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www.deportati.it euro 2,50 Giornale a cura dell’Associazione nazionale ex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria della Deportazione Nuova serie - anno XXXIII Numero 1-6 Gennaio-Giugno 2017 Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT TRIANGOLO ROSSO ELLEKAPPA DA TUTTo IL MoNDo I giovani protagonisti a Mauthausen Le cerimonie internazionali per il 72° anniversario della Liberazione dei campi Maggio 2017 - Castello di Hartheim - Delegazione Aned di Sesto San Giovanni - Monza Mariela Valota (violino) e Prisca Novella (violoncello) - Notizie da pagina 3 a pagina 16 La scomparsa di Ibio Paolucci Il giornalista dirigeva il “Triangolo Rosso” Pag.18 La decisione del comitato internazionale che rappresenta gli ex deportati di tutto il mondo. A pagina 5 Dal 2018 anche la delegazione palestinese alla cerimonia internazionale di Mauthausen Ultima ora

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www.deportati.iteuro 2,50

Giornale a cura dell’Associazione nazionaleex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria della Deportazione

Nuova serie - anno XXXIIINumero 1-6 Gennaio-Giugno 2017Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/clegge 662/96 - Filiale di Milano

ITTRIANGOLOROSSO

ELLEKAPPADA TUTTo IL MoNDo

I giovani protagonisti a Mauthausen

Le cerimonie internazionali per il 72° anniversario della Liberazione dei campi

Maggio 2017 - Castello di Hartheim - Delegazione Aned di Sesto San Giovanni - MonzaMariela Valota (violino) e Prisca Novella (violoncello) - Notizie da pagina 3 a pagina 16

La scomparsa di Ibio Paolucci

Il giornalista dirigeva il“Triangolo Rosso” Pag.18

La decisione del comitato internazionaleche rappresenta gli ex deportati di tutto il mondo. A pagina 5

Dal 2018 anchela delegazionepalestinese alla cerimoniainternazionaledi Mauthausen

Ultima ora

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ITTriangolo Rosso

Periodico dell’Associazione nazionale ex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria della Deportazione

Una copia euro 2,50, abbonamento euro 10,00Inviare un vaglia oppure effettuare un bonifico a:

Aned - c/o Casa della Memoria, Via FedericoConfalonieri 14 - 20124 Milano

conto corrente c/o Banca Prossima, Piazza Paolo Ferrari 10 Milano, IBAN: IT53 S033 5901 6001 0000 0141934

Telefono 02 68 33 42e-mail Aned nazionale: [email protected]

Fondazione Memoria della DeportazioneBiblioteca Archivio Pina e Aldo RavelliVia Dogana 3, 20123 Milano- Tel. 02 87 38 32 40

e-mail: [email protected]

Direttore di Triangolo Rosso Ibio Paolucci

Triangolo Rosso Comitato di redazioneSauro Borelli, Bruno Cavagnola, GiuseppeCeretti, Franco Giannantoni, Giorgio oldrini,oreste Pivetta, Pietro Ramella, AngeloFerranti.

Segreteria di redazione Elena Gnagnetti Vanessa Matta

Questo numero di Triangolo Rosso è statocurato da Giorgio oldrini

Collaborazione editorialeFranco Malaguti, Isabella Cavasino [email protected] in redazione il 20 giugno 2017Stampato da Stamperia scrl - Parma

5 per mille alla FondazioneMemoria della Deportazione

5 per mille all’AnedAssociazione NazionaleEx Deportati

Per destinare il 5 per mille alla Fondazione Memoriadella Deportazione è sufficiente apporre la firma e ilcodice fiscale della Fondazione - 97301030157 - nell’apposito modulo nel riquadro in alto a sinistra.

Quest’anno è possibile devolvere il 5 per mille al l’As so -ciazione Nazionale Ex Deportati. Basta la propria firmanel riquadro in alto a sinistra indicando nello spazio sotto-stante il codice fiscale dell’ANED - 80117610156 -

QUESTo NUMERo

Pag. 3 Una più forte presenza internazionale dell’Aneddi Dario Venegoni

Pag. 5 Dal 2018 anche la delegazione palestinese alla Cerimonia Internazionale di Mauthausen

Pag. 6 Dal giuramento di Mauthausen. Da genti diverse parole uguali di Floriana Maris

Pag. 8 Dal lager un richiamo all’impegno per difendere la democrazia di Dario Venegoni

Pag. 10 Siamo qui per dare un senso all’oggi di Mari PaganiPag. 12 L’intervento di Roberto Lepetit a Ebensee nella cerimonia presso il

Monumento dedicato al nonno di Roberto LepetitPag. 14 Steyr, dal lager alle vittime. Il ricordo nella città dei ponti

di Karl RamsmaierPag. 16 Suonare il violino e parlare col linguaggio delle note, ad Hartheim e

a Mauthausen, in nome del nonno di Mariela ValotaPag. 17 Tutti i nomi dei deportati politici italiani ad Auschwitz Pag. 18 Ci ha lasciati Ibio Paolucci, era direttore di Triangolo Rosso

NoTIzIE da pag. 22

DoCUMENTAzIoNE Pag. 28 Una testa sporge da terra tra ossa e falangi e si sente un fetore orrendo.

L’impronta dei cadaveri sottostanti. “Wo ist mama?” ridevano i tedeschi Pag. 32 Sette nani deportati ad Auschwitz: la favola con i nazisti diventò orrore

verso un destino tragico, ma così la famiglia Ovitz scampò ai lager

LE NoSTRE SToRIEPag. 34 Per Pietro il finanziere la liberazione a Ebensee giunse troppo tardi

di Roberto OcchiPag. 38 Il giovane Lorenzo, studente trova il diario con tracce del nonno

Adolfo deportato per una battaglia con i tedeschi di Luisa Nicoli Pag. 39 Dalle memorie di Amalia: “vidi mio padre sul treno con un sorriso di

addio” poi sparì per non tornare di Elvi Rusin Pag. 40 Moretto, il pugile che uccideva le SS a mani nude: era sfuggito alla raz-

zia del ghetto del 16 ottobre 1943 di Maurizio MolinariSAGGI Pag. 42 “Sopravvissuti” in mostra agli Uffizi a Firenze di Raffaele PalumboPag. 44 Campo di concentramento di Fossoli. Il confronto politico nella

Baracca 18 e dintorni: marzo-luglio ’44 di Giuliano BanfiPag. 46 Matilde e le donne nella deportazione operaia.

Con “il tram per San Vittore” di Renato SartiBIBLIoTECAPag. 48 Nel libro “La rondine sul termosifone” Edith Bruck rievoca il dramma

di Nelo Risi di Sauro BorelliPag. 49 Italia e Germania a confronto in un nuovo volume a cura della

FondazionePag. 50 Il lager di Bolzano come non era mai stato raccontatoPag. 51 Unterlüss, quel gesto di eroismo di 44 ufficiali italiani

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Una più fortepresenzainternazionaledell’ANED

Ottenuto il ripristino della sfilata della delegazione italiana nella cerimonia di Mauthausen. L’associazione rientra a pieno titolo nella FIR

seguire migliaia di giovaniantifascisti austriaci. Un corteovivace e pieno di energia, compostoe commosso, che ha reso per unavolta ancora le ragazze e i ragazziprotagonisti assoluti, per quellamezz’ora, della cerimoniainternazionale.Abbiamo espresso alle compagne eai compagni del ComitatoInternazionale di Mauthausen ilnostro ringraziamento, ricevendocome risposta il loro plauso:insieme abbiamo trovato unasoluzione che contempla le esigenzedelle ambasciate e dei governi conquelle della difesa del carattere dimassa e di incontro tra legenerazioni che fa della cerimoniadi Mauthausen probabilmente lamaggiore manifestazione unitariaantifascista a livello europeo.

Con il Comitato Internazionaledi Mauthausen (al cui internol’Aned è rappresentata da

Floriana Maris, che del CIM èvicepresidente, e da me) lavoriamoa strettissimo contatto tutto l’anno.E contemporaneamente abbiamorinserrato i nostri rapporti con altriComitati Internazionali. É il caso diquello di Ravensbrück, per esempio,dove Ambra Laurenzi, figlia diMirella Stanzione, ex deportata inquel Lager, prosegue nell’attivitàche aveva iniziato diversi anni fa, al fianco di Giovanna Massariello. O anche quello di Buchenwald,

ddove Gilberto Salmoni, superstite d di quel campo, rappresenta con

energia e autorevolezza l’Italia, tanto da essere stato scelto,

quest’anno, tra gli oratori

visibilità, deponendo la loro coronadi fiori di fronte a tutti, piuttosto chediluirsi in un corteo doverischierebbero di non essere neppureviste.

L’idea del ComitatoInternazionale di Mauthausen,inoltre, era quella di accentuare

il significato collettivo diquell’appuntamento: “Tutti insieme”,invece che “Uno dopo l’altro”, èstato lo slogan portato a sostegnodella riforma.L’Aned ha discusso col ComitatoInternazionale, trovando interlocutoridi grandissimo spessore culturale epolitico e di grande disponibilità.Abbiamo sostenuto che lapartecipazione dei giovani italiani èuna straordinaria ricchezza di quellamanifestazione, un patrimonio chetutto il Comitato deve sentire comeproprio e tutelare.

Ecosì è stato. Prima dellacerimonia delle coronequest’anno c’è stato il grande

corteo dei giovani. Agli italiani sisono aggiunti alcune decine diragazzi venuti dalla Spagna, e a

IT

Per una volta ancora, cosìcome era avvenuto perdecenni, oltre 1.500 giovani

italiani sono tornati a sfilare, loscorso 7 maggio, sul piazzaledell’Appello di Mauthausen percelebrare l’anniversario dellaliberazione e commemorare leinnumerevoli vittime di quel Lagerterribile.Con loro, come sempre, iGonfaloni dei Comuni, delleProvince, delle Regioni di tuttaItalia.In testa al corteo i Gonfaloni deiComuni decorati con la Medagliad’Oro al V.M. per il contributo datoalla Resistenza: Milano, Genova,Firenze, Sesto San Giovanni.Non era scontato che accadesse.Anzi: nel 2016 questa tradizioneera stata bruscamente interrotta. Ilcorteo era stato sostituito dalla solacerimonia della deposizione deifiori al Sarcofago delle ceneri dellevittime e, sia i giovani che iGonfaloni italiani, erano rimasti aimargini.

Abbiamo compreso le ragionidi chi ha immaginato che 70anni dopo la liberazione si

potesse cambiare l’organizzazionedella giornata. Del resto quellaitaliana è l’unica delegazionestraniera a partecipare così inmassa, anno dopo anno, a quellagiornata, contribuendo in misuraessenziale a renderla tantostraordinaria. La grandemaggioranza delle altre decine didelegazioni nazionali è compostada poche persone, che preferisconoavere un momento di

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ufficiali alla cerimoniainternazionale. A BuchenwaldSalmoni è ora affiancato da SergioGibellini, che già tante volte lo haaccompagnato alle cerimonie che sisono svolte nel campo, e che perquesto è ben conosciuto dagli altricomponenti del ComitatoInternazionale.

ADachau Gianluca Mazzulloprosegue il lavoro di suopadre, superstite di quel

Lager: Luigi Mazzullo fu generaledell’Aeronautica e a lungo tesorieredell’Aned, oltre che rappresentanteitaliano in quel Comitato.

Attraverso i nostrirappresentanti stiamoampliando notevolmente il

sistema di relazioni internazionalidell’Associazione, che ha ristabilitoin questi anni legami diretti con le“amicales” francesi e spagnole, econ le organizzazioni degli exdeportati di molti paesi d’Europa. In un continente che innalza i murie che si fa tentare dal nazionalismo,rinsaldare i nostri legami con leorganizzazioni antifasciste einternazionaliste europee è unascelta di forte contenuto politico.Nella stessa direzione va il rientrodell’Aned nella FIR, la Fédération

Internationale des Résistents,l’organizzazione internazionale cheraggruppa decine di organizzazionidi resistenti e deportati, di cuil’Aned è stata membro autorevoleper decenni. Da molti anni i legamisi erano allentati, fino quasi ainterrompersi. Ora la richiestadell’Aned di essere consideratanuovamente membro a pieno titolodella FIR è stata prontamenteaccolta. Si dischiudono così nuoveopportunità di stringere più intenserelazioni internazionali, per unastrategia europea contro il fascismo,il nazionalismo, il razzismo.

Dario Venegoni

Una più fortepresenzainternazionaledell’ANED

Armando Gasiani incontra una delegazione di ragazzi italiani a Gusen. Gasiani è stato l’unico superstite italiano presente alle cerimonie di quest’anno a Mauthausen

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Nel corso della riunione an-nuale del ComitatoInternazionale di

Mauthausen (CIM) il segretarioAndreas Baumgartner ha reso notoche l’autorità palestinese ha chie-sto di poter sfilare ufficialmentedurante la CerimoniaInternazionale che ricorda l’anni-versario della liberazione del cam-po (avvenuta, come noto, il 5 mag-gio ad opera dell’Armata america-na).Baumgartner ha dato conto anchedell’immediata presa di posizionecontraria dell’ambasciata diIsraele, forte di una dichiarazionedei responsabili dell’Archivio di

Yad Vashem secondo la quale nonvi furono palestinesi tra i circa190.000 prigionieri di Mauthausen.

Al contrario, ha precisato ilsegretario del CIM, gli ar-chivi del campo registrano

la presenza di 13 prigionieri classi-ficati come “Araber”, arabi. Accanto a quelli provenienti dalMarocco e dalla Tunisia, i ricerca-tori del campo hanno trovato anchetre arabi palestinesi. Si tratta diBatraukh Mustafa Ahmed, nato nel1917 a Gaza, matricola 137708,classificato come “Schutz”, prigio-niero detenuto per motivi di sicu-rezza, triangolo rosso;Daghili Abdula Abdul Had, natonel 1920 a Hebron, matricola137714, classificato come“Zivilarbeiter”, lavoratore civile;

Said Ghalib Hilnu, nato aGerusalemme il 4 aprile 1912, ma-tricola 137725, anch’egli registratocome “lavoratore civile”.I numeri di matricola, molto viciniuno all’altro, suggeriscono che i tresiano arrivati insieme nel campo,non sappiamo da dove. La data diimmatricolazione dovrebbe essereattorno alla fine di febbraio del1945 (Tarvisio Vit, italiano di 18anni, proveniente daSachsenhausen, ricevette il numero134858 il 26 febbraio).

Nel corso della CerimoniaInternazionale di maggio so-no chiamate in ordine alfa-

betico a deporre dei fiori al sarco-fago delle ceneri delle vittime lerappresentanze ufficiali dei circa40 Paesi dai quali provenivano iprigionieri del Lager. Molti di que-sti Paesi non esistevano nel 1945 (èil caso dello stesso Israele, di molterepubbliche autonome che allorafacevano parte dell’URSS, o dellaJugoslavia).Essendo questo il criterio al qualesi attiene il CIM nell’organizzare lagiornata, Baumgartner ha propostoal Comitato di accogliere a partiredal prossimo anno la richiesta del-l’autorità palestinese. La proposta è stata approvata all’u-nanimità.

Dal 2018 anche la delegazionepalestinese alla CerimoniaInternazionaledi Mauthausen

Il ComitatoInternazionale che rappresenta gliex deportati di tuttoil mondo riunito a Mauthausen.

Le cerimonieinternazionaliper il 72° anniversariodella Liberazione

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Cerimoniainternazionaleper il 72° anniversariodella liberazione del campo

Floriana Maris

Ma è ammissibile questo, a 70 anni dallaproclamazione della nostra Costituzione cheall’articolo 1, nel primo dei suoi “Principi

Fondamentali”, recita che “L’Italia è una Repubblicademocratica fondata sul lavoro” e all’articolo 4 “riconoscea tutti, tutti i cittadini il diritto al lavoro”?Diritto, oggi, negato al 40% della popolazione italiana e nelmondo a milioni, milioni, milioni di individui che cercanoriscatto con il lavoro.L’Istat ha diffuso, pochi giorni fa, questi dati: ladisoccupazione giovanile scende al 34,1%, di soli pochipunti centesimali, si registra, però, un innalzamento, unbalzo della disoccupazione nella fascia over 50: lavoro persoe pensione irraggiungibile. L’indice generale didisoccupazione è, nel suo complesso, salito ancora.

Democrazia, lavoro, occupazione non sono gli unicitemi che affliggono il nostro Paese e l’Europa.

C’è il dramma della migrazione.Nessun profugo fugge senza soffrirne, tutti amiamo la nostraterra e la nostra casa, fuggono da condizioni esistenzialiinvivibili: fame, violenza, morte e sanno quelle donne equegli uomini, quelle donne che affidano anche i loro

bambini ai mercanti di morte, di affrontare un viaggio in cuimolti, troppi, perderanno la vita prima di raggiungere laricca Europa. Ma mancano vie legali di fuga, il loro è un esilio forzato. E,come tutti noi, sono in balia di “grandi giochi” geopoliticied economici che hanno militarmente devastato odesertificato le loro terre.

Aiutiamoli a casa loro, si dice, e che cosa facciamo?Forse finanziamo progetti per la loro crescita, forseportiamo loro tecnologie e know-how? No,

vendiamo loro armi per fare più vasto quel deserto!Da questa terribile realtà occorre partire.Come ha detto Papa Bergoglio nel recente messaggio per lagiornata mondiale della pace: “il secolo scorso è statodevastato da guerre mondiali micidiali, ha conosciuto laminaccia della guerra nucleare ed un gran numero di altriconflitti, mentre oggi purtroppo siamo alle prese con unaterribile guerra mondiale a pezzi”: Siria, Afghanistan, Iraq,Libia, Africa.Ed aggiungerei che oggi, purtroppo, assistiamo ad unapreoccupante evoluzione dell’uso della forza da parte dellesuperpotenze che vi ricorrono senza imbarazzi.

Sul mondo tornano a soffiare venti di guerra. Primala Russia che annette la Crimea ucraina e finanzia unmovimento di secessione dell’Ucraina orientale, oggi

Donald Trump che invia una portaerei e due sommergibilinucleari verso le coste coreane dopo aver fatto annientareuna base dell’aviazione militare di Bashar al Assad in Siria.

Il Presidente americano ha bombardato la Siria senza unmandato delle Nazioni Unite e le sue manovre al largo dellaCorea potrebbero scatenare una dinamica incontrollata.Dopo Mosca anche Washington torna a ricorrere all’usodella forza come strumento politico senza alcun imbarazzo,in modo tranquillo. Assistiamo ad un ritorno dei nazionalismi e delle destreestreme negli Stati Uniti, in Europa, in Asia.Di fronte a questo scenario, alla gravità dei probleminazionali ed internazionali ad una Unione Europea che si va

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Il 25 aprile abbiamo celebrato la festa dellaLiberazione, riconoscendoci negli ideali di quellalotta armata e politicamente unitaria combattutacontro il nazismo ed il fascismo per un’autenticademocrazia.

Il 1° maggio abbiamo celebrato la festa del lavoroe mi ha fatto riflettere una fotografia di unamanifestazione per il lavoro apparsa su “LaStampa”: donne, uomini, ragazze e ragazzi sfila-vano con grandi cartelli che componevano laparola LAVoRo. Semplicemente LAVoRo,senza alcuna rivendicazione, semplicemente ladignità del lavoro per essere uomini liberi.

Il discorso al monumento italiano il 7 maggio

“Memoria, dunque, come il presente del passato”

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Da genti diverseparole uguali

Dal giuramentodi Mauthausen

disfacendo invece di raggiungere traguardi di maggioreunità, non solo monetaria, cosa può trasmetterci la memoriadella deportazione?I deportati politici di tutta Europa, non soltanto i deportatipolitici italiani, affidarono ad un giuramento la memoriache volevano fosse patrimonio culturale dell’umanità.Il giuramento fatto dopo la liberazione del campo diMauthausen, a metà maggio 1945 sulla piazza dell’appello,è un documento di rilevanza storica eccezionale che forsenon abbiamo mai compreso e valorizzato fino in fondo.

Nel giuramento i deportati indicavano le ragionistoriche della loro deportazione, la lotta contro ilfascismo, contro il nazismo e contro la prospettiva

della creazione di un ordine nuovo europeo fondato sullaviolenza, sulla sopraffazione, sull’annientamentodell’individuo, sulla ricchezza, sul privilegio, sullasupremazia di chi possedeva terre, fabbriche, finanza neiconfronti di chi solo viveva lavorando.I deportati proiettarono nel futuro la costruzione di una società democratica ed etica, di una società morale.

La nostra Costituzione raccoglie, come sintesi dellagrande lotta dei combattenti per la libertà, deglioppositori politici, degli operai che incrociarono le

braccia di fronte all’occupante tedesco, quei valori:solidarietà fra i popoli, pacifica convivenza, rifiuto dellaguerra, costituzione di una società di uguali, diffusione deidiritti fondamentali delle donne e degli uomini a tutti ilivelli, in tutte le città, in tutti i paesi.Questa è la memoria che tutti i deportati ci hanno affidato.Dalla consapevolezza di quei fatti storici nasce laconoscenza e l’intelligenza del presente, la comprensione, lalettura del presente che ci deve vedere avvertiti: “Attentiagli inizi”, ha detto ieri a Ebensee l’autore austriaco RobertMenasse, “Mai dimenticare”. Memoria, dunque, come il presente del passato, memoriacome conoscenza per tutti per essere liberi e costruire unasocietà giusta, democratica, che consenta la partecipazionedi tutti.Ho letto recentemente che non furono i barbari a distruggere

l’impero romano, ma il venir meno di quei valori sui qualisi era retta quella società per secoli.Il vuoto di valori è il sonno della ragione che generamostri.Questo è oggi il pericolo: il nostro vuoto di valori.Cadute le ideologie – e questo forse è stato un bene – sonocaduti anche gli ideali.

Gli ideali, i valori proclamati nel giuramento diMauthausen debbono essere salvaguardati, sono ivalori universali dell’umanità, costituiscono i diritti

fondamentali dell’uomo, sulla base dei quali è natal’Unione Europea.L’idea di Europa – intuita nel 1938, a Ventotene da AltieroSpinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni – nasce nei campidi concentramento e annientamento nazisti.L’esperienza dei campi ha unito uomini diversi, di culturediverse, di lingue diverse, di nazionalità diverse che cihanno lasciate dette “parole uguali”. Quelle paroledebbono essere le ragioni del nostro impegno verso noistessi e verso le generazioni future perché ci sia un futuro eper onorare il sacrificio di chi, in questo campo, ha bruciatola sua gioventù ed anche la vita per un mondo diverso, unmondo migliore, per la civiltà e la dignità dei popoli.

2017

Ragazzi italiani (sopra) alla “scala della morte” il sim-bolo dell’orrore di Mauthausen. Qui i sopravvissuti indivisa in un momento della cerimonia.

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Maggio2017

“Non abbiamo fatto vuota memoria”

Dario Venegoni

Ipolitici che avevano il triangolo rosso a Mauthausenerano persone molto diverse tra di loro, avevano ideedifferenti per il futuro, una valutazione molto varia del

passato. C’era chi combatteva per la rivoluzione proletaria,chi per il re, c’era chi sognava la Repubblica e chi non lavoleva affatto, chi pensava che la Resistenza fosse l’iniziodi un movimento di affermazione della giustizia sociale echi era propenso a restaurare un governo conservatore.Perché l’antifascismo non è né di destra né di sinistra, ha ache fare con la civiltà e la dignità dell’uomo, con l’ideadella libertà e della democrazia. I combattenti antifascistilottarono per abbattere la dittatura fascista, per ripristinare lelibertà democratiche, collettive ed individuali, per cacciare inazisti. Persone così diverse per ceto, per età, per condizioni

L’immane tragedia che in questo campo si è con-sumata ha ancora molti insegnamenti per ilmondo di oggi. I deportati qui, in grandissimamaggioranza, erano antifascisti attivi e combat-tenti.

C’era qui un pezzo della Resistenza italiana cheper molti aspetti era diversa da quella di moltialtri Paesi. Aveva probabilmente meno trattinazionalistici, ma una grandissima unità.

Il discorso del Presidente nazionale dell’Aned

La delegazione dell’Aned di Sesto San Giovanni-Monza all’arrivo a Mauthausen

politiche, per credo religioso seppero unirsi: è per questoche la Resistenza si è affermata e ha vinto.

In questo campo, tra queste pietre, è nata la nostraRepubblica, è nata l’Italia di oggi ed è nata la nostraCostituzione. Ha detto Piero Calamandrei in un famoso

discorso ai giovani: “Se voi volete andare in pellegrinaggionel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nellemontagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dovefurono imprigionati, nei campi dove furono impiccati.Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e ladignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata lanostra Costituzione.” Noi quindi ci troviamo in uno di quei luoghi. Qui, nelmartirio di tanta parte della nostra Resistenza, la nostraCostituzione ha le sue radici.

Mi rivolgo ai ragazzi che stanno viaggiando con noi.In questi giorni vi abbiamo parlato di politica.Della politica di oggi, e non solo di ieri, come la

intendiamo noi. Non abbiamo fatto un mero esercizio dimemoria. La politica, per noi, non è solo occuparsi dellepiccole scelte locali, dell’amministrazione quotidiana. Noifacciamo riferimento a valori alti che devono unire tutti gliitaliani. L’Associazione Ex Deportati, contrariamente a tantealtre nate nel 1945, non ha mai subito una scissione interna.

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per difendere la democrazia

Dal lager un richiamo all’impegno

Hanno convissuto e convivono dentro l’Associazionepersone che la pensano molto diversamente. Che votano inmodo difforme. Ognuno fa le proprie scelte nella vita ditutti i giorni, ma condividiamo i valori della libertà, dellademocrazia e della difesa dei principi sanciti nella primaparte della Costituzione. Questi sono cardini sui quali siamotutti unanimamente ancorati.

Oggi quella che si svolgerà in questo campo sarà lapiù grande manifestazione antifascista europea.Parteciperanno a questa cerimonia Paesi diversi uno

dall’altro, e anche paesi che sono in polemica o addiritturain conflitto con altri, che pure sfileranno al loro fianco. Tuttiinsieme vogliamo ricordare la tragedia che qui si èconsumata e confermare l’impegno contenuto nel“Giuramento di Mauthausen” a combattere perché quellatragedia non si ripeta mai più. Lo dico con convinzione. Inostri morti, le donne e gli uomini stroncati e uccisi neiLager nazisti, che noi oggi onoriamo, sarebbero orgogliosidi noi, orgogliosi di voi che siete venuti anche da moltolontano a questo appuntamento. Sarebbero contenti divedere che 72 anni dopo la fine della guerra tanti giovaniitaliani affrontano questo viaggio con convinzione, conpartecipazione, con serietà, non per ricordare soltanto maper capire la tragedia che si consumò allora. Per capire quali possono essere gli anticorpi che si possono

attivare per impedire che quella tragedia si rinnovi. Noi forse abbiamo dato per scontato troppo presto che ilricordo delle vittime dei Lager avrebbe fatto parte di unacoscienza comune di tutti in Italia in Europa e nel mondo.Così non è, come sapete. Oggi si vota in Francia e noi nonpossiamo non essere preoccupati per la possibilità concretache una persona, che ha nelle proprie radici antisemitismo,fascismo, violenza, xenofobia, possa addirittura diventarePresidente di un grande Paese dell’Unione Europea. Èsuccesso lo stesso qualche mese fa, quando è andato alballottaggio in questo Paese, in Austria, un altropersonaggio dell’estrema destra xenofoba e razzista.

Credo che tutti quanti ci siamo resi conto che ogginon basta dire che si è per la democrazia. Bisognarecuperare una dimensione di impegno, di militanza,

per respingere un attacco che, in tutta Europa e in tutto ilmondo, viene fatto alle libertà democratiche e alle libertà dicircolazione, alla libertà di fuggire dalla fame e dallaguerra. Noi su questo ci dobbiamo impegnare e se ci siamoimpegnati, ci dobbiamo impegnare di più. La vostrapartecipazione qua oggi dimostra che questa convinzione èdiffusa. Ringrazio i professori, gli amministratori locali, lesezioni dell’Aned che hanno lavorato e lavorano per portarequesta consapevolezza tra le nuove generazioni, anno dopoanno, nel loro paese e nelle loro comunità.

al raduno a Mauthausen

Sul retro del monumento italiano a Mauthausen vi è una stratificazione, con targhe, lapidi, immagini di depor-tati, di decenni di ricordi, pietà, dolore. In alto la cerimonia al monumento italiano.

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Maggio2017 Mari

Pagani

In questi venti anni ho visto cambiare tante cose manon lo avrei mai detto. Quando vidi Gusen, un miserofazzoletto di terra salvato dall’Aned fu un trauma.

Avevo molti meno anni, ero impetuosa soprattutto neldesiderio di trovare delle risposte. Come potete stare qui?Come potete vivere qui? Come potete aver costruito levostre case qui? Non capivo, ero arrabbiata. Ma hoimparato ad ascoltare, che non è giustificare, ma èascoltare. È comprendere ciò che succede, oltre quello chesenti, e provare a costruire significati comuni. L’ho fattoperché sono iscritta all’Aned ed è stato fondamentaleessere in questa associazione che guarda alle persone, ailegami, alla solidarietà. E grazie all’Aned ho potutoconoscere la straordinaria comunità che qui vigila,protegge, studia anche, tutela questo luogo di morte e disofferenza. E insieme ce l’abbiamo fatta.

Negli ultimi vent’anni, ogni anno a maggio, sonopartita e sono arrivata qui a Gusen, con l’Aned diSesto San Giovanni/Monza. Ero molto giovane laprima volta che arrivai qui e tutto era moltodiverso: niente Museo, niente palco, nienteCerimonia internazionale.

C’eravamo noi e c’era il Comitato di Gusen,c’era Martha Gammer, amica speciale. Non avevamo ancora firmato il patto di Amiciziatra le nostre città Langestein e Sesto SanGiovanni. Lo siglammo l’anno dopo.

Il discorso di Mari Pagani (Aned Sesto San

“se tutte le nostre comunità non si fannoparola collettiva”

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per dare un senso all’oggi

Siamo qui

Oggi c’è una importante manifestazione, ilPresidente della Repubblica austriaco, lamassima carica del paese. Ci siete voi tutti. Ci

siamo noi italiani, francesi, spagnoli, polacchi. E questostare insieme non è solo per ricordare ma per dare unsenso all’oggi e a ciò che siamo insieme: Europa. Siamo riuscisti tutti a trasformare questo luogo in unsignificato collettivo condiviso. Abbiamo rinunciato a parte delle nostre singole paroleper trovare un linguaggio comune che ci aiutasse acapirci, a costruire ponti sempre più solidi e sempre piùaccoglienti. Oggi questa bellissima e partecipata manifestazione è ladimostrazione che se ci fossimo fermati alle diffidenze eai malumori di tanti anni fa, saremmo stati da soli avivere il nostro dolore. E invece è solo quando lecomunità condividono il dolore che possono crescereinsieme.

Io ringrazio l’Aned per questo, per avermi regalatoquesto prezioso insegnamento, ringrazio Langesteine tutti i suoi abitanti con i quali ho condiviso

moltissimo, per essere stati crescita generosa. Questa è la strada. È stata tracciata da tutti i nostri mortie dalle nostre comunità. Non possiamo garantire nessundiritto fino in fondo se non partiamo da questo. Non giustifichiamoci. Non pensiamo che siano leCostituzioni, le Carte dei Diritti, le Convenzioni arisolvere le difficoltà che ci troviamo davanti in questomondo dove globalizzata è anche la morte oltre che lavita e quindi possiamo saltare in aria così, da unmomento all’altro. Se non ci uniamo, se tutte le nostrecomunità non si fanno parola collettiva, frutto diesperienza, di confronto, di diffidenza e differenzaelaborate, allora non c’è Costituzione che tenga.

Questi ragazzi che sono qui, e sono tanti, belli,vivi, pieni di futuro e di speranza, devonoimparare da noi che la speranza è fatica e che

bisogna guardarsi negli occhi, avere paura, nonriconoscersi e poi incominciare un cammino comune. Si

litiga, succede. Si cade, succede. Si sbaglia, succede. Sirincomincia, succede. Oggi ci dobbiamo provare. Edobbiamo farlo insieme, tutti. Altrimenti non cisalveremo dalle bombe, dalle pene di morte, dallaviolenza, dal razzismo che dilaga e dal fascismo che,sempre, è in prima linea ad aspettare il momento buonoper risalire la china. I diritti esistono perché le persone esistono nelle lorodifferenze. E chi distrugge i diritti annegando i barconiin mare, facendo saltare autobombe, discriminando pergenere, per orientamento sessuale, uccidendo migliaia dibambini, chi vuole comandare e non guidare, chi haridotto la politica a volgare rapporto con la decisione enon alla disponibilità di fare per l’altro, chi ha fatto tuttoquesto, ha riacceso di nuovo questi forni crematori. Non dimentichiamo che con i forni accesi, ci sonouomini che bruciano e uomini che infilano i cadaveridentro. Oggi, in questo mondo martoriato è il momentodi scegliere. Come settant’anni fa con la Resistenza el’opposizione. Se stiamo a guardare tutto si ripeterà, enoi non avremo fatto nulla per impedirlo.

Giovanni) a Gusen

Il Presidente dell’Aned, Dario Venegoni, ha incontrato aGusen il Presidente della Repubblica austriacaAlexander Van der Bellen e un gruppo di ex deportatipolacchi. Sopra sempre Alexander Van der Bellen siintrattiene con un gruppo di ex deportati.

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Maggio2017 Roberto

Lepetit

Questo monumento è stato voluto e costruito damia nonna Hilda Lepetit Semen za in ricordo disuo marito Roberto, industriale farmaceutico,

impegnato in prima linea nella resistenza contro ilnazifascismo, e per questo motivo arrestato e deportatoprima a Mauth usen, poi a Melk e infine qui a Ebensee,dove morì il 4 maggio 1945, tre giorni prima che ilcampo fosse liberato dalle truppe angloamericane.È ancora vivo in me il ricordo del racconto di mia nonnaHilda su come arrivò qui nell’ottobre 1945, alla ricercadel marito, dopo un viaggio pieno di difficoltà, e scoprìche lui era morto in maggio. Le indicarono il luogo, unafossa comune, dove probabilmente erano stati sepolticoloro che erano morti in quei giorni di maggio.

Sono stato incaricato dal l’Aned, associazione di cui ho la fortuna di far parte, di intervenire qui oggi.

Mi chiamo Roberto Lepetit e desidero parlarvidel monumento che si trova alle mie spalle, conosciuto come monumento Lepetit.

Intervento del nipote presso il Monumento

“Nonna Hilda lo cercava, ma era morto”

Roberto Lepetit parla alla cerimonia internazionale a Ebensee accompagnato dai gonfaloni e da un complesso musicale.

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Volle una tomba in ricordo di tanta sofferenza

Era una giornata fredda, grigia e piovosa. Nel suoanimo, il dolore e la desolazione del luogo. La pioggiainzuppava quella terra ancora smossa. Così le venne unpensiero dal cuore: “voglio coprire queste zolle di terra,voglio che chi vi è sepolto abbia una protezione e, perquanto possibile, una degna sepoltura”.

Il suo racconto riusciva a farmi percepire quellasensazione di tristezza, dolore, di freddo umido.

E fu così che chiese all’amico architetto e designer Gio’Ponti, del quale era stata allieva, di progettare unmonumento in ricordo di chi aveva attraversato tantasofferenza. Il monumento italiano fu restaurato l’annoscorso dall’Aned. Non fu facile, perché si dovetteroaffrontare mille problemi burocratici, logistici eorganizzativi, ma nel 1948, con una cerimonia moltosentita e partecipata, dall’Italia arrivarono più di centopersone, il monumento fu inaugurato.Questo monumento è stato concepito fin dalla nascitacome luogo di raccolta per tutti coloro che non voglionodimenticare, come luogo dove piangere i propri morti,di ogni nazionalità, credo politico o religioso. Comeluogo per tutti.

Per questo motivo lo scorso anno, l’Aned si èincaricata di fare una raccolta fondi per il restaurodel monumento e che ha avuto una grande

partecipazione. Da ora la famiglia Lepetit affida pienamente questomonumento all’Aned, che se ne occuperà in futuro,garantendo così la sua conservazione come luogo dellamemoria collettiva.In questo periodo storico, si riaccendono ossessionixenofobe e nazionaliste, si costruiscono nuovi muri efili spinati. Noi siamo qui oggi a testimoniare che lalotta di chi è passato per questi luoghi non è ancorafinita e che tutti insieme la porteremo avanti contro lenuove ingiustizie e violenze.

dedicato al nonno nella cerimonia a Ebensee

L’inaugurazione della croce nel 1948. Sotto, il monumento come era dopo questi anni e con il restauro a cura dell’Aned.

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Maggio2017 Karl

Ramsmaier

Caro signor Giuseppe Valota, cara signora RaffaellaLorenzi, cari amici d’Italia! Dieci anni fa ci siamoincontrati per la prima volta qui a Steyr. Da 10 anni

una calorosa amicizia ci unisce, anche se le nostre città sonocosì distanti. Ma mentalmente, e nei nostri cuori, siamomolto legati. Nove anni fa abbiamo posato la lapidecommemorativa per Guido Valota e Pericle Cima.Indimenticabile poi è stata la vostra visita in occasione dellacerimonia inaugurale della “galleria della memoria”. El’anno scorso, quando siete venuti con tanti studenti. Sono

molto contento che siate tornati a Steyr. Voglio salutarecordialmente tutto il gruppo dell’Aned qui a Steyr.

In questi 10 anni il mondo (purtroppo) è molto cambiato.Tanti non capiscono più il mondo. Anni di guerra civilein Siria e nessuna soluzione. Centinaia di migliaia di

rifugiati hanno lasciato il loro Paese per avere salva la vita.Guerra tra i diversi gruppi etnici e religiosi, l’un control’altro e ognuno pensa di avere ragione.Tanti non capiscono più il mondo. Aspettavamo unasoluzione di cooperazione tra i popoli europei. Invece ilnazionalismo e l’egoismo dilagano, anche in Austria.Tanti non capiscono più il mondo. Uomini che ripongono lapropria speranza in “leader” autoritari. Uomini che sisentono incompresi e non più rappresentati dalla politicaufficiale, ma spesso non vedono in quale direzione questapolitica autoritaria porti. Siamo scioccati nel sentire giovaniche esprimono simpatia per una possibile dittatura,chiamandola magari “dittatura umana” come se questofosse possibile.Tanti non capiscono più il mondo. Un narcisista presidenteamericano appena eletto annuncia come nuovo messaggiodi salvezza dell’umanità “prima l’America”, giura sullaBibbia, ma fa esattamente il contrario di quel che sta scrittoin quel libro. Egoismo invece di carità, sfruttamento deglialtri invece di giustizia.

Perché nazionalismo, populismo, estremismo e egoismosociale hanno un successo così grande in Europa,nell’Europa del 21° secolo, quando avevamo creduto

d’avere imparato qualcosa dai disastri del 20° secolo?Ci sono certamente molte ragioni. Ne cito due, unopsicologico e uno politico. Il nazionalismo sembra dareforza alla gente, molti pensano di poter resistere così in unmondo complesso e complicato. Nel mondo dei media nonsi distinguono più i messaggi veri da quelli falsi, e ciò creadisorientamento. Il nazionalismo sembra dare stabilità aquelli che si sentono impotenti, piantati in asso eabbandonati dalla politica. I più deboli pensano di non averepiù voce di fronte alla politica e quindi hanno paura diperdere qualcosa e non essere più in grado di mantenere lo

Steyr è una cittadina di circa 40 mila abitanti a pochi chilometri da Mauthausen, dove vi era unsottocampo del lager principale e nelle cui vicinanze morirono durante la tremenda “marciadella morte” ai primi di aprile del 1945 GuidoValota, padre di Peppino presidente della sezioneAned di Sesto San Giovanni- Monza, e l’ingegner Pericle Cima. Nel cimitero della cittadina vi è una lapide chericorda i due deportati morti, ma anche una fossa comune dove sono seppellite le ceneridei 350 morti nel lager.

E un altro monumento ricorda i 60 “internatimilitari” italiani morti bruciati vivi nel bombardamento della fabbrica dove erano rinchiusi e costretti a lavorare.

Da 28 anni a Steyr opera un Comitato per nondimenticare gli orrori che, tra l’altro, ha realizza-to un bellissimo museo e ha recuperato le galleriecostruite dai deportati dove si svolgono visite guidate per i ragazzi delle scuole.

Da molti anni durante l’annuale pellegrinaggio a Mauthausen, la delegazione dell’Aned di Sesto-Monza organizza una visita a Steyr.

“Tanti non capiscono più il mondo”

Presidente del Mauthausen Komitee Steyr

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standard di vita precedente. Hanno un forte desiderio diappartenenza sociale e chiedono risposte chiare.Non si impara dal nazionalismo ma dall’internazionalismosi. Le parole benevolenza, umanità e tolleranza non sonovincolate a nessuna nazionalità, non sono limitate ad unanazione o a un paese o a una lingua. Essere vicino all’uomoè una lingua capita in tutto il mondo.L’internazionalismo, la solidarietà, la convivenza pacificaunisce: il motto delle nostre celebrazioni di quest’anno èquesto.

Steyr è una città che ha sempre avuto collegamentiinternazionali: 500 anni fa, al tempo della Riforma, lemerci da Steyr sono finite in molti paesi d’Europa,

anche a Venezia. Steyr è una città che ha molti ponti checollegano i vari quartieri. Potremo vedere questi ponti oggi,come un simbolo che divide o invece come simbolo diunione?In quel tempo – il 5-6 aprile 1945 - Guido Valota e PericleCima sono stati uccisi su uno di questi ponti, quello sulfiume Enns. Prima erano stati separati dalle loro famiglie epoi uniti, nella morte, su un ponte di Steyr. Nella memoria enel cuore sono legati a voi. Oggi li ricordiamo, e con loroCesare Lorenzi, che era nel lager di Steyr ed è morto aMauthausen.Sappiamo che siamo legati a loro,nella lotta per la democrazia,nel nostro impegno per la dignità umana,nella costruzione dei ponti per altre persone.Sappiamo che siamo legati a loro,nel pensiero internazionale,nell’attraversamento delle frontierenell’impegno per la libertà.

Li onoriamo con fiori e candele.Li onoriamo perchè non dimentichiamo.Li onoriamo perché ci adoperiamo per un mondo migliore epiù onesto.La memoria di Guido Valota, Pericle Cima e CesareLorenzi ci darà la forza di costruire insieme un mondomigliore

Il ricordo nellacittà dei ponti

Steyr, dal lageralle vittime.

Karl Ramsmaier all’inaugurazione della “galleria dellamemoria” a Steyr

Steyr, la città dei ponti. Eccone uno costruito con la fatica dei deportati nella foto del 13 dicembre 1943. Li vediamo in basso il 24 giugno del 1944 durante la visi-ta del gerarca August Eigruber (al centro) col ministro della guerra del Reich, Albert Speer.Festeggiano il programma tedesco di Hermann Goering.

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Anche quest’anno a maggio,come ogni anno, ho avutol’onore di suonare il mio

violino in ricordo delle vittime delnazifascismo nei luoghi tristementenoti di Hartheim e Mauthausen.Ormai da almeno un decennio e forsedue, coordino la parte musicale cheaccompagna il “viaggio istituzionale”di maggio del Comune di Sesto SanGiovanni, Monza, Cini sello Balsamo,Mug giò e Bresso organizzatodall’Aned Sesto-Monza edall’associazione Ventimi la Leghe.Gli anni passati ho avuto comecompagni di viaggio numerosimusicisti, gli allievi della CivicaScuola di Musi ca di Sesto SanGiovanni, poi un quartetto d’archi, untrio musicale composto da duechitarre, voci e violino, mio figlio checantava, un duo chitarra e violino colmaestro Alex Aliprandi che è statopresente per numerosi anni equest’anno, grazie al preziosocontributo dell’Aned Nazionale,un’amica e collega violoncellista,Prisca Novella.

Èstato importante che l’Anednazionale abbia creduto nelnostro progetto, ossia nella

irrinunciabile presenza della musicanei campi di concentramento. Noimusicisti abbiamo così vissuto unastraordinaria esperienza. La mia collega Prisca ha portato consé tutta la sua numerosa e felicefamiglia e insieme ai familiari dellevittime, alle Istituzioni, le delegazioniAned di Milano e di Imperia lenumerose scuole con i suoi studenti il

sabato 6 maggio abbiamo riempito ilcortile interno di Hartheim e suonatodurante la cerimonia con tantaemozione e commozione.Abbiamo eseguito il Pre ludio diHaendel, Adios Nonino di AstorPiazzolla e a chiusura il Preludio diSchostako witsch.

Il 7 maggio invece io e Priscaabbiamo suonato all’interno dellacappella di Mauth au sen come

momento di raccoglimento a chiusuradel nostro viaggio e con un “Bellaciao” corale finale di tutti i presenti. “La musica nei lager ha avuto unruolo fondamentale nell’esaltazionedell’orrore e nell’annientamento delladignità umana. Nei campi si suonavaspesso scandendo il ritmo dellagiornata, durante le adunate, ninnananne cantate ai bambini mentrevenivano condotti nelle camere a gasma soprattutto quando un’orchestrinacostituita da detenuti oppure da unsingolo accompagnava il detenuto nelcosiddetto “Tango della morte”.Questo fatto distruggeva la dignità e

la totale personalità dell’individuo.Allo stesso modo però fu vista daidetenuti come un modo perstemperare l’odio, ricordiamo infattila numerosa produzione musicalestraordinaria composta nei lager nellecondizioni più estreme.”

Noi, suonando nel loro ricordo,cerchiamo di ridare voce,anima e corpo a tutti coloro

che hanno subito le atrocità e l’orroredei lager. Non è, e non lo è stato glianni scorsi, un compito facile,l’emozione è tanta, forte, t’invade ecome ha detto Prisca, “all’interno diHartheim è come se fossi stata dighiaccio”, ti sale il gelo nella schienae ti blocca. Ma sono sicura che i nostrimorti erano lì con noi e hanno sentitoforte la nostra presenza.Voglioesprimere un mio pensiero personale,essendo nipote di Guido Valota,violinista, deceduto in una marcia ditrasferimento verso Mauthausen nellacittadina di Steyr: non ho avuto mai ilpiacere e l’onore di conoscerlo, maogni anno, suonando in questi luoghi,ho la sensazione quasi di potergliparlare col nostro linguaggio, quellodelle note.

Sono sicura che lui mi ha sempresentito e mi ha dato la forza intutti questi anni di proseguire in

questo cammino.Grazie nonno Guido

Mariela Valota

Suonare il violino e parlare col linguaggiodelle note, adHartheim e aMauthausen, innome del nonno

Irrinunciabile presenza della musica nei campi di concentramentoMarielaValota e NovellaPriscanel cortiledel castellodiHartheim,(sotto)

Le cerimonieinternazionaliper il 72° anniversariodella Liberazione

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Il lavoro di ricerca è ancora in corso, ma possiamo dire che già oggi risulta che i deportati politici italiani sono stati ben più di mille

Tutti i nomi dei deportati politici italiani ad Auschwitz

Lo dicono i componenti dellacommissione dell’Aned che staportando avanti il lavoro di con-

fronto e di scoperta delle fonti, siaquelle consolidate, sia quelle reperi-te appositamente, per individuare concertezza quanti e chi fossero i politi-ci italiani finiti nel campo in Polonia.Si tratta di un impegno che l’Aned haassunto dopo che il governo polaccoha imposto di cambiare il nostroMonumento ad Auschwitz e che si èaperta dunque la necessità di decide-re come sostituirlo. Come noto, da unpaio d’anni la Presidenza del Consigliodei Ministri, titolare della responsa-bilità davanti al Museo e al Governopolacchi, ha istituito una Commissionedella quale fanno parte rappresentantidei ministeri degli esteri, della cul-tura e della pubblica istruzione, delCedec, dell’Unione delle Comunitàebraiche, dell’Aned e della Fonda -zione Memoria della Deporta zioneper studiare il progetto del nuovo mo-numento italiano ad Auschwitz. Tra le decisioni assunte in questi me-si sul nuovo allestimento vi è purequella di scrivere nel Blocco 21 i no-mi dei deportati italiani. Il Cedec el’Unione delle Comunità stanno ap-profondendo il lavoro per individua-re i deportati ebrei, partendo dal Librodella Memoria di Liliana Picciotto;l’Aned si sta occupando in partico-lare di quelli finiti nel complesso diAuschwitz-Birkenau per motivi po-litici.Si è visto che un gruppo consistentedi italiani sono in realtà italiane. Molteprovenienti dal Friuli Venezia Giulia,a causa soprattutto della volontà deinazisti di colpire la popolazione diorigine slava. Ma tante deportate era-no anche operaie di varie fabbrichelombarde, lavoratrici che erano state

tra le animatrici degli scioperi delmarzo ’44 che bloccarono le indu-strie nel milanese. Un numero importante di prigionie-ri poi fu spostato ad Auschwitz daMauthausen con il grande trasporto del1 dicembre 1944. Si tratta di circa 160operai specializzati che vennero ca-ricati in condizioni tremende sui car-ri bestiame insieme ad altre 900 per-sone di varie nazionalità. Un trasportoin qualche misura strano, oltre cheparticolarmente duro, dato che av-venne nel mezzo di un inverno fred-dissimo, su linee ferroviarie spessointerrotte dai bombardamenti, quan-do ormai la guerra volgeva al termi-ne e il lager di Auschwitz, che si sa-peva presto sarebbe stato raggiuntodalle truppe alleate, stava per essereabbandonato per spostare tutto inGermania. Molto probabilmente i 160 operaispecializzati italiani di quel traspor-to da Mauthausen vennero scelti pro-prio per le loro qualifiche professio-nali, per essere utilizzati nello smon-taggio delle strutture del lager. Loprova, tra l’altro, il fatto che gli elen-chi di quel trasporto sono suddivisiproprio in base alle professioni deiprigionieri. Il lavoro di ricerca dei deportati po-litici italiani ad Auschwitz - nel qua-le si è impegnato in particolare ungruppo di volontari della sezione Aneddi Sesto San Giovanni-Monza coor-dinati da Giuseppe Valota e LauraTagliabue - continua e ormai siamoalle battute finali. Si tratterà poi discegliere come scrivere nel nuovo al-lestimento del Blocco 21 quei nomi,in modo che restino a ricordo dellatragedia. Anche di questo si occuperàla Commissione istituita a PalazzoChigi.

IL SIToANED SI ÈRINNo-VATo

Il sito Aned che di solito visi-tate

www. deportati. itè uno dei più vecchi siti ita-liani; uno dei pochi ininterrot-tamente attivi fin dall’autun-no del 1997. L’Associazione degli ex de-portati nei campi nazisti ave-va infatti un proprio sito mol-to prima che nascesseroFacebook, Twitter, Google oYoutube. E l’ha sempre man-tenuto vivo e aggiornato, sen-za interruzioni, in tutti que-sti anni.Ci portiamo dietro il bagagliodelle informazioni presenta-te in questi due decenni di la-voro; manteniamo sostan-zialmente invariata la vestegrafica e l’organizzazione deicontenuti. Confermiamo e rinnoviamola capacità del sito di ade-guarsi automaticamente allostrumento usato per consul-tarlo, sia esso un monitor datavolo, un pc portatile, un ta-blet o anche uno smartphone.

IT

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Èmorto, la mattina del1° luglio a Mi la no,Ibio Paoluc ci, diretto-

re di questo giornale.Avrebbe compiuto a giorni91 anni.Ibio non ha retto alla mortedella moglie Ga briella, com-pagna di una vita, scompar-sa due settimane fa.Ibio era entrato nella reda-zione del nostro giornalequasi vent’anni fa, nel 1999,con un gruppo di giornalistiin maggioranza provenien-ti dall’Unità, e nel frattem-po a loro volta scomparsi:Sergio Banali, BrunoEnriotti, Ennio Elena e di-versi altri.Nato a Castiglione dellaPescaia (Grosseto) nel 1926,emigrato con la famiglia gio-vanissimo a Sestri Ponentee, interrotti gli studi dopo laseconda “Avviamento”, do-

po una breve esperienza co-me garzone di un gelataio,entrò a 14 anni all’AnsaldoFossati con la qualifica di“scaldachiodi” addetto allalinea di produzione del pic-colo carro armato italianoM13.La fabbrica fu coinvolta nelgrande sciopero del 9 giugno1944, che coinvolse tutti imaggiori stabilimenti del-la provincia. Il lavoro non riprese che il14 giugno: fu a questo pun-to che si scatenò la feroceazione punitiva, un’auten-tica caccia all’uomo orga-nizzata dai nazifascisti. Ben1.488 furono i lavoratori ge-novesi deportati il 16 giu-gno, con destinazione i ter-ritori del Terzo Reich.Anche Ibio, con molte cen-tinaia di operai arrestati quelgiorno, fu portato in un cam-

po di lavoro forzato inPolonia, dove fu alla fine li-berato dall’ Arma ta Rossaall’inizio del 1945. Non ave-va neppure 18 anni.Sulla via del ritorno transitò,mentre ancora più a occi-dente infuriavano le ultimesanguinose battaglie in ter-ritorio tedesco, per unaVarsavia distrutta e annien-tata, di cui diede in alcuniscritti una efficace quantodrammatica descrizione.Tornato a Genova, impe-gnato nella commissioneCultura della federazionecomunista, conobbe attori,

registi, musicisti, intellet-tuali di fama, mentre da au-todidatta proseguiva una for-mazione culturale che loportò a diventare un profon-do conoscitore del mondodel teatro, dell’arte figura-tiva - il suo preferito fu sem-pre Piero della Francesca,per lui semplicemente“Piero” - e della musica clas-sica, campo in cui padro-neggiava uno sterminato re-pertorio.Di lì al giornalismo il passonon fu difficile. Iniziata lacollaborazione con l’Uni tàgenovese come critico tea-

Mentre questo giornale stava per andarein stampaci è giunta, imprevista, la notizia della scomparsa del direttoreIbio Paolucci

Ci ha lasciati Ibio Paolucciera direttore di Triangolo Rosso

Ultima ora

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trale entrò dopo un breve pe-riodo stabilmente nella re-dazione come cronista. Di lìpassò alla redazione diMilano, quando l’edizioneligure del giornale fu chiusa.Cronista giudiziario punti-glioso e informatissimo se-guì tutti i principali proces-si dagli anni Sessanta inavanti, da quello per lo

“scandalo” del giornalinostudentesco La Zanzara fi-no a quelli del periodo delterrorismo, a cominciare daquello per la strage di piaz-za Fontana.Per questo suo lavoro fu piùvolte gravemente minac-ciato, ma fu fermissimo nelrespingere la proposta chegli avanzarono a più ripre-

Dal libro di Ibio Paolucci“Storia di uno scaldachiodi”

Dopo qualche mese, avendo superato i 14 anni,entrai all’Ansaldo Fossati come scaldachiodi,guadagnando 1,06 lire all’ora e dunque 8,48 lorde

al giorno, che raggiungevano, più o meno, le stesse 120lire nette al mese della gelateria. Però, in fabbrica, agliocchi dei miei genitori, la situazione appariva migliorata,intanto perché percepivo l’assistenza mutualistica e lemarchette dell’assicurazione, poi perché potevo contarein un futuro migliore. Ricordo con tenero divertimento ilprimo giorno, quando mi presentai al “maestro”, cosìveniva chiamato, vestito abbastanza bene e conaddirittura la cravatta, in un ambiente che più polverosoe sporco era difficile trovare.

Però quell’operaio mi guardò un po’ sbalordito, manon mi prese in giro come sarebbe stato del tuttolegittimato fare. Mi disse, tuttavia, con garbo, che

sarebbe stato meglio che mi togliessi la cravatta e che ilgiorno dopo venissi indossando la tuta che a Genova sichiamava “toni”. E così feci. Il gruppetto di cui facevoparte era costituito da tre persone: da me che porgevo,uno alla volta, grossi chiodi fatti arroventare nella forgia,a un operaio, che, dopo averli infilati in un buco, liteneva fermi con una mazza di ferro e dal “maestro” cheli ribatteva. Il prodotto dove si mettevano i chiodi erauna lastra di ferro che poi veniva montata sui carriarmati M13, scatole di sardine come venivanocomunemente chiamati. Dal gruppetto ero considerato un personaggio anomalo,

non soltanto per via della cravatta del primo giorno, maanche perché non parlavo il dialetto, non per una formadi snobismo, ma semplicemente perché ero un toscano,che capiva perfettamente il dialetto genovese, ma cheparlarlo era un’ altra faccenda. Comunque la mia carrieradi scaldachiodi non durò a lungo, ma in compensocontribuì ad un miglioramento tecnologico di quellafunzione. Capitò, infatti, che una mattina, mentre facevoi soliti movimenti, caddi a terra svenuto per via delleesalazioni del carburo, male distribuito, evidentemente,nella forgia. L’incidente preoccupò i dirigenti dellafabbrica, che provvidero a cambiare quel vecchio arnesecon una macchina più moderna, di fabbricazione tedesca,del tutto elettrica. Nella nuova macchina c’era una morsache teneva fermo il chiodo che, in pochi minuti,diventava arroventato. Così tutto era più pulito e menopericoloso.

Ma prima di chiudere questo capitolo della miavita, diciamo così, operaia, mi piace ricordareun episodio che colpì non favorevolmente da un

punto di vista politico, l’intero stabilimento. Venneportato, infatti, in un capannone un carro armato inglese,catturato nel deserto, per essere studiato. Un colossoquello inglese e un nanerottolo l’M13 italiano. Eraproibito vederlo, chiuso in un capannone, ma quasi tuttigli operai lo videro e rimasero a dir poco sbigottiti. Si eraallora in qualche mese della prima metà del 1942, e tutticapirono come sarebbe finita la guerra. Altro che vinceree vinceremo. Lo spettacolo dei due carri armati affiancatiera peggio di una battaglia perduta. Avreste dovutosentire gli sghignazzanti commenti dei lavoratori. Perl’Italia di Mussolini era la fine, non c’era più scampo.

Un M13, “scatola di sardine” come venivacomunemente chiamatoquesto carro armato difabbricazione italiana. Ibio, che aveva appenasuperato i 14 anni eraaddetto alla fucina chescaldava i “chiodi”, cilindri di metallo che,arroventati, venivanoinfilati nei fori per serrare travi o lamiere di metallo.

se le Procure e la Questura difarsi assegnare una scorta.Non avendo la patente di gui-da continuò a utilizzare imezzi pubblici in una cittànella quale i ferimenti e gliassassinii erano all’ordinedel giorno.Per molti anni fu il respon-sabile della sezione del PCIche riuniva giornalisti e po-

ligrafici del giornale.Con la moglie Gabriella vi-veva in una casa piena di gat-ti e di libri, sempre avvoltanella musica.Quando per motivi di lavo-ro Dario Venegoni dovettelasciare, dopo 8 anni, la di-rezione del Triangolo Rosso,Gianfranco Maris chiese alui e a un gruppetto di ex

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Dal libro di Ibio Paolucci“Storia di uno scaldachiodi”Il 16 giugno 1944, la granderetata di Sestri Ponente

Il 16 giugno 1944 è il giorno della grande retata deglioperai a Sestri Ponente, quartiere di Genova,destinazione Germania, per lavori coatti. L’operazione,

organizzata nei minimi dettagli dai tedeschi, scattò primadell’uscita pomeridiana dei lavoratori. Oltre un migliaio dioperai, ed io fra questi, rimasero intrappolati all’internodelle diverse fabbriche circondate dai soldati dellaWehrmacht, che poi furono obbligati a salire sui moltimezzi di trasporto fatti pervenire sul posto. Lì per lì, devoconfessarlo, non mi resi del tutto conto di ciò che mi stavacapitando. Mi sembrò, anzi, una ripetizione alla grande diciò che mi era successo un anno prima, verso la fine disettembre o i primi di ottobre del ’43, quando,passeggiando con l’amico Giuliano Frosini, nella viacentrale di Sestri, in rapidissima successione, mi vidi

piombare quasi addosso un camion tedesco, dal quale sceseroal volo alcuni militari, mitra spianati, che iniziarono aprelevare dieci persone, che poi risultarono undici, facendolesalire a forza sul camion per portarle infine nel vicino castelloRaggio, sede di un Comando nazista, posto in riva al mare.

Una volta dentro, un ufficiale delle SS ci fece sapereche noi eravamo lì in qualità di ostaggi, precisandoche il nostro prelievo era avvenuto a causa di un

attentato ad un sottufficiale tedesco, rimasto feritogravemente, aggiungendo che nel caso si fosse verificato unaltro episodio del genere, noi saremmo stati fucilati. Siccome,però, nella furia anziché dieci ne erano stati fermati undici,uno di noi, a nostra scelta, poteva tornarsene a casa. Il piùgiovane o il più vecchio? Io, che allora avevo 17 anni, ero ilpiù giovane, ma la scelta cadde sul più anziano. Comunque la vicenda ebbe un lieto fine. Il tutto durò unasola notte. All’indomani, verso mezzogiorno, il solitoufficiale tornò da noi per dirci che erano state fatte rigoroseindagini, dalle quali risultava che noi eravamo persone deltutto estranee ad ogni forma di terrorismo, per cui potevamotornare da subito alle nostre abitazioni, con laraccomandazione di dire a tutti che i tedeschi ciconsideravano come fratelli, con l’auspicio che gli italianitornassero a collaborare con l’amica Germania.

Una fotografia del 1942della piazza di Starogard, la piccola cittadina polaccadurante una parata delletruppe di occupazione nazi-ste. Fanteria e reparti acavallo, con la banda (dispalle in primo piano) e glialti ufficiali che dirigono lacerimonia. Lo scarso pub-blico di cittadini assiste infondo alla piazza. Ibio era stato deportato qui nel giugno del 1944.

La scomparsa di Ibio Paolucci

giornalisti dell’Unità (SergioBanali, Bruno Enriotti,Ennio Elena e diversi altri)di assumere la responsabi-lità della redazione. A quelnucleo si aggiunsero subitoaltri giornalisti di grandeesperienza, come FrancoGiannantoni, Pietro Ramella,molti, molti altri.E così dal 1999 fino al gior-no della sua morte Ibio hafatto parte della redazione, daultimo con la qualifica di di-rettore.A Ibio l’Aned devemolto, per tutti gli anni di

impegno professionale se-rio e appassionato, svoltocon partecipazione, nellospirito del più puro e disin-teressato volontariato. È perquesto che oggi inchiniamole nostre bandiere nel suo ri-cordo, compagno generosoe maestro di valore.Per sua convinta ed esplici-ta decisione non c’è stato al-cun funerale. L’Aned e laFondazione Memoria dellaDeportazione organizze-ranno un suo ricordo il pros-simo settembre a Milano.

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Questa volta, però, le cose erano molto diverse. Dirientrare a casa non era neppur il caso di pensare.Tornò, invece, subito alla mente il discorso che un

alto gerarca fascista aveva fatto agli operai dell’AnsaldoFossati un po’ prima di quel giorno il cui succo era che seavessimo messo in atto un altro sciopero, il nostro destinosarebbe stato quello di essere deportati in Germania. Pertutta risposta qualcuno fece scattare la sirena d’allarmecon la conseguenza di un fuggi fuggi verso il rifugioantiaereo, mentre il gerarca urlava che ce l’avrebbe fattapagare cara. Tornando a quel pomeriggio del 16 giugno,fummo portati in una stazione periferica delle ferrovie,forse Campi, dove fummo fatti salire su un treno, cheprese il via dopo una pausa di qualche ora. I vagoni,almeno quelli del convoglio dove ero io non eranoblindati. Il treno, però, era scortato da numerosi soldati,armati di mitra.

La prima tappa, brevissima fu un po’ dopo Milano,dove sentimmo una sventagliata di mitra, di cui noncapimmo né la provenienza né il perché. Qualcuno

disse che si era trattato di un tentativo di fuga da unvagone lontano dal nostro, stroncato sul nascere. Altratappa, assai più lunga, a Innsbruck, dove ci venneconsegnato un po’ di cibo, se ben ricordo un pezzo dipane nero con del salame e qualche bottiglia d’acqua.Uno di noi che masticava il tedesco cercò di sapere qualefosse la nostra destinazione, ma non ebbe risposta. Il trenoquindi riprese il via e dopo numerose fermate, nonrammento quante, terminò la corsa a Gotenhaven, laGdynia polacca, la città dei cantieri navali vicina aDanzica. Qui, riuniti in un grande salone, venimmo rasatiin tutte le parti del corpo. Poi ci fu la selezione. Gli operai,che erano la stragrande maggioranza, da una parte e unpiccolo gruppo, di cui venni a far parte, senza arte néparte, che fu destinato, diciamo così, all’agricoltura.

Rimessi in treno, fummo sbarcati a Stargard, lapolacca Starogard, una piccola cittadina, nonlontana da Danzica. A me toccò di andare a fare il

servo presso un piccolo proprietario in un villaggio che sichiamava Lichtenthal. A Starogard, incancellabile nelricordo, si verificò un episodio di solidarietà straordinario.Noi, una ventina in tutto, eravamo riuniti in ungiardinetto, in attesa della definitiva destinazione. Fuallora che due ragazze polacche si intrufolarono in mezzoa noi, chiedendo se c’era qualcuno che parlava il francese.

Mi feci avanti e le due ragazze, che erano sorelle, miconsegnarono un pacco, con dentro pane e salciccia. “C’estpour vous”, dissero. Il soldato di guardia, stranamente, lasciòfare, voltandoci le spalle. Le due ragazze mi dissero cheerano state a lungo in Francia, dove il padre era emigrato eaveva lavorato come minatore. In Polonia erano rientratipochi mesi prima dello scoppio della guerra.

Destinato ad un piccolo proprietario, che si chiamavaUgo Wraase, un nazista sfegatato col figlio nelle SS,arrivai sul posto di sera e fui sistemato in una casetta,

dove alloggiava la famiglia polacca dei Narbroski, giàpadroni della proprietà, padre, madre e figlia ventenne, chesi chiamava Genia, e un ragazzino, Josef, capitato lì, dopoessere rimasto orfano. Il lavoro, fin dal primo giorno, miparve durissimo. Dall’alba, che essendo in piena estate,arrivava prestissimo, al tramonto, che per le stesse ragionistagionali, giungeva tardissimo. In compenso si mangiavamolto meglio che a casa, a Genova, dove era tutto razionatoe largamente insufficiente.

Lì, invece, era abbondante la colazione con pane, latte emarmellata. Buonissimi sia il pranzo e la cena,preparati da Genia. Inoltre, essendo in campagna,

erano del tutto assenti i bombardamenti aerei . Il lavoro peròera estenuante. Epperò, fosse durato fino all’arrivo dei russi,avrei sicuramente imparato il tedesco e non avrei patito né ilfreddo né la fame, di cui, invece soffrii allo spasimo nelcampo di concentramento dove fui trasferito un po’ primadell’autunno. Nel lager, dove eravamo costretti a scavare ipanzergraben (fosse anticarro), il lavoro era, tutto sommato,meno duro, ma il cibo consisteva in una brodaglia dove, seandava bene, si trovavano due o tre pezzetti di patata e allasera una fettina di pane maleodorante, che somigliava alfango, e un minuscolo pezzo di cosiddetta salsiccia. Il lavoroera ovviamente all’aperto, temperatura che quasi sempresegnava i venti gradi sotto zero. Per coprirci avevamo unasola coperta che ci serviva per dormire e per ripararcimalamente dal freddo. Per di più in quelle infelicicondizioni, quasi tutti fummo colpiti dalla dissenteria emitragliati dai pidocchi, che, appena entrati di sera nellabaracca, si svegliavano per tormentarci senza sosta. Ma io,allora, avevo appena diciotto anni e, nonostante tutto,cadevo subito nel sonno come un sasso. Per fortuna il tuttonon durò molto. Alla fine di gennaio o ai primi di febbraioarrivò Ivan (così i tedeschi chiamavano l’Armata Rossa) afarci tornare uomini liberi.

Paolucci, in prima filaaccanto a FlorianaMaris durate i lavori delXV congresso dell’Aned. Foto a destra: l’interven-to di Gianfranco Maris,con accanto GiuseppeCeretti, oreste Pivetta,Bruno Enriotti e Ibio Paolucci alla presentazione, inFondazione, del libro di Ibio“Un luogo, una storia”.

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Si è aggiunta una parte “veneziana” alla mostra sul campo di Bolzano “oltre quel muro”

Donne venete che si impegnarono nella Resistenza: “triangoli rossi” catturate e deportate al campo di Bolzano

NoTIzIE

Sono tre i pannelli che l’Iveser, insieme ad altri attori ve-neziani, hanno voluto aggiungere alla mostra dellaFondazione Memoria della Deportazione sul campo di

Bolzano. Si è voluto ricordare alcune donne venete passa-te da quel campo.

Ida ed Ernesta, veneziane, dalla parrocchia al lagerIda D’Este (1917-1976), staffetta di collegamento, con ilno me di battaglia “Giovanna”a fine febbraio ‘43 è deportatanel lager di Bolzano, dove rimane fino alla Liberazione, ob-bligata a lavorare in una fabbrica di cuscinetti a sfera e a la-vare la biancheria dei soldati e delle prostitute del campo.Ernesta Sonego (1920-1977), la staffetta “Erne”, amicad’infanzia di Ida, è al suo fianco. Trovata in possesso didocumenti falsi destinati a ebrei e a partigiani arriva aBolzano nel ‘44. Allorché la partenza per un campo di con-centramento in Germania sembra prossima, il 26 dicem-bre, con la compagna di prigionia, la bellunese AlbertinaBrogliati (1924-1985), riesce a fuggire dal campo, grazieall’aiuto di conoscenti locali.

Il marito è già in Germania, lei a Sant’ElenaMaria Raicevich, nata nel 1913 a Buenos Aires, nel ’43abita a Venezia, a Sant’Elena, con il figlio di 3 anni Enrico(Ico). Il marito Luigi Zannier, ufficiale degli alpini, dopol’8 settembre viene catturato e deportato in Germania. Leia Venezia inizia a svolgere attività clandestina. Maria è ar-restata dalla SS tedesca il 10 agosto ‘44 e deportata nelcampo di concentramento di Bolzano.Riesce a fuggire. Viene spedita con un camion a Milanodove vive in clandestinità e lavora per il CLN nella BrigataMatteotti. Dopo la Liberazione rimane a Milano a colla-borare con l’Ufficio Politico. Torna a Venezia nel maggiodel 1945. Il suo bambino non la riconosce e si spaventa al-la vista di quella estranea con un cappotto da uomo e i ca-pelli tinti. Passano altri mesi prima che Luigi ritorni, si ten-gono in contatto epistolare. Finalmente a settembre la fa-miglia si riunisce. La guerra è davvero finita.

La famiglia Pianegonda, tutti deportatiLa famiglia Pianegonda viveva a S. Antonio di Valli delPasubio, nell’Alta Val Leogra. La casa dei Pianegonda fuluogo ospitale e punto di incontro per riunioni clandestinedella Resistenza, nella quale tutta la famiglia era coinvol-ta. Tra il dicembre ‘44 e il gennaio ‘45, quasi tutti i componentidella famiglia Pianegonda vengono arrestati e deportati aBolzano: la madre, Maria Bariola Bon, il fratello e la sorelladi Maria, le tre figlie, Adriana “Kora” (1924-2009), Wally“Kira” (1926-2012), Noemi “Piccola” (1930). Cercano ilfiglio Walter “Rado”, vicecomandante della brigata Pasubianache da Bolzano sarà trasferito a Dachau. Nella tarda pri-mavera del ‘45 i Pianegonda riescono tutti a tornare.

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Da Eboli a Torino, da Genova aVenezia: i 70 delegati del -l’Associa zione nazionale ex de-

portati si sono trovati per un fine setti-mana a Empoli per partecipare al con-siglio nazionale. La Misericordia ha concesso il propriosalone per ospitare i lavori in program-ma sabato 25 e domenica 26 marzo.I membri del consiglio, giunti in Toscana,hanno fatto una visita all’Opificio del-le Pietre Dure a Firenze e poi in serata iltrasferimento a Empoli.Nell’occasione le famiglie degli ex de-portati e i membri del consiglio hannoavuto modo di fare alcune escursioni incittà. All’ex ciminiera Taddei è stato de-posto un mazzo di fiori per ricordare i 55empolesi, tra cui 26 operai della ex fab-brica, deportati dai nazi-fascisti l’8 mar-zo ’44. Poi appuntamenti al Museo delVetro, alla Pinacoteca e in altri luoghiculturali simbolo della città.La memoria storica, con la presenzadell’Aned nazionale, si rafforza nellacittà di Empoli: proprio quest’anno èstato rinnovato il gemellaggio, avvenu-to 20 anni fa, con Sankt Georgen an derGusen, cittadina austriaca che ospitò uncampo di concentramento. Eventi, storie e commemorazioni per‘investire in democrazia’, come titola ilprogetto nelle scuole empolesi, e riaf-fermare il “mai più”.

Elia Billero

Empoli ha ospitato il Consiglio nazionale Aned: un altro passo verso la memoria

Eventi, storie e commemorazioni per ‘investire in democrazia’, come titola il progetto nelle scuole empolesi, e riaffermare il “mai più”

I lavori del ConsiglioNazionale dell’Aned adEmpoli con DarioVenegoni (al centro) e conaccanto la presidente ono-raria Vera MichelinSalomon, Tiziana Valpiana,Marco Balestra e EleonoraCaponi assessore allaCultura con speciale dele-ga sulla Memoria.Al centro pagina uno scor-cio dei delegati.

Furono depor-tati nei campidi sterminionazisti, l’8marzo 1944,ben 55 cittadi-ni di Empolitra cui 26 ope-rai delle exVetrerieTaddei. Qui unricordo di anniprecedenti.

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Si è chiusa l’edizione 2017 dell’esperienza organizzata d  

Un’intera provincia, Reggio Emilia, coinvolta: famiglie e scuole dall’Appennino al Po, dal liceo al professionale

Ragazze e ragazzi in esplorazione in una delle cittàpiù vitali del mondo, un tempo capitale del nazi-smo, luogo di dolore come di modernità, propa-

ganda e riflessione.

Tornano a casa da Berlino con tante storie e tante emo-zioni da macinare e da elaborare, i mille e cento stu-denti delle scuole superiori di Reggio Emilia coinvoltinell’edizione 2017 del Viaggio della Memoria organiz-zato da Istoreco.

È uno dei viaggi più solidi a livello nazionale e uno deiprincipali per capacità di coinvolgimento: tutte le scuo-le superiori hanno partecipato, e per il sesto anno di fi-la le presenze sono sopra al migliaio. E oltre l’80% deicosti è pagato dalle famiglie, testimonianza di un inte-resse forte per il progetto.

La meta: Berlino, centro del nazismo e oggi capitale di interesse mondiale

Nel 2017 il fulcro del Viaggio era Berlino, non vista solocome centro del potere e della comunicazione nazista, maanche come luogo di resistenze. Resistenze che spesso nonsono state riconosciute: nel 2017 il lavoro di Istoreco si èinfatti concentrato sugli Imi, i deportati militari italiani,oltre 600mila soldati che, dopo l’armistizio, non accetta-rono di arruolarsi nelle Ss italiane, prima, e nella Rsi, do-po. Non volevano più combattere, e pagarono prezzi al-tissimi, con la deportazione, anni di lavori forzati e di schia-vitù uniti a maltrattamenti e disprezzo. Loro non erano so-lo “schiavi”, erano i traditori di Badoglio. Il cammino diavvicinamento al Viaggio ha visto quindi varie tappe. Unciclo di incontri in ogni singola classe, con approfondi-menti storici sulla guerra e sugli Imi, per iniziare.

Le pietre d’inciampo: in città e provincia per ricordare sempre

A Reggio Emilia sono state posate quindici nuove pietre d’in-ciampo, alla presenza dell’ideatore del monumento GunterDemnig, e molte di queste sono dedicate a Imi o a depor-tati civili morti in prigionia. Nel gennaio 2017 nella sina-goga cittadina è stata organizzata la mostra “I soldati chedissero No”, incentrata sulle vicende dei quasi 8mila Imireggiani, fra testimonianze e ricostruzioni postume. L’ultimoatto prima del Viaggio ha visto invece come graditissimaospite Mirella Stanzione, una delle pochissime italiane so-pravvissute alla detenzione a Ravensbrück, il principalecampo di concentramento nazista, costruito a nord diBerlino. La Stanzione ha incontrato tutti i futuri viaggia-tori in un bellissimo incontro nel teatro cittadino, dove haraccontato la sua esperienza di giovane deportata assiemealla madre, catturata come ostaggio per stanare il padre ei fratelli, componenti della resistenza a La Spezia.

NoTIzIE

Su uno dei pulmann che hanno portato 1100 studenti reg-giani. In basso: ad ogni tappa le motivazioni di MatthiasDurchfeld. A destra l’incontro con Mirella Stanzione nelteatro Municipale.

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d a Istoreco. Spazio alle storie dei deportati per non aver aderito alla Rsi

Non poteva poi mancarela Resistenza passiva degli Imi italiani

Tantissime classi a conoscere il memoriale ai deportati diSchoneweide, ex campo di lavoro nel bel mezzo di un quar-tiere operaio berlinese. Berlino ospita un curatissimo Museo della Resistenza in-terna che ricorda tutte le opposizioni a Hitler e al nazismo,dai primi tentativi degli anni ’20 alla nascita dell’OrchestraRossa, dall’attentato solitario del coraggioso operaio co-munista Georg Elser alla ben più celebrata OperazioneValchiria. Un programma sulla Resistenza che ha portatoanche in altri luoghi simbolo, come la fabbrica di PapaWeidt, dove un imprenditore tedesco salvò tanti bimbi di-sabili di origine ebraica. Senza contare gli apprezzatissi-mi affondi sulla storia del Muro e nello splendido museoebraico realizzato da Daniel Libeskind. Privilegi garanti-ti da una città in continua evoluzione chiamata Berlino.

L’ultimo atto vedeva le varie classi e le varie scuole ritrovarsi insieme

È stato un momento di confronto in cui chiunque poteva par-lare delle proprie emozioni. C’è chi ha letto, chi ha im-provvisato, chi ha cantato. Tutti lo hanno fatto in un bo-schetto a Treuenbrietzen, nella campagna al sud di Berlino,nei resti di una cava di sabbia che durante la guerra ha ospi-tato una fabbrica. Lì lavoravano tanti Imi italiani e solo lo-ro vennero uccisi a fine aprile 1945. I nazisti, ormai scac-ciati dai russi, tornarono al campo per vendicarsi dei “tra-ditori” italiani. Li separarono dagli altri prigionieri e li fu-cilarono. Erano 131 ragazzi, solo 4 sopravvissero, salvatidai corpi dei compagni. Fra i 127 caduti un reggiano dal no-me inequivocabile, Allenin Barbieri (nella foto in basso).A Cadelbosco, dove ha vissuto libero per l’ultima volta,ora c’è una pietra d’inciampo a suo nome.

La commemorazione di Allenin Barbieri è stata l’ occasione per un “gemellaggio” molto intenso.

Alla cerimonia hanno preso parte il sindaco e di-versi abitanti di Treuenbrietzen, fra cui un an-ziano insegnante di storia che, bambino, ricor-da chiaramente il periodo della fabbrica e del-le fucilazioni. Altri fatti testimoniano il legame reggiano-te-desco: Albinea è gemellata con la municipalitàberlinese di Treptow grazie al sacrificio di alcuni diserto-ri tedeschi nel 1944; Castelnovo Monti sta costruendo unlegame con Kahla, il luogo dove centinaia di montanari fi-nirono deportati. E ora Treuenbrietzen, un’amicizia che unisce nel nome delgiovane Allenin Barbieri

Adriano Arati

La deposizione della pietra d’inciampo a ricordo di AlleninA Treuenbrietzen dove vennero giustiziati 127 IMI ita-liani (ne parliamo a pagina 22). In alto a Sachsenhausen,lager aperto nel ‘36, nei giorni delle olimpiadi.

Il viaggio vero e proprio a Ravensbrück e Sachsenhausen. Quest’ultimo era un lager aperto nel 1936 e spesso in-dicato come modello per il sistema concentrazionario tedesco. Fra i momenti più apprezzati, quelli allo Stadioolimpico, perfetto esempio della visione e dell’abilità propagandistica del nazismo. Il viaggio non si è ancora fer-mato e già iniziano i lavori per l’edizione 2018, che porterà a Cracovia e Auschwitz.

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Busto ricorda il suo concittadino, nato in Ungheria, che salvò numerose vite di ebrei grazie ad una rete clandestina.

Un ulivo e una targa per ricordare il “giusto” ungherese Aladar Habermann 

La città di Busto Arsizio (Varese) ha dedicato un uli-vo e una targa alla memoria in onore di AladarHabermann, medico ungherese, che visse a Busto

Arsizio, ebreo convertito, che durante la Resistenza misein salvo decine di ebrei e perseguitati politici. Il dottorHabermann dal 1933 al 1939 prestò servizio volontario oc-cupandosi soprattutto dei più poveri, un’attenzione ai piùbisognosi che ha caratterizzato tutta la sua vita. A Busto Arsizio ci arrivò, dopo un breve periodo a Vienna,

dall’Ungheria, cacciato dal regime deldittatore filonazista Horty, e qui co-minciò ad esercitare la sua professioneconvinto che Mussolini avrebbe man-tenuto fede alla promessa di non perse-guitare gli ebrei. A partire dal ’38, conl’entrata in vigore delle leggi razziali,cominciarono per lui i problemi anche a Busto. Estromessodall’ospedale, nonostante la conversione al cattolicesimoe all’unione matrimoniale con Rosa De Molli, dovette in-gaggiare una battaglia legale col Ministero della razza perpoter rimanere in Italia. La sfida, venne vinta nel ’41 quan-do fu riabilitato con pieni diritti civili mentre, grazie ad unarete clandestina, riuscì a mettere in salvo numerosi ebrei epartigiani dalla deportazione. Habermann continuò a cer-care il figlio avuto con la prima moglie, Tamàs, ma scoprìche fu sterminato insieme a tutto il resto della famiglia(tranne la sorella di Aladar, Irene, unica sopravvissuta), manonostante questo continuò a sperare almeno fino agli an-ni ’50 di poterlo ritrovare in Russia. A Busto continuò a la-vorare ed ebbe una seconda figlia con la seconda moglie,Anna Maria. Morì nel 1974. Una storia importante che ora trova un giu-sto riconoscimento proprio davanti a quell’edificio che loha visto salvare la vita a molti bustocchi. 

Un momento della cerimonia al “Giardino dei giusti” a Busto Arsizio dove è stato onorato AladarHabermann. In alto il libro della figlia Anna Maria.

Anni ’50: gli orfanidel convitto“Biancotto”di Veneziaad una commemo-razione partigiana.

L’iniziativa promossa nel piemontese a Monastero Bormida:un convegno sull’educazione agli orfani dei partigiani e deportati

Il rinnovato interesse per la pedagogia della Resistenza:è tempo di analisi sulla validità dei convitti della Rinascita 

In tempi di bullismo, con la scuola assorbita troppo daiconcorsi, ignoranza a tutti i livelli, era tempo di analisisulla validità dei convitti Rinascita (11 in Italia).

Grande è stato l’interesse all’iniziativa promossa in Piemonte(Stefania Terzi, sezione Anpi Val Bormida). Sala impossi-bilitata a contenere i partecipanti, aria di “finalmente!” pen-sando a Venezia dove sono state impostate le basi dellaMedia unica in tempi solo di professionali e a Milano do-ve si imponeva la didattica di Guido Petter, autentico Nobeldella psicopedagogia infantile.In altri convitti si affermò quella vicinanza scuola lavoro og-gi tanto necessaria. Interventi di Lidia Menapace: “la pe-dagogia della democrazia nella Resistenza”, e poi di AngelaPersici, (Istituto pedagogico della resistenza) E stiamo parlando degli anni cinquanta, che Lia FinziFederici (classe 1928) ha svolto con un intervento memo-

rabile e accolto da applausi convinti. Ha attraversato, bra-vissima, il Nord del Paese comprendendo l’importante mo-mento storico dell’educazione in Italia.

Paolo Rusin

NoTIzIE

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Aveva 93 anni. Triangolo rosso, partigiano

Si è spento pacifica-mente nel letto della suaabitazione a Sant’Ilario

(Reggio Emilia), ArnaldoBocconi, 93 anni. Il parti-giano era la memoria stori-ca di Sant’Ilario, l’ultimodei tre sopravvissuti al cam-po di concentramento diMauthausen, l’ultimo testi-mone di un’epoca storicache tenne sempre viva nellegiovani generazioni.Nato il 13 maggio 1923 esempre vissuto in paese,Bocconi fu arrestato perchépartigiano nell’ottobre del1944; portato al Petitot diParma, picchiato e torturato,fu deportato nel campo na-zista dove rimase sei mesi, fi-no alla liberazione il 5 mag-gio 1945. Nel lager c’eranotre santilariesi: lui, Piero Iottie Valter Fabbi. Leggendarioil fortunoso ritorno nel reg-

giano, che Arnaldo continuòper anni a raccontare nellescuole, nelle commemora-zioni e nei “Viaggi dellaMemoria” di Istoreco. Lungae avvincente una delle ulti-me interviste televisive, nel-la quale raccontò di comeportò a casa Piero Iotti, cheall’epoca pesava 35 chili enon era nemmeno in grado dicamminare. Arnaldo, ricoverato insie-me a Piero in un ospedaleamericano in Austria, trovòun treno per Verona e con-vinse l’amico a partire, ca-ricandolo sulle spalle.Arrivati a Verona, salirono suun camion diretto a Parma,che li scaricò a Sant’Ilario,dove i familiari lo credeva-no disperso e dove si pre-sentò, pelle e ossa, con lasemplice frase: «Ragas a’son rivè». Ambra Prati

I NoSTRI LUTTI

Addio a Arnaldo Bocconi,ultimo reduce reggiano tornato da Mauthausen

Alfredo Angeloni, iscritto all’Aned di La Spezia, fu ar-restato nel settembre 1944 per propaganda clandestina edetenuto presso le carceri del XXI e di Marassi di Genova.Fu deportato a Bolzano e poi trasferito a Mauthausen eGusen II. Emilio Pietro Bertoli, nato a San Daniele del Friuli il22-2-1925, arrestato a San Daniele e deportato a Dachau,Mauthausen e Melk. La sezione di Udine lo saluta conprofondo affetto ed esprime il cordoglio ai familiari.Francesco Bertolini, iscritto all’Aned di Parma, fu de-portato nel campo di Bolzano con matricola n. 10039.Silvio Camangi, ex deportato a Bolzano, matricola 9191iscritto all’Aned di Parma è deceduto il 12-2-2017Mario Cirimbelli, iscritto all’Aned di Brescia, residen-te a Bergamo, è deceduto il 23-9-2016.Franco Cosmar, giovanissimo partigiano della BrigataPicelli, Divisione Val Natisone, venne catturato il 2/1/1945in territorio jugoslavo. Incarcerato prima a Tolmino esuccessivamente a Gorizia, venne deportato a Mauthausene Gusen.Modesto Melis, paracadutista della Divisione “Folgore”in Toscana, arrestato a Firenze, venne deportato a Bolzanoe a Mauthausen. Giovanni Micca, iscritto all’Aned di Savona, fu depor-tato nel campo di Watestedt Salzigter Lager XI, sotto-campo di Neuengamme.Itala Tea Palman, antifascista di Trichiana (BL), fu de-portata nel campo di Bolzano matricola 8934.Augusto Piccoli, iscritto all’Aned di Verona, deportatoa Flossenburg.Bonifacio Ravasio, iscritto all’Aned di Bergamo, è sta-to deportato nel campo di Buchenwald e immatricolatocon il n. 33843.

Calendari di Mussolini venduti al bar a Bergamo.Il giudice annulla la multa: “opera di ingegno”

Messi in venditadal gestore per 4 euro

Il cliente distratto, che entrava nel bar per un caffè e sitrovava circondato da capocce di Benito Mussolini,aquile della X Mas e tovaglie con i fasci, aveva l’im-

pressione di essere stato catapultato in un museo delVentennio, a un passo dall’apologia del fascismo. Invece non sapeva di essere circondato solo da «operedell’ingegno» riferite a «un periodo storico». Lo scrive il giudice di pace Angela Bungaro nella sen-tenza che annulla la maximulta rifilata nel luglio 2016 altitolare del bar Colazione da Tiffany di Bergamo. Il locale, che era stato al centro di polemiche con gli ex par-tigiani e gruppi antagonisti, indignati per i simboli fasci-sti, ora ha chiuso per problemi d’affitto.I vigili, arrivati nel bar dopo un articolo del CorriereBergamo, avevano soprasseduto sui simboli fascisti espo-

sti un po’ ovunque e con occhio burocratico se l’eranopresa solo con i calendari del Duce, messi in vendita dalgestore del locale a 4 euro. A fare tabula rasa della sanzione è stato il giudice di pa-ce, che nella sentenza a un secondo ricorso scrive che lanorma scelta dai vigili «non si applica» a chi vende «ope-re di ingegno con carattere storico (attiene alla rievoca-zione di un periodo storico del nostro paese)». Ma fa anche capire che gli agenti della polizia locale avreb-bero anche potuto sforzarsi di entrare nel merito dei con-tenuti: «L’Autorità è stata lacunosa riferendosi in gene-re a “calendari in vendita” senza approfondire la matri-ce storico-ingegnosa degli stessi. In tale quadro non èstata in grado di contrastare energicamente gli assuntidifensivi del ricorrente».

Fabio Paravisi dal Corriere di Bergamo

NoTIzIE

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Una testa sporge da terra tra ossa e L’impronta dei cadaveri sottostanti.

Sulla strage nazista pubblichiamo la drammaticatestimonianza di due superstiti, così come fu raccontata, nel settembre 1945, dal giornale “REGGIo DEMoCRATICA” organo Quotidiano del Comitato di Liberazione Nazionale

Una cronaca

del 1945...

Per incarico del co-mando Reggimentodel centro di raccolta

italiani dello Stalag IIIA diLuckenwalde, mi sono re-cato il giorno 6 agosto 1945a Treuenbrietzen (distrettoBeelitz) per individuare illuogo esatto della sepoltu-ra di 150 ex internati ita-liani massacrati dai tede-schi il 22 aprile 1945.Erano con me il Ten. Tet -tamanti dott. Agide e i sol-dati Mangialardi Edo diMarino, classe 1922, di-stretto Ancona e CappelliGermano di Antonio, clas-se 1908, distretto di AscoliPiceno testimoni supersti-ti dell’eccidio.

Presentatomi a Treuen -brietzen al comandodi presidio russo e al-

la Burger meisterei dellacittà non fui in grado di ot-tenere alcuna notizia pre-cisa al riguardo dei caduti.Il comando russo per altro,fu largo di comprensione edi assistenza.Il mattino del 7, seguendola guida dei superstiti chenaturalmente ricordano an-che i minimi particolari del-l’arresto e del crudele mas-sacro, dopo un’ora di cam-mino attraverso boschi ecampagna troviamo la lo-calità.

150 italiani massacrati a Treuenbrietzen n

Nel giornale di quei giorni...

La copia di“ReggioDemocratica”del 25 settem-bre 1945che riporta ilresoconto che abbiamoriprodottoin queste pagi-ne. Al centroun fotogram-ma di unmemorabileaudiovisivoprodotto datedeschi e ita-liani che rico-struisce la tra-gedia. In retesul sitowww.imidoc.net

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falangi e si sente un fetore orrendo. “Wo ist mama?”ridevano i tedeschi

...nelracconto

di chic’era

Scrive: “Il comandante del reggimento di raccolta degli italiani, colonnello i.g.s. Giuseppe Pagliano,inviava un cappellano - Padre Stefano Ave - per accertare la deposizione fatta da due superstiti di un eccidio compiuto dai tedeschi” Eccone per intero la relazione

A100 metri dalla car-reggiata Treuenbrie -tzen- Nickel, c’è,

sulle pendici della collina,a sinistra di un piccolo sca-vo, una insenatura causatasia dall’erosione delle ac-que che dalla asportazionedi sabbia per costruzione,essa è facilmente ricono-scibile perchè ha la carat-

teristica forma di un ferrodi cavallo con apertura ver-so la strada. Nei pressi, a 10metri a destra, c’è la tombadi un soldato russo.Appena entrati, si presentòalla nostra vista un cumulolungo circa 20 metri, assaimale sistemato. Alcune car-te in lingua italiana sparseall’intorno, una valigia di-

strutta, un “Fremdpass”(passaporto) portante il no-me di Celtelli Attilio, unacartolina dello stesso, scar-pe sporgenti dalla terra, unatesta pure sporgente, ossi-cine in gran numero, falan-gi dei piedi asportate daglianimali, il classico fetoredei cadaveri in decomposi-zione, e, a guardare atten-

el palpitante racconto di due sopravvissuti

...la grande

carognatadei

tedeschi

tamente, l’impronta rico-noscibilissima dei corpi sot-tostanti. La poca terra che liricopre rivela in modo chenon lascia dubbi la presen-za delle vittime. Nessun se-gno sul tumulo, solo al-l’intorno, specie sul ci-glione, numerose cartuccedi fucile, di “parabellum”,di pistole.

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In queste pagine la cro-naca del tempo apparsasu Reggio Democratica.In seguito ulteriori ri-cerche dell’Ufficio sto-rico hanno fornito datisecondo i quali, pare,che i soldati italiani fu-cilati a Treuenbrietzen,furono 127 mentre ai so-pravvissuti bisogna ag-giungere un quarto no-me: Antonio Ceseri

Un altro superstite

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Una testa sporge da terratra ossa e falangi e si senteun fetore orrendo.L’impronta dei cadaveri sottostanti. “Wo ist mama?”ridevano i tedeschi

Una cronaca

del 1945...

ti essi pure dentro la fab-brica. Dal gruppo dei ri-masti (internati) il Lager -fuhrer fece uscire il fidu-ciario, il cuoco ed altri due.I rimasti (erano 150) ven-nero portati via. Furono dif-fidati di tentare la fuga per-chè avrebbero pagato il ten-tativo con la morte per sè eper i compagni.Con le guardie tedesche ailati i nostri si misero in mar-cia attraverso il bosco; giun-ti al sottopassaggio dellavia Wittemberg- Potsdamsi trovarono in mezzo amoltissimi soldati tedeschiche, schierati sulla scarpa-ta della ferrovia, attende-vano di andare, a quanto di-cevano, all’assalto diTreuenbrietzen. Qui il ca-pitano che comandava lacolonna si presentò ad unufficiale superiore:- “150

Lì i due superstiti rico-struirono tutta la spa-ventosa tragedia.

La sera del 21 aprile 1945Treuenbrietzen era liberatadai reparti russi i quali spin-gendosi oltre la città, libe-rarono anche gli stranierideportati nel lager Warenfa -brik situato a nord est delcentro cittadino a sinistradella Berlinerstrabe.Il giorno seguente, dei te-deschi improvvisamente,verso le 13 si presentaronoal campo. Radunati, tutti gli stranierili divisero secondo le varienazionalità; Russi, Polacchi,Francesi, Belgi, Olandesi,Lituani e li inviarono quin-di nel recinto della fabbri-ca. Non rimasero che gliItaliani. I civili vennero se-parati dai militari ed invia-

prigionieri italiani”- dis-se. La colonna venne fattamarciare ancora per circa300 metri e poi fermata,sempre con le guardie ai la-ti, sotto una pioggia inces-sante.Il capitano si allon-tanò e i prigionieri poteronovedere l’ufficiale superioreed altri ufficiali parlare fraloro. Finito il rapporto, che,durò circa mezz’ora, il ca-pitano ritornò, pose unasquadra in testa e una in co-da, lasciando sempre le sen-tinelle ai lati. I soldati ita-liani erano inquadrati in tre;due di essi vennero coman-dati di portare due cassettedi munizioni per fucile-mi-tragliatore.

Fu allora che un terribi-le sospetto si affacciò;cominciò ad affacciar-

si alla mente dei 150.

Percorsero ancora con lascorta circa 1500 metri dicammino.

Fatte deporre le casset-te di munizioni, un“Links” (a sinistra) li

mise irrevocabilmente difronte alla realtà spavento-sa; a sinistra non si aprivanessuna strada, solo una spe-cie di cava di sabbia. Venneroserrati al centro della stes-sa, mentre dal ciglione , a 5o 6 metri di distanza, i soldatitedeschi dietro un ordine delcapitano, incominciaronopazzamente a sparare contutte le armi sulle povere vit-time. Al primo fuoco si me-scolavano le risa rabbiosedei carnefici, il pianto e illamento dei feriti che invo-cano la mamma e la rispo-sta sarcastica: - “Wo ist ma-ma?” (Dio dov’è la mam-ma?).

150 militari italiani deportati massacrati a

La fabbrica nella cittadellapoco distante da Berlinodove il Terzo Reich produ-ceva munizioni.

Al lavoro per la guerra

dei nazisti

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Vedi quelle sentinelle dietroi reticolati?

Sono loro i prigionieri di Hitler, non noi. Noi a Hitler e Mussolini diciamo no, anche quando ci vogliono prendere per fame”

da Rigoni Stern: Soldati italiani dopo il settembre 1943

Furono circa 600mila i soldati italiani avviati allavoro coatto impiegati nell’industria bellica,nell’industria pesante e in quella mineraria, nel-l’edilizia e nel settore alimentare con condi-zioni di lavoro estremamente disagevoli.In 50mila non tornarono. A lungo però gli Imi

sono stati considerati dei traditori, degli “im-boscati” senza che nessuno riconoscesse il va-lore del loro rifiuto e le sofferenze patite neicampi di lavoro dove furono privati dello statusdi prigionieri di guerra, torturati, deportati, uc-cisi.Eppure:...

“Ci chiesero se volevamo tornare in Italia percombattere per la Repubblica Sociale e io mi ri-fiutai, come la maggior parte dei miei compa-gni. Non volevamo combattere dalla parte deitedeschi. E lo rifarei ancora oggi”.Queste sono le commosse parole di AntonioCeseri, il quarto sopravvissuto di Treuenbrietzen.

: “per tornare dovevamo combattere. Ci rifiutammo”

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Dopo il terribile crepi-tio dei mitragliatorie dei “parabellum”,

finalmente la pistola, vici-na, vicinissima finiva conun colpo alla testa gli ago-nizzanti. I due che erano ri-masti miracolosamente il-lesi udirono a un tratto conun tuffo al cuore i soldatichiedere ancora munizioni,fino ad esaurirle. Il mo-struoso tiro a bersaglio uma-no continuò poi ad opera dialtri soldati tedeschi mar-cianti verso il fronte, i qua-li preferirono vigliaccamentescaricare così le loro armi;e durò per due ore e forsepiù.

Poi sentirono lavorare laterra sabbiosa, coprireleggermente i corpi.

Infine il languore silenzio-so della morte cadde su ognicosa. Non più lamenti, nonpiù voci risa o colpi dei car-nefici; scendeva nella nottenera la pioggia.Fu allora che i due osaronouscire di sotto i cadaveri deicompagni di sotto la pocaterra che già li ricopriva; siguardarono d’attorno concircospezione estrema: nes-suno.Si alzarono e fuggiro-no verso Nord-est. Mentrescivolavano via verso l’u-scita, parve loro di vederealtri due compagni scompa-rire verso il bosco, ma di unodi questi non si ebbe nessu-na notizia.

Ritrovarono, però al-cuni giorni dopo, nel-l’ospedale di Treuen -

brietzen, il loro compagnoVerdolini Vittorio che i sol-dati russi avevano trovato eraccolto ferito ed esausto nelbosco vicino al massacro. Tutti gli altri sono là sul luo-go del supplizio ove la man-cata sepoltura, la poca terrache li ricopre, la mancanzadi ogni segno sulla tomba,documentano una volta an-cora la barbarie nazista.

a Treuenbrietzen, non distante da Berlino

Il cimitero in cui sono stati raccolti i resti degli italia-ni massacrati. Sotto una stele ricorda il luogo dellaboscaglia dove, come racconta il nostro testimone, ècominciata la sparatoria sulla colonna di prigionieri.

Sepoltimolti anni

più tardi

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Sette nani deportati ad Auschwitz: verso un destino tragico, ma così la f Fu questo a evitare lo-

ro quei camini semprefumanti che avevano

visto scendendo dal treno.L’incontro con l’Angelodella Morte, il dottorMengele, fu paradossal-mente la loro salvezza. Fratorture indicibili e doloriimmensi. L’Olocausto cheè nato con i disabili (lo ab-biamo documentato anchesu InVisibili), Ausmerzene le “vite non degne dellavita”, si rovescia per loroattraverso la cattiveria e lafollia di un medico assas-sino e incapace.Gli Ovitz erano ebrei ori-ginari dalla Romania.Shimson Eizik, oltre a es-sere un rabbino e un musi-cista in quei primi venti an-ni del secolo scorso, avevaanche messo al mondo die-ci figli in due matrimoni.Sette di loro, come lui, era-no con pseudoacondopla-sia, che è una delle formepiù comuni di nanismo conl’acondroplasia. La loro sto-ria sembra la sceneggiatu-ra di un film e invece è tre-mendamente vera.

Negli anni ’30 e all’i-nizio dei ‘40, gliOvitz, dopo la pre-

matura morte del padre euna promessa voluta dalla

madre di otto di loro, la se-conda moglie, mentre sta-va morendo (“Non vi divi-derete mai, vi aiuterete sem-pre stando vicini, solo co-sì potrete vivere”), eranouna compagnia affermatadi attori, ballerini, musici-sti e cantanti. Tanto che non si preoccu-pavano molto delle leggiche colpivano gli ebrei indiverse nazioni d’Europa,anche perché avevano ot-tenuto di non avere segna-lata la loro origine ebrea suifogli che presentavano allefrontiere e nei vari Paesi.Furono presi però mentresi esibivano in Ungheria,invasa dai tedeschi.Arrivarono ad Auschwitzdi notte, nel maggio del ‘44.Erano in 3500. In poche orela maggior parte vennerouccisi. Rimasero in 400. Fraquesti gli Ovitz. Quando li vide sul treno,un ufficiale nazista urlò:“Chiamate il medico!”.Andarono a svegliareMengele. Normalmente,non l’avrebbero fatto, fos-se stato qualche gemello, oqualche persona di bassa oalta statura, o un ermafro-dita. Insomma, le passioniperverse del dottore. Maquesta volta era diverso:sette e tutti della stessa fa-

miglia. Fecero bene. Men -gele cominciò a interrogarli.Quando finì gli brillavanogli occhi: “Ho lavoro per iprossimi venti anni”. Lo ri-cordava bene Perla, la piùgiovane con i suoi 23 anni,alla quale si deve buona par-

te della memoria sulla lo-ro storia, dalla quale sonostati tratti libri e documen-tari.

Quando arrivò si chie-se cosa fossero queicamini: “Forse ci fa-

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Quando sono scesi dal treno della morte,ad Auschwitz, uno di loro ha cominciato a distribuire biglietti da visita autografati. Erano i Lilliput e da più di dieci anni giravanoper tante nazioni dell’est Europa, loro che venivano dalla Romania, a cantare e ballare.

Il nome spiegava tutto: cinque donne e due uomini, tutti nani e tutti della stessa famiglia,gli ovitz. Fratelli e sorelle. Dieci in tutto, perché c’erano anche altri tre con altezza nella media.

Il nazismo prese di mira quelli che non er

Andarono a svegliareil “dottore”

per avvertirlo

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la favola con i nazisti diventò orrore famiglia ovitz scampò ai Lager

suoi esperimenti. Loro set-te e altri quindici membridella famiglia sopravvis-sero per quello.Diventarono fra i suoi pre-feriti. Fu permesso di por-tare i loro vestiti, avere deivasini, tolti ai bimbi am-

mazzati, per i loro bisogniinvece delle latrine comu-ni, avevano una ciotola perlavarsi. Vivevano semprein una baracca e il cibo erascarso, una zuppa di pane,ma confronto agli altri erail Grand Hotel. Il cambio fu tremendo:esperimenti e torture, pre-lievi infiniti di sangue(“Quando svenivamo fravomito e schizzi di sangue,si fermava, appena svegliriprendeva”) e midollo,continui raggi X, acqua bol-lente e poi gelata nelle orec-chie, denti sani e capellistrappati, sostanze inietta-te nell’utero delle donne.Poi il terrore.

Un giorno Mengele fe-ce uccidere un papàe un figlio acondro-

plasici, arrivati al campotre mesi dopo di loro.Voleva esporre le loro os-sa in un museo di Berlino.Ordinò di bollire i loro cor-pi sinché carne e ossa nonsi fossero separate. Un al-tro disse agli Ovitz che sa-rebbero andati con lui. Fecetruccare le donne.Pensarono di dover mori-re. Invece li espose nudi inun convegno di alti ufficialinazisti. Una mostra per na-scondere risultati che un

cialtrone e ciarlatano comelui mai avrebbe potuto ave-re. Per lui cantarono e si esi-birono, cercando di cir-cuirlo anche in questa ma-niera. Si mostravano sorri-denti. Lui, prima o dopo letorture, ricambiava.

Fu così che riuscirono,incredibilmente, a so-pravvivere sette, lun-

ghissimi mesi. Uno dei fra-telli non di bassa statura ful’unico a morire, uccisomentre tentava di scappa-re. Quando i russi si stava-no avvicinando Mengelescappò. Li trovarono fra ipochi sopravvissuti, in mez-zo all’orrore. Erano ancoratutti uniti. Ognuno, ognimaledetto giorno, avevanella mente quella frase dimamma, sul letto, prima dimorire: “State insieme.Sempre”.Gli Ovitz tornarono al lo-ro villaggio in Transilvania,emigrando in Israele nel’49. Si spensero lì, l’ulti-ma fu Perla nel 2001. Mengele non fu mai cattu-rato per i suoi crimini. Morì, stroncato da un ictus,nel ‘79, in America del Sud,dopo un bagno nell’Atlan -tico.

Claudio Arrigoni

ranno il pane”. La illuminòun ebreo con una giacca arighe. Non lo scordò mai:“Ogni fiamma sembrava unessere umano”.E c’era quel medico. Salviper lui. Per la sua malva-gità. Li voleva vivi per i

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r ano “normali”, per Mengele erano unici

I sette nanifotografatiinsieme alvillaggionatale inRomania.In alto dueinquadratu-re del loro “spettacolo”

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Nel 1940, quando l’Italia fa-scista entra in guerra, Pietroha solo 16 anni, ma la tragi-ca rapidità degli eventi lo famaturare in fretta. Vede par-tire per i vari fronti bellicitre fratelli maggiori, paren-ti e conoscenti, e ne ascoltale terribili testimonianze daquelli rientrati per brevi li-cenze. Alla fine del ’42, nel-l’imminenza dell’arrivo del-la cartolina precetto che loavrebbe spedito alla guerra,matura il proposito di ar-ruolarsi in un corpo che con-senta minori probabilità diandare a combattere. Ha diciotto anni quando, do-po essersi arruolato nellaGuardia di Finanza, l’11 gen-naio 1943 parte per la ScuolaMilitare Alpina della RegiaGuardia di Finanza di Pre -dazzo in provincia di Trento.Dopo oltre sette mesi e allafine del corso per finanzie-ri, il 1° settembre 1943 vie-ne assegnato alla BrigataVolante di Cernobbio in pro-vincia di Como.

La vita dei morti è riposta nella memoria dei

vivi: è anche prendendo spunto da questa mas-sima di Cicerone, che Roberto occhi ha rico-struito la storia dello zio paterno Pietro

Un “Triangolo Rosso”, un giovane deportatopolitico mai più ritornato dal lager e, dopoanni di ricerche svolte non solo in Italia, ilnipote ne ha tratto un libro

Pietro nasce il 13 mag-gio 1924 in una picco-la frazione, Vettola di

Mariano, nel comune diValmozzola, in provincia diParma. Vettola, una trenti-na di anime, è un piccolo ag-glomerato di case in sasso,con tetto in lastre di arde-sia. Il contesto familiare, tipicoe caratteristico nei piccoliborghi appenninici di quel-l’epoca, è ricco di valori po-sitivi: la famiglia, l’amici-zia, l’onestà, la solidarietà,la non violenza. Cresciutoin una famiglia numerosa,come i fratelli (in totale quat-tro maschi e quattro fem-mine) frequenta la scuola fi-no alla terza elementare, perpoi dare una mano, ancoraadolescente, nel duro lavo-ro dei campi. I suoi genito-ri gestiscono una piccolabottega alimentare con an-nessa osteria, e gli animali daaccudire – bovini, suini, ca-prini, pollame e conigli –non sono pochi.

Le nostrestorie

Pietro occhi, giovane militare arruolato come finanziere in Alto Adige torna

di Roberto occhi

Per Pietro il finanzierela liberazionea Ebensee giunsetroppo tardi

Schlier Redl-ZiphViennaMauthausen

AUSTRIA

GERMANIA

ITALIASLOVENIA

Danubio

Valmozzola

ParmaVarsi

MilanoGironico

Cernobbio

SVIZZERA

ModenaFossoli

CROAZIA

Grossraming

EnnsEbensee

BOSNIA ed ERZE-GOVINA

UCRAINA

La prima tappa dai fascisti: Fossoli

Il finanziere Pietro occhinell’unica fotografia dagiovane militare. Nellacartina il percorso da unlager all’altro fino allaterribile marcia versoEbensee. Aveva compiutoda poco ventun anni.

Le baracche di Fossoli, campo “anteprima” dei lager.

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Da Cernobbio qui subito di-staccato alla tenenza diGironico, una piccola loca-lità del comasco – poco piùdi mille abitanti – a pochichilometri dalla Svizzera. Coadiuvando il proprio gio-vane comandante, il venti-quattrenne tenente GiorgioCevoli, (ne parliamo nel ri-quadro qui sopra) si ado-pera nell’agevolare l’espa-trio nella vicina Svizzera direnitenti alla leva, perse-guitati politici ed ebrei. I gio-vani finanzieri sono favori-ti nella loro opera dalla co-noscenza dei transiti clan-destini praticati nella mon-tagna italo-svizzera dai con-trabbandieri.Il 1° ottobre ’43, usufruendodella prima sospirata licen-za, Pietro fa ritorno a casa

a casa nell’Appennino parmense e passa tra i partigiani. Poi ecco i tedeschi

con un permesso di 72 ore.Nel corso dei tre giorni a ca-sa, che volano veloci, Pietromatura il proposito, comemoltissimi altri militari, dinon ripresentarsi al proprioreparto. Nei mesi che se-guono entra in contatto coni primi nuclei di ribelli chevanno formandosi anche aValmozzola. Il contesto fa-miliare è decisamente anti-fascista, tanto che è presso laloro bottega-osteria che siinstalla il primo comandounico della Resistenza par-mense. Per ricostruire l’apparte-nenza di Pietro ai primi nu-clei partigiani, il nipote Ro -berto si è avvalso oltre chedelle testimonianze coeve,anche degli unici due testiche ripercorrono il periodo

Nel corso di un rastrellamento, dell’aprile ’44, viene catturato in un fienile

Nella bottega-osteria della famigliasi installa il primo comando Resistenza

resistenziale a Valmozzola:“Testimonianze partigiane– zona ovest Cisa”, pubbli-cazione di 302 pagine a cu-ra di Maurizio Carra, e“L’Alta Val Taro nella Re -sistenza” di Giacomo Viettiedito dall’Anpi nel 1980.Tra la fine del ’43 e l’iniziodel ’44 nella piccola valla-ta parmense si vanno for-mando due gruppi: il primoè formato da locali guidatida Betti, e il secondo da gio-vani spezzini guidati da

Tullio. Questa fase iniziale,da molti definita “fumosa”,è caratterizzata da “rivalitàpersonali tra i due nuclei,poca omogeneità, indivi-dualismo, incomprensioni,scarsa organizzazione, man-canza di direttive precise”.Solo nell’estate ’44 (quandoPietro è già stato arrestatoda oltre due mesi) si rag-giungerà quella coesione cheporterà una buona parte deidue gruppi a confluire nella12^ brigata Gari baldi.

Pietro si aggrega al gruppoguidato da Betti ma, comealtri montanari del luogo,non entra ancora – in que-sta fase preparatoria – inclandestinità e resta pressola propria famiglia per nontrascurare il lavoro, per nonabbandonare le donne di ca-

sa, e per non pesare comeconsumatore sulle scarse ri-sorse di cui dispongono lenascenti formazioni di ri-belli. Nel corso di un mas-siccio rastrellamento nazi-fascista, domenica 16 apri-le ‘44 insieme ad altri gio-vani Pietro viene catturato

i (Modena) poi in treno deportato a Mauthausen. Poi Grossraming...

Nato a Napoli il 18 agosto 1919,Giorgio Cevoli si arruola nellaRegia Guardia di Finanza nel1938. In seguito all’armistizioviene assegnato alla tenenza diGironico (CO) in qualità di co-mandante. Fin dal suo arrivo ma-nifesta la non adesione al nuovogoverno fascista e si adopera,coadiuvato dai giovani subalterni

tra i quali Pietro Occhi, per age-volare l’espatrio nella vicinaSvizzera di militari sbandati, per-seguitati politici ed ebrei. Nell’estate del ’44 entra a far par-te del CLN di Milano e prendeparte alla liberazione della cittàil 25 aprile 1945. Deceduto nel1992, lo Stato di Israele gli as-segna alla memoria, nel 2008, la

riconoscenza di Giusto tra leNazioni. L’opera svolta a Giro -nico da Pietro viene riportata nelvolume Gli aiuti ai profughi ebreie ai perseguitati: il ruolo dellaGuardia di Finanza 1943-1945edito dal Museo Storico dellaGuardia di Finanza.

Giorgio Cevoli, medaglia di “Giusto tra le nazioni”.

Ed ecco il paesaggio cupo delle montagne austriache.Mauthausen per detenuti da annientare con il lavoro.

E nella guardia di finanza serpeggiano sentimenti antifascisti.Si aiutano nell’espatrio ebrei, perseguitati politici e militari.

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Per Pietro il finanzierela liberazionea Ebensee giunsetroppo tardi

La costruzione di una strada, una diga sul fiume e di una centrale idroelettrica

È nel comune di Neukirchen an der Vöckla in Austria. Qui l’ingresso alla parte sottoterra.

La ScuolaMilitareAlpina della RegiaGuardia di Finanzaa Pre dazzoin provin-cia diTrento.

Il Redl-zipf, nome in codice Schlier, era un sotto-campo del campo di concentramento di Mauthausen.

in un fienile. Condotto nelpaese di Varsi, sotto la du-plice accusa di essere un di-sertore e di appartenere aigruppi partigiani, viene in-terrogato dai fascisti del pre-sidio locale guidati dal tri-stemente noto comandantePelagatti.Benchè sottoposto a pesan-ti percosse, Pietro non par-la e nulla svela sui compagniricercati. Per questo suocomportamento e per quan-to fatto a Gironico a favoredi ricercati politici ed ebrei,verrà insignito alla memo-ria con decreto presidenzialedel 4 maggio 1990 dellaCroce al Valor militare permeriti partigiani.Dopo un breve periodo didetenzione a Parma, all’ini-zio di maggio viene trasfe-rito al campo di Fossoli(MO), campo di transito peri lager nazisti. Qui trascorre una cinquan-tina di giorni poi, il primogiorno d’estate, il 21 giugno1944, con convoglio N. 53

composto da 475 “politici”viene deportato in Austria.a Mauthausen. Dopo 56 orein condizioni estreme su va-gone piombato, giunge a de-stinazione intorno alle 19,00del 23 aprile.Mauthausen era la destina-zione per la maggioranza deideportati politici italiani, i“Triangoli rossi”, mentresolo una minima parte diquesti veniva destinata ai la-ger di Dachau e Flossenbürg(per le donne la destinazio-ne era Ravensbrück).Il KZ (konzentrations-zen-trum) o KL (konzentrations-lager) di Mauthausen era l’u-nico lager della galassia deicampi di concentramentonazisti ad essere classifica-to di livello 3°. In pratica ful’unico campo di sterminioper non ebrei, destinato ai“politici”, deportati per mo-tivi di sicurezza, non riedu-cabili e quindi da annienta-re attraverso il lavoro. Nelle alte gerarchie delleSS, la fortezza di Mauth au -

sen veniva scherzosamentesoprannominata “Kno ch -enmuhle” (tritaossa): ilfrantoio della cava di gra-nito (Wiener-graben) limi-trofa al campo avrebbe ma-cinato le pietre, il lageravrebbe macinato gli uo-mini.

...e il Triangolo Rosso finisce a Schlier Redl-zipf, dove si fanno galle

La mattina del 24 giugno co-sì come gli altri compagnidel suo convoglio Pietro vie-ne denudato, spogliato deisuoi averi, rasato in tutto ilcorpo, rivestito con il “pi-giama a righe”, fotografa-to e registrato come “poli-tico”.

Gli viene assegnato il nu-mero di matricola, da por-tare cucito sopra il triango-lo rosso: il 76481 è d’ora in-nanzi il suo unico nome. Mauthausen è un “mutter-lager” (campo madre) da cuidipendono 49 sottocampisatelliti, detti “kommando”,che come una metastasi siirradiano in tutta l’Austria. Come la maggioranza deideportati a Mauthausen,Pietro trascorre il periodo diquarantena, che nel suo ca-so è di 19 giorni, nel corsodei quali fa anche una sep-pur breve esperienza nella

cava di granito. Poi, il 12 lu-glio avviene il primo tra-sferimento: è il lager diGrossraming, dove resterà53 giorni. Qui i deportativengono adibiti alla costru-zione di una nuova strada,di una diga sul fiume Ennse di una centrale idroelet-trica. Anche qui, come intutti i campi dipendenti daMauthausen, il tempo è scan-dito dallo stesso ritmo e da-gli stessi rituali: dormire in2 o più uomini nello stessocastello, sveglia all’alba, ap-pello, surrogato di caffè, 12ore di lavoro in galleria o al-

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Pietro, un morto vivente, fa appenain tempo a vedere i liberatori americani

Roberto occhiStoria di Pietro.

Vita e morte di un giovane deportato

a MauthausenProspettiva Editrice,

pag. 247euro 13,00

rie per costruire le V2. Poi la marcia della morte fino a Ebensee...

l’aperto, pranzo e cena conuna broda (un liquido ma-leodorante con pochi scartidi verdura). Il tutto conditoda continui e costanti mal-trattamenti, urla ossessive,spesso svegliati di notte peril divertimento degli aguz-zini o uccisi per un nonnul-la, tanto i “pezzi” (detenuti)sono facilmente e rapida-mente rimpiazzati da nuoviarrivi da tutta Europa.Il 3 settembre ’44 Pietro vie-ne trasferito con altri com-pagni in un altro lager: loSchlier Redl-Zipf, dove re-sta per circa sette mesi.Qui il lavoro è prevalente-mente quello di scavare gal-lerie per gli armamenti. Conl’arrivo dell’autunno, primae dell’inverno, poi, i rigoridel freddo e le malattie con-tribuiscono a decimare le fi-le dei deportati.Tra il 20 e il 25 febbraio (ladata precisa non è appura-ta) un nuovo e definitivo tra-sferimento. Con un centi-naio di compagni dovrà rag-

giungere a piedi il lager diEbensee. Si tratta di una ve-ra e propria “marcia dellamorte” (todesmärsche): co-sì nell’universo concentra-zionario nazista vengono de-finiti i trasferimenti a piedi,per lunghe distanze, di pri-gionieri nell’inverno ’44-’45 verso altri lager ritenu-ti più sicuri in zone non coin-volte nell’avanzare dell’ar-mata rossa o degli anglo-americani.La marcia di 45 chilometripercorsa in circa una setti-mana, con temperature ri-gide, con gli zoccoli nellaneve alta vari centimetri, sot-to frequenti nevicate e bu-fere di acqua gelata, sferza-ti e sospinti dai loro aguzzi-ni, causa un giornaliero sfol-timento delle file.All’arrivo ad Ebensee Pietrocome tutti è stremato, divo-rato dalla febbre e a faticasi regge in piedi. Con la salute ormai com-promessa, viene costretto atornare al lavoro in galleria.

Il sovraf follamento del cam-po – oltre quindicimila de-tenuti stipati in baracche chene possono contenere menodi diecimila – dovuto ai con-tinui arrivi che verso la pri-mavera giungono da altri la-ger, genera epidemie di tifo. Sul totale di 30.000 depor-tati ad Ebensee, diecimila

muoiono prima della libe-razione, 1 ogni 3. Il campoviene liberato dagli ameri-cani il 6 maggio ’45; il gior-no precedente è la volta diMauthausen, ultimo gran-de lager ad essere liberato.Nel solo mese di maggio adEbensee muoiono 4.500 pri-gionieri.

Pietro, un morto vivente conil fisico ormai minato e de-vastato dalla fame e dai mal-trattamenti, fa in tempo avedere i liberatori. Rico -verato in una tenda-ospe-dale approntato dagli ame-ricani, poco possono le cu-re che gli vengono prestate.Ha da poco compiuto 21 an-ni quando muore il 19 giu-gno 1945, quarantacinquegiorni dopo la liberazionedi Ebensee. La sorte si ac-canisce contro Pietro anchedopo la morte. Dopo il de-

cesso il suo corpo viene inu-mato in una tomba colloca-ta in un’area destinata a pic-colo cimitero dell’ormai exlager. In seguito l’area fu de-stinata alla costruzione divillette residenziali e il pic-colo cimitero venne quindismantellato: le ossa conte-nute nelle tombe esumate,con la sensibilità tipicamentegermanica, furono gettate inmodo disordinato in unagrande fossa comune. I con-nazionali di Hitler avevanodeciso così.

È servito dal 1943 alla produzione di motori del V2.Gallerie scavate ovviamente dai deportati.

Le baracche di Ebensee. Quarantacinque giorni dopo la liberazione Pietro muore qui nell’ospedale americano.

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Un’esperienza diffici-le, che nonno Adolforacconta in un picco-

lo bloc-notes “Per memoria.Germania 1944” che la fa-miglia Giusti ritrova, chissàcome, solo a fine 2015, nel-la borsetta che la moglieCaterina Man cas sola usò alsuo matrimonio, il 2 ottobredel 1952. Quel diario Lorenzo lo leg-ge a gennaio dello scorso an-no, lo porta a scuola per ilgiorno della memoria. Ed èil suo professore AntonioMontepaone che quest’an-no, quando si riparla di quel-la testimonianza, lo esorta araccontare la storia di nonnoAdolfo. «Così mi è scattato un im-pulso a scoprire di più» di-ce Lorenzo. Inizia allora le ri-cerche su quella parte di vi-ta in guerra che il nonno de-scrive nel diario, con l’e-mozione forte di chi intra-

prende un viaggio nella sto-ria di un familiare che nonha avuto la possibilità di co-noscere. È affiancato da mam ma Ni -co letta, figlia di Adolfo, chesi ritrova a scoprire tante co-se di quel papà che «non par-lava mai del suo passato diinternato, prigioniero dei te-deschi, perché voleva di-menticare e andare avanti».L’obiettivo di Lorenzo è farsì che ottenga la medagliad’onore concessa agli ex in-ternati.Per questo inizia a trascri-vere il diario, a intervistare ifamiliari, tra cui la sorelladel nonno Alma Giusti. Passaun’intera giornata all’archi-vio di Stato di Verona.E comincia a mettere insie-me i tasselli. Prepara la do-cumentazione da inviare al-la Presidenza del Consigliodei Ministri. Trova anche una lettera che

nonno scrisse alla famigliaprima di essere deportato.“Quando è stato catturato aTarvisio il 9 settembre 1943c’è stata una battaglia perconquistare una mitraglie-ra tedesca - racconta Lorenzo- ci sono stati 25 morti, 180feriti e 95 superstiti deportatiin Germania. Tra loro an-che nonno Adolfo. Leggendoil suo diario mi sono emo-zionato, commosso. Lui rac-conta il viaggio, descrive ilprimo campo da internato aBad-Orb. Ho scoperto cheè stato umiliato, maltrattato,picchiato. Ha lavorato an-che in una fabbrica bellicache costruiva siluri, poi inuna miniera di sale. Ma nonc’è rancore nel diario. Solotante domande: perché de-vo soffrire così?». Con lui, allora, c’era GuidoVisentin di Arcole, con cuicondivide tutto ed è lui chelo sostiene quando viene fe-

rito a Francoforte durante ibombardamenti del 1944.“Ricordo la cicatrice allaschiena - dice la figlia Ni -coletta - molto poi l’ho sco-perto dal diario». Per mam-ma e figlio ripercorrere lastoria di Adolfo è una conti-nua emozione. E il viaggioè appena iniziato. Perché fi-nita la scuola Lorenzo ha de-ciso di visitare i luoghi rac-contati dal nonno, da Tarvisiodove è stato catturato, allaGermania, dov’era interna-to. «Era il suo sogno - diceLorenzo - rivedere i posti incui era stato prigioniero. Lofaremo noi per lui». 

da “Il Giornale di Vicenza”

Un viaggio nella storia di nonno Adolfo Giusti,classe 1922, di Bonaldo di zimella nelVeronese, guardia di frontiera a Tarvisiodurante la II guerra mondiale, deportato in

Germania nei campi di concentramento tra gli internatimilitari italiani nel 1943. 

Un viaggio nella memoria. È quello che haintrapreso Lorenzo Schiavo, 15 anni diMontecchio, (RE) iscritto al liceo Da Vinci diArzignano (Vicenza)

Le nostrestorie

La storia di Adolfo Giusti, classe 1922, militare a Tarvisio deportato nel 1944

di Luisa Nicoli

Lorenzo Schiavo, 15anni, mostra la foto e ildiario di prigionia delnonno Adolfo (a destra)

Il giovane Lorenzo, studente trova il diario con tracce delnonno Adolfo deportato peruna battaglia con i tedeschi

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Le nostrestorie

Il nipote liberato racconta ai familiari le scene strazianti viste a Dachau

“Da sposata misono trasferitaa Terzo di Aqui -

leia”. Così prosegue il rac-conto di Amelia Marcuzzi.“I nazisti erano costan -temente a presidiare il ter-ritorio e la nostra casa ave-va le porte costantementeaperte.Dall’altra parte dell’Isonzonon si respirava un’ariadiversa e nel cortile dellamia infanzia stava acca-

dendo la peggiore delle co-se.Mi giunse notizia che le SSavevano prelevato miopapà Giacomo propriomentre rientrava a casa edera stato portato, assiemead un numeroso gruppo,presso la stazione ferro-viaria, che l’avrebbe tra-sferito a Udine a formare ilpiù orribile dei convogliche il nazismo abbia or-ganizzato.

Mia mamma” (Elisa mo-glie di Giaco mo) “deciseche a consegnargli qual-cosa da mangiare e qual-che indumento fosse l’ul-

timo dei miei fratelli.Confezionò una piccolaborsa e quel bimbo tredi-cenne tra una selva di di-vise, grida e imprecazio-

ni riuscì a vedere suo papàattraverso un finestrino delvagone e a consegnarglil’affetto che quella picco-la borsa conteneva”.“Quel giorno” così conti-nua il racconto di mia ma-dre Amelia “avvenne quel-lo che mi capitò ancora. Proba bilmen te per lo stressemotivo mi trovai inonda-ta di sangue. Quella mestruazione sinormalizzò appena a sera,quan do potei meditare sulche fare. Il treno ormai erapartito per Udine e decisidi raggiungerlo. I vagoni erano predispo-sti e guardati da soldati ar-mati. Giacomo lo vidi, sem-brava mi aspettasse, erain piedi sulla porta del va-gone ed ebbe la forza di re-

galarmi il suo sorriso in-tenso, dentro l’immaginein una proiezione irrealecome ad annunciare ormaila sua assenza.”“Poi la partenza. Assiemeal mio papà Giacomo erapartito anche suo nipoteCarlet to. Li hanno porta-ti a Dachau”.Da quei posti era impos-sibile uscirne, ma Carlettorientrò a casa e pot0é rac-contare un’allucinante rap-presentazione del criminee della tortura.Alle famiglie in quei cor-tili di casa descrisse la sce-na straziante dei cani, sem-pre presenti nei campi diconcentramento, aizzaticontro quei corpi inerti,forse non privi di vita, pri-ma di buttarli nel forno.

“Il papà Giacomo (Giacomo Marcuzzi diRedipuglia) quando tornava dal lavoro primadi rientrare a casa si fermava all’osteria a sor-seggiare un bicchier di vino con i colleghi in

attesa che la mamma preparasse la cena.

A tavola la mamma conoscendo l’effetto diquel bicchiere, lo interrogava chiedendoglipreoccupata se avesse parlato più del dovutodi argomenti riguardanti il suo pensiero politi-

co di sinistra in un luogo così frequentato.

Non mancavano mai quei segnalatori nullafacenti che origliavano e riferivano a qualchecamicia nera”

di Elvi Rusin

Da quei posti era impossibile uscire vivima Carletto rientrò a casa e raccontò...

La famiglia di Giacomo Marcuzzi.

Dalle memorie di Amalia:“vidi mio padre sul trenocon un sorriso di addio”poi sparì per non tornare

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Le nostrestorie

“Duello nel ghetto” di Maurizio Molinari con Amedeo osti Guerrazzi. Storia

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Nasce nel 1921 in unafamiglia povera, cre-sce senza il padre e

quando a 17 anni vienediscri mi na to dalle Leggi raz-ziali reagisce iscrivendosiad una palestra di pugilato,assieme all’amico AngeloDi Porto. Battersi sul ring loaiuta a sfogare la rabbia e an-che ad allenarsi perché da-vanti ai fascisti non abbas-sa gli oc chi. A via Arenulalo conoscono tutti. Nel lu-

glio del 1943 sfilano i ga-gliardetti, impongono il sa-luto e lui lo rifiuta. Una ca-micia nera lo affronta, tentadi colpirlo ma lui è più ve-loce. La seconda volta finisce nel-la stessa maniera. Lo inse-guono e lui si dilegua aTrastevere, che è casa sua.Quando il Gran Consigliorovescia Mussolini, va a cer-care i fascisti nella sede dipiazza Mastai.

All’arrivo dei tedeschi l’8settembre parte verso leMarche, assieme a cinqueamici, e quando vengono asapere della razzia del 16 ot-tobre torna indietro. Arrivaa Roma a piedi, si finge sfol-lato andando ad abitare inuna vecchia casa in viaSant’Angelo in Pescheria.Gira per Portico d’Ottaviatrasformato in deserto, guar-da le case vuote dove prima

vivevano parenti, amici,compagni di scuola. E deci-de di restare.Sfida la sorte andando adabitare nella sua vera casa.Vive sotto il naso di tedeschie bande fasciste che man -giano al ristorante “Il fanti-no”. Ne studia i movi mentie quando può, anche da so-lo, li aggredisce. Usa le armida fuoco, che sa usare esmontare.

La polizia fascista gli dà lacaccia e l’1 aprile lo cattura,grazie ad una spiata. Lo por-tano al comando di piazzaFarnese assieme ad altriquattro ebrei. Sa cosa loaspetta. Finge un malore, sifa portare in una stanza conla finestra e salta dal secon-do piano. Lo seguono Salva -tore Pavoncello, Angelo DiPorto e Angelo Terracina.Non lo fanno Angelo Sed edun altro, entrambi mori rannoad Auschwitz. La caduta èpesante, si rompe un polso,arriva a Monteverde con unamico sulle spalle e si na-sconde in un garage.Cammina per la città a piaci -men to, pur sapendo di esse-

re braccato. I tedeschi loprendono a corso Vittorio elo portano alla Magliana. Sache vogliono ucciderlo masul retro del l’auto militarec’è un tubo di ferro. Quandoaprono le por te per farloscendere, è lui che li sor-prende, colpen doli a sangue,per fuggire ancora.I tedeschi gli attribuisconol’uccisione, con armi e a ma-ni nude, di più militari edSS. Davanti al bar Grandi -celli lo bloccano e finisce avia Tasso.L’interrogatorio è brutale.Vogliono sapere dove si tro-vano altri ebrei, ma lui nonparla. «Finì che avevo le os-sa rotte, ero coperto di san-

Quando il 16 ottobre 1943 i tedeschi impri -giona rono gli ebrei di Roma ne sfuggì lorouno, che con tinuerà a braccarli fino all’arrivodegli al leati.

Questa è la storia di Pacifico Di Consiglio,detto Moretto, l’ebreo romano che di frontealle persecuzioni scelse di battersi.

Moretto, il pugile che uccideva le SS a mani nude:era sfuggito alla razzia delghetto del 16 ottobre 1943

di Maurizio Molinari

Diventa uno tra i pochi ebrei romani a unirsi alla Resistenza combattente.

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delle leggi razziali e dell’occupazione nazista attraverso il coraggio di un pugile

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gue» ricorderà. Trasferito aRegina Coeli il 4 maggio1944, vi resta fino al 20,quando lo fanno salire conaltri ebrei su camion direttial Nord. È l’inizio della de-portazione. Appena in aperta campagna,Moretto non ci pensa duevolte. Si get ta sfruttando unacurva ampia. Lo segue il cu-gino Leone, 20 anni, che vie-ne falciato dallemitragliate.Moretto non va a Sud, doveci sono gli alleati, ma tornaa Roma. È un amico nonebreo di Testaccio che gli dàri fu gio. Si unisce ai partigiani e suordine del Comitato di libe-razione presidia PonteSublicio per evitare che i te -deschi possano minarlo. Fino

all’arrivo degli alleati.Moretto va loro incontro il 3giugno, aiutandoli a eli -minare i cecchini tedeschi.Da quando Roma diventa li-bera ha bisogno di un annoper venire a sapere dei la-ger, della fine di famigliarie amici. Sceglie di trasmet tere allenuove generazioni la deter-minazione a battersi a visoaperto. «Per dimostrare chela nostra comunità è fattanon solo di lacrime e sanguema di coraggio e orgoglio»come riassume la moglieAda, detta “Anita” in omag-gio al carattere garibaldinodi Moretto, scomparso nel2006.

“La Stampa” del 15 otto-bre, 2016 da kiba1957

Pacifico Di Consigliodetto il “Moretto”nacque nel 1921. La suavita, come quella di tuttigli ebrei, fu stravoltadalle leggi razziali nel1938. Nel 1943, durantel’occupazione nazista,restò in città per dare lacaccia ai suoipersecutori. Sopra: Pacifico a spassoper Roma, conl’inseparabile pipa. A lato: sul terrazzo dicasa, nel ghetto romano,Pacifico si allena conl’amico Angelo Di Porto

Maurizio Molinari eAmedeo osti

Guerrazzi Duello nel ghetto

Rizzoli,pag. 264euro 20

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“Sopravvissuti”in mostra agli Uffizi a Firenze

La mostra è stata promossa insieme dalla Galleriadegli Uffizi e dall’Aned, con il patrocinio dellaRegione Toscana, del Comune di Firenze, in col-

laborazione con Alinari ed Ocra Lab. L’esposizione, al-lestita dentro lo spazio austero e suggestivo dellaBiblioteca degli Uffizi, si è svolta a cavallo dell’8 mar-zo. Anniversario che a Firenze rimane molto sentito, contante manifestazioni che – grazie all’Aned – conti-nuano ad essere fortemente partecipate. Parliamo del73esimo anniversario – quest’anno – delle deporta-zioni fiorentine con destinazione il lager di Mauthausen.Alcune centinaia di deportati politici furono arrestatiin Toscana dalle forze occupanti (SS e polizia tedescain Italia), in collaborazione con le strutture repressivedella RSI. Si trattava di partigiani, sospetti fiancheg-giatori, renitenti alla leva, ma soprattutto dei tanti chepresero parte allo sciopero generale del marzo ‘44 nel-l’area di Firenze, Prato ed Empoli.

Il Presidente regionale dell’Aned Alessio Ducci, aproposito della mostra ha dichiarato: “Quando par-liamo di sterminio nazifascista, spesso lo facciamo

esponendo numeri, siano essi di matricola, di morti, disuperstiti. La mostra Sopravvissuti composta da 40 vol-ti, ha il pregio di rendere un’identità ai deportati. Siamoorgogliosi di esporla a Firenze, in uno dei luoghi piùprestigiosi al mondo. Nella città che con la realizza-

di Raffaele Palumbo Portare i volti e gli sguardi dei deportati dentroil luogo della bellezza per eccellenza: la galleriadegli Uffizi di Firenze. I volti sono quelliraffigurati nella mostra “Sopravvissuti. Ritratti memorie voci”, con le foto di SimoneGosso, da un progetto di Cristina Ballerini.

Un lavoro di ricerca iniziato trent’anni fa e che ha portato alla realizzazione dellefotografie di 40 volti di superstiti dei Lagernazisti. Sopravvissuti, appunto.

“Ritratti memorie voci con le foto di Simone Gosso, da un luogo “importante”, non marginale.

Al tavolo dei relatori nella biblioteca della Galleria da sinistra Gilberto Salmoni, sopravvissuto al campo di sterminio di presidente Aned, Tatiana Bucci, deportata piccolissima con la sorella Andra ad Auschiwitz, Eike Schmidt, direttore degli presidente ononorario Aned, Alessio Ducci, presidente Aned Firenze, Thomas Punkenhofer, sindaco di Mauthausen (città Camilla Brunelli, direttrice Museo della Deportazione e della Resistenza di Prato

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zione del progetto EX3 si appresta a diventare la capita-le italiana per la Memoria di tutte le deportazioni”.La mostra ha visto una forte partecipazioni di pubblicoe delle istituzioni, cittadine e regionali, certamente. Apartire dal Presidente del Consiglio regionale, fino allepiù alte cariche della città.

Ma i veri protagonisti sono stati gli ex deportati chehanno potuto visitare la mostra: Gilberto Salmoni,sopravvissuto al campo di sterminio di

Buchenwald, e Tatiana Bucci, deportata piccolissimacon la sorella Andra ad Auschiwitz. Ed infine i “due ve-nuti dal nord”, convinti compagni di viaggio nella lottaper la memoria e l’attualità della memoria. Il sindaco diMauthausen – città gemellata con Firenze – ThomasPunkenhofer, per altro a suo modo sopravvissuto la scor-sa estate ad un gravissimo incidente stradale avvenuto pro-prio in Toscana, eppure presente alle manifestazionidell’8 marzo; Dario Venegoni, presidente nazionaledell’Aned, e poi il direttore delle Gallerie degli Uffizi EikeSchmidt, storico dell’arte tedesco, con un passato negliStati Uniti, direttore del museo italiano più visitato da dueanni.

Ivolti e gli sguardi dei “Sopravvissuti”, hanno ideal-mente incrociato una scena generata da anni di lavo-ro, di costruzione di pace, di manifestazioni, libri,

valorizzazione della memoria. Un tessitura fittissima,

tutta visibile la mattina dell’inaugurazione. Una mostrasulla deportazione che prende forma con forza e con-vinzione in un luogo “importante” e non marginale. Il di-rettore tedesco che parla dei deportati con al collo il faz-zoletto dell’Aned, il simbolo della deportazione. Glisguardi fissi dei deportati ritratti nelle foto e gli sguar-di vivi dei deportati intervenuti all’inaugurazione suquel fazzoletto, su quella persona. Le orecchie attentead ogni parola, pronunciata con grande consapevolezzadal direttore Schmidt sulla bellezza come antidoto con-tro la devastazione. La ricerca di un percorso comune, dafare oggi, con l’ispirazione di chi ci ha preceduto e lalucidità di chi ha piena coscienza di stare dentro tempidifficilissimi.

Subito dopo l’inaugurazione della mostra, Schmidtsi è poi spostato – davanti alla stampa mondiale –a presentare il trittico con “La resurrezione di

Lazzaro” restituito a nuovo splendore dopo un lungo re-stauro. È stato impressionante vederlo ritratto in televi-sione e su tutti i giornali, il giorno dopo, con al collo ilfazzoletto del Aned. Non si è trattata di una dimenti-canza. Lo ha tenuto addosso tutto il giorno.Dopo le manifestazioni dell’8 marzo la mostra“Sopravvissuti” si è poi spostata in San Pier Scheraggio,la ex chiesa che fiancheggia l’edificio vasariano e ne co-stituisce il confine su via della Ninna divenuta sala de-gli Uffizi.

“I volti nella mostra “Sopravvissuti” hannoil pregio di rendere un’identità ai deportati

Eike Schmidt, storicodell’arte tedesco,direttore del museoitaliano più visitato dadue anni in televisione esu tutti i giornali. Il giorno dopo lacerimonia con al collo ilfazzoletto del Aned. Non è stata di unadimenticanza. Lo hatenuto addosso tutto il giorno.

Buchenwald, Dario Venegoni, Uffizi, Vera Michelin Salomon, à gemellata con Firenze),

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Il primo è del 2007: Leopoldo Gasparotto, “Diario diFossoli”, a cura di Mimmo Franzinelli; il secondo è del2009, Gianluigi e Julia Banfi, “Amore e Speranza”, cor-

rispondenza tra Julia e Giangio dal campo di Fossoli (apri-le-luglio 1944), a cura di Susanna Sala e Giuliano Banfi. Ilterzo, del 2012 è di: Gianfranco Maris, “Per ogni pidocchiocinque bastonate”. Nel 2015 viene pubblicato quello diAndrea Lorenzetti, “Prigioniero dei nazisti-libero sempre”,lettere da San Vittore e da Fossoli, a cura di Guido Lorenzetti.Poi, nel novembre 2015 il volume di Marco Steiner “MinoSteiner. Il dovere dell’antifascismo”. Infine il sesto del 2016:Marina Valcarenghi “Aldo Valcarenghi, La ricerca dellaLibertà”. A questi va aggiunto il volume di LudovicoBelgiojoso “Notte e nebbia” che è stato pubblicato per laprima volta nel 1996.Tutti questi libri, salvo quelli di Gasparotto, Banfi, Belgiojosoe Maris, per ragioni editoriali, sono stati presentati negli in-contri annuali di “Memoria Familiare, figli e nipoti rac-contano” organizzati dall’Aned di Milano, con la particolaritàunificante che la pubblicazione dei documenti e delle testi-monianze sono state promosse da noi figli, che per altro ciconoscevamo fin dall’infanzia, in quanto legatiall'Associazione ex deportati.

La presentazione dei libri, la lettura di documenti ri-portati nei testi non conosciuti, perché conservati ge-losamente in famiglia, ci ha indotto a compiere un ten-

tativo di lettura orizzontale e sincronica dei materiali, rico-noscendo sovente gli stessi eventi e i riscontri analitici, vi-sti da diverse angolazioni e narrazioni.Le nuove informazioni, gli originali dettagli integrati ci han-no stimolato a voler incrociare i dati e a costruire un’ipote-si di ricerca approfondita sui valori straordinari che hannocaratterizzato l’esperienza cospirativa e il dibattito politi-co, programmatico e organizzativo che si sono sviluppatinella detenzione nel carcere di San Vittore e poi nel campodi Fossoli, prima del definitivo, e per molti di loro fatale,internamento in Germania nel KZ di Mauthausen e suoi sot-tocampi.

Ci siamo resi conto, noi figli, che questa ipotesi di ricercastorica, che aveva anche l’obiettivo di dimostrare co-me il contributo della deportazione politica fosse ine-

ludibile e fondamentale rispetto alla costruzione dei valoridi democrazia politica, sociale ed economica, doveva esse-re validata da ricercatori professionali che garantissero ilmassimo di rigore scientifico al percorso di studio. Da que-sta volontà di approfondimento, di introdurre novità inter-pretative di fatti ed eventi pressoché sconosciuti o peggio tra-scurati o addirittura occultati è nata l’organizzazione dellaricerca. La sezione di Milano dell’Aned ha promosso e finanziato laricerca, con uno sforzo di coordinamento unitario che ha in-vestito tutte le associazioni della Resistenza (Anpi, Anppia,Fiap, Fondazione Memoria della Deportazione, Insmli, Anpc,Politecnico di Milano, Stagisti dell’Università Statale tutticoinvolti come promotori, del metodo che stiamo appli-cando sistematicamente in tutte le nostre iniziative, con l’in-

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Campo di concentramentodi FossoliIl confronto politico nellaBaracca 18 e dintorni: marzo-luglio ’44

di Giuliano Banfi

Negli anni recenti sono stati pubblicati alcunilibri che argomentano, sono testimonianzadiretta e fanno memoria di deportati nel campodi concentramento e di transito di Fossoli.

Questi testi che raccolgono documenti originaliintegrano e completano le informazioni e lenarrazioni dell'ampia letteratura uscita “acaldo” nell’immediato dopoguerra e negli annisuccessivi in concomitanza con la realizzazionedel Museo Monumento di Carpi e alla costituzione della Fondazione ex Campo di Fossoli.

“Dai libri di memorie familiari a un convegno storico

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tento di superare separazioni e distinzioni non più attuali)e ha voluto fortemente una partecipazione integrale e pari-taria della Fondazione dell’ex Campo di Fossoli al fine diutilizzare al massimo tutte le sinergie possibili.La responsabilità di direzione e coordinamento è stata con-ferita al prof. Mimmo Franzinelli, da tempo impegnato suquesto periodo storico.La ricerca, che è in avanzata fase di sviluppo, sembra con-fermare l’ipotesi di lavoro iniziale, quella cioè del contri-buto pregevole, anche dal punto di vista intellettuale, del-la Deportazione politica, per costruire i valori sostanziali del-l’unità antifascista. Questa si basa su un programma di de-mocrazia progressiva, politica, sociale ed economica; si ar-ticola su moduli organizzativi fondati sulla solidarietà, la tol-leranza, la volontà di pace, l’esecrazione della guerra, deinazionalismi e del razzismo, e da grande rilievo allo svi-luppo delle libertà individuali e collettive, senza distinzio-ne di genere, di religione, di etnia, di pensiero e di militan-za politica.

Significativo ed esemplare è stato il ritrovamento di undocumento originale dove, sulla base di questi valori,la “comunità” dei deportati di Fossoli “accetta di con-

siderarsi vincolata” al rispetto di norme che precisano di-ritti, doveri ed eventuali sanzioni.

1 Relazione di inquadramento generale.Relatore sarà il coordinatore Mimmo Franzi nelli cheaffronterà “un itinerario per la libertà da Milano aFossoli.”

2 L’antifascismo milanese e la repressione na -zifascista dopo l’8 settembreesplorerà il panorama delle condanne comminate daiTribunali Speciali e dei confinati; il loro ritorno dopoil 25 luglio 1943, il raccordo con le giovani levedell’antifascismo clandestino e i nuovi arresti, lacarcerazione e la deportazione.

3 La detenzione nel carcere di San Vittore. Esplorerà l’arresto degli antifascisti di varia prove -nienza, origine e formazione, la compre senzacontempo ranea di tanti soggetti, la du rezza delregime carcerario, i canali di comu nicazione conl’esterno e l’avvio di confronti politici con iltrasferimento di esperienze tra i vari gruppi diresistenti detenuti.

4 Il Campo di transito di Fossoli, sua storia sin tetica. Descriverà l’arrivo coi trasporti partiti dal binario 21della Stazione Centrale di Milano, la sud divisione deideportati nelle baracche, l’orga nizzazione del campo,le forme di autogestione limitata della vita e dellaforzosa convivenza dei deportati, le strutture di

democrazia dal basso per regolare i rapporti, lasolidarietà e la sociali z zazione delle risorsemateriali disponibili, la formazione culturale epolitica avvalendosi delle competenze profes -sionali dei detenuti.I momenti drammatici di violenza perpetrati dainazifascisti con l’uccisione di Gasparotto e lastrage dei 67 del 12 luglio al Cibeno. L’attività di assistenza alle famiglie dei deportatitramite comunicazioni operative e dispositive,pressoché quotidiane con il CLN di Milano, lachiusura del campo, con gli ultimi trasporti al lagerdi Bolzano e il trasfe rimento definitivo inGermania prevalentemente a Mauthausen e relativisotto campi.

5 I profili biografici e politici dei deportati.I gruppi sociali e politici con un appro fondi mentospecifico di 107 deportati transitati nella Baracca18 e le interazioni tra i vari gruppi impe gnati nelconfronto politico per costruire i valori dell’unitàantifascista, la strategia e le prospettive diresistenza al nazifascismo per la conquista dellelibertà.

6 Conclusioni sistemiche. Verranno riassunte le novità sostanziali raggiuntedalla Ricerca grazie al reperimento di documentiparzialmente noti e scandagliati in profondità.

è programmata per l’11 novembre, un sabato per tutto il giorno, in un Convegno dialto livello nazionale che sarà articolato nelle seguenti sezioni tematiche:

La presentazione pubblica dei risultati della ricerca

Questo spirito unitario e antifascista, darà luogo a formeorganizzative democratiche per esercitare una gestionedel campo in limiti compatibili con la condizione di de-portazione sotto il potere criminale del comando tedescodelle SS. Organizzazione riscontrata e continuata nel campo diBolzano che l’ha ereditata dopo la chiusura di Fossoli. Danon trascurare - sia a Fossoli che, poi, a Bolzano – la straor-dinaria rete clandestina organizzata e coordinata dal CL-NAI che consentì lo scambio informativo e di aiuti di ognigenere fra Milano ed i deportati in quei campi. Infine sia-mo convinti che i risultati della ricerca apriranno nuoveed ulteriori prospettive di studio che varrà la pena di af-frontare. Aned si impegna fin d’ora a definire un pro-gramma di lavoro e di attività che approfondisca il ruo-lo della deportazione politica italiana ed internazionale.

Analisi storiche tanto più necessarie in questo periodoche vede affermarsi in modo drammatico nuoveforme di nazionalismi esasperati, razzismi di-

struttivi e criminali, migrazioni epocali fuggendo con fu-ghe da guerre e devastazioni immani. Auguriamoci un buon lavoro, pieno successo e un adeguatoriscontro del nostro Convegno a cui abbiamo dedicato, conpassione, un sforzo rilevante

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Il progetto prevedeva duemomenti, uno di caratte-re storico, didattico e tea-

trale, l’altro soltanto teatra-le. Il primo momento, che siè praticamente concluso,comprendeva il coinvolgi-mento di alcune classi delCFP Achille Grandi di SestoSan Giovanni, dell’I.T.IS.Cartesio di Cinisello Bal -samo e della scuola secon-daria di primo grado Leonar -do da Vinci di Monza, che hanno sede nella stessa aereadove sorgevano i grandi complessi industriali.Data la delicatezza della tematica affrontata, che avreb-be potuto suscitare nei ragazzi più sensibili delle reazioniinaspettate, grazie al coinvolgimento diretto delle in-segnanti sempre presenti e ad un approccio particolar-mente attento del regista Renato Sarti, agli studenti èstato consegnato il libro di Valota chiedendo che se-gnalassero o evidenziassero i passi a loro avviso piùtoccanti e significativi.

Su questi brani è stato svolto un intervento di caratte-re drammaturgico per fare in modo che il materialeprescelto si adattasse il più possibile al teatro. A quel

punto si è passati alla fase che ha suscitato il maggior en-tusiasmo da parte dei ragazzi: la recitazione dei brani pre-scelti. Si sono rese difatti necessarie alcune letture davantial pubblico che si sono effettuate durante l’inaugurazionedella Biblioteca Aldo Juretich a Monza, durante il Giornodella Memoria nella Casa della Memoria a Milano, al-l’interno degli istituti scolastici stessi e in altre occasioni.

di Renato Sarti

Matildee le donne nelladeportazioneoperaiaCon “il tram per San Vittore”

Prima dell’estate dello scorso anno ha presoavvio un impegnativo e ambizioso progettoideato da Renato Sarti e prodotto dall’Aned e dal Teatro della Cooperativa, che partiva dallibro di Giuseppe Valota “Dalla fabbrica ailager: le donne e la deportazione operaiadall’area industriale a nord di Milano”.

Il progetto si avvale soprattutto delletestimonianze delle donne - mogli, figlie, madri,sorelle – di quegli uomini, per lo più operai,che finirono nei lager.

“Un progetto dalle scuole approda al Piccolo Teatro di Milano: passi significativi di un libro sui deportati

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“Sono scuole e sedi, quindi allievi, della stessa aereadove sorgevano i grandi complessi industriali

Scusi, il tram per San Vittore?Matilde alla ricerca della mamma imprigionata

I passi del progetto didattico per “lavorare” con il soggetto dal teatro alle scuole

Come abbiamo operato: azione 1Si è realizzato ciclo di incontri con ilcoinvolgimento di alcune classi del CFP AchilleGrandi di Sesto San Giovanni, dell’I.T.I.S.Cartesio di Cinisello Balsamo e della scuolasecondaria di primo grado Leonardo da Vinci diMonza. Il percorso si concentra maggiormente sul lavorodrammaturgico. Gli studenti, a partire dalletestimonianze raccolte nel volume di Valota, sonocoinvolti nell’elaborazione di un testo originaleche li ha messi a confronto con temi qualil’impegno e la convivenza civile, il rispetto perl’altro e i valori della democrazia, secondo unametodologia drammaturgica perfezionata neglianni dal Teatro della Cooperativa.

Obiettivi- propedeutici: condivisione di una serie di regolecirca il rispetto per lo spazio di lavoro,l’operatore e l’insegnante, il gruppo;- l’apprendimento e utilizzo degli strumentispecifici del linguaggio drammaturgico e scenico; - lo sviluppo della capacità di lettura, analisi erielaborazione di testimonianze storiche in otticaTeatrale;- l’individuazione di momenti di confronto tra letestimonianze storiche e la vita quotidiana deiragazzi alla luce di temi quali la libertà

d’espressione, la violenza, il rapporto con icoetanei e gli adulti, il bullismo, l’istruzione,l’impegno nella società civile, la lotta per i dirittifondamentali;- l’utilizzo di conoscenze appartenenti alle altrediscipline curricolari e agli ambiti di interessepersonale degli allievi nella costruzione di unascrittura scenica originale;- lo sviluppo delle capacità di rivivere e rievocarela tragedia della deportazione dando corpo alleparole delle testimonianze;- lo sviluppo della capacità di lettura di prodottiartistici di tipo performativo secondo criteritecnici e un gusto personale e consapevole.

Azione 2La produzione, da parte del Teatro dellaCooperativa e con la regia di Renato Sarti, diuno spettacolo che debutterà in occasione delGiorno della Memoria, nel gennaio del 2018 alPiccolo Teatro di Milano e che partirà dalleriflessioni nate nella fase di laboratorio con iragazzi delle scuole secondarie di primo esecondo grado. La fase di allestimento e di prove avrà luogopresso il Teatro della Cooperativa fra novembre egennaio 2018 e saranno aperte agli studenti deilaboratori. Lo spettacolo avrà in seguito una suacircuitazione a livello nazionale.

Le interviste fatte in un video inquadrano con pre-cisione come questa tragica pagina di storia, tra-mite il teatro, sia entrata a far parte della matura-

zione umana, scolastica, civile di questi ragazzi. Lucrezia spiega: “Quando recitavo mi sentivo moltocoinvolta, anche perché sentivo il dolore di chi ha pro-vato questa esperienza”. E Marco aggiunge: “Questecose sono successe davvero. Non sono cose banali osemplici o come lette su un libro”. A sua volta Marika in-terviene: “Questo laboratorio mi ha fatto capire e esse-re grata alle cose che ho, cioè al fatto di poter mangia-re sempre quando voglio, poter andare a letto tranquil-la senza paura”. Conclude un altro ragazzo del gruppo.“Sembra quasi una cosa assurda, impossibile che sia esi-stita, ma in realtà è tutta la verità e provare di esse-re in quell’epoca è veramente terribile.”

Aall’inizio dell’anno “Matilde e il tram per SanVittore” è approdato al Piccolo Teatro di Milano,con Maddalena

Crippa, Debora Villa eRossana Mola, come at-trici, per la regia dellostesso Renato Sarti. Nonsolo sarà uno degli ap-puntamenti più attesi del-la stagione del prestigio-so teatro, ma anche un ri-conoscimento per l’im-pegno profuso da Sarti eGiuseppe Valota da piùdi venti anni.

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Nelo Risi

EdithBruck

Edith BruckLa rondine

sul termosifone

Nave di Teseo 2017pag. 140

euro 13,60

In una delle sue magistrali interviste (su La Re pub -blica), Antonio Gnoli ha, di recente, tessuto l’orditocomplesso tra la memoria dolorosa di Edith Bruck,scrittrice di consacrato valore, e la discesa all’in-ferno dell’Alzheimer del poeta-cineasta Nelo Risisuo compagno di vita per lunghi anni.

La rondine sul termo-sifone si intitola il li-bro (pubblicato dalla

Nave di Teseo) in cui, tra ri-cordi struggenti ed espe-rienze devastanti, prendecorpo e senso una odisseaangosciosa durata quasi unventennio dissipando con-quiste intellettuali e cimen-ti esistenziali, giusto nel si-gnificato seguente, comeconfessa Edith Bruck stessa,“la vita sa essere brutale,feroce, iniqua. Ma anchecon delle sorprendenti aper-ture alla luce… La mia fuga

da un vissuto estremo…”.Tormentoso, ineludibile ilcalvario attraverso il qualeNelo Risi, prima aggreditodal male, poi trascinato peranni lungo la china ango-sciosa dello spossessamen-to di sé, percorse sempre piùdisarmato un camminodram matico, inesorabile. Eaccanto a lui, Edith Bruck,già marchiata nell’adole-scenza (costretta nel lagerdi Auschwitz) e in conse-guenti traversie, in tempi piùtardi stoicamente dedita aprogressive prove letterarie,

costantemente determinataa testimoniare, a ripensarecon non spenta passione lasua e la assidua tragedia diNelo Risi. C’è da dire chese la scomparsa di Risi intarda età e la trepida me-moria di Edith Bruck costi-tuiscono la parte più scarni-ficata del libro La rondinesul termosifone (titolo perquanto incongruo dettatodalle allucinate elucubra-zioni dell’Alzheimer), nel-le restanti digressioni bio-grafiche riemergono in mo-do esaustivo sia le stagionicreative, i momenti cultu-rali significativi del poeta-cineasta Nelo Risi, sia i li-bri, le sperimentazioni let-terarie della profuga un-gherese Edith Bruck (poi atutti gli effetti italiana diRoma). In tale contesto si

staglia, singolare e garbata,la fisionomia culturale diRisi inizialmente dedito alcinema (con diversi medio-metraggi e con il film di granpregio Diario di una schi-zofrenica) e in seguito im-pegnato in componimentipoetici originalmente ispi-rati. Una attitudine che persé sola – come è stato sot-tolineato, a ragione – riaf-ferma una poesia che si pro-fessa civile… nella nettez-za delle sue prese di posi-zione: “Sono per un lin-guaggio tutto teso che siadi per sé azione: voglio par-lare di quello che ci offende,scrivere di quello che ci in-digna…”. Di Nelo Risi re-stano, in effetti, memorabi-li le raccolte liriche nei vo-lumi Dentro la sostanza eDi certe cose.

BIBLIoTECA

Nel libro “La rondine sul termosifone”Edith Bruck rievocail dramma di Nelo Risi

Dice “La carta sopporta parole che neppure immaginiamo”

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In modo tutto autonomo,personale, si estrinseca l’ap-proccio espressivo delle pro-ve letterarie di Edith Bruck.Tanto da meritare commenticritici lusinghieri quale: “…uno stile asciutto che togliealle sue drammatiche auto-biografie (Chi ti ama così,Due stanze vuote e le poesiedi Tatuaggio)… qualunqueaccento di compiacimentoo di tenerezza. I vecchi te-mi di tante testimonianze –le persecuzioni degli ebrei,i campi di sterminio… - sirinnovano nei suoi libri peruna rappresentazione tan-to più tragica quanto piùscevra da una immediatamossa polemica…”.Ma poi anche la ricerca let-teraria di Edith Bruck si fa,negli anni Settanta, più sa-piente e acuta. La sua tragica testimonian-za della persecuzione nazi-sta (in particolare in Transit)e della difficile eredità davivere (con Mio splendidodisastro e Lettera alla ma-dre) si dispone, dice l’au-trice, malgrado tutto in un“rapporto dalla violenza as-soluta della persecuzione aquella subdola della ambi-guità sentimentale”.Oggi, devotamente incal-zata da Antonio Gnoli sullasua scrittura come testimo-nianza del dolore, EdithBruck risponde con umilesemplicità: “è il solo mododi scrivere… Si chiamiShoa… oppure malattia. Perme scrivere era e resta unaforma di terapia. La cartasopporta parole che nep-pure lontanamente imma-giniamo”.

Sauro Borelli

Italia e Germania a confronto in unnuovo volume a curadella Fondazione

Gli atti del convegno tenuto nel 2013

È in libreria il volume 1943-1945: i «bravi» e i «cat-tivi». Italiani e tedeschi tra memoria, responsabilità estereotipi, a cura di Massimo Castoldi, con saggi diThomas Altmeyer, Filippo Focardi, Luigi Ganapini,Paolo Jedlowski, Raoul Pupo. Primo volume di unaserie curata dalla Fondazione Memoria dellaDeportazione.

L’elaborazione di unamemoria condivisa econsapevole sugli ul-

timi anni della seconda guer-ra mondiale ha conosciuto,in Germania e in Italia, per-corsi differenti, scanditi datempi e sensibilità che è uti-le mettere a confronto, in se-de di ricostruzione storica.Questo volume presenta unapproccio comparativo allaquestione, attraverso la vo-ce di alcuni tra i massimispecialisti, italiani e tede-schi, della materia.Dopo decenni di oblio, inGermania, scrive ThomasAltmeyer, si è avviato unprocesso di recupero dei luo-ghi della memoria del nazi-smo e di fondazione di cen-tri di documentazione, neiquali è in atto una ricercacostante sui modi di tra-smissione della memoria al-la collettività e alle nuovegenerazioni.Diversa la storia italiana,che, pur avendo elaborato

fin dal 1945 una memoriadiffusa dell’antifascismo edella Resistenza, è ancorasegnata da reticenze sui cri-mini perpetrati dal fascismoin Italia e nei territori occu-pati.Ciò è in relazione con lo ste-reotipo culturale del «bra-vo italiano» che, secondoFilippo Focardi, sia la mo-narchia, desiderosa di libe-rarsi dalle complicità col re-gime, sia le forze antifasci-ste, in cerca di una legitti-mazione interna e interna-zionale, avevano interessea diffondere. Sulle vicende del confineorientale Raoul Pupo, inda-gando oltre i miti interpre-tativi, riposiziona i conflit-ti in questi territori in unaprospettiva plurale e stori-camente compiuta.All’origine dello stereotipodel «cattivo» tedesco e del«bravo» italiano c’è, sostieneLuigi Ganapini, anche il di-sorientamento di molti cit-

tadini, tra vittimismo e scon-certo, conseguente all’8 set-tembre, che pure ha gene-rato dispersioni e conflittidi memoria. Il tema di Paolo Jedlowskiè infine proprio la difficoltàitaliana di elaborare una me-moria autocritica, capace diconservare anche il ricordodei «torti che noi abbiamofatto ad altri», e che è il con-trario della memoria auto-celebrativa, e implicita-mente autoassolutoria, an-cora molto diffusa.

Massimo Castoldi1943-1945:

i «bravi» e i «cattivi». Italiani e tedeschi

tra memoria, responsabilità e

stereotipi, Donzelli editore, 2016

euro 24,00

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Il Lager di Bolzanocome non eramai stato raccontato

Un saggio del Laboratorio di storia di Rovereto

È forse la ricerca più approfondita sul lager di Bolzanoquella che ci propone lo staff dei ricercatori delLaboratorio di storia di Rovereto, coordinato daGiovanni Tomazzoni con il sostegno della Provinciaautonoma di Trento nel bel volume “Il popolo nu-merato. Civili trentini nel lager di Bolzano 1944-1945.

Il libro comincia con unacitazione di Laura Conti,che trentina non era, ma

che a Bolzano è stata per me-si reclusa. “Una geografialineare è emersa dalle vi-scere della terra, come unoscheletro, o le si è sovrap-posta come una rete che laimprigiona. Ai nodi della re-te, sempre lo stesso paese siripete, con poche varianti:sempre lo stesso villaggiopiù o meno grande, ma sem-pre con la stessa rigorosageometria e le stesse mura,e ad ogni angolo delle mu-ra lo stesso mirador: dalquale le medesime sentinel-le scrutano il medesimo po-polo numerato”. Tutta la prima parte del li-

bro ci descrive con esattez-za cosa era il lager di Bolza -no, un Campo di transito,ma anche di detenzione nelquale passarono in un annocirca 10 mila prigionieri, po-litici, ebrei, rom. Il primogruppo numeroso arrivò nelluglio del 1944, dopo cheera stato chiuso il campo diFossoli e i prigionieri dal -l’Emilia inviati in questo la-ger che in qualche misurapreesisteva, ma che fino aquel momento era stato diridottissime dimensioni. Nel corso di quei mesi ven-nero lì rinchiusi anche 160trentini e vi transitarono 52dei 205 che furono poi de-stinati ai vari lager dellaGermania.

Anche molti dei 10mila pri-gionieri non trentini da quipartirono per Mauthausen,Dachau, Flossenbürg,Raven sbrück, fino a quandoi bombardamenti alleati sul-la linea ferroviaria reseroprima difficili, poi impos-sibili i trasporti verso il nord.Ma furono un centinaio co-loro che vennero assassina-ti direttamente in questocampo di transito.La ricostruzione del campoe dei suoi protagonisti è ac-curata ed entra nei minimiparticolari. Ci viene de-scritta, per la prima voltacon precisione, la strutturadel complesso di via Resia,così come quella dei sotto-campi nei quali spesso i de-tenuti erano condotti a la-vorare per il Reich. Ma sicitano con biografie accu-rate anche i responsabili ele guardie, e se ne descri-vono con precisione i ca-ratteri e i comportamenti cri-minali. Il popolo numerato anchein questo condizioni estremeaveva saputo organizzare unminimo di resistenza e disolidarietà. Ecco i rapportitra i detenuti e tra il “den-tro” e il “fuori”, un Cln par-ticolarmente attivo e co-raggioso. Ada Buffulini, Laura Conti,Ferdinando Visco Gilardi,Armando Sacchetta e altritengono viva, spesso a ri-schio della loro stessa vita,la solidarietà e l’impegno disostegno e di organizzazio-ne, in fondo una ribellionestraordinaria per affermarei diritti alla vita anche nellager.Un capitolo a parte è dedi-

cato, come dice esplicita-mente il titolo del libro, aidetenuti trentini. Per tutti èpubblicata una scheda con idati anagrafici, le ragioni,la data e il luogo della de-tenzione, la sorte loro toc-cata, e, quando possibile, an-che una fotografia. Un la-voro certosino per dare no-me e volto a chi è stato vit-tima della violenza più estre-ma.Il poeta cubano RobertoFernandez Retamar ha scrit-to: “se sono libero perchéqualcuno è morto per me,voglio conoscere il nome e ilcognome di chi è morto perme”. Questa ricerca così puntua-le risponde a questa esigen-za profonda in ognuno dinoi, sapere bene chi si è sa-crificato per la nostra libertà.Con la stessa idea di fondoDario Venegoni ha rico-struito il diario del campo,che è il capitolo finale dellibro. Giorno per giorno ifatti più rilevanti. Arrivi par-tenze, morti, punizioni, vio-lenze. Una ricostruzionepuntuale che, insieme allericerche del Laboratorio distoria di Rovereto, ci dà l’op-portunità di conoscere a fon-do ciò che è successo in queimesi tremendi in quella cittàdel “popolo numerato”.

BIBLIoTECA

Laboratorio di storiadi Rovereto

Il popolo numerato.Civili trentini nel lager

di Bolzano1944-1945.

Trento 2017,pag. 135.

L’ingresso dell’ex lager fotografato negli anniseguenti la liberazione: era l’autorimessa “Resia”

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Unterlüss, quelgesto di eroismodi 44 ufficiali italiani

Uno studio ne riporta alla luce la vicenda

Il libro, con prefazione di Aldo Cazzullo, è dedicato al-l’eroico episodio della Seconda guerra mondiale che vi-de protagonisti 44 ufficiali dell’esercito italiano. È sta-to presentato alla Casa della Memoria a Milano.

“Senza dire unaparola abbiamofatto un passo

avanti offrendoci al postodei ventuno decimati.Ciascuno di noi prese lasua decisione in piena au-tonomia, senza obbedire aordini superiori, in pienacoscienza per sfidare l’ar-roganza nazista, con la cer-tezza di una morte sicura.”Una pagina eroica dellaResistenza italiana, avve-nuta nel cuore della Germa -nia nazista. A scriverla ungruppo di ufficiali inter-nati, come altri 700milasoldati italiani, nei campinazisti dopo l’8 settembre1943. Costretti al lavorocoatto, incrociarono lebraccia e sfidarono laGestapo. Da questa schie-ra di uomini uscirono 44ufficiali che si diedero vo-lontari per sostituirsi a 21compagni scelti per la de-cimazione. Nel febbraio del 1945 iquarantaquattro vennerodeportati presso il campodi Unterlüss, un luogo didolore e di morte dove trasofferenze indicibili resta-rono fino alla liberazione.

Basato su testimonianze,documenti d’archivio e me-morie dei sopravvissuti,questo libro riporta alla lu-ce una storia a lungo di-menticata, simbolo dellaresistenza senz’armi deisoldati italiani contro il na-zismo.Andrea Parodi è giornalistae studioso di storia mo-derna e contemporanea,esperto di storia sabaudatra XVII e XVIII secolo,professionista della comu-nicazione e social media.Si è occupato di temi lega-ti alla Seconda guerra mon-diale e alla Resistenza ita-liana, in particolare dellalotta partigiana nelle Vallidi Lanzo e di InternatiMilitari Italiani. Collaboraattivamente con l’Anrp, dicui è fiduciario provincia-le, di Torino. È il pronipo-te di Carlo Grieco, uno dei44 eroi di Unterlüss.L’episodio nacque dall’o-riginale rifiuto di 214 uf-ficiali del Regio Esercitoche, dopo l’8 settembre1943, presi prigionieri daitedeschi, si rifiutarono disottoscrivere l’adesione al-la Re pubblica Sociale

Italiana. Classificati comeInternati Militari Italiani(per non riconoscere lorole garanzie della Conven -zione di Ginevra), furonoimpiegati coattivamente inlavori pesanti nei campi diconcentramento tedeschi epolacchi.Il 16 febbraio 1945, rin-chiusi presso l’Oflag 83 diWietz endorf, furono tra-sferiti nell’aeroporto diDedelsdorf, ormai in disu-so, che avrebbe dovuto es-sere un campo “civetta” sucui attirare i bombarda-menti alleati, destinati al-trimenti verso altri bersagli.Gli ufficiali italiani si ri-fiutarono di collaborare coni tedeschi e dopo sei gior-ni consecutivi di opposi-zione, il 24 febbraio 1945un ufficiale della Gestapocon un reparto di SS scel-se 21 prigionieri a caso dalgruppo dei dissidenti mi-nacciandone la fucilazio-ne immediata, ma 44 uffi-ciali italiani si offrironovolontariamente al postodei compagni. Dopo alcu-ne ore di consiglio i tede-schi, sorpresi e particolar-mente colpiti dal gesto eroi-co dei militari italiani, de-cisero di avviarli alla “rie-ducazione al lavoro”, di-sponendo l’immediato tra-sferimento nel campo KZ-AEL di rieducazione al la-voro di Unterlüss, tra i piùduri di tutta la Germaniadove furono sottoposti finoall’aprile successivo a la-vori forzati, torture, sfrut-tamenti e a un trattamentodi stenti in cui soffrironola fame.Sei di loro morirono, tre di

questi furono uccisi dallebotte dei sorveglianti tra iquali il tenente AlbertoPepe di Teramo e il tenen-te Giu liano Nicolini diStresa. Il sottotenente GiorgioTagliente di Taranto fu pic-chiato a morte e finito conun colpo alla nuca. Pepe,Nicolini e Tagliente, in-sieme a Balboni, Anelli eRinaudo furono insignitidella medaglia d’Argento alValor Militare alla memo-ria. La liberazione dei 38sopravvissuti avvenne il 9aprile 1945. L’episodio ètestimoniato sia da dichia-razioni rilasciate alla CroceRossa Internazionale, su-bito dopo la guerra, da cit-tadini tedeschi presenti nelcampo, tra cui il signor OttoWahl di Unterlüss, e dai re-soconti dei sopravvissuti.Con decreto della presi-denza del Consiglio dei mi-nistri i 44 eroi di Unterlüsssono stati insigniti dellaMedaglia d’onore ai de-portati e internati nei lagernazisti e di un encomio so-lenne (contenuta nel B.U.del Ministero della Difesadel 1949).

Andrea ParodiGli eroi di Unterlüss.

La storia dei 44ufficiali IMI

che sfidarono i nazistiUgo Mursia Editore,

pag. 216euro 16,00.

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Gli occhi di Irma. Quegli occhi simbolo del suo coraggio, contro iquali si scagliarono i nazifascisti che la torturarono per giorni, sen-za che lei svelasse i nomi dei compagni della Resistenza. Potevanospegnere la sua determinazione solo in un modo: trucidandola. IrmaBandiera è una delle donne partigiane più famose della storia bo-lognese, e la via che porta il suo nome, non lontano dallo stadio, èla strada in cui il suo corpo fu esposto come monito alla cittadi-nanza che sosteneva la Resistenza. Il suo volto, quegli occhi, sonosul muro di una scuola.È un’eccellente opera del collettivo artistico milanese Orticanoodles

Il sorriso di Irmatrucidata dai fascistirivive oggi sul muro della sua Bologna