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Nuove terapie per la SM, parte 2 – Apporti dall’International MS Meeting del 2014 Supported by an independent educational grant from Biogen Idec. www.medscape.org/viewarticle/831231

Nuove terapie per la SM, parte 2 – Apporti dall ...img.medscapestatic.com/images/831/231/831231_transcript_ita.pdf · Professore di Neurologia, Centre for Neuroscience and Trauma,

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Nuove terapie per la SM, parte 2 – Apporti dall’International MS Meeting del 2014Supported by an independent educational grant from Biogen Idec.

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Nuove terapie per la SM, parte 2 – Apporti dall’International MS Meeting del 2014

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Pubblico destinatario Questa attività è destinata ai neurologi

Dichiarazione di obiettivo Questa attività si propone di fornire le analisi degli esperti riguardo ai dati emergenti dagli studi clinici sulle nuove terapie modificanti la malattia per la sclerosi multipla, presentate al congresso ACTRIMS-ECTRIMS (America’s and European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis) del 2014.

Obiettivi di apprendimento Al termine di quest’attività, i partecipanti saranno in grado di:

1. Discutere dei risultati dei principali studi clinici presentati al congresso ACTRIMS-ECTRIMS del 2014

2. Sviluppare strategie per l’applicazione dei nuovi dati al trattamento della sclerosi multipla nella pratica clinica

Informazioni sugli autori/docenti e dichiarazioniFa parte della politica della Icahn School of Medicine at Mount Sinai garantire l’obiettività, l’equilibrio, l’indipendenza, la trasparenza e il rigore scientifico in tutte le attività formative CME sponsorizzate. Tutti i docenti che partecipano alla pianificazione o all’implementazione di un’attività sponsorizzata hanno l’obbligo di dichiarare al pubblico ogni eventuale rapporto finanziario rilevante e di contribuire alla risoluzione di ogni eventuale conflitto di interessi che possa sorgere da tale rapporto. I presentatori devono inoltre prestare al pubblico una dichiarazione esauriente in merito alle proprie discussioni su farmaci o dispositivi non etichettati o non approvati. Queste informazioni saranno disponibili come parte integrante del materiale del corso.

Stephen Krieger, MDDocente associato di Neurologia; Direttore del Neurology Residency Program, Icahn School of Medicine at Mount Sinai, Mount Sinai Medical Center Corinne Goldsmith Dickinson Center for Multiple Sclerosis, Mount Sinai Hospital, New York, New York, U.S.A.

Dichiarazione: Stephen Krieger ha dichiarato di intrattenere i seguenti rapporti finanziari rilevanti. Ha ricoperto l’incarico di advisor o consulente per: Acorda Therapeutics; Bayer HealthCare Pharmaceuticals; Biogen Idec Inc.; Genzyme Corporation; Questcor Pharmaceuticals, Inc.; Teva Neuroscience, Inc. È stato relatore o membro di un ufficio relatori per: Genzyme Corporation; Teva Neuroscience, Inc. Il Dott. Krieger intende discutere di usi off-label di farmaci, dispositivi meccanici, farmaci biologici o prodotti diagnostici approvati dalla FDA per l’uso negli Stati Uniti.

Il Dott. Krieger intende discutere di farmaci, dispositivi meccanici, farmaci biologici o prodotti diagnostici sperimentali non approvati dalla FDA per l’uso negli Stati Uniti.

Informazioni sul curatore e dichiarazioniRon Schaumburg, MADirettore Scientifico, Medscape, LLC

Dichiarazione: Ron Schaumburg ha dichiarato di non intrattenere alcun rapporto finanziario rilevante.

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Informazioni sui redattori e dichiarazioniAndrew N. Wilner, MDMedico Neurologo Ospedaliero, Dipartimento di Neurologia, Lawrence and Memorial Hospital, New London, Connecticut, U.S.A.

Dichiarazione: Andrew N. Wilner ha dichiarato di non intrattenere alcun rapporto finanziario rilevante.

Informazioni sul comitato direttivo e dichiarazioni Stephen Krieger, MDCome indicato sopra.

Mathias Buttmann, MDNeurologo Consulente Senior, Direttore del Poliambulatorio per la SM, Vicedirettore del Gruppo di Ricerca Clinica sulla Sclerosi Multipla, Dipartimento di Neurologia, Università di Würzburg, Würzburg, Germania

Dichiarazione: Mathias Buttmann ha dichiarato di intrattenere i seguenti rapporti finanziari. Ha ricoperto l’incarico di advisor o consulente per: Bayer HealthCare Pharmaceuticals; Biogen Idec, Inc.; Genzyme Corporation; Merck Serono; Novartis Pharmaceuticals Corporation; Ocatapharma Ha ricevuto fondi per la ricerca clinica da: Merck Serono; Novartis Pharmaceuticals Corporation

Patricia K. Coyle, MDVicepresidente Affari Clinici; Direttore del MS Comprehensive Care Center, Stony Brook University, Stony Brook, New York, U.S.A.

Dichiarazione: Patricia K. Coyle ha dichiarato di intrattenere i seguenti rapporti finanziari rilevanti. Ha ricoperto l’incarico di advisor o consulente per: Bayer HealthCare Pharmaceuticals; Biogen Idec, Inc.; Genzyme Corporation; Merck Serono; Novartis Pharmaceuticals Corporation; Ocatapharma Ha ricevuto fondi per la ricerca clinica da: Actelion Pharmaceuticals, Ltd.; Novartis Pharmaceuticals Corporation; Opexa Therapeutics, Inc.

Prof. Gavin Giovannoni, MBBCh, PhD, FCP, FRCP, FRCPathProfessore di Neurologia, Centre for Neuroscience and Trauma, Barts and The London School of Medicine and Dentistry, Londra, Regno Unito

Dichiarazione: Gavin Giovannoni ha dichiarato di intrattenere i seguenti rapporti finanziari rilevanti. Ha ricoperto l’incarico di advisor o consulente per: FivePrime Therapeutics; Genzyme Corporation; Sanofi; GW Pharmaceuticals; Ironwood Pharmaceuticals, Inc.; Merck Serono; Novartis Pharmaceuticals Corporation; Synthon BV; Vertex Pharmaceuticals IncorporatedÈ stato membro di un comitato direttivo per: Novartis Pharmaceuticals Corporation; Roche; Teva Pharmaceuticals USA; Biogen Idec Inc.; AbbVie Inc.

Xavier Montalban, MD, PhDProfessore di Neurologia, Università autonoma; Presidente del Dipartimento di Neurologia e Neuroimmunologia, Vall d’Hebron University Hospital; Direttore del Centro per la sclerosi multipla della Catalogna, Barcellona, Spagna

Dichiarazione: Xavier Montalban ha dichiarato di intrattenere i seguenti rapporti finanziari rilevanti. Ha ricoperto l’incarico di advisor o consulente per: Almirall Prodesfarma, S.A.; Bayer HealthCare Pharmaceuticals; Biogen Idec Inc.; Genzyme Corporation; Merck & Co., Inc.; Neurotech Pharmaceuticals; Novartis Pharmaceuticals Corporation; Sanofi; Teva Pharmaceuticals USA

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È stato relatore o membro di un ufficio relatori per: Almirall Prodesfarma, S.A.; Bayer HealthCare Pharmaceuticals; Biogen Idec Inc.; Genzyme Corporation; Merck & Co., Inc.; Neurotech Pharmaceuticals; Novartis Pharmaceuticals Corporation; Sanofi; Teva Pharmaceuticals USAHa ricevuto fondi per la ricerca clinica da: Almirall Prodesfarma, S.A.; Bayer HealthCare Pharmaceuticals; Biogen Idec Inc.; Genzyme Corporation; Merck & Co., Inc.; Neurotech Pharmaceuticals; Novartis Pharmaceuticals Corporation; Sanofi; Teva Pharmaceuticals USA

Claire S. Riley, MDDocente associato di Neurologia, Columbia University Medical Center, New York, New York, U.S.A.

Dichiarazione: Claire S. Riley ha dichiarato di intrattenere i seguenti rapporti finanziari rilevanti. Ha ricoperto l’incarico di advisor o consulente per: Biogen Idec Inc.; Genzyme Corporation; Novartis Pharmaceuticals Corporation; Teva Neuroscience, Inc.

Informazioni sui pianificatori/revisori aggiuntivi e dichiarazioniRevisore CMENafeez Zawahir, MDDirettore clinico CME, Medscape, LLC

Dichiarazione: Nafeez Zawahir ha dichiarato di non intrattenere alcun rapporto finanziario rilevante.

Informazioni sui peer reviewer Michelle Fabian, MD Docente associato di Neurologia, Icahn School of Medicine at Mount Sinai

Dichiarazione: Michelle Fabian ha dichiarato di non intrattenere alcun rapporto finanziario rilevante.

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IntroduzioneA metà settembre 2014 si è tenuto a Boston, Massachusetts, U.S.A., il congresso congiunto dell’America’s Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis (ACTRIMS) e dell’European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis (ECTRIMS).

Durante questa sessione scientifica di 4 giorni, circa 9000 partecipanti hanno presenziato alle oltre 1000 presentazioni di piattaforme e poster che hanno offerto una panoramica sui più recenti sviluppi nel mutevole campo della gestione della sclerosi multipla (SM).

Il presente rapporto riassume alcune delle nuove conoscenze sulla fisiopatologia della SM, esamina i principali dati degli studi clinici sulle terapie modificanti la malattia (DMT) nuove ed emergenti, e fornisce un’analisi esperta degli effetti che questi sviluppi potrebbero avere sulla pratica clinica attuale e del prossimo futuro.

Parte 1 – Risultati degli studi cliniciAnticorpi monoclonaliUno dei trattamenti più efficaci per la SM recidivante-remittente (RRMS) è un’infusione mensile di natalizumab, un anticorpo monoclonale che si lega ai recettori dell’α4-integrina sui linfociti. Il natalizumab è altamente efficace e, poiché richiede solo infusioni mensili, ha una compliance molto elevata. Tuttavia, è necessario utilizzarlo con cautela a causa della sua associazione con la leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML), un’infezione potenzialmente letale della materia bianca cerebrale, causata dal virus JC. Il rischio di PML aumenta con la durata del trattamento, in caso di uso precedente di immunosoppressori e in presenza di anticorpi anti-virus JC, soprattutto se ad alto titolo. Di conseguenza, si stanno continuando a cercare altri agenti che offrano un’eccellente efficacia ma che non siano gravati dal rischio di PML e di altri eventi avversi.

AlemtuzumabL’alemtuzumab è un anticorpo monoclonale umanizzato anti-CD52 che produce la deplezione dei linfociti T e B. È stato approvato in oltre 30 Paesi, ma inizialmente è stato respinto dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense. I dati clinici dell’alemtuzumab sono stati risottoposti alla FDA e alla data di questo documento (ottobre 2014) siamo in attesa di una decisione aggiornata.

In occasione del congresso ACTRIMS-ECTRIMS del 2014, un gruppo di ricercatori guidati da Eva Havrdova, MD, PhD, dell’Università di Praga (Repubblica Ceca) ha riassunto i risultati del follow-up di 3 anni degli studi CARE-MS 1 e CARE-MS 2 sull’alemtuzumab nella RRMS[1]. In entrambi gli studi i pazienti avevano ricevuto 12 mg/die di alemtuzumab per via endovenosa (EV) durante 5 giorni consecutivi, seguiti da un trattamento di 3 giorni consecutivi somministrato un anno dopo. Dei 349 pazienti dello studio CARE-MS 1 e dei 393 pazienti dello studio CARE-MS 2 seguiti per 3 anni, solo il 18% e il 20%, rispettivamente, hanno soddisfatto la definizione da protocollo dell’attività di malattia della SM recidivante e hanno avuto bisogno di trattamento a 3 anni. I restanti pazienti hanno beneficiato di un effetto del trattamento iniziale che è perdurato negli anni 1 e 2. Nel gruppo CARE-MS 1, dopo 3 anni di follow-up, il 65% non presentava manifestazioni cliniche di malattia, il 40% era esente da attività alla risonanza magnetica per immagini (MRI) e il 30% era esente da ogni attività di malattia della SM. Nel gruppo CARE-MS 2, il 50% era esente da manifestazioni cliniche della malattia, il 40% era esente da attività alla MRI e il 23% non presentava alcuna attività della SM. Siamo in attesa dei dati di follow-up dopo 4 anni di trattamento.

DaclizumabLudwig Kappos, MD, dell’University Hospital di Basilea, in Svizzera, ha presentato i risultati di DECIDE, uno studio randomizzato in doppio cieco, double-dummy, controllato con farmaco attivo, svolto sul daclizumab con processo ad alta resa (HYP) rispetto all’interferone β-1a nel trattamento della RRMS[2]. Il daclizumab HYP è un anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato, specifico per la subunità alfa CD25 del recettore interleuchina (IL)-2 nelle cellule T. Il daclizumab promuove lo spostamento della via di segnalazione della IL-2 verso l’isoforma IL-2R altamente affine, inibendo le risposte delle cellule T attivate. Inoltre, espande la popolazione di cellule natural killer (NK) CD56bright. Il daclizumab HYP ha un profilo di glicosilazione diverso rispetto alle precedenti versioni di questo agente, una modifica che riduce l’attività cellulare citotossica dipendente da anticorpi[3].

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Nuove terapie per la SM, parte 2 – Apporti dall’International MS Meeting del 2014

Lo studio DECIDE includeva 1841 soggetti (età media 36,3 anni, 68% di sesso femminile, con punteggio Expanded Disability Status Score [EDSS] medio di 2,5) in 245 centri di 28 Paesi. Il 41% dei soggetti era già stato sottoposto a trattamento con una DMT. I soggetti hanno ricevuto 150 mg di daclizumab HYP per via sottocutanea (SC) ogni 4 settimane (n=919) o 30 mg di interferone β-1° settimanali per via intramuscolare (IM) (n=922). Il daclizumab HYP ha ridotto l’endpoint primario del tasso annualizzato di recidive del 45% rispetto all’interferone β-1a. Per quanto riguarda il carico lesionale alla MRI, confrontato con l’interferone alla 96° settimana, i pazienti trattati con daclizumab HYP hanno evidenziato una riduzione del 54% di lesioni in T2 nuove o allargatesi di recente, una riduzione del 65% delle lesioni captanti il gadolinio e una riduzione del 52% delle lesioni in T1. La variazione media annualizzata del volume cerebrale è stata dello 0,56% per l’interferone β-1a rispetto allo 0,52% per daclizumab HYP (P <0,0001). La progressione della disabilità confermata a tre mesi era simile nei 2 gruppi, ma il rischio di disabilità confermata a 6 mesi è sceso del 27% con daclizumab rispetto all’interferone (P =0,03). A 96 settimane, lo z-score MSFC (Multiple Sclerosis Funtional Composite) è stato di 0,055 per l’interferone β-1a contro lo 0,091 per daclizumab HYP (P =0,0007). La scala d’impatto della sclerosi multipla 29 (Multiple Sclerosis Impact Scale-29) ha evidenziato una riduzione statisticamente significativa del 24% per daclizumab HYP rispetto all’interferone β-a.

Per quanto concerne la sicurezza, si sono verificati eventi avversi seri nel 15% dei pazienti del gruppo trattato con daclizumab HYP contro il 10% del gruppo trattato con interferone β-1a. Si sono osservati eventi avversi a livello cutaneo nel 37% dei pazienti con daclizumab HYP rispetto al 19% con interferone β-1a; questi eventi hanno normalmente implicato eritema e prurito, e sono risultati reversibili somministrando steroidi o interrompendo il trattamento. Non ci sono state infezioni opportunistiche. Nel gruppo del daclizumab HYP, il 59% di soggetti ha evidenziato risultati anomali nei test di funzionalità epatica. C’è stato un decesso nel gruppo del daclizumab HYP e 4 nel gruppo del placebo, ma si è ritenuto che nessuno di questi fosse associato al trattamento.

Sulla scorta dei risultati incoraggianti dello studio DECIDE, e della riduzione significativa del tasso annualizzato di recidive osservata nel precedente studio SELECT di 12 mesi randomizzato, controllato verso placebo[3], è probabile che il daclizumab sia presto sottoposto ad approvazione da parte della FDA per il trattamento della RRMS. Nella sua presentazione, Il Dott. Kappos ha dichiarato: “Il daclizumab può diventare una nuova opzione di trattamento con cadenza mensile per i pazienti con SM recidivante”.

OcrelizumabOcrelizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro l’antigene di membrana CD20 espresso dai linfociti B, attualmente oggetto di studi clinici di fase 3 per la RRMS e la sclerosi multipla primaria progressiva (PPMS). In uno studio randomizzato di fase 2 ― controllato con placebo e con farmaco attivo ― nella RRMS, ocrelizumab ha ridotto il numero di lesioni captanti il gadolinio dell’89% con la dose di 600 mg e del 96% con la dose di 2000 mg[4]. Per valutare gli effetti di ocrelizumab sulle cellule B, l’agente è stato somministrato in dosaggi di 0, 10, 50 e 100 mg/kg a esemplari di macaco cinomolgo[5]. Dopo 2 infusioni somministrate a distanza di 2 settimane, le cellule B nel sangue periferico (CD3-CD40+) sono state soppresse fino a livelli impercettibili. Il recupero con la dose da 10 mg/kg è iniziato alla 6° settimana e con le dosi da 50 mg/kg e 100 mg/kg alla 14° settimana. La soppressione media di tessuto linfoide alla 20° settimana con la dose da 100 mg è stata del 52% (midollo osseo), 0,8% (milza) e 3% (linfonodi). La soppressione delle cellule B periferiche e linfoidi è stata recuperata completamente alla 43° settimana.

RPC1063Fingolimod è un modulatore, somministrato per via orale, dei recettori della sfingosina-1-fosfato (S1P) che interagisce con 4 dei 5 recettori S1P conosciuti (S1P1, 3, 4, 5)[6]. Si ritiene che fingolimod riduca l’attività infiammatoria della SM legandosi ai recettori S1P1, determinandone l’internalizzazione e quindi inibendo l’uscita delle cellule T e B dai linfonodi. Inoltre, fingolimod si lega ai recettori S1P nel sistema nervoso centrale (SNC) e può quindi promuovere la neuroprotezione[6].

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Nel tentativo di migliorare l’efficacia e la sicurezza di fingolimod è attualmente in fase di sviluppo un modulatore più selettivo dei recettori S1P, denominato RPC1063. RADIANCE, uno studio randomizzato in doppio cieco, controllato con placebo, sulla RRMS, ha arruolato 258 pazienti randomizzati in rapporto 1:1:1 per RPC1063 a basso dosaggio (0,5 mg; n=87), RPC1063 ad alto dosaggio (1,0 mg; n=83) o placebo (n=88) per 24 settimane[7]. Quasi tutti i soggetti (98%) hanno completato lo studio. Entrambi i dosaggi di RPC1063 hanno raggiunto l’endpoint primario di ridurre, rispetto al placebo, le lesioni cumulative captanti il gadolinio rilevate mediante MRI alle settimane 12-24. La media di lesioni alla MRI era di 11,1 (± 29,9) per il placebo contro 1,5 (± 3,7) per RPC1063 a basso dosaggio e 1,5 (± 3,4) per RPC1063 ad alto dosaggio (P <0,0001 per entrambi i dosaggi vs. placebo). RPC1063 ha anche ridotto, rispetto al placebo, il numero di lesioni captanti il gadolinio alla 24° settimana: placebo (3,2 ± 9,8), basso dosaggio (0,3 ± 0,9) e alto dosaggio (0,2 ± 0,6) (P <0,0001 per entrambi i dosaggi vs. placebo). Inoltre, RPC1063 ha ridotto le lesioni cumulative in T2 nuove/allargate dalla settimana 12 alla 24: placebo (9,0 ± 20,9), basso dosaggio (1,4 ± 3,2) e alto dosaggio (0,8 ± 1,9) (P < 0,0001 per entrambi i dosaggi vs. placebo). RPC1063 ha evidenziato una tendenza alla riduzione del tasso annualizzato di recidive (basso dosaggio 31%; P =0,27; alto dosaggio 53%; P =0,053). Per quanto riguarda gli eventi avversi, le riduzioni massime nella media oraria della frequenza cardiaca durante le prime 6 ore dopo la prima dose di RPC1063 sono state di <2 battiti per minuto (bpm) dal basale. Non ci sono state istanze di bradicardia <45 bpm. Tre pazienti trattati con RPC1063 hanno manifestato un aumento transitorio dell’alanina aminotransferasi di ≥ 3 volte il limite superiore dell’intervallo normale, con successiva diminuzione nonostante la prosecuzione del trattamento. Nessuno dei pazienti ha manifestato eventi avversi significativi di natura cardiaca, polmonare o oftalmologica. È attualmente in corso la fase 3 dello studio RADIANCE, che confronta RPC1063 con interferone β-1a.

MOR103Un nuovo farmaco in fase iniziale di sviluppo, chiamato MOR103, è un anticorpo monoclonale umano diretto contro il GM-CSF (Granulocyte Macrophage Colony-Stimulating Factor o fattore di crescita stimolante la formazione di colonie granulocitiche macrofagiche)[8]. Esperimenti svolti sull’encefalomielite autoimmune suggeriscono che l’inibizione del fattore GM-CSF possa rappresentare un approccio efficace per il trattamento della SM. MOR103 è stato valutato in 31 soggetti adulti affetti da RRMS o da SM secondaria progressiva (SPMS) con recidive, in uno studio di fase 1b sulla sicurezza dell’aumento del dosaggio. In questo studio in doppio cieco controllato con placebo, i soggetti hanno ricevuto un’infusione endovenosa di placebo (n=6) o 0,5 mg/kg (n=8), 1 mg/kg (n=8) o 2 mg/kg (n=9) di MOR103 ogni 2 settimane. Gli eventi avversi associati al trattamento che si sono manifestati con maggiore frequenza sono stati rinofaringite e cefalea. Benché si siano verificati eventi avversi nel 100% dei pazienti del gruppo del placebo e dei gruppi a 0,5-mg/kg e 1 mg/kg, e nell’89% dei pazienti del gruppo a 2 mg/kg, nessuno dei pazienti ha interrotto lo studio a causa degli eventi avversi. Non ci sono state reazioni associate all’infusione né decessi. Recidive della SM si sono verificate in 3 pazienti sotto placebo, 5 pazienti del gruppo a 0,5 mg/kg, 1 paziente del gruppo a 1 mg/kg e nessun paziente del gruppo a 2 mg/kg. Non sono stati sviluppati anticorpi anti-MOR103. Gli studi farmacocinetici hanno rivelato un’emivita terminale di 17 giorni e aumenti nella concentrazione sierica lineari rispetto al dosaggio.

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Parte 2 – Nuovi dati sulle DMT attualiPerdita di volume cerebrale e fingolimodUna misura corrente dell’efficacia del trattamento negli studi clinici sulla RRMS è la cosiddetta attività esente da malattia (nota anche come “non evidenza di attività di malattia” o NEDA), solitamente definita come assenza di recidive cliniche, progressione della disabilità e attività alla MRI. Tradizionalmente, la perdita di volume cerebrale non è inclusa in questa definizione e ciò si deve in gran parte alle difficoltà di misurazione con le attuali tecniche di imaging. Ciò nonostante, nella SM la perdita di volume cerebrale inizia in una fase precoce della malattia e riflette il progressivo deterioramento del SNC. Per valutare l’effetto del fingolimod sulla perdita di volume cerebrale, sono stati aggregati i risultati degli studi di fase 3 FREEDOMS[9] e FREEDOMS II[10], durati 2 anni[11]. In questa analisi, il 31% dei 783 soggetti che hanno ricevuto 0,5 mg di fingolimod, rispetto al 9,9% dei 773 soggetti che hanno ricevuto il placebo, risultavano esenti da malattia ai sensi della definizione tradizionale (odds ratio [OR] 4,7, P <0,0001). Quando la definizione è stata modificata per includere la perdita di volume cerebrale (almeno lo 0,4% annuo), il 19,7% dei pazienti trattati con fingolimod risultava esente da malattia, contro il 5,3% dei soggetti trattati con placebo (OR 4,41; P <0,0001) (la normale perdita di volume cerebrale nei soggetti sani è all’incirca dello 0,2% annuo). Questi dati suggeriscono che la perdita di volume cerebrale debba essere considerata come una misura sensibile e oggettiva dell’efficacia dei trattamenti, nell’ambito degli studi clinici e del monitoraggio dei pazienti.

Glatiramer acetatoJeffrey Cohen, MD, direttore del Mellen Center, Cleveland Clinic, Cleveland, Ohio (U.S.A.), ha presentato i risultati dello studio randomizzato in doppio cieco GATE, durato 9 mesi, che confrontava la formulazione generica del glatiramer acetato con la versione di marca (Copaxone®; Teva Neuroscience, North Wales, PA, U.S.A.)[12]. I soggetti avevano un’età compresa tra 18 e 55 anni, avevano avuto almeno 1 recidiva nel corso dell’anno precedente e presentavano da 1 a 15 lesioni captanti il gadolinio nelle immagini MRI. I 794 soggetti (di cui il 66% di sesso femminile) sono stati randomizzati in rapporto 4,3:4,3:1 a glatiramer acetato (n=353), Copaxone (n=357) o placebo (n=84). Il numero medio di lesioni captanti il gadolinio in T1, ovvero l’endpoint primario, era di 0,42 (glatiramer acetato generico) contro 0,39 (Copaxone); questi numeri rientravano nel margine di equivalenza predefinito ed erano entrambi significativamente più bassi del gruppo del placebo (P <0,001). I tassi annualizzati di recidive sono stati simili in tutti e 3 i bracci dello studio: 0,31 (glatiramer acetato generico), 0,41 (Copaxone) e 0,39 (placebo). Il punteggio EDSS è risultato stabile in tutti e 3 i gruppi. Gli eventi avversi sono stati simili, in termini di frequenza e gravità, con il glatiramer acetato generico e con il Copaxone. I sintomi quali dolore, prurito, arrossamento, gonfiore o formazione di noduli sono stati peggiori con glatiramer acetato generico e Copaxone rispetto al placebo. La raccolta dei dati di sicurezza ed efficacia a due anni è ancora in corso. Il glatiramer acetato generico non ha ancora ricevuto l’approvazione della FDA o dell’EMA.

Il glatiramer acetato per la RRMS era stato originariamente approvato a un dosaggio di 20 mg/mL giornalieri. Al fine di migliorare l’aderenza alla terapia, è stata sviluppata una formulazione a dosaggio più alto (40 mg/mL 3 volte alla settimana). Il nuovo preparato ha ricevuto l’approvazione della FDA nel gennaio del 2014. Nello studio GLACIER sono state valutate le percezioni dei pazienti per quanto riguarda la convenienza della formulazione a dosaggio maggiore e frequenza ridotta[13]. I pazienti (N=209, 82% donne, età media 51 anni) di età superiore a 18 anni, con punteggi RRMS ed EDSS da 0 a 5,5, trattati con glatiramer acetato per almeno 6 mesi, sono stati randomizzati in rapporto 1:1 alla prosecuzione con glatiramer acetato 20 mg/mL o al passaggio a glatiramer acetato 40 mg/mL per 4 mesi. Nella situazione al basale, l’87% dei soggetti si aspettava che il glatiramer acetato a 40 mg/mL fosse più comodo del glatiramer acetato a 20 mg/mL, l’8% non si aspettava alcuna differenza e il 3% riteneva che sarebbe stato meno comodo. I punteggi del questionario auto-somministrato sulla soddisfazione riguardo al farmaco (TSQM-9) sono cambiati di 1,75 dal basale nel gruppo del glatiramer acetato a 20 mg/mL e di 8,75 per il gruppo del glatiramer acetato a 40 mg/mL, confermando le aspettative dei pazienti secondo cui l’iniezione meno frequente di un dosaggio più alto sarebbe stata più comoda.

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Interferone pegilato (PEGinterferone)In un altro tentativo di migliorare l’aderenza, riducendo la frequenza della dose, è stata testata l’efficacia del PEGinterferone β-1a iniettabile due volte al mese[14]. Nello studio ADVANCE, 1512 pazienti con RRMS sono stati randomizzati in rapporto 1:1:1 a PEGinterferone 125 mg ogni 2 settimane, 125 mg ogni 4 settimane o placebo. Dopo il primo anno, i pazienti sotto placebo sono passati a una delle due dosi di PEGinterferone. Un numero significativamente più basso di pazienti trattati con PEGinterferone ogni 2 settimane ha subito recidive con progressione sostenuta della disabilità (n=6) rispetto a quelli del placebo (n=24) durante il primo anno: una riduzione del 75% (P <0,001). Inoltre, la progressione sostenuta della disabilità si è verificata in un numero significativamente più basso di pazienti (n=10) trattati con PEGinterferone ogni due settimane fin dall’inizio dello studio, rispetto a quelli passati al PEGinterferone dal placebo dopo 1 anno (n=30; P =0,001). La FDA ha approvato il PEGinterferone nell’agosto del 2014.

Parere degli esperti – I nuovi agenti che attualmente sono oggetto di studi clinici di fase avanzata per la SM offriranno ai neurologi un aumento delle modalità e opportunità di trattamento, ma implicheranno anche tutta una serie di nuovi problemi. Gli anticorpi monoclonali come alemtuzumab e daclizumab esemplificano l’approccio moderno alla ricerca clinica sulla SM, poiché entrambi adottano un nuovo meccanismo d’azione per il trattamento della malattia — mirando, rispettivamente, agli antigeni CD52 e CD25 — ed entrambi hanno ottenuto risultati positivi negli studi clinici disegnati per fornire un confronto diretto con gli agenti iniettabili approvati. D’altra parte, ognuno di questi agenti comporta una sua serie di effetti collaterali e requisiti di monitoraggio, e siamo in attesa delle decisioni delle autorità competenti in merito alle loro modalità di implementazione pratica. Ocrelizumab, l’anticorpo monoclonale diretto contro l’antigene CD20 dei linfociti B, è il nuovo agente che probabilmente completerà a breve gli studi di fase 3; i dati risultanti sono i più attesi, visto il successo ottenuto nello studio clinico di fase 2. Le informazioni aggiornate sul fingolimod per quanto riguarda l’atrofia cerebrale forniscono un’indicazione del modo in cui questo agente può modulare il decorso della SM, al di là dell’effetto sui tassi di recidiva e sulle nuove lesioni nella MRI. Infine, le nuove formulazioni di interferone e glatiramer acetato di recente approvazione, a dosaggio meno frequente, offrono ai medici l’opportunità di continuare ad utilizzare farmaci dotati di meccanismi d’azione familiari e profili di sicurezza di lunga data, ma con schemi posologici migliorati.

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Nuove terapie per la SM, parte 2 – Apporti dall’International MS Meeting del 2014

Parte 3 – Biomarcatori, stratificazione del rischio e personalizzazione dei risultatiOltre alla risonanza magnetica, non esistono biomarcatori che i clinici possano utilizzare per prevedere la risposta di un paziente ai trattamenti disponibili per la SM. Biomarcatori che valutino la risposta alla terapia in corso sono attualmente oggetto di indagini attive. La ricerca eseguita nel laboratorio del Dr. Suhayl Dhib-Jalbut, alla Rutgers Robert Wood Johnson Medical School di New Brunswick, nel New Jersey, suggerisce che due aplotipi dell’antigene leucocitario umano (HLA) di classe 2 possano essere biomarcatori utili a prevedere la risposta clinica al glatiramer acetato[15]. Quando i soggetti hanno entrambi gli aplotipi HLA (DR15+DQ6+ e DR17-DQ2-), la loro probabilità di risposta al glatiramer acetato è del 71%. Tuttavia, la combinazione opposta di HLA DR15-DQ6- e DR17+DQ2+ fa prevedere un tasso di risposta di solo il 17%. Altri dati suggeriscono che alla risposta clinica sia correlato un aumento di IL-10 o IL-4 e una riduzione di IL-18, caspasi 1 o fattore di necrosi tumorale, a 3-6 mesi dall’inizio del trattamento con glatiramer acetato.

Sono stati identificati anche possibili biomarcatori per la risposta all’interferone[15]. Ad esempio, i pazienti trattati per 12 mesi con interferone β-1b che hanno avuto una recidiva, a 6 mesi avevano livelli di IL-17A significativamente più alti (P =0,036). Per contro, i pazienti esenti da recidive presentavano a 3 mesi livelli più alti di fattore neurotrofico di derivazione cerebrale (P = 0,028). Una variazione rispetto al basale dei livelli di IL-4 è inversamente correlata con la disabilità, mentre una variazione rispetto al basale del rapporto IL-10/interferone γ è inversamente correlata con le recidive. Nei pazienti esenti da recidive, inoltre, il trattamento ha causato una diminuzione delle cellule T CXCR3+CD8+. Sono attualmente oggetto di studio diversi biomarcatori che possano prevedere la risposta alla terapia con natalizumab, ivi compresa l’espressione molto tardiva dell’antigene 4 delle cellule T, la molecola-1 solubile vascolare di adesione cellulare, le catene pesanti e leggere di neurofilamenti del CSF, la fetuina-A del CSF, le cellule CD5+ B del CSF e le cellule ematiche CD34+.

In uno studio sui biomarcatori nel liquor o liquido cerebrospinale (CSF), si è osservata una correlazione tra livelli di catene leggere di neurofilamenti e osteopontina e referti MRI in 41 pazienti consecutivi con sindrome clinicamente isolata[16]. Le misurazioni MRI del volume cerebrale sono state classificate come “basse” o “alte” in base al volume di materia grigia, al volume di materia bianca e al volume ventricolare. È stato inoltre stabilito un indice del corpo calloso. Livelli più elevati di neurofilamenti nel CSF sono stati osservati nei pazienti con materia grigia bassa rispetto ai pazienti con volume alto di materia grigia (P =0,03) e in quelli con basso volume periferico di materia grigia rispetto a quelli con un alto volume periferico di materia grigia (P =0,01). In un’analisi multivariata con covariate di età, genere, numero di lesioni in T2 e captanti il gadolinio, e numero di bande oligoclonali nel CSF, i livelli di neurofilamenti nel CSF hanno predetto in modo indipendente il volume di materia grigia (P=0,01) e il volume periferico di materia grigia (P=0,008). Solo i livelli di osteopontina hanno predetto l’indice del corpo calloso (P=0,05).

I microRNA circolanti (miRNA) sono molecole di RNA non codificante, a singolo filamento, che regolano l’espressione genica e la sintesi proteica e che possono essere misurate nel plasma e nel siero[17]. Il laboratorio del Dott. Howard Weiner del Brigham and Women’s Hospital, Harvard Medical School, di Boston, Massachusetts (U.S.A.), ha identificato le miRNA circolanti che potrebbero differenziare la RRMS dalla SM progressiva. Inoltre, i pazienti con SM benigna avevano miRNA diversi rispetto ai pazienti con valutazione EDSS della SM o rispetto ai soggetti di controllo sani. I miRNA, inoltre, sono risultati diversi nello stesso paziente a seconda che quel soggetto presentasse o meno lesioni MRI captanti il gadolinio.

Una delle conseguenze cliniche della somministrazione di una terapia efficace, come il natalizumab, è che si può osservare un effetto rebound dell’attività di malattia non appena si interrompe il trattamento[18] (è infatti possibile che i pazienti debbano interrompere la terapia con natalizumab a causa del rischio di PML). Dopo la sospensione, è stata osservata un’attività di malattia altamente infiammatoria e non è chiaro se ciò rappresenti un aggravamento della SM sottostante oppure si tratti di una reazione infiammatoria all’interruzione del natalizumab. Si sta attualmente studiando il protocollo ottimale per la transizione dal natalizumab a un’altra terapia.

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Secondo molti esperti, la misura migliore dell’efficacia della DMT è il fatto che il paziente sia esente da attività di malattia oppure, per usare la terminologia emergente, presenti NEDA (ovvero, non evidenza di attività di malattia). Questo endpoint composito è stato discusso in diverse sessioni nell’ambito del congresso ACTRIMS-ECTRIMS del 2014[11,19]. Gli studi clinici dei nuovi agenti modificanti la malattia solitamente si concentrano sul tasso annualizzato di recidive, sulla progressione della disabilità e sulle lesioni, nuove o allargate, in T2 o in T1 captanti il gadolinio risultanti dalla MRI. Questi criteri sono stati applicati agli studi clinici su alemtuzumab, cladribina, dimetilfumarato, fingolimod e sulla combinazione di interferone β-1a e glatiramer acetato. In questi studi, l’assenza di malattia rilevabile è un obiettivo raggiungibile in una percentuale di pazienti che raggiunge il 50%. Per incrementare la percentuale di pazienti che raggiungono lo stato esente da malattia, sono necessari farmaci con attività antinfiammatoria e proprietà neuroprotettive maggiori. La discussione prosegue in merito all’opportunità di ampliare la definizione di NEDA per includere altri parametri, quali la riduzione dell’atrofia cerebrale.

Parere degli esperti – Nonostante la disponibilità di numerosi agenti approvati per la SM — i quali offrono una varietà di meccanismi d’azione — una reale capacità di personalizzare le decisioni di trattamento per i singoli pazienti è ancora al di fuori della nostra portata. I dati emergenti sui biomarcatori possono permetterci di migliorare le capacità di previsione per i singoli pazienti e, al tempo stesso, di scegliere e monitorare le DMT in modo più informato dal punto di vista biologico. Il lavoro del Dott. Dhib-Jalbut è un paradigma per l’identificazione di aplotipi e profili immuni che prevedono la risposta al glatiramer acetato e all’interferone. Benché non sia ancora commercialmente disponibile, questo lavoro dà un senso del profilo dei biomarcatori che potremmo utilizzare nel prossimo futuro al momento di diagnosticare la SM o di scegliere un trattamento per la malattia. Analogamente, per quanto riguarda il natalizumab è stata dedicata una grande attenzione ai biomarcatori di rischio — nello specifico, all’anticorpo anti-virus JC e al rischio di PML — ma i biomarcatori per l’identificazione dei probabili responder potrebbero essere di grande aiuto per ottimizzare il rapporto rischio/beneficio per singoli pazienti. I biomarcatori verrebbero integrati non solo nella scelta della terapia per la SM, ma anche a livello diagnostico e prognostico. Il lavoro del Dott. Weiner ad Harvard illustra l’allettante possibilità di identificare forme progressive di SM attraverso profili di microRNA circolanti. Ciò migliorerebbe sostanzialmente il nostro approccio alla malattia progressiva, che attualmente si basa soprattutto sulla sintomatologia clinica. Infine, sono altresì necessari biomarcatori dell’attività di malattia e della gravità della SM. Nonostante gli esami del liquor spinale per il reperto delle bande oligoclonali e il tasso e l’indice della sintesi delle IgG abbiano fatto parte per molto tempo dell’armamentario diagnostico, i biomarcatori emergenti quali la catena leggera di neurofilamenti e l’osteopontina possono fornire le informazioni sulla gravità della malattia che attualmente ci mancano.

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Parte 4 – Scienza emergente della SMLa SM benignaSM benigna è un termine che viene applicato ai pazienti con SM di lunga durata, i quali hanno avuto poche recidive e una progressione limitata della malattia. I ricercatori hanno confrontato 34 pazienti con SM benigna (EDSS ≤3, età media 46,9 anni, durata media della malattia 21,9 anni) a 35 pazienti con SM non benigna (età media 49,1 anni, durata media della malattia 20,4 anni) e 44 pazienti con SPMS (età media 54,8 anni, durata della malattia 24,3 anni)[20]. Il carico di lesioni in T2 della sostanza bianca al basale non era diverso tra i 2 gruppi (P =0,06). Lo spessore medio della corteccia cerebrale al basale era significativamente maggiore nel gruppo con SM benigna (2,365 mm) rispetto al gruppo della SM non benigna (2,298 mm) e al gruppo della SPMS (2,262 mm; P <0,01). A 3 anni, lo spessore corticale era maggiore nel gruppo della SM benigna (2,358 mm) rispetto al gruppo della SM non benigna (2,298 mm) e al gruppo della SPMS (2,260 mm; P <0,05). I volumi normalizzati di materia grigia profonda al basale erano significativamente maggiori nella SM benigna (3,4) rispetto al gruppo della SM non benigna (3,2) e al gruppo della SPMS (3,2; P <0,01). A 2 anni, i volumi normalizzati di materia grigia profonda erano significativamente maggiori nel gruppo della SM benigna (3,35) rispetto al gruppo della SM non benigna (3,17) e al gruppo della SPMS (3,17; P <0,05). A 2 anni, sia il gruppo della SM non benigna che quello della SPMS hanno sviluppato un’atrofia significativamente più profonda della materia grigia (P <0,01) e un assottigliamento corticale regionale in entrambi i lobi temporali, cosa che invece non è stata osservata nel gruppo della SM benigna.

Riparazione degli oligodendrocitiPoiché la SM danneggia o distrugge la mielina del SNC, la comprensione dei possibili meccanismi di riparazione mielinica ad opera degli oligodendrociti è di importanza cruciale per la prevenzione del danno assonale irreversibile. Nel midollo spinale dei topi, il trattamento con fattore di crescita trasformante (TGF)β1 ha promosso la proliferazione degli oligodendrociti, mentre l’attivina B ha stimolato la maturazione[21]. Il co-trattamento con TGFβ1 e attivina B ha incrementato il numero di oligodendrociti maturi tramite segnalazione via Smad2 e Smad3. A supporto di questa osservazione, i topi Smad3-/- hanno presentato un numero ridotto di cellule mature e immature, e una mielinizzazione ritardata.

Le cellule progenitrici degli oligodendrociti sono distribuite in tutto il sistema nervoso centrale e sono le principali responsabili della rimielinizzazione[22]. La citometria a flusso eseguita su cervelli adulti murini con fattore di crescita derivato dalle piastrine-aR, suggerisce che le cellule progenitrici degli oligodendrociti, se attivate, ripristinino un trascrittoma simile a quello neonatale. Due geni del sistema immunitario innato, IL-1β e CCL2, partecipano alla risposta di attivazione. Le cellule progenitrici degli oligodendrociti che esprimono IL-1β o CCL2 sono più mobili, il che permette loro di viaggiare alla regione demielinizzata danneggiata. Dopo la demielinizzazione, le semaforine di classe III e i fattori guida netrina 1 sono sovraespressi e influenzano la migrazione e il reclutamento delle cellule progenitrici di oligodendrociti adulti. La semaforina 3F è un attraente, mentre la semaforina 3A e la netrina 1 manifestano effetti repulsivi.

FaticaLa disfunzione neuronale e l’infiammazione possono contribuire alla fatica, un sintomo debilitante comune in molti pazienti con SM[23]. La demielinizzazione fa aumentare il fabbisogno di energia, il quale può esser compensato mediante proliferazione mitocondriale a breve termine. Le cellule della memoria effettrice passano dalla fosforilazione ossidativa alla glicolisi aerobica (con il fenomeno noto come effetto di Warburg), il che può facilitare le funzioni effettrici nelle cellule proliferanti. Nell’encefalomielite autoimmune sperimentale, sono state correlate alla gravità della malattia alterazioni di 6 vie metaboliche principali e 44 metaboliti. La principale fonte di energia per i neuroni è il lattato, che viene fornito dal trasportatore monocarbossilato (MCT)-1 altamente espresso negli oligodendrociti. Da esperimenti di laboratorio sui topi è risultato che la delezione o repressione dell’MCT-1 fa sì che il ridotto trasferimento del lattato causi degenerazione neuronale.

GeneticaL’International MS Genetics Consortium ha riferito di uno studio di replica di un precedente studio sull’intero genoma che includeva più di 80.000 singoli polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) in 19.217 pazienti e 17.842 soggetti di controllo[24]. La tecnologia dello studio includeva l’approccio DEPICT (Data-driven Expression-Prioritized Integration for Complex Traits) per l’analisi delle vie di segnale, dati di espressione dell’RNA di cellule immuni provenienti dall’Immune Variation Project e mappe epigenomiche di riferimento fornite dai progetti Encyclopedia of DNA Elements ed Epigenome Roadmap. Sono state identificate più di 45 nuove varianti di suscettibilità, con 10 complessi maggiori di istocompatibilità (MHC) e più di 150 SNP nonMHC. La regione EVI5 ha avuto fino a 4 varianti di suscettibilità di nuova identificazione. I dati provenienti da 405 soggetti con cellule T CD4 e monociti isolati hanno rivelato che il 29% delle varianti di SM con effetti sull’RNA sono specifiche dei monociti e un altro 29% sono specifiche delle cellule T. Sono implicati anche processi NonTh1/Th17/Treg e cellule mieloidi, NK e CD8. Possono essere alterate anche le funzioni delle cellule B e dendritiche.

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Microbioma intestinaleAnomalie nel microbioma intestinale umano sono state associate all’autismo, al morbo di Crohn, all’obesità e al diabete di tipo 1, e possono avere un ruolo nello sviluppo e/o nel decorso della SM[25]. Due centri statunitensi di ricerca traslazionale sulla SM (Mount Sinai di New York, New York, e University of California San Francisco [UCSF]) hanno creato il cosiddetto “MS Microbiome Consortium” (MSMC), una collaborazione multidisciplinare sanzionata da un organismo di controllo indipendente, istituita con l’obiettivo di esplorare il ruolo del microbioma nella SM. Ad oggi, l’MSMC ha raccolto e analizzato centinaia di campioni. I risultati iniziali dimostrano significative differenze a livello di genere nel microbioma tra i pazienti trattati o meno con glatiramer acetato. Sono state altresì identificate differenze geografiche tra la costa orientale (Mount Sinai) e la costa occidentale (UCSF) degli Stati Uniti, il che riflette la potenziale influenza dell’ambiente e del regime alimentare nella composizione del microbioma.

In uno studio pediatrico del microbioma intestinale, campioni fecali di 20 bambini con RRMS (10 femmine, 10 maschi, durata media della malattia 11 mesi, punteggio EDSS mediano 2) sono stati confrontati con 16 soggetti di controllo (9 femmine, 7 maschi)[26]. I batteri sono stati identificati per mezzo del microarray G3 PhyloChip™. L’esame è stato eseguito sulle prime feci del giorno dei bambini, le quali venivano spedite sotto ghiaccio e conservate a -80 °C. Rispetto ai soggetti di controllo, i bambini con SM evidenziavano un arricchimento di proteobatteri (specie Shigella ed Escherichia) e di firmicuti (specie Clostridium) e una deplezione di firmicuti (specie Eubacterium rectale) e attinobatteri (specie Corynebacterium) (P <0,01). Fattori diversi dalla SM possono avere un effetto sulla flora batterica intestinale, ivi compresa l’esposizione agli antibiotici (2 casi, 1 soggetto di controllo), ai corticosteroidi (8 casi, 2 soggetti di controllo) e ai farmaci immunomodulatori o immunosoppressori (10 casi, 2 soggetti di controllo).

I ricercatori hanno confrontato il microbioma intestinale di 44 soggetti di controllo sani del progetto PhenoGenetic del Brigham and Women’s Hospital (Boston, MA) con 53 pazienti del Partners MS Center (Brookline, MA; non trattati [n=22], trattati con glatiramer acetato [n=13], o trattamento con interferone [n=18])[27]. Utilizzando il sistema di sequenziamento “high-throughput” (ad alto rendimento), è stato determinato che i pazienti con SM evidenziavano un incremento di organismi monocellulari Archaea methanobrevibacteriaceae rispetto ai soggetti di controllo (P <0,00001). Inoltre, i livelli del genere Butyricimonas erano più bassi nei pazienti non trattati rispetto ai controlli. Il Butyricimonas produce butirrato, che ha effetti antinfiammatori. I livelli della famiglia Lachnospiraceae, che produce anch’essa butirrato, sono risultati inferiori nei pazienti non trattati rispetto a quelli con SM trattati. APC (Antigen-Presenting Cells o cellule che presentano l’antigene) provenienti da pazienti con SM e marcatori specifici delle cellule T, come l’interferone γ, una citochina proinfiammatoria associata alla SM, sono state collegate alla presenza o all’assenza di Archaea.

Parere degli esperti – La scienza emergente attorno alla SM continua a far luce sulle implicazioni genetiche di questa malattia e sui meccanismi con cui il processo patologico produce sintomi eterogenei. È risaputo che una percentuale di pazienti con SM può sviluppare una forma “benigna” della malattia, ma prevedere in modo prospettico quali sono i soggetti in cui è probabile che ciò accada rappresenta ancora una sfida clinica. La moderna metrica basata sulla MRI, compreso il volume della corteccia e della materia grigia profonda, può fornire una maggiore conoscenza della questione e può insegnarci qualcosa sui meccanismi intrinseci di accumulo della disabilità ― o di assenza della stessa ― in singoli pazienti. A livello cellulare, una maggiore comprensione del ciclo di vita degli oligodendrociti e dei meccanismi di riparazione può fornire target terapeutici per la riemielinizzazione, attualmente al centro di ricerche cliniche e precliniche intensive. Infine, il microbioma umano viene sempre più interpretato come potente modulatore della funzione autoimmune e si sta iniziando a chiarire il suo potenziale impatto sulla malattia autoimmune in generale e sulla SM in particolare. Il microbioma di un individuo può avere implicazioni diagnostiche, prognostiche e addirittura terapeutiche, e numerosi gruppi di lavoro, compreso l’MSMC, stanno studiando quest’area emergente nella ricerca sulla SM.

ConclusioniSe i nuovi farmaci “in cantiere” — quali alemtuzumab, daclizumab, ocrelizumab, RPC1063 e, in uno stadio precoce di sviluppo, MOR103 — verranno approvati, amplieranno l’armamentario di trattamento per la SM, fornendo diversi meccanismi d’azione e, si spera, ulteriori benefici nel controllo dell’attività di malattia della sclerosi multipla. La disponibilità di preparati ad azione prolungata, come il PEGinterferone e il glatiramer acetato, somministrati a dosi di 40 mg 3 volte alla settimana, possono migliorare l’aderenza dei pazienti e ottimizzare l’utilità di queste modalità di trattamento ormai consolidate.

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Nuove terapie per la SM, parte 2 – Apporti dall’International MS Meeting del 2014

Un miglioramento della tecnologia di imaging a risonanza magnetica porterà probabilmente all’inclusione della perdita di volume cerebrale come misura di routine dell’attività di malattia. Come evidenziato dagli studi FREEDOMS e FREEDOMS II, l’aggiunta della perdita di volume cerebrale come criterio per l’indice NEDA (non evidenza di attività di malattia) alzerebbe l’asticella per quanto riguarda l’efficacia del trattamento, in quando la disponibilità di misure più accurate degli esiti si tradurrebbero in un numero inferiore di pazienti classificati come “privi di malattia”. I progressi nello sviluppo dei biomarcatori, aggiunti ai numerosi fattori già considerati per l’individualizzazione della terapia, potrebbero permettere l’ingresso in una nuova era di maggiore efficienza nella selezione dei farmaci e di miglioramento degli esiti per i pazienti.

Nel prossimo futuro, la ricerca di laboratorio sui biomarcatori potrà essere applicata alla gestione clinica dei pazienti con SM, mentre la ricerca di base sui meccanismi di sviluppo degli oligodendrociti e sulla riparazione della mielina potrà portare a nuove vie terapeutiche. La creazione di una mappa di riferimento genomica con più di 150 varianti di suscettibilità apre la strada a una migliore comprensione del come e perché si sviluppa la SM in particolari individui. Benché i microorganismi intestinali di un individuo possano essere influenzati dall’uso di antibiotici, dal regime alimentare e da altri fattori, studi iniziali suggeriscono che il microbioma intestinale possa avere un ruolo importante nello sviluppo e nella progressione della SM. La ricerca su tutti questi fronti presentata in occasione del congresso ACTRIMS-ECTRIMS continua ad ampliare le nostre conoscenze e le possibilità terapeutiche.

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