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Rassegna settimanale a cura dell'Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) // 14-20 febbraio 2016
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 21 febbraio 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Georgiy Bogdanov Oleksiy Bondarenko Davide Borsani Luttine Ilenia Buioni Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Ester Mauro Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net
Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°6/2016 (14-20 febbraio 2016), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2016, www.bloglobal.net
Photo Credits: ANSA; Agence France-Presse; Armed Forces Of The Philippines/EPA; Aleksey Nikolskyi/Sputnik; Reu-ters/Ümit Bektaş.
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FOCUS
SIRIA-IRAQ ↴
Mentre il termine per l’attuazione della tregua concordata a Monaco l’11 febbraio
scorso è scaduto infruttuosamente, attorno ad Aleppo si stringono in modo con-
vulso le azioni militari delle parti in conflitto. Il protrarsi dell’offensiva delle forze
governative e l’accerchiamento delle opposizioni hanno spinto migliaia di civili
(58.000 secondo fonti ONU) a lasciare la seconda città siriana verso il confine turco.
La richiesta di cessazione delle ostilità avanzata dal Gruppo internazionale di sostegno
alla Siria è sinora caduta nel vuoto, senza arrestare i combattimenti nel nord del
Paese e i bombardamenti dell’aviazione russa e siriana. Il 15 febbraio cinque strut-
ture mediche (una delle quali gestita da Médecins Sans Frontières) e due scuole ad
Aleppo e Idlib, l’altra roccaforte della ribellione, sono state colpite durante i raid. Il
Primo Ministro Ahmet Davutoğlu ha attribuito a Mosca la responsabilità degli attacchi,
in cui hanno perso la vita almeno cinquanta civili, mentre l’Ambasciatore siriano in
Russia, Riyadh Haddad, ha rivolto le medesime accuse contro gli Stati Uniti. Il vice-
Ministro degli Esteri russo Gennady Gatilov ha ribadito che i caccia russi continue-
ranno a sorvolare la provincia di Aleppo e bombardare i gruppi terroristi anche qua-
lora si raggiunga una tregua.
A questo riguardo, le delegazioni russa e statunitense stanno lavorando a Gi-
nevra per la definizione di un accordo che consenta l’implementazione delle
misure umanitarie disposte per le aree civili sotto assedio e l’interruzione degli
scontri. Una bozza preliminare è stata raggiunta il 20 febbraio, ma la deliberazione
del Gruppo di supporto internazionale è condizionata alla precisazione di un calenda-
rio che ne scandisca l’attuazione – un punto sul quale gli schieramenti pro e contro
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Assad mantengono posizioni discordi, laddove Iran e Russia in particolare premono
per una dilazione dei termini al fine di avvantaggiare le truppe governative, che oltre
ad attestare il controllo del quadrante meridionale della provincia di Aleppo nell’ultima
settimana hanno riconquistato il villaggio di Kinsabba, ultimo baluardo delle opposi-
zioni nel governatorato di Latakia. Lo stesso Ministero della Difesa russo ha reso noto
che dall’inizio di febbraio le forze lealiste hanno ripreso oltre 800 chilometri
quadrati di territorio e 73 centri abitati. Il successo della controffensiva su larga
scala – cui contribuiscono non solo i bombardamenti russi, ma anche i pasdaran in-
viati da Teheran e i miliziani di Hezbollah e delle fazioni sciite irachene filo-iraniane –
emerge dalle parole di Bashar al-Assad, che ha rifiutato fermamente l’ipotesi di una
tregua con i gruppi armati ribelli. Il Presidente siriano ha voluto inoltre avvisare Tur-
chia e Arabia Saudita delle “ripercussioni globali” che avrebbe un’invasione di terra
turco-saudita nel nord del Paese.
ZONE DI CONTROLLO NELL’AREA DI ALEPPO (FEBBRAIO 2016) – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
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È precisamente il rischio di un ulteriore allargamento e acutizzazione del conflitto che
si accompagna allo sbandamento dei colloqui di pace. Se da un lato il negoziatore
ONU, Staffan de Mistura, ha annunciato che le consultazioni non riprenderanno il 25
febbraio, come in un primo momento era stato auspicato, dall’altro la decisa stretta
governativa su Aleppo ha innescato una febbrile serie di eventi. Le milizie curdo-
siriane (Forze Democratiche siriane) hanno tratto vantaggio dalla situazione per
strappare ai ribelli numerose località a nord di Aleppo, arrivando a pochi chilometri
dal confine turco. Ankara ha reagito bombardando dalla provincia turca di Kilis le
brigate curde del YPG tra Azaz e Afrin, come pure incoraggiato secondo la ricostru-
zione del quotidiano turco Yeni Safak l’ingresso di circa 500 combattenti del gruppo
islamista Faylaq al-Sham nell’area di Azaz allo scopo di impedire la definitiva affer-
mazione curda nel lembo di terra che congiunge Aleppo alla frontiera settentrionale.
I guerriglieri curdi denunciano lo sconfinamento dei carri armati turchi e le
vittime civili dei colpi di artiglieria, mentre fonti locali stimano che sarebbero almeno
duemila i miliziani ribelli entrati in Siria dal valico di Oncupinar e direttamente armati
da Ankara. Per voce del Ministro degli Esteri Adel al-Jubeir in un’intervista al Der
Spiegel, l’Arabia Saudita si è detta pronta a fornire missili terra-aria ai gruppi
di opposizione con l’intento di ribaltare i rapporti di forza nello scenario di guerra.
Una bozza di risoluzione russa diretta ad arrestare i bombardamenti dal confine turco
e prevenire un intervento di terra è stata respinta dal voto francese nell’ambito di
una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza ONU il 19 febbraio. Parigi ha anzi
fortemente condannato le manovre militari di Mosca, attribuendogli l’escalation su
Aleppo e denunciando la commissione di crimini di guerra in virtù dei bombardamenti
su obiettivi civili e della grave situazione umanitaria. Per contro, l’Ambasciatore russo
alle Nazioni Unite, Vitaly Churkin, ha escluso nettamente l’ipotesi tedesca di una no-
fly zone sotto cui riparare le trattative di pace e il processo di transizione politica.
Se la Francia si è mostrata solidale con la posizione turca, gli Stati Uniti hanno sposato
una linea di moderazione. Mentre procedono le consultazioni al vertice con la contro-
parte russa per l’inquadramento di una tregua a livello nazionale, il Presidente Barack
Obama ha chiesto in un colloquio telefonico con l’omologo turco Recep
Tayyip Erdoğan l’interruzione degli attacchi contro le milizie curde. Se quest’ul-
time hanno liberato (con il sostegno della coalizione internazionale a guida statuni-
tense) una serie di villaggi nella provincia nord-orientale di al-Hasakah dai guerriglieri
jihadisti dello Stato Islamico (IS), tra cui l’importante snodo di al-Shaddadi, nel nord-
ovest hanno sconfitto la resistenza ribelle anti-Assad nella cittadina di Marea a nord
di Aleppo, dove le opposizioni erano state argine sia alle forze russo-siriane, sia alle
frange jihadiste del Califfato. La situazione di “tutti contro tutti” cui si assiste nel
nord-ovest della Siria espone dunque Washington a pesanti contraddizioni. Tra
queste, è emblematico il ruolo assunto nel conflitto dalle divisioni sciite irachene,
addestrate dalla CIA e dal Pentagono in Iraq per contrastare l’IS e oggi impegnate al
fianco delle truppe di Damasco, con equipaggiamento e armamenti statunitensi, con-
tro i gruppi di opposizione siriani, appoggiati (finanziariamente e militarmente) dagli
stessi Stati Uniti. Secondo il rapporto del Dipartimento della Difesa americano, le
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fazioni irachene (in particolare la Brigata Badr, Kata’ib Hezbollah e Asa’ib Ahl al-Haq)
stanno contribuendo in modo determinante alla campagna governativa su Aleppo.
In Iraq, i guerriglieri tribali sunniti hanno ingaggiato violenti scontri con i miliziani
dell’IS a Falluja, mentre l’esercito regolare sta risalendo lentamente verso Mosul
con l’apporto dei Peshmerga curdi. Secondo fonti locali, l’operazione ha indotto decine
di combattenti jihadisti a lasciare la città, bastione del Califfato. Tuttavia, a tenere
banco sono i fragili equilibri interni alle istituzioni centrali. L’annuncio di un rimpa-
sto di governo ha sollecitato le parti politiche a mettere in dubbio la stessa perma-
nenza del Premier Haider al-Abadi.
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UNIONE EUROPEA ↴
Al termine della cena di lavoro del 19 febbraio, a margine del Consiglio Europeo di
Bruxelles, i Ventotto membri dell’Unione Europea hanno annunciato il raggiungimento
di un accordo per evitare l’uscita del Regno Unito dall’UE. «Ho negoziato un
accordo per dare al Regno Unito uno status speciale all’interno della UE», ha com-
mentato il Premier britannico David Cameron, «ora posso raccomandare di votare
per la nostra permanenza all’interno delle istituzioni europee». Il Consiglio Europeo
era stato convocato dal Presidente Donald Tusk principalmente per trovare un accordo
con il Regno Unito che potesse convincere gli elettori britannici a votare – in occasione
del referendum in merito, programmato dal Premier entro in 2017 – per la perma-
nenza all’interno dello spazio comunitario.
Con tale intesa, il Regno Unito ha ottenuto due importanti concessioni. La
prima riguarda la possibilità di attivare per 7 anni il cosiddetto “freno d’emergenza”
per l’accesso dei benefici al welfare da parte dei lavoratori nuovi arrivati dagli
altri Paesi dell’Unione Europea; tale accesso sarà inoltre graduale nell’arco di quattro
anni. Si tratta di una misura fortemente voluta a Londra – che, pur accettando il
principio dell’inviolabilità del mercato interno, puntava all’attivazione del dispositivo
per sette anni rinnovabili per due periodi di 3 anni ciascuno – al fine di alleggerire il
peso che grava sulle strutture assistenziali britanniche. In secondo luogo Cameron
ha ottenuto che al momento della prossima revisione dei Trattati verrà inserito un
paragrafo in cui si esonererà il Regno Unito dal concetto di “ever closer Union”
(“Unione sempre più stretta”): ciò consentirà di non far mai parte di un esercito eu-
ropeo, di non partecipare ai salvataggi finanziari, di non adottare la moneta unica e
di mantenere i controlli alle proprie frontiere, tuttavia concedendo al Paese il diritto
di discutere delle materie comunitarie e dunque di influire su tutte le decisioni che
potrebbero riguardarlo. L’accordo del 19 febbraio è legalmente vincolante e
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sarà depositato alle Nazioni Unite, ma entrerà in vigore solo dopo l’esito del referen-
dum sulla permanenza nell’Unione Europea che, secondo alcuni, potrebbe svolgersi
già nel prossimo giugno. Il Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi ha espresso
soddisfazione per questo compromesso, sostenendo che è «meglio avere un Regno
Unito che fa chiarezza piuttosto che un Regno Unito ondivago», aggiungendo di
aspettarsi ora che l’UE si impegni maggiormente su tutte le maggiori questioni.
In effetti l’accordo per evitare la cosiddetta “Brexit” ha rischiato di saltare a causa
della difficoltà nelle trattative sulla questione relativa alla gestione dei flussi migra-
tori: il Premier greco Alexis Tsipras aveva minacciato di porre il veto all’ac-
cordo con il Regno Unito qualora fosse stata concessa la possibilità di chiudere le
frontiere settentrionali della Grecia – una misura paventata dalla Macedonia e a cui
altri Paesi europei (tra cui in particolare Ungheria e Austria) guardavano con partico-
lare favore.
ROTTA BALCANICA DEI MIGRANTI – RIELABORAZIONE GRAFICA: THE WASHINGTON POST
Le rassicurazioni giunte da Angela Merkel e François Hollande circa il fatto che tale
situazione non si verificherà fino al prossimo Vertice sul tema (che dovrebbe avere
luogo il 6 marzo), hanno spinto il leader di Syriza ad ammorbidire la propria posizione.
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Sul tema immigrazione, ad ogni modo, i Paesi dell’UE continuano a correre
in maniera autonoma: nonostante l’approvazione di un testo di conclusioni in me-
rito – che quantunque dovrà essere discusso entro i primi di marzo con il Primo Mi-
nistro turco Ahmet Davutoğlu –, l’Austria ha approvato l’introduzione di misure
sui tetti giornalieri all’accoglienza e sul transito dei richiedenti asilo, ovvero sa-
ranno ammessi soltanto 80 richiedenti asilo al giorno, dopodiché le frontiere saranno
chiuse. Tale normativa contrasta apertamente con le decisioni della Commissione eu-
ropea che, infatti, le ha bollate come “incompatibili” con le norme europee ed il diritto
internazionale; il Cancelliere austriaco Werner Faymann ha confermato il provvedi-
mento dichiarando che in questo modo il Paese accoglierebbe circa 37.000 richiedenti
asilo, una quota proporzionata alle proprie possibilità. Un provvedimento analogo
sarà intrapreso anche dall’Ungheria che a partire dal 21 febbraio chiuderà tre
passaggi ferroviari di frontiera con la Croazia (quelli di Murakeresztur-Kotoriba, Gye-
kenyes-Koprivnica e Magyarboly-Beli Manastir), attraverso i quali sono passati, si-
nora, i migranti diretti in Germania. Il Ministro degli Interni ungherese, Sandor Pinter,
ha comunicato che la misura avrà validità per 30 giorni e servirà a salvaguardare la
sicurezza pubblica, con particolare riferimento al confine con la Croazia, Paese che
non fa parte dell’area Schengen. Lo scenario potrebbe complicarsi ulteriormente poi-
ché anche Slovenia, Serbia e Macedonia hanno fatto sapere l’intenzione di voler adot-
tare misure restrittive per gli accessi, provvedimenti che potrebbero provocare una
forte crisi umanitaria in Grecia, principale Paese di approdo dei migranti.
Proprio sul tema dei migranti si segnala infine uno scontro aperto tra Mattero
Renzi ed alcuni leader dei Paesi dell’Est Europa, con il Premier italiano che –
ricordando l’imminente avvio della programmazione dei fondi 2020 – ha minacciato
la sospensione degli stanziamenti a loro favore nel caso in cui si conformino ai principi
della solidarietà europea e si protragga ancora a lungo la loro indisponibilità ad ac-
cettare il sistema dei ricollocamenti. La posizione del Presidente del Consiglio italiano
è stata particolarmente apprezzata da Francia e, soprattutto Germania, e sembra
presagire una distensione dei toni tra Roma e Berlino per ciò che riguarda i temi
relativi alla flessibilità.
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BREVI
CINA, 17 FEBBRAIO ↴
Secondo alcune immagini satellitari, sembrerebbe che
la Cina abbia installato due batterie di missili terra-aria
in una delle isole contese nel Mar Cinese Meridionale.
Questa mossa ha aumentato la già nota tensione nella
regione marittima tra la Cina, che rivendica la
sovranità su questi territori, gli USA e gli alleati asiatici.
Il portavoce del Ministro della Difesa taiwanese, David Lo, ha affermato che i missili
sono stati schierati nell’Isola Woody che fa parte della catena delle Isole Paracel sotto
il controllo cinese da più di 40 anni, ma rivendicate anche da Taiwan e dal Vietnam.
Lo schieramento dei missili avviene alla fine di un incontro tra il Presidente Barack
Obama e i leader dell’ASEAN, tenutosi in California il 15-16 febbraio, dove si è
sottolineata la necessità di ridurre le tensioni nella regione del Mar Cinese
Meridionale, senza naturalmente far riferimento alle rivendicazioni cinesi nell’area.
Gli USA, dal canto loro, non riconoscono le rivendicazioni da parte di Pechino, tanto
che in tempi recenti navi ed aerei da guerra hanno rispettivamente navigato e
sorvolato le aree circostanti gli avamposti cinesi per rivendicare la propria libertà di
navigazione. Lo stesso Obama ha tenuto a sottolineare che gli USA continueranno a
navigare, sorvolare ed operare nell’area nel rispetto delle norme di diritto
internazionale ed appoggeranno e consiglieranno gli altri Paesi alleati a fare lo stesso.
Mentre quest’azione è stata percepita da molti come un tentativo di militarizzazione
dell’area da parte della Cina,
quest’ultima si è difesa
rivendicando la propria
sovranità e quindi la propria
legittimità di schierare i missili
in questione a protezione dei
territori contesi. Il Giappone,
seriamente preoccupato dalle
azioni cinesi, ha deciso di
schierare batterie di missili in
alcuni isolotti nel Mare Cinese
Orientale, con lo scopo
principale di controllare le
attività militari di Pechino, e ha
intensificato la cooperazione di
sicurezza con l’Australia nella
discussione di vari temi delicati
che riguardano la regione.
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RUSSIA, 15-17 FEBBRAIO ↴
Si è svolto a Budapest il 17 febbraio l’incontro bilaterale
tra il Presidente russo Vladimir Putin e il Primo Ministro
ungherese Viktor Orbán. La visita si inserisce nel
percorso dei buoni rapporti politico-economici tra i due
Paesi, sebbene il volume di scambi commerciali tra
Mosca e Budapest sia crollato nel 2015 del 40%. Nella
varietà dei temi trattati, l’energia ha rivestito una posizione prioritaria, in quanto
l’Ungheria importa dalla Russia l’80% del greggio e, nonostante una leggera
inversione del trend negli ultimi anni, circa l’85% del gas. Come puntualizzato dallo
stesso Putin, lo scorso dicembre Gazprom procedeva al rinnovo, fino alla fine del
2019, degli accordi di fornitura di gas ai partners ungheresi, tenuti a versare solo per
la quota di gas effettivamente consumato. Inoltre, sulla base delle intese intercorse
nel febbraio 2015, l’impresa statale russa Rosatom sarà incaricata dell’upgrade della
centrale nucleare di Paks, che produce circa il 40% dell’elettricità ungherese, nonché
della costruzione di due nuovi reattori, oltre ai quattro esistenti. Ciò avverrebbe
nonostante l’ampliamento di tale impianto abbia provocato nello scorso mese di
novembre l’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione
europea nei confronti del governo ungherese per la mancanza di conformità alle
norme sugli appalti pubblici nell’UE, oltre che per la presunta concessione di aiuti di
Stato. Se la cooperazione russo-magiara è supportata da ragioni prioritariamente
economiche – sullo sfondo di una crescente distanza tra Budapest e Bruxelles e di un
tentativo diplomatico del Cremlino di approfondire i rapporti con partner
geopoliticamente tradizionali – un valore diverso assume l’accordo tra Mosca e
Teheran. Ha avuto inizio lunedì 15 febbraio la visita nella capitale russa del Ministro
della Difesa iraniano Hossein Dehghan, che ha incontrato il suo omologo Sergej
Shoigu e lo stesso Presidente Putin. Al centro dei colloqui l’implementazione
dell’accordo di cooperazione militare, sottoscritto a Teheran il 20 gennaio 2015:
l’intesa prevedeva infatti un impegno di lungo termine contro il terrorismo, la
formazione del personale e la cooperazione per la Marina Militare. Inoltre, la Russia
è in procinto di inviare all’Iran la prima batteria di missili S-300 – sul cui
rallentamento della consegna peserebbe, come dichiarato dal portavoce del Cremlino,
Dmitri Psekov, il mancato pagamento da parte di Teheran. Al contratto in questione,
dal valore di 800 milioni di dollari, risalente al 2007 e rispolverato all’indomani della
disponibilità del regime iraniano di interrompere il programma nucleare, dovrebbe
seguirne uno sulla fornitura di un lotto di caccia multiruolo Sukhoi Su-30. Sul piano
della politica estera, Russia e Iran sostengono fermamente il regime di Bashar al-
Assad in Siria. Tuttavia, sebbene lo stesso Shoigu abbia affermato che solo con
l’impegno bilaterale sarà possibile sostenere le sfide comuni in Medio Oriente, è lecito
supporre che il programma di riarmo dell’Iran possa contribuire ad alimentare le
tensioni regionali.
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TURCHIA, 17 FEBBRAIO ↴
È di 28 morti e oltre 60 feriti il bilancio di un attentato
avvenuto ad Ankara nei pressi del Parlamento e del
quartier generale dell’Aeronautica. L’attentatore,
identificato dalle forze di sicurezza in Saleh Nejar –
ritenuto vicino alle Unità di Protezione del Popolo
(YPG), ala militare del principale partito curdo siriano
Partito dell’Unione Democratica (PYD) –, si è fatto esplodere a bordo di un’auto nelle
vicinanze di due autobus di militari turchi. Sebbene anche il Presidente Recep Tayyip
Erdoğan e il Primo Ministro Ahmet Davutoğlu avessero individuato nell’YPG la
responsabilità dell’attacco (avviando immediatamente nella capitale una retata anti-
terrorismo che ha portato all’arresto di 14 persone), l’azione è stata nelle ore
successive ufficialmente rivendicata dal Kurdistan Freedom Hawks (TAK) – gruppo
militare curdo fuoriuscito dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) in aperto
dissenso per la disponibilità di quest’ultimo al compromesso con la Turchia. TAK, che
ha giustificato l’attacco come una risposta ai bombardamenti nel sud-est del Paese e
in particolare a Cizre, è autore di alcuni attentati negli ultimi anni contro strutture
turistiche a Istanbul, ad Ankara e ad Izmir. Nonostante ciò, alla luce di quelle che
sono state finora le capacità logistiche e operative del gruppo, sembra difficile che
l’attentato di Ankara possa essere ricondotto in toto a TAK. Più verosimilmente legato
alla questione curda è invece l’attentato del 18 febbraio a Diyarbakir, dove da mesi
sono in corso scontri tra esercito e milizie più o meno legate al PKK, contro un
convoglio militare e in cui avrebbero perso la vita 6 soldati turchi. Restano da
verificare invece i collegamenti tra i due attentati in Turchia e l’esplosione avvenuta
alla sede di un’associazione culturale curda di Botkyrka, a ovest di Stoccolma; alcuni
giorni prima spari su un corteo pro-curdo a Fitta, a sud della capitale svedese,
avevano portato al ferimento di un uomo, confermando il crescente clima di tensioni
tra le comunità turche e curde nel Paese scandinavo.
UCRAINA, 16 FEBBRAIO ↴
La mozione di sfiducia contro il governo di Arseniy
Yatsenyuk, mossa da parte del Blocco di Petro
Poroshenko (BPP) nel Parlamento ucraino, ha
segnalato la crisi non solo della coalizione “Ucraina
europea”, ma del sistema di alleanze politiche del
Paese. Nonostante i parlamentari si siano trovati
concordi con Poroshenko circa le inadempienze/incapacità dell’esecutivo –
stagnazione delle riforme e mancanza di risultati concreti nel processo politico –, il
voto di sfiducia è fallito. Questo sorprendente risultato è stato attribuito sia alle
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pressioni esercitate sui deputati dagli oligarchi, come Rinat Akhmetov, Ihor
Kolomoiskiy e Victor Pinchuk, sia alla scarsa disciplina dei membri dei partiti. Se le
pressioni politiche esercitate da parte di alcuni influenti attori extra-parlamentari –
appunto gli oligarchi – sono difficili da valutare, data anche l’ambiguità nelle relazioni
tra i partiti maggiori e gli inner circle oligarchici, non suscita, invece, dubbi la scarsa
disciplina parlamentare e partitica dei soggetti in questione. Soltanto 94 deputati su
136 appartenenti al BPP, che secondo RBC Information Systems è stata la forza
politica più disciplinata in questa votazione, si sono espressi a favore della caduta del
governo. Appare dunque evidente che diverse forze politiche minori stiano
strumentalizzando il conflitto tra il Presidente e il Premier al fine di perseguire un
proprio vantaggio politico. Il 18 febbraio inoltre è giunta la notizia ufficiale della
dissoluzione della coalizione “Ucraina europea” a causa dell’abbandono di alcuni
alleati minori come Batkivshchyna (Patria) di Yulia Tymoshenko, di Samopomich e
del Partito Radicale. Nel caso in cui non si formi entro un mese una nuova coalizione
all’interno della maggioranza parlamentare, si terranno elezioni legislative
straordinarie. La crisi politica rischia di bloccare completamente il lavoro del governo
e di rallentare inesorabilmente le riforme promesse da Kiev alla comunità
internazionale, come la riforma del sistema giudiziario e la lotta alla corruzione.
UGANDA, 18 FEBBRAIO ↴
Più di 15 milioni di persone si sono recate alle urne
per il primo turno delle elezioni presidenziali e per il
rinnovo del Parlamento. Nonostante gli ugandesi
siano chiamati a scegliere tra sette candidati alla
presidenza, le elezioni dovrebbero riconfermare il
leader incontrastato della scena politica nazionale, il
Presidente uscente Yoweri Museveni, in carica dal 1986 e alla ricerca del suo quinto
mandato consecutivo. Per il secondo Paese più giovane al mondo, in cui l’80% della
popolazione ha meno di trenta anni, l’attuale Presidente ha rappresentato di fatto
l’unica alternativa politica degli ultimi decenni e ha rivendicato il suo ruolo di garante
della pace e della stabilità, dopo gli anni della feroce dittatura di Idi Amin Dada. Oltre
a presentarsi come il promotore di un certo miglioramento delle condizioni
economiche, l’anziano Presidente è riuscito a farsi considerare come un alleato chiave
per gli Stati Uniti nella lotta al terrorismo nella regione. Tuttavia, le tensioni, le
intimidazioni e le repressioni del dissenso che hanno accompagnato tutta la
campagna elettorale hanno raggiunto il loro apice quando nelle stesse ore delle
votazioni si è avuto il doppio arresto (e rilascio) di Kizza Besigye, leader
dell’opposizione e principale sfidante di Museveni. Ad aumentare i sospetti di brogli
ed irregolarità da parte del regime hanno contribuito le lunghe ore di ritardo
nell’apertura dei seggi ed il contemporaneo oscuramento dei mezzi di comunicazione,
soprattutto dei social network. In alcuni seggi, la polizia è intervenuta con i gas
lacrimogeni per disperdere la folla inferocita per la lunga attesa alle urne chiuse. Si
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teme sempre più che il risultato dello scrutinio possa essere accolto dallo scoppio di
aspre violenze e dure repressioni da parte delle forze di polizia, soprattutto nel caso
in cui l’attuale Presidente raggiunga il 51% dei voti già al primo turno, eliminando
quindi ogni possibilità per l’opposizione.
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ALTRE DAL MONDO
AUSTRIA-CROAZIA, 16 FEBBRAIO ↴
La notizia della creazione di un sistema di controlli con l’Italia ai valichi di Tarvisio,
Brennero e Resia, per limitare il flusso dei migranti, è stata annunciata dal Ministro
degli Interni austriaco Johanna Mikl Leitner e da quello della Difesa Hans Peter
Doskozil. La necessità dell’implementazione di questa misura è stata dettata dal rag-
giungimento del limite della capacità di ricezione dei migranti in varie aree del Paese.
L’iniziativa austriaca ha avuto dei riscontri nei Paesi confinanti. La Slovenia ha an-
nunciato l’invio delle forze armate al confine con la Croazia per controllare il flusso
dei migranti, mentre Zagabria ha costretto oltre 200 “migranti economici” a far ri-
torno in Serbia, preparandosi a chiudere il confine anche con la Bosnia-Erzegovina.
BELGIO, 16 FEBBRAIO ↴
Forze di sicurezza e reparti speciali nazionali hanno lanciato una vasta operazione
anti-terrorismo nella capitale, che ha portato all’arresto di 10 persone. La maxi ope-
razione è stata organizzata dalla procura federale anti-terrorismo di Liegi, la quale
da tempo stava investigando su una rete di reclutatori di combattenti diretti in Siria,
presumibilmente legati allo Stato Islamico. Diverse perquisizioni sono state effettuate
anche a Molenbeek-Saint-Jean, Koekelberg, Schaerbeek ed Etterbeek, comuni
dell’area metropolitana di Bruxelles e luoghi di provenienza della gran parte dei mili-
ziani invischiati negli attentati di Parigi dello scorso 13 novembre.
BOSNIA-ERZEGOVINA, 15 FEBBRAIO ↴
Come anticipato lo scorso autunno sulla scia dell’entrata in vigore dell’Accordo di
Associazione e Stabilizzazione (1° giugno 2015), il Presidente della presidenza tripar-
tita bosniaca Dragan Čović ha presentato al Ministro degli Esteri olandese Bert Koen-
ders la domanda di adesione all’Unione Europea. Spetterà ora al Consiglio dell’UE
avviare la procedura per la valutazione della candidatura, il cui verdetto potrebbe
essere atteso entro la fine del 2017. Nonostante la presentazione della domanda
possa esser ritenuta un’azione di facciata – restano infatti numerosi e complessi i
nodi politici, economici e sociali che le autorità bosniache si trovano ad affrontare –,
tale atto costituisce certamente un buon segnale per lo sblocco dell’impasse istitu-
zionale in cui si trova il Paese a vent’anni di distanza da Dayton, nonché per le pro-
spettive di integrazione europea per l’intera regione balcanica.
BRASILE, 17 FEBBRAIO ↴
Numerosi incidenti si sono registrati a San Paolo durante alcune manifestazioni a
sostegno e contro l’ex Presidente Luiz Inácio Lula da Silva. Nelle stesse ore infatti si
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sarebbe dovuto tenere il primo interrogatorio – prima della decisione della Corte lo-
cale di decidere un rinvio – all’ex Capo di Stato brasiliano accusato di corruzione
nell’ambito di un’inchiesta secondaria nel processo Petrobras. Le accuse riguardanti
Lula si inscrivono nell’ambito della vicenda legata alla compagnia petrolifera statale
Petrobras ad alle presunte tangenti che alcuni membri del governo Rousseff avreb-
bero ricevuto.
CAMERUN-NIGERIA, 16 FEBBRAIO ↴
In risposta agli attacchi del gruppo terroristico di Boko Haram, il Camerun ha lanciato
un’operazione militare nella località nigeriana di Goshi a cavallo del confine tra i due
Paesi. Goshi è stata riconquistata dopo alcuni giorni dalle forze speciali camerunesi,
liberando altresì un centinaio di persone che erano state catturate dagli estremisti.
Negli scontri sono rimasti uccisi 162 miliziani di Boko Haram e sono stati distrutti vari
siti per la produzione di bombe, due campi di addestramento e sono stati sequestrati
veicoli, armi e munizioni.
ITALIA-ARGENTINA, 15-16 FEBBRAIO ↴
Per la prima volta in 18 anni, un Presidente del Consiglio italiano ha effettuato un
viaggio ufficiale in Argentina. Al centro dell’incontro tra Matteo Renzi e il Presidente
Mauricio Macri vi è stato il chiaro intento di rilanciare i rapporti politici e, soprattutto,
quelli economici, dopo circa un decennio di “congelamento” delle relazioni bilaterali.
Quella di Renzi è la anche prima visita di un Premier europeo da quando Macri si è
insediato, precedendo di circa dieci giorni quella del Presidente francese François
Hollande. La nuova politica di Macri, che si presenta come maggiormente liberista e
meno latino-centrica rispetto a quella passata kirchnerista, offre grandi possibilità per
le imprese italiane, soprattutto nei settori chiave dall’energia e delle infrastrutture.
KOSOVO, 17 FEBBRAIO ↴
Nel giorno dell’ottavo anniversario dell’indipendenza del Kosovo, ha avuto luogo a
Priština la più grande manifestazione nella storia recente del Paese, organizzata
dall’opposizione nazionalista (Vetëvendosje, Alleanza per il Futuro del Kosovo e Ini-
ziativa per il Kosovo) per richiedere le dimissioni immediate del Primo Ministro e del
Ministro degli Esteri, rispettivamente Isa Mustafa e Hashim Thaçi, ed elezioni antici-
pate entro l’anno. L’opposizione, inoltre, continua a richiedere la revoca dell’accordo
concluso nell’agosto 2015 con Belgrado per la creazione di una Associazione delle
comunità serbe in Kosovo e di quello del novembre dello stesso anno con Podgorica
relativo alla linea di demarcazione dei confini con il Montenegro.
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LIBIA, 19 FEBBRAIO ↴
Un raid aereo statunitense contro alcune postazioni militari a Sabratha, nell’ovest
della Libia, ha ucciso 41 miliziani presunti affiliati allo Stato Islamico. Nell’attacco
hanno perso la vita 38 tunisini, 2 algerini e 1 giordano, tutti o quasi aderenti alla
cellula terroristica responsabile degli attentati al museo del Bardo di Tunisi (18
marzo) e ai resort di Sousse (24 giugno). Nel raid sarebbe stato ucciso anche la
mente delle stragi, Noureddine Chouchane. Il Pentagono ha spiegato che l’intervento
aereo è stato dettato dalla possibile nuova iniziativa stragista dei miliziani contro
alcune località turistiche della Tunisia.
PALESTINA, 19 FEBBRAIO ↴
Almeno nove palestinesi sono stati feriti ed uno è stato arrestato al termine di alcuni
scontri con le forze di sicurezza israeliane, verificatisi nella Striscia di Gaza e in Ci-
sgiordania, per protestare contro la decisione di istituire nuovi insediamenti di coloni.
Nei giorni scorsi, invece, scontri si erano verificati a Ramallah, dopo la decisione delle
autorità israeliane di non permettere al giornalista palestinese Mohammed al-Qiq,
sospettato di legami con Hamas, di essere trasferito in una struttura palestinese.
QATAR, 16 FEBBRAIO ↴
I Ministri del Petrolio di Arabia Saudita e Russia hanno raggiunto un accordo provvi-
sorio sul congelamento della produzione del greggio ai livelli dell’11 gennaio 2016:
l’impegno, assunto alla presenza degli omologhi di Venezuela e Qatar, ha ricevuto il
supporto di Kuwait ed Emirati Arabi Uniti. L’intesa tra i membri dell’Organizzazione
dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) e la Russia potrebbe offrire, con il consenso
di altri produttori, una strategia efficace nel medio periodo. L’Iran – membro OPEC e
quarto Paese al mondo per riserve provate di petrolio – dichiarava il mese scorso di
voler aumentare il proprio export fino a 500.000 barili al giorno, così provocando un
crollo dei prezzi al di sotto dei 30 dollari a barile. Il 17 febbraio, il Ministro del Petrolio
iraniano Bijan Namdar Zangeneh, al termine dell’incontro a Teheran con le contro-
parti di Venezuela, Iraq e Qatar, ha accolto con favore la fissazione di un tetto alla
produzione, pur non confermando il livello di output di gennaio. Se Teheran riconqui-
stasse la propria quota del mercato globale, i prezzi dell’oro nero subirebbero un
ulteriore crollo e, per effetto, sarebbe meno conveniente l’estrazione di petrolio di
scisto statunitense. Al contrario, se la quotazione tornasse a salire, potrebbe ipotiz-
zarsi una ripresa dell’estrazione di shale oil, alimentando ancora l’idea dell’autosuffi-
cienza energetica di Washington.
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, 16 FEBBRAIO ↴
I leader dell’opposizione Mosè Katumbi e Etienne Tshisekedi hanno espresso il proprio
sostegno alle proteste organizzate in tutto il Paese per reclamare lo svolgimento di
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elezioni presidenziali entro i termini stabiliti dalla Costituzione o, comunque, entro la
fine del 2016. Nelle ultime settimane sono infatti aumentati i timori di una loro nuova
procrastinazione. La minoranza teme che le autorità di Kinshasa stiano cercando di
ritardare il più possibile il voto – che era previsto per il 27 novembre scorso – per
consentire all’attuale Presidente Joseph Kabila di modificare per via parlamentare i
termini dei mandati presidenziali fino ad ora previsti in due rielezioni da quattro anni
l’uno. Qualche giorno prima della manifestazione, uno dei promotori, il deputato Mar-
tin Fayulu, era stato arrestato ma rilasciato alcune ore dopo a Kinshasa a seguito
delle forti pressioni esercitate dalla comunità internazionale. L’Inviato Speciale degli
Stati Uniti per la regione dei Grandi Laghi, Tom Perriello, aveva infatti espresso su
Twitter la propria preoccupazione per l’arresto del deputato, mentre l’Alto Commis-
sariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha condannato l’arresto definendolo «un
passo molto grave che conferma che lo spazio politico [in RDC] continua a ridursi,
così come i diritti e le libertà dei cittadini». Secondo il Capo dell’Ufficio delle Nazioni
Unite per i diritti dell’uomo, Josè Maria Aranaz, ci sarebbero stati più di una trentina
di arresti in tutto il Paese legati alle manifestazioni anti-governative, nonostante le
smentite ufficiali del capo della polizia congolese Célestin Kanyama.
SOMALIA-KENYA, 18 FEBBRAIO ↴
Un raid dell’aviazione keniana ha ucciso il capo dell’intelligence militare di al-Sha-
baab, Mahad Mohammed Karatey. Noto anche come Abdirahim Mohamed Warsame,
Karatey è stato ucciso insieme ad altri 52 membri del gruppo in un raid avvenuto a
Nadris, nel sud della Somalia, lo scorso 8 febbraio. Karatey era considerato una delle
menti degli attacchi alla base AMISOM di al-Ade dello scorso 15 gennaio (nel quale
morirono circa un centinaio di militari keniani) e al campus universitario di Garissa
dell’aprile 2015 (dove furono uccisi almeno 150 giovani). Nonostante il gruppo so-
malo abbia smentito l’uccisione del loro leader, l’esercito e il Ministero dell’Interno
del Kenya hanno confermato la notizia della morte del militante islamista.
VENEZUELA, 18 FEBBRAIO ↴
Con un prodotto interno lordo in caduta libera del 5,7% e un’inflazione pari a più del
180%, il Presidente Nicolàs Maduro, uscito vincitore da un braccio di ferro con il
Parlamento controllato dall’opposizione, ha annunciato una serie di provvedimenti
che, negli auspici, dovrebbe ridare fiato alle casse dello Stato sempre più vuote a
causa del crollo del prezzo del petrolio. Ha fatto scalpore, in questo senso, l’annuncio
di Maduro dell’imminente rialzo dei prezzi della benzina, che saliranno dal simbolico
1 centesimo al litro a 95 centesimi. In media, ora serviranno 6 dollari per un pieno
rispetto ai precedenti 10 centesimi. A fronte della difficile situazione, il capo dell’op-
posizione e già candidato alla presidenza, Henrique Capriles, ha affermato di volere
indire un referendum per destituire Maduro.
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YEMEN, 17 FEBBRAIO ↴
Almeno 14 soldati sono rimasti vittime di un attacco suicida contro una caserma
dell’esercito yemenita ad Aden, località interessata negli ultimi mesi da una serie di
attentati delle milizie ribelli sciite Houthi e di quelle jihadiste di al-Qaeda nella Peni-
sola Arabica ai danni di esponenti del governo Hadi. L’emittente televisiva panaraba
al-Arabiya ha riportato che un terrorista suicida, vestito da soldato, si sarebbe fatto
esplodere in mezzo ad un gruppo di nuove reclute che attendevano di entrare nella
caserma di Ras Abbas. Il ramo locale dello Stato Islamico (IS), Wilayat Yaman, ha
rivendicato l’attentato, sostenendo di aver ucciso almeno 20 soldati “apostati”. Da
ottobre 2015 la città di Aden è teatro di azioni di IS che hanno avuto come bersaglio
le strutture di governo del Paese, di cui Aden è stata indicata come capitale provvi-
soria.
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ANALISI E COMMENTI
IL FENOMENO DELL’OIL BUNKERING: IL CASO DELLA NIGERIA
SARAH WAFIQ ↴
Il termine “oil bunkering” è oggi usato per indicare l’appropriazione indebita e il com-
mercio illegale del petrolio, un fenomeno che comporta ogni anno la perdita di miliardi
di dollari da parte delle compagnie petrolifere colpite. Nel caso quest’ultime siano
sotto il controllo totale o parziale del proprio governo, il danno va ben oltre i meri
interessi corporativi: viene sottratto denaro destinato alle casse pubbliche per offrire
servizi alla collettività, finanziare iniziative sociali e umanitarie, costruire infrastrut-
ture quali scuole ed ospedali, etc. In teoria, non dovrebbe essere complicato arginare
questi furti illeciti: basti pensare alla difficoltà nel nascondere un’autocisterna, non-
ché alla facilità con cui identificarne il proprietario. Tuttavia, la pratica mostra uno
scenario differente: dietro alle attività di oil bunkering si cela spesso un sistema
estremamente ben organizzato, alimentato da interessi economici e/o politici. Casi di
oil bunkering sono oggi riscontrabili in Messico, Indonesia, Iraq e Russia, ma l’area
più colpita al mondo rimane da molti anni la Nigeria (…) SEGUE >>>
AMBIZIONI E INCOGNITE DELLA POLITICA ESTERA SAUDITA IN MEDIO ORIENTE
GIUSEPPE DENTICE ↴
Durante l’annuale appuntamento della Conferenza internazionale sulla Sicurezza di
Monaco di Baviera (10-12 febbraio), Stati Uniti e Russia hanno annunciato di aver
raggiunto una tregua umanitaria di sette giorni per le aree del nord della Siria: un
impegno concreto utile a rafforzare e a dar forza alla ripresa dei colloqui di Ginevra
III del prossimo 25 febbraio. Poche ore dopo l’annuncio, Arabia Saudita e Turchia
hanno dichiarato di esser pronte a intensificare i raid aerei contro lo Stato Islamico e
di valutare, se necessario, un’eventuale operazione congiunta terrestre in Siria sotto
la bandiera della neo costituenda coalizione sunnita anti-terrorismo. Sebbene dopo
una mediazione statunitense la possibilità dell’invio di truppe sembri essere stata al
momento accantonata, la situazione resta molto tesa. In questo quadro di piena mu-
tevolezza e complessità, la proposta di Riyadh conferma tuttavia il suo rinnovato
impegno diplomatico e militare nella regione (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
www.bloglobal.net