcetti nei confronti degli attori del porno sono ancora molto forti. Gli attori di cinema tradizionale si sentono offesi a dover condividere lo stesso set con un attore hard.

Quando Catherine mi ha spiegato che in Romance avevo una scena di sesso con Caroline Ducey e che la produzione aveva previsto tre giorni per realizzarla, mi sono detto: «Cosa? Tre giorni per una scena?».

Immaginavo scene molto classiche, niente di eccezionale per uno come me, abituato a scene di sesso ben più complesse. «Avranno voglia di buttare soldi!» Questa, in tutta sincerità, è stata la mia reazione.

Il primo giorno di riprese sono rimasto veramente impressio-

nato. Erano tutti lì in silenzio e concentrati. È stato in quel preci-so istante che mi sono reso conto che una delle più grandi diffe-renze tra il cinema pornografico e quello tradizionale è il rispet-to che si ha dell'attore. Il momento prima che la macchina da presa iniziasse a filmare, ho sentito scendere un vero e proprio silenzio sul set, dov'erano finite quelle venti persone che stava-no lì fino a un momento fa? Dal capo operatore al direttore del-le luci, ai tecnici di ogni reparto, erano tutti immobili, e se si muovevano non te ne accorgevi, tutti lì per realizzare il film nel migliore dei modi. Questa è stata la prima grande e bella emo-zione che ho avuto da quel set.

Mi torna in mente a questo proposito un vecchio film in cui interpretavo il ruolo di Dracula.

Dovevo apparire nella luce con un gran mantello e dire con voce impostata: «Dracula, io sono Dracula...», spaventando le coppiette.

Come da sceneggiatura, gli uomini sarebbero dovuti scap-pare e lasciarmi le loro donne. Io, calatissimo nel ruolo, mi av-vicinavo, Dracula sarebbe stato orgoglioso di me, ma degli al-tri attori non ce n'era uno che recitasse la propria parte come da copione.

Jean-Pierre Armand mi ha detto scherzando: «Rocco, non esagerare! Non sono pronto...».

Un altro mi ha letteralmente mandato a quel paese: «Cazzo, Rocco! Dai, non farmi incazzare!».

Sembrava che fosse una cosa seria solo per me. Allora mi sono avvicinato a Max, il regista, e pure lui si stava divertendo come un pazzo, il produttore accanto a lui rideva più di tutti! Io ero veramente arrabbiato. Ora, quando ci ripenso, rido an-ch'io.

All'inizio, però, è molto deludente vedere che perfino per gli stessi professionisti del settore non ha la benché minima im-portanza ciò che si sta recitando. Dopo un po' non fai più caso nemmeno ai commenti di tecnici, macchinisti e di tutti coloro che lavorano nell'hard. Più di una volta, durante rapporti anali, i registi mi diceva-

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no da dietro cose del tipo: «Rocco, guarda un po' che ha man-giato ieri sera!». Benvenuti nel club dei poeti!

Dopo alcuni ciak, mi sono reso conto che la Breillat non aveva chiamato un attore porno solo perché fosse in grado di penetra-re Caroline e di fare sesso con lei davanti all'obiettivo. Catherine Breillat pretendeva che io mi sentissi veramente nella pelle del personaggio, che provassi le sue emozioni, i suoi dubbi, le sue angosce, prima di recitare la mia parte. Questa scena di sesso, che io avevo preso alla leggera, è stata la scena più diffìcile e, psicologicamente, la più dolorosa che abbia girato in tutta la mia carriera. Avere un grande pene e un'erezione a comando qui non bastava, assolutamente no!

A differenza di un set pornografico, qui era tutto più asetti-co, la situazione non era molto eccitante. La ragazza stava sdraiata davanti a me, nuda, e il suo atteggiamento era alquanto pudico, distante. In questo senso di sospensione rarefatta, ho cercato comunque di adeguarmi. Catherine continuava a bloccare la scena, una volta perché l'attrice aveva la voce spez-zata per l'ansia di quello che sarebbe dovuto succedere, un'al-tra volta perché mi trovava troppo in anticipo o non allineato alle battute. Lei aveva bisogno di un unico piano-sequenza, non voleva dover inserire tagli. Ogni volta si ricominciava dunque daccapo. Tra un ciak e l'altro, dalle nove di sera d'ini-zio scena erano circa le tre del mattino successivo! Avevo scar-tato almeno trenta preservativi. L'attrice non voleva stabilire un feeling con me. Non mi guardava, era rigida, se ne stava davanti a me intenta a restare fredda. Cercavo i suoi occhi, e lei me li scansava, non aveva un'espressione per me, niente. Fino ad allora avevo fatto appello a tutta la mia esperienza, ma ini-ziava a essere estremamente difficile continuare a restare con il cazzo in erezione davanti a lei. Avevo modificato il mio ap-proccio decine di volte, focalizzando l'attenzione sulle parti del suo corpo, piedi, mani, capezzoli, pube, la smontavo con l'immaginazione dandole delle identità a mio piacimento. È una tecnica che nel porno può aiutarti, ma qui era molto diver-

so. Non sapevo più cosa inventarmi! Ho cercato un appiglio con lo sguardo in giro per il set. Mi sono accorto della microfo-nista, era una ragazza, ho cominciato a guardarla, ma lei si è imbarazzata e ha preso a girare gli occhi per aria. Cominciavo a sentirmi seriamente a disagio. Tutti mi guardavano. Me ne stavo col cazzo di fuori davanti a una troupe di venti persone, come uno che è stato trovato con il coltello in mano ma l'aveva solo raccolto! Ho provato a sfiorare un piede dell'attrice, e lei ha avuto la prima reazione, ma solo per ricordarmi che lei sta-va facendo il suo lavoro e io il mio. E che non dovevo più toc-carla. Per la prima volta, in vent'anni, davanti a una telecame-ra mi sono sentito perso! Mi sono sentito l'uomo più solo al mondo. Ho chiesto a Catherine se potevo allontanarmi e star-mene un po' per conto mio, con me stesso, avevo bisogno di ri-trovarmi.

Ero arrabbiato, ho aperto il camerino con un calcio, urlando: «Ma non ci credo, mi hanno chiamato per fare un film normale e poi mi fanno stare per sei ore a cazzo duro davanti a una sbronza malefica!».

Quello che stava accadendo era davvero irreale. Catherine, un attimo dopo, mi ha raggiunto in camerino,

ansimante, e, abbracciandomi, mi ha detto: «Ci siamo Rocco... Ce l'abbiamo, ce l'abbiamo, ce l'abbiamo... La facciamo... Ce l'abbiamo fatta...».

«Ce l'abbiamo cosa?» «Tu. Lei... Ricominciamo. Vedrai, sarà magico...» «Ma di cosa parli? Magico un cazzo! Mi è scomparso e tu lo

trovi magico? È questa la tua magia?» «Rocco...» «No! Sono sei ore che sto in erezione aspettando questa stron-

za e lei non mi degna neanche di uno sguardo. Anzi, non l'hai vista?, mi guarda disgustata! Ma chi cazzo si crede di essere?»

Allora Catherine mi ha stretto a lei e mi ha sussurrato: «Ti dico che è magnifico. Fidati. Lei ora piange. È il momento».

«Se vuoi andiamo, ma il mio cazzo è morto.» Sono tornato sul set, fregandomene, consapevole che non era

il mio ambiente. Ma, per la prima volta, Caroline mi ha guarda-

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to dritto negli occhi, ho visto che davvero era cambiato qualco-sa. Ed è bastato che la sua mano mi sfiorasse i testicoli e il mio sesso era duro come non era mai stato fino ad allora quella sera. È stata lei stessa a infilarmi il preservativo. La sua voce era di-versa. In una sola ripresa abbiamo fatto l'amore e sono venuto nei tempi che la regista avrebbe voluto. Come per telepatia. Aspettavo che desse lo stop alla scena. Ma non accadeva nulla. Intorno c'era solo un grande silenzio. Ho percepito un brusio. Il direttore della fotografia ha dato lo stop. E mi sono accorto che la Breillat se ne stava in un angolo, si era coperta la testa con un velo nero. Mi ha spiegato dopo che si era ritirata dalla magia di quella scena e che secondo lei quel momento sarebbe dovuto essere solo per noi.

Non per vantarmi, ma sarei curioso di sapere come ne sarebbe venuto fuori un attore di cinema tradizionale, uno che non sia Marlon Brando o Gerard Depardieu, naturalmente! Perché, se perfino io che sono abituato a stare completamente nudo da-vanti alla telecamera, in una situazione decontestualizzata com'era quella, davanti a una troupe di cinema tradizionale, ho avuto una difficoltà così palese, immaginatevi uno che è abituato a recitare vestito! Con la sua dignità al sicuro dentro le sue mutande.

È grazie all'infinita gamma di emozioni che ho dovuto af-frontare e metabolizzare durante questa esperienza che ho po-tuto sopportare altri tipi di conflitti e problemi del genere nei film successivi, sia in Anatomie de l'enfer, sempre della Breillat, sia in Amore estremo, girato in Italia con Maria Martinelli.

Comunque, se essere una brava attrice, per quello che posso aver capito, significa dare il massimo del coinvolgimento emotivo, dei propri sentimenti alla scena e al personaggio, al-lora io devo essere stato davvero sfortunato, perché nessuna delle mie partner in questi film mi ha mai concesso nulla!

Il primo giorno di riprese di Anatomie de l'enfer ricordo che l'attrice è arrivata sul set cercando e chiedendo in giro chi fos-se Rocco Siffredi. L'ho sentita, mi sono fatto riconoscere e l'ho salutata.

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Lei, senza nemmeno presentarsi, ha detto subito: «Ah, sei tu Rocco... Io sono la protagonista del film. Non dimenticarti che ho una controfigura e di tenere il tuo cazzo almeno a tre metri da me!».

Non potevo credere a quello che stavo sentendo! Le ho risposto: «Aspetti, ricominciamo con le presentazioni.

Io sono Rocco, sono una scimmia e ho un cervello minuscolo. Lei chi è?».

A quel punto ha fatto una risatina da ochetta e io ho creduto che si fosse resa conto di aver esagerato, e per gentilezza ho cercato di toglierla dall'imbarazzo in cui lei stessa si era cac-ciata, ma lei mi ha interrotto e, come se credesse di parlare con qualcuno che aveva sempre vissuto in una riserva sperduta, ai confini del pianeta, mi ha detto: «Sai, Rocco, io sono una vera attrice. Ho appena finito di girare con Gwyneth Paltrow. Capi-sci? Un'attrice. Attrice come quelle di Hollywood. Hollywood, capisci?».

Avevo capito. Stavo capendo tutto benissimo. Non sarebbe stato semplice farsi accettare dal mondo del cinema. Non mi sa-rebbe bastato interpretare bene il ruolo, dovevo anche soppor-tare il disprezzo degli attori. Sin dall'inizio mi ha classificato una sottospecie di attore. Né più né meno. Sono strasicuro che se al mio posto ci fosse stato, che so, Vincent Cassel, per esem-pio, si sarebbe aperta in tutti i sensi, e non avrebbe gradito esse-re sostituita dalla controfigura. Succhiare l'uccello a Vincent Cassel sarebbe stato sicuramente artistico!

Se la mia presenza la imbarazzava a tal punto avrebbe do-vuto rifiutare quel ruolo. Le rimprovero l'incoerenza con cui ha accettato il lavoro, senza alcuna correttezza nei suoi stessi confronti, nei miei, in quelli di Catherine e del film. Ogni gior-no mi faceva la parte, con quei suoi sorrisetti sdolcinati, in realtà avrebbe voluto vomitarmi addosso. Ha fatto di tutto per mettermi in difficoltà. E il fondo l'ha toccato quando, durante una scena particolarmente difficile in cui io non dovevo piangere, bensì trattenermi sull'orlo delle lacrime, ha delibe-ratamente recitato male per farmi rigirare quella stessa scena ben otto volte di seguito.

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Alla fine è venuta a dirmi: «Ma come hai fatto? Cosa hai preso per recuperare quello stato emotivo ogni volta?».

E io mi sono sentito un seminarista. «Che intendi?» Lei mi ha portato nel suo camerino, ha aperto la pochette e

mi ha mostrato un portapillole. «Noi attori prendiamo delle pillole. Per piangere, per essere depressi, per essere felici, per essere un po' fuori di testa e così via. Insomma, per tutto, per entrare e uscire nei diversi stati emotivi. Che credi? Se doves-simo davvero fare sul serio ogni volta, impazziremmo!»

E lo diceva come se fosse la portavoce ufficiale del cinema tradizionale. Come se un attore hard dicesse che senza le pil-lole e le iniezioni sarebbe impossibile avere un'erezione!

Le menzogne sono le stesse e le tecniche sono molto simili. Sei solo tu che scegli il livello a cui vuoi fare il tuo mestiere.

***

Catherine ha un'intelligenza sbalorditiva, la sua capacità di mettere a nudo la personalità della gente è affascinante. È an-che grazie a questo dono che riesce a tirar fuori il talento dagli attori che dirige. So che tantissime persone, e in particolare molti giornalisti, la dipingono come una strega, dicono di lei che sia troppo dura con gli attori. In realtà quando inizia il suo film ha già davanti la visione completa di cosa vuole realizza-re. E la sua carica di passione è tale che, se gli attori non sono pronti ad aprirsi a lei, tutta la sua energia si scontra in modo distruttivo con la loro rigidità.

Catherine è una grande artista, con una sensibilità unica. È vero che i suoi metodi di lavoro sono pesanti, ma credo che salire i gradini di una crescita, sia nella vita personale sia in quella professionale, sia sempre uno sforzo doloroso.

In Anatomie de l'enfer posso dire di aver visto quell'attrice soffrire come poche altre donne nella mia vita. Ci sono stati molti momenti in cui mi ha fatto pena. A volte non capivo se la guardavo da dietro o da davanti la telecamera, il confine mi appariva confuso. Ma, nonostante tutta la sua contrarietà verso il metodo di Catherine, sono sicuro che, quando ha visto il risultato alla proiezione, ha dovuto ammetterne il grande ta-lento. È proprio per questo che io adoro Catherine, per come si

assume la responsabilità delle proprie scelte. Ha una grande personalità, coraggio da vendere e se ne sbatte altamente delle critiche, lei è una donna che va oltre ogni regolamento. Non si limita mai a fare un cinema standardizzato e prefabbricato.

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Che fortuna avere dei genitori fantastici

Oggi che sono padre di due meravigliosi maschietti posso dire che educare non è un mestiere facile! Non sai mai cosa è giusto e cosa non lo è, né puoi essere sempre lucido di fronte a cosa dare e cosa non dare.

Ciò che mi è mancato di più dai miei genitori durante l'in-fanzia e l'adolescenza è stato il dialogo (con mio padre è arri-vato solo qualche anno fa). Non li biasimo per questo, perché credo che loro abbiano avuto a loro volta lo stesso tipo di pro-blema. Trovo patetici quei personaggi che vanno a piangere in televisione per aver preso qualche sculacciata da bambini. Nessuno è mai rimasto traumatizzato da una sberla! Se è una semplice sberla.

Non mi piace questa era di puritanesimo cieco e stupido, in cui il bambino è diventato il re della famiglia. Non si fa il suo bene. L'educazione è importante ed è anche fatta di regole semplici e chiare che un bambino deve poter capire e affronta-re senza difficoltà.

Per tornare alla mia famiglia, mia madre è stata tutto per me. Era affettuosa e protettiva, al limite del morboso. Quando ci picchiavamo nel cortile con gli altri bambini, i loro padri si precipitavano a difenderli, il nostro non faceva mai in tempo perché mia madre lo precedeva. L'ho addirittura vista buttar giù vasi dalla finestra e rincorrere uomini con il badile.

Era molto impulsiva, un po' per carattere, un po' perché tutta quella sofferenza l'aveva resa suscettibile. Quando la faceva-

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mo arrabbiare, ci ha rotto più di qualche cucchiarella di legno sulla schiena. Solo sulla mia testa, quando mi rifiutavo di man-giare, credo abbia spaccato una decina di piatti. Ma questo non cambia il bellissimo ricordo che ho di lei. Le condizioni di vita allora erano difficili, e noi capivamo benissimo i nostri genitori se, a volte, le loro reazioni sembravano incontrollate. Hanno dedicato tutta la vita ai propri figli e questo basta e avanza per comprendere che tipo di genitori fossero.

Se mia madre me l'avesse chiesto, ma solo per lei, avrei mes-so una croce sul lavoro di attore porno. Se mi avesse detto che con il mio mestiere la facevo soffrire, avrei smesso immediata-mente. Quando ho cominciato, ho deciso di parlargliene subi-to. Non volevo assolutamente che fosse mio fratello a farlo.

In realtà, in quel momento, ho pensato che lei non sapesse l'esatto significato del termine "pornografico", o che lo sapes-se ma che preferisse non affrontare il discorso per pudore.

Direi, forse, di più la seconda, perché un giorno ho trovato in Un cassetto un giornaletto pornografico con le mie foto. Gliel'ho sventolato sotto il naso e le ho detto: «Ma, mamma, adesso ti in-teressi di queste cose?».

È rimasta per un attimo in silenzio, cercando di trovare un'e-spressione di rimprovero, e poi mi ha chiesto: «Disgraziato! Guarda qua! Di' un po', glielo metti veramente dentro?».

«Eh! E dove vuoi che glielo metta?» Allora mi ha rincorso attorno al tavolo della cucina e mi da-

va delle pacche sulla schiena, dissimulando la consapevolezza e l'orgoglio per un figlio adulto con la tenerezza di quando ero il suo bambino.

Era una donna pudica e forte, dalle spalle larghe, una di quelle donne che si assumono tutte le responsabilità e tutte le fatiche, nella buona e nella cattiva sorte, ma che di fronte alla mia felicità si è fatta piccola piccola. Si è fatta carico anche della so-litudine per difendere le mie scelte di fronte al resto della famiglia e al paese. E questo l'ho sempre tenuto ben presente, in qualunque situazione mi trovassi.

Lei era il mio punto di riferimento assoluto. Anche nei mo-

menti più difficili non ho mai dubitato della sua capacità di capire, perché se, per le circostanze e le opportunità culturali, qualcosa non le era immediatamente comprensibile, lei si da-va il tempo di concepirlo. Ho sempre potuto fare affidamento sul suo modo, tipicamente femminile, di avvicinarsi alle cose, anche le più lontane da lei.

Quando lavoravo negli Stati Uniti per periodi di tre mesi, la chiamavo tutti i giorni, ma proprio tutti i giorni. Non ci dice-vamo niente e la telefonata durava dieci secondi, giusto il tempo di mormorare: «Se sto bene? Sì e tu? Sì? Allora è tutto a posto. Ciao, mamma...».

Poi riattaccavamo. E a volte la richiamavo subito dopo, solo per dirle: «Vabbe', allora ciao...».

Può sembrare ridicolo, ma avevo bisogno di sentire la sua voce, per me era vitale. So quanto lei soffrisse per la mia lonta-nanza.

Ho cercato di ricambiare la sua fiducia, tutelando l'integrità a cui mi ha educato. Per nulla al mondo avrei deluso lo sforzo che le era costato accettare la mia scelta, rovinando la mia vita e, di conseguenza, la sua, infognandomi in storie di droga e roba simile.

Devo confessare che ho una grande fortuna: il mio corpo rea-gisce molto violentemente a tutto ciò che può alterarlo. Anche solo fumare mi provoca il vomito.

Il rispetto di se stessi e dell'altro, a cui sono stato educato dai miei genitori, vorrei tramandarlo ai miei figli. Non farò niente per ostacolare le loro ambizioni, qualsiasi lavoro deci-deranno di intraprendere. Cercherò solo di fargli capire che la cosa più importante nella vita è la passione per quello che si fa, è l'unico modo che possono avere per superare ostacoli che a volte sembrano insormontabili.

Se un giorno decidessero di fare il mio lavoro, solo per emu-lare il loro padre, li dissuaderei. Ma se invece alla base di que-sta scelta ci fosse un reale desiderio, in questo caso hanno la fortuna di avere me come padre!

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Quando mia madre è morta, ho perso tutti i miei punti di riferi-mento. Mio padre è un brav'uomo, ha lavorato duramente per portare i soldi a casa, ma era lei il pilastro della famiglia. Mio pa-dre non aveva il temperamento del patriarca, era lei l'autorità.

Quando si è ammalata ho dato per la prima volta, letteral-mente, valore alla vita. Accadde durante il periodo di Natale, lei era diventata silenziosa. Nessuno di noi figli sapeva cosa realmente le stesse succedendo, ma si vedeva che non stava più bene, non è mai stata una persona che ricorreva con facilità alle cure mediche. Molto raramente l'ho vista andare dal dottore.

Io stavo partendo per gli Stati Uniti, e lei mi ha detto: «Vai pure, Rocco, ma sappi che quando rientrerai io non ci sarò già più. Tornerai per portarmi i fiori sulla tomba».

Al momento ho pensato che me lo avesse detto solo per trattenermi. Così ho deciso di partire lo stesso.

Dopo due settimane esatte, ricevo la telefonata di mia sorel-la. Devo rientrare, nostra madre è stata ricoverata in ospedale ed è molto grave. Sono rimasto con lei dal 15 gennaio al 15 marzo del 1993. L'ho vista morire lentamente, ogni giorno un po' di più. Vomitava sangue due volte al giorno, alle sei del mattino e alle sei della sera. Si metteva il lenzuolo davanti alla bocca e vomitava e poi io lo portavo via. Piangevo e mi ricom-ponevo prima di rientrare in camera.

Da un mese non poteva mandare giù nulla. Non mi importava più di niente, non mi preoccupavo più di nulla, ho vissuto la vita attimo per attimo in quei giorni.

Da quando è morta ho la costante sensazione che la rivedrò. Ho pregato con tutta l'anima Gesù Cristo per finire anch'io

nello stesso modo. Perché? In realtà non lo so. È una questione di dolore. Volevo cercare il modo per starle vicino il più possibi-le. Davanti a lei cercavo di essere forte e di rassicurarla quando aveva paura.

Gli ultimi giorni sono stati un inferno. Era dimagrita così tanto che gli infermieri non riuscivano più a trovarle le vene per il prelievo del sangue. Quando mia madre è morta, io dormivo

accanto a lei. Le stringevo la mano, all'improvviso ho sentito qualcosa spandersi dentro di me. Una sensazione di freddo. Credo che fosse lei, tutta la sua energia che se ne stava andan-do. A un tratto ho provato una sorta di sollievo, una strana tranquillità ingiustificata. Ho visto il suo viso, era bellissimo, finalmente, sembrava che avesse finito di soffrire.

Io mi sono letteralmente gettato sul lavoro, ho accettato di girare qualsiasi cosa mi proponessero, nella speranza di di-menticare, di stordirmi e cancellare le ultime immagini di mia madre.

Sul set ero sgarbato, non ero io, non ero mai stato così. Le ragazze che venivano a parlarmi, e che non sapevano che cosa mi fosse successo, mi chiedevano perché non sorridessi. Io ri-spondevo: «Sono pagato per scoparti, non per sorriderti».

Stavo dentro il dolore della perdita di mia madre, e nel con-tempo dentro il suo medesimo dolore. Più stavo male e più volevo stare male. Fino al punto di decidere di farmi circonci-dere, consapevole che da adulti è una cosa sconsigliabile.

Nel nostro lavoro essere circoncisi è un'accortezza igienica. Era arrivato il momento di farlo.

Sono tornato dunque a Pescara per farmi operare e il medi-co mi ha assicurato che sarei guarito nel giro di una settimana. Una settimana...!

11 mattino seguente mi sono svegliato con una strana sensa-zione di bagnato nella parte bassa del ventre. E non si trattava di urina, ma di sangue! C'era sangue dappertutto! Dovevo aver avuto un'erezione durante il sonno che mi aveva fatto saltare alcuni punti.

Ho telefonato subito al dottore: avrebbe sistemato la faccen-da, ma dovevo raggiungerlo subito in studio. Il fatto era, però, che non aveva tutto il materiale necessario e mi ha rimesso i punti senza anestesia. Vi lascio immaginare cosa non ho sof-ferto.

Quella ricucitura risultò immediatamente un orrendo rac-concio, ma il medico mi tranquillizzò: nel giro di poco tempo l'edema si sarebbe riassorbito. E come ci si può immaginare ri-cevetti subito l'unica telefonata che proprio non avrei voluto

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ricevere in quel momento. John Leslie era pronto a iniziare, di lì a dieci giorni, il grande film The Chameleon e mi stava aspet-tando a Los Angeles. Sebbene il mio sesso fosse in uno stato pietoso e soffrissi come un dannato, non me la sentii di dirgli la verità.

«Mi raccomando, Rocco, vieni un paio di giorni prima così ti riposi, sai, il fuso orario.»

E io non potei far altro che dirgli di non preoccuparsi. Ho attaccato e sono corso in farmacia a comprare ogni tipo di po-tentissimo cicatrizzante.

Ero a Ortona, passavo ogni giorno sette, otto ore al mare, con l'uccello esposto al sole, nascosto dietro gli scogli, cercan-do di fare tutto il possibile per cicatrizzare la ferita più in fret-ta che potevo. Almeno per riuscire a partire. Sono tornato dal medico per farmi togliere i punti, e ho capito che avevo sba-gliato tutto. Un lato del membro faceva pensare a Franken-stein, con cicatrici ignobili e bolle di carne disgustose. In quel-le condizioni, due giorni dopo, ho preso l'aereo per gli Stati Uniti.

Quelle riprese sono state le peggiori della mia carriera. Ave-vo il pene orribile, sempre irritato e, a ogni movimento avanti e indietro, avevo come l'impressione che mi tagliassero il glande con lame di rasoio tutt'intorno. Trattenevo le lacrime dal dolore durante le scene. Dissimulavo la sofferenza e tenta-vo di coprire sempre il lato disastrato.

Quando John mi chiedeva come stesse andando, rispondevo ogni volta: «Everything is good, everything is good...».

Finito il film, sono rientrato di corsa in Italia, e mi sono messo subito in cerca del miglior chirurgo plastico, mi hanno detto che l'avrei trovato all'American Hospital di Roma. Il professore mi ha esaminato a lungo e ha concluso dicendomi che, anche se la cicatrice era davvero terribile, restava comun-que abbastanza pelle per un nuovo intervento. Mi ha rassicu-rato che l'operazione avrebbe dato ottimi risultati, però avrei dovuto evitare assolutamente l'erezione almeno per i giorni immediatamente successivi.

Il mio problema più grande era che ero abituato ad avere

erezioni molto spesso, anche senza sollecitazione. Mi capitava naturalmente e non potevo farci niente. Sicuramente a causa dei miei ritmi di lavoro piuttosto frenetici, il mio sesso era abi-tuato a irrigidirsi a ogni minimo sfioramento, anche se non avevo alcun interesse particolare. Il mio vero incubo per lun-go tempo è stato andare dal medico; ero sempre molto teso se dovevo fare una visita un po' più approfondita al basso ventre, mi concentravo fino a sudare freddo nel tentativo di evitare un'erezione, mi è capitato talvolta di scusarmi preventiva-mente, non avrei voluto essere frainteso. I medici sorridevano.

È vero che queste situazioni possono far ridere, ma a me per molto tempo hanno dato considerevolmente fastidio nella realtà di tutti i giorni.

All'inizio l'ho nascosto perfino a Rosa, avevo paura che non capisse.

Dopo l'operazione, non so cosa mi abbia somministrato l'ane-stesista, per almeno venti giorni ho avuto l'impressione che il "mio caro amico" mi avesse lasciato! Quando il professore mi è venuto a trovare in stanza con la sua équipe, tutti cercavano di mantenere un tono serio e professionale ma io ho notato la loro strana euforia. Ho chiesto, allora, come fosse andata l'o-perazione.

«Benissimo. Ma tu sei incredibile» ha detto il professore. «Durante l'intervento, completamente anestetizzato, appena abbiamo cominciato a manovrarti l'arnese per prenderti le mi-sure, hai avuto immediatamente un'erezione. Avrò fatto mi-gliaia di interventi in tutta la mia carriera, ma una cosa così non mi era mai capitata!»

L'operazione in ogni modo era completamente riuscita. La cicatrice era quasi invisibile, sottile, pulita. Proprio come la desideravo. Un lavoretto di fino! Ma adesso arriva il bello!

H giorno successivo, quando mio fratello è venuto a pren-dermi per portarmi a Ortona, il chirurgo mi ha raccomandato di mettere del ghiaccio sul sesso durante il viaggio per impe-dire alla zona operata di gonfiarsi. Ci siamo dunque fermati in un bar per prendere il ghiaccio e, seguendo alla lettera la pre-

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scrizione, ho messo i cubetti in una busta di plastica e l'ho ap-poggiata sul pene nudo. Ho sentito subito un dolore insop-portabile, ma resistevo. «L'ha detto il dottore! Mica vorrò rovi-nargli il lavoro!»

Dopo circa dieci minuti di lancinante tortura, tutto a un tratto non sento più nulla, dico a mio fratello: «È passato, non sento più niente. Mi ci sono abituato».

Nel frattempo - erano trascorse due ore! - siamo arrivati a Ortona. Faccio per togliere la busta del ghiaccio per scendere dalla macchina e... la busta non viene via, mi rendo conto che è incollata. Cerco di staccarla pian piano, niente. Tento di dare uno strappo appena un po' più energico, e vedo i tessuti lace-rati, vedo i canali cavernosi all'aria, la rete nervosa... mi si è raggelato il sangue! Ho guardato dritto davanti a me e ho visto la mia vita, finita, crollarmi tutta addosso in quell'istante.

Qualche settimana prima mi ero augurato di soffrire un po' del dolore di mia madre, ma non mi aspettavo che il mio desi-derio venisse esaudito così presto!

Sono entrato in casa senza salutare nessuno e ho chiamato subito il professore. Tremavo di paura finché non ha alzato il ricevitore: era del mio strumento di lavoro che si trattava, e la mia situazione era tanto drammatica quanto quella di un pia-nista professionista che rischia di perdere le mani. Gli ho spie-gato quello che avevo fatto e, dall'altro capo del telefono, c'è stato il silenzio per alcuni interminabili secondi. Per lui era ovvio che avrei dovuto avvolgere il ghiaccio in un panno e non nella plastica prima di applicarlo sul pene!

Allora mi ha detto di non fare assolutamente niente e di ri-tornare a Roma subito. In seguito mi ha spiegato che il ghiac-cio in questi casi è peggio del fuoco perché brucia la carne in maniera indolore.

Una volta nel suo studio, senza nemmeno avermi salutato, mi fa subito stendere sul lettino e appena me lo scopre comin-cia a bestemmiare come un turco. E più lui bestemmia più io sono disperato.

Quando intravedo un attimo di calma, gli faccio: «Dottore, mi dica!».

Che fortuna avere dei genitori fantastici 167

Avevo un'ustione di secondo grado e dovevamo evitare che diventasse di terzo.

«Che significa?» chiedo io. Mi spiega che se fosse subentrata l'infezione, l'ustione sa-

rebbe potuta peggiorare raggiungendo il terzo grado. In tal caso... saremmo dovuti passare a un'altra fase. Un trapianto di pelle...

«E va bene. Vorrà dire che faremo anche quello.» «Sì, ma non è così semplice, perché la pelle del pene è una

pelle particolarmente elastica, speciale e unica in tutto il cor-po»...

Insomma, l'unico modo sarebbe stato quello di prendere la pelle da un altro pene. Cioè da un donatore. Un cadavere!

A quel punto ho cominciato ad avere la paranoia delle infe-zioni. Vedevo microbi e batteri dappertutto pronti ad attentar-mi l'uccello. I normali gesti quotidiani erano dettati da osses-sioni compulsive. Mi lavavo continuamente. Mi spalmavo battericidi, pomate antibiotiche, antibatteriche, antisettiche... e pregavo che non mi venisse l'infezione.

Il professore e il destino insieme mi hanno salvato da quella che avrebbe potuto essere una soluzione veramente difficile da sopportare.

Non ho difficoltà con il concetto di donazione, tutt'altro, so-no io stesso donatore di organi, ho lasciato a mia moglie chia-re disposizioni in proposito. Credo con convincimento nella donazione. Ma sarebbe stato difficile condividere la mia inti-mità con la pelle di qualcun altro.

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Gennaro, il mio fan più sfegatato

Il rapporto con mio padre era molto diverso da quello che ave-vo con mia madre. Lui ha sempre mantenuto il suo ruolo di pa-dre di famiglia e tra noi non c'è mai stato un vero dialogo profondo. Solo dopo la morte di mia madre abbiamo iniziato a parlare e, ovviamente, il tema delle nostre conversazioni era so-prattutto il sesso. Quando è arrivato ai settant'anni mi ha rac-contato tutte le storie che aveva vissuto da quando si era ritro-vato vedovo. La scomparsa di mia madre gli aveva dato una libertà che non aveva mai avuto. Parlando con lui, ho capito che la mia eccessiva libido era praticamente una questione genetica!

Da bambino ogni tanto lo sentivo discutere con mia madre, a quel tempo non potevo capire veramente di cosa parlassero perché certi argomenti non si affrontavano apertamente, ma oggi so che il problema era l'atteggiamento di mio padre. Lui è sempre stato una persona garbata, mai violento e sempre gentile con tutti, ma soprattutto, e forse anche un po' troppo, con le donne! I giochi delle carte, le boccette e il Lotto non lo interessano affatto.

Da qualche anno è affetto dal morbo di Parkinson, ma men-talmente sta benissimo ed è incredibile vedere quale effetto abbia una donna su di lui. Per fare qualche metro a piedi ci metterebbe mezz'ora, ma se li dovesse fare per una donna gli basterebbe un decimo del tempo! La forza del desiderio.

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170 Io, Rocco Gennaro, il mio fan più sfegatato 171

Quando è uscito il mio primo film in Italia, Fantastica Moana, mio padre è arrivato in anticipo, prima di tutti, e si è messo da-vanti alle porte del cinema. Con mio zio Mario, il padre di Ga-briele. Ovviamente, non hanno pagato il biglietto, perché erano il padre e lo zio di Rocco Siffredi! Ciò li rendeva fieri, orgogliosi. In sala si sono seduti, impettiti, in prima fila. Per tutto il film, si sono comportati come veri e propri fan, applaudendo a più non posso e facendo commenti ad alta voce. Quando siamo tornati a casa, devo confessare, ero io quello che si sentiva in imbaraz-zo. Mio padre mi aveva visto fare sesso con diverse donne, ave-va visto le mie natiche e il mio sesso sotto ogni angolatura.

Credo che se mio padre mi ha sempre sostenuto è perché io ho avuto la possibilità di vivere la vita che lui avrebbe voluto. Dopo la morte di mia madre, nel 1993, ho cercato di fare qual-cosa per far uscire mio padre dalla tristezza. L'ho invitato, dunque, ad assistere alla cerimonia di assegnazione degli Hot d'Or a Cannes; nel frattempo stavo girando un film, era lo stesso set in cui ho conosciuto Rosa, e ne ho approfittato per portarlo con me, perché si rendesse conto realmente del lavoro che faceva suo figlio. Non ero preoccupato della sua reazione, ma c'era comunque una piccola parte d'incertezza in me, un retaggio dovuto al riserbo che c'era sempre stato fra noi prima che iniziassimo a parlare più confidenzialmente. Ero sicuro che non si sarebbe scandalizzato, ma avevo comunque un certo timore. Quando è arrivato sul set, è capitato in una delle scene più calde del film in cui Anita Rinaldi, una splendida attrice ungherese, girava una tripla penetrazione (bocca-vagina-ano). E da quel momento mio padre si è così tanto per-so nello spettacolo che non mi ha più visto. Stava con gli occhi talmente spalancati che sembrava non volersi perdere nem-meno un momento infinitesimale.

Poi all'improvviso, stavamo ancora girando, ha attraversato il set, è passato davanti alla camera e si è chinato, rispetto-sissimo, su Anita Rinaldi presentandosi: «Piacere, io sono Gennaro...».

Era tutto frizzante e gli è sembrato così naturale presentarsi

ad Anita, come avrebbe fatto con qualsiasi persona vestita. Ha continuato, sullo stesso slancio, a salutare tutti, uomini e don-ne che cercavano di nascondersi le parti intime imbarazzati da quell'uomo anziano. Poi mio padre si è avvicinato ancora una volta ad Anita e le ha detto: «Signorina, lei è assolutamente deliziosa! E fa il lavoro più bello del mondo, lo sa?».

Poi si è girato verso di me e mi ha detto: «E dire che sarei potuto morire senza aver visto tutto questo... Ma dimmi: è questo allora che fai?».

«Papà! E tutti i film in cui mi hai visto, cos'erano? Cartoni animati?»

«Eh, lo so! Ma così è tutta un'altra cosa!»

Più tardi mio fratello ha accompagnato mio padre a ritirare lo smoking che gli avevo prenotato e lui è tornato all'hotel vestito di tutto punto.

«Figlio mio, sei stato molto gentile ad avermi invitato, ma non sai lo sforzo che ho dovuto fare, prendere l'aereo, venire fino qua, e mi fa tutto male e bisogna che vada a letto alle no-ve. Non posso fare più tardi delle nove...»

«Papà, ma se la serata comincia alle undici!» Ha borbottato un po' e alla fine, ha accettato di venire. E il destino ha voluto che venissi premiato per la seconda

volta consecutiva con l'Hot d'Or per il miglior attore. Allora me lo sono preso sottobraccio e, stretto a lui, sono salito sul palco per ricevere il mio premio.

E lì, davanti al parterre degli invitati, che si chiedevano chi fosse quell'uomo anziano, ho preso il microfono e ho dichiara-to: «Cari amici, ho il piacere di presentarvi stasera il mio più grande fan: mio padre!».

Le mille persone si sono alzate dalle poltrone e si sono mes-se ad applaudire mio padre per lunghissimi minuti, senza fer-marsi. Credo che questo sia stato in assoluto il momento più commovente di tutta la mia carriera.

Quando siamo andati nella saletta interna, mi ha fermato e mi ha detto guardandomi negli occhi: «Rocco, ti ringrazio. Oggi, in una sola giornata, mi hai fatto vivere due momenti

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eccezionali che non dimenticherò mai». Poi ha aggiunto: «E credimi, oggi ho capito le tue scelte. E se queste persone ti hanno applaudito così tanto è perché qualcosa di buono l'hai fatto anche per loro. Sono fiero di te».

Alle cinque e mezzo del mattino mio padre non era affatto stanco, non sentiva più male da nessuna parte e teneva banco con tutti. Era circondato da sette o otto pornostar di nazionalità diversa, parlava, rideva, beveva. Mio fratello dice che nostro padre quella notte ha imparato a parlare tutte le lingue del mondo!

Mio padre è un brav'uomo. Ma è stato preso, proprio come me, dal demone dell'amore. Non può vivere senza l'idea di fare l'amore e, anche nei momenti più difficili, ho l'impressione che si aggrappi ancora più forte a quest'idea. Di gente come lui e come me ce n'è più di quanta possiate immaginare! La fortuna che io ho avuto, diversamente da mio padre, è stata quella di poter esternare tutta questa energia sessuale con meno problemi e meno frustrazioni.

Quando mia madre se n'è andata, la famiglia si è spaccata sulla questione se mio padre avesse o no il diritto di prendersi un'altra donna. Se voleva avere una nuova moglie era solo per farci sesso, la solitudine, ci diceva, non lo spaventava affatto.

Io stesso, al momento, non sapevo che dire. Ero combattuto. Da un lato lo capivo perfettamente e, anzi, ero d'accordo con lui. Dall'altro, c'era il rispetto per il ricordo di mia madre che un'eventualità del genere mi pareva potesse offendere. Solo poco tempo fa mi sono liberato definitivamente di questi dub-bi e conflitti interni. Io e lui abbiamo la stessa natura ed è per questo che, più di chiunque altro, posso capirlo.

C'è stato un momento in cui abbiamo iniziato a discutere, in famiglia. Alcuni di noi interpretavano certe esternazioni di nostro padre, il fatto, per esempio, che si mostrasse così tanto affettuoso con le donne delle pulizie e le baby-sitter dei nipo-tini, come sintomi di demenza senile o che, quanto meno, lui manifestasse una seria e pericolosa ossessione sessuale. L'ho fatto venire da me a Budapest, per poterlo osservare e render-

mi conto da vicino. Ero convinto che da me sarebbe stato me-glio. Ovviamente, ha subito cominciato a interessarsi alla don-na delle pulizie di casa mia; fortunatamente Erika l'ha presa piuttosto sul ridere, ma io mi sono sentito in dovere di richia-marlo, e lui, come un bambino, si è scusato, ha giurato che non l'avrebbe più fatto e si è messo a piangere, come se si ver-gognasse di non riuscire a trattenere le proprie pulsioni. Mi ha fatto una pena immensa.

Quindi, del tutto arbitrariamente e consapevole che mi sarei messo contro il resto della famiglia, ho preso la decisione di accompagnarlo da una donna a pagamento.

Era il 1° aprile e gli ho detto: «Papà, sai che giorno è oggi?». E lui: «Sì. E allora?». Io, sorridendo, gli rispondo: «Allora, andiamo a fare un giro». L'ho portato sulla strada delle prostitute, e appena le ha vi-

ste mi ha chiesto, come un bambino che fa finta di non accor-gersi che sta per ricevere un regalo: «Che ci fanno qui tutte queste donne?».

E io, come se fosse la prima cosa che mi veniva in mente: «Sono donne soldato, stanno qui a scaricare fucili».

Lui mi ha guardato un po' perplesso. «Scaricare fucili?» E ha continuato a fissarmi con lo sguardo smarrito.

Mi fermo e chiedo a una di loro se accetta di andare con la persona che è con me. Ne abbiamo caricata una e mio padre si è voltato e l'ha guardata senza dire nulla. Devo ammettere che mi sentivo molto in imbarazzo, soprattutto perché pensavo a mia madre e avevo paura che mi stesse guardando e che le stessi facendo del male.

La mattina successiva sono stato svegliato da uno strano ru-more, mi sono alzato, e ho trovato mio padre sul tapis roulant, vispo e arzillo, tutto intento a fare ginnastica. L'ho aspettato per almeno quindici minuti e siamo andati a fare colazione.

«Sai, Rocco, ho sognato tutta la notte la ragazza di ieri. Ave-va un culo incredibile... Ma spiegami una cosa.»

«Cosa?» «Perché non me l'hai fatta scopare?» «Come? Ma se tremi tutto e non ti reggi nemmeno in piedi!»

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«Io non mi reggo in piedi? Tu vammela a prendere e ti fac-cio vedere io se non mi reggo in piedi.»

E siamo scoppiati a ridere. Ho capito che aveva apprezzato il mio scherzo. Così si è sentito libero di dirmi proprio tutto. Mi ha confessato che la sua felicità sarebbe stata poter fare sesso un paio di volte la settimana, che sicuramente si sarebbe senti-to molto meglio e ben più felice, piuttosto che spendere centi-naia di euro per medicine, controlli e visite specialistiche che non gli davano nemmeno lontanamente lo stesso benessere.

Sicuramente, qualcuno della mia famiglia non ha apprezzato il mio gesto. Ma crescendo ho imparato ad ascoltare il mio istinto senza farmi troppe domande. In quel momento mi suggeriva di fare qualcosa di concreto per mio padre, subito.

Prima che la malattia lo immobilizzasse, se ne andava in giro con le mie foto per Ortona. Per le strade, entrava nei bar e persi-no all'ospedale, dove ogni tanto era ricoverato, e distribuiva le mie foto a tutte le donne che incontrava. Ci provava con tutte, ma le donne con gentilezza lo dissuadevano dal continuare a insistere.

E lui: «Se è per la mia età, le dico solo una cosa per rassicu-rarla: si ricordi che io sono il padre di Rocco Siffredi. E non ag-giungo altro!».

Fra tutte le storie che mi ha raccontato, alcune sono davvero incredibili! Una volta aveva conosciuto una donna ai giardini pubblici, ha fatto di tutto per accompagnarla a casa e ha fatto di tutto pure per finirci a letto. È stato spassoso sentirlo entrare nei particolari, mi raccontava divertito che lei gridava molto quando lui la penetrava, perché, dopo quindici anni di asti-nenza, aveva dimenticato quali sensazioni si provassero in quei momenti! In ogni caso di tutta questa storia il dettaglio pazzesco è l'epilogo.

Una settimana dopo questa signora è morta per cause natu-rali e lui ha commentato: «Pensa te! Appena in tempo!».

Gennaro, che personaggio! Uno dei più inverosimili che ab-bia mai conosciuto!

La mia tribù: la mia ragione di vita

Rosa, mia moglie, l'ho conosciuta nel 1993 e me ne sono inna-morato semplicemente guardando una polaroid. Stavo ini-ziando la produzione del mio secondo film, The Body guard, da girare nel Sud della Francia, era esattamente quando mio pa-dre venne a trovarmi a Cannes per gli Hot d'Or.

Il mio assistente era appena rientrato da Budapest con le polaroid delle ragazze da selezionare, alcune di loro sarebbero servite per le scene soft e altre per le riprese hard.

Appena mi è passata davanti la foto di Rosa sono rimasto ipnotizzato dai suoi occhi. Non era soltanto bellissima, era sensualità allo stato puro. Una postura elegante, regale, e dal brillio degli occhi potevo percepire una prontezza sottile. Non scorgevo niente di artefatto in lei. Il suo charme mi aveva col-pito fulmineo. Il suo sguardo era fragile, ma quel tipo di fragi-lità che non è debolezza, non so se riesco a spiegare esatta-mente cosa intendo. Mi sono assicurato personalmente che la chiamassero come avevo espressamente richiesto. Non sapevo ancora che cosa le avrei fatto fare, forse il soft, forse la hostess che distribuiva i miei volantini in cui pubblicizzavo una linea telefonica, insomma, volevo solo avere una scusa per co-noscerla.

Ho continuato a guardare le altre polaroid, le foto delle altre attrici, ma ormai non vedevo più niente, avevo davanti solo l'immagine del viso di questa ragazza.

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Stava succedendo tutto molto in fretta, la mia partecipazio-ne all'Hot d'Or, la campagna promozionale, la produzione del mio film. Dovevo pensare a organizzare mille cose, ma ero os-sessionato da quella foto.

H giorno dell'appuntamento aspettavo eccitato alla stazione di Cannes il pullman con le ragazze che non arrivava mai, un carrozzone che viaggiava a stento, lungo la strada si è perfino fermato in salita e le ragazze hanno dovuto spingerlo tutte in-sieme. Quando finalmente l'ho avuto di fronte e le ragazze hanno cominciato a scendere, ho subito cercato di individuare Rosa nel gruppo. Alcune le conosco, hanno già lavorato per me, ma non le saluto nemmeno, cerco Rosa. La vedo, si distin-gue per quel suo portamento aristocratico del tutto naturale, corro subito a presentarmi, ma lei risponde al mio sproposita-to entusiasmo ristabilendo le ovvie distanze tra due estranei. Mi dà la mano, si gira e se ne va. Mi pare di capire che è sulla difensiva.

Solo in quel momento ritorno con i piedi per terra e mi ren-do conto che Betty Gabor, l'attrice protagonista, non c'è, non si è presentata all'appuntamento. Avevo già affittato le due ville, assunto una quindicina di attori, una decina di tecnici, ma non ho nessuno per sostituirla.

Sono disperato. Sono in uno stato di confusione totale, op-presso da tanti problemi la cui risoluzione non posso delegare, devo occuparmene in prima persona, ma con la testa sono altrove.

Il mio assistente aveva notato che per quella ragazza avevo un certo debole, insisteva energicamente affinché le chiedessi di sostituire la protagonista. Non volevo farlo, ero sicuro che non avrebbe accettato.

«Smettila, Claudio! È venuta qui per fare altro, non per fare un film hard! Non accetterà mai. Inoltre, mi è sembrata un bel po' altezzosa e nemmeno troppo simpatica.»

«Va bene» fa lui «ma che ti costa chiederglielo?» Così, molto imbarazzato dalla situazione, perché quello non

era certamente il genere di proposta che Rosa doveva aspettarsi, e con tutte le precauzioni del caso, ho abbordato

l'argomento. Le ho chiesto se fosse disposta a fare il film. Lei ha chiamato il traduttore ungherese e, guardandomi dritto in faccia, ha risposto: «Se è con te sì, ma solo con te».

Mi ha lasciato di stucco. Mi sono tuffato immediatamente sulla sceneggiatura, ho ri-

scritto le scene per intero, adattandole a lei. Ho lasciato solo un'unica scena di sesso finale. Ho dato al film una vera storia d'amore.

Avevo fatto di tutto perché dormisse nella villa dove ero al-loggiato io, nella speranza che si stabilisse un po' d'intimità tra noi, ma lei non mi considerava, continuava a restare distante. Mi sfuggiva la ragione per cui avesse accettato di girare con me scene hard, ma in privato non volesse avere a che fare con me. Lei, che non era nemmeno un'attrice hard!

Durante tutta la realizzazione del film sono stato in una condizione a metà tra l'angoscia e la felicità, tipico dell'adole-scente innamorato.

Erano solo pochi mesi che mi ero messo a fare anche produ-zione e non riuscivo a preoccuparmi troppo degli innumere-voli problemi che quel set stava avendo, pensavo solo a lei. Mi sentivo leggero. Ero pieno di attenzioni, di cure per lei, e no-nostante tutto Rosa continuava a restare sulle sue. Mi ricordo il giorno in cui giravamo le scene in barca e lei vomitava e io, invece di preoccuparmi di dirigere gli attori, le tenevo la mano. Il mio assistente era allarmato, si rimproverava di avermi fatto vedere quella polaroid. Sentivo che cominciavano a nascere dei sentimenti ed ero combattuto. Mi si riaffacciavano alla mente tutti i brutti ricordi del passato in circostanze simili. Mi ero giurato di non innamorarmi più sul lavoro. Ma ogni sera che andavo a dormire e ogni mattino che mi alzavo avevo lei sempre in testa.

A volte ci ripenso, da solo con me stesso, e lo trovo davvero incredibile: io e Rosa stiamo insieme da tredici anni, ci siamo sposati, abbiamo avuto due figli, e la prima volta che abbiamo fatto l'amore è stato su un set porno. È stato molto romantico. Non potrò mai dimenticare la sua faccia quando l'ho tirato fuori. Lei l'ha guardato e ha abbassato gli occhi. Ancora mi

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chiedo se per le dimensioni o perché non si era resa conto di cosa aveva accettato di fare. Rosa ha chiesto a tutti di lasciare il set, tranne a coloro la cui presenza era realmente indispen-sabile. La scena è stata magica, abbiamo davvero fatto l'amo-re, l'aspettavo da una settimana. Lo volevo da quando l'ho vi-sta, ma sapevo che dovevo attendere. In quel momento non c'era più nessuno sul set, né cameraman, né tecnici. Niente, c'eravamo io e lei.

A quel punto avevo una sola idea in testa, portarla via con me. Il mio assistente, preoccupato, ha continuato a farmi pressioni assillanti, aveva esperienza di tante relazioni affettive nate sul set, finite generalmente nel disastro, ha fatto di tutto per allon-tanarla.

Così, io m'invento una scusa per farla venire a Roma affinché possa restare con me!

Avevo bisogno di chiarirmi con lei, di togliermi dubbi e problemi. Le ho detto subito che se voleva stare con me non avrebbe mai dovuto frapporsi fra me e il mio lavoro. Ha accettato. Eppure, io non mi fidavo! In ogni caso lei ha cominciato a seguirmi nei miei spostamenti, per film miei o per altre produzioni. Non volevo che questo potesse crearle problemi, così le ho parlato sinceramente: se avesse voluto fare hard, io non sarei stato contrario, non mi avrebbe dato fastidio. Non le avrei mai fatto scenate di gelosia. Ma neanche lei me ne avrebbe dovute fare.

Allora lei mi ha guardato, sorridendo e mi ha detto: «Ma non succederà, Rocco. Per quanto riguarda me, invece, non mi piace nessuno... sono tutti brutti!».

Dall'ingenuità della sua risposta ho avuto conferma che Rosa non era proprio tagliata per fare l'attrice hard, mostrava troppo pudore. Lei è incapace di mentire. Quando fa una cosa, ci mette tutta se stessa, senza altri fini. Non riesce, per esempio, nemmeno a controllare la mimica corporale di fronte a qualcosa che non le piace, e questo atteggiamento non ti è certo di aiuto nella vita; fortunatamente io l'ho sempre considerato assai più che un pregio!

Io sono uno curioso di tutte le sfumature del sesso, nel bene e nel male, e posso anche andare a letto con donne senza provare sentimenti o una forte attrazione per loro. Rosa no, per lei è impossibile. Lei è la purezza. Eppure, per starmi vicino si divertiva a interpretare alcuni ruoli, ritagliandosi la possibilità di fare scene solo con me. Fra questi, i film più importanti in cui abbiamo lavorato insieme sono stati, oltre a The Body guard, Tarzan X, Rocky X e il Marchese de Sade.

A Rosa piaceva molto recitare, si impegnava con grande professionalità.

C'è un aneddoto divertente legato alle riprese di Tarzan. Io e Rosa dovevamo arrampicarci su un albero, come due scimmie, ma io soffrivo di vertigini, mi ero abbarbicato alla base del tronco e non mi spostavo, quando ho visto volare sopra di me Rosa che leggerissima era già arrivata in cima.

«Oh, mio Dio» faccio io, nel panico. «E adesso come scendi?» E Rosa: «Così. Come sono salita» e in un attimo era di

nuovo giù. Mi sono sentito ridicolo davanti a tutta la troupe, Joe

D'Amato sghignazzava, mentre diceva qualcosa come: «Rocco, hai trovato qualcuno che ti insegnerà qualcosa!».

Rosa aveva il potere di stupirmi qualsiasi cosa facesse o dicesse.

Come nome d'arte avevo scelto per lei Rosa Caracciolo. Le ho dato questo nome perché la sua naturale aristocraticità mi faceva pensare al mio grandissimo amico Franco Caracciolo, un uomo che proveniva da una famiglia nobile, della quale aveva mantenuto intatti tutti i modi, e che purtroppo avevo perso da poco.

Durante i nostri viaggi io e Rosa abbiamo avuto non poche discussioni, la sfibravo con i miei dubbi e la mia sfiducia. Non capivo come potesse accettare il mio lavoro. Per circa due anni ho dubitato della sua sincerità. Mi chiedevo che cosa mi nascondesse, quale brutto colpo si preparava a giocarmi e, soprattutto, quando sarebbe successo. Mi era difficile credere che questa ragazza, così diversa da me, avesse l'intelligenza e la generosità di accettare me e la mia vita da pornostar. Le

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proponevo un'esistenza complicata agli occhi della società e lei l'accettava giorno per giorno, comunque. C'era qualcosa d'illogico, che io non riuscivo a capire, mi sfuggiva qualcosa che non era immediato da ammettere. Mi sono fatto mille domande sulle ragioni del suo amore per me.

Consapevolmente, oggi me ne dispiaccio, non è stato semplice per lei starmi accanto e io non ho fatto niente per facilitarle il compito, soprattutto sul piano sessuale. Ho rischiato più di mille volte di mandare in pezzi la nostra storia. Quando ci siamo conosciuti ero all'apice della mia carriera e, nonostante la vedessi preoccupata, talvolta, di non essere all'altezza della varietà delle mie occasioni sessuali, avevo fatto e continuavo a fare sesso con centinaia di altre donne, prima di lei e dopo di lei, centinaia di bellissime attrici, e non facevo niente per rassicurarla.

Mi chiedevo quello che si chiedono tutti, chiunque appena sa che sono sposato mi domanda: «E tua moglie non ti dice niente?».

Ecco, me lo chiedevo anch'io. Sarà stato per il retaggio culturale, quello stesso che mi faceva pensare che non mi sarei mai potuto sposare. Nel pieno di una delle tante crisi, una volta a Los Angeles, non mi ricordo più per quale motivo specifico, l'ho messa su un aereo e l'ho costretta a tornare in Ungheria. Insistevo perché se ne andasse, al contrario, lei insisteva per restare.

Oltre la porta d'imbarco si è voltata verso di me e mi ha detto: «Tanto ci penserà qualcuno lassù, sta' sicuro».

Accadeva di pomeriggio. La notte stessa c'è stato un terribile terremoto! Ero al tredicesimo piano di un hotel, le oscillazioni erano fortissime, e ho veramente avuto paura. Non riuscivo a non pensare a lei, il terremoto era sicuramente un segno del destino e, l'avrete capito ormai, io credo ai segni del destino.

C'erano tante cose che non mi spiegavo di lei, per esempio, con il suo corpo avrebbe potuto guadagnare quello che voleva, soprattutto dopo esser stata Miss Ungheria nel '90, invece,

con il denaro del concorso si era comprata una casetta in città e faceva lavoretti per pochi soldi al giorno. Era stata parrucchiera, modella e poi giornalista.

Era altera, e subito dopo era anche quella stessa ragazza semplice che era scesa a spingere il pullman per venire alla stazione di Cannes a fare volantinaggio sulla Croisette!

In quel periodo della mia vita, per me le donne erano tutte uguali, magari per deformazione professionale; conoscerne così tante e con ognuna di loro avere lo stesso genere di rapporto ti può dare l'illusione di credere che abbiamo tutte la stessa sessualità. Rosa mi ha fatto cominciare a capire le differenze. Mi ha dimostrato che non è così. Con lei ho riscoperto il lato più naturale dell'umanità.

Nel bel mezzo di una grave crisi, Rosa mi dice che se ci sposiamo i problemi finiranno. L'idea di una famiglia, di avere dei figli, dice, questo mi tranquillizzerà. Ero stupito di sentirla parlare così. Ma come? Erano proprio quelli i motivi che mi tenevano in agitazione! E lei li usava per dissipare ogni mia ansia. La sua idea di famiglia era genuina, assolutamente sana. Mi ha indotto ad accettare la sua buona fede e, da quel momento, come per magia, è diventato tutto perfetto tra noi.

Mi sono domandato spesso: se Rosa fosse nata in Italia, sotto l'influenza della religione cattolica, avrebbe accettato con la stessa naturalezza il mio lavoro?

La nostra coppia si è mantenuta compatta, ha superato prove difficili, e ogni giorno si è consolidata sempre più.

Rosa non ha mai detto una parola sul fatto che io facessi sesso con tutte quelle attrici. Che questo fosse il mio lavoro, e la mia passione, lo sapeva già da prima, ma era successo qualcosa di nuovo, io ero cambiato, avevo accettato di costruire la fiducia tra noi. Del resto, non ho mai più provato alcuna attrazione sentimentale per un'altra donna in questi tredici anni.

Tuttavia, quando si decide di diventare un attore di film pornografici la vita sentimentale diventa molto complicata. Io sono

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stato fortunato di aver incrociato sulla mia strada una donna come Rosa, con un'intelligenza rara che le permette di condividere con me quello che non so quante donne avrebbero anche solo potuto tollerare. Non ha mai fatto finta di capire e accettare il mio lavoro. Rosa mi ha sempre sostenuto con sincerità. E senza la sua integrità che ci ha protetti dai commenti delle amiche e dei conoscenti, dagli sguardi maligni e dai pregiudizi, quanto saremmo durati noi come famiglia? Ha una forza psicologica che a volte mi fa quasi paura. Sono oltre tredici anni che, senza mai farmelo pesare, trova ogni giorno la grande dignità di allontanare dalla nostra vita privata quello che per noi non è importante.

L'unica volta in cui Rosa ha voluto dire la sua sulla mia professione, pensate un po', è stata quando ho fatto un film di cinema tradizionale. Sarei dovuto partire per sei settimane di riprese non stop lontano da casa, e il mio personaggio doveva vivere una storia d'amore intensa con la protagonista femminile.

Rosa mi ha detto: «Ti conosco, Rocco, tu non fai mai le cose a metà. Tu sei abituato a fare sesso davvero davanti alla telecamera e se qui dovrai innamorarti, io so che tu lo farai davvero. E io, sappilo, non potrò accettarlo».

Questa è Rosa. La maggior parte delle donne si sarebbe rallegrata di vedermi interpretare un ruolo per il cinema tradizionale, senza intuire immediatamente e saper individuare i pericoli che ciò avrebbe comportato. Ma Rosa no, è una ragazza tutta d'un pezzo, senza compromessi. E agisce per istinto, sentendo in ogni occasione ciò che è meglio per tutti noi. Se questa volta intuiva un pericolo, io dovevo assecondarla. È per questo, forse, che stiamo insieme da così tanto tempo.

E sono straconvinto che, al di là della sua bellezza, sono state la sua purezza e la sua intelligenza a farmi innamorare di lei.

Almeno una volta l'anno, ogni anno, le faccio la stessa domanda: «Rosa, che ci fai tu con un uomo come me?».

E la sua risposta è la stessa, da sempre: «Perché in una vita normale, con un uomo normale, mi sarei annoiata a morte!».

Quando le ho detto che intendevo chiudere la mia carriera di attore, la sua risposta non è stata: «Ah davvero?» come mi sarei aspettato.

Lei non ha detto nulla, è rimasta perplessa per tutto il giorno. A cena sono tornato sull'argomento, le ho richiesto se c'era qualcosa che non andava nella mia decisione, lei ha alzato lo sguardo dal piatto e mi ha risposto: «Ti basterò io da sola?».

Sinceramente mi ero preparato ad affrontare molti aspetti di questa decisione, ma a quell'ulteriore risvolto non avevo pensato. Ancora una volta mi metteva di fronte il suo straordinario senso pratico!

Oggi posso dire senza ipocrisia che le perplessità di Rosa erano quanto mai realistiche; non è facile passare da una situazione in cui ci si alza e si va sul set per fare l'amore con quattro, cinque partner differenti, a una in cui si vive accanto alla propria donna tutti i giorni. Riconosco che non è facile, ma faccio comunque il possibile per concentrare ancora di più tutte le mie energie su di lei e sulla mia famiglia. La sensibilità e la grande dedizione che Rosa mi ha dimostrato meritano in questo momento della mia vita la mia più grande attenzione.

Del resto mi sono disintossicato dal mio lavoro in pochi mesi: ho ridotto gradatamente il numero di scene in cui dovevo recitare, per abituare il mio corpo e la mia libido a una quantità minore di atti sessuali. All'inizio dello svezzamento ho sofferto enormemente, fisicamente ma soprattutto psicologicamente. Vedere ragazze bellissime con attori che, a volte, non hanno nemmeno l'erezione o che non sanno preparare la partner -che è una delle fasi fondamentali per la buona riuscita di una scena di sesso, e che purtroppo gli attori di oggi prendono molto alla leggera - è per me un supplizio terrificante!

Mi sono chiesto più volte che cosa ne sarebbe stato della mia vita se non avessi incontrato Rosa! Chi lo sa, magari avrei trasformato la mia vita privata in un set sempre aperto, avrei comprato una casa megagalattica a quattro piani e l'avrei riempita di super-fiche. E magari avrei avuto tutti i giorni qualche riga di coca su un tavolo di cristallo! Solo a immagi-

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narmelo, sono già annoiato. La ripetitività avrebbe reso il tutto ordinario, insopportabile, quanto di più estraniante per la persona. Nemmeno facendo questo genere di lavoro avrei potuto usare il sesso come alibi per riempire la vita, se non ne avessi trovato il senso che mi riguarda intimamente. D'altra parte non ho mai voluto avere nemmeno una vita normale, un'esistenza stereotipata con orari di lavoro da rispettare, capi lunatici da considerare, un impiego sedentario e ripetitivo. Ho capito molto in fretta che non ero tagliato per fare quarant'anni questo tipo di vita, che era l'esatto contrario di quello che avrei voluto, e ho sempre fatto di tutto per vivere diversamente, rifiutando l'ordine prestabilito delle cose e il politically correct.

La sfida di sposarmi con Rosa e avere dei figli all'inizio sembrava comunque impossibile da realizzare. Ma oggi sono dodici anni che condividiamo la vita e abbiamo due bambini meravigliosi. Prima di incontrarla, io avevo dato per scontato che volendo fare il mio lavoro non avrei potuto concedermi il lusso di una famiglia. Lei mi ha convinto del contrario. Ha reso la mia esistenza davvero completa. E posso senz'altro dire che il suo ingresso nella mia vita ha rafforzato il mio equilibrio psicologico nell'affrontare questo lavoro, ha contribuito alla costruzione stessa del mio lavoro. Ma anche alla strutturazione di me come uomo adulto.

La gente spesso spalanca gli occhi, sorpresa, quando sa che siamo una coppia sposata e solida. Come si concilia la vita del pornostar con quella di una famiglia che più classica non si potrebbe? Eppure, noi siamo la prova vivente che è possibile: un pornostar è un uomo come tanti altri, che si innamora e che può tranquillamente assumersi la responsabilità di una paternità in modo sano.

Tutto quello che faccio è indirizzato a loro: Rosa e i miei bambini sono la cosa più importante della mia vita.

Ovviamente siamo come tutte le coppie, litighiamo e discu-tiamo per gli stessi motivi per cui lo fanno tutti. Ma ciò che ci salva è che non siamo superficiali, non abbiamo paura di af-

frontare e approfondire subito qualsivoglia problema e toglierlo di mezzo per poter proseguire.

Sono stato perennemente accompagnato dalla sensazione che viviamo in una società che non ti lascia il tempo di conoscerti davvero, di soffrire per correggere un tuo difetto e poter crescere insieme alla donna che ami. Che ti induce a essere duro con te stesso e con gli altri, senza permetterti di conquistare nessuna vera soddisfazione dal punto di vista umano, a meno che tu non sia disposto ad allontanarti da tutto quello che non ti riguarda direttamente e a ragionare con la tua testa. Ho capito che è fondamentale avere la capacità di immaginare soluzioni pratiche per costruire la propria felicità.

Per nulla al mondo lascerei Rosa e i bambini. Se si dovesse presentare una situazione di crisi così grave, sarebbe più facile per me immaginare un mondo nuovo e costruirlo, piuttosto che chiudere con la mia famiglia!

Ma se un giorno non dovessimo amarci più, certo non saremmo ipocriti, certo non faremmo finta che nulla sia cambiato per salvare le apparenze davanti ai nostri figli. I bambini sanno sempre tutto, e la falsità che gli adulti perpetrano ai loro danni è la cosa più deprecabile e denigrante che io possa immaginare.

Da quando sono nati Lorenzo e Leonardo mi sono reso conto che essere padre è il mestiere più complicato del mondo. Non nasci mica che lo sai già fare, lo impari intanto che lo fai, e così ovviamente sbaglierai anche tante volte, ma essere padre ti dà la coscienza che non puoi mai sottrarti al dovere principale di essere un educatore. L'infanzia è il periodo più bello, e anche il momento in cui ci si costruisce, ci si arma per il futuro. Il ruolo dei genitori è fondamentale se non si vuole rovinare l'inizio di un uomo o di una donna.

Mia moglie a volte mi dice che vizio troppo i nostri figli. Tuttavia faccio ben attenzione a non confondere i loro veri desideri con i capricci che talvolta fanno. Preferisco che pratichino attività sportive, piuttosto che passino quattro, cinque ore davanti alla PlayStation. Da alcuni anni Lorenzo e Leonardo hanno

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scelto di correre in moto, io cerco di essere sempre presente alle loro gare, mi organizzo perché i miei impegni possano combaciare con le loro esigenze. Mi piace fare il padre. Adoro andare a prenderli a scuola. La gioia incontenibile che mi trasmettono quando mi abbracciano all'uscita non ha prezzo. Credo che queste cose siamo il fondamento, per il futuro, di un rapporto solido tra un padre e un figlio. A volte, quando stavo fuori troppo a lungo, al ritorno li riempivo di regali per reprimere il mio senso di colpa, poi ho capito che non funziona così, è molto più importante cercare di stare con loro il più possibile.

L'insegnante di Lorenzo mi dice che si accorge dal suo comportamento se in quel periodo io sono a casa. Ecco, avere la certezza di essere qualcosa di importante per loro è ciò che mi riempie di senso.

Devo anche riconoscere di essere stato molto favorito dalla sorte per aver incontrato una donna che ha lo stesso mio senso di responsabilità nei confronti dei figli. Sicuramente Rosa, in questi anni, ha messo da parte tutte le sue ambizioni per restare vicina ai suoi figli. Conosco tantissimi genitori, sia madri sia padri, che se ne fregano delle responsabilità e lasciano tutto il lavoro sulle spalle del coniuge più consapevole, con tutti i problemi che ne conseguono.

Ho cercato di educare sia Lorenzo sia Leonardo alla consape-volezza che tutto ha un costo e che bisogna lavorare e anche saper fare dei sacrifici, e, soprattutto, che è importante dare un valore a quei sacrifici.

Del resto, quando partivo, il piccolo mi diceva sempre: «Papà, non ci sono più soldi? È per questo che vai a fare sexy vero?».

Allora io gli rispondevo: «Ognuno di noi ha il suo lavoro, il vostro è quello di andare a scuola e studiare bene!».

Da quando ho avuto i miei figli vivo più di giorno rispetto a prima. Dormo solo cinque o sei ore a notte. A volte mi sveglio nel cuore della notte e resto a letto, in silenzio, a pensare. Mi faccio domande che ruotano tutte attorno a questioni esisten-ziali e ai miei figli. Da quando sono nati, ho iniziato a preoccu-

parmi per loro, soprattutto per il primo. Il primo figlio ti coglie di sorpresa, non ci sei abituato. Tutte le notti mi alzavo a guar-darlo dormire e a controllare che fosse vivo. Osservandolo, mi accorgevo di che razza di miracolo è un figlio! È qualcos'altro da te, eppure è così tanto di te. Mi riconoscevo in una sua espressione, in un dettaglio specifico dei suoi tratti, in un accen-no di sorriso, non avrei potuto immaginare uno sballo, un'emo-zione più forte nella vita: tutto quello che puoi trovare avrà sempre un effetto limitato, i tuoi figli non finiscono mai!

Una volta stavamo per perdere Leonardo per una sciocchezza di cui non posso rimproverare nessuno, né me stesso né Rosa. Eravamo in Egitto, lui aveva preso dal tavolo un pugno di noccioline e le aveva inghiottite senza masticarle. Correndo, ha avuto un attacco di tosse e alcune noccioline gli sono finite nei polmoni; ha cominciato a soffocare, senza che noi ci accor-gessimo di niente.

Per un mese non abbiamo saputo quello che gli era successo, aveva difficoltà respiratorie sempre maggiori, i diversi medici dai quali lo portavamo diagnosticavano tutti cause differenti: asma, adenoidi eccetera. Leonardo era sempre più debole, si trascinava lentamente per la casa, e mentre prima era un vero e proprio tornado, ora non aveva più energia.

Un giorno, davanti a Rosa, Leonardo è diventato improvvisamente pallido e poi si è fatto scuro in volto. Rosa credeva che gli fosse andato qualcosa di traverso e, di riflesso, gli ha stretto molto forte la cassa toracica, e lui ha ripreso a respirare. L'ha portato subito in ospedale e dalla radiografia si sono resi conto che il cuore si era spostato un po' verso il centro del petto. Il medico, un uomo anziano con molta esperienza, ha interpretato questo come un chiaro segnale su cui indagare. Lo ha addormentato per potergli introdurre una sonda e ha visto subito che aveva sette noccioline incastrate tra l'esofago e i polmoni.

Per un mese intero non sono riuscito a dormire, e tuttora ringrazio Dio perché mio figlio è salvo.

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I miei bambini hanno anche loro un carattere molto forte, e qualche volta diventa difficile gestire le situazioni senza perdere le staffe. Mi ricordo che quando Lorenzo aveva solo tre anni mi aveva piantato una grana perché voleva fare motocross con me. Era così piccolo che gli ho detto che gli avrei comprato una moto solo quando fosse stato in grado di andare sulla bicicletta senza le due ruote di sostegno. Pensavo così di cavarmela, e che per alcuni mesi sarei stato tranquillo. Sono partito per il weekend, ma al rientro lui mi ha chiesto subito di togliergli le rotelline. Mi ha portato in strada con lui, ha inforcato la bici e si è messo ad andare su e giù per la via. Il giorno dopo eravamo al negozio di moto. Avevamo fatto un patto, Lorenzo aveva rispettato la sua parte e adesso toccava a me.

Sotto questo aspetto debbo anche riconoscere a Rosa che è una super mamma, adora i bambini e, soprattutto, è una mamma coraggiosa, è una mamma che prende dei rischi per assecondarmi nell'educazione che ho scelto per loro.

Voglio talmente bene ai miei ragazzi che farei tutto per loro. Mi ricordo che quando sono arrivato a Budapest, dopo aver comprato casa, ho cominciato a tracciare una piccola pista da motocross con un bobcat su un terreno non lontano da casa. Niente di straordinario, solo una pista dove i miei figli potes-sero divertirsi in tutta tranquillità e, soprattutto, in perfetta si-curezza. Sono arrivati subito gli agenti della forestale per chie-dermi che cosa stessi facendo. Mi hanno ordinato di lasciare subito il posto. Io l'ho fatto immediatamente ma, per non de-ludere i miei figli, ci sono ritornato tutte le notti per una setti-mana, con una torcia tascabile, e ho continuato a fare la pista, ultimandola con qualche piccolo salto. Una follia, tutto con la torcia e, alle sei del mattino quando il sole spuntava, via a ca-sa! Purtroppo, i miei sforzi sono serviti a poco perché da lì a una settimana la forestale è arrivata con la ruspa e l'ha spiana-ta di nuovo.

La gente mi fa spesso questa domanda: «Ma i figli di Rocco Siffredi sanno che lavoro fa il loro padre?».

La risposta è sì. I miei bambini sanno esattamente quello che faccio, qual è la mia professione e come mi guadagno da vivere. Mi è sembrato molto importante metterli subito a conoscenza del lavoro che facevo, perché non fa parte del mio carattere far sapere qualcosa che mi riguardi alle persone che contano da un intermediario o, magari, fra qualche anno, dai loro compagni di classe. Io e mia moglie cerchiamo di crescerli senza ridicoli tabù sul sesso perché, alla loro età, noi non facevamo questo tipo di discorsi con i nostri genitori e ne abbiamo sofferto. Rosa ha spiegato loro tutto dal punto di vista anatomico, in modo straordinariamente pedagogico e di certo meglio di come avrei potuto fare io. Loro sanno perfettamente come un uomo e una donna sono fatti. Io, invece, ho cominciato ad affrontare la questione della sessualità con mio padre quando lui aveva settant'anni!

A questo proposito, mi torna in mente la storia di mio zio Costantino. Aveva due bambine di circa dodici e quattordici anni e un giorno è scoppiato lo scandalo. Costantino mostrava alle sue bambine delle riviste pornografiche e spiegava loro con le immagini come funzionava la sessualità fra uomo e donna. Diceva loro che da lì a qualche anno avrebbero incontrato un ragazzo e che avrebbero cercato di fare questa o quell'altra cosa.

Oggi so che queste due ragazze sono due donne sposate, perfettamente equilibrate, che non hanno alcun problema sul piano sessuale. Se dovessi scegliere tra il suo modo di educare le figlie e quello che i miei hanno usato con me, preferirei di gran lunga quello di mio zio. Il silenzio che regna sul tema del sesso, per tutti i tabù imposti, è assolutamente ridicolo oggigiorno, in una società come la nostra. Più si tace sull'argomento, più questo diventa un cosa oscura, strana, piena di falsi concetti, di menzogne, d'ipocrisia. Certo, Costantino si era spinto senza dubbio un po' oltre, ma lasciare la gente nell'ignoranza è il modo migliore per sviluppare immense frustrazioni.

Tuttavia, nonostante sia molto soddisfatto dell'educazione che stiamo dando loro, sono abbastanza preoccupato per i miei

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bambini. La nostra società uccide tutto quanto cerchi di svilupparsi in modo naturale e spontaneo. In ogni settore della vita è in atto una lotta senza quartiere, in cui il valore che emerge è il piccolo ego. È il nuovo razzismo, quello che ti fa meritare il rispetto solo per i tuoi soldi. Io non sono un sociologo, però ho una buona memoria. Non vorrei nemmeno sembrare nostalgico, ma mi ricordo che venticinque anni fa un egoismo così generalizzato non esisteva, la gente era più generosa e soprattutto era meno stressata.

Mi annoia un mondo in cui il pensiero è seriale, a tutti si chiede di essere performanti, di avere gli stessi ritmi; l'umanità mi piaceva molto di più quando c'erano caratteristiche personali che ci rendevano esseri umani distinguibili.

Domani e ora

La mia vita è sempre stata un connubio molto violento di feli-cità e di profonda tristezza, un caldo e freddo continuo. Ho la sensazione che ogni volta che mi è successo qualcosa di fanta-stico ho immediatamente dovuto pagarlo. Ci sono persone per le quali l'esistenza è un lungo fiume tranquillo, senza alti né bassi. Per me non è stato così. La felicità è sempre andata di pari passo con il dolore.

E tuttavia, se potessi rinascere e morire di nuovo, rifarei per mille volte esattamente le stesse cose. Perché credo che ciò che vale davvero la pena di comprendere, e che vorrei condividere con voi, è che l'importante è raggiungere dentro di noi il cuore delle nostre passioni più autentiche, non importa quanta fatica ci costerà. E poi chiederci quello che vogliamo veramente dalla nostra vita con correttezza, qualsiasi cosa stiamo cercando, senza falsità né ipocrisie, perché non esisterebbero risposte sbagliate se non esistessero domande mal poste.

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