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PLURALISMO DEI VALORI, NUOVO COSTITUZIONALISMO E BILANCIAMENTI TRA LIBERTÀ E SICUREZZA * Mauro Barberis Universidad de Trieste ** I don’t understand why the strongest nations on Earth believes that acknowledging a mistake will threaten its security (K. Al-Masri) RESUMEN. Después del 11 septiembre 2001, siempre nuevos “balances entre libertad y seguridad” están convertiendo el Estado constitucional en Estado de seguridad (Security State). Como muestran los apartados 2 y 3, la metáfora del balance, compartida por el value pluralism y el nuevo constitucionalismo post-Auschwitz, pertenece a un vocabulario que predica objectividad, pluralidad, conflicto, incommensurabilidad e indeterminación, tanto de valores éticos como de principios constitucionales. El apartado 4 analiza precisamente en esto términos los supuestos balances entre libertad, por un lado, y seguridad individual, social y nacional por el otro. El resultados parece el siguiente: restringir las libertades individuales de hecho disminuye la seguridad individual, sin aumentar en grado significativo la seguridad collectiva. Palabras clave: pluralismo de los valores, nuevo constitucionalismo, libertad, seguridad Value pluralism, new constitutionalism, and balances between liberty and security ABSTRACT. After 9/11, always new “balances between liberty and security” foreshadow the transformation of Constitutional State in a Security State. As shown in sections 2 and 3, the balance’s metaphor is common to value pluralism and new constitutionalism post-Auschwitz – both sharing a vocabulary in terms of objectivity, plurality, conflict, incommensurability, and indeterminacy, referred to ethical values and constitutional principles respectively. In section 4, finally, such a common vocabulary is used in order to analize the alleged balances between liberty, on the one hand, and individual, social and national security on the other. The results are the following: restraining individual liberties in fact weakens individual security whitout increasing at a significant extent collective secutity. Keywords: value pluralism, new constitutionalism, liberty, security * Il lavoro amplia e rielabora lezioni del Master in Global Rule of Law and Constitutional Democracy tenute a Imperia, 10.2.2016 ed è, come tale, fortemente sintetico. Molte delle questioni qui appena toccate verrano affrontate più dettagliatamente in altri lavori. ** Catedratico de Filosofia del derecho en la Universidad de Trieste, [email protected]

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PLURALISMO DEI VALORI, NUOVO COSTITUZIONALISMO E BILANCIAMENTI TRA LIBERTÀ E SICUREZZA *

Mauro Barberis Universidad de Trieste**

I don’t understand why the strongest

nations on Earth believes that acknowledging a mistake will threaten

its security (K. Al-Masri)

RESUMEN. Después del 11 septiembre 2001, siempre nuevos “balances entre libertad y seguridad” están convertiendo el Estado constitucional en Estado de seguridad (Security State). Como muestran los apartados 2 y 3, la metáfora del balance, compartida por el value pluralism y el nuevo constitucionalismo post-Auschwitz, pertenece a un vocabulario que predica objectividad, pluralidad, conflicto, incommensurabilidad e indeterminación, tanto de valores éticos como de principios constitucionales. El apartado 4 analiza precisamente en esto términos los supuestos balances entre libertad, por un lado, y seguridad individual, social y nacional por el otro. El resultados parece el siguiente: restringir las libertades individuales de hecho disminuye la seguridad individual, sin aumentar en grado significativo la seguridad collectiva. Palabras clave: pluralismo de los valores, nuevo constitucionalismo, libertad, seguridad Value pluralism, new constitutionalism, and balances between liberty and security ABSTRACT. After 9/11, always new “balances between liberty and security” foreshadow the transformation of Constitutional State in a Security State. As shown in sections 2 and 3, the balance’s metaphor is common to value pluralism and new constitutionalism post-Auschwitz – both sharing a vocabulary in terms of objectivity, plurality, conflict, incommensurability, and indeterminacy, referred to ethical values and constitutional principles respectively. In section 4, finally, such a common vocabulary is used in order to analize the alleged balances between liberty, on the one hand, and individual, social and national security on the other. The results are the following: restraining individual liberties in fact weakens individual security whitout increasing at a significant extent collective secutity. Keywords: value pluralism, new constitutionalism, liberty, security

* Il lavoro amplia e rielabora lezioni del Master in Global Rule of Law and Constitutional Democracy tenute a Imperia, 10.2.2016 ed è, come tale, fortemente sintetico. Molte delle questioni qui appena toccate verrano affrontate più dettagliatamente in altri lavori.

** Catedratico de Filosofia del derecho en la Universidad de Trieste, [email protected]

1. PREMESSA Almeno a partire dall’Undici Settembre, in Occidente, si parla sempre più spesso di bilanciare libertà e sicurezza, anche a rischio di trasformare Stati costituzionali in Stati di sicurezza (Security State). La metafora della bilancia fa parte di un vocabolario comune a value pluralism (cfr. § 2) e new constitutionalism (cfr. § 3): vocabolario che, predica, dei valori etici, nel primo caso, dei principi costituzionali nel secondo, caratteri come oggettività, pluralità, conflittualità, incommensurabilità e indeterminatezza. Se però si distinguono sicurezza individuale, sociale e nazionale (cfr. § 4, si giunge a questa conclusione: restringere la libertà diminuisce pure la sicurezza individuale, senza aumentare granché la sicurezza collettiva. 2. PLURALISMO ED ETICA Il pluralismo dei valori, si dice, è una metaetica; ma cos’è una metaetica? Qui assumerò, senza troppo argomentare, che una metaetica sia un discorso che verte sullo statuto del disaccordo in etica (o pratica)1. Il discorso metaetico presenta a sua volta un disaccordo di secondo livello – un disaccordo sui disaccordi – fra due grandi posizioni che potrebbero sbrigativamente chiamarsi cognitivismo e noncognitivismo (meta)etico. Le ragioni pro e contro tali posizioni, come sempre in metaetica, dipendono da tante opzioni (definitorie o analitiche, empiriche o di fatto, normative o valutative), da consigliare di porre il problema in limine, come una open question.

Secondo il cognitivismo metaetico, da un lato, i disaccordi che si riscontrano comunemente nelle discussioni di etica normativa sarebbero legittimi (faultless)2 solo prima facie: a un livello più profondo della discussione, all things considered, il disaccordo si rivelerebbe invece illegittimo. Sempre secondo i cognitivisti, per potersi considerare autentiche questioni, e non semplici dispute verbali, i problemi etici o pratici dovrebbero sempre essere tali da ammettere almeno una soluzione (oggettiva, corretta, migliore di altre...) altrimenti, impegnarvisi equivarrebbe a partecipare a una mera contesa verbale3.

1 Si discute molto, in teoria del diritto, di disaccordi interpretativi: cfr. P. Luque Sánchez, G.B. Ratti (eds.), Acordes y desacuerdos. Cómo y por qué los juristas discrepan, Madrid, Marcial Pons, 2012. Di disaccordi etici o pratici dovrebbe discutersi a maggior ragione in metaetica.

2 La terminologia è ripresa da M. Kölbel, Faultless Disagreements, in Proceedings of the Aristotelian Society, New Series, 104, 2004, 53-73.

3 Si adotta qui la nota distinzione di Richard Hare fra livello intuitivo e critico della riflessione etica, applicata a tematiche giuridiche, fra gli altri, da Carlos Alchourrón, Eugenio Bulygin e José Juan Moreso.

Secondo il noncognitivismo metaetico, d’altro lato, il disaccordo prima facie potrebbe restare perfettamente legittimo anche all things considered. Le questioni etico-normative restano aperte, cioè, proprio perché provocano disaccordi effettivi e profondi, con più risposte, almeno alcune delle quali sarebbe legittime, benché forse non tutte ugualmente legittime. È questa la ragione principale, insieme con la mutevolezza dei problemi, per cui su certe questioni è possibile discutere indefinitamente; e forse si può persino ipotizzare, à la Ludwig Wittgenstein, che non vi siano disaccordi più profondi di quelli reputati superficiali.

Sospetto che il disaccordo fra cognitivismo e noncognitivismo metaetici dipenda, oltre che da diverse definizioni di «disaccordo» anche dai diversi points delle discipline interessate. Per filosofi morali o politici, ma anche per economisti o giuristi positivi, voglio dire, non avrebbe senso impegnarsi in tali imprese, prevalentemente normative, senza la prospettiva di soluzioni (inters)oggettivamente condivise: e forse non per caso molti di costoro sono cognitivisti. Che molti cultori di imprese prevalentemente conoscitive, come teorici del diritto e scienziati sociali siano noncognitivisti, invece, forse dipende anche dal fatto che per queste discipline dar conto dei disaccordi è indispensabile per dar loro soluzione.

Considerazioni analoghe possono farsi per il disaccordo fra monisti e pluralisti dei valori: uno degli oggetti più discussi dell’attuale dibattito metaetico. Occorre però distinguere preliminarmente tale disaccordo da quello fra sostenitori dell’unità oppure della frammentazione del ragionamento pratico4. I sostenitori della frammentazione di tale ragionamento in morale, politico, giuridico..., come i teorici del diritto giuspositivisti, ritengono di solito i valori tanto poco rilevanti per il diritto da non meritare di chiedersi se siano plurali oppure no. Invece, chi sostiene l’unità de, o comunque la non rigidità delle partizioni interne al ragionamento pratico, ritiene importante il disaccordo fra monisti e pluralisti5.

Venendo dunque a tale secondo disaccordo, direttamente rilevante per la questione dei trade offs fra libertà e sicurezza, si può dire che per i monisti, normalmente cognitivisti, vi è un valore ultimo, o un nucleo di valori ultimi, che fornisce soluzioni univoche, all things considered, ai nostri disaccordi prima facie. Per i pluralisti, invece, che spesso sono anch’essi cognitivisti, il disaccordo resta sempre possibile perché i valori, benché per certi versi oggettivi, sono pur sempre multipli, confliggenti, incommensurabili e indeterminati6. Occorre qui citare un passo di Bruno Celano, che pone già il problema del ruolo giocato dal diritto nella determinazione dei valori etici o pratici:

4 Di «unidad del razonamento práctico si parla almeno a partire da Carlos Nino; di «unity of value» parla invece l’ultimo R. Dworkin, Justice for Hedgehoods (2011), trad. it. Giustizia per ricci, Milano, Feltrinelli, 2013, p. 19.

5 Devo questa distinzione a una discussione con Nicola Muffato. 6 Cfr. almeno E. Mason, Value pluralism, voce della Stanford Encyclopaedia of

Philosophy, in plato/stanford/edu/entries/value-pluralism. Uso «valore» nel senso ordinario di criterio di valutazione, cioè come sostantivazione di «giudizio di valore».

El derecho es necesariamente expresión de valores y principios éticos objetivos. Tarea del derecho positivo es la determinación de estos principios y valores. Pero los valores, por hipótesis objetivos, son múltiples, conflictivos, inconmensurables e indeterminados. Su determinación exige, pues, ponderación, resolución de conflictos, conmesuración de lo inconmensurable, determinación de lo indeterminado. El derecho [positivo] realiza esta determinación mediante una estructura nomodinámica (instituciones de poderes normativos)7.

In altri lavori, e programmaticamente in Etica per giuristi (2006), ho

presentato le tesi pluraliste (non in sé, ma già) nelle loro implicazioni per l’interpretazione costituzionale8. Qui, invece, distinguo le tesi specificamente metaetiche del value pluralism e le tesi specificamente costituzionalistiche del new constitutionalism post-Auschwitz: o, se si vuole, del c. d. neocostituzionalismo, la teoria del diritto del nuovo costituzionalismo (cfr. § 3). In particolare, nel presente paragrafo richiamo brevemente le cinque tesi pluraliste evocate dal passo di Bruno; nel successivo, invece, presento cinque tesi costituzionaliste formulate negli stessi termini: benché poi pluralisti e costituzionalisti normalmente s’ignorino fra loro. 2. 1. Valori etici oggettivi? Sull’alternativa oggettivismo/soggettivismo etico, qui assimilata a quella cognitivismo/noncognitivismo, i pluralisti non hanno una posizione comune. Mentre a Friedrich Nietzsche, Max Weber e Bernard Williams si attribuiscono forme di soggettivismo radicale, Isaiah Berlin, l’inventore del value pluralism, adotta una forma di oggettivismo etico: nella storia dell’umanità si darebbe un insieme finito di valori, spiegabili sulla base di una comune natura umana. Alla domanda se di questo insieme facciano parte i «valori» nazisti, Berlin finisce per rispondere che sì, dopotutto ne fanno parte: potremmo infatti comprendere che donne e uomini come noi, a certe condizioni, abbiano potuto condividerli9.

Celano coniuga due idee analoghe: un tipo di giusnaturalismo da lui chiamato trascendentale, di ascendenza tomista, per la quale valori oggettivi ma indeterminati vengono specificati dal diritto per modum determinationis più che per modum conclusionis; la nomodinamica di Hans Kelsen, per la quale il diritto fornisce procedure e istituzioni che

7 B. Celano, Giusnaturalismo, positivismo giuridico e pluralismo etico (2005),

trad. cast. Iusnaturalismo, positivismo jurídico y pluralismo ético en Id., Derecho, justicia, razones 2009, Madrid, Centro de estudios políticos y constitucionales, 2009, 150 (la traduzione, che semplifica un po’ il testo italiano, è di José Juan Moreso).

8 Cfr. almeno M. Barberis, Etica per giuristi (2006), trad. cast. Ética para juristas, Madrid, Trotta, 2008, pp. 163-197.

9 Cfr. I. Berlin, My Intellectual Path (1998), trad. cast. Mi trayectoria intellectual, in Id., Dos conceptos de libertad y otros escritos, Madrid, Alianza, 2001, pp. 123-136, dove l’autore respinge le interpretazioni relativistiche del suo pensiero, confondendo peraltro relativismo ed emotivismo.

concorrono a determinare valori originariamente indeterminati10. Sia in Berlin sia in Celano fanno capolino anche altre idee: forse l’argomento wittgesteiniano contro lo scetticismo globale (anche per discordare bisogna essere d’accordo su qualcosa); certo il principio di carità interpretativa (per comprendere le credenze altrui dobbiamo postulare qualche somiglianza con le nostre)11. 2. 2. Valori etici plurali? Che i valori siano molteplici sarebbe osservazione banale, prima facie, se metaetiche diverse non rispondessero poi in modo diverso, all things considered, alla domanda su unità o pluralità dei valori. «Monismo o pluralismo», «unità o pluralità dei valori», in realtà, sono solo formule semplici per questioni terribilmente intricate, e strettamente intrecciate a quelle trattate ai punti successivi. La verità è che la stessa distinzione fra monismo e pluralismo dei valori non è affatto una classificazione in senso logico, ma una mera opposizione polare: le diverse posizioni di autori differenti, a seconda delle risposte fornite a domande ancora più varie, si collocano più o meno vicine al polo monista o al polo pluralista.

Intanto, occorrerebbe distinguere valori etici o pratici e valori di altro tipo; proprio in questo consiste la distinzione fra pluralismo etico o pratico, relativo a valori morali, politici, giuridici, economici, e pluralismo o politeismo dei valori in genere (Polytheismus der Werte). In un famoso passo di Wissenschft als Beruf (1919), Weber distingue valori religiosi (sacro/profano), epistemici (vero/falso), estetici (bello/brutto), e strettamente etici (buono/cattivo)12: classificazione che il suo erede weimariano, Carl Schmitt, estende in Politische Theologie (1832) a valori economici (utile/svantaggioso) e politici (amico/nemico)13.

Poi, bisognerebbe distinguere valori ultimi, o supremi o fondamentali, e valori strumentali ai primi: se anche questa distinzione, come vedremo in 3.4 parlando di principi costituzionali, non si rivelasse insospettabilmente complessa. Più in generale, e come vediamo al punto successivo, monismo e pluralismo sembrano spesso nozioni metafisiche più che metaetiche: atteggiamenti intellettuali che vengono adottati a seconda che si creda, in misura maggiore o minore, a un ordine provvidenziale e/o a un’armonia prestabilita fra i valori, oppure a processi evolutivi suscettibili di produrre solo l’aumento del disordine e/o dell’entropia

10 Cfr. in particolare B. Celano, Giustizia procedurale pura e teoria del diritto

(2002), trad. cast. Justicia procedimental pura y teoría del derecho in Id., Derecho, justicia, razones, cit., pp. 23-60.

11 Cfr. l’ultimissimo Wittgenstein di Über Gewißheit – On Certainty (Oxford, Blackwell, 1969), e le note tesi di Willard Quine, D. Davidson e Richard Grandy.

12 Così M. Weber, Wissenschaft als Beruf (1919), trad. cast. La ciencia como profesión in Id., La ciencia como profesión. La política como profesión, Madrid, Espasa Calpe, 1992.

13 Così C. Schmitt, Politische Theologie (1922), trad. cast. Teología política, Madrid, Trotta, 2009.

1. 3. Valori etici confliggenti? I valori formano un kosmos, un insieme ordinato di beni, o un caos di impulsi vitali confliggenti? Una risposta semplice potrebbe essere che sia per i monisti sia per i pluralisti i conflitti sono conciliabili ma, per i secondi, a coste di scelte tragiche14. Ma le tante risposte fornite sono complicate da retoriche opposte, rispettivamente irenista o agonistica15, a loro volta ispirate da metafisiche differenti. Uso «metafisica», qui, nel senso di indebita assimilazione delle dimensioni definitoria, empirica e normativa compresenti in qualsiasi discorso: qui, definizioni di «disaccordo» solo prima facie o anche all things considered, osservazioni empiriche sul fact of pluralism (John Rawls), attitudini normative ireniste o agonistiche.

Come notava già Max Weber, che si diano disaccordi o autentici conflitti, più o meno estesi secondo le epoche e le culture, è certo un fatto empirico importante: non decisivo, però, per la validità di una tesi metaetica16. Almeno altrettanto decisivo è se i disaccordi siano definiti solo come prima facie o anche all things considered, e se possano quindi intendersi come mere tensioni, riassorbite a un livello di riflessione più profondo, o come conflitti irriducibili. Infine, è importante anche la dimensione normativa o valutativa: nell’etica antica, tipica di società face to face e chiuse verso l’esterno, l’armonia era il valore prevalente; nell’etica moderna, invece, prevale l’idea machiavelliana della produttività del conflitto. 2. 4. Valori etici incommensurabili? Fittamente intrecciata con la questione precedente è il problema della commensurabilità o incommensurabilità dei valori, oscillante fra economia, dalla quale «valore» (Wert) proviene, e filosofia morale17. Il monismo dei valori sosterrebbe la commensurabilità dei valori, i quali troverebbero una misura comune nel loro valore supremo, sia esso consequenzialista, come l’utilità, o deontologico, come la dignità umana; la scelta del valore rilevante, comunque, sarebbe razionale, basata su ragioni. Il pluralismo dei valori, invece, sosterrebbe l’incommensurabilità dei valori; in mancanza di un valore supremo,

14 Cfr. B. Williams, Liberalism and Loss, en M. Lilla, R. Dworkin, R. B. Silvers (eds.), The Legay de Isaiah Berlin, New York, New York Review of Books, 2001, pp. 91-104: ma già, in termini giuridici, G. Calabresi, P. Bobbit, Tragic Choices, New York, Norton, 1978.

15 Cfr. il primo capitolo della Tesi dottorale in Filosofia del diritto e bioetica giuridica, inedita, di Mauricio Maldonado Muñoz, intitolata Derechos y conflictos. Conflictivismo y anti-conflictivismo en los derechos fundamentales (Genova, XXIX ciclo).

16 Cfr. M. Weber, Der Sinn der “Wertfreiheit” der soziologischen und ökonomischn Wissenschaften (1917), trad. it. L significato della “avalutatività” delle scienze sociologiche ed economiche, in Id., Il metodo delle scienze storico-sociali, Mondadori, Milano, 1958, 326: «Su queste questioni non si arriva a niente attraverso constatazioni di fatto». Poco prima, 325, l’autore negava che il disaccordo fosse una prova decisiva a favore del soggettivismo etico.

17 Cfr. almeno i lavori raccolti in R. Chang (ed.), Incommensurability, Incomparability, and Practical Reason, Harvard U. P., Cambridge (Mass.), 1997; un quadro chiaro più aggiornato si trova nella voce Incommensurable Values (2016), di Nien-hê Hsieh, in plato.stanford.edu/entries/incommensurables-values.

atto a fungere da misura comune, la scelta del valore rilevante sarebbe radicale, ossia senza ragioni18.

In realtà, anche pluralisti come Berlin e Celano, in base al principio di carità interpretativa, sembrano ritenere inintelligibile un’idea dell’incommensurabilità come alterità assoluta fra valori, oggetto solo di scelta radicale. Persino fra valori eterogenei come verità, giustizia o bellezza, ove occorra, si può scegliere razionalmente: magari usando come ragioni o criteri di scelta altri valori reputati supremi, come utilità o dignità. Il primo problema, però, è che tale scelta sarà sempre contestuale, relativa e particolare, dunque inetta a produrre gerarchie assiologiche stabili: qui, i pluralisti concordano con relativisti e particolaristi. Il secondo problema è che non solo i valori in conflitto, ma anche quelli invocati per dirimerlo, si presentano come radicalmente indeterminati.

2. 5. Valori etici indeterminati? Fra monismo e pluralismo, in effetti, vi è un’ultima differenza, fra determinatezza e indeterminatezza dei valori. Monisti e pluralisti possono concordare sull’oggettività dei valori, ma discordano sulla loro determinazione. Per i primi, i valori sono determinati, almeno all things considered, ossia una volta interpretati, specificati e bilanciati; per il pluralismo, invece, essi restano sempre ndeterminati, richiedendo interpretazioni, specificazioni e bilanciamenti sempre nuovi. Nella teoria della giustizia liberal, da Rawls a Dworkin, si parla di concetti comuni e di diverse concezioni: nel caso dei valori, peraltro si tratta piuttosto di un vocabolario comune, e di diverse definizioni o interpretazioni.

Vi sono valori oggettivi solo nel senso che esiste un vocabolario valutativo comune, una sorta di menu condiviso sul quale esiste una sorta di consenso per intersezione: nessuno si azzarderebbe a negare che libertà, eguaglianza o utilità siano cose buone. Il disaccordo inizia quando si interpreta tale vocabolario, e s’istituiscono gerarchie assiologiche fra i significati. Ed è qui che, per Celano, diventa indispensabile il diritto positivo. Poco importa, per lui, che fra diritto e morale vi sia quel rapporto di necessità concettuale su cui discutono tormentosamente, dopo Herbert Hart, giusnaturalismi e giuspositivismi da lui chiamati definitori, perché dipendono solo da diverse definizioni di «diritto» e «morale».

Importa molto di più, invece, che fra diritto e morale vi sia un rapporto di necessità strumentale, tecnica: a proposito del quale Celano passa dal giusnaturalismo trascendentale a una sorta di un giuspositivismo normativo19. Qui non è il diritto ad aver bisogno

18 Sull’opposizione fra scelta razionale e radicale cfr. J. Gray, Isaiah Berlin (1995), trad. cast. Isaiah Berlin, Valencia, Alfons el Magnànim, 1996, e Id., Two Faces of Liberalism (2000), trad. cast. Las dos caras del liberalismo, Barcelona, Paidós, 2001.

19 Ad esempio B. Celano, Rule of law y particularismo ético, en P. Luque (ed.), Particularismo. Ensayos de filosofía del derecho y filosofía moral, Marcial Pons, Madrid, 2015, pp. 151-186, lascia sullo sfondo il giusnaturalismo trascendentale e sviluppa un giuspositivismo normativo forse ispirato alla tesi di J. Waldron, The Irrelevance of Moral Objectivity, in R. P. George (ed.), Natural Law Theory.

dell’etica, ma l’opposto: è l’etica a necessitare del diritto per la propria determinazione, oltre che per avere conseguenze pratiche. Sempre qui, peraltro, affiora una complicazione importante. Per Celano i valori etici hanno sempre trovato una determinazione nel diritto: fra diritto senz’altra qualificazione e diritto dello Stato costituzionale, prodotto dal nuovo costituzionalismo impostosi dopo la seconda guerra mondiale, vi sono solo differenze quantitative. Come vediamo nella prossima sezione, invece, una differenza c’è.

3. PLURALISMO E DIRITTO In Occidente, anche per ragioni storiche – la priorità cronologica del diritto (romano) sulla religione (cristiana)20 – s’è sviluppata la seguente divisione del lavoro: l’etica fissa i valori ultimi, ma è il diritto che li determina. Quest’opera di determinazione è stata affidata per millenni a giuristi e giudici (Stato giurisdizionale), poi, dopo la Rivoluzione francese, al legislatore democratico (Stato legislativo), infine, dopo Auschwitz, a costituenti, legislatori e giudici, anche costituzionali (Stato costituzionale). Il nuovo costituzionalismo è l’insieme delle istituzioni di quest’ultima forma di Stato, e non va confuso con il c. d. (neo)costituzionalismo, la teoria del diritto del nuovo costituzionalismo21.

Sulla novità del new constitutionalism si possono avere opinioni diverse: Rafa Escudero, ad esempio, ne ha mostrato importanti precedenti storici22; anche Celano sembra diffidare della retorica neocostituzionalista. Nuovi, peraltro, sono il consenso sui diritti realizzatosi dopo Auschwitz, quando anche cristiani e socialisti sono andati convergendo con la tradizione liberale, e la trasformazione delle dichiarazioni dei diritti in documenti giuridici, applicabili da giudici sia costituzionali sia ordinari23. Peraltro, rispetto alla determinazione dei valori, il nuovo costituzionalismo presenta questa complicazione, che ricorre a principi e argomenti non meno indeterminati di quelli etici.

Sinché i principi fossero solo la formultazione costituzionale di valori etici, e la c. d. interpretazione costituzionale si risolvesse nel bilanciamento, la più comune forma di argomentazione etica, il nuovo costituzionalismo sarebbe solo un inciampo nel processo di determinazione dei valori. Per fortuna le nuove costituzioni rigide sono di solito anche garantite, ossia applicate da Corti supreme o

Contemporary Essays, Oxford, Clarendon, 1992, 158-187: l’oggettività metaetica fa poca differenza per il diritto.

20 Cfr. M. Barberis, Libertà religiosa, in «Ragion pratica», 40/1, 2013, 175-189. 21 La distinzione, già operata da P. Comanducci, Constitución y teoría del

derecho, México, Fontamara, 2007, viene tracciata in questi termini in M. Barberis, Stato costituzionale, Modena, Mucchi, 2013.

22 Cfr. R. Escudero, Las huellas del neoconstitucionalismo. Democracia, participación y justicia social en la Constitución española de 1931, inedito.

23 Cfr. R. Cubeddu, Dai diritti naturali ai diritti umani, in F. Sciacca (a cura di), La libertà in Occidente, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 2011, pp. 9-39, e molti lavori di Michel Troper, a partire dai saggi raccolti in Id., La théorie du droit, le droit, l’État, Paris, Puf, 2001.

costituzionali, le quali tendono ad adottare tecniche argomentative più rigorose del mero bilanciamento, come i test di proporzionalità che lo controllano (cfr. qui 4.3.3). Anche dei principi del new constitutionalism, peraltro, restano predicabili i caratteri attribuiti ai valori dal value pluralism: oggettività, pluralità, conflitto, incommensurabilità, indeterminatezza. 3. 1. Principi giuridici oggettivi? Le costituzioni e le dichiarazioni dei diritti si presentano come tavole dei valori: si pensi alla Carta di Nizza (2001) e alla sua sistematica «per valori». La giurisprudenza costituzionale e internazionale, però, usa tali carte meno nel senso della Magna Charta (1215), che del francese «(à la) carte»: come un menu cui attingere principi espliciti, formulati nel documento, ma anche impliciti, ricostruiti dagli stessi interpreti. Si pensi alla privacy, nel senso attribuito all’espressione dalla Corte suprema statunitense in Roe vs. Wade (1973), o alla laicità, eretta a principio supremo della Corte costituzionale italiana solo nella sentenza 203 del 1989, cinque anni dopo il nuovo Concordato fra Stato e Chiesa.

Nella famosa sentenza Luth (1958) del Tribunale costituzionale tedesco, d’altra parte, questo menu di principi viene caratterizzato come «ordine oggettivo di valori». Ma che significa, qui, «ordine oggettivo»24? Credo almeno due cose. Intanto, non si tratta più di documenti morali o politici, come gran parte delle dichiarazioni dei diritti pre-Auschwitz, ma di autentiche norme giuridiche: regole o principi regolativi applicabili, anche prima che il legislatore le attui, da giudici non solo costituzionali ma anche ordinari (per i principi direttivi, però, cfr. § 4). Oggettività minima e prima facie, si direbbe: ma, almeno ove la giurisprudenza costituzionale pervenga a gerarchie stabili, anche all things considered.

Poi, come vedremo fra poco (3.4), i principi costituiscono un ordine nel senso che sarebbero indivisibili, come nel Preambolo della Carta di Nizza: «L’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, libertà e solidarietà». La Corte costituzionale italiana nella sentenza 85/2013, afferma a sua volta: «Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca [...] La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro”»25. Qui, si direbbe, l’opposizione metaetica fra monismo e pluralismo viene superata sulla base dell’idea giuridica di interpretazione sistematica.

24 Un’altra risposta, ma compatibile con quelle qui fornite, in R. Alexy, Theorie der Grundrechte (1994), trad. it. Teoria dei diritti fondamentali, Bologna, Il Mulino, 2012, 555-559: l’oggettivazione dei principi avviene per astrazione, rendendoli sempre più indeterminati.

25 La parte fra virgolette semplici è una (auto-)citazione dalla decisione 264/2012, anch’essa reperibile su www.cortecostituzionale.it. Cfr. anche M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, sempre in www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni/seminari/RI_Cartabia_Roma2013.pdf, 9-10.

3. 2. Principi giuridici differenti? Apparentemente, l’alternativa fra monismo e pluralismo dei valori si ripropone a seconda che i diversi documenti costituzionali adottino uno o più principi supremi. Sotto questo profilo, il Grundgesetz (1949) tedesco (1949) e la Carta di Nizza sembrerebbero adottare il principio fondamentale della dignità umana: se poi la sistematica per valori della seconda non finisse per metterli tutti sullo stesso piano. Come sempre in campo giuridico, d’altra parte, a essere decisiva non è tanto la formulazione (qui, costituzionale) quanto la giurisprudenza che la interpreta: e anche le giurisprudenze costituzionali sembrano collocarsi in posizioni intermedie rispetto al continuum monismo-pluralismo.

Una prospettiva più monista sembra quella dignitaria (dignitarian) attribuita da Susan Glendon alle corti europee, che privilegierebbero il principio della dignità umana usandolo come criterio di soluzione dei conflitti fra diritti. Più pluralista, invece, sembra la prospettiva libertaria (libertarian) attribuita da Glendon alle corti nordamericane: una pluralità di diritti di libertà viene opposta alla legislazione come un insieme di limiti più o meno assoluti26. Sfrenatamente pluralista potrebbe poi apparire la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana ricostruita da Pietro Faraguna: sempre nuovi principi supremi, espliciti o impliciti, sono opposti come limiti tanto alla revisione costituzionale quanto alle fonti europee27.

La stessa sentenza citata in 3.1, dopo aver affermato che i diritti costituzionali fondamentali si integrano fra loro, insiste che «non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri [...] Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona». Questa argomentazione coniuga una cripto-citazione, di tipo pluralista, dalla Tyrannei der Werte (1960) denunciata da Carl Schmitt (cfr. 3.4), con un appello monista alla dignità umana come fonte di tutti gli altri diritti. 3. 3. Principi giuridici confliggenti? I giuristi sono sempre stati schizofrenicamente divisi fra una teoria coerentista (il sistema giuridico sarebbe per definizione coerente) e una pratica conflittivista (i criteri di soluzione delle antinomie presuppongono l’esistenza di antinomie). Anche tale divisione può forse riassorbirsi ricorrendo alla distinzione impiegata sin dall’inizio: prima facie, il diritto è antinomico, all things considered, ossia dopo la sua sistemazione da parte dei giuristi, diventa un sistema giuridico più

26 Così M. A. Glendon, Rights Babel. Thoughts on Approaching 5oth

Anniversary of the Universale Declaration of Human Rights, in «Gregorianum», 79, 4, 1998, pp. 611-624; cfr. anche C. M. McCrudden, Human Dignity and Judicial Interpretation of Human Rights, in «The European Journal of International Law», 19, 4, 2008, pp. 655-724.

27 Cfr. P. Faraguna, Ai confini della costituzione. Principi supremi e identità costituzionale, Milano, Angeli, 2015.

o meno coerente28. Nel caso dei principi costituzionali, però, la possibilità di conflitti aumenta esponenzialmente con l’inflazione dei diritti: quanti più diritti, sociali e di altro tipo si aggiungono al menu, tanti più conflitti sono possibili.

Non si tratta certo, qui, della preferenza per diverse retoriche, ispirate a opposte metafisiche (cfr. 2.3), come nel caso dell’opposizione polare fra monismo e pluralismo. Qui il nuovo costituzionalismo, reagendo anch’esso alla sfida dei totalitarismi novecenteschi, fa un passo in più del value pluralism. Le nuove costituzioni rigide e garantite non si limitano a dar voce ai conflitti emergenti in società esse stesse plurali, ma cercano di dar loro soluzioni giuridiche, in particolare giudiziali. Nella giurisprudenza delle corti supreme e costituzionali, così, l’astratta alternativa fra unità e pluralità dei valori lascia il posto a bilanciamenti, compromessi, trade-offs cui si cerca di dare rigore giuridico.

Bilanciando diritto individuale alla salute e interesse collettivo al lavoro nella sentenza già citata (caso Ilva, 85/2013), la Corte costituzionale italiana ribadisce: «Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale». Bilanciamenti, proporzionalità, ragionevolezza, nucleo essenziale dei diritti: questo passo riassume in poche righe i principali strumenti argomentativi usati dalle corti per commisurare fra loro i principi costituzionali. 3. 4. Principi giuridici incommensurabili? A partire dalla Tyrannei der Werte di Schmitt, che accusa la giurisprudenza costituzionale tedesca di voler «rendere commensurabile l’incommensurabile», anche i critici «di sinistra» dell’interpretazione costituzionale – da Jürgen Habermas a Riccardo Guastini sino a Luigi Ferrajoli – accusano il bilanciamento di occultare a malapena scelte radicali, e non razionali, compiute da giudici non legittimati a farle. Qui il bilanciamento viene concepito in base a ciò che Robert Alexy chiama modello della decisione (Dezisionmodell): la scelta secca di un principio a scapito di tutti gli altri, senza argomentare e comunque senza cercare un contemperamento fra principi rilevanti.

Vedremo, in effetti, che le Corti spesso operano proprio così, con una scelta secca a favore della sicurezza nazionale (cfr. 4.3.1-2). Il senso di «bilanciamento» più comune nell’interpretazione costituzionale, però, è un altro, e corrisponde al modello della giustificazione (Begrundungsmodell) di Alexy: la scelta razionale, o ragionevole, di contemperare i principi rilevanti29. I due bilanciamenti differiscono pure sotto il profilo dell’(in)commensurabilità: concepita nel caso della scelta secca come alterità assoluta, superabile solo da

28 Mi permetto di rinviare al capitolo quarto del mio Introduzione allo studio del diritto, Torino, Giappichelli, 2014.

29 Cfr. già R. Alexy, Theorie der Grundrechte, trad. it. 182-197 (§§ 3.2.2.2.2 e 3.2.2.2.3)

scelte radicali, nel caso del contemperamento come mera assenza di una gerarchia ex ante fra principi, gerarchia che va costruita ex post contemperandoli ragionevolmente.

Per definizione di «modello», i due modelli sono compatibili: di fatto, una stessa decisione costituzionale potrebbe essere interpretata in base a entrambi. Di diritto, peraltro, il bilanciamento come contemperamento pare preferibile se si accetta il principio d’indivisibilità (cfr. 3.1): il giudice, cioè, deve prima tener conto di tutti i principi rilevanti, cercando di contemperarli, e solo poi, eventualmente, giustificare la scelta secca di ritenerne rilevante solo uno. Si pensi, da questo punto di vista, alla maggiore autorevolezza della sentenza sull’aborto della Corte costituzionale italiana (27/1975), che bilancia diritto alla vita del feto e diritto alla salute della donna, rispetto a Roe, la sentenza della Corte suprema statunitense, che sullo stesso tema invoca solo la privacy30.

Oltretutto, quanto Guastini dice del bilanciamento come scelta secca – le gerarchie dei principi sono mobili, poiché dipendono dalle decisioni e non l’inverso31 – vale ugualmente per il bilanciamento come contemperamento. Se i principi sono incommensurabili, ma solo nel senso di non avere una gerarchia prestabilita, le gerarchie possono sempre mutare: da caso concreto a caso concreto, come nel juicio de amparo o in certe forme di judicial review, o da caso astratto a caso astratto, come in altre forme di judicial review e nel controllo di costituzionalità accentrato. Anche il bilanciamento che contempera i principi non accerta gerarchie prestabilite ex ante, ma le fissa ex post, in modo solo relativamente stabile, e mai definitivo. 2. 5. Principi giuridici indeterminati? Anche per i principi, come per i valori, l’indeterminatezza potrebbe intendersi come l’insieme dei caratteri sinora considerati oppure come un carattere ulteriore: la genericità32. Questa è spesso confusa con la vaghezza: ossia con l’alone di incertezza che circonda qualsiasi significato, rendendo dubbio se un oggetto rientri o meno nella denotazione del termine. Ma per significati generici non vi sono dubbi del genere; al limite, a qualsiasi caso possano applicarsi principi formulati in termini generici come giustizia, dignità, utilità, sicurezza: più un sistema costituzionale si esprime genericamente e più può dirsi completo, nel senso di regolare ogni caso.

Il problema è che, quando un caso è regolato solo genericamente, non sappiamo in concreto come lo è: per saperlo, occorrono regole che specifichino i principi. Qui hanno ragione Joseph Raz e Fred Schauer a insistere che un sistema normativo, per considerarsi giuridico e non

30 Questa, almeno, è l’opinione di Guido Calabresi, Il mestiere di giudice. Pensieri di un accademico americano, Bologna, Il Mulino, 2013, 62-64.

31 Cfr. già R. Guastini, «Gerarchie normative», Materiali per una storia della cultura giuridica, 1997, 463-487, e Id., Teoria e dogmatica delle fonti, Milano, Giuffrè, 1998, 124-125, nonché J. Ferrer Beltrán, J. L. Rodriguez, Jerarquías normativas y dinámica de los sistemas jurídicos, Madrid, Marcial Pons, 2011, 143-146.

32 Cfr. almeno C. Luzzati, Príncipi e princìpi. La genericità nel diritto, Torino, Giappichelli, 2013.

meramente morale, dev’essere formato da regole: e non solo da principi, come avviene tipicamente con le dichiarazioni dei diritti. Eppure, come ha mostrato Cass Sunstein, la genericità dei principi costituzionali non è un difetto ma una necessità: serve a ottenere accordi, detti non teorizzati, fra costituenti che altrimenti sarebbero in disaccordo, riflettendo le divisione che attraversano società caratterizzate dal fatto del pluralismo33.

Gli accordi non teorizzati di Sunstein sono di due tipi, che illustrano come genericità, astrattezza e concretezza – ossia i diversi livelli di astrazione delle norme – siano caratteri distinti ma collegati. Talora i costituenti trovano l’accordo su una regola astratta, da cui sono deducibili decisioni concrete, lasciando indeterminato il principio che la giustifica, sul quale potrebbe esserci disaccordo. Più spesso, invece, i costituenti trovano l’accordo su un principio generico: lasciando così ai legislatori la specificazione di regole astratte, e ai giudici la produzione di decisioni concrete. La duplicità degli accordi non teorizzati esemplifica il problema generalissimo del livello di astrazione delle norme.

Nel diritto, da regole astratte si possono sempre ricavare, per universalizzazione, principi generici, e per deduzione, decisioni concrete: aprendo sempre nuovi spazi di discrezionalità per l’interprete. Questa è un’apparente eccezione all’idea di Celano che il diritto serva solo, o prevalentemente, a determinare l’etica: eccezione apparente, però, perché il livello di astrazione adeguato può poi essere fissato da precedenti, ossia dalla giurisprudenza anche costituzionale34. Questa è anche un’altra conferma che a essere decisive, nel diritto, sono meno i principi del costituente e le regole del legislatore che le decisioni dei giudici: come vediamo di seguito, finalmente, a proposito del bilanciamento fra libertà e sicurezza.

4. SEGURIDAD Y LIBERTAD Le reazioni agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, e del 13 novembre 2015 a Parigi, seguono uno stesso copione, in parte già scritto nel Novecento: secolo segnato da due guerre mondiali, da vari tipi di terrorismo, e dalla crescente centralità degli esecutivi. Che i governi siano di destra o di sinistra, che venga dichiarato o meno lo stato d’emergenza, il copione è sempre lo stesso. Capi dell’esecutivo con gravi difficoltà di consenso si scoprono commanders in chief e proclamano «guerre al terrore», o asimmetriche, o ibride: sorta di tertium quid fra guerra e repressione del terrorismo35, che permette

33 Cfr. C. Sunstein, Designing Democracy, Oxford, Oxford U. P., 2001, cap. II («Constitutional Principles without Constitutional Theories»), qui riformulato in termini di regole astratte e di principi generici.

34 Cfr. N. MacCormick, Legal Reasoning and Legal Theory, Oxford, Clarendon, 1978, 117-118.

35 Per il tentativo di distinguere questa terza possibilità fra stato di guerra, cui si applica il diritto internazionale, e mero terrorismo, cui si applica il diritto penale interno, cfr. M. Rosenfeld, Is Judicial Balancing Appropriate in the War of Terror? Contrasting Ordinary Times, Emergencies, and Times of Stress,

comunque il ricorso a misure eccezionali, sulle quali legislativo e giudici di solito si allineano.

Di conseguenza, nel dibattito pubblico occidentale si parla sempre più spesso di bilanciamenti, ponderazioni o trade offs fra libertà e sicurezza: metafore già presenti nel vocabolario pluralista e costituzionalista, ma qui usate soprattutto per chiedere limitazioni alle libertà in nome della sicurezza. Lungi dal giustificare solo misure eccezionali, limitate nello spazio e nel tempo, metafore siffatte assecondano una tendenza allo spostamento di poteri verso l’esecutivo già chiarissima nel Novecento: sino al punto di prefigurare una nuova forma di Stato, il Security State. Qui di seguito consideriamo tali derive istituzionali, e due possibili risposte, una politica e una giuridica.

Va da sé che le presentazioni di value pluralism e new constitutionalism svolte nei paragrafi precedenti sarebbero perfettamente superflue se servissero solo a dar conto della retorica pluralista e costituzionalista che infiocchetta tutti questi discorsi. Qui, invece, si cerca di prendere più sul serio il vocabolario pluralista e costituzionalista. Se il vocabolario pluralista serve ad avvertirci dell’ineludibilità del conflitto, quello costituzionalista consente di rispondere ai problemi della guerra al terrore in termini giuridici, e non solo politici e militari. Anche la sicurezza, dopotutto, è un valore etico e un principio costituzionale: ma un valore non più assoluto, e un principio non più supremo, delle libertà sacrificate ad esso. 4. 1. Derive istituzionali La principale conseguenza istituzionale della guerra al terrore e dei bilanciamenti fra libertà e sicurezza è l’ulteriore rafforzamento degli esecutivi a spese di legislativo e giudiziario: deriva in atto da almeno un secolo, ma che oggi rischia di trasformare lo Stato costituzionale in Stato di sicurezza36. Ciò che non hanno fatto due guerre mondiali, concentrando nei governi poteri inauditi, potrebbe dunque farlo la guerra al terrore: svuotare definitivamente i poteri del Parlamento e rendere vani i rimedi giudiziari. Come già diceva Walter Benjamin della repubblica di Weimar: quanto comincia come stato d’eccezione può sempre diventare permanente37.

Non si riflette abbastanza, in effetti, quanto due guerre mondiali abbiano cambiato gli equilibri fra i poteri dello Stato, rispetto al modello montesquiviano della separazione dei poteri. La Costituzione federale degli Stati Uniti, per fare solo l’esempio più macroscopico, bilanciava poteri legislativo, esecutivo e giudiziario: sono state le due guerre mondiali a far pendere la bilancia dalla parte dell’esecutuvo. Ma un esempio non meno importante è il trasferimento ai governi di gran Percorsi costituzionali, 1, 2008 (numero monografico interamente dedicato a «Libertà e sicurezza»), 139-148.

36 Espressioni come «Security State» e «État de securité» s’incontrano solo in chi denuncia il fenomeno: cfr., sin dai titoli, M. G. Raskin, R. Spero, The Four Freedoms under Siege: the Clear and Present Danger from Our National Security State, Westport, Praeger, 2007, e G. Agamben, De l’État de droit à l’État de Securité, in www.lemonde.fr, 27.12.2015.

37 Cfr. G. Agamben, Stato di eccezione, Torino, Bollati Boringhieri, 2004.

parte della legislazione, iniziata a titolo di decretazione d’urgenza: processo che va trasformando le democrazie rappresentative in autocrazie elettive38.

Il processo interessa tutti i maggiori paesi dell’Occidente, e non solo quelli eletti a bersaglio degli attacchi terroristici. Si pensi, per gli Stati Uniti, al Patriot Act (2001) e a Guantánamo; per la Francia al progetto di costituzionalizzare l’état d’urgence, denunciato dal ministro della giustizia Christiane Taubira a costo di dare le proprie dimissioni; alle draconiane leggi antiterrorismo britanniche; e persino alla legge Bossi-Fini sull’immigrazione (2002), adottata da un paese, l’Italia, estraneo ad attacchi terroristici. Tutti provvedimenti eccezionali proposti dai governi, approvati dai Parlamenti e solo parzialmente sindacati dai giudici.

Il Report 2016 di Human Rights Watch denuncia lo svuotamento dei diritti umani e del rule of law compiuto da questa «politica della paura»39. I sostenitori dei diritti umani, d’altra parte, possono impiegare contro queste derive solo due strategie deboli, perché basate proprio sui due poteri – il legislativo e il giudiziario – sinora acquiescenti nei confronti dell’esecutivo, e succubi rispetto alle esigenze della sicurezza nazionale. Una delle due risposte è prevalentemente politica, ossia orientata a cambiare l’opinione pubblica, i Parlamenti e i governi; l’altra è prevalentemente giuridica, in quanto fa appello soprattutto alle corti, specie costituzionali e internazionali.

4. 2. Una risposta (solo) politica Il migliore rappresentante della risposta politica alle derive securitarie è il Jeremy Waldron di Torture, Terror and Trade-offs (2010), collezione di saggi pubblicati dopo l’11 settembre. Waldron è il più noto critico del judicial review, sicché la sua risposta può essere solo politica e non giuridica. Eppure, questi saggi forniscono un’analisi della sicurezza come diritto fondamentale, e cinque argomenti contro il sacrificio delle libertà in nome della sicurezza, che meritano di essere considerati, sia per i loro meriti propri, sia perché recuperabili entro una risposta anche giuridica. Nella prospettiva giuridica, un ruolo centrale gioca il primo argomento: la non indipendenza di libertà e sicurezza. 4.2.1. Argomento della non-indipendenza di libertà e sicurezza Nella filosofia politica angloamericana, e anche nel diritto pubblico europeo-continentale, sicurezza e libertà sono opposti come valori eterogenei: il primo è un bene pubblico, anzi il bene pubblico per antonomasia, il secondo un diritto individuale, anzi il diritto individuale par excellence. Anche per questo i loro rapporti sono raffigurati in termini di bilancia: come un gioco a somma zero (più sicurezza uguale minore libertà, e viceversa). Eppure, analizzando il concetto di

38 L’espressione è di M. Bovero, Seguridad jurídica y democracia. Una

perspectiva teórico-politica, in C. Cruz Moratones, C. Fernández Blanco, J. Ferrer Beltrán (eds.), Seguridad jurídica y democracia en Iberoamérica, Madrid, Marcial Pons, 2015, 49-57.

39 Human Rights Watch, Worldreport 2016, New York, Seven Stories, 2016.

sicurezza, stranamente trascurato dai filosofi, tranne Thomas Hobbes, Jeremy Bentham e Montesquieu, ci si accorge che i concetti di libertà e sicurezza, lungi dall’essere indipendenti, presentano relazioni interne, definitorie o concettuali.

The idea of a trade-off between liberty and security make clearest sense if we think of liberty and security as separate values, logically independent of one another, and related in a sort of inverse way: the more liberty there is, the less security you are likely to get; the more security you want, the more liberty you’re going to have to give up in order to get it. But if we find that liberty and security are not logically independent and that there are important internal relation between them, or if conceptual analysis indicates that they stand sometimes in a direct rather than in an inverse relation to one another, then talk of a trade-off will be complicated, if not undermined40. In Security as a Basic Right (after 11/9) (2009)41, Waldron invita a

concepire la sicurezza come diritto individuale: il che, almeno per il lettore continentale, potrebbe rappresentare un’autentica sfida intellettuale. In realtà, non è solo Montesquieu a definire la libertà in termini di opinione nutrita da ognuno circa la propria sicurezza. Anche Judith Shklar e Bernard Williams, pluralisti amici di Berlin, hanno difeso in termini simili un liberalismo della paura (liberalism of fear): una concezione della libertà come sicurezza individuale e sociale. La stessa Convenzione europea sui diritti e libertà fondamentali (1950), assimila libertà e sicurezza all’art. 5, come se si trattasse di endiadi42.

Certo, contro pretese in tal senso43, i campi semantici dei due concetti non coincidono, ma si sovrappongono, si noti, proprio per il loro nucleo centrale, essenziale e irrinunciabile. La libertà liberale, negativa, e la sicurezza individuale (safety) da attacchi altrui sia privati sia pubblici, possono concepirsi come diritti agli stessi beni: vita, integrità fisica e psichica, tutto il corredo dei diritti di habeas corpus e a non essere torturati o danneggiati ingiustamente nella persona e nei beni. Si tratta nientemeno che della prima generazione dei rights: il

40 Cfr. Waldron, Torture, Terror and Trade-offs. Philosophy for the White House, Oxord, Oxford U. P., 2010,160-161, ma anche M. Rosenfeld, Judicial Balancing in Times of Stress: Comparing Different Approaches to the War on Terror, Cardozo Legal Studies Research Paper n° 119, 1.4.2006, in ssrn.com/abstract=729224: forse la più sistematica trattazione del tema dal punto di vista del nuovo costituzionalismo.

41 Il saggio, ripubblicato in Id., Torture, Terror and Trade-Offs, cit., 166-185, commenta H. Shue, Basic Rights: Subsistence, Affluence, and U. S. Foreign Policy (1980; 1996), Princeton, Princeton U. P., 1996.

42 Cfr. Montesquieu, De l’esprit des lois (1748), Paris, Garnier Flammarion, 1979, vol. I, 294: «La liberté politique, dand un citoyen, st cette tranquillité d’esprit qui provient de l’opinion que chacun a de sa sûreté» (XI-VI); J. Shklar, The Liberalism of Fear, in N. Rosemblum (ed.), Liberalism and Moral Life, Cambridge (Mass.), Harvard U. P., 1989, 21-38; B. Williams, Liberalism of Fear, trad. it. Il liberalismo della paura, in Id., In principio era l’azione. Realismo e moralismo nella teoria politica, Milano, Feltrinelli, 2005, 63-75; sull’art. 5 («Toute personee a droit à la liberté et à la sûreté»), cfr. M. Barberis, Europa del diritto. Sull’identità giuridica europea, Bologna, Il Mulino, 2008, 194-198.

43 Cfr. Th. F. Powers, Can We Be Secure and Free?, in The Public Interest, spring 2003, 3-24.

caso paradigmatico e indiscutibile di diritti costituzionali, fondamentali e umani.

Certo, «libertà» denota poi anche la libertà positiva e/o l’autonomia, mentre «sicurezza» si estende al bene pubblico assicurato da diritto e Stato: ed è da questa sicurezza che derivano i maggiori pericoli per la libertà. I rapporti fra i due concetti, comunque, possono raffigurarsi come cerchi che s’intersecano, e coincidono, solo per un nucleo comune di diritti individuali alla libertà-sicurezza, come li chiamerò d’ora in poi. Per tale nucleo comune, peraltro, resta possibile un conflitto (non inter-rights, ma) intra-right: ovvero fra gli stessi diritti individuali attribuiti a soggetti differenti (cfr. qui 4.2.3, per l’argomento della distribuzione). 4.2.2. Argomento anti-consequenzialista. Nella prospettiva libertarian nordamericana (cfr. 3.2), i diritti non si ponderano, essendo vincoli assoluti alla volontà della maggioranza; e la stessa teoria della giustizia liberal di lingua inglese è formulata in modo da evitare bilanciamenti fra diritti individuali e interessi collettivi44. Nella prospettiva dignitarian continentale (cfr. 3.2), invece, non ci sono vincoli assoluti; esiste però una presunzione liberale, così la chiamerò, nei confronti del sacrificio di diritti individuali a interessi collettivi. Libertà individuali e sicurezza collettiva possono dunque bilanciarsi: ma il sacrificio delle prime alle seconde richiede uno strict scrutiny, e giustificazioni particolarmente rigorose (cfr. 4.3.3). 4.2.3. Argomento della distribuzione. S’è detto (cfr. 4.2.1) che anche fra diritti alla libertà-sicurezza possono darsi conflitti intra-right attribuiti a diverse categorie di persone: maggioranze e minoranze, cittadini e stranieri, sospetti di terrorismo e tutti gli altri. Come mostra il caso dei cittadini statunitensi di origine giapponese internati in campi di concentramento dopo Pearl Harbour, senza che Congresso e Corte suprema battessero ciglio, i diritti individuali delle minoranze sono sempre a rischio di venire sacrificati alla sicurezza collettiva della maggioranza: ma, verrebbe da dire, è proprio contro questi abusi che esistono costituzioni, trattati, e giudici. 4.2.4. Argomento degli effetti non intenzionali. La tutela della sicurezza è ritenuta, almeno a partire da Hobbes, la funzione principale dello Stato e del suo diritto; la sicurezza collettiva, anzi, costituisce una pre-condizione per la tutela di tutti i diritti individuali. Peraltro, istituzioni intenzionalmente progettate per garantire la libertà-sicurezza individuale possono sempre, a dispetto delle migliori intenzioni dei progettisti, essere usati contro di essa. Orbene, in tutti i casi in cui ciò avvenga, invocare l’argomento della sicurezza collettiva come pre-

44 Il libertarian Robert Nozick esclude il ricorso a bilanciamenti con la sua

concezione dei diritti come side constraints, il liberal John Rawls con il suo ordine lessicografico fra diritto all’eguale libertà e altri diritti.

condizione delle libertà individuali, al fine di limitare indebitamente queste ultime, appare chiaramente pretestuoso45 (cfr. 4.3.2-3) 4.2.5. Argomento delle conseguenze simboliche. La sicurezza collettiva è una questione di grado: nessuno sarà mai perfettamente sicuro. Ammesso che restringere le libertà individuali aumenti la sicurezza collettiva, la aumenta di una percentuale così infinitesimale (dal 51 al 52% ?)46, da rivelarsi misura poco più che simbolica: può forse rassicurare i cittadini, ma non spaventare terroristi suicidi. Nel mondo della comunicazione, i simboli sono importanti; per leader politici deboli, poi, sono proprio decisivi. Ma in base ai parametri più rigorosi del nuovo costituzionalismo, misure del genere appaiono inidonee a conseguire i risultati che si prefiggono, e non superano i test di proporzionalità (cfr. ancora 4.3.3).

Tutti gli argomenti di Waldron, e in particolare l’ultimo, sono

assolutamente persuasivi, ma presentano due limiti strutturali. Intanto, come mostrano Eric Posner e Adrian Vermeulen, essi sono efficaci solo sino al prossimo attacco terroristico: quando questo si verifica, appaiono inetti a mutare le reazioni quasi pavloviane dei governi e dei legislativi a essi proni47. Ma soprattutto, come si diceva all’inizio, gli argomenti di Waldron non si rivolgono ai soggetti istituzionali meno indisposti ad accoglierli: le Corti supreme, costituzionali e internazionali. La strategia esclusivamente politica di Waldron, insomma, diviene relativamente più efficace se si rivolge anche ai giudici: come vediamo subito. 4. 3. Una risposta (anche) giuridica Una risposta giuridica alle derive securitarie può venire dal nuovo costituzionalismo: non dal vecchio, specie inglese, nella classica ricostruzione di Charles MacIllwain. L’(old) constitutionalism britannico, infatti, presuppone che tutta la sfera del gubernaculum – la prerogativa del monarca, i poteri del King-in-Parliament o degli esecutivi che li hanno ereditati – non sia soggetta ai controlli giuridici cui è soggetta, invece, la sfera della iurisdictio. La costituzione federale statunitense (1797), antenata del new constitutionalism, prevede invece la sospensione dell’habeas corpus per ragioni di safety48: aprendo la strada a controlli giuridici.

In questa sotto-sezione si esaminano i rimedi forniti dal nuovo costituzionalismo a tre possibili conflitti, fra libertà-sicurezza

45 Cfr. ancora tutto il saggio Security as Basic Right, in J. Waldron, Torture,

Terror and Trade-Offs., specie p. 168, con l’accenno agli usi dell’argomento fatti dall’Amministrazione Bush dopo l’11 settembre.

46 Così ancora J. Waldron, Torture, Terror, and Trade-Offs, cit., 177. 47 Cfr. E. A. Posner, A. Vermeulen, Terror in the Balance. Security, Liberty and

the Court, Oxford, Oxford U.P., 2007: forse i maggiori sostenitori di una prospettiva politica realistica, per la quale non vi sarebbe alternativa alla concentrazione nell’esecutivo di tutti i poteri di emergenza.

48 Così l’art. 1, comma 9, sottocomma 2: «The Privilege of the Writ of Habeas Corpus shall not be suspended, unless when in Cases of Rebellion or Invasion the public Safety may require it«

individuale, da un lato, e tre tipi molto diversi di sicurezza, dall’altro. Anzitutto, le libertà individuali possono confliggere, intra-right o inter-rights, con la sicurezza individuale; poi, con la sicurezza sociale; infine, con la sicurezza nazionale. Quest’ultimo resta il caso paradigmatico di conflitto fra libertà e sicurezza; ma la possibilità di concepire la sicurezza come diritto individuale, e l’opposizione fra diritti individuali e interessi collettivi, mostrano che i bilanciamenti non possono essere indiscriminati.

A tutti e tre i conflitti si applicherà, ove occorra, il principio di proporzionalità, elaborato dal Tribunale costituzionale tedesco, difeso da Alexy, e invocato persino dal Conseil Constitutionnel francese nella decisione sull’état d’urgence del 22 dicembre 201549. Di per sé, il bilanciamento sarebbe atto a giustificare qualsiasi trade-off; il principio di proporzionalità, invece, lo sottopone ad almeno tre controlli (più) rigorosi: di idoneità, necessità e proporzionalità in senso stretto. Non si impiegherà, invece, il preliminare test di legittimità (sono fini costituzionalmente legittimi quelli invocati?): assumendo che tutti e tre i tipi di sicurezza siano fini legittimi, contemplati esplicitamente o implicitamente dalle costituzioni. 4. 3. 1. La sicurezza individuale è bene tutelato non solo dal diritto costituzionale, ma anche dal diritto penale, e forse dal diritto tout court; si tratta forse del valore giuridico per antonomasia, la cui tutela costituisce la prima, principale e indispensabile funzione dello Stato. Come ha mostrato Waldron, peraltro, la sicurezza individuale coincide nel suo nucleo essenziale con la libertà individuale: circostanza che non esclude, rispetto a tale nucleo, conflitti intra-right, ossia fra gli stessi diritti distribuiti fra soggetti diversi, oltre ai più comuni conflitti inter-rights. Deve però sempre trattarsi, per definizione, di diritti individuali: non dell’interesse collettivo o del bene pubblico della sicurezza, considerato ai prossimi punti.

Conflitti intra-right o comunque inter-rights, fra diritti alla libertà-sicurezza spesso ritenuti assoluti o inviolabili, possono presentarsi come casi estremi, esposti alle scelte tragiche tipiche del pluralismo dei valori. È il caso della ticking bomb: è lecito torturare un terrorista per salvare vite umane50? Ove mai la tortura si rivelasse idonea a salvarle, necessaria in mancanza di altri mezzi meno lesivi, e proporzionata rispetto ai diritti coinvolti (integrità fisica del terrorista, vite delle possibili vittime), in base a criteri consequenzialisti potrebbe risultare lecita. In quel caso, però, sarebbero gli stessi criteri a entrare in un

49 Cfr. Conseil constitutionnel, Décision n° 2015-527 QPC, 22 décembre 2015, p. 6: «le juge administratif est chargé de s’assurer que cette mesure [la residenza coatta] est adapté, nécessaire et proportionnée à la finalité qu’elle poursuit». Sul principio, che trova origine nella giurisprudenza amministrativa tedesca, cfr. almeno M. Cohen-Elyia, I. Porat, Proportionality and Constitutional Culture, Cambridge, Cambridge U. P., 2013.

50 Questione “sdoganata” da A. Dershowitz, Why Terrorism Work: Understandigh the Threat, Responding to the Challenge, New Haven (Ct), Yale U. P., 2003, cui rispondono, fra infiniti altri, M. La Torre, M. Lalatta Costerbosa, Legalizzare la tortura? Ascesa e declino dello Stato di diritto, Bologna, Mulino, 2013 e, da ultima, M. Lalatta Costerbosa (a cura di), «Il silenzio della tortura», parte monografica della Rivista di filosofia del diritto, 2015/2.

conflitto di secondo livello, fra criteri di soluzione dei conflitti, con il criterio deontologico della dignità umana.

Di fatto, tutti i documenti costituzionali e internazionali rilevanti, sulla base di principi deontologici come quello appena citato, formulano (non principi, ma) regole, che vietano assolutamente la pratica della tortura. E forse, anche da un punto di vista consequenzialista, non potrebbero fare altrimenti, per non indebolire ulteriormente divieti già largamente violati, anche nei paesi più avanzati. Casi estremi o scelte tragiche, però, possono sempre darsi: questa è la lezione di realismo del pluralismo dei valori. Ex ante, dinanzi a casi e scelte siffatte, si può anche ipotizzare la violazione del divieto; se si adotta un approccio dignitarian, peraltro, non si può ammettere che la violazione non sia sanzionata ex post. 4. 3. 2. La sicurezza sociale può considerarsi un interesse collettivo, e un bene pubblico, ormai tutelato, in maggiore o minore misura, da tutte le costituzioni. Si parla a questo proposito, specie nei paesi di civil law, di diritti sociali, ossia a servizi da parte della collettività (sanità, previdenza, assistenza sociale, talvolta reddito minimo, casa, lavoro...): diritti che, se non stabiliti da apposite regole costituzionali, sono tutelati solo da principi direttivi, cioè attuabili solo dal legislatore, non però regolativi, ossia direttamente applicabili anche da giudici51. La sicurezza sociale, d’altra parte, sarebbe del tutto estranea al presente lavoro, se non presentasse tre tratti strutturali comuni alla sicurezza nazionale.

Anzitutto, sicurezza sociale e sicurezza nazionale sono questione di grado, la cui massimizzazione è tutelabile solo da principi direttivi, da parte di parlamenti e governi, e non da principi regolativi, cioè da parte di giudici. Poi, e ciononostante, entrambe giustificano il conferimento di poteri eccezionali ai governi: la sicurezza nazionale giustificò la sospensione dell’Habeas corpus da parte di Abraham Lincoln durante la Guerra di secessione; la sicurezza sociale il New Deal di Franklin D. Roosvelt dopo la Grande depressione. Infine, entrambe derivano la loro autorità dal seguente argomento: come pre-condizione per la tutela di tutti gli altri diritti, entrambe prevarrebbero sempre nel bilanciamento con ognuno di essi.

Come s’è detto (cfr. 4.2.3) e come si dirà ancora (4.3.3.3), però, questo argomento è fallace. Vero, sotto un livello minimo di sicurezza sociale o di sicurezza nazionale, la tutela di qualsiasi diritto diverrebbe inutile. Ma in qualsiasi situazione non estrema, invece, la tutela della sicurezza collettiva è una condizione solo necessaria, e non anche sufficiente, della tutela dei diritti individuali52. In qualsiasi situazione diversa dalla caduta della popolazione sotto il livello di sopravvivenza,

51 Questa differenza strutturale fra principi regolativi e direttivi emerge in L. Ferrajoli, Dei diritti e delle garanzie. Conversazione con Mauro Barberis (2013), trad. cast. Los derechos y sus garantías. Conversación con Mauro Barberis, Madrid, Trotta, 2015. Ma distinzioni simili sono tracciate da Dworkin, fra principles e policies, e da Manolo Atienza e Juan Ruiz Manero, fra principios e directrices.

52 Così, in termini di condizioni necessarie e sufficienti, B. Williams, «Realism and Moralism in Political Argument», trad. it. «Realismo e moralismo in teoria politica», in Id., In principio era l’azione, cit., 6.

o dalla dissoluzione dello Stato53, insomma vale la presunzione liberale (cfr. 4.2.2) circa la prevalenza dei diritti individuali sugli interessi collettivi, e dei principi regolativi sui principi direttivi.

4. 3. 3. Sicurezza nazionale La sicurezza nazionale, finalmente, è l’interesse collettivo e il bene pubblico più comunemente invocato per limitare le libertà più fondamentali e la stessa libertà-sicurezza. Anche solo per porre la questione sul terreno giuridico-costituzionale, d’altra parte, ossia in termini di principi soggetti al bilanciamento da parte di corti supreme, costituzionali o internazionali, occorre affrontare il seguente trilemma della sicurezza. O la sicurezza nazionale è solo un valore politico o militare, del tutto estraneo al diritto; o è pur sempre un principio giuridico, ma così assoluto da costringere i giudici a dargli la prevalenza su qualsiasi altro principio; oppure è solo un principio supremo fra altri, bilanciabile con altri. 4. 3. 3. 1. La sicurezza nazionale, anzitutto, potrebbe considerarsi un valore estraneo al diritto, quindi sottratto a qualsiasi bilanciamento con principi costituzionali. Così potrebbero leggersi il venerabile salus reipublicae suprema lex esto, la distinzione vetero-costituzionalista gubernaculum/iurisdictio, la doctrine della political question nella giurisprudenza costituzionale nordamericana, la stessa dottrina della sovranità di Carl Schmit, come decisione sullo stato d’eccezione. Senonché, anche concependo così la sicurezza nazionale, ove la questione del suo conflitto con altri principi costituzionali sia di fatto sollevata dinanzi a un giudice, questa dovrà pur sempre trovare una risposta giuridica. Si passa così al secondo corno del trilemma. 4. 3. 3. 2. La sicurezza nazionale, poi, potrebbe ritenersi un valore giuridico, non sottratto al bilanciamento con altri principi eppure sempre prevalente su di essi. Così potrebbero leggersi il termine «lex» in salus reipublicae, la distinzione vetero-costituzionalista, la doctrine della political question, la stessa dottrina schmittiana: la sicurezza nazionale non sarebbe un, ma il principio costituzionale supremo, l’unico che prevale sempre su tutti gli altri. E di fatto, quando la questione si pone di fronte alle corti – supreme, costituzionali o internazionali – la risposta prevalente è proprio questa: la sicurezza nazionale prevale spesso seccamente, senza contemperamenti, su altri principi giuridico.

Si pensi al caso El-Masri, cittadino tedesco di origini libanesi, arrestato in Macedonia solo perché omonimo di un terrorista, consegnato ai servizi segreti statunitensi, portato in Afghanistan e torturato per mesi, infine rimesso in libertà, senza che alcuna delle corti statunitensi a cui si rivolse riconoscesse le sue ragioni. Oppure si pensi al caso Abu Omar, imam sospetto di terrorismo, rapito a Milano dai

53 Così Lord Hoffman in A(FC) et al. V. Secretary of State for the Home Department (2004), UKHL56 (House of Lord), § 96: «Terrorist violence, serious as it is, does not threaten our institution of government or our existence as a civil community».

servizi statunitensi e italiani, torturato per mesi in Egitto, mentre le autorità italiane, Corte costituzionale compresa, ostacolavano i giudici milanesi che indagavano sul rapimento. Vedremo al prossimo punto come le ragioni di entrambi siano state riconosciute solo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Una teoria realistica – nel senso del realismo tanto politico quanto giuridico – potrebbe trarre proprio la conclusione seguente da queste decisioni di giudici interni, e da molti altri casi mai pervenuti davanti ai giudici. Se, come ritiene Guastini (cfr. 3.4), nel bilanciamento secco non prevale un principio supremo, ma è supremo il principio che prevale, ecco che abbiamo un candidato migliore di utilità o dignità al rango di unico principio supremo: la sicurezza nazionale. Se vi fosse una gerarchia stabile sinora prodotta dal bilanciamento secco, questa vedrebbe proprio la sicurezza nazionale al vertice della gerarchia dei principi54. Ma il bilanciamento secco non è l’unico bilanciamento, e anche le gerarchie più stabili non sono mai definitive. 4. 3. 3. 3. La sicurezza nazionale, infine, può anche considerarsi un principio costituzionale come gli altri, soggetto a bilanciamenti, nel senso di contemperamenti, con i diritti di libertà-sicurezza55. Detto altrimenti, in un mondo in cui il terrorismo internazionale non è più un fatto eccezionale ma quasi fisiologico, tanto nelle relazioni interne quanto nei rapporti internazionali, la prevalenza secca della sicurezza nazionale sui diritti di libertà-sicurezza potrebbe lasciare il posto a soluzioni più rispettose dei diritti umani. Ciò potrebbe avvenire proprio a partire dalla giurisprudenza delle corti internazionali: da sempre meno deferenti delle corti interne, per non parlare dei Parlamenti, verso le decisioni dell’esecutivo.

È questa la conclusione che potrebbe trarsi, ottimisticamente, dalle due decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo citate in 4.3.3.2, che hanno rovesciato le decisioni di corti interne. La sentenza El-Masri (2012) ha condannato la Macedonia, membro del Consiglio d’Europa, anche per le torture subite dal El-Masri sotto controllo Usa, paese estraneo al Consiglio: giungendo persino a rivendicare un diritto alla verità56. La recentissima sentenza Nasr et Ghali (2016), analogamente, ha condannato l’Italia per le torture subite da Abu Omar in Egitto, e forse ancora di più per la connivenza mostrata dalle supreme autorità

54 Cfr. G. Cerina Feroni, G. Morbidelli, «La sicurezza: un valore

superprimario», in Percorsi costituzionali, 2008, 1, 31-44, con le critiche di A. Vedaschi, «Has the Balancing of Rights Given Way to a Hierarchy of Values?», in Comparative Law Review, 1, 2010, 1-40.

55 Cfr. M. Rosenfeld, Judicial Balancing in Times of Stress, cit., e A. Vedaschi, The Dark Side of Counter-Terrorism: Arcana Imperii and Salus Reipublicae, (2015, inedito).

56 Così EctHR, Grand Chamber, El-Masri v. the Former Yugoslav Republic of Macedonia, 13.12.2012, disponibile su hudoc.echr.coe.int. Sul c. d. diritto alla verità, cfr. A. Vedaschi, Globalization of Human Rights and Mutual Influence between Courts. The Innovative Reverse Path of the Right to the Truth, in S. Sheetret (ed.), The Culture of Judicial Independence. Rule of Law and World Peace, Brill Nijhoff, Leiden-Boston, 2016, 107-133.

repubblicane, Corte costituzionale compresa, con i servizi segreti alleati57.

Questa conclusione, peraltro, sarebbe ottimistica. Com’è noto, le decisioni delle Corti internazionali riguardano solo i firmatari dei trattati e hanno effetti quasi simbolici, diversi dalla punizione dei responsabili. Quando poi sono Corti interne a produrre decisioni coraggiose, come quelle della Corte suprema statunitense che attribuisce anche gli stranieri detenuti a Guantánamo la titolarità dei diritti di Habeas corpus58, allora ci pensano i legislativi nazionali ad attutirne o annullarne gli effetti. Le stesse corti, del resto, si spogliano spesso della questione affermando che, per ragioni di legittimità democratica, i controlli vanno esercitati dai Parlamenti: i quali si guardano bene dall’esercitarli59.

Eppure, se si ammette che questi problemi, nell’era del terrorismo globale, debbano trovare soluzioni anche giuridiche, allora non si può sfuggire ai seguenti interrogativi, formulati nei termini consequenzialistici del principio di proporzionalità60. Restringere libertà e sicurezza individuale è sempre idoneo a incrementare la sicurezza degli Stati? Inoltre, è sempre necessario, non sostituibile con misure meno lesive? È, infine, proporzionato al rispetto dei più elementari diritti umani, oppure cade sotto la presunzione liberale per cui principi regolativi non possono essere completamente sacrificati nel bilanciamento con principi direttivi? Per un giurista, credo che queste dovrebbero essere domande retoriche.

5. CONCLUSIÓN

Da un punto di vista pluralista e costituzionalista, insomma, i bilanciamenti fra libertà e sicurezza appaiono strettamente vincolati. Nel caso dei diritti individuali alla libertà-sicurezza, si tratterà di contemperarli fra loro, rispettando proibizioni assolute come quella della tortura. Nel caso del bene pubblico o interesse collettivo alla sicurezza nazionale, invece, l’alternativa è netta. O la questione è solo politica e militare, e allora non vi sono limiti all’arbitrio dei governi; oppure è anche giuridica, e allora i diritti individuali non potranno mai essere sacrificati totalmente a un interesse collettivo. Specie quando la sicurezza nazionale giustifica misure puramente simboliche, non più efficaci che fischiettare nel buio aspettando che passi la notte.

57 Così ECHR, Quatrième Section, Nasr et Ghali (Abu Omar) v. Italia,

23.2.2016, sempre in hudoc.echr.coe.int. 58 Penso in particolare a Rasul v. Bush 542 U. S. 466 (2004), sulla quale

sarebbe peraltro istruttivo rileggere la virulenta dissenting opinion del compianto Antonin Scalia.

59 Come nota ancora A. Vedaschi, Has the Balancing of Rights, cit., 23-24. 60 Cfr. C. Bernal Pulido, El derecho de los derechos, Bogotà, Universidad

Externado de Colombia, 2008, p. 136: ««se prohibe que una afectación intensa de la libertad o de otro derecho fundamental sea correlativa tan sólo a una protección minima o leve de otro derecho o bien jurídico». Ma la risposta sarebbe ancora più netta, se possibile, se si adottasse la prospettiva deontologica della dignità umana.