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NUOVE MAPPE PER L’ASIA

NUOVE MAPPE PER L’ASIA 2 · Università di Venezia Mark Tessler Università del Michigan. NUOVE MAPPE PER L’ASIA Ut.lub al–‘ilm wa-law f¯ıal–S.¯ın «Cercate la conoscenza,

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NUOVE MAPPE PER L’ASIA

Direttore

Michelguglielmo TUniversità di Torino

Comitato scientifico

Elisabetta BSapienza Università di Roma

Ritu DUniversità di Mumbai

Samuel GUniversità di Ginevra

James MUniversità di Londra

Abel PUniversità di Tallinn

Paolo PUniversità di Sassari

Parimala RUniversità di Delhi

Riccardo RUniversità Cattolica del Sacro Cuore

Guido SUniversità di Venezia

Mark TUniversità del Michigan

NUOVE MAPPE PER L’ASIA

Ut.lub al–‘ilm wa-law fıal–S. ın«Cercate la conoscenza, foss’anche in Cina»

La collana Nuove mappe per l’Asia pubblica opere di ricerca originalefinalizzate allo studio dell’Asia, in particolare moderna e contempo-ranea, attraverso l’utilizzo di approcci disciplinari diversi. Mentrela collana privilegia la pubblicazione di analisi di tipo storico, essaintende dedicare la massima attenzione anche a opere che utilizzinoapprocci disciplinari quali l’economico, il politologico, il sociologi-co, l’antropologico e altri ancora, purché le risultanti analisi sianoinnovative, ben fondate e tali da gettare nuova luce sulla realtà asiatica.Analogamente, per quanto la collana privilegi lo studio del periodomoderno e contemporaneo, è aperta alla pubblicazione di operefocalizzate su periodi storici precedenti, purché in grado di favorirela comprensione della realtà contemporanea.

Ogni testo pubblicato nella collana viene sottoposto al vagliopreliminare di un comitato scientifico e alla valutazione di uno o piùesperti anonimi da esso scelti. La collana intende pubblicare testinon solo in lingua italiana, ma nelle principali lingue occidentali, inparticolare inglese e francese.

Il logo è una riproduzione di una moneta Kusana.

Avvertenza per il lettore: il testo è riportato come nel manoscritto, minime sonole correzioni. La note a piè di pagina dell’autore appaiono nel testo fra parentesiquadra, subito dopo la parola cui si riferiscono; l’indice–sommario è stato eliminatoe i titoli sono stati collocati prima degli argomenti cui si riferiscono.

Paolo Puddinu

Nippon e ritorno

Il diario inedito del viaggio -di Gio’ Battista Cristina, marinaio sassarese

Aracne editrice

[email protected]

Copyright © MMXVIGioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale

[email protected]

via Sotto le mura,

Canterano (RM)()

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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: novembre

a Laura che, aiutandomi a trascrivere il manoscritto, mi ha fatto pensareche ancora una volta stavamo facendo insieme qualcosa di bello

Indice

Ringraziamenti

Introduzione

Memorie di un viaggio attorno al mondoper Gio’ Battista Cristina

Prefazione

Capitolo IDa Marsiglia a Messina a Beyrouth

Capitolo IIDa Beyrouth a Suez

Capitolo IIINel Mar Rosso. Assab e Aden

Capitolo IVVerso Singapore

Capitolo VIncontro col Tifone. Yokohama

Capitolo VIMorte a bordo. Il colosso di Budda

Capitolo VIIKobè, Osaka, Hieroshima e Nagasaki

Capitolo VIIIUn Natale a Shang-Hae

Indice

Capitolo IXDa Amoy a Hong-kong

Capitolo XHong-Kong e Manila

Capitolo XISaigon e Bang-Kok

Capitolo XIILo Statuto e la Babilonia Moderna

Capitolo XIIIYokohama e la visita del Micado

Capitolo XIVIl passaggio dell’Equatore

Capitolo XVDal Mar del Corallo a Sidney

Capitolo XVIDa Aucland a Montevideo

Capitolo XVIIDa Gibilterra a Napoli (e a casa)

Conclusione

Bibliografia

Ringraziamenti

Cercare di ringraziare tutti coloro che mi sono stati vicini nel periododella preparazione e della stesura di questo volumetto non è cosafacile.

Fra i tanti ringrazio in particolare Tonino Mundula per aver con-servato con cura il manoscritto e per avermi permesso di studiarlo eannotarlo; Nicola Sanna, sindaco di Sassari, per un utile contributoeconomico; Alberto Cau per il risolutivo aiuto nella confezione deicaratteri e per i solleciti consigli sull’esatto uso di alcuni tasti del p.c.;Fabiana Dimpflmeier per le prime ricerche e contatti a Roma; Car-mine di Gasparro per la paziente disamina dei documenti presentinell’Archivio Storico della Marina militare di Roma; Anna SegretiTilocca e Silvia De Franceschi per le ricerche nell’Archivio di Statodi Sassari e in rete; Nicola Manca per le ricche e fertili discussioni;Guido Oppizzi per la revisione dei termini marinari; Giancarlo Zichiper le ricerche nell’Archivio Storico della Diocesi di Sassari; AntonioAttili per il supporto nella ricerca svolta nell’Archivio del Comune diOzieri; Nicola Mocci per le verifiche all’Università di Kobe; ToshikiYokoyama per i puntuali riscontri da Tokyo; Antonio Borrelli per ilsupporto dalla Biblioteca Universitaria di Napoli; Manlio Brigaglia,mio paziente maestro, da sempre revisore eletto dei miei scritti, cuinon riesco a fare una dedica più adatta; ed infine mia moglie Lauraper la generosità e lo spirito di sopportazione.

Gli errori e le omissioni sono tutti da imputare unicamente a me.

Introduzione

La pirocorvetta ad elica Vettor Pisani è stata la prima nave da guerraitaliana ad attraversare il canale di Suez nella sfarzosa cerimoniad’inaugurazione, il novembre . Varata alla vigilia dell’aperturasfilò davanti all’imperatrice Eugenia, mentre i musicisti della bandain alta uniforme suonavano la Marcia egizia, appositamente compostaper l’occasione da Johann Strauss.

Subito dopo quella parentesi festosa, al rientro in Italia il coman-dante ricevette l’ordine di armare la nave e prepararsi a raggiungere ilontani mari dell’Asia Orientale per partecipare al “grande gioco” dispartizione del mondo secondo la politica imperialista occidentale.Dalla metà dell’Ottocento, infatti, le grandi potenze, approfittandodel declino dell’impero cinese, avevano strappato concessioni territo-riali in Cina e colonizzato gran parte dell’Asia. Dal canto suo l’Italia,raggiunta l’unità nazionale, aveva cominciato a guardarsi intorno perentrare anch’essa da protagonista nel teatro internazionale. Una delleprime mosse fu l’armamento di decine di navi che furono apposita-mente inviate per i mari del mondo: ufficialmente per “promuovere”l’immagine dell’Italia appena nata e allacciare nuove relazioni conpaesi lontani, ma in realtà per fare entrare con atti anche visibili ilnostro paese nel grande circuito della politica coloniale.

Fra le navi inviate in Estremo Oriente alcune hanno dato contri-buti importanti allo sviluppo delle nostre relazioni internazionali: lacorvetta Magenta stabilì i primi rapporti con la Cina e col Giappone(-); la corvetta Principessa Clotilde stipulò i primi trattati con ilSiam e la Birmania (-); la pirocorvetta Vettor Pisani fece unalunga circumnavigazione della terra, di cui si tratterà ampiamentenelle pagine che seguono (-); la fregata Garibaldi circumnavigòil mondo con. il Principe Tommaso di Savoia, primo occidentale asedere alla mensa dell’imperatore del Giappone (-); la piro-corvetta Governolo e l’avviso Vedetta esplorarono insieme il Borneoprima di dirigersi la prima in Giappone, la seconda in Malesia (-); l’incrociatore Cristoforo Colombo toccò per primo le isole Vergininelle Antille danesi (-).

Introduzione

La presenza e lo stazionamento delle navi italiane nei caldi mari enei porti dell’Asia orientale non solo contribuì alla nascita di soliderelazioni politiche, diplomatiche e commerciali con paesi fino adallora sconosciuti, ma fu anche alla base di una ricca messe di esplo-razioni scientifiche e idrografiche che lanciarono le capacità dellatecnologia e della cantieristica della marineria italiana nel mondo efecero conoscere il tricolore in terre che non l’avevano mai veduto.Ma non solo: le navi Governolo e Vedetta furono inviate con precisiordini di cercare nel continente asiatico, e precisamente in Borneo,un luogo in cui realizzare una colonia penale. Ciò provocò l’imme-diata opposizione delle grandi potenze e l’Italia dovette rinunciareal progetto. La colonia penale fu realizzata alcuni anni più tardi manell’isola dell’Asinara, in Sardegna.

La prima nave ad aver avuto precisi ordini di ricercare in EstremoOriente – fuori dell’asse preferenziale dei nostri interessi fino ad allo-ra incentrati principalmente nei mari dell’America meridionale – unalocalità in cui creare una colonia penale era stata la Principessa Clotilde,nel . La missione prevedeva l’esplorazione del Borneo ma anchedel vasto arcipelago che si estende ad oriente dell’isola fino alle Fi-lippine: doveva condurre i relativi rilevamenti topografici, studiarel’ambiente, individuare le risorse e prospettare la loro possibilità disfruttamento. È evidente che nella ricerca di un’isola o di un sito utileper lo stabilimento di una colonia penale il giovane governo italiano –anche se non sempre con volontà unanime – mirava principalmentea procurarsi un qualche possedimento coloniale in Estremo Orienteper non rimanere spettatore là dove le altre potenze si spartivanointeri “pezzi” di mondo, assicurandosi terre ricche e fertili, di grandeimportanza commerciale e strategico-militare.

All’epoca il grande programmatore della politica coloniale italianafu Cristoforo Negri, direttore generale del Ministero degli Affari esteri.Su sua iniziativa furono fatti vari tentativi per impiantare nuove coloniesia in Africa che in Asia. Alla sua opera preveggente si affiancaronolo zelo, gli stimoli e i consigli di alcuni missionari e uomini di fedecattolica. Uno dei primi progetti per l’acquisto di una colonia italianaè da collegarsi, infatti, a padre Giovanni Giacinto Stella (-),che negli anni Sessanta dell’Ottocento impiantò una colonia agricolanello Sciotel, un ampio territorio al confine tra l’Abissinia e l’Egitto, miglia circa a nord di Massaua. Alla morte del padre, però, il governoitaliano non seppe agire con prontezza e tempestività e il progetto nonfu realizzato. Ad un altro missionario, il padre Giuseppe Sapeto (-

Introduzione

), si deve invece la creazione della colonia dell’Eritrea, divenutapossedimento dello Stato italiano attraverso la compagnia Rubattino,che per parte sua tempo prima aveva incaricato proprio il padre Sapetodi adoperarsi presso le autorità locali per ottenere, a nome e per contodella compagnia, la baia di Assab.

Con l’apertura del canale di Suez l’interesse dell’Italia, come delresto di tutti i paesi europei, si focalizzò ulteriormente sulle aree anco-ra “libere” dell’Estremo Oriente. Era lì che si concentrava il maggiorpatrimonio di ricchezze non ancora sfruttate ed esistevano le mag-giori possibilità di successo. L’Italia doveva partecipare al banchettocui già sedevano le maggiori potenze. Bisognava piantare il tricoloresu almeno una delle poche isole deserte ancora non attribuite, o suqualche lembo di territorio disabitato o senza governo e padrone. Lanostra bandiera, una volta issata su una qualunque frazione di terra,per quanto piccola, avrebbe assicurato al nostro Paese, secondo laprassi consolidata, diritti di precedenza anche sui territori limitrofiche, quando l’opinione pubblica fosse stata concorde o le circostanzemature, si sarebbero aperti ad una più ampia colonizzazione.

La Vettor Pisani partì da Napoli per la sua prima missione il maggio . La comandava il capitano di Fregata Giuseppe Loveradi Maria. Il piano di viaggio contemplava la circumnavigazione delglobo e un lungo stazionamento nei mari del Giappone per tute-lare gli interessi dei nostri connazionali bachicoltori (semai), che sirecavano annualmente nel Paese del Sol Levante per la campagnad’acquisto dei semi di baco da seta. Erano quelli gli anni in cui ilnostro interesse economico a più strette relazioni con quel Paese eraforte: l’epidemia della micidiale pebrina aveva colpito la bachicolturaitaliana e costretto molti nostri semai a spingersi in varie parti delmondo alla ricerca di aree ancora non raggiunte dalla malattia. Siiniziò con i paesi più vicini; Persia, Siria, Libano, Egitto, e constatatoche anche in questi l’epidemia si era diffusa, dopo varie ricerchein terre ancora più lontane come l’India e la Cina, si convenne cheper l’approvvigionamento di semi sani e di ottima qualità bisognavaguardare unicamente al lontanissimo Giappone. La pebrina, manife-statasi per la prima volta negli allevamenti francesi intorno agli anniQuaranta del secolo, si era diffusa dalla Francia in tutto il bacino delMediterraneo, raggiungendo i nostri allevamenti intorno agli anni-. Si trattò di una epidemia terribile: pochissimi allevamenti riu-scirono a non esserne completamente infestati e le industrie serichedell’Italia del Nord, dove si concentrava la maggioranza dei nostri

Introduzione

produttori di seta, corsero il rischio della paralisi totale. E con esserischiarono di andare in completa rovina anche tante altre attività,all’apparenza lontane dalle industrie seriche: intorno alla lavorazionedella seta ruotava in realtà un intero mondo agricolo che producevaper essa e da questa traeva sostentamento. Si pensi alle innumerevolifamiglie contadine che vivevano dall’allevamento del baco e dallacoltura dei gelsi, ad esso direttamente connessa; ai grandi proprietariterrieri che avevano investito nella terra e nelle conoscenze tecnichee tecnologiche del settore; ai capitalisti che avevano puntato sulleinfrastrutture; agli stabilimenti per la trattura e la filatura della setagrezza, nei quali operavano migliaia e migliaia di lavoratori. Unagrande catena, la cui forza risiedeva nella saldatura dei singoli anelli:ma se uno di questi malauguratamente cedeva era l’intera catena adandare distrutta.

Poiché si presumeva che il baco da seta giapponese fosse esentedella pebrina ancora prima dell’apertura ufficiale del Giappone al-l’Occidente (), gli acquisti di semi baco vi crebbero di anno inanno in progressione geometrica. Nel l’esportazione di semibaco verso l’Italia era una delle principali voci attive della bilanciacommerciale giapponese. Sulla spinta del commercio internazionaleanche dei semi baco, centri appena nati, come Yokohama, divenneroin brevissimo tempo città fiorentissime. Nei sempre più numerosie ricchi magazzini di questa città venivano raccolti e conservati peressere poi inviati in Europa i cartoni su cui i contadini giapponesiavevano fatto preventivamente deporre le uova ai bachi. Lo stoc-caggio e la conservazione delle uova dovevano sottostare ad unacomplessa serie di trattamenti indispensabili alla loro salvaguardia:non era sufficiente comprare i cartoni, bisognava tenere in vita leuova fino al porto di destinazione finale. I costi erano molto elevati ese si sbagliava anche un solo passaggio si perdevano capitali ingenti.Per questa ragione molti degli acquirenti preferivano sovrintenderedi persona alle singole fasi delle operazioni di stoccaggio e al lungoviaggio del trasporto: ogni anno molti italiani, come già detto, sitrasferivano a Yokohama per la campagna di acquisto dei semi baco.Nel i bachicoltori italiani che si recarono in Giappone furononella sola Yokohama e più di complessivamente.

Di regola la campagna d’acquisto delle uova aveva inizio tra lafine di giugno e gli inizi di luglio e terminava a cavallo fra ottobre enovembre. Solo quando gli ultimi acquirenti italiani erano ripartitile nostre navi da guerra potevano lasciare i mari del Giappone per

Introduzione

ritornare in Italia o proseguire per altre destinazioni secondo i pianidi viaggio. La presenza delle navi da guerra e la loro lunga perma-nenza nei porti giapponesi segnarono la differenza nella lunghezzadei rapporti con quelli previsi per il resto dei paesi toccati durantel’intera campagna. È ovvio che, stando in un determinato paese perpiù tempo si aveva l’opportunità di conoscerlo meglio, osservare econoscere molti più fatti in modo più preciso e dettagliato. I diaridi bordo delle navi che stazionarono in quel periodo in Giapponehanno tutti la gran parte delle pagine dedicate a descrizioni e fatti diquesto paese, mentre visibilmente meno numerose sono le paginededicate ai paesi di solo passaggio e di sosta breve. Questo vale ancheper la Vettor Pisani, la cui missione è documentata in numerosi scritticonservati negli archivi dell’Ufficio Storico della Marina Militare e inquelli del Ministero degli Affari esteri.

Dal la documentazione si è arricchita di un nuovo capito-lo: nel mese di aprile sono entrato in possesso di un manoscrittoinedito, fortunatamente ancora integro, rimasto in tutti questi anniben conservato in un archivio privato. È stato scritto dal marinaiosassarese Gio’ Battista Cristina, imbarcato sulla Vettor Pisani, dovefu Capo gabbiere col grado di Marò di prima classe. Dalle pochenotizie che l’autore ci ha lasciato sulla propria persona, sappiamo cheera nato a Sassari; che aveva abitato in una misera casa “nella spianatadi Rosello”; che per le difficili condizioni familiari era stato adottatodalla ricca famiglia Bertolotti Sequi di Ozieri e che questa lo avevaallevato con amorevole dedizione; che aveva lasciato alla partenzadall’Italia la madre, due fratellini e il patrigno e che trovò, al ritornodal viaggio, altri due fratellini concepiti nel frattempo dalla madre.Nella nostra ricerca abbiamo riscontrato che il nome di Gio’ BattistaCristina, nato a Sassari l’ luglio da Francesco e Caterina Rugiu,appare nelle Liste di leva della classe del Regno di Sardegnaconservate nell’Archivio di Stato di Sassari. Per esattezza il nomefigura al numero d’ordine della lista del Capitano di porto di LaMaddalena. Nella lista lo si dà arruolato marittimo il settembre. In un’ulteriore ricerca abbiamo verificato che all’età di sei anni,per l’improvvisa morte del padre durante la terribile epidemia dicolera che nel condusse alla tomba un quarto circa dei cittadinidi Sassari, era stato accolto ed educato nella ricca famiglia BortolottiSequi di Ozieri.

La presenza di Cristina sulla Vettor Pisani è abbastanza sorpren-dente. In quegli anni non era comune che un marinaio sardo, e per

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di più sassarese, riuscisse nell’impresa di essere arruolato in una dellenavi della Regia Marina. Sin dai primi anni dalla nascita del Regnod’Italia, secondo la Legge organica sulla leva di mare del luglio, i coscritti della Marina militare venivano reclutati per la granparte nei distretti di Genova, Napoli, Palermo, Venezia e Ancona,dove avevano base le navi militari ed esisteva una consolidata tradi-zione marinara: i giovani di quelle aree venivano iscritti nei registridelle “arti marittime” o nella matricola delle “genti di mare”. Perdiventare recluta di marina o per presentare domanda di volontariatobisognava essere, per così dire, conoscitori del mare, avvezzi alla na-vigazione e alla vita sulle navi. Purtroppo allo stato attuale le notizieframmentarie sulla biografia di Cristina non consentono di conoscereil percorso formativo che lo portò ad essere arruolato sulla VettorPisani. Sappiamo per certo che Cristina non era un esperto di mare eche non era nato in una città di mare. Il suo nominativo, però, comeabbiamo detto, è presente nelle liste della classe del della Marinadel Regno di Sardegna, quando il Regno di Sardegna era ancora unpiccolo regno e completamente diverse erano le divisioni territoriali.È molto probabile che Cristina fosse stato inscritto in quelle liste equindi arruolato e messo in servizio nell’Ufficio di Maggiorità e Per-sonale perché sapeva leggere e scrivere. È lui stesso a dirci che sullaCastelfidardo, nave del suo primo imbarco, «disimpegnava a bordo lefunzioni di segretario del Comandante» e che sulla Vettor Pisani erastato rimosso da un incarico di controllo degli acquisti per non essersiprestato a strane operazioni: «Io poi fui tolto perché mi conobberotroppo coscienzioso».

Le perplessità e la non piena conoscenza della vita di Gio’ BattistaCristina fortunatamente non inficiano il valore del manoscritto, cherappresenta anzi, proprio per la personalità del suo autore, comevedremo, una fonte storica di valore primario sia per la ricostruzionedegli spostamenti della nave nella lunga missione sia – e questo neamplifica il valore – per la descrizione delle attività e della vita dibordo, normalmente trascurate negli scritti ufficiali.

Nell’Ottocento pochi italiani erano in grado di leggere e scrivere conproprietà di linguaggio. Fra i ceti umili più che in italiano ci si esprimevaquasi esclusivamente in dialetto. In genere i marinai appartenevanoalle classi più umili per cui era difficile che parlassero e scrivessero initaliano: e anche se ne erano capaci, al massimo affidavano le proprieimpressioni di viaggio alle poche lettere indirizzate ai propri cari. Manel caso del marinaio sassarese non si tratta di descrizioni “epistolari”.

Introduzione

Il suo manoscritto è un vero e proprio volume, vergato ordinatamentecon bella grafia e soprattutto scritto in buon italiano, sicuramente fruttodella attenta educazione ricevuta in casa Bertolotti Sequi. L’autore lodedica «in segno di indelebile riconoscenza» a Francesco BertolottiSequi. Il manoscritto dunque è un documento privato col quale Cristinavuole mettere al corrente il suo benefattore e i familiari dei circa dueanni e mezzo di imbarco e dei relativi eventi che vale la pena di ricordare.Non essendo destinato al pubblico e non essendo condizionato dallosguardo critico delle gerarchie militari, il diario può essere consideratouna sorta di forziere in cui è conservata la memoria del mondo vistodalla nave e della vita vissuta sulla nave. Le impressioni provate, le paure,le gioie. Le descrizioni dei paesaggi, delle città e delle popolazioniincontrate, le emozioni e la fatica del viaggio sono notazioni tutteprivate e destinate a rimanere tali. Il manoscritto perciò è di particolareinteresse almeno per tre motivi eccezionali. Il primo riguarda la suaconfezione: come abbiamo già detto, è un vero, piccolo volume. Ilsecondo è la sua totale franchezza: l’autore vi denuncia ruberie, soprusie abusi; trasmette fatti, vicende, sensazioni, sentimenti; esprime giudizi,spesso pesanti, irriverenti, difficili da trovare in un documento ufficiale.Il terzo motivo è il calore e la passione che traspare in ogni riga delracconto.

Nelle pagine ingiallite, scritte appositamente per confutare quan-to aveva pubblicato ufficialmente sul viaggio il comandante Lovera diMaria, Cristina critica l’operato delle alte gerarchie, denuncia le rube-rie dei sottufficiali, le connivenze degli ufficiali; descrive le angherie ei soprusi con cui l’equipaggio era dispoticamente e regolarmente ves-sato. In sostanza, quella del marinaio sassarese è una voce dal basso,critica e acuta nelle osservazioni sia della vita di bordo che del mondoche ha veduto. Per questo motivo le testimonianze rappresentanouna fonte storica di primo livello. Consentono di far luce su unaquotidianità che ufficialmente non poteva e non doveva trasparireall’esterno. Nel contempo, il manoscritto è documentazione di queimondi lontani dall’Italia, una fotografia delle diversità culturali, uncaleidoscopio di etnie, di costumi e di lingue. Un testo fondamentale,insomma, sia per la ricostruzione della storia della lunga missionesia per quella delle vicissitudini della vita di bordo, ma viste da unaangolatura rara. Se dovessimo catalogare il manoscritto di Cristinanegli archivi confuciani della Storia non ci sarebbe alcun dubbio cheandrebbe collocato fra le “piccole Storie”, quelle fondamentali perscrivere la “grande Storia”.

Introduzione

Quanto alla personalità di Cristina bisogna dire che dimostra diessere un giovane di buoni principi e di grande umanità. Soffre perl’arroganza e la condotta di chi abusa degli inferiori, si esalta se qualcu-no gli offre amicizia e gli tende amichevolmente la mano. Dimostraparticolare attaccamento sia ai familiari naturali e agli adottivi e sidispera per la mancanza di loro notizie. È fra i primi a correre all’ar-rivo della posta e si attarda nell’attesa, sperando che l’ultima letterasia indirizzata a lui. Però il lungo viaggio coincide con un silenzioogni giorno più doloroso: non riceve neanche una lettera e ad ogninuova stazione il senso di solitudine e di frustrazione si fanno piùpesanti. Per Cristina gli affetti e il rispetto sono i più grandi valori.A Montevideo biasima, ad esempio, il marinaio Fato che diserta esi rifugia a Sidney, infischiandosi del sostentamento della giovanesposa e della vecchia madre. Ma quel che maggiormente lo avvili-scono e deludono sono gli abusi, le angherie, le violenze gratuite, leruberie, gli eccessi e la mancanza di umanità da parte di chi occupatemporaneamente posizioni di comando.

Cristina aveva fatto con entusiasmo domanda d’imbarco volonta-rio sulla Vettor Pisani. Aveva dovuto convincere della bontà della sceltail comandante della Castelfidardo, che aveva tentato di dissuaderloin ogni modo. Ma nulla aveva potuto fermarlo: voleva fare nuoveesperienze, arricchire le proprie conoscenze, raffinare il mestiere. Einvece sull’ultima adunata, quella del saluto prima di scendere defi-nitivamente dalla Vettor Pisani, ancorata sulla banchina del porto diNapoli, si vede quasi obbligato a scrivere:

Allorché venni in riga col mio fardello, non potei simulare l’allegria che adognuno vedevasi scolpita in viso. Non poteva capacitarmi come si potessegridare “Viva la Vettor Pisani” quando poche ore prima si faceva a chi piùpotesse dirne male. Non poteva insomma rendermi conto come con duefrutta e mezzo bicchiere di vino si potesse comprare tanta gente. Ma però(addietro credo averlo detto) la maggior parte dell’Equipaggio erano genterozza, ignara di qualsiasi bennato principio, la feccia infine dei corsari diRuffo, pronti ad esaltare o ad abbattere chi loro venisse indicato. Perciòmi astenni dal pronunciare la benché minima parola che potesse tradirei varii sentimenti che mi frullavano pel capo, onde non amareggiare lacontentezza che provava nel vedermi prossimo ad allontanarmi da un cosìinfausto soggiorno. Alfine sbarchiamo, Buon Dio. Da sopra la banchina delmolo militare contemplo la Vettor Pisani, nave sulla quale avea affrontatopericoli ed amari disinganni. Nave, per la quale, non avea trascurato diabbandonare una splendida posizione, la patria ed i parenti. Era altero diaver fatto parte del tuo equipaggio, ma però ti maledico, sì di cuore, perchénon fosti altro che covo di vizi, di discordia, di tirannia. La fama delle