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Luxury Magazine
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LUXURY MAGAZINE
Periodico TrimestraleN° 11 - FALL/WINTER 2011
EURO 6,50
WWW.MYLIFESTYLE.IT
CROCIEREMagici Itinerari al Sole
NUOVA LANCIA THEMAIl Gusto del Made in Italy
LAGO DI COMO Tour Romantico
TOP MANAGERErnesto Gismondi
Sede legale e customer care:
i n f o @ p e r l e d i p u g l i a . i tw w w . p e r l e d i p u g l i a . i t
Piazza S.Pietro 4 - 73042 Casarano (LE)Tel. 0833 599 750 - Fax 0833 333 127
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sommarioERNESTO gISMONdI
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LIFESTYLE
MUSIcA
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LUxURY
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ARTEMIdEdai missili alle lampade di design
UNA vITA dA STYLE cOAchINgintervista a carla gozzi, maestra di stile
L’ANIMA ELEgANTE dI MARIO bIONdIstoria e successi della voce più black d’italia
UN MASTERchEF d’EccELLENzAdietro i fornelli con carlo cracco
INTERIOR dESIgNERprofessione: progettare ed arredare con stile
cROcIEREmagici itinerari al sole
L’ENERgIA RINNOvAbILE è IL FUTUROambientefuturo, per una proposta di qualità,professionalità e rispetto del territorio
UNA bANcA, IL TERRITORIO, LE SUE EccELLENzEbanca popolare pugliese ed il nuovo spot girato da edoardo winspeare
LA SALUTE A PORTATA dI cLIckla rivoluzione culturale di I&T è bancomed
UNA vENdEMMIA A cINqUE STELLEle eccellenze di angelo maci, enologo e patron di cantine due palme
UN LAgO...dI EMOzIONIla provincia di como, concentrato di bellezze
MARINELLAl’eleganza di un nodo
NUOvA LANcIA ThEMAil meglio dei due mondi
PAgANI hUAYRA
INTOLERANcE zERO
To p M A N A G E R
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Dai missili alle lampaDe Di Design ARTEMIDE
e r n e s t o g i s m o n D i
Ingegnere aeronautico e missilistico, con interessi svariati dall’arte alla politica, allo sport,
Ernesto Gismondi è uno dei più importanti imprenditori italiani nel mondo.
Il Gruppo Artemide (fondato nel ’59 con l’architetto Sergio Mazza) è oggi leader mondiale
nel settore dell’illuminazione residenziale e professionale d’alta gamma.
Con sede a Pregnana Milanese, ha un’ampia presenza distributiva internazionale, in cui
spiccano gli showroom monomarca nelle più importanti città del mondo e gli shop nei
più prestigiosi negozi di illuminazione e di arredamento.
Dagli anni ’90, con il lancio della filosofia The Human Light, promossa da Carlotta de
Bevilacqua, Artemide ha rivoluzionato il modo di concepire e sviluppare i propri prodotti
in funzione dell’uomo e del suo benessere.
Artemide è oggi sinonimo di Design, Innovazione e Made in Italy.
Immagini di doversi presentare ai nostri lettori. Chi è Ernesto Gismondi?
«Sono nato a Sanremo nel giorno di Natale del lontano 1931. Nel 1957 mi sono laureato
in Ingegneria Aeronautica al politecnico di Milano e due anni dopo ho conseguito la
laurea in Ingegneria Missilistica alla Scuola Superiore di Ingegneria di Roma. Subito
dopo la laurea, ho cominciato a lavorare nel campo della missilistica, con ottimi risultati.
L’azienda per cui lavoravo mi fece un contratto per cinque anni, con la clausola che non
avrei potuto lasciare prima della scadenza. Vi chiedete come sia stato possibile passare
dai missili alle lampade…».
e r n e s t o g i s m o n d i
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l’ing. ernesto gismondi
Ebbene si, come è avvenuto questo passaggio? Come è nato il suo “impero della luce”?
«Ad un certo punto, seppur ancora appassionato di missilistica, decisi che volevo realizzare
qualcosa di mio e, capendo bene che non potevo mettermi, con le mie esigue disponibilità
economiche, a progettare e produrre missili, mi dedicai, a partire dai primi anni ’60, alla
progettazione ed alla produzione di apparecchi per l’ illuminazione, fondando, con il designer
Sergio Mazza, Studio Artemide S.a.s., dal quale si svilupperà, poi, il Gruppo Artemide».
Ernesto Gismondi tra imprenditorialità e famiglia. Quali le differenze? Come si riesce ad
armonizzare questi due mondi, a volte, ai suoi livelli, così inconciliabili?
«Il mio lavoro prevede un grosso impegno in Italia ma anche e soprattutto all’estero, mi riempie
la giornata e la vita, costringendomi ad orari di lavoro assurdi e a trasferte lunghissime. Allo
stesso tempo, ho sempre pensato che la mia professione fosse conciliabile con la vita
privata e ho creduto nella possibilità di avere una famiglia. Le difficoltà sono state tante e non
nego che ci siano stati dei problemi nella sua gestione, ma si è trattato di problemi personali,
non legati alla mia professione ed ai suoi ritmi».
I l brand della sua azienda in tutto il mondo significa innovazione e qualità della luce. Quali
sono gli ingredienti per raggiungere questi risultati?
«Il principale ingrediente del nostro successo è stato il desiderio di soddisfare i bisogni dei
consumatori, dovunque e chiunque essi fossero. La strada è stata quella dell’andare a
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artemide lotek (Javier mariscal - 2011)
e r n e s t o g i s m o n d i
cercare gli amanti del design nel mondo. La mia azienda, a seguito di un boom in Italia, ha
creduto fortemente nell’esportazione dei propri prodotti. Abbiamo “sguinzagliato” nostri agenti
in tutto il mondo ed ora Artemide ha 17 società (di cui l’ultima è in India). Abbiamo creduto
che fosse necessario e lungimirante conoscere i paesi, studiare la loro cultura, trovare
designer del posto, introdurre la nostra filosofia con sensibilità e tatto. Non è stata una cosa
facile: esistono paesi che credono molto nel design, e altri che, per cultura, non lo accettano.
Ancora oggi, vendere i nostri prodotti in Cina è un miraggio. Ma, al contrario, siamo arrivati in
tantissimi paesi del mondo. Quest’anno Artemide supererà i 130 milioni di euro di fatturato».
Avete sempre puntato sulla ricerca…
«Esattamente. La ricerca dell’eccellenza nelle performance dei prodotti è sempre stata un
fattore chiave del successo dell’azienda. I fronti della ricerca Artemide coinvolgono tutto
quanto compone un apparecchio di illuminazione e riguardano le sorgenti luminose innovative;
l’utilizzo di materiali eco-compatibili; il sistema di controllo della qualità; il perseguimento del
benessere dell’uomo. Cuore di queste attività è il Centro di Innovazione Giacinto Gismondi
di Pregnana Milanese. Con le sue divisioni di ottica, progettazione elettronica, materiali e
sorgenti luminose, il Centro di Innovazione Giacinto Gismondi sviluppa e mette a punto ogni
nuovo prodotto dalla sua concezione sino alla produzione industriale, garantendo i migliori
risultati in termini di qualità e conformità agli standard internazionali. Alcune delle più recenti
artemide Boalum (livio Castiglioni e gianfranco Frattini - 1970)
e r n e s t o g i s m o n d i
linee di prodotto ad alto contenuto tecnologico sviluppate dal Centro sono la gamma di
lampade a sorgente LED, il sistema di illuminazione Metamorfosi e la linea My white light».
Le luci di Artemide vanno al di là del connotato funzionale dell’illuminare: non a caso i prodotti
Artemide fanno parte delle più rappresentative collezioni di design, come quelle del Victoria
and Albert Museum a Londra e del MOMA e del Metropolitan Museum a New York. Dove
dovrebbe andare il design, quali sono le tendenze e le prospettive future?
«Viviamo nel tempo della globalizzazione. Parlare di globalizzazione oggi non significa soltanto
parlare di mercati aperti, ma di inserimento di popoli nuovi, di culture differenti, di usi diversi.
Credo che il design debba continuare sulla strada della “comprensione” e decifrazione dei
mercati. Occorre, come dicevo prima, andare nei posti, assorbirne l’aria, realizzare prodotti
che rispecchino quella cultura, senza perdere l’ identità aziendale».
Come imprenditore ha ricevuto importanti riconoscimenti, dal Premio Compasso d’Oro alla
Carriera all’European Design Prize. C’è un sogno, personale o professionale, che non ha
realizzato? Quale premio (anche simbolico) vorrebbe raggiungere?
«Sono stato un uomo molto fortunato. Lei ha ricordato i premi, ma nella mia vita le grosse
soddisfazioni le ho ottenute dai prestigiosi incarichi che ho avuto e gli importanti ruoli che
ho ricoperto. Sono stato vice presidente dell’ADI – Associazione Design Industriale - e ho
ottenuto numerose cariche nell’ambito dell’Associazione Industriale Lombarda (Assolombarda),
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nella pagina a fianco: artemide Copernico (Carlotta de Bevilacqua - 2010)
Federmeccanica, Confindustria, Ente Autonomo Fiera di Milano e presso il Ministero per
l’Università e la Ricerca. Sono membro del Comitato Scientifico didattico dell’I.S.I.A. (Istituto
Superiore per le Industrie Artistiche/Industrial Design) di Firenze, con nomina del Ministero
della Pubblica istruzione, del Collegio dei Probiviri del COSMIT (Comitato Organizzatore del
Salone del Mobile di Milano) e del CNEL, su designazione della Presidenza della Repubblica.
Sono stato Vicepresidente di Confindustria. Ho lavorato al massimo livello possibile. Non c’è
nulla, sul piano professionale, che non abbia desiderato e che non abbia ottenuto».
E sul piano più strettamente personale?
«Che dire. Mi viene in mente, essendo appassionato di mare e di regate, che desidererei
una barca più grande, con cui vincere qualche regata in più. Ovviamente, sto scherzando.
Credo che sia corretto, oggi, da parte mia, non voler chiedere nulla di più».
Gismondi e Artemide Group. Cosa prevede per il futuro di entrambi?
«Sono un uomo anziano ed ho un fisico che risente dell’età, e chiede di poter vivere in manie-
ra più tranquilla. Sono pronto a fare un passo indietro e i miei figli sono pronti a subentrarmi.
Artemide, invece, continuerà a crescere, conta di andare in borsa (c’era stato un tentativo
già in passato, ma ci siamo dovuti fermare) nel momento in cui la situazione generale della
finanza ci metterà nelle condizioni di poterlo fare, per poter avere i mezzi per fare operazioni
di un certo livello e per consolidare la nostra posizione sul mercato internazionale».
To p M A N A G E R
artemide tolomeo (michele De lucchi e giancarlo Fassina - 1987)
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IntervIsta a Carla GozzI, maestra dI stIleUna vIta da style coaching
I l suo volto, conosciutissimo a milioni di telespettatori in Italia, è sinonimo di classe, stile,
ed eleganza. Capelli platinati, abiti bon ton, silhouette invidiabile, stile rigoroso, Carla
Gozzi, alias Carlà in onore alla première dame francese, è uno dei personaggi più inte-
ressanti nel panorama televisivo italiano.
Da sempre, come lei stessa sostiene, “inzuppata nel fantastico mondo della moda”
(product manager di Ermanno Scervino e in precedenza del gruppo Burani e Max
Mara), la sua agenda personale è cadenzata dalle date della Camera della Moda, delle
sfilate, dei periodi di ricerca trend, di eventi. L’unico strappo alla regola per il tempo libero
riguarda la famiglia, composta dal compagno Richard Bryan ed i loro animali domestici.
Ha lavorato in passato come assistente per grandi stilisti, imprenditori, uomini e donne
dello spettacolo, gente dalle personalità complesse, stimolanti, energiche e instancabili.
Come lei del resto.
Nel 2009 comincia la sua attività come fashion blogger, in network con colleghi di
fama internazionale, partecipa a sfilate come opinionista e realizza servizi su prodotti e
collezioni. Il suo blog diventa uno fra i più cliccati fra le fashion victims e coloro che hanno
bisogno di consigli, opinioni, riferimenti sul look e lo stile.
Oltre al lavoro di style coach per managers e privati, nel 2010 nasce la “Carla’s Academy”,
corsi di quattro livelli, interamente dedicati allo stile personale e al suo raggiungimento,
corsi per personal shopper e per stilisti, venditori, rappresentanti.
La sua longeva esperienza nel fashion e la personale attitudine di style coaching la
catapultano nell’avventura della trasmissione televisiva “Ma come ti vesti?!”, condotta
insieme a Enzo Miccio (già protagonista di “Wedding Planners”) e prodotta per Discovery
Real Time da Magnolia, dal format BBC “What not to wear”.
Ogni puntata inizia con la richiesta d’aiuto da parte dei “mandanti”, amici o parenti,
che desiderano regalare un nuovo look a una persona cara. Il protagonista, dopo
l i f e s t y l e
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l i f e s t y l e
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essere stato “spiato” dalle telecamere a sua insaputa, incontra
i due esperti di stile che commentano il look e danno consigli
per migliorare l’aspetto e per valorizzare i punti di forza. Da
lì inizia una strabiliante avventura alla ricerca di un look più
grintoso e convincente. Le mani esperte del hair stylist e del
make-up artist sono il tocco di classe finale di una splendida
trasformazione.
Carla Gozzi è inoltre co-autrice del primo manuale di stile di
“Ma come ti vesti?!”, sul mercato da ottobre 2010 ed edito
da Rizzoli.
Come nasce Carla Gozzi “maestra di stile”? Come e quando si
sviluppa la sua passione per la moda? E quando è finalmente
diventata la sua professione?
«La mia passione per la moda l’ho scoperta al collegio, quando,
rimasta inorridita dai grembiuli neri che dovevo indossare, mi
dissi “c’è bisogno di estetica, bellezza”. E gli studi successivi li
orientai all’arte ed alla moda».
Cos’è, secondo Carla Gozzi, la moda? E cos’è lo stile?
«Lo stile è comunicare se stessi per immagini, forme e colori.
La moda è lo specchio dei tempi ed è lo strumento dal quale
scegliere i pezzi per completare il proprio stile».
Nel corso della sua carriera, ha avuto la possibilità di incontrare
e lavorare con nomi importanti del mondo dello spettacolo e
della moda. Cosa le hanno lasciato?
«Ho collaborato con tantissime persone di talento ed importanti,
tutte a loro modo mi hanno trasmesso dedizione al progetto
intrapreso, visione ed energia. Da ognuno di loro ho imparato
che senza la passione non accade nulla!».
My Lifestyle, nei mesi scorsi, ha ospitato tra le sue pagine il suo
collega Enzo Miccio. Com’è lavorare al suo fianco? E com’è
stata, più in generale, l’esperienza televisiva di “Ma come ti
vesti?!”?
«Lavorare con Enzo è molto divertente, ha un senso dell’ ironia
tipicamente napoletano. Ci divertiamo molto insieme e credo
che questo traspaia anche ai nostri telespettatori. Il set tele-
visivo è incredibilmente mutevole tutto può accadere in pochi
secondi. La definirei un’esperienza unica».
Guardando la trasmissione, si ha l’impressione che esista
ancora molta gente che non ha cura della propria immagine e
del proprio corpo. A cosa imputa questa tendenza che si sta
facendo, purtroppo, sempre più imperante?
«Molte persone non curano l’ immagine convinte che sia
superficiale. E costoso. Invece nei primi 5 secondi gli altri ci
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giudicano solo osservando come siamo vestiti e ribadisco
che si può ottenere un proprio stile anche con un budget
limitato».
Dovesse aiutare una donna a riempire da zero il suo
guardaroba, quali capi e quali accessori non dovrebbero as-
solutamente mancare?
«Ecco i miei “mai più senza” per il guardaroba di una donna:
almeno 3 tubini neri (uno da giorno, uno da sera ed il terzo da
cocktail), la collana a 3 fili di perle, il decolleté altissimo nero e
color nudo, la fusciacca in tessuto o eco, il trench color kaky,
la blusa anni ‘40».
Com’è invece il suo look? Lei, Carla Gozzi, “come si veste”?
«Il mio look è il mio stile personale da sempre, rigoroso e mai
troppo lezioso. Sarà retaggio del collegio? Mi si riconoscono
abitini e due pezzi con gonna e blusa, calzature alte e assenza
completa di bijoux».
Da Carla Bruni a Kate Middleton, da Charlene Wittstock a
Michele Obama, quali donne dello spettacolo ritiene siano ben
vestite?
«Adoro lo stile di Olivia Palermo, Vicktoria Beckam».
E le italiane? Cosa pensa dello stile delle donne di spettacolo
nostrane? Quali sceglierebbe nella sua personale classifica di
gradimento?
«Le italiane sono un vero disastro! L’unica che non getterei nel
bidone è Victoria Cabello…».
Negli ultimi due/tre anni abbiamo visto la Canalis sui red carpet
di tutto il mondo…
«La Canalis non trasmette né bellezza né eleganza! Nonostante
sia indiscutibilmente una donna attraente. Quando non si è
“confident” con noi stesse il risultato è quello ottenuto da lei
nelle apparizioni pubbliche».
A proposito di Italia, come giudica oggi la moda italiana?
«La moda italiana ha bisogno di giovani. È un paese dove l’arte
e il talento si sprecano, tuttavia dei veri nuovi nomi non escono.
Credo molto in un caro amico e designer, Gabriele Colangelo,
che sta avendo incarichi importanti oltre a disegnare la sua
linea. Incrociamo le dita per il suo futuro!!».
Un’ultima domanda su di lei. Torneremo a vederla nei panni
della maestra di stile? Ha altri progetti in cantiere che vorrebbe
anticipare ai nostri lettori?
«Io non mi fermo mai, ho sempre mille progetti tutti coerenti a
ciò che sto facendo e che porto avanti con tenacia...Ma tutto
si svelerà il primo gennaio 2012».
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m u s i c a
Una voce calda, profonda, sensuale, eppure limpida e sicura: Mario
Biondi, all’anagrafe Mario Ranno, ha coltivato con cura e pazienza la
sua passione musicale, a partire dagli ascolti fatti già in tenerissima età
accanto al padre cantante, Stefano Biondi, in ricordo del quale Mario
ha assunto l’attuale nome d’arte.
Tante diversissime esperienze sono valse a formare il grande artista
d’oggi: dai cori in chiesa ai turni nelle sale di registrazione per etichette
di nicchia, senza trascurare lo studio e il perfezionamento della lingua
inglese, lui, catanese per nascita e per indole.
La sua assoluta naturalezza espositiva e la sua voce l’hanno consacrato
nel gotha del soul, antesignano del modern sound che mutua dal jazz, lo
scompone e lo ricompone in archetipi black particolarmente accattivanti.
Appassionato di musica soul sin da piccolo, dal 1988 apre alcuni
concerti di interpreti ed autori del panorama internazionale, primo tra
tutti Ray Charles. Ma l’opportunità più grande gli si prospetta con la
pubblicazione in Giappone del singolo This is what you are, che rimbalza
sulla consolle di Norman Jay, celebre dj della BBC1, che, innamorato
del pezzo, lo rilancia per tutta Europa.
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Storia e successi della voce più black d’ItaliaL’ANIMA ELEGANTE DI MARIO BIONDI
Nel 2006 esce il primo album, Handful of Soul. Il disco si articola in 12 brani,
alcuni inediti ed altri tratti dal repertorio classico: una scelta accurata dalla
quale Mario ha escluso gli standard più frequentati. L’esordio è accolto subito
con grande calore dal pubblico tanto quanto dagli addetti ai lavori così da
conquistare ben quattro dischi di platino in pochi mesi. Da lì si sviluppa una
carriera di grande successo.
L’anno successivo è particolarmente intenso per Biondi e lo vede impegnato su
più progetti d’ampio respiro: partecipa al festival di Sanremo nelle vesti di ospite
big duettando con Amalia Grè nella canzone in concorso Amami per sempre.
E sempre del 2007 è la pubblicazione del doppio live I love you more, nel
quale Mario canta affiancato dalla Duke Orkestra. Anche questo nuovo album
si rivela presto un successo discografico, conseguendo 2 dischi di platino. Il
lavoro include la ghost track This is what you are, uno dei brani più amati del
repertorio dell’artista catanese.
Dopo questo straordinario successo, una nuova, divertente prospettiva:
l’interpretazione di due brani della colonna sonora del rifacimento del grande
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m u s i c a
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m u s i c a
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classico disneyano del cinema d’animazione “Gli Aristogatti”:
le canzoni Everybody wants to be a cat (“Tutti quanti voglion
fare il jazz”, nella versione italiana) e Thomas O’Malley (“Romeo
il gatto del Colosseo”). È di questo periodo, su invito di uno dei
più grandi compositori del XX secolo, Burt Bacharach, una
nuova partecipazione sanremese in duo con Karima Ammar
nella canzone Come in ogni ora. Mario duetta inoltre con
Renato Zero nel brano Non smetterei più, incluso in Presente,
ultimo album di inediti dell’artista romano.
If, pubblicato nel 2009, è il secondo album di inediti di Mario
Biondi, lavoro che inaugura la collaborazione con la sua nuova
etichetta, Tattica. Il disco, registrato tra Roma e Rio de Janeiro e
anticipato in radio dal singolo Be lonely, canzone che vanta una
permanenza di mesi nell’air-play dei maggiori network nazionali,
si caratterizza per il respiro internazionale del progetto artistico
e della produzione, avvalorati dal prezioso contributo degli archi
registrati a Londra dalla Telefilmonic Orchestra London e da
musicisti tra i più affermati del panorama mondiale: da Herman
Jackson (piano) a Michael Baker (batteria), da Jacqués
Morelenbaum (violoncello) a Ricardo Silveira (chitarra), da
Sonny Thompson (basso e chitarra) a Lorenzo Tucci (batteria),
da Fabrizio Bosso (tromba) a Giovanni Baglioni (chitarra). In
questo lavoro Biondi dà vita a un soul-jazz caldo e passionale,
che sa interpretare con accenti ironici. La collaborazione con
Burt Bacharach, nata in occasione del duo con Karima al
Festival di Sanremo 2009, si approfondisce ed arricchisce con
un dono, generoso e prezioso, di Bacharach a Mario: il brano
Something that was beautiful, inserito tra le tracce del disco.
If consacra Mario Biondi al grande pubblico e si traduce in
un nuovo successo di vendita, vincendo 3 dischi di platino
e raggiungendo, con la pubblicazione in digitale (distribuzione
Kiver/Tattica), un vero e proprio record di permanenza in clas-
sifica iTunes: per oltre 2 mesi risulta infatti tra i dieci album più
venduti dal primo canale digitale italiano.
La fama internazionale di Biondi è confermata anche dal fatto
d’essere uno tra i primissimi artisti italiani ad avere un profilo
su Ping, il social network di iTunes, lanciato nel settembre del
2010. Ed a questa fama è da ascrivere una nuova, prestigiosa
collaborazione artistica: quella con Bluey, leader degli Incognito,
che ha remixato No’ Mo’ trouble, un brano estratto da If, in
vetta all’air play radiofonico italiano per tutta l’estate. Bluey,
entusiasta di questa prima collaborazione, ha chiesto a Mario
di partecipare al disco con il quale la storica band festeggia i
suoi trent’anni di carriera interpretando due canzoni: un duetto
insieme a Chaka Kahn e un brano da solista (Can’t get enough), osannato
dalle radio londinesi.
Mario torna a vestire i panni del doppiatore di personaggi d’animazione e
di interprete delle loro canzoni nell’autunno 2010, con la partecipazione al
film disneyano “Rapunzel” - l’intreccio della torre, in cui presta la sua voce
al brigante dal cuore tenero Uncino, e ancora nell’aprile 2011, diventando il
cattivissimo pappagallo Miguel nel film “Rio”.
Il 26 novembre 2010 esce per Tattica il doppio live Yes, you, una testimonianza
del tour estivo che Biondi ha portato sui maggiori palchi italiani, registrando il
tutto esaurito.
Il 21 maggio 2011, per il suo quarantesimo compleanno, ha inaugurato con un sold
out al Gran Teatro di Roma il nuovo Tour, con la Big Orchestra da 40 elementi,
proprio come 40 sono i suoi anni. Uno spettacolo completamente nuovo, con
nuovi arrangiamenti che rispolverano la natura jazz di Mario Biondi, in cui protago-
niste assolute sono la musica e la sua inconfondibile voce, calda ed elegante.
Mario Biondi ha da poco pubblicato il suo ultimo doppio album: Due.
a l t a c u c i n a
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Vicentino di nascita e milanese d’adozione, è uno dei cuochi italiani più creativi e riconosciuti a
livello internazionale, premiato dalle più prestigiose guide gastronomiche per il suo ristorante di
via Victor Hugo, a pochi passi da piazza Duomo a Milano.
Carlo Cracco è un professionista fra i più rappresentativi del “made in Italy” gastronomico,
apprezzato nel mondo grazie alla personalità inconfondibile delle sue ricette, opere d’arte
gastronomiche tanto godibili alla vista quanto al palato.
Nato a Vicenza nel 1965, ha frequentato l’I.P.C. a Recoaro Terme, vicino Vicenza, che fa parte
dell’Associazione Europea delle Scuole Alberghiere e del Turismo. Nel 1986 ha cominciato la
sua carriera professionale da Gualtiero Marchesi a Milano, il primo ristorante italiano che ha
raggiunto le tre stelle Michelin e un notevole riconoscimento dalla guida dei ristoranti Michelin.
In seguito ha lavorato presso la “Meridiana” di Garlenda (Savona), di appartenenza alla catena
dei Relais & Chateaux. Ha vissuto per 3 anni in Francia dove ha imparato la cucina francese
da Alain Ducasse (Hotel Paris) e Lucas Carton (Paris, Senderens). È poi tornato in Italia, a
Firenze, dove è stato primo Chef presso l’Enoteca Pinchiorri. Durante la sua conduzione ha
ottenuto le tre stelle Michelin. Gualtiero Marchesi lo ha chiamato per l’apertura del suo ristorante
L’Albereta”, Erbusco (Brescia), dove Cracco ha lavorato come Chef per tre anni. Subito dopo ha
aperto “Le Clivie” in Piovesi d’Alba (Cuneo), il quale, solo dopo un anno, ha guadagnato la stella
Michelin. Successivamente, ha accettato l’invito della famiglia Stoppani, proprietaria del negozio
di gastronomia più famoso di Milano del 1883, per l’apertura del ristorante Cracco Peck, dove
Dietro i fornelli con carlo cracco
Un masterchef D’eccellenza
Cracco oggi lavora come Chef Executive. Il ristorante è aperto dal 2001 in un edificio elegante
nel centro di Milano e la sua cucina rivisita in modo contemporaneo le specialità tradizionali
milanesi, guadagnando le due stelle Michelin, 18,5/20 Espresso e 3 forchette per il Gambero
Rosso. Dal 2007 è tra i 50 migliori ristoranti al mondo. Da Luglio 2007 è unico proprietario del
ristorante.
Stupire il commensale con sempre nuove creazioni è la sua gioia, rivoluzionando con semplici
ed essenziali invenzioni piatti classici, come l’insalata russa, che caramellata diventa un piatto
di grande glamour, o il tuorlo d’uovo marinato, simbolo dell’ossessione dello chef per questo
alimento, un piatto che si mangia in un solo boccone, ma che richiede invece una preparazione
lunga ed elaborata, quasi fosse un esperimento scientif ico, una vera e propria magia per il
palato. Cracco definisce la sua una cucina cerebrale e di cuore, un atto d’amore basato sul
grande rispetto per il cibo, perché la ricerca costante non si separa mai dalle emozioni gustative.
Come nasce Carlo Cracco chef? Come e quando è nata la sua passione per l’alta cucina?
«A differenza di molti miei colleghi non nasco “chef ”. La passione per la cucina è nata col tempo.
Frequentavo l’ istituto alberghiero a Vicenza, ma avevo “quattro” in cucina. Non mi entusiasmava,
non mi attraeva. Sono stato bocciato, e ho cominciato a lavorare presso un ristornate della mia
città. Lì, a quattordici anni, tra i fornelli e gli ingredienti, ho cominciato a sentire il fuoco sacro
della passione. E non ho più smesso».
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a l t a c u c i n a
È oggi uno dei più apprezzati e famosi chef del panorama nazionale e internazionale. Come, se
è accaduto, questa popolarità in giro per il mondo ha influenzato il suo modo di fare cucina?
«È accaduto esattamente il contrario. Non soltanto le mie trasferte all’estero e il successo
che ho raggiunto in altri paesi non hanno influenzato il mio modo di fare cucina, ma forse,
paradossalmente, hanno contribuito a farmi ancorare maggiormente alle mie radici italiane. Più
conosco le altre cucine, e più mi innamoro della mia. La nostra, a differenza della nouvelle
cuisine o della cucina spagnola, è una cucina strutturata, che declina gli ingredienti in infiniti
modi. La ritengo, per questo motivo, la più adatta al mio modo di cucinare: a voler analizzare
le ricette di un tempo, ad esempio, c’è materiale da rielaborare sufficiente per decenni senza
ripetersi…».
La sua filosofia prevede che vengano ripresi piatti tipici della cucina territoriale, rivisti in chiave
contemporanea. Perché questa scelta, ad esempio, di proporre nei suoi ricercati menù anche
la cotoletta alla milanese?
«Prima parlavamo della mia italianità. In realtà, come giustamente sottolinea lei, più che italiano,
mi sento addirittura un lombardo. Amo riprendere i piatti della mia regione, il risotto o la cotoletta
alla milanese. Penso che chiunque entri nel mio ristornate, a Milano, pretenda di trovare piatti
tipici della città. Poi, è ovvio, questi piatti vanno rivisti e rivisitati. In fondo, non si mangia più come
una volta, per cui la cotoletta che si faceva grande, a orecchia di elefante, è diventata piccola.
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a l t a c u c i n a
L’ importante è conservare il gusto e le caratteristiche del piatto: carne, uovo, pane e la cottura
con burro chiarificato e olio. È la stessa cosa, solo che cambia la forma: tagliando la carne
a cubo poi, rimane un po’ più rosa, ed è molto più buona di quella troppo cotta. Forse siamo
riusciti perfino a migliorare la cotoletta, e soprattutto a renderla più attuale».
Ho letto in una sua intervista che, secondo lei, il piatto principale è il secondo, da cui discendono
o risalgono tutte le altre portate. Ci può spiegare meglio questo suo punto di vista?
«Non è esattamente così. Forse in quell’ intervista non sono riuscito ad esprimere bene quello
che intendevo. Volevo dire che spesso la cucina italiana tende a considerare il “primo” come
il piatto principale. E non è così, anche un secondo può esserlo. Personalmente, credo molto
nei “piatti unici”, come piatto principale. Sono tutti piatti abbastanza completi: se ne possono
preparare due o tre, magari scegliendone uno a base di verdura, uno con le uova e uno di
pesce: così si compone un menu in cui non c’è nemmeno bisogno di mangiare il pane. È quello
che chiamo solitamente il “panettone gastronomico”».
Si sente un cuoco dolce o salato?
«Mi sento un cuoco agrodolce. Spesso mi è stato detto che nei miei menù i dolci hanno un ruolo
da comprimari, ma non è così».
Se dovesse consigliare ai nostri lettori un menù autunnale…
«Non ho un vero e proprio menù da consigliare. L’autunno offre tanti e tanti prodotti di stagione
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che potrei stilare una lista di menù. Penso ai funghi, alla cacciagione, alla zucca, alle castagne,
alle verdure e agli ortaggi di stagione. C’è l’ imbarazzo della scelta…».
Negli ultimi anni, la passione culinaria ha coinvolto ed invaso il piccolo schermo. Anche lei ha
partecipato ad un talent sulla cucina, “Masterchef Italia”, sul canale Vivo della piattaforma Sky.
Cosa ne pensa, in realtà? Pensa che possano essere davvero una fucina per nuovi talenti?
«C’è da fare una precisazione importante. Non si diventa chef in tre mesi, è un mestiere che
si impara con tanta gavetta e tanta esperienza sul campo. Pensare che qualcuno, seppur
appassionato, possa diventare uno chef di livello dopo così poco tempo e con così poca
esperienza, è impensabile. Sono, tuttavia, favorevole a questi programmi, perché ritengo che
possano far veicolare una cultura, quella culinaria, troppo spesso ai margini dell’attenzione dei
media. I giovani devono sapere cosa c’è dietro ai fornelli, la passione e la sacralità della cucina,
l’ impegno e la dedizione, la bellezza di questo mestiere. E se un programma televisivo può
contribuire a far passare questo messaggio, beh, allora ben venga».
Che cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro da Carlo Cracco? Cosa prevede la sua agenda?
«La mia agenda prevede ancora lunghe trasferte in giro per il mondo. In realtà non accadrà
nulla di diverso da quello che è accaduto negli ultimi vent’anni. Posso garantire, questo sì, un
costante lavoro di ricerca, che fa tesoro della tradizione come una sorta di trampolino per
balzare verso nuove scoperte del gusto, dando forme nuove e sorprendenti ad una ricetta».
a b i t a r e
Un tempo costruire una casa significava semplicemente mettere su quattro mura, organizzare
gli spazi, renderla funzionale alle proprie esigenze quotidiane. Oggi, in un mondo che vive
di design e segue le tendenze dell’estetica e del gusto, costruire non basta. Occorre anche
saper arredare e gestire gli spazi con stile e personalità.
Che si tratti di una villa in collina o di un appartamento in città, non si può più prescindere da
una figura professionale, quella dell’Interior Designer, che negli ultimi anni si sta ritagliando un
ruolo di primissimo piano nel settore dell’arredamento e della progettazione di interni.
L’Interior Designer “risolve creativamente i problemi attinenti la funzione dell’ambiente interno
ed esegue servizi che includono programmazione, studio del progetto, progettazione del sito,
estetica ed ispezione del lavoro, impiegando la propria pratica e conoscenza specializzata
circa la costruzione d’interni, il sistema edilizio e i componenti, le norme edilizie, l’attrezzatura,
i materiali e l’arredamento”.
Otre agli aspetti più squisitamente tecnici, l’Interior Designer, poi, sa modulare e comporre la
dimensione di arredi, luci e colori, cogliendo le tendenze del gusto e l’evoluzione degli stili nel
contesto culturale e sociale, e interpretando le esigenze e le aspettative del cliente.
La sua figura professionale si propone a chi desidera un’abitazione esclusiva o a chi,
acquistando in fase di costruzione, desidera personalizzarne il look o, infine, a chi vuole, tra-
mite un intervento di restyling, riqualif icare uno spazio abitativo o di lavoro.
INTERIOR DESIGNERPROFESSIONE: PROGETTARE ED ARREDARE CON STILE
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a b i t a r e
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Ne parliamo con Sebastiano Raneri, Presidente di
AIPi, Associazione Italiana Progettisti d’ interni, che,
nata a Milano nel 1969, è oggi l’unica associazione
di categoria in Italia che qualif ica la professione
di Progettista d’Interni - Interior Designer - con
l’obiettivo di migliorarne costantemente la qualità e
valorizzarne l’immagine e la presenza nel contesto
economico.
L’Associazione da diversi anni ha assunto un
ruolo da protagonista nel mondo dell’architettura
degli interni e del design in generale, profondendo
molto impegno per aumentare la propria visibilità
nel mondo dell’Interior Design nazionale ed inter-
nazionale.
Dott. Raneri, presiede l’Associazione che da più di
quarant’anni è in Italia il punto di riferimento per tutti
i professionisti nella progettazione di interni. Verso
quali linee direttrici si sviluppa l’AIPi?
«L’Associazione che presiedo, nata nel lontano 1969,
ha come obiettivo la valorizzazione e l’ istituziona-
lizzazione della figura dell’Interior Designer in Italia.
Il nostro è, infatti, uno dei pochi paesi in Europa
in cui la figura professionale dell’Interior Designer
non è ancora formalmente riconosciuta. Attendiamo
per i prossimi mesi il decreto che regolarizzi questa
situazione. Quello che chiediamo è la ristrutturazione
degli ordini professionali e il riconoscimento delle
associazioni professionali».
Chi è un Interior Designer? Quali sono le sue
specifiche e quali gli studi effettuati?
«L’Interior Designer è quel professionista che ri-
solve creativamente i problemi attinenti la funzione
dell’ambiente interno ed esegue servizi che in-
cludono programmazione, studio del progetto,
progettazione del sito, estetica ed ispezione del
lavoro, impiegando la propria pratica e conoscenza
specializzata circa la costruzione d’ interni, il sistema
edilizio e i componenti, le norme edilizie, l’attrezzatura,
i materiali e l’arredamento. È un professionista che
basa la sua attività su una costante ricerca nel
settore dei materiali. Come dico spesso ai miei
studenti, “siamo preti che celebrano matrimoni
impossibili”, perché mettiamo insieme materiali che
apparentemente sembrerebbero non essere in
sintonia. Ma lo facciamo perché ne conosciamo
bene le caratteristiche e le possibilità. Per quanto
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riguarda la formazione, un Interior Designer può
conseguire una laurea in architettura d’ interni,
oppure seguire uno dei tanti corsi organizzati da
scuole professionalizzanti».
La figura dell’Interior Designer evoca quella di un
progettista di case o strutture molto lussuose,
architetture di grandi dimensioni e con possibilità
infinite per la scelta dei materiali e dei complementi
d’arredo. Quanto è vera questa affermazione?
Quanto, invece, si discosta dalla realtà?
«Spesso nel mio studio entrano persone con delle
riviste sotto il braccio e mi dicono “mi piacerebbe
realizzare questa casa”. Si, è vero, spesso la nostra
figura è legata ad immagini di case lussuosissime,
e la gente pensa di dover avere bisogno di noi
soltanto in casi come questi. In realtà, l’Interior
Designer può progettare anche la cuccia del cane.
L’ importante è farlo col giusto mix di stile, gusto,
ricerca dei materiali ed innovazione».
In un periodo di grande difficoltà economiche, come
trovano spazio queste figure professionali così
specifiche?
«In Italia stiamo vivendo una crisi molto strana. Si, è
vero, ci sono grossi problemi di liquidità, ma il tenore
e gli stili di vita non si sono modificati radicalmente.
Bisogna considerare il contesto di riferimento.
Le persone con grosse disponibilità di denaro ci
sono sempre, e sono loro, principalmente, che si
rivolgono a figure professionali specializzate. Poi
non dimentichiamo che la nostra professionalità è
richiesta anche fuori dai contesti europei, in India,
Cina, Brasile. Quindi la situazione economica italiana
non è determinante».
In che modo le recenti tecnologie della domotica e
l’interesse sempre più crescente verso il risparmio
energetico influenzano le scelte del Progettista di
Interni? Come sarà lo spazio vissuto del futuro?
«Sarà uno spazio caratterizzato da ricerca ed
innovazione. Come associazione, siamo stati tra i
primi a portare la domotica nei progetti, ed era-
vamo considerati dei marziani. Ora non più, la
domotica è parte integrante della progettazione
di interni. La casa del futuro, a maggior ragione,
sarà una casa completamente domotizzata, con
un’attenzione costante verso le energie alternative
che permetteranno di ammortizzare i costi».
a b i t a r e
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Nell’ipotetico decalogo dei valori del Progettista quali
principi non potrebbero mancare?
«Credo molto nell’umiltà del professionista, che si-
gnifica coscienza della propria professionalità.
Occorre, poi, una naturale predisposizione al confronto
(con i colleghi e con le altre professionalità del set-
tore), che è fonte di aggiornamento, di rinnovamento
e di crescita».
Quali sono le tendenze più attuali nell’arredamento e
nella gestione degli spazi interni ad una casa?
«Negli ultimi periodi si è registrato un cambiamento
importante. Venivamo da un decennio in cui si
sono costruite abitazioni solo in stile moderno. Ora
siamo passati da una eccessiva modernità ad una
via di mezzo, che potremmo definire addirittura
neoclassica. C’è un ritorno al legno, non più lac-
cato, ed a tessuti caldi e ambienti accoglienti. Chi
negli ultimi anni ha arredato la propria casa in stile
eccessivamente moderno, ora chiede di poterci
inserire qualche pezzo più classico, oppure, al
contrario, chi ha una casa troppo classicheggiante,
si orienta verso oggetti di design e stili più moderni.
C’è, quindi, una tendenza a combinare gli stili, con
stile e gusto. L’ importante, in ogni caso, è che la
casa rispecchi le personalità di chi le abita. E in
questo, il ruolo dell’Interior Designer, che recepisce
e traduce il carattere e il gusto del committente, è
fondamentale».
Sebastiano Raneri - Presidente AIPi
Magici itinerari al soleSe di sole e mare proprio non si può fare a meno e difficilmente si
digerisce l’inesorabile incedere dei primi freddi dell’autunno, non è mai
troppo tardi per regalarsi piacevoli momenti in cui assaporare ancora le
calde atmosfere estive e salutare definitivamente e senza nostalgia le
spiagge assolate e le acque azzurre.
Tra Mar Rosso e Mar Mediterraneo, tra la vivace Spagna e l’affascinante
Egitto, ci si può ancora concedere un piacevole viaggio all’insegna di
acque limpide e sole caldo, coccolati dai comfort sfrenati di maestose
navi da crociera. Queste prime settimane di autunno, infatti, stanno
dando il via alla lunga stagione delle crociere invernali e tutti i migliori
operatori del settore si preparano a far salpare le splendide navi delle
loro flotte alla volta di magnifiche mete dal fascino intramontabile.
Per conoscere in maniera approfondita il settore, alla ricerca di consigli
che possano aiutare nella scelta della Crociera più adatta ai propri gusti
ed alle proprie necessità, My Lifestyle ha scelto di rivolgere la propria
attenzione verso quella che è stata la prima compagnia italiana di
navigazione a dedicarsi all’attività crocieristica ed oggi prima compagnia
di crociere in Europa: Costa Crociere.
La crociera come vacanza nacque dall’evoluzione della “prima classe”
sulle rotte transatlantiche tradizionali. Nel corso degli anni ’60 e ’70 la
domanda per i collegamenti di linea diminuì in maniera consistente e
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© immagini: costa crociere
Costa Crociere si fece trovare pronta non solo a offrire vacanze in crociera, ma an-
che a realizzare una flotta che rispondesse alla nuova richiesta turistica che si andava
affermando.
Nel corso degli anni ‘80 si affermò in modo inequivocabile l’idea della nave come vero e
proprio albergo galleggiante e in quest’ottica, la nave stessa diventò luogo di vacanza,
sparì completamente la divisione in classi, furono uniformate le cabine e si moltiplicarono i
luoghi di divertimento: bar, teatri, casinò, discoteche. Tutto a disposizione di tutti. In pochi
anni la crociera passò da un target ristretto, ma pur sempre familiare, ad un pubblico
allargato, internazionale, con prezzi più accessibili, navi nuove, programmi per famiglie
e bambini.
Lo scenario attuale è competitivo e complesso, la crociera si rivolge a ogni genere di
pubblico, ed è la miglior vacanza come rapporto qualità/prezzo nel turismo organizzato.
Le mete “classiche” più ambite sono mar Mediterraneo e i Caraibi, anche se per l’inverno
2012, sono state introdotte diverse novità. A cominciare dagli Emirati Arabi, un itinerario
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che combina passato e futuro, proposta per prima volta da Costa nel 2006.
Il prossimo inverno le crociere a Dubai prevedono due grandi novità: la prima è Costa
Favolosa, ultima ammiraglia della flotta, che sarà la nave da crociera più grande e
moderna mai impegnata in quest’area; la seconda novità è rappresentata dal nuovo
scalo di Khasab, in Oman, con le sue spettacolari scogliere e acque turchine, aggiunta
all’itinerario di 9 giorni, che comprende anche Dubai, Abu Dhabi, Muscat e Al Fujairah.
Un’altra tendenza è rappresentata dalla crociera nel Mar Rosso, un itinerario che combina
relax e cultura millenaria in una sola vacanza, mare dalla bellezza straordinaria e tesori
culturali e archeologici di inestimabile valore come la meravigliosa città rosa di Petra o la
Valle dei Re. Un itinerario dal fascino unico che Costa propone per tutto l’anno a bordo
di Costa Voyager.
Nel 2012 Costa offrirà anche due Grandi Crociere, una a bordo di Costa Victoria,
che partirà dal Brasile e raggiungerà la Cina in 72 giorni e un’altra a bordo di Costa
neoRomantica, che partirà da Savona e raggiungerà la Nuova Zelanda in 107 giorni.
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Abbiamo intervistato Pietro Sinisi, comandante di Costa Crociere, che ha inaugurato lo
scorso anno l’itinerario nel Mar Rosso.
Comandante, lei è stato il primo ad inaugurare l’itinerario nel Mar Rosso lo scorso inverno.
Quali emozioni ha provato?
«Per me è stato motivo di grande orgoglio essere stato il primo Comandante a fare
questa esperienza. Si tratta di luoghi che hanno molto da offrire dal punto di vista
turistico, ancor di più se visitati tutti in un solo viaggio, arrivando dal mare. La nostra
Compagnia ogni anno inaugura nuovi itinerari: trovo che questo in particolare sia davvero
molto stimolante: ci siamo spinti in Giordania, in Israele e fino alla punta estrema della
Penisola del Sinai, per cui, quando ho saputo che avrei fatto per primo questo itinerario
così interessante, sono stato molto contento. Concordo con i nostri Ospiti che hanno
affermato che questa crociera è unica nel suo genere, si tratta di una crociera davvero
indimenticabile. I luoghi che abbiamo visitato sono estremamente suggestivi e tutti diversi.
I nostri Ospiti sono sempre tornati dalle escursioni soddisfatti ed entusiasti».
t r a v e l
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Cosa significa inaugurare un itinerario dal punto di vista della navigazione?
«In questo viaggio abbiamo raggiunto la penisola del Sinai, Israele, la Giordania. La
navigazione verso questi luoghi è molto tranquilla: nel Mar Rosso è difficile trovare
condizioni meteo-marine avverse, il mare è calmo e la temperatura oscilla sempre tra i
22 ed i 30 gradi. Questo permette di raggiungere i porti senza trovare grandi difficoltà
lungo la rotta».
Qual è il luogo più affascinante? Ci dia qualche dritta…
«A mio avviso, Petra è la località di maggior fascino, costituisce sicuramente un punto
di forza della crociera. Un luogo davvero incantevole che consiglio a tutti di visitare, fa
rimanere “senza fiato”. Poi, scegliendo questo itinerario, si ha la possibilità di vedere le
Piramidi ed i siti archeologici di Luxor in Egitto, ma anche il Mar Morto e la Fortezza
di Masada in Israele. E chi preferisce la natura e il relax, può decidere di visitare le
spiagge più belle del Mar Rosso, da Sharm El Sheik a Safaga…c’è solo l’imbarazzo
della scelta».
Intorno al tema delle energie rinnovabili si incrociano, talora scontrandosi, le più disparate ed
opposte posizioni: da un lato gli allarmisti che, per meri interessi personali, fomentano le folle
riducendo l’intero discorso al problema legato alla salvaguardia ambientale e, dall’altro, gli
spregiudicati, che pur di realizzare un impianto, ricorrono all’uso indiscriminato delle tecnologie,
contribuendo ad alimentare questa sterile battaglia. All’interno di questo audace ed insensato
testacoda, c’è, invece, chi riesce a trovare il giusto equilibrio: promozione e valorizzazione di
impianti per l’energia rinnovabile da un lato, e grandissima attenzione al territorio ed alla sua
geologia in tutte le fasi produttive, dall’altro.
È il caso di “AmbienteFuturo”, un’azienda nata nel 2009 dall’esperienza maturata dai soci
fondatori Nicola Krampera e Vincenzo Vadrucci, con l’obiettivo di proporre sulla scena
nazionale ed internazionale nuove ed importanti idee per produrre energia da fonti rinnovabili.
La società, che concentra la sua attività sul fotovoltaico e le biomasse, si propone come un
interlocutore in grado di svolgere in piena autonomia tutti i servizi richiesti nell’ambito della
realizzazione di impianti da energia rinnovabile.
A partire dalla scelta dei siti, la progettazione e l’assistenza nella scelta dei materiali, il team
di AmbienteFuturo realizza l’opera nel pieno rispetto del territorio e, con la stessa filosofia,
continua a curare la gestione e la manutenzione dell’impianto. L’intera attività viene condotta
con pratiche e metodologie che sono frutto di una serie di determinanti fattori: il know-how
acquisito nel progettare impianti in diversi contesti; la conoscenza delle procedure locali,
regionali e nazionali; un network di professionisti ed imprese collegate, in grado di soddisfare
ogni esigenza; la presenza di un nucleo di ingegneri con forte esperienza sul territorio nazionale.
L’ENERGIA RINNOVABILE è IL FUTUROAmBIENtEfutuRO peR Una pROpOsTa dI qUaLITà, pROFessIOnaLITà e RIspeTTO deL TeRRITORIO.
To p S e l e c T i o n
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Vincenzo Vadrucci, socio fondatore dell’azienda,
spiega lo spirito con cui viene condotta l’azienda:
“Siamo un team di giovani professionisti che ha
deciso di unire le proprie forze per un unico scopo:
rendere l’ambiente in cui viviamo più vivibile per noi,
ma soprattutto per i nostri figli. Lavorare divertendoci
è la nostra filosofia; se poi lo si fa in un settore in cui
si crede…beh è il massimo”.
Nicola e Vincenzo si conoscono da almeno 15 anni
e per tutto questo tempo hanno affrontato sfide di
varia natura in settori diversi, ma ugualmente vicini
all’ambiente. Poi hanno deciso di unire le forze, mettendo
la loro professionalità a disposizione della nuova sfida
energetica, proponendo progettazione e realizzazione
di impianti domestici, ma anche grandi opere, quali
l’installazione e l’esecuzione di centrali fotovoltaiche.
“Per tutti i nostri servizi - spiega Krampera - l ’obiettivo
è quello di progettare e realizzare, rendendo noi ed i
nostri clienti fieri di ciò che stiamo costruendo. Inoltre,
sparare a zero oggi contro le energie rinnovabili
significa non voler guardare al futuro, non avere
occhi lungimiranti, non poter sperare in un domani
migliore per tutti. Noi di AmbienteFuturo siamo i primi
a condannarne l’uso indiscriminato e, anzi, lavoriamo
nel pieno rispetto del territorio, convinti che il nostro
lavoro non faccia rima con annientare, quanto
piuttosto con preservare, risparmiare, migliorare, e
crescere”.
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Riuscire a comunicare in pochi secondi un messaggio e, soprattutto, una
filosofia, uno stile, una storia, non è cosa semplice. Ci è riuscita benissimo
Banca Popolare Pugliese, con la collaborazione dell’agenzia Bamakò, di South
Productions, e la regia di Edoardo Winspeare. In uno spot di circa 30 secondi,
hanno saputo coniugare tutti quegli elementi che fanno di BPP un punto di
riferimento per decine di migliaia di soci e correntisti in tutto il territorio pugliese,
e cioè attenzione al territorio, alle sue eccellenze, alle sue professionalità.
“I protagonisti dello spot - spiega lo stesso regista salentino - sono un velista,
un contadino, un’enologa, una cassiera, un ingegnere aeronautico: una serie di
professioni per raccontare la Puglia tradizionale e la Puglia innovativa, moderna,
che guarda verso il futuro”.
A proposito del commercial e del messaggio che la Banca ha inteso trasmettere,
intervistiamo il dott. Ugo Latrofa, Responsabile Comunicazione & Innovazione di
Banca Popolare Pugliese.
Come e quando è nato il progetto di questo nuovo spot pubblicitario di Banca
Popolare Pugliese?
«Nacque dalla normale pianificazione della comunicazione pubblicitaria e
dall’incontro con un regista della caratura di Edoardo Winspeare che si propose
per uno spot di “qualità”. In un tempo segnato dalla forte crisi economica dei
paesi più evoluti, il meridione risente più di altri della congiuntura sfavorevole. La
nostra Banca, nel limite possibile, sostiene il sistema regionale per dare respiro
alle famiglie, alle capacità del lavoro, alla creatività ed alle eccellenze di un sud
sottovalutato che non gode ancora di giusta visibilità. Mentre pensavamo al
messaggio da elaborare su questa sintesi per il nuovo piano di comunicazione,
incontrammo Winspeare, egli stesso un’eccellenza pugliese e la coincidenza fu
un buon viatico per la nostra progettazione».
Cosa significa per BPP rivolgersi ai suoi clienti con il motto “abbiamo i numeri
per crescere insieme”, titolo del commercial?
«I numeri sono ciò che il territorio ci ha generosamente concesso: la nostra
proprietà, i clienti, le imprese che sosteniamo, i comuni che serviamo con il
nostro presidio. Questi numeri rappresentano meglio di ogni parola il rapporto
osmotico con la gente. Lo spot, fateci caso, è muto perché non servono altri
commenti oltre ai numeri, linguaggio semplice, per spiegare l’intreccio vissuto
con l’habitat che ci ospita. Una Banca Popolare non ha un padrone, appartiene
alla gente comune, al territorio (ai 32.000 soci appunto), questo è il valore che
la muove, il muro maestro della sua costruzione. Per tale valore, noi operiamo
To p S e l e c T i o n
UNA BANCA, UN TERRITORIO, LE SUE ECCELLENZE: BPP E IL NUOvO SpOT, gIRATO dA E. WinsPEarE
c o m u n i c a z i o n e
attenti al bisogno di sostegno e di sviluppo della nostra terra».
I numeri e le persone sono i protagonisti di questo spot, con la
Puglia a far da splendida cornice. Qual è il filo conduttore che
lega una banca al suo territorio?
«È ciò che prima ho esposto. Nella regione, “la Popolare
Pugliese” non è soltanto una banca, in questa veste sono
presenti diversi operatori. Noi siamo una “parte sociale”, la
componente del credito di proprietà del territorio, sulla quale
grava una responsabilità civica più ampia: la funzionalità alle
esigenze economico ambientali della regione. Non è un caso
che molte aziende locali siano nate con il sostegno della
“Popolare Pugliese”, poi, espandendosi, l’impresa diversifica
le fonti operative e finanziarie, com’è logico ed auspicabile
ma l’incipit di un buon numero di nuovi imprenditori, fa rife-
rimento alla parte sociale più vicina, costituita nel territorio
con questa missione e noi siamo una Banca Cooperativa.
Col perdurare di forti tensioni finanziarie, il sistema Bancario
è restio ad impiegare liquidità, creando una stretta creditizia
che taglia il fiato a molte imprese, nel frangente, la “Popolare
Pugliese” ha surrogato il sistema come possibile, assumendo
responsabilità da “parte sociale” e non solo di banca. Altro
tasto dolente è il fabbisogno finanziario delle famiglie mentre
si alza l’asticella della soglia di povertà. È un tema complesso,
il rischio del sovraindebitamento familiare è forte e, se per
un verso è una minaccia per l’ente finanziario, d’altro canto
è un rischio sociale elevato. Intervenire a sostegno delle
famiglie richiede coraggio ed un principio etico preciso che
potremmo sintetizzare con un solo termine: “nonsolobusiness”.
In questo senso e con questo spirito siamo presenti sulla
soglia sociale più delicata, non rinunciando a finanziare “la
famiglia” ma con modalità (reti d’agenti e consulenza) e formule
blindate per assicurare che non s’incoraggi l’indebitamento
insostenibile».
La scelta di Edoardo Winspeare come regista conferma,
ancora una volta, questa attenzione…Come è stato lavorare
con Winspeare e come il regista salentino ha risposto a questa
nuova, ennesima, sfida?
«Rispetto a quanto ho già detto, posso aggiungere che
l’eccellenza già nota è emersa subito, per la professionalità
profusa nel lavoro. Vi assicuro che realizzare un film di
quarantacinque secondi, frazionabile in 30, 15, 7 secondi, per
i mezzi sui quali deve essere trasmesso, comporta maggiore
complessità creative e di realizzazione di un film di 90 minuti.
La strumentazione e lo staff impiegati, la ricerca maniacale
delle location e delle riprese più felici sono state equivalenti a
quelle usate per un lungometraggio. Il regista non si discute e
la sua partecipazione “all’opera” è andata anche oltre il ruolo.
Con Edoardo s’è discusso, pensato a lungo il soggetto, lo
storyboard, le finalità, il ruolo, le aspettative della banca e di
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In alto: Il dr. UgO LATROFA, Responsabile Comunicazione & innovazionedi Banca Popolare Pugliese
allo “sportello”, all’agenzia, che si può individuare sulle
proprie piazze. Sino ad oggi la relazione Banca-Cliente
si è retta su questo caposaldo e sul rapporto fisico ed
umano. La rivoluzione dei costumi innescata da internet
ribalta questa relazione, rendendola più impersonale
ed anonima. Si potrebbe dunque supporre che in
futuro i servizi bancari diventeranno più fruibili ma di
minore qualità. Io credo, al contrario, che siamo di
fronte ad un salto di qualità e d’ampiezza dei servizi
per, la straordinaria evoluzione dei sistemi d’accesso.
L’assenza di barriere spazio temporali, già oggi, con-
sente di operare in qualunque momento sulle proprie
disponibilità finanziarie da ogni parte del mondo, con
la sicurezza e la velocità dell’informatica, questo è
importante, perché il timing dell’azione umana, tende
a razionalizzare le attività produttive ed a contenerne il
costo. Il format dei servizi standardizzati in evoluzione,
genera un rapporto qualità/prezzo inimmaginabile
solo dieci anni fa, con un beneficio crescente per i
fruitori. Per converso, la Banca rimarrà se stessa e,
via via che gli strumenti telematici, realizzeranno la sur-
roga dell’uomo per i servizi basici e di largo utilizzo,
si proporrà con competenza crescente e con tempi
più adeguati, per i servizi specializzati non fungibili
da strumenti virtuali, come la consulenza verso gli
investimenti ed i finanziamenti, la previdenza e la
sicurezza, anche di matrice assicurativa. Trent’anni fa
pareva strano non dovere cambiare un assegno per
ottenere contanti, affidandosi al temutissimo e freddo
“Bancomat”. Oggi, nessuno saprebbe immaginare
una filiale bancaria sprovvista di quello strumento,
che nel frattempo si è evoluto, diventando una vera
piattaforma self service. L’aumentata disponibilità di
tempo da “problem solver” farà crescere la qualità del
nostro servizio al territorio e saremo meglio organizzati
per ascoltare, consigliare e servire la gente, realizzando
quell’orientamento al cliente lungamente auspicato nei
decenni passati. L’evoluzione o metamorfosi dei servizi
segna il passaggio definitivo della Banca da istituzione
ad azienda. Il tempo ci sta dimostrando che mentre
si alza la qualità del servizio standardizzato, legato
alla soluzione telematica e virtuale, migliora la qualità
del servizio specializzato e personalizzato, fruibile
one to one, in un rapporto professionale ed umano.
Mi fermo qui con una considerazione di chiusura,
dovuta quando si parla di futuro. L’agire virtuoso non
consiste nel possedere tutte le risposte ma nell’essere
aperti a tutte le domande e noi siamo un cantiere
sempre aperto».
tutto ciò che si voleva comunicare. Il linguaggio ridotto
ai numeri, calati in un pot pourri d’immagini pugliesi, è
stata una sua felice intuizione e lo spot, con semplicità
e solarità, s’è dimostrato subito di grande appeal
come si conviene alle opere di qualità, o di grande
comunicativa. L’uomo, poi, non è diverso dal regista:
acuto, ironico, gioioso in un contesto professionale
sempre rigoroso».
Quello tra BPP e il territorio, come dicevamo, è un
legame antico, ma allo stesso tempo moderno
destinato a durare nel tempo, grazie al processo di
continuo ammodernamento tecnologico che la banca
segue per far fronte alle sfide del futuro. Che cosa ci
dobbiamo aspettare per il futuro?
«Rispetto al territorio, il ruolo di “parte sociale” della
banca resterà inalterato, almeno entro i confini pu-
gliesi, quanto al futuro, oltre alla naturale evoluzione
tecnologica che tocca qualunque operatore dei servizi,
valutiamo lo sviluppo progressivo ma inarrestabile del
mercato virtuale. L’identità di una banca è legata
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To p S e l e c T i o n
c o m u n i c a z i o n e
Un’azienda, I&T, che da anni ormai si occupa con successo di servizi informativi; un prodotto, Bancomed, che mira a
rivoluzionare il modo di gestire le informazioni mediche e il rapporto del paziente con le istituzioni sanitarie. Un binomio,
quello di I&T e Bancomed, che punta a una vera e propria “rivoluzione culturale”, un sovvertimento di ruoli, di principi,
di prassi, di convinzioni.
Ne parliamo con il dott. Salvatore Lia, presidente del Gruppo I&T e “padre” di Bancomed.
Dott. Lia, la sua azienda I&T è da anni leader nel campo dei servizi e delle soluzioni informatiche. Come e quando è
nata questa avventura?
«L’avventura I&T è nata nel 1992, quasi venti anni...Dovevo dare concretezza alle mie fantasie sulle applicazioni
informatiche e sulla costruzione di una Software Factory. L’esperienza da Dirigente nella più grande Società Italiana
del tempo, la “Italsiel”, era giunta al termine; sentivo la necessità di volare nei miei sogni: l’informatica applicata alla
Comunicazione Sociale e alla Sanità. Un saluto al passato e una rinuncia ad un futuro sicuro e tranquillo e...I&T è fatta».
“Bancomed”, uno dei prodotti della sua azienda, è stato più volte definito un’evoluzione culturale. Può descriverci
brevemente questo progetto così all’avanguardia?
«BANCOMED è uno dei sogni. Come i sogni, nasce da un’osservazione della realtà e da un desiderio interiore:
costruire un Sistema utile per tutti in un campo di grande sensibilità; più del denaro, la salute. Aiutare il Cittadino ad
essere soggetto attivo nella cura delle proprie informazioni cliniche. Il progetto nasce da una semplice constatazione:
la storia sanitaria del Cittadino è certamente nelle sue mani. Si tratta di dargli la possibilità di costruire attivamente il
proprio fascicolo sanitario con i documenti in suo possesso. Abbiamo costruito un software che permette al cittadino
di alimentare il proprio fascicolo sanitario e, attraverso un processo molto semplice, consente la consultazione delle
informazioni del fascicolo stesso e senza necessità di alcuna conoscenza informatica».
Con Bancomed cambia il ruolo del paziente nella gestione delle informazioni che riguardano la sua salute. Che tipo di
reazioni avete colto, in questi mesi, tra i Cittadini, veri protagonisti di questo rivoluzionario “processo”?
«L’abitudine a delegare al medico e alle strutture sanitarie la cura delle proprie informazioni cliniche è diventata una
cultura. Indubbiamente il cambiamento che proponiamo affascina e preoccupa nello stesso tempo. Bisogna creare
To p S e l e c T i o n
60
La rivoLuzione cuLturaLe di I&T è BancomedLa SaLute a Portata di cLIcK
s a l u t e
il Presidente del Gruppo I&T, dott. Salvatore Lia
intorno al Cittadino un ambiente di accoglienza
che renda tranquillo il nuovo modo di agire. La
crescita culturale è un processo lento e non
coinvolge tutti contemporaneamente».
A che punto è questa “evoluzione”? Come
hanno reagito, invece, le istituzioni? Quali
traguardi sono stati raggiunti?
«Abbiamo cantierizzato, attraverso le Ammini-
strazioni Comunali e l’Associazione AIPD, circa
1000 Fascicoli Personali. I Cittadini si sono
rivelati abbastanza autonomi nell’alimentazione
del proprio Fascicolo contenuto nella pen-drive.
Seguirà un’azione per verificare il grado di
utilizzo e di gradimento del Cittadino. Non le
nascondo la mia grande soddisfazione riguardo
l’ottima accoglienza che Bancomed ha ricevuto
da parte delle Istituzioni. I Sindaci hanno colto
questa occasione per dare ai Cittadini un servizio
socialmente utile in un settore, la Sanità, fino
ad oggi ritenuto piuttosto marginale per i Co-
muni. I Medici hanno l’opportunità di arricchire
la Cartella Clinica e quindi di seguire meglio
quei Pazienti, dotati di un archivio ordinato e
di una maggiore consapevolezza circa i propri
documenti sanitari. Le Farmacie hanno colto
l’iniziativa come un’opportunità di rendere alla
popolazione un utile servizio di carattere sociale».
Nel mese di novembre 2011 è stato organizzato
a Lecce un convegno di presentazione di
Bancomed, al quale hanno aderito i Distretti
Sanitari, Federfarma, molti Primari degli ospedali
del territorio. Qual è il ruolo dell’informazione e
della comunicazione nell’affermazione e nella
veicolazione di questo messaggio?
«Quella del quattro di novembre ha rappresen-
tato la prima manifestazione in provincia di
Lecce organizzata per una partecipazione
allargata. Le adesioni che vi sono state mi
inducono a pensare che siamo sulla buona
strada e che stiamo proponendo un percorso,
unico in Italia, che potrebbe essere di grande
utilità per il Paziente e per le Strutture Sanitarie.
Siamo ancora agli inizi; molta strada dovrà
essere percorsa per ottenere risultati signi-
ficativi in termini di larga diffusione. Il ruolo
dell’informazione e della comunicazione è fon-
damentale, forse il più importante; la bontà
dell’iniziativa non è sufficiente, bisogna che sia
conosciuta e adottata da un gran numero di
Cittadini e strutture sanitarie. Sono convinto che
il percorso intrapreso, basato sul coinvolgimen-
to del Cittadino, e che ho voluto riservare prioritariamente a
questo territorio, sarà condiviso in altre zone d’Italia e non solo».
Oggi, più che mai, essere un imprenditore al Sud non è
facile. Quali difficoltà ha incontrato e cosa rimprovera, se lo
rimprovera, alla sua terra?
«Oggi non è facile essere imprenditore da nessuna parte, in
Italia. Al sud bisogna fare qualche sacrificio in più e dotarsi
di grande pazienza e disponibilità a viaggiare; in provincia
di Lecce, poi, meno acqua, meno energia, meno reti di col-
legamento, meno accesso al credito. Una distanza di 200
chilometri ti consente di arrivare a Bari; e una volta a Bari,
sembra di essere in un mondo sconosciuto per l’attenzione
vera che ti viene riservata. Malgrado tutto è sempre la nostra
terra e, anche se ci accorgiamo che il fascino del vicino risulta
vincente, noi facciamo di tutto per avere credibilità e dimostrare
di poter dare, oltre al nostro cuore, ancora qualcosa di più di
quanto oggi ci viene di fare bene altrove. Le idee e la capacità
di vincere non ci mancano perché abbiamo una forza che
deriva da sofferenze millenarie...e andiamo avanti. Mi chiedo
quanto ancora possa durare».
61
To p S e l e c T i o n
62
una vendemmia a cinque stelleRaccontare la storia di un uomo di successo attraverso le sue produzioni è sempre cosa
molto semplice: basta stilare un elenco di record stabiliti, risultati raggiunti, investimenti
effettuati, onorificenze ricevute.
Ma quando, accanto ai numeri di un successo personale e aziendale, c’è di mezzo
anche la passione, l’abnegazione, l’amore per il proprio lavoro, i propri prodotti e i propri
dipendenti, le fredde cifre non possono bastare più.
Parlare con il pluripremiato imprenditore Angelo Maci, patron della società cooperativa
Cantine Due Palme, una realtà consolidata, attiva, che produce e commercializza 3
milioni di bottiglie nel mondo, significa entrare in un mondo fatto di valori e di virtù, di
tradizioni e di certezze consolidate, di passioni e di dedizioni. Lo incontriamo a vendemmia
appena conclusa, con lo sguardo di un uomo, e non solo di un imprenditore, soddisfatto
del risultato e delle prospettive che verranno.
w i n e
Dott. Maci, come è iniziata la sua avventura di
viticoltore e imprenditore nel settore enologico?
«Sono figlio della vigna. A sessantotto anni, ho 50
vendemmie alle spalle. Ho cominciato giovanissimo,
nei vigneti di mio nonno (lui aprì una cantina nel 1940,
io nacqui tre anni più tardi), e lì si è alimentata la mia
passione, che mi ha portato fino a qui».
Come nasce Cantine Due Palme?
«è una storia iniziata più di vent’anni fa, fatta di
amore per il territorio, di passione per la qualità e
di competenza di gestione. Cantine Due Palme è
un’azienda cooperativa nata nel 1989 a Cellino San
Marco, in provincia di Brindisi. L’azienda ha 1000 soci
conferitori e 2200 ettari di vigneti (tutti localizzati nel
triangolo di terra che abbraccia le province di Brindisi,
Taranto e Lecce, nel cuore del Salento), che sono
la base di una produzione di qualità che la nostra
passione e la capacità dei nostri esperti modellano in
vini d’eccellenza, fortemente connotati dalle condizioni
pedoclimatiche della regione».
L’idea di successo fu quella del cooperatisvismo…
«Assolutamente si, da bancario capì che, per pro-
durre vini di qualità e sfondare da un punto di vista
imprenditoriale, era necessario riunirsi in cooperativa.
Servono infatti ingenti somme per costruire una
cantina ed attrezzarla, come pure per pubblicizzare
il prodotto e venderlo in maniera remunerativa. Non
tutti dispongono dei soldi, capacità ed esperienza per
mantenere i indipendenti o gli esperti. La cooperativa
è anche certezza di vendere il proprio prodotto e di
vederlo pagato in maniera equa. All’epoca fu una
sfida, oggi è una realtà di successo».
Che cosa rappresenta la vostra esperienza per la
Puglia ed il territorio?
«Cantine due Palme è diventato un simbolo della Puglia
d’eccellenza, un testimonial importante del territorio,
della storia e della cultura del Salento. L’elemento
che contraddistingue Cantine Due Palme è quello di
credere fortemente nella tradizione vitivinicola salentina
(soprattutto nel sistema di allevamento ad alberello
pugliese) grazie alla valorizzazione, efficace, di tutte le
risorse che provengono del territorio. Alle solide radici
identitarie fa da contraltare una gestione oculata e
strategica dell’azienda, che permette di promuovere le
produzioni d’eccellenza sui mercati esteri, ampliando, di
anno in anno, la platea dei paesi nei quali è presente».
Quali i suoi vini preferiti?
«Come un padre nei confronti dei suoi figli, non posso
sceglierne uno. Li amo tutti, indistintamente. Ho una pre-
dilezione, diciamo cosi, per gli autoctoni Negroamaro,
Primitivo, Malvasia Nera e Moscato…ovvero quei vitigni
con i quali la Puglia è entrata a buon diritto nel gotha
dei territori di eccellenza produttiva. Allo stesso modo,
però, ho sempre amato sperimentare e mi piacciono
molto gli alloctoni Sangiovese, Montepulciano, Cabernet
Sauvignon, Merlot, Syrah, Pinot Bianco e Nero,
Chardonnay e Sauvignon».
Una menzione speciale per il Primitivo e il Negroamaro,
figli del territorio…
le eccellenze di Angelo Maci, enologo e patron di Cantine due Palme.
63
l’enologo Angelo Maci
To p S e l e c T i o n
64
«Come dicevo, sono molto legato a questi due vini, che
rappresentano il frutto di un territorio che ama quello che
fa. Il nome “Primitivo” deriva dalla tendenza di queste
uve a maturare prima delle altre, solitamente verso i
primi giorni del mese di settembre. Dalle uve Primitivo si
ottiene un vino di estrema qualità, dall’alta gradazione
alcolica e da un sapore ben bilanciato, squisitamente
tannico e potente, di gran corpo. Il Negroamaro, invece,
risulta di colore rosso con riflessi amaranto, con profonde
venature di un rosso cupo. Oggi, solo due tipologie sono
ampiamente coltivate, la Malvasia Nera di Brindisi e
la Malvasia Nera di Lecce, le cui caratteristiche sono
pressoché simili. Due vini, il Primitivo ed il Negroamaro,
ottimi, pregio della nostra cantina».
Parliamo dell’ultima vendemmia. Com’è andata? Che tipo
di prodotto possiamo aspettarci?
«La vendemmia di quest’anno ha avuto inizio il 17 agosto
ed è terminata il 5 ottobre. Abbiamo ottenuto 15 mila
quintali in più rispetto all’anno scorso, nonostante la crisi
che ha limitato il settore vinicolo del 20% in tutta Italia.
La qualità è ottima (per un 60% è un vino addirittura a
5 stelle), frutto di un team che cura quotidianamente le
proprie vigne, e di un’organizzazione di lavoro degna di
nota: esiste un rapporto privilegiato, infatti, tra i nostri
esperti della cantina e i lavoratori nei vigneti, che si
aggiornano continuamente tramite riunioni cicliche e
tramite sms quotidiani. Un lavoro di squadra che spiega il
successo della vendemmia».
Cosa prevede per il futuro?
«A parte la solida professionalità e dedizione che ha
sempre contraddistinto il nostro lavoro, abbiamo in
cantiere un progetto che piacerà molto ai nostri clienti:
nascerà a breve un Wine Resort, con 29 camere, una
SPA di ottimo livello costruita all’interno delle cisterne, una
splendida sala ricevimenti da destinare ai soci ed alle loro
famiglie. Un progetto in cui sono stati investiti 20 milioni
di euro e che testimonia, ancora una volta, l’eccellenza
della nostra azienda».
Si ringrazia la Provincia di Como (Assessorato al Turimo, Ufficio Promozione)www.provincia.como.it
UN lAgo...di emozioNila provincia di Como, concentrato di bellezze
Visitare la provincia di Como significa soprattutto aver voglia di scoprire cose insolite, di
approfondire interessi particolari, di guardare il paesaggio e l’ambiente con l’occhio di chi
non si accontenta dei luoghi comuni e delle ovvietà. Il territorio del comasco offre molto in
poco spazio, e soprattutto molte cose, diverse fra loro, che quasi si toccano. Gli itinerari si
intersecano ed offrono di volta in volta spunti differenti a seconda del punto di vista, o anche
solo del mezzo di trasporto. A piedi, in mountain bike, in auto, la provincia di Como offre
itinerari paesaggistici vari e inusuali, strade di alta montagna o percorsi di collina, natura
selvaggia o giardini curatissimi, famosi per le loro fioriture: c’è solo l’imbarazzo della scelta.
In particolare la zona costiera del centro lago è la più ricca di giardini, mentre tutta zona
dell’alto lago offre ambienti selvaggi ed incontaminati, ricchi di fauna.
Il perimetro del lago è tutto un’escursione. Sentieri di diversa difficoltà, in generale ben tenuti
e ben segnalati, disegnano un reticolo di gite, per lo più in luoghi dal panorama mozzafiato.
Si può sconfinare in Svizzera e programmare trekking anche impegnativi appoggiandosi ai
diversi rifugi. Degni di menzione sono la Via dei Monti Lariani, l’Alta Via del Lario, il Sentiero
delle 4 Valli (così chiamato perché attraversa la Val Senagra, la Val Cavargna, la Val Rezzo e
68
Villa Carlotta (Tremezzo)
t r a v e l
la Valsolda). Gli amanti della bici trovano pane per i loro....polpacci, dai facili percorsi brianzoli
alle scalate più impegnative. Al Passo del Ghisallo, ad esempio, si trova il Santuario della
Madonna del Ghisallo, protettrice dei ciclisti. Nell’attiguo Museo del Ciclismo sono esposti
trofei e biciclette, da quelle “d’epoca” dei tempi di Binda e Girardengo, Coppi e Bartali fino
a quelle dei nostri giorni. Una tappa obbligata, ma anche un’occasione per percorrere una
strada panoramica partendo da Erba e arrivando fino a Bellagio. I monti del comasco sono il
regno delle mountain bike, con percorsi segnalati e di diverso impegno. Nella Valle dell’Albano
i rifugi sono spesso raggiungibili in bicicletta da Dongo o Consiglio di Rumo. E numerose sono
le escursioni in mountain bike a partire da Gravedona e Domaso, intorno al Sasso Pelo, nella
Valle di Livo e nella Valle di Gera.
Per i turisti più romantici, esiste la possibilità di visitare il lago ed i suoi paesi con i percorsi
in battello, che offrono una prospettiva unica sulle ville d’epoca con i loro pontili ed i parchi
secolari che scendono fino in riva al lago. Danno un’emozione intensa e un gusto alle
vacanze che ricorda i Grand Tour dei giovani nobili d’altri tempi. I battelli sono il mezzo di
collegamento ideale per raggiungere e visitare i giardini delle ville aperte al pubblico sulle
Ponte Romano (Nesso)
Villa melzi (Bellagio)
70
t r a v e l
due diverse sponde del lago. Le ville del Lario rappresentano l’aspetto più sorprendente ed
affascinante: in primavera non c’è un’altra zona d’Italia che possa offrire un’esplosione di
colori così intensa. I giardini di molte ville si aprono alle visite degli appassionati che vengono
da tutto il mondo. Queste ville attorno al lago rappresentano il primo dei tre motivi, o filoni di
interesse, che rendono il paesaggio di questo pezzo di Italia artisticamente diverso e unico.
Il secondo, più nascosto e colto, è costituito dall’incredibile concentrazione sul territorio di
chiese romaniche, a testimonianza di un medioevo comasco tutt’altro che buio, molte delle
quali sorprendentemente in ottimo stato, che oggi costituiscono un grandissimo laboratorio
di analisi per gli storici dell’arte e che hanno rivelato, in alcuni casi, elementi stilistici autonomi
come la pittura affrescata.
Il terzo, più evocativo e intrigante, è costituito dalle numerose opere di fortificazione di diversa
epoca, con relativi aneddoti e leggende, a memoria di un passato turbolento e avventuroso.
Oggi non si può parlare di sistema organico di fortificazione, perché ciò che ci è rimasto è
una stratificazione di testimonianze che vanno dall’età del ferro (abitato fortificato a Caslé
di Ramponio in Val d’Intelvi) all’età moderna, a testimonianza dell’alto valore strategico della
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Villa la Rotonda (Como)
zona del lago, confluenza di strade da ben quattro valichi alpini: Stelvio, Bernina, Maloja e
Spluga. Numerosi sono i castelli intorno a Como. I castelli di Rezzonico, di Musso, di Corenno
Plinio, di Vezio, di Spurano, di Lecco, le torri di Lenno, di Bellagio, di Crebbio, di Mandello del
Lario, le fortificazioni dell’Isola Comacina e il castello Baradello a Como, ci parlano di secoli
turbolenti e di lotte per la supremazia del territorio. Tre patrimoni artistici che propongono il
territorio comasco per una scoperta artistica non banale, stimolante e facilmente accessibile.
Nella piccola provincia di Como, infine, c’è posto anche per il turista buongustaio, che troverà
almeno tre cucine locali, tre culture alimentari ben caratterizzate e diverse tra loro, e alla fine
scoprirà tre territori molto più distanti in pentola che sulla carta geografica.
La prima, più importante e forse più conosciuta delle tre cucine è quella del lago con il suo
naturale protagonista, il pesce; la seconda è la cucina delle valli, più arcaica e quasi segreta,
incentrata sulla polenta e sul formaggio; la terza è la cucina di pianura che troviamo in
Brianza, e che propone soprattutto piatti di carne robusti ed è un po’ l’espressione nordica
della cucina padana. Un piccolo spazio, quello della provincia comasca, per un sacco, o un
lago, di emozioni.
72
lenno
Βουκέφαλος (Bucefalo)
MICHELA MANNARINI ARTE Info: 392.8835490
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[ L’ELEGANZA DI UN NODO ]
L’alta sartoria italiana, sinonimo di eleganza, gusto e stile inconfondibile, ha in “E.
Marinella”, a Napoli, uno dei massimi interpreti dello stile che ha reso il nostro
paese conosciuto nel mondo. L’intuizione di Eugenio che, nel 1914, decise di aprire
una piccola bottega in Piazza Vittoria sull’elegante Riviera di Chiaia di Napoli, si
è trasformata oggi in un marchio inconfondibile che dal golfo partenopeo si
affaccia sul mondo per vestire i colli delle più importanti personalità della scena
politica internazionale. La vocazione cosmopolita del piccolo atelier era già nota
nel secolo scorso, quando il giovane Eugenio, dopo aver avviato la produzione di
camicie e di cravatte, intraprese i primi viaggi nella capitale londinese per fornirsi
delle pregevoli produzioni sartoriali inglesi che contribuirono a rendere Marinella
uno scrigno prezioso per autentici tesori di raffinatezza e di gusto. La camiceria,
attività principale di Marinella nei primi anni della sua apertura, si avvalse della
Maurizio Marinella
l u x u r y
professionalità di abili artigiani napoletani che Eugenio volle formare a Parigi, dai
maestri del taglio dei tessuti. Nonostante le camicie, dal taglio ormai inconfondibile,
il fiore all’occhiello di Marinella, oggi, sono le cravatte, realizzate con maestria
e sagacia ed uniche nella loro consistenza e pregevolezza. Maurizio Marinella,
cresciuto nell’atmosfera magica del negozio, dove da ragazzino ne “respirava
l’aria” per volere del nonno, ha raccolto l’eredità di un marchio che sempre più, nel
mondo, si è imposto ai massimi livelli per eleganza e raffinatezza. I capi di stato
accorsi a Napoli in occasione del G7 nel 1994 e omaggiati delle ormai celeberrime
cravatte sono stati così affascinati dall’arte sartoriale di Marinella, da essere
diventati i primi testimonial, nel mondo, della bottega partenopea. Le cravatte di
Don Eugenio sono state indossate dai personaggi più importanti del Novecento.
Tra i clienti più famosi, i Marinella possono vantare personalità dello spettacolo
MARINELLAwww.marinellanapoli.it
76
come Fred Astaire, rampolli delle famiglie Kennedy e Rockfeller, oltre a uomini
politici e dell’imprenditoria come Bill Clinton, Francesco Cossiga, Silvio Berlusconi
o Luca Cordero di Montezemolo.
La storica azienda napoletana è oggi presente nelle città più prestigiose della
moda internazionale. Dopo l’apertura a Milano, Parigi, New York e, quattro anni fa,
a Tokyo, nell’ultimo anno un atelier Marinella ha aperto le proprie porte anche a
Lugano, capitale economica della Confederazione Elvetica, e nel Mayfair, famoso
quartiere londinese tempio dello shopping di lusso.
Don Eugenio, capostipite dei Marinella, ha rincorso per tutta la vita l’eleganza
maschile, le camicie inamidate, i cappelli a cilindro, le ghette ed i bastoni. In lui era
innato il senso del buon gusto e del rigore formale.
Tra gli insegnamenti che Don Eugenio ha lasciato ai posteri, c’è un decalogo
l u x u r y
87
che ogni uomo dovrebbe conoscere. Dalle misure delle cravatte, di larghezza
compresa tra i 8,5 e i 9,5 cm nel punto più largo, al nodo che non bisogna
stringere troppo, per evitare l’effetto “impiccato”, i consigli di Marinella sono un
tesoro da custodire gelosamente.
Una cravatta, per essere unica, deve avere la stoffa giusta: seta jaquard per le
regimental, seta più leggera tipo foulard per gli stampati, fantasie per le cravatte
dal tono elegante, lana a righe o fantasie scozzesi per l’abbigliamento invernale
sportivo. Evitare la cravatta chiara e di fantasia di sera e scegliere quella da
indossare in maniera istintiva, attraverso un atto irrazionale che, però, deve
seguire una certa logica che faccia evitare i disegni molto grandi e vistosi, come
tinte troppo smorte o anonime.
Rammentava ai propri clienti, Don Eugenio, che la cravatta deve riconoscersi nell’ab-
78
bigliamento, di colore più scuro della camicia e più intenso di quello della giacca.
Ancora oggi, nella boutique napoletana, Maurizio invita alla prudenza i propri clienti
nella scelta della camicia, un campo minato in cui solo il buongusto può guidare: da
evitare sempre la sovrapposizione di una cravatta dal disegno fitto su una camicia
a quadretti o l’abbinamento “tutto righe” di una cravatta regimental, camicia rigata
e giacca in tessuto operato. Mai il coordinato cravatta e fazzoletto da taschino:
è un’inutile quanto anacronistica affettazione. Evitare sempre di avere un aspetto
d’insieme troppo curato e lezioso e optare per un’eleganza decontractée.
Indossare una cravatta Marinella significa distinguersi nello stile ed entrare in
contatto con una tradizione artigianale centenaria, oltre che condividere i valori di
un marchio che ha fatto dell’eleganza la parola chiave per la realizzazione delle
proprie creazioni.
il meglio dei due mondi
a u t o m o b i l i
La nuova Lancia Thema nasce sulla base della nuova Chrysler 300 e, come la Thema del 1984,
affronta il segmento di mercato più difficile e prestigioso con l’ambizione di offrire una vera alternativa.
Eleganza, comfort e qualità: il marchio interpreta il tema della grande berlina di prestigio
impiegando materiali di pregio, non solo in funzione del loro aspetto estetico ma anche delle
reazioni sensoriali che sanno dare. E non basta. La nuova Thema vanta una qualità costruttiva
di altissimo livello grazie all’impiego delle più moderne tecnologie di produzione industriale.
Lancia Thema è disponibile in tre allestimenti - Gold, Platinum ed Executive - e due motorizzazioni:
il benzina 3.6L V6 da 286 CV, con cambio automatico a 8 rapporti, e il nuovo turbodiesel 3.0L
V6 da 190 CV e 239 CV, dotato di cambio automatico a 5 rapporti.
IL DEsIgn:
Europa ed America si incontrano lungo i confini seducenti
della nuova Thema, grazie ad uno stile inedito che riscopre
le linee di sempre per spingersi ancora più lontano.
Lunga 5.066 mm, alta 1.488 mm, larga 1.902 e con
un passo di 3.052 mm, l’ammiraglia Lancia a trazione
posteriore vanta dimensioni generose e presenta delle
proporzioni classiche sviluppate secondo uno stile dalla
forte personalità.
La forma scolpita del cofano della Lancia Thema si lega
al fascione ed ai parafanghi anteriori, creando un insieme
dalle linee pulite e raffinate.
sul frontale, la griglia fonde in un unico disegno il
logo Lancia, con le barre orizzontali che esprimono
precisione e rigore formale. Le finiture cromate delle
barre ed i contorni del logo forniscono un particolare
contrasto all’interno della cornice, anch’essa cromata.
I classici fari, dal bordo inferiore smerlato, contengono
gli innovativi proiettori dotati di tecnologia a LED di forma
semicircolare, per un’inconfondibile presenza su strada.
Il profilo della nuova Thema è caratterizzato da una linea
di cintura alta che, unitamente alla distribuzione dei tre
volumi e alle forme scolpite, accentua le sue proporzioni
a u t o m o b i l i
classiche ed inconfondibili allo stesso tempo.
Il frontale importante si congiunge con le linee del tetto
per fondersi nel “tre-quarti” del posteriore dove spiccano
le originali fanalerie che ne completano la silhouette.
grazie alla marcata inclinazione del parabrezza, l’effetto
aerodinamico è assicurato mentre la dimensione conte-
nuta dei montanti consente al guidatore di beneficiare di
un’ottima visibilità.
Inconfondibilmente pronunciate, pur essendo quasi im-
percettibili, le linee della spalla rimandano alla forma dei
passaruota anteriori e posteriori.
Il posteriore si presenta con uno spoiler integrato sotto il
quale è incastonato centralmente il logo Lancia e i due
armoniosi fanali a LED, congiunti tra loro da una fascia
cromata che enfatizza la classe della nuova ammiraglia.
Attraversato dai gruppi ottici verticali, il fascione posteriore
della Thema è impreziosito da una modanatura che
collega gli elementi delle luci posteriori.
Infine, gli scarichi ovali doppi si sposano alla perfezione
con il resto della vettura che, grazie ai cerchi in alluminio
da 20 pollici, sembra essere ancora più “schiacciata” a
terra, evidenziando le elevate doti di tenuta di strada.
gLI InTERnI:
La nuova Thema combina gli standard di riferimento
del segmento con l’inconfondibile comfort e classe che
da sempre contraddistinguono le vetture Lancia. Come
dimostra un abitacolo di qualità realizzato con materiali
nobili, caldo ed esclusivo, molto lontano dalle fredde e
razionali superfici di altre vetture del segmento. gli interni
della Thema si distinguono per materiali soft touch,
rivestimenti di pregio con la disponibilità di sedili in pelle
nappa riscaldati, plancia sellata in pelle Poltrona Frau®,
inserti in vero legno su consolle centrale, pannelli, porte e
volante (in pelle bi-colore sull’allestimento Executive).
Inoltre, il quadro strumenti del nuovo modello è trattato
con tecniche cast skin rendendola simile alla pelle mentre
i pannelli delle porte con doppia grana tridimensionale ne
accentuano le qualità estetiche e di flessibilità.
La plancia è impreziosita da cromature discrete e da un
cruscotto dal design innovativo a doppio cluster (elementi
circolari) con illuminazione Sapphire Blue, tonalità che
ritroviamo anche nell’illuminazione a LED dell’abitacolo.
Al fine di assicurare un comfort best-in-class, i sedili sono
stati progettati con una nuova architettura che include
una sospensione a serpentina.
a u t o m o b i l i
Lancia Thema offre di serie Uconnect® Touch, il sistema
infotelematico con lo schermo touch-screen più grande
del segmento (8,4 pollici), dove vengono visualizzate,
in modo chiaro e immediato, tutte le informazioni
necessarie alla guida e al comfort di bordo. Dal sistema
di navigazione touch-screen al climatizzatore bizona,
consente di controllare i sistemi dell’abitacolo ed assicura
una straordinaria esperienza per il guidatore e per i
passeggeri, sempre in totale sicurezza e comfort.
Inoltre, sempre all’insegna della massima sicurezza e
semplicità d’uso, sono disponibili sia i comandi audio
e connettività disposti sulle razze del volante sia un
innovativo dispositivo “vivavoce” ad attivazione vocale.
Infine, a partire dall’allestimento Platinum, Lancia Thema
offre di serie l’esclusivo sistema di navigazione Garmin,
abbinabile a un impianto audio premium dotato di 9
speaker più subwoofer per un totale di 506 Watt di
amplif icazione, a richiesta su allestimento Platinum e di
serie su Exeuctive. sempre su quest’ultimo allestimento
è disponibile, come optional, un impianto audio Harmon
Kardon dotato di 19 speaker più subwoofer, per un totale
di 900 Watt di amplif icazione.
LA TECnICA:
La nuova Lancia Thema propone un’innovativa struttura
ultra rigida nata dall’architettura di Chrysler group e
destinata alle berline di grandi dimensioni con trazione
posteriore.
A trasmettere al guidatore la nuova capacità di tenuta
di strada della nuova Thema è il nuovo sistema EHPs
(Electro Hydrualic Power Steering). A seconda della
modalità di controllo, il sistema EHPs applica uno sforzo di
sterzata variabile in base alle diverse condizioni di guida.
L’EHPs analizza l’angolo di sterzata, la velocità del veicolo,
il regime del motore ed i sistemi di controllo del telaio 13
volte al secondo, per dare una sensazione precisa della
manovrabilità e delle prestazioni della vettura.
Allo stesso modo, l’architettura delle sospensioni, l’ec-
cezionale rigidità strutturale ed il sistema frenante ad alte
prestazioni, assicurano una guida fluida e sicura, merito
a u t o m o b i l i
anche dell’innovativo sistema di sospensioni anteriori
e posteriori multi-link che garantiscono prestazioni da
gran Turismo.
Due le messe a punto delle sospensioni e gli abbinamenti
cerchi/pneumatici disponibili: “Comfort” (di serie su
versioni gold e Platinum con cerchi e pneumatici da 18”)
e “Touring” (di serie su versione Executive con cerchi e
pneumatici da 20” e, a richiesta, sull’allestimento Platinum
se dotata di cerchi e pneumatici da 20”).
Massimizzando l’innovativo design strutturale ultra rigido,
la nuova Lancia Thema presenta una silenziosità a bordo
ai vertici della categoria, grazie all’adozione di numerosi
elementi fonoassorbenti: dai due pannelli sottoscocca
in materiale composito al parabrezza acustico con due
pannelli, dalle vetrature laminate alle porte con triple
guarnizioni.
I MOTORI:
La nuova Thema propone due motorizzazioni a sei cilindri,
tutte con trasmissione automatica e trazione posteriore.
Il motore a benzina Pentastar V6 (Euro 5) di origine
Chrysler Group si avvale delle tecnologie più innovative,
che gli consentono di raggiungere una potenza di 286 CV
a 6.350 giri/min. ed una coppia massima di 340 nm a
4.650 giri/min., con emissioni CO2 di 219 g/km (consumo
ciclo combinato: 9,4 l/100 km). Così equipaggiata la
velocità massima è di 240 km/h con un’accelerazione
0-100 km/h in 7,7 secondi. Questo risultato è ottenibile an-
che grazie al nuovo cambio automatico a 8 rapporti ZF.
Il diesel 3.0 V6 (costruito da VM Motori e sviluppato con
Fiat Powertrain) è dotato di un cambio automatico a 5
rapporti ed eroga 190 CV o 239 CV a 4.000 giri/min.
La versione 239 CV ha una coppia massima di 550 nm
ad un regime di 1.800-2.800 giri/min, mentre la versione
190 CV ha una coppia massima di 440 nm ad un regime
di 1.600-2.800 giri/min. Le emissioni di CO2 sono pari
a 185 g/km ed il consumo nel ciclo combinato è di 7,1
l/100km per entrambe. La velocità massima è di 230
km/h con un’accelerazione 0-100 km/h in 7,8 secondi
(239 CV) oppure di 220 km/h e 9,7 secondi (190 CV).
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Pagani HUAYRA
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Pagani HUAYRA
Antiche leggende degli Aymara narrano di Huayra Tata, dio del vento, che comanda le brezze, i venti e gli uragani che investono le montagne, i dirupi e i pendii della cordigliera Andina.
Si narra che Huayra Tata viva sulle alture e nelle vallate abbandonandole solo per dimostrare la propria forza alla moglie, Pachamama, dea della Madre Terra. Con la sua potenza il dio del vento Huayra Tata può sollevare le acque del lago Titicaca e trasformarle in pioggia che riversa sulla fertile Pachamama. Quando Huayra Tata riposa, le acque ed i fiumi sono tranquilli.
Ma la calma prima della tempesta sta per essere interrotta...
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Il DesIgn: Inspirata all’eternità dell’elemento “Aria”.
Delicato ed etereo eppure capace di erodere
i materiali più resistenti dando loro le forme che
riconosciamo in natura.
elegante, muscolosa, Huayra combina passato
presente e futuro in un’interpretazione senza tempo.
lo stile è stato perfezionato nel corso di cinque anni,
dando ad ogni linea un chiaro inizio ed un’altrettanta
chiara fine. Centinaia di disegni, 8 modelli in scala
e 2 a grandezza naturale che ne hanno man
mano perfezionato le forme e la sostanza mediante
una scrupolosa attenzione per il dettaglio, in una
continua ricerca di proporzione ed eleganza.
I fari bi-xeno, eredità della Zonda R, e le luci diurne a
led sono armoniosamente integrate nella forma
ellittica della bocca frontale. Il paraurti posteriore
integra il diffusore dominato da una cornice ellittica
che circonda e valorizza i quattro terminali di scarico,
simbolo e continuità di un elemento caratteristico
del marchio Pagani.
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lA TeCnICA: l’utilizzo di materiali compositi avanzati
come il carbo-titanio e di tecnologie prima testate
sulla Zonda R, ha permesso di raggiungere i più alti
livelli di rigidità e leggerezza.
I semi-telai in cromo-molibdeno offrono un rapporto
rigidità/peso eccezionale, permettendo alle sospen-
sioni di lavorare al meglio e di incorporare una
struttura avanzata di assorbimento dell’energia per
proteggere gli occupanti in caso di impatto.
Un altro esempio di costante ricerca del conteni-
mento del peso viene dai condotti dell’impianto di
raffreddamento e climatizzazione, integrati nella
struttura della monoscocca.
Il risultato si riassume in un veicolo di 1.350 kg che
fa di Huayra la supercar più leggera del segmento.
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Il MOTORe: Mercedes-AMg fornisce il cuore di Huayra.
Il motore biturbo 12 cilindri a V di 60° con 5980 cm³
di cilindrata è stato sviluppato per soddisfare non solo
l’applicazione tecnica e gli aspetti qualitativi più rigidi, ma
anche per conferire all’auto il suo doppio carattere.
la calma e la perfetta armonia che si percepiscono alla
guida di una delle gT più raffinate di oggi, sono interrotte
nel momento in cui il pilota chiama Huayra a scatenare gli
oltre 700 CV ed la coppia di oltre 1000 nm.
le turbine sono state progettate per offrire una risposta
immediata alla minima sollecitazione della farfalla, dando
al pilota la possibilità di un completo controllo sulla
potenza, a qualsiasi numero di giri, prevenendo così
indesiderati ritardi nella sua erogazione.
I due radiatori posizionati ai lati della bocca anteriore
garantiscono la miglior efficienza di raffreddamento degli
intercooler posti sopra la testa dei cilindri. Questo circuito
di raffreddamento a bassa temperatura è stato progettato
per funzionare nelle condizioni più avverse della Death
Valley, con temperature ambientali superiori ai 50°C.
Il motore M158 è omologato per le più restrittive normative
ambientali eURO 5 e leV2 e, nonostante il notevole
incremento di potenza rispetto ai motori sviluppati in
passato da Merceds-AMg per Pagani, i consumi di
carburante e quindi le emissioni di CO2 sono stati talmente
abbattuti che Huayra detiene il record tra le sportive a 12
cilindri, con valori vicini a vetture sul mercato di cilindrate
e potenze inferiori.
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Ulitsa Lesnaja a Mosca, via Valdonica a Bologna, Barron Road a Barnwell: Anna
Politkovskaja, Marco Biagi, Fiona e Francesca Pilkington hanno perso la vita in questi
luoghi, in questo primo decennio del XXI secolo, che si apre con l’attacco alle Torri
Gemelle di New York. Non semplici spazi, ma testimoni incancellabili di morti ingiuste
all’insegna dell’intolleranza. Donata Pizzi li ha cercati, e fotografati, insieme a molti
altri, per ricordare la storia che ciascuno di essi porta in sé ma anche per dire che
ancora oggi nessun luogo sfugge dal poter diventare prima o poi scenario di episodi
di discriminazione e sopraffazione.
Da questo viaggio negli spazi della coscienza è nata Intolerance Zero, la mostra
fotografica tenuta alla Triennale di Milano e promossa dalla Triennale stessa, dalla
Robert F. Kennedy Foundation of Europe e dalla Fondazione Doppia Difesa con il
patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ministro per le Pari Opportunità.
Ancora oggi bisogna lottare per difendere ciò che pensavamo di avere definitivamente
acquisito: il diritto a una corretta informazione, la libertà di pensiero, il rispetto di
culture o valori diversi dai nostri, l’integrazione di chi è portatore di handicap o parte
di una minoranza etnica, religiosa o di genere, la tolleranza nel senso più ampio e
completo del termine.
Le fotografie di Donata Pizzi vogliono introdurre e provocare una rif lessione sul tema
dell’intolleranza attraverso i casi di persone morte nel primo decennio del XXI secolo
perché portatrici di un’idea di libertà e giustizia.
Uomini e donne come Hina Saleem, la ragazza pakistana uccisa l’11 agosto 2006
vicino a Brescia, nella casa di famiglia, dal padre e da alcuni parenti per non
aver accettato il marito pakistano scelto dalla famiglia. Come padre Anthony Kaiser,
ucciso a Naivasha, in Kenya, per aver denunciato la corruzione del governo e aver
difeso il diritto agli insediamenti delle tribù keniote più deboli. O come Eudy Simelane,
capitano della nazionale sudafricana di calcio, 25 anni, violentata e uccisa nel 2008
in uno stupro collettivo nella township di Kwa Tema, nel Gauteng, in Sudafrica, dove
era nata e dove viveva apertamente la sua omosessualità.
“Queste persone che muoiono ora, sono vicinissime a me, sono miei coetanei, e tante
sono donne, che vivono e lottano nel mio stesso tempo. Ho pensato di testimoniare il
loro impegno fotografando i luoghi dove sono state assassinate, per ricordarle oltre il
momento cruento della cronaca. Tutti questi luoghi, lontanissimi tra loro, ma vicinissimi
alla vita di ognuno di noi (una qualsiasi strada, un anonimo interno, un grande
magazzino, un paesaggio), vogliono ricordare l’incongruità e la diffusione oggi di una
violenza che ci riporta ai secoli bui. Nella mia convinzione le immagini ci aiutano a non
dimenticare, a rif lettere, per mantenere vivi l’energia e l’impegno di queste persone
generose e libere, che hanno vissuto vite vere”, commenta Donata Pizzi.
Intolerance Zero vuole essere la prima pietra di un progetto più ampio dedicato a
sensibilizzare ed educare rispetto al tema della tolleranza, attraverso dibattiti, eventi,
incontri nelle scuole, l’istituzione di una giornata dedicata, un Intolerance Zero Day, la
divulgazione attraverso il web e i social network. Un continuo work in progress che
si nutrirà della partecipazione dei navigatori in rete, degli studenti, dei giornalisti - di
chiunque vorrà portare una sua testimonianza.
INTOLERANCE ZERO
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1. Padre John Anthony Kaiser: Nakuru-Naivasha Road,
Kenia 24/8/2000, 67 anni, da 36 in Africa, prete della più
grande congregazione missionaria, la St. Joseph Society,
meglio conosciuta come Mill Hill. Era stato soprannominato
Seven Oxen, Rhino, poi The Key o The Voice of the People
per la sua forza e determinazione nella denuncia della cor-
ruzione attorno al presidente Arap Moi e per difesa del
diritto agli insediamenti delle tribù keniote più deboli. Padre
Kaiser è stato trovato all’alba nella sua Toyota, ai lati del-
la strada Naivasha-Nukuru, con accanto una pistola con
il caricatore completamente scaricato. Il caso, dapprima
archiviato come suicidio, è stato riaperto su richiesta dei
giovani magistrati kenyoti che avevano sostenuto Kaiser
nelle sue battaglie. Indagini successive, che hanno coinvol-
to l’ambasciata USA a Nairobi, hanno svelato particolari di
interessi e accordi segreti tra i governi americano e keniota.
2. Alexander Litvinenko: Pine Bar, Millennium Hotel, Grosvenor
Square, Londra 23/11/2006, 44 anni, ex-agente dei servizi
russi, poi dissidente e rifugiato politico a Londra, è morto di
infarto dopo una tremenda agonia durata 3 settimane per gli
effetti di un isotopo radioattivo del polonio 210. Apparente-
mente il veleno fu versato nel suo tè, mentre si trovava con
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altri due ex agenti del KGB. Prima di morire, Litvinenko ha accusato pubbli-
camente il presidente russo Vladimir Putin come responsabile del suo avvele-
namento e come mandante dell’omicidio della giornalista Anna Politkovskaja.
3. Theo Van Gogh: Pista ciclabile, Linnaeusstraat, Amsterdam 2/11/2004, 47
anni, cineasta, ucciso con otto colpi di pistola una mattina mentre in bicicletta si
recava al lavoro. Il suo assassinio viene fatto risalire ad una fatwa pronunciata
nei confronti suoi e di Ayaan Hirsi Ali, olandese di origini somale, per il loro
cortometraggio Submission, nel quale si vedono dei versi di una Sura del Co-
rano, scritti sulla schiena della protagonista. Nel corpo di Van Gogh l’assasino
Mohammed Bouyeri, cittadino marocchino e olandese, piantò due coltelli uno
dei quali tratteneva un documento di cinque pagine con minacce ai governi
occidentali, agli Ebrei e a Hirsi Ali.
4. Marco Biagi: Via Valdonica, Bologna 19/3/2002, 51anni, giuslavorista, ucciso
sotto casa mentre rientrava in bicicletta. A lui è dedicata la riforma del lavoro
varata dal Governo “Berlusconi Bis” poco tempo dopo l’attentato. I risultati di
questa legge sono stati oggetto di forti dibattiti: chi la difende sottolinea l’effetto
positivo sul ricambio dell’occupazione, chi la contesta denuncia l’aumentato
stato di precarietà per i lavoratori. È in realtà una legge complicatissima, di
circa 80 articoli, applicabile solo in piccola parte. Sempre a lui è stata intitolata
la Facoltà di Economia dell’Università di Modena e Reggio Emilia, dove ha in-
segnato negli ultimi anni. Le indagini hanno sottolineato le numerose e impres-
sionanti analogie con la rivendicazione, da parte delle Nuove Brigate Rosse,
del precedente delitto D’Antona.
5. Hrant Dink: Sotto la redazione di AGOS, Halaskargazie Caddesi Sebat,
Osmanbey 802220, Istanbul 19/1/2007, 53 anni, direttore del giornale bilingue
turco-armeno AGOS, Dink era riconosciuto come uno dei grandi sostenito-
ri della riconciliazione tra i due popoli e sostenitore dei diritti umani e delle
minoranze in Turchia. Era contemporaneamente critico sia della negazione
del genocidio armeno da parte dei turchi che della campagna armena per il
riconoscimento internazionale della diaspora: è stato assassinato vicino alla
redazione del suo giornale da un 17enne nazionalista turco.
6. Eudy Simelane: Il campo sportivo di Kwa Thema a Springs nel Gauteng,
Johannesburg 28/4/2008, 25 anni, violentata e uccisa in uno stupro collettivo
nella township dove era nata e dove viveva apertamente la sua omosessualità.
Giocatrice dello Springs Home Sweepers F.C. e capitano della nazionale su-
dafricana, era anche un’attivista per i diritti LGBT. È stata la vittima più famosa
di un’ondata crescente di violenze antiomosessuali. Almeno venti donne sono
state uccise negli ultimi 5 anni nelle townships attorno a Johannesburg, vittime
di un fenomeno definito come stupro correttivo: lo stupro di una lesbica da par-
te di un uomo, sia per punirla che per correggere il suo orientamento sessuale.
7. Pym Fortuyn: Un parcheggio in costruzione, Media Park, Hilversum, Paesi
Bassi 6/5/2002, Politico, sociologo, saggista, aveva fondato una sua lista. Aper-
tamente omosessuale, era stato al centro di infinite polemiche per le sue idee
radicali sull’immigrazione e l’Islam. È stato assassinato durante la campagna per
le elezioni politiche del 2002. Il suo assassino al processo ha dichiarato di aver
ucciso Fortuyn “per aver sfruttato i musulmani come capri espiatori” e “per aver
cercato, attraverso le parti deboli della società, di raggiungere il potere politico”.
8. Fiona e Francesca Pilkington: Vicino alla A27 Earl Shilton Barron Road,
Barnwell, Inghilterra 19/9/2009, Fiona Pilkington, 38 anni, di Barnwell, sobborgo
di Manchester. Assediata per 11 anni dagli insulti e le offese dei suoi vicini di
casa, e ignorata da tutti quelli a cui aveva rivolto richiesta di aiuto e assistenza,
decide il 24 ottobre 2007 di ribellarsi e con la figlia disabile Francesca, si dà
fuoco in una strada di campagna poco lontano dall’autostrada A47.
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MY LIFESTYLE N. 11Fall-Winter 2011
Credits immagine di copertina: © Pagani Automobili S.p.A.
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Autorizzazione del Tribunale di Lecce:n. 1003 del 24/10/2008
È vietata la riproduzione parziale ototale di articoli e immagini senza la preventiva
autorizzazione scritta da parte dell’editore
Grazie ad una sinergia con la Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus con la quale si èinstaurato un solido rapporto di collaborazione a seguito del terremoto di Haiti del 2010, i proventi dellavendita del calendario istituzionale 2012 della Marina Militare saranno devoluti a questa Fondazione, persupportare il programma “Scuole di strada” a favore dei bambini di Haiti.
Il calendario della Marina Militare sarà in vendita nelle edicole dal 19 novembre e potrà essereacquistato con un’offerta minima di € 2,00
La Marina Militare per i bambini di Haiti.
MarIna MIlITare
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