48
APPUNTI E RIFLESSIONI / NOTAS Y REFLEXIONES N°4 / WILE E. COYOTE, HOW DO YOU DO?

N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

Embed Size (px)

DESCRIPTION

NYR - N°4 Wile E. Coyote, how do you do? With: Federica La Paglia, Mario Pireddu, Pilvi Takala, Or Nothing, Edukame.com, Sandra Moros Sides, Cristina Lucas, Jose Montaño, Mabel Palacin, Lorenzo Imbesi, Industrias lentas, Alfredo Calosci, Riccardo Benassi, Magdalena Ramírez (Lu Lantana), Sara D. Agostini, Jan Nálevka IN THIS NUMBER Editorial / Tempi moderni / Federica La Paglia Article / Accelerazione e social media / Mario Pireddu Visual display / Pilvi Takala Video interview / la velocidad en la educación / Edúkame Visual display / Cristina Lucas Article / Tiempos digitales, velocidad impredecible / Jose Montaño Visual display / Mabel Palacín Article / Design the factory of tomorrow / Lorenzo Imbesi Visual display / Industrias lentas Article / Coderdojo en Medialab Prado Madrid / Alfredo Calosci Interview on WhatsApp / Riccardo Benassi Article / Tiempos (hiper)modernos / Magdalena Ramírez Article / Mississippi / Sara Dolfi Agostini

Citation preview

Page 1: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

APPUNTI E RIFLESSIONI / NOTAS Y REFLEXIONESN°4 / Wile e. Coyote, hoW do you do?

Page 2: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

IN ThIS NUmbEREditorial / tempi moderni / FEdERIcA LA PAgLIAArticle / Accelerazione e social media / mARIO PIREddUVisual display / PILVI TAkALA Video Interview / la velocidad en la educación / EdúkAmEVisual display / cRISTINA LUcASArticle / tiempos digitales, velocidad impredecible / JOSE mONTAñO Visual display / mAbEL PALAcíNArticle / design the Factory of tomorrow / LORENzO ImbESI Visual display / INdUSTRIAS LENTASArticle / Coderdojo en Medialab Prado Madrid / ALFREdO cALOScIInterview on WhatsApp / RIccARdO bENASSIArticle / tiempos (hiper)modernos / mAgdALENA RAmíREzArticle / Mississippi / SARA dOLFI AgOSTINI Interview / JAN NáLEVkA

mAgAzINE STAFFFrancesco Ozzola / gabriele Tosi / Alba braza

gUEST EdITORFederica La Paglia

cOVER6’’, 2005. mabel Palacínthe thoughts of Modern Sculptors, 2013. Jan Nálevka

Appunti e riflessioni / Notas y reflexiones www.notasyreflexiones.com

Published by hérétique www.heretique.it / [email protected]

APPUNTI E RIFLESSIONI / NOTAS Y REFLEXIONESN°4 / Wile e. Coyote, hoW do you do?

Page 3: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

Il tempo e lo spazio, da sempre al centro della riflessione filosofica, escono ora dal cenacolo degli intellettuali per diventa-re tema di dibattito pubblico, specie da quando la crisi economica mondiale si è fatta talmente condizionante da imporre di riconsiderare il nostro stile di vita.Senza voler fare accenni retorici alla con-seguente crisi del sistema sociale di im-pianto capitalistico, ma guardando con interesse alle ricerche sul tema della de-crescita quale risposta all’insostenibilità dei mercati attuali – le cui ricadute inte-ressano in particolar modo la questione tempo – c’è da domandarsi se sia stato scardinato il mito novecentesco della ve-locità e se sia stato sostituito da quello della lentezza. Da una prima osservazione su fenomeni e rappresentazioni sociali sembrerebbe di si, ma a lungo termine vi è davvero spazio per un rallentamento? O piuttosto la fase in corso, non è davvero solo una fase?

Ci muoviamo, condividendo la citazio-ne di Festina lente riportata da Lamberto Maffei1, per considerare come il dibattito debba spostarsi dal tema della velocità a quello della possibile elaborazione di nuo-ve soluzioni al vivere quotidiano in linea con la lentezza del cervello umano, capa-ce si di risposte veloci ma non in grado di tenere, individualmente e socialmente, il

ritmo delle continue sollecitazioni e acce-lerazioni che gli si “impongono”.

È di questi giorni la notizia che Facebook e Apple offrono alle proprie dipendenti il pagamento del congelamento degli ovuli, spingendo verso un ulteriore spostamento del tempo della maternità con l’obiettivo di contrarre quello del lavoro. Si è qui di fronte a una strumentalizzazione che evi-denzia una dicotomia fuorviante, espres-sione di una ancora forte pressione verso il consumismo, che nella rapidità trova la sua forza motrice. Dunque, nella società post-industriale come cambia il rapporto uomo-beni di consumo? Che cosa signifi-ca rallentare oggi?

In rifiuto di un inconcepibile dualismo (velocità/lentezza) e di un approccio ana-cronistico emerso da alcuni fenomeni (destinati quindi a essere sperimentali, come ad esempio il neo-baratto), ma più convinti dalle varie sfaccettature del co-siddetto slow living, ci appare necessario riflettere sulla possibilità di un nuovo ap-proccio alla contemporaneità, che tenga conto dei benefici della tecnologia ma ri-consideri la nostra relazione con questa. E parliamo di tecnologia nei termini in cui l’invenzione dell’uomo ha condotto a uno sviluppo individuale e sociale che fa del tempo veloce un elemento costituente.

Stanti così le cose, viene da domandarsi quale sia la terza via. Quale ibridazione può dar luogo a una dimensione persona-le e poi collettiva che risponda alle nuove esigenze?

Procedere a un’analisi significa fare ap-pello al pensiero lento di cui parla Maffei, il tempo della riflessione, quella appunto dei pensatori, degli artisti, degli studiosi.C’è da riflettere sul fatto che la veloci-tà, così tanto ricercata nel secolo scor-so, abbia allora trovato una sua esplicita espressione nella produzione degli artisti, dei comunicatori, degli imprenditori, che oggi però stanno osservando i fenomeni del rallentamento con apparente ritardo, fatta eccezione per i designer. O forse l’approccio è diverso, meno espli-cito, meno dichiarativo. Nel campo dell’arte, ad esempio, il ritor-no a medium più riflessivi, come la pittu-ra, quanto è espressione di questa evolu-zione e quanto è condizionato, invece, dal mercato?Anche se il cambiamento è per ora anco-ra un fatto personale, è fondamentale do-mandarsi come la proiezione individuale possa aprire una finestra su un mutamento socio-culturale. Non si tratta solo di guar-dare all’oggi ma di cercare di intravedere più avanti. Insomma, come sarà il tempo domani??

EdITORIALE / TEmPI mOdERNIFEdERIcA LA PAgLIA

1 Lamberto Maffei, Elogio della lentezza, Società editrice Il Mulino, Bologna, 2014

Page 4: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

AccELERAzIONE E SOcIAL mEdIA mARIO PIREddU

La conoscenza come proprietà della rete. Apprendere ad apprendere tra tec-nologia e accelerazione

Esiste una relazione intima tra tecnolo-gia e accelerazione? La domanda può es-sere utile per affrontare un tema spinoso come quello del rapporto tra formazione e tempi dell’apprendimento. Le reazioni più comuni davanti ai cambiamenti con-nessi alla diffusione del digitale e delle reti, infatti, prendono di norma la forma dell’apprezzamento entusiastico o del rimpianto nostalgico. Lasciando da par-te questi due lati di una stessa medaglia, è forse possibile cercare di comprendere il mutamento che stiamo vivendo adot-tando un metodo mediologico. Dalla pietra alla carta, passando per le ruote, le imbarcazioni, le strade, le tecnologie hanno aperto nuove possibilità configu-randosi come dispositivi abilitanti, ren-dendo l’inedito possibile e il conosciuto più rapido.

A lungo ci si è interrogati sulle diffe-renze tra il mondo degli amanuensi e quello della carta stampata, e più di un commentatore ha ricordato come prima dell’invenzione di Gutenberg i copi-sti non fossero ritenuti “lenti”. Non ci sono molti dubbi, invece, sul ruolo della stampa a caratteri mobili nella velociz-

zazione dei processi di insegnamento e apprendimento. Conviene dunque aver presente che comprendere i mutamenti del passato può aiutare a intendere me-glio quelli del presente. Ci si sofferma qui su un interrogativo puntuale, ovvero ci si chiede se le tecnologie digitali e la rete stiano effettivamente conducendo verso un’accelerazione impossibile da gestire, e se non sia il caso di tornare a quella che si potrebbe definire – in linea con non poche retoriche contemporanee (slow food, slow travel, slow economy, slow wine, etc.) – una slow education. Va detto da subito che lo slogan “Buono, pulito e giusto” è difficilmente applica-bile alla formazione, giacché gran parte dell’apprendimento è di fatto “sporco”, come ha più volte ribadito Seymour Pa-pert. Le retoriche del ritorno al passato e alla sua lentezza, poi, risentono spesso di idealizzazione quando non di vera e propria reificazione di un tempo mai esi-stito: solitamente questo tipo di approc-ci, anche negli ultimi tempi, è servito a giustificare politiche regressive, conser-vatrici o reazionarie.

La tecnologia delle comunicazioni e dei trasporti e l’espansione dell’istruzione hanno reso possibile a più persone leg-gere nei quotidiani e nei libri di nuovi luoghi, vederli nei film e viaggiare di

più. Riuscire a sperimentare molti even-ti lontani nello stesso tempo, grazie alla radiotelegrafia, fu parte di un più ampio cambiamento nell’esperienza del pre-sente. La comunicazione elettronica ha ridotto spazi e tempi, e la simultaneità ha esteso spazialmente il presente. Il digita-le e le reti oggi continuano sulla strada aperta dai media precedenti. Le tecnolo-gie cambiano rapidamente le dimensio-ni dell’esperienza, e per quanto esistano tempi diversi per tipi di apprendimento differenti, non sembrano rivelarsi utili né la retorica dell’accelerazione né quel-la nostalgica del passato lento e “più umano”. Naturalmente nuovi ambienti mediali comportano nuovi problemi e nuove sfide – è sempre stato così – anche e soprattutto per chi si occupa di forma-zione. Il sapere viene prodotto, diffuso e consumato sempre più in rete, e non è più confinato esclusivamente in luoghi deputati alla sua conservazione o ripro-duzione: ciò significa da una parte che il cambiamento dell’infrastruttura del sapere sta alterando la forma e la natura stessa della conoscenza, e dall’altra che fuori dai percorsi istituzionali esistono processi formativi di vario tipo, spesso non banali e meritevoli di attenzione. Multitasking spinto e overload infor-mativo sono problemi reali, ma a queste sfide si risponde con soluzioni adeguate

Page 5: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

al tempo presente. I vecchi filtri non era-no né universali né ideali, ma semplice-mente funzionavano bene per la tecnolo-gia del periodo (la carta). A nuove situa-zioni nuove risposte. La soluzione alla sovrabbondanza di informazioni non è

la loro riduzione, ma l’aggiunta di altre informazioni: l’educazione all’uso dei metadati diventa allora centrale per l’ac-quisizione di competenze fondamentali per il presente e per il futuro. Allo stesso modo e per ragioni analoghe, lo studio

del software e delle basi della program-mazione non può più essere relegato ai margini dei percorsi educativi. Non tan-to per saper programmare, quanto per imparare a non essere programmati.

Philip Galle, Bottega del pittore

Mario Pireddu è ricercatore in Scienze della Formazione alla Università Roma Tre. Vive e lavora tra Roma e Milano

Page 6: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

Pilvi Takala filmed herself as a trainee in the marketing de-partment at Deloitte in Helsinki, trying to introduce the time of the thought inside the capitalist mode of working. This can happen while spending the whole day in a lift. When people at the company ask her why she is staying just doing nothing, she answers that she thinks better thanks to the movement of the lift. She sits at a desk without any computer. The people working in the office are curious about her. They ask if she needs something. She needs to think. And in order to think properly, she needs time. To think properly, we need “to see things from a different perspective”.Paranoia increases. Her new colleagues think she might be struggling with ‘mental illness’. Their emails exchanges prove a complete disorientation, due to the fact of being in contact with a trainee doing nothing but thinking. She looks like a postmodern Bartleby by Herman Melville, echoing his famous reply “I would prefer not to”.

Text by [or nothing]

The Trainee, 2008Installationhttp://www.pilvitakala.com/

Pilvi TakalaBorn in 1981 in HelsinkiLives and works in Istanbul and Helsinki

ThE TRAINEEPILVI TAkALA

All images / courtesy Pilvi Takala [or nothing] is an invitation addressed to an artist to conceive a project in a specific space. www.ornothing.org

Page 7: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 8: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 9: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 10: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

LA VELOcIdAd EN LA EdUcAcIóNEdúkAmE / VídEO ENTREVISTA POR SANdRA mOROS SIdES

Edúkame es una web dedicada a potenciar el desarrollo de la inteligencia emocional infantil. Periódicamente publican guías para padres y educadores con información sobre qué ha-cer y cómo, juegos, cuentos y estrategias enfocadas a resolver etapas infantiles siempre desde la visión del buen desarrollo de las emociones.

La entrevista realizada por Sandra Moros a Cristina García, pedagóga y directora de contenidos de Edúkame, se centra en el concepto de tiempo e inmediatez, y las diferentes aprecia-ciones que surgen en estos conceptos por parte de los padres y los niños. Además, Cristina nos presenta el método de la pa-ciencia, un elemento imprescindible en el proceso de crianza.

http://edukame.com

Sandra Moros Sides investiga sobre arte y espacio público.Vive y trabaja en Valencia, España

Page 11: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

ENLAcE A LA VídEO ENTREVISTAhttps://www.youtube.com/watch?v=5b8mi2bmrVk

Page 12: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

Piper Prometheus es un trabajo en vídeo que documenta cómo una avioneta pasea un mensaje a modo de cartel para que todos puedan verlo.

El mensaje es :L = (1/2) d v2 s CLSiendo L= Lift (Elevación)

www.grc.nasa.gov/WWW/k-12/WindTunnel/Activities/lift_formula.html

Esta fórmula, basada en los estudios de los fluidos de Daniel Bernoulli y en la Tercera Ley de Newton, mide la capacidad de elevación de las aeronaves. En otras palabras, esta es la fórmula magistral que nos permite por fin volar. Como un Prometeo que muestra a los hombres el secreto de los dioses, nuestro pequeña avioneta (marca Piper) nos revela el misterio de la fórmula magistral por la que el sueño se hace realidad. Los éxitos de la ciencia son logros de la humanidad y nos elevan a todos, aunque no siempre para bien.

Piper Prometheus, 2013Video HD 16:94’ loop Ed. de 6 + 2 P.A.

Cristina Lucas Nacida en Jaén, 1973Vive y trabaja en Madrid

PIPER PROmEThEUScRISTINA LUcAS

Page 13: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 14: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 15: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 16: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

TIEmPOS dIgITALES, VELOcIdAd ImPREdEcIbLE JOSE mONTAñO

La desarticulación de la noción del tiempo en el cine japonés contemporáneo

En sus ensayos, Deleuze describió el paso a la modernidad cinematográfica como el tránsito de una imagen movi-miento a una imagen tiempo. Conti-nuando la secuencia, el crítico y aca-démico Sergi Sánchez ve el nuevo pa-radigma digital como el de la imagen no-tiempo. Si el concepto de tiempo es el aspecto fundamental para analizar el cine reciente, una cultura tan inclinada a su apreciación estética como la japo-nesa, con la sucesión de las estaciones o la fugacidad de la belleza como em-blemas de su sensibilidad, no puede ser indiferente a estas tendencias. En el Japón contemporáneo, de trenes de alta velocidad y estilo de vida frenético ¿qué forma toma la noción de veloci-dad en su cine? Veámoslo en algunos ejemplos.Con Maborosi (Maboroshi no hikari, 1995), Koreeda llamó la atención in-ternacional mostrando el mundo inter-no de una joven viuda en pugna por recomponer su estado de ánimo. En un plano estático de un paisaje abierto, un cortejo fúnebre que se toma más de tres minutos hasta atravesar toda la panta-lla. Transcurre en tiempo real pero, pa-radójicamente, espectador y personaje

en duelo comparten la experiencia de un tiempo que parece ralentizarse, eter-nizarse en el sufrimiento.En Shara (Sharasôju, 2003), recorre-mos la ciudad siguiendo a pocos metros los largos paseos de sus personajes. El relato se abre con la desaparición de un niño y se acaba cuando el nacimiento de otro hijo sutura esa perdida. El trán-sito, físico y vital, encarna un tiempo lineal: inicio, transcurso y final. Pero la realización de Naomi Kawase evoca un tempo simultáneo con su continua alu-sión a lo circular. Lo vemos cuando un corro de oradores budistas hace girar un gran rosario, lo sentimos cuando la construcción de una casa nueva sucede al derribo de una antigua o en el pro-pio ciclo de vida y muerte. Concluido el parto, la imagen retrocede y abando-na a los protagonistas, ascendiendo en movimiento circular por los cielos mi-lenarios de Nara, la ciudad más antigua de Japón. La banda de sonido, ritmos sistemáticamente reiterados como mar-tilleos, recitados de sutras o cantos de grillos, logra unificar la velocidad de dos realizaciones temporales paralelas. Shara hace visible la coexistencia de un tiempo lineal y limitado, el de la vida humana, la historia, con el tiempo in-agotable de lo mítico y transcendente.¿Hay percepción de velocidad si no

existe el tiempo? parece plantear Pic-nic (1995). Enajenación y reclusión en un sanatorio, metaforizan el estado de atemporalidad de sus protagonistas. Leyendo la Biblia, deciden escapar jun-tos para presenciar el apocalipsis. Al transitan por los muros de la ciudad, sin descender al suelo, siguen fuera del tiempo, observando el mundo desde sus límites. La descreída Koko desconfía de lo leído: si todo empezó con su na-cimiento, concluirá con su muerte. Sólo ella, no Dios, puede acabar con el mun-do. La llegada al mar al atardecer les impide continuar su recorrido liminar. El tiempo se manifiesta ante ellos y per-mite a Koko demostrar su teoría. Dueña de su tiempo, le pone fin en un íntimo apocalipsis.El mismo director, Iwai Shunji, usa todos los recursos audiovisuales en la escena inaugural de Todo sobre Lily (Riri shûshû no subete, 2001). Un chico aislado con sus auriculares en un arro-zal, inscripciones superpuestas, propias de un chat de internet, que se suceden, montaje sincopado y por momentos incoherente. La emblemática escena, recurrente en una narración desarticu-lada, nos lleva a cuestionar la noción de temporalidad, que se revela innecesaria para un relato articulado con el mismo desorden en que se agolpan los recuer-

Page 17: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

dos al intentar recrear nuestra propia memoria. ¿Cómo calcular la velocidad de un recorrido imposible de trazar?Tres cineastas surgidos con los nue-vos medios técnicos, cuatro películas y proyectos temporales diferentes –esti-rando, contrayendo, desarticulando un tiempo proteico que se agota y renace, que es y no es– de acuerdo al nuevo contexto digital. Pero un nuevo para-digma impregna cualquier posibilidad de expresión artística.El famoso estudio Ghibli, refractario a sustituir el acetato por los bits, presentó el pasado año Kaguyahime no monoga-tari (El cuento de la princesa Kaguya), último trabajo de Takahata Isao. La vo-

cación artesanal del veterano realiza-dor, toma cuerpo en una sensacional propuesta estética que recrea la leyen-da popular desde el trazo elemental, el fondo impresionista y un color como de acuarela, donde se incluye una revela-dora escena: la estricta instructora de la princesa le enseña un tradicional emaki, rollo de papel con narraciones ilustra-das. Desplegando un fragmento rectan-gular del papel, no nos costará verlo como una alegórica pantalla, le insta a ir simultáneamente desplegando el rollo por un lado y recogiéndolo por el otro, en una cadencia sostenida que permi-ta observar el relato. La inquieta joven rechaza esa visión unívoca del tiempo

y despliega súbitamente el rollo ente-ro. Saltando sin orden de una imagen a otra, recorre el dibujo a su antojo se-gún lo que le llama la atención, creando nuevas conexiones narrativas más allá de la contigüidad. La mirada de la prin-cesa celeste nos enseña a despreciar las reglas del tiempo, a generarlo y dotarlo de sentido. La velocidad del relato sólo responde a la voluntad del observador.

Afincado en Yokohama, Jose Montaño investiga sobre cine japonés contemporáneo, tratando de concluir su tesis doctoral centrada en la crítica cinematográfica.

Picnic, 1955

Page 18: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 19: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

©2001 Lily Chou-Chou Partners

Page 20: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

6” es un filme destinado a ser un libro. El título hace referencia a la duración del film Zapruder, película de 8 mm de Abraham Zapruder, tomada en Dallas el 22 de Noviembre de 1963, en el momento de los disparos al presidente J. F. Kennedy. La película fue empleada como un reloj para determinar la cronología de los hechos desde el primer al tercer disparo.

Tal y como la artista explica, le interesa el hecho de que el filme Zapruder inaugura la época en que las imágenes de procedencia amateur empiezan a acercarse a las imágenesprofesionales para convivir con ellas, abriendo una perspectiva nueva que se puede relacionar con el punto de vista en su sentido más amplio. Las imágenes tomadas por las televisiones y la prensa, pero también por los ciudadadanos anónimos queasisitieron al hecho, fueron empleadas cono evidencia fotográfica, permitiendo reconstruir un panorama completo del lugar unos minutos antes y hasta 19 minutos después del trágico suceso.

6” es una acción contada mediante 144 imágenes, fotogramas, que permiten dilatar el tiempo y observar el espacio atendiendo a las diferentes personas y a la diferencia de luz que hay en un mismo gesto.

6”, 2005Libro de artista500 ejemplares21x25 cm, 144 pp.Ed. Cru 011, Figueres

Mabel PalacínNacida en Barcelona, 1965Vive y trabaja entre Barcelona y Milán

6”mAbEL PALAcíN

Page 21: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

6” / Video still N°2

Page 22: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

6” / Video still N°57

Page 23: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

6” / Video still N°95

Page 24: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

SlowD is a community and a platform where designers and craftsmen are collaborating for developing, prototyping and manufacturing products, at the same time allowing small batches and local markets. With the help of digital and rapid manufacturing, SlowD aims at building a sort of disseminated factory while involving local craftsmen. After connecting designers and manufacturers, their website works as a window for displaying and selling the products to the local final customers. SlowD is telling about how the crisis of the old big 20th century industry is opening to new forms of innovation which are socially and environmentally sustainable. As many other cases, such as Ponoko, Shapeways or Local Motors, this is the indicator of a new economy mixing together new technology, creativity, DIY, makers and local manufacturing on demand. It is not the product to be innovative in itself, but the way this is developed and the number of actors involved. Since we are witnessing the historical decline of the large manufacturing companies, a new form of organization is opening the process of design and production into new and creative spaces for working. The “personal” capitalists in design are able to self-organize and

network individually, as knowledge and creativity emerge as strategic levers and an added value for the new technologies to co-create innovation and develop autonomous experiences of production.Personal factory and personal capitalism come to be the result of a democratization process of the production technologies and the design tools. In addition to designing the product, the creative professional is involved in the management of the process and the organization of production itself. As a result, the shift is also involving the role and even the status of the designer in contemporary society: if the digital tools are more available and affordable than ever, design ceases to be an elitist profession, to become a ‘mass profession’.The designer is no longer alone in the middle of his office, erected as the creator shaping the future world, rather he is networking with a number of heterogeneous actors, taking advantage of every opportunity offered by the new media, and finally drawing the shape of the future open industry. This is not to evoke the ghost of the Arts and Crafts before Taylor, rather to imagine the new industry after Taylor. It is not the local against the global, nor the slow against the speed,

neither the handcrafted against the mass production: on the contrary this is a new idea of development displaying what is the direction of the new post-Fordist production systems and small series, matching open source, customization, and crowd-sourcing.If the Fordist-Taylorist paradigm of mass production was a vital figure for the industrial design of the twentieth century memory, the younger generations have seen and come to terms with the de-industrialization and the rise of the service sector. While their fathers and grandfathers had a role in the “assembly line”, in close contact with the manufacturing processes providing them goals and stimuli, instead the children and grandchildren are getting acquainted with the fluidity of the new tools of the project and have become aware of their new role of strategy and service to innovation.The tools and the techniques of design are changing along with the practices: the digitalization process permeates every segment of the professional activity, scanning times and actions and thus reducing the entire design development to the production and process of information elaborated by knowledge and creativity at work. The computer becomes the working tool

dESIgN ThE FAcTORY OF TOmORROWLORENzO ImbESI

Page 25: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

par excellence which is able to create new forms of expression, out of the recognized boundaries.Micro-factories and personal capitalism in design are developing the new wave of the distributed economy of the FabLabs, which are infrastructured as a digital network for the development of complex bottom-up projects. The FabLabs are the places for co-working and facilitating the process of design: knowledge is finally horizontally shared and made in common as an accomplished utopia.

Lorenzo Imbesi is an architect, PhD and Professor of Industrial Design at Sapienza University in Rome. He lives and works in Rome.

Designer uploaD their

projects

you buy the project at

slowD.it

the slowD artisan

closest to you make it

Page 26: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

Industrias Lentas es un taller dedicado al mundo de la gráfica y la edición, donde se mezclan aspectos de la imprenta tradicional con otros procesos más actuales, aplicando el más idóneo para cada proyecto en particular.Nuestro contacto con las diferentes técnicas de impresión manual y el mundo de la edición viene de lejos. Poco a poco fuimos adquiriendo e incluso fabricando nuestros propios medios para poder hacer aquello que nos planteábamos, aunque más de una vez nos hayan tomado por locos. Recogíamos maquinaria sin tener espacio físico donde guardarla, amontonábamos resmas de papel sin un fin concreto e incluso encargamos a un tornero una prensa vertical que ni siquiera él mismo sabía si funcionaría… Toda esta locura nos ha llevado a dar otro pequeño paso y adquirir una Hispania tipo Minerva para poder montar este taller. Seguimos buscando nuevo material del que adueñarnos para continuar con nuestro modesto proyecto.La velocidad de la máquina supone nuestra propia revolución industrial. Sin embargo se trata de seguir cuidando cada ejemplar como si fuese único: Lento, pero seguro.

Industrias Lentas es un proyecto dirigido por Marta Pina surgido en 2012 con base en Valencia, España

www.industriaslentas.com

INdUSTRAS LENTAS

Page 27: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 28: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 29: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 30: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

Un’esperienza di fare collettivo contro l’obsolescenza del consumo Medialab Prado di Madrid

Il fare collettivo come possibile via d’u-scita da una spirale consumistica dove il tempo non è che un calendario fatto di lanci, sfruttamento e obsolescenza dei prodotti. Se il consumo è diventato un mezzo per la definizione dell’identità, in una costante riproposizione del de-siderio e della sua soddisfazione, allora la restituzione di un valore esistenziale all’atto creativo consente di ripensare al tempo come la dimensione della costru-zione e non come a uno scivolo di obso-lescenza verso una scadenza. Da questa prospettiva, una rilettura di pensatori contemporanei - come Falcinelli, Bau-man, Debord - è d’interesse l’esperienza di CoderDojo.

CoderDojo è una iniziativa nata non molti anni fa in Irlanda che, nelle paro-le dei suoi promotori, si definisce come: The open source, volunteer led, global movement of free coding clubs for young people. Un movimento globale, promos-so e diretto da volontari, senza scopo di lucro, per insegnare gratuitamente a un pubblico giovane a programmare in un contesto di codice aperto. Attualmente esistono più di 380 Dojos in 43 paesi: la rete è in continua crescita e lo scambio

di esperienze tra le varie iniziative si sta consolidando. Fra i Dojos, raccontiamo quello promosso da MediaLAB Prado di Madrid

Il compito che si propone un CoderDojo non è scontato: imparare la programma-zione può infatti apparire come un’atti-vità poco avvincente per studenti di età compresa tra gli 8 e i 12 anni. Uno degli escamotage meglio riusciti è stato offri-re sessioni di sviluppo per Minecraft, un videogioco dall’apparenza retro, costi-tuito su di un codice aperto, che pensa al multiplayer come ad uno scenario di collaborazione e non di competizione fra i giocatori. Al suo interno è possibile sviluppare nuovi scenari ed elementi di giochi per mezzo di un SDK aperto.

Il CoderDojo di Madrid tenta pertanto l’occultazione di un complesso e im-pegnativo programma didattico (che va dal web design, allo scratch fino al pro-cessing/arduino) all’interno dell’attività stessa, sperimentando quindi una forma indiretta di apprendimento, nell’idea che imparare possa risultare come un gradito effetto collaterale.È interessante constatare la naturalità con cui studenti così giovani si avvici-nano ai linguaggi formali, che possono apparire rigidi e poco intuitivi se con-frontati alla versatilità dei linguaggi co-

muni. Ciò nonostante i ragazzi assumo-no, senza pregiudizi di sorta, il concetto che grazie alla definizione univoca dei linguaggi formali è possibile realizzare, fare o far fare delle cose. In questo senso possiamo dire che il mondo della creati-vità sarà sempre più popolato da profili bilingue.

CoderDojo è un’iniziativa riproducibile. Non c’è alcun bisogno di reinventare la ruota: nell’ esperienza di Madrid vengo-no sfruttate risorse già disponibili, ma sono assolutamente necessari uno spazio adeguato e una istituzione catalizzante per consentire la formazione di una co-munità educativa.

Alfredo Calosci, architettoLavora a Madrid come visual and interaction designer

cOdERdOJOALFREdO cALOScI

Page 31: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 32: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

WhATSAPP INTERVIEW / RIccARdO bENASSIbY gAbRIELE TOSI

Page 33: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

Riccardo Benassi, 1982Vive e lavora a Berlino

www.365loops.com/

Page 34: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

El tiempo y el espacio como motivo de simulación de exposición.

Actualmente, las formas de comunica-ción virtuales han modificado nuestro uso y apreciación del tiempo. No es ilu-soria la idea de «vivir» en diferentes uni-versos paralelos, con lapsos pautados en cada uno y que esta vida multidimensio-nal sea retransmitida, automática y glo-balmente, por y para todo tipo de redes. Exprimir la vida por un lado y clamar por otro una pausa a fin de organizar el alud de información y su consumo, ade-más de necesitar un «tiempo para noso-tros». Se entremezclan máximas para «parar y pensar» con fondo de puesta de sol junto con fotos instantáneas en un frenesí documental del individuo. Son, según Lipovetsky 1, las dos caras de la «hipermodernidad».

Con todo esto, ¿qué pauta espacio-tem-poral adopta el arte? ¿Cómo refleja el mundo?

Partiendo de la dualidad de la fotografía por su concepción de testigo en un tiem-po y espacio dados y la sobresaturación de imágenes actual, se define una acti-tud resistente, combativa incluso, fren-te a los postulados de la posfotografía 2: la fotografía todavía sirve como me-

dio para revertir pautas, directa o indi-rectamente, sin dejar de ser consciente del momento actual. Hay otras maneras de expresarse, de modificar la tendencia global unificadora y aumentar los ni-chos de diversidad; de crear sin reciclar o apropiarse de lo ya hecho porque no todo está ya realizado, siendo igualmen-te cáustico y teniendo una mirada crítica respecto al tiempo y el espacio en los que vivimos.

Simulando una exposición, en El Cami-no hacia Fuera es el Camino hacia Den-tro, una intervención en el casco urbano de Gijón con 20 fotografías, Darío Mar-tínez (Gijón, 1983) juega irónicamente con el deseo del «urbanita» estresado de huir del entorno hostil en el que se ha convertido la ciudad y reencontrarse con la naturaleza; ese anhelo olvidado vuelve en forma de fotografía hallada en el trajín continuo, no con ánimo hiriente sino con intención de dar un momento de respiro, un pararse a contemplar en el camino algo que, con la misma acción de percibir, ya está cambiando el ritmo automático diario. Albert Gusi (Castellbisbal, 1970) actúa sobre el espacio-tiempo con Caminar en rodó mediante itinerarios circulares pedestres en diferentes localizaciones en Cataluña que se descargan en una

web de excursionistas (www.es.wikiloc.com). Son itinerarios con sentido políti-co, paisajístico, contemplativo o incluso de cambio en una actividad repetitiva (alternando entre un camino y el campo) per se. De manera sutil, el artista sub-vierte el sentido de caminar sin llegar a ninguna parte aunque dejando una hue-lla cada vez más patente, dotándole de un nuevo significado de contemplación (una meta en sí misma), infiltrándose en otros espacios (la web de excursionis-tas) y transvirtiendo el sentido obsesivo que, también, domina la vida cotidiana.Soledad y Despacio de Ana Nieto (Vi-toria, 1978), imágenes de su serie Love Story muestran los pasos de un affaire mediante signos y mensajes urbanos; cómo interpretamos todo lo que vemos según lo que nos ocurre a nivel perso-nal. Los símbolos nos llevan tanto a una reflexión como a un abismo, en los ac-tos casi inmediatos de leer y mirar.La fotografía de Andrés Medina (Ma-drid, 1978) nos traslada a un árido y voraz paisaje donde las motos derrapan por un camino serpenteante. Pertenece a su fanzine Tránsito, donde se suceden encuentros con lo inesperado, lo cruel, lo bello, lo orgánico y lo artificial, me-diante una búsqueda de las huellas hu-manas en lo que se supone un paisaje virgen fuera de la ciudad. Un tratado

TIEmPOS (hIPER)mOdERNOSmAgdALENA RAmíREz

Page 35: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

completo de la hipermodernidad refle-jado “a la antigua usanza”, puesto que Medina trabaja e formato analógico.La femme géante es un ambrotipo sobre vidrio transparente realizado por Israel Ariño (Barcelona, 1974) dentro de su serie Les revenants et d’autres esprits crieurs. La contraposición de una téc-nica del s. XIX, que requiere un tiempo dilatado de pre y postproducción de la fotografía pero muy preciso durante la toma, así como la excepcional textura y calidad que permite el proceso, se une con un interés especial por mostrar imá-genes evocadoras de un tempo y espacio mental propios del autor, donde todo y nada puede ser real.

EPíLOGO En este recorrido, inverso en el tiem-po pero anclado en el presente, enfren-tándonos a la cultura actual donde la uniformidad engulle y, según la define Bauman 3, sirve al mercado del consumo orientado a la renovación de las existen-cias, quizá convendría parar realmen-te, darnos la vuelta y echar una mirada incluso más atrás; Fournier 4 promovía el siguiente menú económico para 100 personas en un falansterio: 7 sopas diferentes; 7 tipos de pan y vino; 7 entradas graduadas con 21 variedades;

7 asados y 7 ensaladas de diversas cla-ses con 21 variedades;14 postres de diversas clases con 42 va-riedades.

Proponer y promover el disfrute de la variedad artística, de la capacidad de elección sin necesidad de adherirse a una determinada corriente estilística y de una pausa, aunque solo sea para po-der comer a gusto.

1 La sociedad de la decepción. Entrevista con Bertrand Richard. Gilles Lipovetsky. Ed. Anagrama, 2008.2 Por un manifiesto posfotográfico. Joan Fontcuberta.3 La cultura en el mundo de la moderni-dad líquida. Zygmunt Bauman. Fondo de Cultura Económica, 2013.4 Valor educativo de la ópera y la cocina. François Marie Charles Fourier. Ed. Trea, 2008.

Israel AriñoLa femme géante, de la serie Les revenants et d’autres esprits crieurs, 2013Cortesía del artista

Magdalena Ramírez, es gestora de proyectos de investigación y arteVive y trabaja en Barcelona, España

Page 36: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

Ana NietoDespacio, de la serie Love StoryCortesía de la artista

Darío MartínezEl Camino hacia Fuera es el Camino hacia Dentro, 2012Documentación de la intervención urbana en Gijón (España)

Page 37: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

Andrés MedinaS/T #54 del fanzine Tránsito, 2013Cortesía del artista

Albert GusiCaminar en círculo en la Plaça de Catalunya de Barcelona, 2012Cortesía del artista

Page 38: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

mISSISSIPPISARA dOLFI AgOSTINI

Il tempo di un’opera, in arte contem-poranea, è considerato una preroga-tiva di chi lavora con il video e la performance, di chi costruisce nar-razioni e lo fa in modo dichiarato, attraverso la scelta di un linguag-gio espressivo la cui temporalità è condizione stessa di esistenza. Ma il tempo di un’opera è anche la velocità a cui noi consumiamo quell’opera, e lo iato tra opere temporali e non temporali è amplificato nel mercato, dove ancora oggi vige una rigida distinzione tra ciò che è - sulla carta - commerciale e quindi non tempo-rale, e il resto.

Ma cosa succede se si prova a met-tere in crisi questo principio di clas-sificazione? Se si prova a restituire alle opere d’arte una temporalità slegata da criteri di produzione e di consumo? L’esperimento è in atto alla Gamec di Bergamo, nella mostra collettiva a cura dell’americano Sam Korman, che ha inaugurato il 2 ot-tobre in uno spazio vuoto del mu-seo. Il titolo è Mississippi, a evocare l’immagine di un fiume iconico della letteratura americana, scelto da Mark Twain come locus di un’avventura picaresca di due personaggi, Huck-leberry Finn e il suo compagno di

viaggio Jim, in fuga da conven-zioni, griglie sociali e una visione del mondo che non li rappresenta. Il curatore e gli artisti invitati - Ja-cob Kassay, Elaine Cameron -Weir e Josh Tonsfeldt - si sono imbarcati metaforicamente su una chiatta, che poi sarebbe la galleria vuota messa a disposizione dal museo, e scorrono su una massa liquida di pensieri, ma-teriali, strumenti concettuali e tecni-ci per i prossimi quattro mesi. Il pro-cesso di costruzione della mostra si svela allo spettatore, dichiara la sua temporalità; e non lo fa all’interno di un contesto time-based, come si definiscono i contenitori curatoriali dedicati alla performance (un esem-pio: Performa a New York), o anche teatri, palcoscenici e semplici ambi-enti adibiti a ospitare un evento ar-tistico.

Anche il riferimento alle operazioni concettuali e minimaliste degli anni ’60 e ’70 è approssimativo, perché questi artisti si esprimono ridefinen-do i codici di linguaggi ed estetiche tradizionali, come pittura e scultura, con un’attenzione all’oggetto, alla materia e alla questione della rappre-sentazione. Ciò significa che l’opera non è site-specific, nel senso che non

è influenzata dalle condizioni al con-torno del luogo che la ospita: ma la mostra cambia, e cambia perché vi è un’interazione tra le modalità espres-sive degli artisti e l’intento del cura-tore in un modo non prescrittivo. Il dialogo è costante e collettivo, e si ar-ricchisce nel tempo di due contributi: quello del designer David Knowles, che si unirà alla conversazione per realizzare un catalogo del progetto, e del visitatore, che entra, esce e torna nello spazio espositivo.

Il sistema dell’arte oggi tende a quali-ficare le opere d’arte secondo una rigida tassonomia, per cui – sempli-ficando – gli oggetti si comprano, mentre video, performance, happen-ing si vivono. Ci sono le dovute ec-cezioni, come le opere di Tino Seh-gal, dove queste due dimensioni si incontrano proprio in virtù del fatto che il documento visivo o testuale (si pensi rispettivamente a Christo e Jean Claude, e Ian Wilson) è estromesso dall’operazione commerciale, e lo scambio tra artista e collezionista si riduce al passaggio di mano di una certificazione di autenticità. Così gli oggetti, vincenti sul piano del mer-cato e quanto mai necessari alla sus-sistenza del sistema, non vengono

Page 39: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

fruiti nell’ottica di un’esperienza, nello spazio che li accoglie e con il visitatore che vi interagisce. E i musei sono per-cepiti come mausolei più che luoghi di relazione tra arte e vita, una relazione appunto fluida che si sviluppa nel tem-po e attraverso gli oggetti.

Mississippi fa da contrappunto a questa visione diffusa e accettata dagli stessi operatori di settore. Perché come dice-va l’artista di Fluxus Robert Fillou, e mi ricorda Sam Korman durante la nostra conversazione, “l’arte è ciò che rende la vita più interessante dell’arte”.

Sara Dolfi AgostiniCuratrice e giornalistaVive e lavora a Milano

GAMeC_Spazio Zero

Page 40: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

NYR cOLLEcTION

NYR Collection is an editorial project in direct collabora-tion with artists and curators.We reinterpret their previous projects creating prints or books.In this project we want to try to explore the space of a page as a possible form of two-dimensional exhibition. Generally, we work with people and contents that we have been already worked with for a deep focus on their prac-tice.

The first publication of NYR Collection is:6”a project directed and edited by Mabel Palacín

Make your own book!http://notasyreflexiones.com/6-mabel-palacin/

Page 41: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 42: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

INTERVIEW / JAN NáLEVkAbY gAbRIELE TOSI

A lot of your artwork deals with the concept and the form of standard sized objects. I’ve noticed that the formal standardisation represents a sort of symbolic emptiness. What are your thoughts about this?To a certain extent, the standard di-mensions of an everyday object de-fine our environment, the way we perceive it and behave in it. The lines on the standard size white paper help us to keep our handwriting in a direct flow, and helps fill the blank paper ef-fectively whilst remaining readable. However, we can perceive this help as a lack of freedom, even in an extreme case - such as violence. We are not al-lowed to move our pen freely on the empty surface, the movement is strict-ly limited. This is symbolic violence, we voluntarily submit ourselves to it. I understand standardisation as a form of social organisation in the most gen-eral sense.

Often, your working materials are something that you can find in any of-fice. It could be said that the use of laptops transform an indoor space into an office. We can also say that your working materials can be found in ev-ery indoor environment...what are the consequences in your opinion?

I often work with common materials, I’m interested in the different ways they are used and how they express different meanings. They help me to describe the current situation of our so-ciety. Of course, the blue ballpoint pen and the A4 format office paper can be found in every office but also in most domestic environments. The work and private world merge together. Working from home is usually seen as a great achievement of today’s society, but in some measure we sacrifice too much of our spare time for work. The ques-tion is: do we still have any free time for ourselves?

In 2011 you used a blue ballpoint pen, or probably a lot of them, to draw a series of blowup full stop marks. Can you tell me something more about this work? How is it related to the idea of handmade vs industrial craft? Why did you decide the full stop? This series of drawings of extremely enlarged full stops was preceded by several other projects based on pro-cessual blue ballpoint pen drawings. What was important for me this time was the contrast between the length of time taken to produce each drawing and the meaning of the full stop itself. I used a standard drawing cardboard

150 cm in width, the final format of the paper was 150 × 170 cm. There is al-ways one enlarged full stop in the mid-dle with a diameter of 110 cm, it’s a circle completely filled with lines cre-ated by a ballpoint pen. The full stop in handwriting is just a subtle touch of a pen but I spent a lot of time making just one. In a sentence the full stop is a character that means “the end”. A huge full stop means stillness, this is repre-sented symbolically as well as practi-cally, and it works as a description of the process of its creation. The draw-ing is abstract but at the same time is a symbol with its own meaning which is also the shortest possible text. Simi-larly, the blue ballpoint pen is the most common writing instrument. After the full stop another sentence begins and from this point of view one can – somewhat paradoxically – perceive the full stop as a symbol of a new be-ginning. Could it be said that, “The thoughts of modern sculptors” (2013) is a work about standardisation, dealing with the idea of past and the possibility of the future?The source of this work was the book Myšlenky moderních sochařů (The Ideas of Modern Sculptors) published

Page 43: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

at the beginning of the 1970’s. Dur-ing this particular period in Czecho-slovakia, this book was an important publication about the beginning of the modern Western sculpture. First, I photocopied the whole book in black and white using the standard A4 office paper format. Then I lined every sheet with the blue ballpoint pen, copying the standard pre printed lined A4 for-mat paper. The resulting linear struc-ture may be interpreted as purely prac-tical and utilitarian, but it also evokes a late-modern geometric abstraction. In fact, the drawings have two lay-ers, the photocopy is overlaid by the manual drawing. The paper which was initially covered by the photocopy of the book is now covered again by the drawing, in a similar way printed pa-per is sometimes reused in the office. However, the standard lined paper might be perceived again as empty, the utilitarian lined is open to the possibil-ity of new text. Therefore, the redefini-tion / rewriting of modernism becomes the main theme of this work. In “We can loose everything but not time” it took you a while to replicate the series of standard lined office pa-per ... are you trying to say that we can no longer perceive time in emptiness?

This work is the first part of the ini-tially unplanned trilogy of the blue ballpoint pen drawings on the A4 for-mat office paper. I lined six packages of the white office paper, each pack-age including 500 sheets, using the blue ballpoint pen. I wanted them to be as indistinguishable from the stan-dard lined paper as possible. The re-sult was 3000 identical drawings that imitate the pre printed papers. From the practical point of view, their hand-made feature and their quantity seem entirely purposeless. What is the point of producing laboriously something that already exists and that can be bought cheaply? But this work should not be perceived just from a utilitar-ian viewpoint: it can be interpreted in the context of geometrical abstraction. Alternatively, since they are hand-made each drawing can be perceived as a unique original, they just can’t be identical. An important question is: after all those hours of work, are the sheets filled up with drawings, or can we consider them empty? Lined paper can be perceived as empty, the lines only organise the empty space. There-fore time can be seen as a prominent theme in this work, especially the loss of time and the value of labour in our current society.

Would also like to add that...

2010, drawing with a blue ballpoint pen on A4 office paper, 1050 pcs photo: Kamil Till

Jan NálevkaBorn in Jablonec nad NisouLives and works in Praguewww.jan.nalevka.sweb.cz

Page 44: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 45: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 46: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

The Thoughts of Modern Sculptors2013, photocopy, blue ball-pen drawing, office paper, format A4, 302 pieces

photo: Martin Polák

Page 47: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?
Page 48: N°4 Wile E. Coyote, how do you do?

N°4 / Wile e. Coyote, hoW do you do?

IN ThIS NUmbERmARIO PIREddUPILVI TAkALA EdúkAmE / SANdRA mOROS SIdEScRISTINA LUcASJOSE mONTAñO mAbEL PALAcíNLORENzO ImbESI INdUSTRIAS LENTASRIccARdO bENASSImAgdALENA RAmíREzSARA dOLFI AgOSTINI JAN NáLEVkA

www.notasyreflexiones.com

PRINT ON dEmANd /[email protected]

Appunti e riflessioni / Notas y reflexiones