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6 OTTAVIO CHIARADIA Porti e aeroporti: la regione si fa “mediterranea” Escono dalla fase di studio alcune delle principali infrastrutture previste per “aprire” la Regione ai circuiti di sviluppo nazionale ed europeo.

Mondo Basilicata n.3

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Rivista di storia e storie dell'emigrazione

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Porti e aeroporti: la regione si fa “mediterranea”Escono dalla fase di studio alcune delle principali infrastrutture previste per “aprire” la Regione ai circuiti di sviluppo nazionale ed europeo.

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A REGION WHICH HAS ALWAYS TRIED

TO EXIT FROM ISOLATION AND TO BECOME

A PROTAGONIST OF THE DEVELOPMENT

OF MEZZOGIORNO COULD NOT NEGLECT,

WITHIN THE 2000-2006 COMMUNITY

SUPPORT ACTION PLAN, THE ADJUSTMENT

AND MODERNIZATION OF REGIONAL

INFRASTRUCTURES.

IN FACT, THE REGIONAL ADMINISTRATION,

WITH THE APPROVAL OF DAPEF, THE

FINANCIAL AND ECONOMIC PLANNING

DOCUMENT, HAS IDENTIFIED THE

DEVELOPMENT OBJECTIVES WHICH CAN

BE ACHIEVED THROUGH THE QUALITY

AND QUANTITY ADJUSTMENT OF

TRANSPORT INFRASTRUCTURES.

THE FORESEEN ACTIONS CONCERN THE BIG

CONNECTION LINKS WITHIN AND OUTSIDE

THE REGION. TWO LANDING STAGES

ON THE IONIAN SEA, ONE ON THE MOUTH

OF THE RIVER AGRI AND THE OTHER

ON THE MOUTH OF THE RIVER BASENTO,

AND TWO AIRPORTS, THE FORMER

IN THE CAPITAL TOWN AND THE

LATTER IN PISTICCI, WILL ENABLE THE

“SYSTEM BASILICATA” TO OVERCOME

ITS PERIPHERAL POSITION AS REGARDS

NATIONAL AND INTERNATIONAL

RELATIONSHIPS.

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È di poche settimane fa il sì della Regione Basilicata (con la sola astensione dell’assessore Dino Collazzo) sulla compa-tibilità ambientale del porto sul Basento, che sblocca la via dei lavori. Mancava, infatti, l’ok istituzionale, arrivato però vincolato al rispetto delle misure poste a tutela dell’area.

La pugliese Nettis Resort srl che lo realizzerà, dovrà infatti attenersi alle indicazioni dettate dal Comitato tecnico regio-nale ambientale (Ctra). L’infrastruttura sarà costruita in località Macchia Nuova, nel comune di Pisticci.

L’idea di chiamarlo “porto degli Argonauti” è del semiolo-go Omar Calabrese che ha preso a prestito il nome da una leggenda dell’antica Grecia. Parla di Giasone e i suoi eroi, gli Argonauti appunto, navigatori alla ricerca del vello d’oro sulle acque del mar Ionio.

Il porto, pensato per 450 barche, fa parte di un più am-pio progetto di case e ville già realizzate. Come pure l’hotel a

quattro stelle e il villaggio turistico. Non mancano, naturalmen-te, negozi e centri di servizio per la nautica da diporto con an-nesso yacht club.

Insomma una megastruttura che fa del suo porto un salva-gente per l’occupazione in Basilicata: “Ogni quattro barche un posto di lavoro”, assicura con orgoglio la società. Il canale d’ac-cesso dal mare, lievemente curvilineo, è lungo 450 metri e lar-go 40, con una profondità di tre metri e mezzo. A ovest del ca-nale, poi, si trova un arco di spiaggia che appiattisce le onde e accoglie i natanti minori, come pedalò, gommoni e mosconi.

Le barche ormeggiate nel porto non devono superare i 18 metri di lunghezza. A vela o a motore, le imbarcazioni ospitan-ti sono quindi quelle di medie dimensioni. Una volta attracca-te, possono essere messe a punto dagli addetti ai ricambi. Non manca il rifornimento carburanti e, vicino alle banchine, c’è an-che una torre di controllo”. ROSSANA PAGLIAROLI

E gli ambientalisti si mettono di traverso Gli ambientalisti lucani sul piede di guerra. Il via libera della Giunta regionale sul progetto del porto turistico Argonauti è stato accolto con totale contrarietà. Alla base del dissenso la convinzione che la megaopera si tradurrà in un forte attacco all’habitat costiero. Porti inutili, taglia corto Gianfranco De Leo, componente del Direttivo Nazionale di Legambien-

te, anche per la stessa ragione economica che dovrebbero giustificarli. “Per il turismo della costa ionica – dichiara – non servono porti stanziali, perché non è la dimensione del porto che assicura la navigabilità di un tratto di costa. Il rischio è di fare infrastrutture che rimarranno vuote per 10-11 mesi all’anno. Il turismo - aggiunge De Leo - deve tradursi in una ‘dimensio-ne’ che tenga nel giusto conto l’agricoltura ecocompatibile e lo sviluppo rurale, la depurazione e la gestione integrata delle acque, il verde pubblico, l’energia, i rifiuti, la bioedilizia. Un approccio integrato, dunque, per realizzare un turismo competitivo fondato

Porto degli Argonauti: cantieri aperti

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Sin dal 1997, il porto “Akiris” era stato pensato sul lato de-stro della foce Agris, in località Bufalòria, tra i comuni di Poli-coro e Scanzano.

Nel 2001, la proposta ha ottenuto una conferma con il via libero della Valutazione d’impatto ambientale. Chicca di un più ampio progetto di centro turistico ecologico integrato, Akiris porta la firma della lucana Marinagri spa. La sua posizione na-sce dai suggerimenti di Aquater spa, la società che ha spulcia-to per anni il litorale ionico. Con un unico obiettivo: far sposa-re ambiente e sviluppo, storia e progresso.

Ponte naturale per gli itinerari del Mediterraneo sudorien-tale, il porto, con tutto il progetto alle spalle, intende promuo-vere un turismo mare-monti, supportato dalla vicinanza con il Parco nazionale del Pollino. Le pinete che lo circondano fan-

no da sfondo ad acque abbastanza tranquille, ideali alla naviga-zione e alla sosta di turisti, bagnanti e lupi di mare. Akiris può ospitare fino a 225 barche. Altri attracchi sono destinati ai tu-risti dell’hotel o dei residence del villaggio che comprende, fra l’altro, un yacht club, una chiesa, un disco bar e negozi vari. Il porto dispone anche di un cantiere navale. Le imbarcazioni non devono esser più lunghe di 13,5 metri e avere un’immer-sione massima di tre. Di fronte al canale d’ingresso, il distributo-re carburanti oltre alla capitaneria di porto e ai punti ristoro.

All’interno dell’avamporto, invece, una piccola spiaggia ar-tificiale smorza “l’energia che penetra dall’imboccatura portua-le, causando il frangimento delle onde”. Tutto il centro turisti-co, infine, è progettato per essere accessibile alle persone di-versamente abili. (R. P.)

sulla qualità ambientale e paesaggistica, collegata alla qualità della fruizione”. Gianni Palumbo, responsabile nazionale dell’os-servatorio sulle biodiversità della LIPU, lamenta il mancato coinvolgimento delle popolazioni del luogo sulla questione.“Le modifiche ad un piano che interessa un’area SIC (sito d’interesse comunitario) – dichiara - andrebbero apportate dopo opportuna e prescritta Valutazione d ’Incidenza. Così non è stato ed è per questo che abbiamo fatto ricorso alla Comunità Europea che deciderà sulla richiesta di aprire una procedura di infrazione. Riteniamo che il problema della

trasformazione dell’habitat costiero attiene anche a considerazioni di carattere sociale ed economico oltre che ambientale. L’aver modificato con rapidità un Piano Paesistico di Area Vasta come quello del Metapontino senza un percorso condiviso dal basso con le popolazioni, le associazioni di categoria, le associazioni culturali, le associazioni ambientaliste e gli enti locali – conclude Palum-bo - genera un cortocircuito pericoloso per l’avvenire di questa porzione di Basilicata che viene di fatto esautorata dalla possibilità di autodeterminare il proprio sviluppo nel rispetto del territorio e della natura”.

Marinagri… gonfia le vele

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Il porto sullo Jonio, una lunga corsa ad ostacoliFra polemiche e resistenze burocratiche il lungo cammino di un progetto ambizioso

È dal 1987 che la Regione Basilicata ci pensa: un porticciolo tutto lucano sul mar Ionio è come una finestra aperta sul Me-diterraneo. L’idea è così allettante che si mette in moto la mac-china burocratica. Ma la questione è complessa. In gioco trop-pi interessi contrastanti e molte le problematiche da risolvere, soprattutto riguardo al rispetto del territorio.

Negli anni Novanta, la Regione avvia una serie di studi di compatibilità e analizza tutti i movimenti di terra e acqua che agitano l’antica Magna Grecia. Nessuna foce è esclusa: goccia a goccia, i fiumi Sinni, Agri, Terzo Cavone e Basento riempiono le pagine dei progetti. Nel frattempo, vara la legge sui Piani pae-sistici d’area vasta e invita i comuni del Metapontino a valutare la possibilità di localizzare un porto sul proprio territorio, pre-via redazione di Piano particolareggiato esecutivo d’ambito.

Rispondono all’appello i comuni di Policoro, Scanzano, Pi-sticci, Bernalda e Nova Siri. Quest’ultimo propone anche la foce “Canale Toccacielo” che ricade sul proprio territorio. In-somma, il porto sullo Ionio si deve fare: “Opera imprescindibile infrastrutturale”, per la Regione Basilicata che, all’attivo, ha solo un porticciolo, quello di Maratea, sul mar Tirreno.

Passano gli anni e arrivano i primi risultati degli studi. L’Aquater spa, la società che compie le analisi, porta sul tavolo di via Anzio i pro e i contro di quattro progetti: un porto per ogni fiume che sfocia nello Ionio.

La prima proposta di infrastruttura risale al 1998, la Regio-ne accoglie con una delibera la proposta di avviare nell’ambito della contrattazione programmata, uno sviluppo del settore tu-ristico in Basilicata, puntando sulla nautica da diporto. L’idea, è il caso di dirlo, va in porto: gli studi di fattibilità sono passati al se-taccio dal dipartimento regionale Ambiente e Territorio e dal gruppo di coordinamento nominato ad hoc. Il gran tesoro da salvaguardare è l’ambiente, nella sua complessa accezione.

Le aree coinvolte rientrano poi nei siti d’interesse comuni-tario (Sic) e hanno bisogno della preventiva valutazione d’inci-denza e della Via (Valutazione d’impatto ambientale). I contrari al progetto ne faranno un punto di forza per bloccare ogni ini-ziativa in merito. Nel 2000 la Regione individua alla foce di cia-scun fiume la possibilità di localizzare infrastrutture portuali.

Nel frattempo, la Regione attende il Piano d’ambito re-datto dai Comuni di Pisticci e Bernalda per la previsione di un

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porto in quell’area. Si arriva al 2003. La giunta regionale adot-ta una variante al Piano territoriale paesistico del Metapontino per la localizzazione di porti turistici sul litorale ionico. Il docu-mento è approvato all’unanimità, con la sola astensione dell’as-sessore di Rifondazione comunista, Dino Collazzo.

In sede di osservazione, nei trenta giorni successivi alla pubblicazione, l’amministrazione bernaldese risponde che “non è pregiudizialmente contraria “a un porto nel comune di Pistic-ci”, ma “avversa” a qualsiasi opera che “possa aggravare” l’ero-sione costiera a Metaponto. Per prima cosa, devono essere va-lutati a priori gli effetti, poi assicurate le “opportune garanzie” per la riaccumulazione, naturale o artificiale, della sabbia negli arenili, che si rende necessaria a fronte delle opere stabili por-tuali. L’amministrazione di Bernalda chiede che il porto venga collegato alla cittadina con una via d’accesso alla statale 106 e con un ponte sul fiume Basento.

Contrari a tutto il progetto, invece, le associazioni locali de-gli ambientalisti che rivendicano “un equilibrio delicato e un ha-bitat caratteristico”, messi a rischio dalle intrusioni saline che danneggiano la pineta esistente.

In via Anzio, le osservazioni sono esaminate e valutate ai fini delle scelte conseguenti. L’idea di avere altri due porti in Basilicata va avanti. Le carte sono in regola e tutti i nodi sono stati sciolti. La variante adottata non cambia di una virgola agli impegni assunti. Serve soltanto a superare la redazione del Pia-no d’ambito, mai giunta a palazzo. Per quanto riguarda l’area del fiume Basento sottoposta a tutela paesaggistica, la Regione fa sapere che si tratta di “quell’ambiente palustre in riva sinistra, a circa un chilometro dalla foce”, ben lontano dalla zona interes-sata dall’infrastruttura portuale che, infatti, si troverebbe a de-stra della foce. La variante ha ottenuto il via libera dal Consiglio regionale che ha approvato anche un emendamento presen-tato dall’esponente dei Verdi, Francesco Mollica, con il quale la Regione chiede alle società che realizzeranno i porti di stipula-re una polizza fideiussoria, “a garanzia dei ripristini dello stato dei luoghi”, prima del’inizio dei lavori.

Successivamente, il progetto del porto sul Basento ha ot-tenuto anche l’ok della Regione per la compatibilità ambienta-le e la valutazione d’incidenza, sulla quale gli ambientalisti con-tinuano a dare battaglia. ROSSANA PAGLIAROLI

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Bubbico: le pistenon sono incompatibili

L’area individuata per la realizzazione dell’aeroporto lucano conta sul più ampio bacino d’utenza. A rivelarlo gli studi di fattibilità. I documentI sono alla base della decisione di programmazione e finanziamento dello scalo aeroportuale sul suolo potentino. Un investimento che, al netto, costerà 35 milioni e 550 mila euro. “Da questa analisi economica - hanno fatto sapere

dal Comune di Potenza - sono emerse le caratteristiche di centralità dell’area in relazione alle diverse modalità di trasporto. L’attuazione dell’autostrada Lauria – Foggia e la complementarità con le altre infrastrutture meridionali significano, per l’aeroporto, un gran numero di utenti”. Tuttavia non mancano le contestazioni: “Una struttura aeroportuale esiste già a Pisticci - ha fatto notare il presidente del Consorzio Asi di Matera, Angelo Minieri – e non servirebbero più di 10 milioni di euro per completarla”. Le due aerostazioni, replica il Presidente della Regione Filippo Bubbico, perfettamente compatibili e non

In questi ultimi anni la Basilicata sta compiendo un signifi-cativo sforzo per superare l’antico isolamento e per avviare un concreto processo di integrazione con le grandi aeree del Pae-se e dell’Europa. In tale ottica assume una particolare rilevan-za strategica la costruzione dell’aeroporto civile della Basilicata da inserire in un “sistema” complessivo dei trasporti da riquali-ficare e razionalizzare. Su questo terreno la Regione sta inter-venendo con impegno e con l’intento, tra l’altro, di integrare le diverse modalità treno/autobus/aereo. Temi che certamente trovano un’adeguata risposta nella elaborazione degli strumen-ti programmatici e negli indirizzi degli organi regionali.

È ormai dagli anni ’70 che si susseguono discussioni e pro-getti sulla opportunità di dotare anche la nostra regione, unica in Italia priva di scalo aeroportuale, di una infrastruttura capace realmente di ridurre i tempi di viaggio, di offrire nuove oppor-tunità di scambio e di sviluppo al nostro sistema economico (si pensi ad esempio al comparto turistico) e di far entrare a pie-no titolo i lucani nella più complessiva rete di rapporti e di scam-bi nazionali ed internazionali. C’è da aggiungere che la presenza di un vero e proprio aeroporto agevolerebbe anche i tantissimi emigranti sparsi in tutto il mondo che intendono alimentare il loro rapporto con la terra natia e con i propri parenti.

La conclusione dello studio commissionato dalla Regione sulla individuazione del sito più idoneo ed il conseguente ap-profondimento compiuto dal Comune di Potenza sugli aspet-ti strettamente gestionali, economici e di fattibilità hanno fat-to superare la dimensione puramente “rivendicativa” e teorica del dibattito istituzionale sull’argomento, passando ad una fase più operativa e realizzativa.

L’elemento di rilievo è certamente da ricercare nella deci-sione della Giunta Regionale di finanziare l’opera, da realizza-re a Potenza, con 35.550.000 euro rivenienti dai fondi previsti dalla deliberazione del CIPE n°17 del 2003. La disponibilità del-

Superata la dimensione “rivendicativa” del dibattito, si punta a consolidare gli aspetti di fattibilità delle due infrastrutture

Aeroporti: Potenza e Pisticci, voli confermatiTHE AIRPORT OF POTENZA SEEMS LIKELY TO BECOME A REALITY. AFTER LONG-DRAWN-OUT FEASIBILITY STUDIES, THE REGIONAL AUTHORITY HAS DECIDED TO FINANCE THE WORK WITH 35,550,000 EURO COMING FROM THE FUNDS FORESEEN BY THE DECISION MADE BY CIPE IN 2003. THE RUNWAY WILL BE BUILT IN THE AREA OF PIANI DEL MATTINO. THEY PLAN TO HAVE DAILY CONNECTIONS TO MILAN-LINATE AND ROME AND MIDWEEK FLIGHTS TO BOLOGNA, BRESCIA, CAGLIARI, CATANIA, TURIN, VENICE AND VERONA. THE ALREADY EXISTING MATTEI RUNWAY WILL BE ENHANCED TO BECOME AN INFRASTRUCTURE FOR TOURISM AND AGRICULTURAL EXPORT.

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concorrenziali, potranno essere realizzate entrambe. “A Metaponto – ha dichiarato il governatore – serve una infrastruttura per il turismo e per l’export agricolo. La Pista Mattei sarà ampliata, anche con fondi regionali, qualora se ne rivelasse la necessità. A Potenza occorre invece uno scalo per la mobilità civile di un’area più vasta, una infrastruttura che fungerà da scalo per le rotte nazionali. La Regione - ha continuato Bubbico - ha scelto di finanziare questo progetto in base alle risultanze di uno studio di fattibi-lità che conferma, tra l’altro, le profonde modificazioni in atto nel mercato del trasporto aereo. La necessità dell’aeroporto

a Potenza - ha affermato il governatore - va letta anche in relazione al progetto dell’autostrada Lauria - Potenza - Melfi - Foggia e a quello della Potenza - Bari, cioè di due infrastrutture che concorreranno certamente a rafforzare il sistema della mobilità. In questo quadro, se la città di Potenza sarà in grado di enfa-tizzare le proprie capacità attrattive, dilatando il proprio bacino d’utenza - ha concluso il Presidente della Regione - le ragioni della scelta dell’aeroporto si rafforzeranno in uno scenario di medio-lungo periodo”.

ROSITA ROSA

le risorse finanziarie e la riconferma di una precisa volontà po-litica tolgono infatti ogni alibi agli scettici ed a quella parte del-l’opinione pubblica che, forse delusa dagli improduttivi tentativi del passato, ritiene ancora che il “decollo” dalla Basilicata debba rimanere un semplice sogno.

Certo i segnali di ottimismo e le scelte compiute in sede locale devono avere i definitivi assensi da parte degli organismi nazionali preposti alla programmazione ed alla gestione del tra-sporto aereo i quali (primo fra tutti l’ENAC) sono chiamati a ve-rificare il rispetto di tutte le condizioni tecniche previste per una infrastruttura che, certamente, richiede elevati standard tecnolo-gici e progettuali. Inoltre, il dibattito di questi giorni tra gli ammi-nistratori pubblici sul destino degli altri siti che si erano candida-ti ad ospitare l’opera potrebbe ingenerare qualche residuo dub-bio o, ancora peggio, potrebbe avviare la classica “guerra tra po-veri” in una regione con appena 630.000 abitanti che manifesta all’esterno la velleità di avere addirittura 3 o 4 aeroporti.

La costruzione e, soprattutto, la gestione di una simile infra-struttura non sono comunque una impresa facile anche alla luce della liberalizzazione e delle ricorrenti crisi del settore. Dun-que campanilismi e divisioni potrebbero ulteriormente ritarda-re o, addirittura, impedire la soluzione dei problemi. Di recente è stato ripreso l’argomento e sembra che si stia facendo strada l’idea di assegnare peculiari destinazioni funzionali all’aeroporto civile della Basilicata a Potenza (collegamento con i principali ae-roporti italiani) , alla “pista Mattei” di Pisticci (supporto delle at-

tività imprenditoriali e turistiche del Metapontino) e all’aviosu-perficie di Grumento Nova (specializzata in attività di protezio-ne civile e di aviazione generale). Per quanto riguarda il capoluo-go, dando per scontato che ormai la scelta è definitiva, lo studio del Comune definisce già le principali caratteristiche dello sca-lo. La pista, da realizzare a Piani del Mattino, dovrebbe avere una lunghezza di 1.800 metri e consentirebbe l’atterraggio, almeno nella prima fase, di aerei per il breve/medio raggio con capien-ze fino a circa 70 posti.

Nei primi anni sono previsti collegamenti giornalieri con Mi-lano Linate e Roma e voli infrasettimanali per Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Torino, Venezia, Verona, ecc. Lo studio di fat-tibilità stima, nella fase di avvio, circa 70.000 passeggeri all’an-no in partenza, con progressivi incrementi negli anni successi-vi sia in termini di rotte, sia per gli utenti serviti. Un’altra parte delle attività dovrebbe interessare i voli charter e le attività ae-ree di privati (aereoclub, società di trasporto private,ecc.) ol-tre che gli esercizi commerciali e di assistenza a terra da ubica-re nella struttura.

Anche se vi sono da registrare dei considerevoli passi in avanti il cammino per raggiungere il risultato finale non sembra del tutto agevole e, forse, richiede ancora tempi non brevi. L’au-gurio è che anche su questa materia la nostra comunità sappia ritrovare la necessaria unità e la giusta determinazione in modo da creare le condizioni per realizzare, questa volta veramente, l’atteso sogno dei lucani. =

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LA PISTA MATTEI A PISTICCI L’AREA DOVE SORGERÀ L’AEREOPORTO DI POTENZA

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Altobello: la Basilicataregione cernieraUn limite allo sviluppo socio-economico della Basilicata

è lo storico deficit infrastrutturale che ha creato un divario tra il Nord e il Sud del Paese.

È il pensiero di Sabino Altobello, esponente della mag-gioranza di centro-sinistra che governa la Regione Basilica-ta. Questa l’analisi della situazione attuale, alla quale si deve porre rimedio raggiungendo gli obiettivi fissati nel Dapef (Documento Annuale di Programmazione Economica e Finan-ziaria) 2000-2006 che puntano a realizzare una dotazione in-frastrutturale capace di rompere l’isolamento della Basilicata.

Tra i punti programmatici del Dapef assume rilievo la rea-lizzazione del cosiddetto “Corridoio adriatico” cioè l’asse via-rio Lauria-Potenza-Melfi-Foggia. C’e’ l’esigenza di com-pletare le grandi direttrici a livello interregionale, per permet-tere di collegare tra loro le realtà territoriali economicamente evolute, allo scopo di esaltarne le integrazioni e le sinergie.

Per il raggiungimento di questa importante finalità è stata posta in essere un’intesa generale quadro tra Ministero dei Trasporti e Regione Basilicata che contiene gli studi di fat-tibilità per la realizzazione dell’asse e prevede un potenziamen-to del “Corridoio jonico”. Intanto, in attesa di ottenere i risul-tati dello studio di fattibilità per la realizzazione dell’aeroporto regionale, si presta molta attenzione alle aviosuperfici presenti sul territorio. “La pista Mattei nella Val Basento può diventare, ri-flette Altobello, un’utile infrastruttura in grado di rispondere all’au-mento di flusso turistico che sta interessando l’area del metaponti-no. Anche la realizzazione di porti può incrementare il flusso turisti-co verso la Basilicata: con l’approvazione del piano territoriale pae-sistico vengono confermate le previsioni di costruzione degli approdi di Pisticci e Policoro”. Con queste realizzazioni, ne è convinta la maggioranza, la Basilicata potrà candidarsi al ruolo di “regione-cerniera” fra le direttrici adriatica e tirrenica e sviluppare stra-tegie di cooperazione con le regioni vicine per superare quel-la condizione di marginalità che per lungo tempo ha rappre-sentato un freno alla realizzazione di uno sviluppo economico stabile e duraturo. CINZIA SPERA

DESTINAZIONI

BOLOGNA

BRESCIA

CAGLIARI

CATANIA

GENOVA

MILANO LINATE

MILANO MALPENSA

OLBIA

PALERMO

PARMA

PISA

ROMA

TORINO

TRAPANI

VENEZIA

VERONA

TOTALE PAX

41,50

68,50

6,50

61,50

54,50

314,50

168,00

6,50

26,00

13,00

28,50

394,50

57,50

28,50

132,50

108,00

78520,00

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624,00

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260,00

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208,00

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156,00

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416,00

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41,0

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60,0

46,0

312,0

165,0

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384,0

46,0

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132,0

108,0

1362,00

2132,0

3563,0

0,0

3120,0

2392,0

16224,0

8580,0

0,0

0,0

0,0

0,0

19968,0

2392,0

0,0

6864,0

5616,0

70824,00

PAX STIMATI IN PARTENZA

7 GG - 1° ANNO

LUN MAR MER GIO VEN SAB DOMTOTALE PAX

IN PARTENZA7 GG

TOTALE PAX IN PARTENZA

1° ANNO

1° ANNO DI ATTIVITÀ

DATI STUDIO DI FATTIBILITÀ GESTIONALE MOVIMENTI E PASSEGGERI SETTIMANALI MEDI

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Di Sanza: tutta politicala scelta di Potenza

Se la maggioranza saluta con piacere l’arrivo dell’ aero-porto a Potenza, l’opposizione non ne è tanto convinta, anzi ha forti dubbi che ve ne sia proprio l’esigenza.

Secondo l’idea di un suo rappresentante, Antonio Di Sanza, da una breve ricostruzione dei fatti si evince che la scel-ta di realizzare l’aeroporto civile a Potenza e non altrove di-pende esclusivamente dalla Giunta regionale e non dal gover-no nazionale.

“L’assegnazione di 35 milioni di euro da destinare alla costruzio-ne di un aeroporto civile nel capoluogo di regione è un’operazione per far piacere agli amministratori di turno. Non c’è necessità di inda-gini conoscitive per comprendere che in Basilicata non vi è un bacino d’utenza tale da giustificare un sistema aeroportuale”.

Al posto della discussione sull’aeroporto regionale, l’oppo-sizione che contesta la scelta del governo lucano vorrebbe apri-re un serio dibattito sulla proposta di realizzazione dell’aviosu-

perficie prevista nell’accordo di programma del metapontino, motivata da esigenze socio-economiche legate al turismo e al-l’agricoltura. Vorrebbe anche fare una riflessione seria sulla pro-posta del Consorzio Asi di Matera di ampliamento della Pi-sta Mattei di Pisticci, in primo luogo per la sua collocazione geografica a ridosso della Basentana e poi per la preesistenza di una pista ad uso commerciale. Invece, l’impressione di Di San-za è che “la Giunta Regionale sia presa da una sorta di ‘indecisio-ne’, visto che ha autorizzato da tempo diversi studi di fattibilità sen-za dare alcuna precisa indicazione sulla propria volontà, dimostran-do in tal modo l’assenza di una programmazione infrastrutturale ed economica del territorio”.

I banchi dell’opposizione sono favorevoli alla realizzazione di nuovi approdi turistici sulla costa Jonica. Sarebbe questa una buona soluzione per rilanciare lo sviluppo socio-economico della Basilicata e per incrementare l’afflusso turistico, cosa posi-tiva questa, purché si presti assoluta attenzione, avverte Di San-za, a coniugare lo sviluppo economico con il “rispetto dell’am-biente, nell’interesse delle popolazioni lucane e per assicurare alla Basilicata un effettivo sviluppo sostenibile”. (C. S.)

DESTINAZIONI

BOLOGNA

BRESCIA

CAGLIARI

CATANIA

GENOVA

MILANO LINATE

MILANO MALPENSA

OLBIA

PALERMO

PARMA

PISA

ROMA

TORINO

TRAPANI

VENEZIA

VERONA

TOTALE PAX

50,00

82,50

7,50

73,50

66,00

378,00

201,50

7,50

31,50

15,50

34,50

474,00

69,00

34,50

159,50

130,00

94380,00

1

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1

2

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728,00

1

1

104,00

1

1

1

156,00

1

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1

156,00

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1

1

1

2

1

1

468,00

1

1

104,00

1

1

1

1

208,00

50,00

82,0

0,0

72,0

66,0

378,0

200,0

0,0

31,0

0,0

34,0

468,0

69,0

34,0

159,0

129,0

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5° ANNO

5° ANNO DI ATTIVITÀ

REALIZZAZIONE: AIR SUPPORT, LANDRUM AND BRAWN - CENTRO STUDI SU SISTEMI DI TRASPORTO, SU INCARICO DEL COMUNE DI POTENZA

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Alcune recenti iniziative sembrano aver aperto anche nel nostro paese la stagione per ricordarci di quando gli “stranie-ri” eravamo noi.

Fra le più importanti si vuole qui ricordare la fitta serie di iniziative promosse dal Ministero per gli Italiani nel Mondo e la pubblicazione di un’opera, “Storia dell’emigrazione italiana” (Partenze, 2001 e Arrivi, 2002, AAVV Donzelli) voluta dal Co-mitato nazionale “Italia nel Mondo” che fa il punto sugli studi del fenomeno e offre molteplici spunti e suggestioni per nuove ricerche. E soprattutto l’apertura di nuovi spazi di conoscenza e rivisitazione del fenomeno con le proposte emerse a Gualdo Tadino nel convegno internazionale sui Musei dell’Emigrazio-ne (7-8 giugno 2002) cui ha fatto seguito, il 29 novembre del-lo scorso anno, l’inaugurazione nella stessa cittadina umbra del primo Museo Regionale dell’Emigrazione.

Insomma: a circa trent’anni dalla fine del ciclo secolare (1876-1976) che ha portato alla formazione di tante Italie fuo-ri dai confini nazionali, l’Italia dei “rimasti” sembra voler ricono-scere a quella dei “partiti” il debito morale per l’oscuro, incal-colabile contributo da essi dato nel farci diventare ciò che sia-mo. Indipendentemente dalla nostra propensione a ricordare e pagare i debiti, il tema - in parte rimosso anche dalla memo-ria di chi ne è ancora stato toccato - ha dimostrato di non es-sere di quelli che si fanno dimenticare e si è riproposto alla no-stra attenzione con forza propria.

A imporre infatti un ri-pensamento della nostra storia mi-gratoria è stato il fatto che il nostro paese è diventato in que-sti ultimi decenni terra promessa per milioni di uomini in fuga da guerre e miserie e che il dibattito pubblico e la riflessio-ne individuale sull’atteggiamento da assumere verso gli stra-nieri si sono intrecciati inevitabilmente a considerazioni sul no-stro passato di emigranti. E questo ci ha obbligato a prendere atto che, finite le lacrime, napoletane o varesotte che fossero, e partiti i bastimenti, di tale passato sapevamo ben poco, ab-biamo voluto sapere veramente ben poco.

Oggi lo sviluppo delle forme di comunicazione nate dal-la rivoluzione informatica, rende possibile restituire alla co-noscenza e alla riflessione di tutti i tanti come e i mille perché che portarono i nostri nonni a lasciare case e affetti per anda-re a cercare fortuna.

E le facce che avevano, i compagni con cui viaggiavano, gli amici e parenti che li aspettavano dall’altra parte dell’Oceano, le topaie che andavano ad abitare, le ferrovie e i palazzi che an-davano a costruire, i risparmi che mandavano. E lo sfruttamen-to e il disprezzo da cui erano circondati nella vecchia e nelle nuove patrie.

Quando gli stranierieravamo noi

CRISTOFORO MAGISTRO

Beyond the national borders many Italies are swarming with life, realities which result from an ancient history imbued with sacrifices, expectations, tragedies and fulfilments. “Italy of “the remained” seems to acknowledge the one of “the left” the moral debt for the dark, inestimable contribution they gave for making us become what we are”. These considerations by Cristoforo Magistro, teacher of Literature at the Centro Territoriale Permanente “Provetti” in Turin, push the need for giving new value and rethinking of what is our past, our experience and our memory, in the light of present events. In fact, the adventures of the migrants who, nowadays, moved by despair and by the hope for a better life, reach our Country, have much in common with the same feelings experienced by Italian migrants more than thirty years ago.

Per una politica della memoria

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Perché un Museo dell’Emigrazione dalla Basilicata1• Perché la Basilicata è stata insieme al Veneto la regio-

ne che fra il 1876 e il 1915 ha dato i maggiori flussi migratori in rapporto alla propria popolazione.

“Un grandissimo movimento di emigrazione si verifica fra i con-tadini e gli artieri per l’America, e se continua farà presto manca-re le braccia ai lavori agricoli”, scriveva nel 1879, a tre anni dall’ini-zio della prime rilevazioni governative, il relatore per la regio-ne di un’inchiesta sulle condizioni di vita dei contadini. Quattro anni dopo il prefetto di Potenza spiega quel che sta avvenendo con motivazioni che non lasciano sperare niente di diverso per gli anni a venire:

“La migrazione all’estero va prendendo serie proporzioni per la condizione miserabile stazionaria della Provincia […]il contadino e l’artigiano è malamente corrisposto nel lavoro che presta e facilmen-te si fa adescare dal maggior compenso che può trovare in lontane regioni colla probabilità di accumulare un capitale in breve lasso di tempo come spesso ad altri si è verificato”.

Alcune cifre della stessa relazione, rendono bene i parame-tri di crescita entro cui si sta sviluppando: nel primo semestre 1881 sono stati rilasciati 1479 passaporti, nei primi sei mesi del-l’anno successivo ne vengono concessi 4091. Nel frattempo - si aggiunge - si è dato “impulso senza tregua alla repressione della emigrazione clandestina” denunziando gli agenti che la favorisco-no e facendo rimpatriare, dopo gli accordi presi con i questori di Napoli e Genova, gli emigranti senza regolari documenti. No-nostante questo 440 giovani della classe 1861 - probabilmente fra i più prestanti sui 5542 iscritti alle liste per il servizio militare che ne vedrà esclusi ben 1658 per insufficienza toracica e bas-sa statura - sono sfuggiti alla leva proprio con l’espatrio clande-stino. Ma non è questa la sede per dar conto della ricca docu-mentazione sul tema.

2 • Perché è importante che la ricostruzione e la riappro-priazione simbolica di una vicenda che, fu storia di tanti ma -come una guerra - riguardò l’intera collettività nazionale, fu agi-ta e vissuta privatamente, spesso in clandestinità e con un sen-timento di vergogna, dai suoi protagonisti, veda attive le piccole patrie (Comuni, Province e Regione) dalle quali più che dal pae-se Italia gli emigranti patirono il distacco.

Si tratterebbe della riabilitazione cui “i giganti ed eroi” (la de-finizione è di Mario Cuomo) della nostra emigrazione aspirano forse più che a ogni altra cosa.

3 • Perché è ormai opinione condivisa che l’emigrazione ita-liana ebbe specificità regionali e sotto il profilo delle cause e del-le modalità di espatrio e nella scelta del paese di accoglienza e delle forme di aggregazione là messe in essere.

Da quanto finora detto si capisce che l’insediamento dei musei nei luoghi dai quali ebbe origine il trasferimento appa-re la scelta più naturale e opportuna, sia pure all’interno di un inquadramento nazionale del fenomeno cui dovrebbe provve-dere l’auspicata costituzione di un network dei musei dell’emi-grazione (cfr. Rete museale sull’emigrazione, in Notiziario NIP - News ITALIA PRESS agenzia stampa - n° 228 - Anno IX, 22 novembre 2002).

È stato detto che se una comunità non ha orgoglio di sé e un’identità che riconosce e mantiene viva, non potrà fare nulla di buono né per sé né per gli altri. Non potrà neanche riformarsi poiché è a partire da ciò che si è stati che è possibile progetta-re realisticamente il futuro.

La mobilitazione per Scanzano ha dimostrato che orgoglio e identità non mancano alla comunità lucana e questo induce a ben sperare anche riguardo alla sua capacità di operare concre-tamente per evitare la cancellazione o l’intossicazione della pro-pria memoria storica. =

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La visita della delegazione lucana in Brasile e Argentina

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NELLA FOTO: UNA PANORAMICA DELLE FAVELAS SULLE COLLINE INTORNO RIO DE JANEIRO

They sleep on the ground, on the pavement, without even a piece of cardboard to lie on. They are all aged, even children, and you can find them in the suburbs of the metropolises, and in their centres as well. At night their place is frequented by people interested in different things. However, in front of this evident poverty, very modern skyscrapers stand out. You run into people who don’t even know what they “have got” and you go into neighbourhoods which are in no way inferior to European capitals.Brasil is the cradle of contradiction and is not ashamed to show it; it feeds on it and gradually tries to round off the corners of this diversity.In this country, which is potentially very rich but little exploited, there are a lot of Lucanians. Many of them are well-off and, anyway, live extremely dignified lives; they work in several fields and, almost always, do no-subaltern jobs. They love to lay down the law in the rhythms of economy and culture. Nevertheless, every Lucanian knows and spreads the principle of solidarity, believing that many little drops put out a fire. A concrete and admirable example is given by Father Aldo Di Girolamo, from the Family of Disciples, at present in charge of the Pastoral staff of Jardin Sao Manoel and by Father Michele Perrone, the person responsible for the “Giacomo and Lucia Perrone” Foundation centre, who carried out concrete actions to donate a smile to the most unlucky people.

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Everyday, Father Vittorio Infantino, a friar of St. Francis, rescues children and ill people from poverty. His deeds speak for him, in an area of Brasil: all deeds of charity, love for fellow creatures, weak people and those who will never experience a normal life. He has given as a present to the others all his family’s possessions turning them into stones and concrete to build nursing-homes for newborn babies and disabled children, to raise hospitals and churches, to change wild areas into welcoming dwellings open to everyone, to the poor more than to rich people.His philosophy of life has found fruitful support from the two vice presidents of the Regional Council of Basilicata, Maria Antezza and Antonio Corbo, who committed themselves to organizing a summer holiday they offered to a group of guests of the Casa das Meninas.

La rivoluzione scalzadi Padre Vittorio

Marina ha 12 anni. La madre è in galera, il pa-dre ubriacone. Quando era più piccola ha fat-to da “palo” ad uno zio assassino. Stava at-tenta a segnalare l’eventuale arrivo della poli-

zia e assisteva ad una scena agghiacciante. Lo zio costringeva una ragazza a scavare una fossa e ad uccidere un’amica, per poi finire nella stessa arida tomba freddata dalla mano omi-cida dell’uomo.

Un duplice delitto che turbò il Brasile pur abituato a vio-lenze di ogni tipo. Figuriamoci lo smarrimento della picco-la testimone. Come Marina è Urania, Tusiana, Jamaina, Leida, Victoria, Lusia, Helida, Adyana. Storie diverse accomunate da un unico destino. Ci sono vuoti incolmabili in queste bambine. Adolescenti strappate alla prostituzione minorile grazie alla sensibilità e all’insegnamento di un francescano lucano, padre Vittorio Infantino.

Sono ospitate in un centro di accoglienza, dove si respira tutta intera la lucanità dei valori morali, sociali, cristiani. Qui, in questo palazzo quasi fortificato della cittadina di Sao José dos Campos c’è un retroterra di miseria e di violenza, ma un presente di ottimismo e di serenità. Occhioni grandi e lucidi cercano amore. Anelano ad una rivincita. Si aggrappano a chi mostra sensibilità ed affetto.

A Maria Antezza e Antonio Corbo, i vice presidenti del Consiglio Regionale della Basilicata, il direttore del Centro, un tempo chierichetto di Padre Vittorio, spiega la storia di ognu-na delle venticinque bambine della “Casa das Meninas” rapite

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dalla strada con la complicità del Governo. È una lunga, toccan-te galleria di biografie che si ripetono e si intrecciano tra loro. Marina da adulta vorrebbe fare la modella; Heriana la cantante; Sceyla l’attrice. Adesso nel centro di accoglienza fanno le pro-ve generali. Forse qualcuna, se la fortuna vorrà saldare il con-to, emergerà. Salirà sul palcoscenico del successo mediatico, ma non potrà mai dimenticare la platea della misera infanzia infan-gata. Anche se non sarà così, ringrazierà il francescano di Tri-carico. Ringrazierà quello che in Brasile chiamano “frei”, che si-gnifica frate.

La presenza del frei in una larga zona del Brasile si avver-te come l’aria. Di lui parlano le opere. Tutte di carità, di amo-re per il prossimo, per i deboli, per chi non conoscerà mai la normalità. Non ha nulla di suo. È francescano vero. Quello che aveva come bene di famiglia lo ha donato. Lo ha trasformato in pietra e cemento per edificare case di cura per neonati e bambini spastici, per alzare ospedali e chiese, per trasformare zone selvagge in accoglienti residenze aperte a tutti. Più ai po-veri che ai ricchi.

Quando era giovane Padre Vittorio Infantino a Tricarico ha combinato di tutto. Faceva disperare la mamma, grande attivi-

sta politica, il fratello Giuseppe, famoso docente di francese co-munemente conosciuto come il professor Infantino. Faceva di-sperare tutti e lo fa ancora. Solo che ha cambiato registro.

Oggi fa disperare le coscienze e le invita alla generosità, al-l’altruismo, all’amore: “La povertà è dare ciò che hai costruito. Così si è liberi. Questo è il Cristianesimo”.

Questo “lupo” lucano sulle colline brasiliane predica con-cretamente la carità, essendone esempio. Aiuta tutti e da tut-ti vuole aiuto per altri. Paola Gavazzi di Desio e Stefania De Giorgio di Policoro l’hanno conosciuto in Italia e sono state rapite dal fascino della bontà del francescano. Lo hanno volu-to seguire in Brasile per una missione e a Carapava ora assi-stono i bambini spastici. È la materializzazione di quell’amore che tutto trasforma e che in questa minuscola fetta brasiliana ha il sapore lucano: “Ho portato i valori che ho imparato in Ba-silicata per creare un mondo più giusto e più bello, più onesto e più altruista”.

Padre Vittorio ha dedicato la sua vita alla ricerca continua di amore. Ha compiuto opere che sono miracoli, sempre par-tendo da zero. “Nella mia vita non ho mai ricevuto uno stipen-dio” ama ripetere. Forse non sa, che è più ricco di noi. =

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PADRE VITTORIO I VICEPRESIDENTI DEL CONSIGLIO REGIONALE DI BASILICATA CORBO E ANTEZZA IN VISITA ALLA CASA DAS MENINAS

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Le mani d’oro di FrancescoPantalenaFrancesco Pantalena has been successful in Brasil. He is a jeweller with Lucanian origins who competes with Bulgari and Cartier, the great masters of the goldsmith’s craft. The “Corriere” of Sao Paulo wrote of him “deserving son of Basilicata, he is one of the many anonimous fellow-countrymen who contribute with their work, honesty and sagacity in making the name of their Motherland more honoured and respected. The memory of his Tramutola moves him; he bears everything but when Italy plays against Brasil he never knows which team he has to shout for. And goes to bed.

Uno dei più famosi gioiellieri del Brasile è nato a Tramutola. Ed è il protagonista di una storia esemplare

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Compete con Bulgari, Cartier, i grandi, ma si com-muove al ricordo della sua Tramutola, dove in ol-tre mezzo secolo è tornato poche volte. France-sco Pantalena in Brasile ha avuto fortuna, è diven-

tato un gioielliere famoso. Con estro e stravaganza, applica la sua estetica e la sua sapienza tecnica a un mondo in continuo fermento. Dal suo laboratorio escono creazioni sorprendenti. Pietre preziose incastonate in originali geometrie. Veri e pro-pri oggetti di lusso che abbagliano per la preziosità e per il de-sign e che fanno bella mostra nelle vetrine delle maggiori ca-pitali mondiali.

“Lo sforzo continuo ed impegnativo che anima ogni mio progetto è quello di far passare i miei gioielli non come og-getti di consumo, ma come creazioni capaci di sedurre e con-quistare”.

Il ricordo della sua Tramutola lo commuove. Gli man-ca. Non bastano le foto ingrandite del lavatoio, dei vicoli, del-la stretta e suggestiva strada principale. Le ha messe lì, alle pa-reti di uno studio che non brilla per eleganza e tecnologia. Lo aiutano nel ricordo e gli rinnovano l’orgoglio dell’appartenen-za ad un Italia bella e mai dimenticata. Pantalena è un omone quasi ottuagenario.

Gli anni non li dimostra. È ancora possente, come forte è il suo senso dell’avere e dell’essere insieme. Accanto alla spar-tana scrivania, c’è un’antica cassaforte, chissà quanti gioielli ha custodito; chissà di quanti sogni è testimone muta! Il gioielliere lucano-brasiliano è un vulcano.

Racconta la sua vita e dopo ore e ore di fluido italiano è ancora ai suoi 16 anni: “Mio padre era un benestante. Com-merciava legno per la ferrovia. Gli andò male una commessa e perse tutto. A Benevento. Prese la famiglia e ci portò qui, a San Paolo, in Brasile. Era il 1939. A 14 anni cominciai a frequentare la bottega di un maestro di Viggiano. Un anno di lavoro senza ricevere nulla in denaro, ma molto in arte. L’anno dopo porta-vo a casa 750 reals. Una cifra sufficiente per tutta la mia fami-glia. Decisi allora di mettermi in proprio. Fittai un locale ma per 15 giorni consecutivi non entrò nessuno. Ero disperato. A casa aspettavano quei 750 reals. Un giorno andai a vedere le vetri-ne di Luis Pastore e non ebbi il coraggio di chiedere lavoro. Si affacciò un commesso e mi riconobbe. Volle presentarmi al pa-drone che chiese se sapevo fare gli anelli. Gli risposi che quelli che aveva nella sua vetrina li avevo fatti tutti io”.

Cominciò così l’ascesa di Pantalena. Giorno e notte a lavo-rare per far uscire gioielli di grande valore, di ottima fattura. Li vendeva a prezzi competitivi, in modo da assicurarsi commes-se continue. Aveva forte il desiderio di riscattare la sua fami-

glia, di ottenere una rivincita alle delusioni sopportate dal pa-dre (a 16 anni Francesco Pantalena riesce a pagare quattro de-biti che il padre aveva con i parenti). E ci è riuscito, anche se di amarezze e dolori ne ha patiti tanti, scontrandosi a muso duro con la sfortuna e con un destino ingeneroso verso i suoi figli.Il gioielliere di Tramutola ha allargato i suoi campi di interes-se. Non si è limitato alla lavorazione al commercio di pietre preziose, zaffiri, smeraldi, coralli. Ha acquistato grandi fazende nel territorio del presidente Prudente, nello Stato di San Pao-lo, nel Mato Grosso do Norte, dove, addirittura, il suo nome compare sulle mappe insieme a quelli di altre piccole città. Di lui il Corriere di San Paolo scriveva: “. .. degno figlio della Basili-cata è uno dei tanti anonimi connazionali che contribuiscono con il loro lavoro, onestà e sagacia a rendere più rispettato e onora-to il nome di Patria”.

In Basilicata è tornato poche volte, insieme con la mo-glie, venosina di origine. Ma la sua casa in Brasile è stata ed è un ‘Consolato’ per molti italiani.

Di due cose Pantalena non ama parlare: delle opere di beneficenza che ha fatto e di calcio: “Quando gioca il Brasile con l’Italia preferisco andare a dormire”. =

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La FondazionePerrone

DOMENICO TORIELLO

Il Brasile. Tornano subito alla mente le “immagini” tra-smesse da Gianni Minà con “Un Continente desapa-recido”. Minà si fa portavoce del pensiero di tanti per-sonaggi illustri che raccontano di una terra ricca e po-

vera allo stesso tempo, un mondo inquietante che pure ha visto grandi moti e grandi speranze di democrazia. Una terra da visitare per coglierne gli umori, l’acre odore del fumo dei bidoni accanto alle baracche, l’aria pura dei villaggi andini.

Un luogo dove si respira il culto indescrivibile dell’Amazzo-nia e le tante sfaccettature e incongruità, “Io ho un sogno: che tutti, ma proprio tutti, in un futuro prossimo, possano vincere la propria fame e possano mangiare, lavorare e amare”, questo il sogno del grande scrittore e giornalista Jorge Amado. Qualcuno, partito dalla nostra Lucania, ha cercato di far sì che questo so-gno, almeno per un pezzo, almeno in parte, si concretizzasse.

A partire dal mese di marzo dello scorso anno infatti, ha cominciato a funzionare, nel Municipio di Joabatao, regione metropolitana di Recife, la fondazione “Giacomo e Lucia Per-rone”, dedicata all’assistenza di bambini poveri e disabili o “con abilità diverse”, come li ama definire il prete e professore italia-no ideatore e presidente onorario della fondazione, Don Mi-chele Perrone.

I nomi di Giacomo e Lucia Perrone costituiscono ricordo indelebile della riconoscenza di Don Michele nei confronti del padre Giacomo che per 25 anni, fino alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, ha lavorato in Brasile, A Rio de Janeiro, condu-cendo una vita ricca di onestà, umiltà e caratterizzata da una integerrima dirittura morale e civile.

Giacomo Perrone era nato nel 1897 a Satriano di Lucania dove è morto nel 1981. Satriano di Lucania ha dato anche i na-tali a Lucia Laurino nel 1899 e ne ha visto la dipartita nel 1972. Don Michele Perrone dopo la sua prima esperienza pastora-le a Sant’Angelo Le Fratte, piccolo centro in provincia di Po-tenza, sul finire degli anni ’60, si trasferisce a Campagna e poi a Eboli. In Campania svolge anche l’attività di docente, oltre che

IGrazie alla donazione di Don Michele Perrone, nasce a Recife un centro per le cure riabilitative gratuite

“Giacomo and Lucia Perrone” is a centre which gives assistence to poor and disabled children, or children “with different abilities” as Father Michele Perrone likes to define them; this Lucanian priest and teacher created the Foundation and is its honorary president. New methods and technologies are used there in order to recover the disabled children’s handicaps thus enabling them to re-enter society.

DON MICHELE PERRONE E LA SUA EQUIPE

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di religione, di filosofia. La vera svolta della sua vita nel novem-bre 2001, a Recife, nel Nord Est del Brasile, allorché ha modo di vedere con i propri occhi, di toccare con mano, una realtà socio-economica e sanitaria a dir poco precaria e umiliante per la dignità umana e cristiana. Sono soprattutto i bambini poveri e portatori di handicap a “colpire” il sacerdote lucano, bambini privi di qualsiasi forma di assistenza e cure fisioterapiche.

La decisione: occorre fare qualcosa! Nel gennaio 2002 l’ac-quisto di una grande villa in un quartiere residenziale di Joa-batao dos Guararapes, alle porte di Recife, vicino al mare con giardino, piscina e altri comfort. Don Michele fa l’atto di do-nazione e nasce, in tal modo, la fondazione “Giacomo e Lucia Perrone” per offrire gratuitamente una possibilità di cura e ria-bilitazione ai tanti bambini poveri costretti a vivere con il pro-prio handicap.

“Utilizzeremo nuovi metodi e nuove tecnologie per il re-cupero dei deficit motori e psichici di questi bambini, mirando a ridurre la condizione di disabilità e cercando di reinserirli nel-la società”. Ecco quanto afferma don Michele.

Sono bambini con difficoltà psichiche e motorie che han-no bisogno di costanti cure per sviluppare le loro potenzialità, sono bambini segnalati da parrocchie, centri per l’assistenza a minori in difficoltà, oppure da altri Enti pubblici o privati o, più semplicemente da chi ha deciso di dedicare la propria vita al loro recupero. Lo sforzo, rimembrando ancora Amado, è quel-lo di non dimenticare certe facce, certi dettagli, certe sensazio-ni. Secondo Don Michele esistono 2500 bambini disabili nella sola città di Joabatao, di cui 1400 in tenera età.

Questi i dati ufficiali, ma il sommerso è ben più vasto. La tragedia va ben oltre. Ne i “Capitaes de areja”, sempre Ama-do descrive con cinquant’anni di anticipo una condizione uma-na, quella dei meninos de rua, che è ora diventata una tragedia biblica. Solo in questo modo infatti, si può definire il dramma di undici milioni di bambini abbandonati, molto più della popola-zione di alcuni Paesi europei. Un’infanzia violentata, un’umanità dolente che non conosce casa, famiglia, tenerezza, vaccini, cibo,

indumenti, ma in certi casi, soltanto l’uso di qualunque tipo di arma utile per assicurarsi la sopravvivenza. In questo contesto acquista gran valore l’opera di Don Michele e del centro con le sue unità mediche atte allo scopo prefissato. Oltre alla fisiote-rapia, l’idroterapia, la logopedia e la terapia occupazionale.

Per mantenere la fondazione è sorto nel mese di maggio dello scorso anno, a Eboli, l’ONG Centro Assistenza Bambi-ni Brasiliani. L’ONG di Eboli si interessa di donazioni e fa affi-damento sul prezioso contributo dei volontari. Presidente e vi-cepresidente sono rispettivamente Franco Poeta e Vincenzo Rotondo che hanno seguito personalmente l’andamento dei lavori nel centro brasiliano. A Recife, l’Ente può contare su cir-ca quindici volontari, tutti liberi professionisti, tra medici, psico-logi, professori e avvocati, mentre in Basilicata è operativa, dal Febbraio 2004, la “C.A.B.B.”con sede legale a Potenza e il cui presidente è Antonio Nanni.

Molte le finalità dell’associazione: realizzare iniziative di in-formazione sull’operato della fondazione, raccogliere fondi da inviare alla stessa, progettare momenti di formazione per i vo-lontari con un interscambio costante tra volontari italiani e bra-siliani.

L’Associazione si propone, altresì, come punto di riferi-mento della comunità italiana residente in Brasile e attiverà, all’occorrenza, specifici progetti di aiuto e assistenza a lucani e figli di lucani che dovessero versare in particolari situazioni di disagio socio-economico e sanitario.

L’opera di don Michele si inserisce, quindi, in una real-tà fatta di favelas e grattacieli, a Joabatao, una città costiera di 600 mila abitanti, in un’atmosfera intrisa dell’innocenza da sempre sincera e quasi disarmante di chi osserva la condizio-ne umana, soprattutto, quando è messa a dura prova dalle in-numerevoli contraddizioni e dai tanti problemi. La sua volon-tà si esprime in modo semplice, la sua concretezza è sinoni-mo di amore per il prossimo.

Tutto questo senza nessuna pretesa di voler rappresenta-re l’ombelico del mondo. =

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Buenos Airese la voglia di ripresa

L’impegno e la tenacia dei nostri corregionali per superare la congiuntura del momento

In Buenos Aires you can find Lucanians everywhere. They are more than 80,000, gathered in 32 associations which are a connection, but above all an umbilical cord, with Basilicata. They live extremely well and very few of them suffer from the poverty due to the present slump. They help each other and try to keep the Lucanian values of perseverance, reservedness and industriousness high.

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I lucani a Buenos Aires li trovi dappertutto. Sono oltre 80.000, riuniti in 32 associazioni che fanno da cordone ombelicale con la Basilicata. Vivono bene. Pochi pati-scono la povertà dovuta alla congiuntura del momento.

Si aiutano tra di loro e cercano di mantenere alti i valori lucani della tenacia, della riservatezza, dell’operosità. Per questo non vogliono che i loro figli o i loro nipoti debbano rientrare in Ba-silicata in questo periodo di grande emergenza. Devono lottare rimanendo in Argentina, anche per sottrarli al-l’amaro destino legato alla vita dell’emigrante. Devono appren-dere meglio la lingua italiana, conoscere la storia della regione, conservare le tradizioni e i valori dei lucani, stringere forte il le-game e le relazioni con la terra di origine. Devono essere po-sti nella condizione di accedere a master, borse di studio, pro-getti di formazione in tempi rapidi, con norme chiare, con mo-dulistica semplice. Sempre vivendo a Buenos Aires, metropo-li dalle mille esigenze reali ed elementari e dalle mille risorse mai del tutto utilizzate.

Nella bella e suggestiva capitale argentina il bisogno è come l’aria. Lo avverti ovunque. Le criticità sono evidenti in ogni strada, in ogni piazza, lungo tutto il Rio de La Plata, il cui colore dell’acqua fa subito capire come anche il futuro di que-sto popolo non sia tra i più chiari. Lo scarso potere d’acqui-sto di una moneta che si muove come un gambero ha mes-so in ginocchio un po’ tutti. E i lucani che, con la loro vita dif-ficile, piena di rinunce, di privazioni e di grande rimpianto per aver lasciato i paesi di origine, avevano contribuito, e non poco, alla stagione dei grandi progressi, delle opere imponenti e del-lo sviluppo in molti settori, oggi sono i primi a pagare gli effet-ti della congiuntura.

In un lampo si sono visti distruggere anni di faticoso e mas-sacrante lavoro, durante i quali non un lucano si è mai fatto no-

I tare per comportamento irrispettoso nei confronti degli ar-gentini e delle istituzioni, malgrado i continui mutamenti sociali.Per questi lucani la Regione Basilicata ha varato una legge di sostegno e ogni anno mette a disposizione una somma di de-naro.

“Un semplice segnale di attenzione - spiegano i due vi-cepresidenti del Consiglio, Maria Antezza e Antonio Cor-bo - un piccolo gesto di solidarietà per i nostri corre-gionali che vivono un momento difficile. Si sta cercan-do anche di riservare quote di intervento agli emigra-ti che fanno ritorno in Basilicata, in modo da ricompen-sarli per quanto hanno fatto per la regione di origine”. Il bisogno, ovviamente, supera di gran lunga la disponibilità dei fondi che la Basilicata può indirizzare nei confronti dei luca-ni-argentini.

Nelle loro aspettative anche un sogno che potreb-be apparire superfluo, in condizioni di difficoltà, ma che così non è: mettere in rete le trentadue associazioni su-perando comprensibili, diversi punti di vista, in modo da parlare un unico linguaggio nei confronti delle Istituzio-ni del Paese sudamericano per aumentare il loro peso po-litico nella vita sociale, economica e politica dell’Argentina.Dopotutto, un esempio concreto dell’univocità delle azioni del-le associazioni è rappresentato proprio dalla sede della Fe-derazione. Un locale immenso e accogliente, moderno e cal-do, ospita infatti tutte le iniziative che si vanno organizzando a Buenos Aires.

È un punto di aggregazione di grande livello e di grande “invidia” di altre Federazioni di emigranti. Vi si ritrova davvero la concretezza e la semplicità dei lucani, in una zona della ca-pitale argentina dove gli italiani sono una grande realtà e una grandissima risorsa. Oggi, da sostenere. =

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Buenos Aires, la città più “europea” dell’America latina, ospita nel quartiere portuale di San Cri-stobal, all’interno di un antico laboratorio chimi-co, uno dei luoghi più rappresentativi per l’ar te

argentina: il M.A.C., il museo d’arte contemporanea.Circa 3800 opere, tutte made in Argentina, per una va-

rietà d’ar tisti, tendenze ed espressioni quali la pittura, il di-segno, la scultura, l’incisione e la fotografia che vanno dagli anni ’60 ad oggi, custodite nel museo, fondato da Marcos Curi, un collezionista d’ar te tucumano, cugino d’Omar Sha-rif. L’importante galleria è affidata, dal 1978, ad un italo ar-gentino con radici lucane, Roque De Bonis.

“L’intento principale del museo - afferma De Bonis - è di promuovere e diffondere l’ar te argentina contempo-ranea dentro e fuori i confini geografici”. Grazie al sodali-zio professionale tra il fondatore ed il curatore dell’importan-te spazio espositivo argentino, la collezione privata è diventata patrimonio collettivo.

Il M.A.C.culla dell’arte argentina

ROSARIA NELLA

Spreading Argentinian art abroad by means of moving exhibitions across European cities, and within the country through exhibitions in galleries and museums, is the activity which interests most the art director of the Contemporary Art Museum of Buenos Aires, Roque De Bonis, an Italian-Argentinian with Lucanian origins. And his most cherished dream is realizing the project of promoting Lucanian artists as well.

B

ALDO PAPARELLA, LA GRANADA - MONUMENTOS INUTILES, 1975

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dell’esposizione. Tra gli altri anelli della complessa struttura un posto rilevante va assegnato all’architetto, all’ingegnere cultu-rale e al critico d’arte che tutti insieme, ognuno per la propria parte, determinano e condizionano i modelli culturali, traccian-do le direttive dei grandi eventi artistici come la Documenta de Kassel, la Biennale di Venezia e quella di San Pablo. Mani-festazioni importanti in grado di segnare le tendenze

Un panorama, come si può ben vedere, totalmente diver-so rispetto agli anni passati, in cui anche il collezionista ha, in un certo senso, dovuto cambiar pelle. Contagiato da que-sta imperante ‘cultura dell’istante’ è costretto a cercare nuo-ve strategie, a mettere in atto nuovi sforzi, ad adottare nuove concezioni per poter rivitalizzare il suo mecenatismo e conti-nuare a collezionare”.

Come vede il futuro dell’arte? In quale direzione pen-sa che andrà?

L’arte in quest’era della globalizzazione, nella maggior parte dei casi (un esempio significativo è quello di Guy De-bord, della corrente del “situazionismo francese” e la sua so-cietà dello spettacolo), ha abbandonato il suo protagonismo didattico-pedagogico per entrare nel piano dello spettacolo-distrazione. Ha dovuto adeguarsi alle nuove regole di mercato ponendo l’opera al centro dell’arena, come pura mercanzia.

Concludiamo la chiacchierata con Roque De Bonis, chiedendogli se ha mai pensato di portare in esposizione in Argentina opere di artisti lucani.

In diverse occasioni ho considerato questa possibilità. Si tratta di un progetto di non facile realizzazione che richiede impegno ed investimenti. Ma poiché l’arte è passione e le pas-sioni, come si sa, riescono laddove le ragioni si ‘bloccano’ l’idea potrebbe concretizzarsi, con una buona dose di coraggio, in un ambizioso progetto. =

“Il migliore e più indovinato destino per un’opera d’ar-te è d’essere vista, conosciuta, osservata. Le opere ‘imma-gazzinate’ mancano di vita. È come tenere diamanti in una banca svizzera”. L’opinione del fondatore Marcos Curi è condivisa pienamente da Roque De Bonis. Diffondere l’ar-te argentina, all’estero con mostre itineranti per città euro-pee e nel paese attraverso esposizioni in gallerie e musei, è l’attività che più d’ogni altra impegna il curatore lucano o, più precisamente, l’amministratore ar tistico, come pre-ferisce essere definito.

“Gli anni ’60 sono stati decisivi - dice De Bonis - per la mia formazione culturale e ar tistica. L’ingresso all’Istitu-to di Tella (Centro Sperimentale delle Arti) mi ha lanciato nel magico mondo delle ar ti e le mie inquietudini vocazio-nali - racconta - sono state assorbite dal cinema prima, dal teatro poi, fino a giungere alle ar ti plastiche con un impe-gno ed una ricerca sempre più crescenti. Le emozioni che provavo ieri nei primi approcci con le variegate attività ar-tistiche, sono le stesse oggi, for ti ed entusiasmanti quando, ad esempio, segnalo un nuovo ar tista o includo le sue ope-re nella collezione del M.A.C.. La migliore gratificazione al lavoro di ogni giorno - continua - è vedere realizzati ed af-fermati ai più alti livelli quegli ar tisti segnalati quando non erano ancora entrati nell’olimpo dei consacrati. Tra i tan-ti ricordo, per la pittura, gli ar tisti del gruppo Nueva Figu-ración, Deira, De la Vega, Maccio y Noé, Mario Pucciarel-li, per la scultura Norberto Gomez ed Alberto Heredia e altri ancora”.

L’attuale e complesso sistema dell’arte, composto dall’artista, dal critico, dal mercato e dal collezionista, compromette l’autenticità dell’invenzione artistica?

Lo abbiamo chiesto all’amministratore-ar tistico luca-no, il quale in un italiano scolastico, condito da simpatici in-tercalari spagnoli, ci ha spiegato che “nel sistema attuale il ruolo dell’artista è cambiato e ciò ha avuto forti ripercussioni sul suo lavoro e, ovviamente, sul risultato finale che è l’opera d’arte. Attualmente l’artista è sempre più propenso a lasciare la “passività” dell’atelier, per diventare l’amministratore delle proprie opere. Cerca sponsor e si occupa, in alcuni casi, anche

CARLOS DE LA MOTA, LA CANTANTE CALVA, 1974

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Francesco Netri was born in Albano di Lucania; he graduated in Law and arrived in Argentina in 1897. In Rosario, he embraced the cause of the tenant- and share-farmers who were fighting for their rights against the big land holders. He was killed on the 5th of October 1916. Rocco Curcio, president of the regional Commission for the Lucanians abroad, wanted to pay tribute to his illustrious fellow-countryman, who died for redeeming the land workers who claimed bread and freedom.

Francesco Netri leader e martire in Argentina

ROCCO CURCIO

Alla fine del 1897 giunse nel porto di Buenos Ai-res una nave carica di emigranti proveniente dal-l’Italia. Su di essa viaggiava Francesco Netri, di Al-bano di Lucania, che voleva raggiungere la madre

e i cinque fratelli emigrati in Argentina. Nel paese natale fre-quentò le scuole elementari, a Potenza le secondarie, presso l’Istituto Sarli, e a Napoli si laureò in Giurisprudenza.

Giunto a Buenos Aires si recò a Rosario dove viveva la fa-miglia, sul Rio Pazanà, una cittadina fiorente per la produzione di cereali e abitata da ricchi agricoltori, ma anche da poveri la-voratori della terra. Francesco venne accolto nei circoli di emi-grati italiani e nella comunità argentina con grande rispetto per la sua cultura ed il suo carattere aperto e prodigo di aiuto per le classi meno abbienti. Nel 1900 ottenne la cattedra di Italia-no nel Collegio nazionale di Rosario.

L’anno successivo sposò Emma Prosasco, figlia di italiani. Ottenne il titolo di dottore in Legge in Argentina, dopo aver superato gli esami per il riconoscimento della sua laurea italia-na. Chiese e gli venne concessa la cittadinanza argentina e il di-rettore del Giornale d’Italia lo attaccò poiché lesse quest’at-to come rinuncia alla sua italianità. Netri si difese sostenendo che la cittadinanza argentina gli avrebbe consentito di difende-re meglio i diritti dei tanti italiani poveri in Argentina che si ri-volgevano a lui. Occupò così un posto importante tra i circo-li culturali e sociali italiani. Organizzò il Circolo Italiano, fondò la società “Dante Alighieri” e l’“Unione e Benevolenza” per assistere i più bisognosi tra gli emigrati italiani. Netri fu anche scrittore fecondo. Si misurò con una “Nota su Dante”, “Proble-mi sulla doppia cittadinanza”, “Il problema agrario in Argentina” e altri scritti che gli diedero la popolarità a Rosario e in tut-ta l’Argentina.

Nel frattempo la situazione agraria si inasprì ed acuì il con-trasto tra contadini affittuari, mezzadri e grandi proprietari. Nel mese di giugno del 1912 nelle colonie di Alcorta e Bigand, vi-cino Rosario, i commercianti e le banche sospesero i crediti ai contadini. Questi si rivolsero all’avvocato Netri affinché li assi-stesse nella controversia e li aiutasse a modificare i vecchi pat-ti agrari. Ad Alcorta si svolse una pubblica assemblea nella sala della Società Italiana. Parlando a duemila contadini Netri pro-pose la diminuzione dei canoni di fitto e mezzadria, l’istituzione di contratti di almeno quattro anni, la possibilità di trebbiare il raccolto per proprio conto ed una ripartizione dei prodotti a vantaggio dei mezzadri. L’assemblea si chiuse con un eloquen-te discorso dell’avvocato che consigliò, tra l’altro, prudenza alle masse di fronte al potere dei proprietari terrieri, organizzati nella Società Rurale che esercitava notevole influenza sul Go-verno argentino.

La stampa diede risalto all’evento, definendo la prima as-semblea dei contadini “il grido di Alcorta”. Le dimensioni che il fenomeno stava assumendo generarono non poche preoc-cupazioni in Netri il quale comprese ben presto che lo spon-

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“Questione agraria” in Argentina

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taneismo delle masse rurali andava guidato ed auspicò la formazione di un sindacato a tutela del movimento “giusto, ne-cessario ed umano”.

Alle elezioni per il Parlamento Argentino del 1912 fu elet-to nel Partito Socialista il dottor Juan B. Justo. A questi si rivol-se Netri affinché promovesse una legge sui patti agrari. L’orga-no di stampa “La Vanguardia” dedicò alla questione agraria un numero speciale. Il movimento contadino era in con-tinua espansione e diventava sempre più urgente la sua organizzazione interna. Il 15 agosto 1912 Netri convocò l’Assemblea Costitutiva della Federazione Argentina dei lavoratori della ter-ra nella sede della società “Unione e Benevo-lenza” di Rosario. Parteciparono 115 delegati con diritto di voto e di parola. Il primo manife-sto della Federazione fu forte, chiaro, ispirato alla difesa dei diritti: “la forza della nostra ragione è tale che non serve appellarsi alla ragione della forza”.

I punti programmatici respinsero l’estremismo e il settari-smo. Il 21 settembre, Netri fondò il giornale “Bollettino Uffi-ciale dei lavoratori agricoli”, che l’anno successivo si sarebbe chiamato “La terra”.

Nel primo numero del Bollettino, l’avvocato scrisse un ar-ticolo di fondo intitolato “Lo sciopero”, in cui asserì che il gri-do di ribellione di Alcorta del 25 luglio aveva contribuito a scrivere un’importante pagina della storia dell’Argentina e lo sciopero aveva condotto ad una prima vittoria dei lavoratori di Santa Fe, Buenos Aires, Cordoba, Entre Rios e dei territo-ri della Pampa.

Attaccò la parte più reazionaria del fronte agrario defi-nendoli “vampiri sordi alle ragioni della patria della ragione e della giustizia”.

Delineò il programma della Federazione: migliori condi-zioni per fittavoli e mezzadri, libertà di commercializzazione, costruzione di case coloniche a carico dei proprietari e paga-mento per le migliorie del fondo apportate dal contadino. La finalità era la riforma agraria che sciogliesse il latifondo ed as-segnasse la terra ai suoi lavoratori e propose anche la creazio-ne di un vasto sistema di cooperative e la creazione di un Ban-

co cooperativo agricolo. I grandi proprietari terrieri si organizzarono contro il pericolo della nascente Fe-

derazione e attaccarono Netri con provocazioni, minacce ed attentati.

La situazione economica precipitò con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. I prin-cipali importatori di cereali, Italia, Francia e In-ghilterra vennero meno e l’Argentina non riuscì

più ad immagazzinare derrate alimentari. Crolla-rono i prezzi dei cereali, molti italiani e spagnoli ab-

bandonarono il paese per rientrare in patria, lo scon-tro tra proprietari terrieri e lavoratori assunse toni violenti.

Netri chiese al Governo di dotarsi di una flotta mercantile per riprendere le esportazioni.

Il 5 ottobre 1916, mentre l’Argentina eleggeva Presidente Hipolito Irigoyen sostenuto da un grande movimento popo-lare, Francesco Netri veniva assassinato. Scrisse un giornale ar-gentino “Culminò con quell’atto vergognoso, una campagna di attentati contro la sua vita, organizzata e diretta da chi detene-va il potere della terra come proprietari o intermediari”.

Ho tratto queste note da alcune carte che mi furono conse-gnate dai lucani a Rosario ed ho voluto rendere omaggio ad un no-stro conterraneo morto per il riscatto dei lavoratori della terra che rivendicavano pane e libertà. =

...La fuerza de nuestra razón es tal que no necesitamos apelar a la razón de la fuerza...

Netri: Lider y martir de una gran causa

Autor: Antonio DiecidueEditorial: Federacion Agraria Argentina Año: 1969Us$ 12

Netri: Lider y martir de una gran causa acción y personalidad del Fundador de la Federación Agraria Argentina.

Prólogo del Autor - Este modesto trabajo que entrego a la consideración de loa productores agrarios en particular y de la opinión pública en general, tiene por objeto principal el de rendir un justiciero homenaje al doctor Francisco Netri, al cumplirse cincuenta años desde que, alevosamente, fuera asesinado en la ciudado de Rosario, el 5 de octubre del año 1916, mientras ejercia la dirección de la Federación Agraria Argentina. Honestamente, confieso que no es un profundo estudio de su

vida, de su mútiple acción, ni de su obra. Tampoco pretendo que sea considerado como una lúcida biografía, ni siquiera un ensayo acabado; sólo se trata de un esbozo, de una recopilación de antecedentes sobre los principales actos de su vida, de su larga y fructífera lucha sindical, económica y social, iniciada en Alcorta el 25 de junio de 1912. Sólo deseo que, al reunir en este libro un material desperso, pueda él servir un día a alguien que, con mayor capacidad literaria, quiera aprovecharlo para escribir sobre la vida y la obra de tan ilustre ciudadano.Mientras esperamos que aquello ocurra, ofrecemos a nuestra juventud agraria, en forma especial a los agricultores que integran la Federación Agraria Argentina, como así también a los que actúan dentro del movimiento cooperativo agrario en general, sin distinción de grupos ni denominaciones, por entender que el actual, pujante y extraordinario movimiento cooperativo rural del país, en su totalidad, en alguna medida, ha tenido como base substancial la acción sindical desarrollada por la vieja y aguerrida Federación Agraria Argentina, en sus distintos aspectos, fundada por el Dr. Netri en agosto de 1912.

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L’emigrazionedi ritorno

Sono sempre più numerosi i lucani emigrati all’estero che decidono di ritornare nella propria terra d’origine. Ne-gli ultimi cinque anni ne sono rientrati circa 2600.

Una grossa fetta è tornata a ripopolare i Comuni del materano: Ferrandina, Montescaglioso, Rotondella, ecc.. In provincia di Potenza, invece, i Comuni che vantano il mag-gior numero di emigrati rientrati sono Melfi, Venosa, Moli-terno, San Fele, ecc.. Tra questi, putroppo, molti vivono una

Nino Marchionna, straniero due volte

Emblematica della condizione dell’emigrato è la storia di Nino Marchionna, nato a Viggiano negli anni cinquanta ed emi-grato in Germania nel 1973 con una valigia di cartone ed una qualifica di disegnatore tecnico.

Dopo lo straniamento socio-culturale patito per anni in Germania, Nino nel 2000 spinto non solo dalla separazione con la moglie di origine tedesca, ma soprattutto da una propo-sta di lavoro ricevuta da un’azienda lucana di macchine uten-sili è ritornato in Basilicata. Il rientro in Italia, però, non ha si-gnificato per lui il recupero della sua Heimat, ma solo il ripe-tersi della condizione di “straniero” anche se questa volta nella

sua terra di origine. Tra il 2001 e il 2003 Nino ha lavorato nel-l’azienda da cui aveva ricevuto l’offerta lavorativa senza però una regolare assunzione che gli è stata sempre promessa, ma che non ha mai ottenuto. All’inizio del 2004 ha deciso di ab-bandonare il lavoro non potendo più sopportare la condizione di sfruttamento (privo di assicurazione e di contributi pensio-nistici, alla quale era sottoposto). Nino si ritrova adesso in una condizione difficile, essendo senza occupazione e “troppo vec-chio” per il mercato del lavoro, pur vivendo a Viggiano all’om-bra dei pozzi petroliferi che, per lui, rappresentano un ottimo sbocco lavorativo non sfruttato abbastanza dalle autorità poli-tiche a favore della popolazione locale.

Alla luce della sua amara esperienza in Italia, Nino ringrazia il suo istinto per non aver riaccettato la cittadinanza italiana, in questo modo non si sentirà per la terza volta “straniero” se de-ciderà di tornare in Germania. (A.D.S.)

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Angelo Callà,coraggioso tipografo

Non sempre le difficoltà economiche sono l’unico moti-vo che spingono i giovani a tornare nella terra di origine dei loro nonni. Un esempio è la storia di Angelo Callà che ha de-ciso di lasciare l’Argentina e di venire in Basilicata alla ricerca delle sue radici.

Primo di cinque figli Angelo è “uno spirito libero”, animato dal desiderio di costruirsi da solo il proprio futuro. Circa quat-tro anni fa, arriva ad Episcopia, paese d’origine del padre. Qui trascorre solo il tempo necessario per il rinnovo della carta d’identità e poi, con in tasca la qualifica di tecnico in arte gra-fica conseguita presso la Fondazione Gutenberg a Buenos Ai-

res, parte per Potenza. Nel 2001 trova lavoro presso una tipo-grafia e l’esperienza si rivela positiva in quanto il proprietario lo aiuta ad inserirsi nel mondo del lavoro.

Trascorsi due anni, il giovane desideroso di realizzare qual-cosa che sia solo suo, senza dover dipendere da altri, suppor-tato dalla fidanzata e aiutato anche dal suo carattere volitivo, decide di aprire una tipografia. L’impresa è ardua perché non può usufruire delle agevolazioni previste dalla normativa regio-nale e, tra non poche difficoltà, nello scorso mese di dicembre Angelo finalmente è riuscito ad inaugurare la sua tipografia. Al momento il locale manca di un’insegna, di porte, ma i macchi-nari lavorano incessantemente.

Angelo ringrazia la Basilicata e i suoi abitanti perché mai nessuno lo ha fatto sentire come uno straniero ed è orgoglio-so di essere riuscito a crearsi da solo la propria attività che è pronto a condividere con altri. (A.D.S.)

situazione di disagio. Ma tanti sono anche i diplomati e i lau-reati che hanno portato know-how, iniziative, esperienze.

Diverse sono le ragioni che hanno accelerato il feno-meno del rientro. Tanti poi i pensionati provenienti dai pae-si della Unione europea che desiderano trascorrere la vec-chiaia circondati dall’affetto dei parenti, e numerosi i giova-ni che arrivano dai paesi dell’America latina spinti dall’incal-zante crisi economica. Le nuove generazioni rappresenta-no, per Gerardo Mariani presidente di Basilicata Turismo, il consorzio di operatori turistici impegnato da anni nella pro-mozione e commercializzazione dell’offer ta turistica luca-na, una grande “risorsa” per lo sviluppo turistico, economi-co, sociale e culturale della Basilicata, nonché un’opportuni-tà per ripopolare i comuni più interni afflitti dal fenomeno dello spopolamento.

Per favorire il reinserimento dei giovani, secondo Ma-riani, bisogna intervenire con progetti che siano in grado di creare occupazione e produrre, nello stesso tempo, benefi-ci all’economia lucana. Per rafforzare la presenza degli emi-grati sul territorio, su proposta del consorzio, è nata un’as-sociazione riservata agli emigrati lucani rientrati in patria. Scopo della neonata associazione, composta da un comita-to direttivo, è di tutelare e informare gli “oriundi” per faci-litarne l’inserimento nella società. In pochi, infatti, conosco-no le agevolazioni previste dalla normativa regionale (legge n. 19 e 16 del 2002). E se la Regione, nei limiti delle proprie risorse, sta valutando la possibilità di erogare un contribu-to a favore dei rientrati, per Gerardo Mariani bisogna anda-re oltre offrendo loro una casa, un lavoro, il riconoscimento del titolo di studio. ANNA DE STEFANO

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La storia di William Donato Phillips, pre-mio Nobel per la fisica nel 1997, comincia da Ripacandida. Nei primi anni del Nove-cento, suo nonno materno lascia il paese lucano per emigrare in America. Proprio come tanti altri che, arrivando lì senza co-

noscere una parola d’inglese, sono chiamati wop, termine di-spregiativo per indicare l’essere italiano.

Phillips, nato nel 1948 a Wilkes-Barre, d’italiano non ha che il suo secondo nome di battesimo. È a tutti gli effetti un americano residente a Gaithersburg che eccelle nelle ricerche di fisica. Sua è la scoperta di nuove tecniche di raffreddamen-to e intrappolamento dell’atomo tramite laser.

Tecniche rese possibili solo a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, grazie all’avvento dei raggi laser per labo-ratori, che ha permesso agli scienziati di osservare e misura-re il fenomeno dei “quanti” negli atomi. “Quanti” che sembra-no sfidare i principi fisici che governano il tangibile regno del-la temperatura ambiente. I programmi di ricerca sul raffred-damento e intrappolamento dell’atomo tramite laser, portati a termine dall’Ufficio nazionale dei pesi e delle misure (Nist) di cui Phillips è membro dal 1996, ma attivo ricercatore fin dal 1978, si basano sugli esperimenti compiuti proprio dal-l’Einstein lucano.

Dopo aver conseguito la laurea in fisica, Phillips svolge il dottorato di ricerca al Mit e lavora contemporaneamente al Nist, nella divisione Elettricità. Presenta due tesi sperimentali: una sull’area di giusta stabilità della risonanza magnetica e l’al-tra sulle nuove applicazioni dei laser da laboratorio. “In quel pe-riodo - racconta Phillips - utilizzai momenti di tempo libero per occuparmi del raffreddamento tramite laser con gli strumenti da laboratorio portati dal Mit”. Incoraggiato poi dai responsabili del Nbs, Phillips continua gli esperimenti e dimostra che un insie-me di atomi neutri può essere rallentato e raffreddato con la pressione di radiazione proveniente da un laser.

La sua scoperta viene riconosciuta a livello internazionale e Phillips, con il suo gruppo di lavoro, prosegue la ricerca fino a metà degli anni Ottanta, quando si accorge di un’importan-te discrepanza: quella tra il “limite di raffreddamento Dop-pler”, comunemente accettato, e la sua misurazione effettiva. È infatti possibile raffreddare gli atomi ben al di sotto dei li-miti conosciuti. Di pochi microkelvins, o solo un milionesimo di grado sopra lo zero assoluto, dimostra Phillips. Da questo

Le radici lucane di un Nobel

MICHELE GIOIOSA

The Nobel prize for Physics in 1997 has Lucanian origins: he is William Donato Phillips whose maternal grandfather was from Ripacandida. Born in 1948 in Wilkes-Barre, Phillips now lives in Gaithersburg. Since 1996 he has been member of the National Bureau of weights and measures (Nist) and is known all over the world for having tested new techniques for cooling and trapping the atom by means of laser. This discovery allowed other scientists to create the Bose-Einstein condensate.

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passepartout ...osservare oltre l’apparenza: le cose, gli oggetti prendono vita e mi comunicano la storia della loro esistenza. Questa è la mia natura.

ANGELA ROSATI. “IL GIARDINO PROFUMATO”.

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punto, altri scienziati si basano per svolgere alcune ricerche che li condurranno alla “condensazione Bose-Einstein”, for-ma nuova di materia in cui gli atomi cadono nel loro livel-lo più basso d’energia e rimangono in uno stadio singolo di “quanti”. Nell’estate del 1995, l’università del Colorado an-nuncia la creazione del primo condensato Bose-Einstein, una delle più importanti scoperte scientifi che recenti. Nel 1997, Phillips riceve il premio Nobel per la fi sica, e l’anno seguente la cittadinanza onoraria di Ripacandida.

Oggi, lo scienziato di origine lucana è membro della So-cietà americana di fi sica nonché di quella ottica. Così pure dell’Accademia nazionale delle scienze (Nas) e delle arti. Phillips è responsabile al Nist del gruppo che studia la fi si-ca del raffreddamento via laser come dell’intrappolamento elettromagnetico e delle altre manipolazioni radianti gli ato-mi neutrali e le particelle dielettriche.

Altri progetti che impegnano Phillips riguardano le tec-niche avanzate del raffreddamento laser degli atomi di cesio per l’uso degli orologi atomici. Sulla scia del primo condensa-to Bose-Einstein, Phillips investiga poi sulle proprietà e sull’ap-plicazione di una quantità di gas diluiti di atomi alcali. Lo stu-dio sulle collisioni fredde riguarda invece lo stato frantuma-to e le collisioni fotoassociative degli atomi ultrafreddi. Il pro-getto “Metastable Xe” analizza piuttosto gli ultrafreddi atomi Rydberg e i plasma attraverso l’utilizzo dello xeno raffredda-to e intrappolato con il laser. I reticoli ottici investigano inve-ce le proprietà e le applicazioni degli atomi ultrafreddi confi -nati in potenziali fatti di luce. Infi ne, le pinzette ottiche mani-polano otticamente oggetti microscopici per risolvere proble-mi di biochimica e biotecnologia.

Appena ne ha la possibilità, Phillips torna a Ripacandida per incontrare i parenti. “Apprezza particolarmente i giovani “per-ché sono portatori di quella immaginazione che spesso, a chi è avanti negli anni, viene a mancare”.

Phillips, oltre al premio Nobel, ha ricevuto la medaglia d’oro dal dipartimento del Commercio statunitense nel 1993. Tre anni dopo, la medaglia Michelson dall’istituto Franklin e, nel 1998, il premio Schawlow dalla Società americana di fi sica.

Ha scritto le opere: “Cooling and trapping atoms”, “New mechanisms for laser cooling”, “Almost absolute zero; the story of laser cooling and trapping of atoms”.

Celebre il suo intervento all’università di Pisa, l’anno scor-so, quando nel parlare del tempo disse:

“Anche Einstein ebbe diffi coltà a rispondere alla domanda “che ora è”. Malgrado ciò, noi possiamo misurare il tempo più accuratamente d’ogni altra quantità. Gli orologi atomici sono i più accurati cronometri mai fatti. E sono essenziali sia per il fu-turo della vita moderna sia per la sincronizzazione della comu-nicazione e delle operazioni ad alta velocità del sistema globa-le di posizionamento che guida gli aerei, automobili e navi. I limi-ti degli orologi atomici provengono dal movimento termale degli atomi: quelli caldi si muovono rapidamente e soffrono dei cam-biamenti del tempo, come già predicato dalla teoria della rela-tività di Einstein.

Noi possiamo raffreddare le cose rifl ettendo la luce laser su di esse. In questo modo, possiamo raffreddare i gas meno di un milionesimo di un grado al di sopra dello zero assoluto. Il lento movimento degli atomi in un tale gas ci permette di fare orologi ancora più accurati, talmente buoni che potrebbero guadagnare o perdere solo un secondo in trenta milioni di anni”. =

PHILLIPS AL MUNICIPIO DI RIPACANDIDA

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Investire nella ricerca e nell’innova-zione per vincere la sfi da del mercato globale. La Regione Basilicata non ha dubbi: per essere competitivi, non essen-do una realtà dai grandi “numeri”, occor-re puntare sul fattore “qualità”. E per rag-giungere livelli di eccellenza tali da colma-re la distanza dalle aree economicamen-te forti, non si può più rinviare il tentativo di collegare gli anelli del sapere scientifi -co e tecnologico con la produzione. At-traverso il Piano Regionale della Ricerca e Sviluppo Tecnologico e dell’Innovazione 2003-2005, in sostanza, si prefi gura una corsa “ragionata” all’uso di sistemi esper-ti e di modelli di simulazione nella ricerca, nello sviluppo di nuovi prodotti, nell’inte-grazione strategica di fi liera e nell’aggre-gazione di imprese (il cosiddetto cluster) per meglio diffondere e utilizzare le nuo-ve conoscenze tecnologiche.

“Non è suffi ciente poter disporre del-le tecnologie, bisogna saperle anche utilizza-re - sintetizza l’assessore regionale alle At-tività Produttive Carmine Nigro - ed è un nostro dovere istituzionale facilitare il percor-so che nasce dalle idee e sfocia in progetti, in applicazioni pratiche”.

Non sarà semplice oltrepassare d’un colpo le carenze strutturali del sistema produttivo meridionale né la scarsa ca-pacità di fare “sistema”, nodi che troppo spesso hanno frenato il decollo del made in Basilicata. Il Piano ci prova, collocando-si all’interno della strategia europea che fa della “ricerca” la password per abbattere le barriere, rafforzare la collaborazione e realizzare grandi obiettivi anche in piccole realtà territoriali. “Il polo lucano - aggiunge Nigro - dovrà qualifi carsi maggiormente per sostenere l’innovazione d’impresa, senza tra-lasciare l’attività diretta alla tutela del territo

LA BASILICATAALLE PRESE CON IL RILANCIO INDUSTRIALE

VITO VERRASTRO

THE BASILICATA REGION, THROUGH THE REGIONAL PLAN FOR RESEARCH AND TECHNOLOGY AND INNOVATION DEVELOPMENT 2003-2005, AIMS AT INTEGRATING THE SYSTEM OF SCIENTIFIC AND TECHNOLOGICAL KNOWLEDGE WITH THE SYSTEM OF PRODUCTION. THIS PLAN WILL BE FINANCED BY MORE THAN 12 MILLION EURO AND IS IN COUNTERTENDENCY COMPARED WITH THE NATIONAL SCENERY AND AIMS AT MAKING BASILICATA AN EXCELLENCY REALITY IN THE SECTOR OF RESEARCH AND INNOVATION.

LA GRANDE SFIDA DELL’INNOVAZIONE

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passepartout ...osservare oltre l’apparenza: le cose, gli oggetti prendono vita e mi comunicano la storia della loro esistenza. Questa è la mia natura.

ANGELA ROSATI. “IL GIARDINO PROFUMATO”.

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punto, altri scienziati si basano per svolgere alcune ricerche che li condurranno alla “condensazione Bose-Einstein”, for-ma nuova di materia in cui gli atomi cadono nel loro livel-lo più basso d’energia e rimangono in uno stadio singolo di “quanti”. Nell’estate del 1995, l’università del Colorado an-nuncia la creazione del primo condensato Bose-Einstein, una delle più importanti scoperte scientifi che recenti. Nel 1997, Phillips riceve il premio Nobel per la fi sica, e l’anno seguente la cittadinanza onoraria di Ripacandida.

Oggi, lo scienziato di origine lucana è membro della So-cietà americana di fi sica nonché di quella ottica. Così pure dell’Accademia nazionale delle scienze (Nas) e delle arti. Phillips è responsabile al Nist del gruppo che studia la fi si-ca del raffreddamento via laser come dell’intrappolamento elettromagnetico e delle altre manipolazioni radianti gli ato-mi neutrali e le particelle dielettriche.

Altri progetti che impegnano Phillips riguardano le tec-niche avanzate del raffreddamento laser degli atomi di cesio per l’uso degli orologi atomici. Sulla scia del primo condensa-to Bose-Einstein, Phillips investiga poi sulle proprietà e sull’ap-plicazione di una quantità di gas diluiti di atomi alcali. Lo stu-dio sulle collisioni fredde riguarda invece lo stato frantuma-to e le collisioni fotoassociative degli atomi ultrafreddi. Il pro-getto “Metastable Xe” analizza piuttosto gli ultrafreddi atomi Rydberg e i plasma attraverso l’utilizzo dello xeno raffredda-to e intrappolato con il laser. I reticoli ottici investigano inve-ce le proprietà e le applicazioni degli atomi ultrafreddi confi -nati in potenziali fatti di luce. Infi ne, le pinzette ottiche mani-polano otticamente oggetti microscopici per risolvere proble-mi di biochimica e biotecnologia.

Appena ne ha la possibilità, Phillips torna a Ripacandida per incontrare i parenti. “Apprezza particolarmente i giovani “per-ché sono portatori di quella immaginazione che spesso, a chi è avanti negli anni, viene a mancare”.

Phillips, oltre al premio Nobel, ha ricevuto la medaglia d’oro dal dipartimento del Commercio statunitense nel 1993. Tre anni dopo, la medaglia Michelson dall’istituto Franklin e, nel 1998, il premio Schawlow dalla Società americana di fi sica.

Ha scritto le opere: “Cooling and trapping atoms”, “New mechanisms for laser cooling”, “Almost absolute zero; the story of laser cooling and trapping of atoms”.

Celebre il suo intervento all’università di Pisa, l’anno scor-so, quando nel parlare del tempo disse:

“Anche Einstein ebbe diffi coltà a rispondere alla domanda “che ora è”. Malgrado ciò, noi possiamo misurare il tempo più accuratamente d’ogni altra quantità. Gli orologi atomici sono i più accurati cronometri mai fatti. E sono essenziali sia per il fu-turo della vita moderna sia per la sincronizzazione della comu-nicazione e delle operazioni ad alta velocità del sistema globa-le di posizionamento che guida gli aerei, automobili e navi. I limi-ti degli orologi atomici provengono dal movimento termale degli atomi: quelli caldi si muovono rapidamente e soffrono dei cam-biamenti del tempo, come già predicato dalla teoria della rela-tività di Einstein.

Noi possiamo raffreddare le cose rifl ettendo la luce laser su di esse. In questo modo, possiamo raffreddare i gas meno di un milionesimo di un grado al di sopra dello zero assoluto. Il lento movimento degli atomi in un tale gas ci permette di fare orologi ancora più accurati, talmente buoni che potrebbero guadagnare o perdere solo un secondo in trenta milioni di anni”. =

PHILLIPS AL MUNICIPIO DI RIPACANDIDA

BASILICATAM NDO

Investire nella ricerca e nell’innova-zione per vincere la sfi da del mercato globale. La Regione Basilicata non ha dubbi: per essere competitivi, non essen-do una realtà dai grandi “numeri”, occor-re puntare sul fattore “qualità”. E per rag-giungere livelli di eccellenza tali da colma-re la distanza dalle aree economicamen-te forti, non si può più rinviare il tentativo di collegare gli anelli del sapere scientifi -co e tecnologico con la produzione. At-traverso il Piano Regionale della Ricerca e Sviluppo Tecnologico e dell’Innovazione 2003-2005, in sostanza, si prefi gura una corsa “ragionata” all’uso di sistemi esper-ti e di modelli di simulazione nella ricerca, nello sviluppo di nuovi prodotti, nell’inte-grazione strategica di fi liera e nell’aggre-gazione di imprese (il cosiddetto cluster) per meglio diffondere e utilizzare le nuo-ve conoscenze tecnologiche.

“Non è suffi ciente poter disporre del-le tecnologie, bisogna saperle anche utilizza-re - sintetizza l’assessore regionale alle At-tività Produttive Carmine Nigro - ed è un nostro dovere istituzionale facilitare il percor-so che nasce dalle idee e sfocia in progetti, in applicazioni pratiche”.

Non sarà semplice oltrepassare d’un colpo le carenze strutturali del sistema produttivo meridionale né la scarsa ca-pacità di fare “sistema”, nodi che troppo spesso hanno frenato il decollo del made in Basilicata. Il Piano ci prova, collocando-si all’interno della strategia europea che fa della “ricerca” la password per abbattere le barriere, rafforzare la collaborazione e realizzare grandi obiettivi anche in piccole realtà territoriali. “Il polo lucano - aggiunge Nigro - dovrà qualifi carsi maggiormente per sostenere l’innovazione d’impresa, senza tra-lasciare l’attività diretta alla tutela del territo

LA BASILICATAALLE PRESE CON IL RILANCIO INDUSTRIALE

VITO VERRASTRO

THE BASILICATA REGION, THROUGH THE REGIONAL PLAN FOR RESEARCH AND TECHNOLOGY AND INNOVATION DEVELOPMENT 2003-2005, AIMS AT INTEGRATING THE SYSTEM OF SCIENTIFIC AND TECHNOLOGICAL KNOWLEDGE WITH THE SYSTEM OF PRODUCTION. THIS PLAN WILL BE FINANCED BY MORE THAN 12 MILLION EURO AND IS IN COUNTERTENDENCY COMPARED WITH THE NATIONAL SCENERY AND AIMS AT MAKING BASILICATA AN EXCELLENCY REALITY IN THE SECTOR OF RESEARCH AND INNOVATION.

LA GRANDE SFIDA DELL’INNOVAZIONE

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I soggetti che operano nel campo dell’innovazione

Il sistema della ricerca scientifica e tecnologica della Basilicata può contare su una fitta trama di soggetti. In questa rassegna ragionata proviamo a capire chi sono e cosa fanno. L’Università degli Studi della Basilicata è uno dei nodi centrali del sistema. L’attività scientifica dell’ateneo lucano è articolato in 12 dipartimenti:

4 nell’area di Agraria (Biologia, difesa e biotecnologie agro-forestali, Produzione vegetale, Scienze delle produzioni animali, Tecnico economico per la gestione del territorio agricolo-forestale), 3 nell’area di Scienze matematiche, fisiche e naturali (Chimica, Scienze geologiche e Matematica), 3 nell’area di Ingegneria (Architettura, pianificazione ed infrastrutture di trasporto, Ingegneria e fisica dell’ambiente, Strutture,

geotecnica e geologia applicata) e 2 nell’area umanistica (Scienze storiche, linguistiche e antropologiche, Studi letterari e filologici). Accanto ai dipartimenti figurano 10 centri di servizio interdipartimentali tra i quali è bene ricordare il Centro per la salvaguardia delle risorse genetiche vegetali, l’Herbarium Lucanum e il Centro di ricerca nell’utilizzazione e conservazione del germoplasma

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rio, alla protezione ambientale, all’innovazione in materia di risorse idriche ed energetiche, alla ricerca e alla prevenzione dai rischi sismi-ci ed idrogeologici, all’osservazione della Terra dallo spazio e la geodesia. Tutti fattori di con-testo capaci di assicurare un serio e duraturo sviluppo economico e sociale della Regione”.

Come realizzare l’ambizioso proget-to? Raccordando le associazioni degli im-prenditori con gli istituti di ricerca appli-cata ai processi produttivi, come il Cen-tro di ricerca Cnr di Tito, Lagopeso-le (Potenza) e Matera, il Centro Enea di Trisaia di Rotondella (Matera), Me-tapontum Agrobios di Bernalda (Mate-ra), Basentech di Matera, Snia ricerche di Ferrandina (Matera), l’Agenzia spa-ziale italiana di Matera e l’Osservatorio di Castelgrande (Potenza), la facoltà di Agraria e Ingegneria dell’ Università del-la Basilicata, l’Inea e la rete delle impre-se dell’Alsia.

Quattro i macro-obiettivi da centrare: 1 • rafforzare il sistema regionale del-

la ricerca scientifico-tecnologica nella lo-gica di rete;

2 • migliorare i collegamenti fra i si-stemi scientifici e il sistema imprenditoria-

le, con la finalità di promuovere il trasfe-rimento tecnologico, la nascita di impre-se “sulla frontiera” e l’attrazione di inse-diamenti hi tech;

3 • accrescere la propensione all’in-novazione di prodotto, di processo ed organizzativa delle imprese locali;

4 • favorire l’insediamento e la de-localizzazione di nuove imprese in Basi-licata.

Il Piano, in dettaglio, stanzia 8,5 milioni di euro per la creazione di “regimi di aiu-to”, gestiti dalla Regione Basilicata e dal Miur (il Ministero dell’Università e della Ri-cerca) per progetti di ricerca e di sviluppo industriale delle imprese regionali, 3 milio-ni di euro per la formazione di ricercato-ri regionali e di figure professionali in gra-do di collegare il mondo della ricerca e il sistema produttivo, un milione di euro per aprire uno “sportello per l’innovazione” presso il Dipartimento Regionale alle At-tività Produttive. E ancora, 150.000 euro indirizzati per un programma di marketing territoriale per creare «sistemi imprendi-toriali ad alta tecnologia», e altri 350.000 per realizzare una “rete dei centri di com-petenza”, che consenta di dialogare co-

stantemente con le altre realtà regiona-li italiane in un’ottica di condivisione e di scambio di esperienze che realizza di fat-to il sistema.

Lo scenario finanziario dello strumen-to regionale, per rispondere pienamente alle necessità di innovazione e ricerca, do-vrebbe “solleticare” la capacità di risposta da parte dell’impresa, la voglia di guarda-re al di là degli attuali confini della produ-zione e di misurarsi sul terreno della qua-lità, della condivisione di obiettivi, della competitività. La ricerca della certificazio-ne di qualità, ambientale ed etica, e quin-di la tendenza ad un sostanziale “marchio” di garanzia che faccia della piccola Basilica-ta una regione-modello di buona prassi, è l’obiettivo ultimo a cui tendere.

Le produzioni agroalimentari e l’am-biente, ma anche le produzioni tecno-logiche immateriali, saranno alcune del-le peculiarità su cui imperniare i processi di valorizzazione del territorio e del tes-suto produttivo lucano. È proprio da qui che Mondo Basilicata intende iniziare ad esplorare i campi della ricerca e dell’inno-vazione, attraverso autorevoli pareri ed esempi concreti di applicazione. =

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mediterraneo. L’altro grande nodo è rappresentato dal CNR che, oltre all’Istituto di Metodologie per l’Analisi Ambientale (IMAA), può contare sulle sedi periferiche dell’Istituto di Metodologie Inorganiche e dei Plasmi (IMIP) a Tito, dell’Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali (IBAM) presso il castello di Lagopesole e dell’Istituto di Radioastronomia (IRA) a Matera. Ad aggiudicarsi la palma di ente di ricerca più longevo

della Basilicata è il centro ENEA-Trisaia a Rotondella (MT) che è attivo fin dal 1962. Il centro Trisaia, noto in particolare per le attività di condizionamento dei rifiuti nucleari, è uno dei pochi centri di ricerca e sviluppo in grado di operare ad ampio spettro: ambiente, agro-biotecnologie, metrologia, radioprotezione e applicazioni laser. È anche sede di alcuni consorzi hi-tech partecipati da ENEA: TRAIN (trasporti innovativi),

TRE (recupero edilizio), CALEF (applicazioni industriali laser) e PROCOMP (componentistica per trasporti). Notevole anche la presenza di istituzioni scientifiche che operano nella ricerca spaziale. Basti pensare al Centro di geodesia spaziale, telerilevamento e robotica spaziale dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Oppure all’Osservatorio Astronomico di Toppo di Castelgrande (PZ) col suo

Una realtà di eccellenza con la testa in Europa ma i piedi ben saldi in terra lucana. Così ama definire la sua creatura il professor Vincenzo Cuomo, direttore dell’Istituto di Metodologie per l’analisi ambientale (Imaa) che fa capo al Cnr di Basilicata. Eppure, a dispetto dei successi, quella del Cnr lucano è una storia relativamente recente.

“Quando nel 1987 siamo venuti in questa regione - ricorda il direttore Cuomo - abbiamo fatto una scommessa che era quella di capire se si riusciva, partendo da zero, a portare la ricerca a livelli di eccellenza. Oggi quella scommessa può considerarsi vinta”. E lo dimostra la qualità dei progetti a cui i ricercatori del Cnr stanno lavorando in questi mesi in collaborazione con le più importanti istituzioni scientifiche nazionali ed internazionali.

Attualmente l’Imaa è partner di un progetto di ricerca industriale nel settore delle osservazioni della Terra denominato Cos(OT). Nell’ambito del VI Programma Quadro varato dall’Unione europea, l’Imaa realizzerà la rete paneuropea dell’energia. È in corso il potenziamento del sistema “Arm-Site” per la misurazione dei processi atmosferici e la validazione dei dati satellitari. È di alcune settimane fa l’inaugurazione del polo di Marsico Nuovo che ospiterà il sistema “Hydrogeosite” per lo studio dell’inquinamento del suolo e delle falde.

Una sfida che è stata vinta anche col supporto di un sistema politico-istituzionale locale “che ha capito molto prima di altre realtà che alcune scommesse si vincevano sul piano della qualità e dell’eccellenza”, come sottolinea il professor Cuomo. Anche il sistema delle imprese lucane ha compreso che la competizione su scala globale si gioca sul binomio ricerca-innovazione piuttosto che sul contenimento del costo dei fattori. “In un grosso progetto di ricerca industriale che coinvolge tutte le regioni del Mezzogiorno - spiega Cuomo - c’è una forte presenza di piccole e medie imprese lucane e anche una serie di realtà del Nord che guardano con interesse alla possibilità di investire in Basilicata”.

È un primo timido segnale che va consolidato adottando un approccio di sistema in cui il ruolo del settore pubblico è fondamentale per indurre le imprese ad offrire servizi innovativi e per innescare processi di ricerca. LUIGI CANNELLA

Il CNR e la scommessa ambientale

CN

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CNR OF BASILICATA HAS PROVED

ITSELF TO BE AN EXCELLENT UNIT

IN THE FIELD OF RESEARCH AND

INNOVATION. AMONG ALL THE

FUTURE PROJECTS FORESEEN BY THE

RESEARCH CENTRE WE CAN LIST

THE MEASURING OF ATMOSPHERIC

PROCESSES, THE CREATION OF A

PAN-EUROPEAN ENERGY NETWORK

AND SEVERAL STUDIES ON SOIL AND

WATER TABLE POLLUTION.

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telescopio ultratecnologico TT1 dal diametro di un metro e mezzo. Merita una menzione anche il gruppo attivo presso l’Università degli Studi della Basilicata dell’Istituto Nazionale di Fisica della Materia (INFM), impegnato oltre che nel campo spaziale anche in quello ambientale. Dallo spazio siderale alla terra e all’agricoltura. Qui opera dal 1996 l’Agenzia Lucana di Sviluppo e di Innovazione in Agricoltura (ALSIA) che promuove

l’innovazione, l’orientamento al mercato e la riqualificazione delle risorse umane che operano nelle imprese agricole e agroalimentari. Un’attenzione particolare è riservata alle produzioni zootecniche e alla tutela della biodiversità di specie vegetali tipiche della regione. La sezione lucana dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), invece, realizza studi ed indagini sulla realtà produttiva del settore agricolo ed agroalimentare

lucano, cura la Rete di Informazione Contabile Agricola (RICA) e svolge attività di monitoraggio ed assistenza tecnica all’applicazione dei programmi comunitari. Ancora poche, invece, le imprese in grado di promuovere programmi di ricerca ed innovazione in Basilicata. Con la sola eccezione della SNIA Ricerche localizzata a Pisticci (MT) che si occupa di ricerca applicata ed innovazione nel settore della chimica industriale. (L. C.)

Portare l’Università in azienda e far dialogare l’azienda con l’Università, producendo ricerca di alto profilo che si traduca in effettiva innovazione. È questo il doppio binario che l’Ateneo lucano da anni sta cercando di percorrere per stimolare il processo di crescita della regione, puntando decisamente sul fattore locale di qualità: “È inevitabile. La produzione tipica ha in sé i tratti caratteristici del territorio di appartenenza. O si realizza in loco o non si può ottenere altrove”.

Il presidente del Consiglio dei Direttori di Dipartimento, Ettore Bove, non ha dubbi. Lucano doc, e per questo ancora più sensibile alla causa regionale rispetto ad altri colleghi “di passaggio”, Bove auspica l’instaurarsi di un forte legame tra istituzioni locali, centri di ricerca e aziende: “Da parte nostra dovremo continuare la ricerca sulla via della qualità nella fase di produzione della materia prima. E soprattutto sulla componente umana, con l’ausilio delle più moderne tecnologie”.

Come avviene nel laboratorio sensoriale dell’Ateneo, coordinato dal professor Erminio Monteleone, in cui i ricercatori effettuano dei test (visivi, olfattivi, tattile/gustativi, ad esempio) su semplici consumatori o con soggetti addestrati alla valutazione di definiti stimoli sensoriali, per comprendere le relazioni che legano il gradimento espresso dai consumatori alle proprietà percepibili dei prodotti alimentari.

Un esempio? Studiare la relazione tra la composizione fenolica delle uve Aglianico ed il loro contributo all’amaro ed all’astringenza dei vini. Queste due proprietà sensoriali, comuni a tutti i vini rossi, sono quelle che maggiormente influenzano l’accettabilità dei prodotti. Lo scopo degli studi è definire una composizione fenolica ottimale per il raggiungimento della quale si ottimizzano e si innovano le tecniche di coltivazione e di trasformazione dell’uva.

Il controllo delle proprietà che condizionano l’accettabilità diventa così la base della enfatizzazione delle proprietà di peculiarità aromatiche di un prodotto. Il consumatore rimane insomma il giudice assoluto del successo di qualsiasi prodotto.

Per aumentare la probabilità del consenso sul made in Basilicata, secondo Bove, bisognerà agire su diverse leve: “Collegare la produzione alla ristorazione ma anche professionalizzare gli operatori, che dovranno assimilare la storia della propria terra e dei suoi prodotti, saperla raccontare al turista italiano e straniero, all’emigrante e ai suoi discendenti, per suscitare un ricordo, regalare un’emozione”.

Un tasto, questo, su cui la tecnologia può davvero poco. VITO VERRASTRO

L’ateneo lucano a sostegno dei prodotti tipici

LEO

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ETTORE BOVE AND VINCENZO

CUOMO: A DOC LUCANIAN AND A

MAN FROM CAMPANIA WHO LEARNT

TO LOVE LUCANIA. TWO MEN FROM

THE SOUTH SERVING THE MOST

IMPORTANT RESEARCH UNITS IN THE

REGION: THE UNIVERSITY AND CNR.

BOVE AND CUOMO TALK ABOUT

RESEARCH, INNOVATION AND DEVE-

LOPMENT PROSPECTS FOR BASILICATA

FOCUSING ON LOCAL RESOURCES

AND TYPICAL PRODUCTS WITHOUT

LOSING SIGHT OF WHAT’S ON IN

EUROPE.

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Basentech in mezzo al guado

Pur rivestendo un ruolo strategico per l’accrescimento della competitività del sistema economico e produttivo, le strutture che operano nel settore della ricerca vivono una fase storica caratte-rizzata da incertezze e precarietà..

La conferma viene anche dall’ Ing. Vincenzo Acito, Presidente di Basente-ch, Parco Scientifico e Tecnologico del-la Basilicata, una struttura nata negli anni ‘90 con il compito di fungere da “collan-te” tra il sistema della ricerca e la rela-tiva applicazione nei processi produttivi aziendali. Nel corso degli anni, Basente-ch ha realizzato progetti di ricerca ed in-novazione tecnologica molto interessanti, che hanno avuto ricadute positive sul si-stema economico del territorio.

“Oggi tutto questo rischia di interrom-persi” - dice Acito - “a causa di una dra-stica riduzione delle risorse”. “L’innovazione - spiega - è strutturata su tre livelli: l’alta for-mazione, la ricerca di base ed il trasferimen-to tecnologico. Se per i primi due sono dispo-nibili fondi statali da gestire al meglio, per il trasferimento tecnologico lo Stato ha taglia-to le risorse. Resta da capire, in sostanza, come favorire questa terza fase, per evitare che la ricerca rimanga un insieme di saperi congelati, senza che si trasformi in opportu-nità di business”.

E qui Acito scopre l’anello debole del sistema: convincere le imprese ad investi-re in ricerca ed innovazione. Un proble-ma non da poco.

“In verità - confessa Acito - bisogna attuare innanzitutto una azione sociale e culturale che spinga le imprese a guardare in una prospettiva di medio e lungo raggio, al fine di renderle maggiormente competi-tive attraverso una gestione manageriale, il che non significa una negazione delle ca-ratteristiche di “familiarità” comune a gran parte delle aziende di questo territorio”.

In sostanza, le realtà, come Basente-ch, che operano in ricerca ed innovazio-ne fanno fatica a proseguire su una stra-da che si fa di giorno in giorno più ripida,

giacché non esiste una effettiva domanda di ricerca ed innovazione, perché manca l’humus giusto. In questo contesto, que-ste realtà faticano a reggersi sulle proprie gambe. “Eppure - fa notare il Presidente di Basentech - specie nelle aree dell’Obiet-tivo 1, i fondi utilizzati per la ricerca sono in-feriori rispetto alla disponibilità finanziaria”.

Che fare? “Una idea concreta: anzi-ché dar corso ad interventi a vocazione assistenzialistica come le “borse lavoro”, perché non favorire l’utilizzo delle risorse per la formazione per finanziare l’ope-rato di giovani laureati locali, che funga-no da embrioni del cambiamento nelle aziende del territorio?”. Proposta girata a chi di dovere. FILIPPO OLIVIERI

Montreal, un semaforo per i daltoniciA invenzione fatta può sembrare una banalità, ma così non è. Il lucano Ottavio Galella ha progettato qualcosa per rendere più facile la vita delle centinaia e centinaia di daltonici che guidano le automobili ed incontrano difficoltà ai semafori. Non distinguendo i colori, i daltonici possono diventare un vero pericolo per sé e per gli altri. Da qui l’intuizione dell’allora studente di architettura, oggi uno dei maggiori ideatori della complessa viabilità e dell’urbanistica di Montreal: perché limitare l’uso del cerchio e non utilizzare altre forme geometriche nella costruzione dei semafori? Detto, sperimentato, attuato. L’invenzione è accettata e i semafori della capitale canadese cambiano aspettano. Non più divisi in tre cerchi, ma in quattro figure, rombi compresi, tutti di colori diversi. E per i pedoni? Accontentati: non più un omino irriconoscibile avvolto nel rosso o nel verde, ma una grossa mano che si apre e avverte che non puoi attraversare la strada. Un piccolo ed importante tassello all’interno di un più ampio progetto, quello legato alla circolazione di Montreal, che porta la firma dell’architetto nativo di Muro Lucano.

OTTAVIO GALELLA E ALDO MICHELE RADICE, GIÀ PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA BASILICATA

RESEARCH AND INNOVATION: A STRATEGIC SECTOR WHICH HAS GOT FEW

RESOURCES. “ENTERPRISES AS WELL MUST TAKE A “CULTURAL LEAP” AND BELIEVE

IN THE MEDIUM AND LOW-TERM RETURNS OF RESEARCH” SAYS VINCENZO ACITO,

ENGINEER, PRESIDENT OF BASENTECH - PARCO SCIENTIFICO E TECNOLOGICO DI

BASILICATA. MEANWHILE SOMEONE HAS SUCCESSFULLY INVESTED IN RESEARCH.

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HSH di Matera

Quando la ricerca è il fondamento del successo. È il caso di HSH, una so-cietà nata nel 1985 per la commercializ-zazione di prodotti informatici e che ha fatto il “salto di qualità” nel 2001, dopo aver preso parte al “Progetto Ambiente e Territorio”, curato proprio da Basen-tech, che oggi segnala a Mondo Basilica-ta questo caso di eccellenza.

Attraverso la valorizzazione del patri-monio di conoscenze acquisito nel corso di questo progetto di ricerca, HSH ha sviluppato un sistema per l’applicazione, attraverso la rete, della tecnologia GIS (Geographical Information System). Una intuizione che sta trovando ampi spazi di mercato soprattutto nella Pubblica Amministrazione.

La Regione Lombardia, ad esempio, sta mettendo a punto, grazie al suppor-to tecnologico e consulenziale di HSH, un programma di “infomobilità”, per la gestione in tempo reale del traffico e del relativo impatto sull’inquinamento atmosferico ed ambientale.

“I nostri clienti - spiega Sante Lomurno, uno dei cinque soci di HSH - stanno scoprendo le enormi potenzialità offerte dall’applicazione di questa tecnologia, che permette un monitoraggio costante ed approfondito del territorio, con molteplici applicazioni che vanno dall’urbanistica all’ambiente, dal recupero di beni storici alla fornitura

di servizi ambientali, grazie anche alla proficua collaborazione con partner del calibro di Enel Hydro, una delle divisioni del colosso nazionale dell’energia”.

A livello locale, invece, HSH ha curato la fornitura tecnologica per la gestione on line del Piano Regolatore del Comune di Matera.

“Parlare di Sistemi Informativi Terri-toriali (S.I.T.) e reti Internet, significa co-niugare due tecnologie che, complemen-tarmente integrate, consentono di gestire le informazioni sul territorio da qualsiasi personal computer.

Rendere disponibili, a tecnici e profes-sionisti che operano sia all’interno che al di fuori delle Amministrazioni Locali, e che quotidianamente interagiscono con il terri-torio, una serie di dati pubblici (cartografie, tecniche, mappe catastali, tematismi di PRG, reti tecnologiche, etc.), fruibili diret-tamente sul proprio computer tramite una semplice connessione a Internet, significa pensare in maniera realistica alle possibi-lità offerte dalla tecnologia della società dell’informazione”.

Un investimento in ricerca durato tre anni di studio che ha permesso ad HSH di accumulare un interessante van-taggio competitivo e di raccogliere l’at-tenzione di grossi gruppi che operano in questo mercato. Telecom, ad esempio, ha ufficialmente inserito il Web Gis di HSH nel proprio catalogo di offerta. La

Provincia di Napoli si è avvalsa di HSH per il monitoraggio dei livelli di inquina-mento. L’APAT (Agenzia di Protezione Ambientale) ha affidato alla società ma-terana la realizzazione del catalogo degli indicatori ambientali. Sono solo alcuni degli importanti riconoscimenti del mer-cato per questa realtà all’avanguardia, che conta 15 unità lavorative, oltre ad una serie di collaborazioni con una rete di consulenti, e che ha chiuso il 2003 con un fatturato di 1.400.000 euro. E intanto HSH guarda al futuro con lungimiranza, sviluppando, oltre al Web Gis, altri canali di business.

HSH è parte, infatti, del Consor-zio Innova, costituito insieme ad altre due storiche società informatiche del materano come “La Traccia” e “Lucana Sistemi”, che sta implementando, per conto di Telespazio, un programma per il “processamento immagini”, nell’ambito del progetto Cosmo SkyMed, il primo programma nazionale per la messa in orbita di una costellazione di satelliti per la osservazione della terra (O.T.).

Ma forse la cosa più importante da sapere è che fino a qualche tempo fa queste stesse società che oggi formano il Consorzio Innova erano da anni in co-stante e poco produttiva concorrenza.

È bastata l’umiltà ed il coraggio di unire le forze. Anche questa è innova-zione. (F. O.)

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HSH HAS DEVELOPED A SYSTEM FOR APPLYING, THROUGH THE NET, OF GIS

(GEOGRAPHICAL INFORMATION SYSTEM) SATELLITE TECHNOLOGY. A HUGE

AMOUNT OF INFORMATION EASILY USABLE ON YOUR PC.

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La fiorente e generosa terra della fascia jonica lucana è prodiga, da sem-pre, di prodotti di elevata qualità, in gra-do di conquistare interessanti posizioni nei mercati di nicchia. Ma i raggi del cal-do sole del metapontino irradiano an-che prodotti alimentari “speciali”, frutto di una costante attività di ricerca e spe-rimentazione condotta da Metapontum Agrobios, una realtà all’avanguardia nel trasferimento dell’innovazione in agri-coltura e nel sistema agro-industriale at-traverso progetti di ricerca e servizi ana-litici nel settore delle biotecnologie ve-getali e dell’ambiente.

Molteplici i campi di intervento di questa realtà, che è costituita da un con-sorzio tra Regione Basilicata e l’Agen-zia Lucana per lo Sviluppo e l’Innovazio-ne in Agricoltura (ALSIA), dopo il re-cente addio del partner privato, la Bio-ren S.p.a.. In campo biotecnologico, la ri-cerca è rivolta allo sviluppo ed all’appli-cazione di tecnologie innovative per la protezione delle colture da virus e in-setti ed alla manipolazione genetica per il miglioramento della qualità di piante di interesse agrario ed industriale (pomo-doro, frumento, oleaginose).

In campo analitico, poi, conduce at-tività rivolte al miglioramento ed alla certificazione della qualità dei prodot-ti agricoli (ortofrutta, olio, miele), alla definizione di metodologie di produ-zione agricola sostenibile e alla valuta-zione delle novità vegetali (OGM) ot-tenute nell’ambito della ricerca biotec-nologica.

E proprio la cronaca delle ultime settimane ha dato ampio spazio al pro-getto di un pomodoro ad alto contenu-to di betacarotene, che potrebbe essere impiegato come “fabbrica biologica” per produrre grandi quantità di carotenoidi naturali, in alternativa all’impiego di pro-cessi industriali dai complessi problemi di impatto ambientale.

Una notizia che ha destato qual-che polemica: “Sono solo pregiudizi - ta-glia corto Francesco Cellini, direttore del settore Ricerca di Agrobios -, i no-stri studi sono tesi a migliorare i prodot-ti ma anche a creare un impatto positivo sulla salute dell’uomo e dell’animale. Ol-tre al pomodoro, stiamo conducendo ad esempio un progetto-pilota sulle erbe me-diche in cui l’aggiunta di proteine dovreb-be agire sul sistema immunitario degli ani-mali. Il tutto utilizzando tecniche non Ogm, quindi ad alta accettabilità economico-in-dustriale”.

Anche nel recente passato Agro-bios si è distinta per una serie di studi di primissimo piano.

Un esempio su tutti? “Il control-lo qualità della fragolicoltura interamente informatizzato - racconta Cellini - tanto che con un clic su Internet gli importatori hanno avuto la possibilità in tempo reale di riscontrare una garanzia assoluta in ter-mini di sicurezza alimentare e di tracciabi-lità del prodotto”.

Un processo applicato con successo da diverse aziende del metapontino su uno dei prodotti di punta della frutticoltu-ra dell’area ionica lucana. FILIPPO OLIVIERI

L’Agrobios leader nellaricerca biotecnologica

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THE MISSION OF METAPONTUM

AGROBIOS IS TRANSFERRING

INNOVATION INTO AGRICULTURE

AND AGRIBUSINESS. SINCE 1985 THIS

COMPANY HAS BEEN COMMITTED

IN RESEARCH PROJECTS IN THE FIELD

OF VEGETABLE AND ENVIRONMENTAL

BIOTECHNOLOGIES.

“OUR ONLY AIM – SAYS FRANCESCO

CELLINI, WHO IS THE PERSON IN

CHARGE FOR RESEARCH AND

DEVELOPMENT OF METAPONTUM

AGROBIOS – IS THE IMPROVEMENT

OF FOOD PRODUCTION QUALITY,

PROTECTING ABOVE ALL HUMAN

AND ANIMAL LIFE”. AND IN THE

MEANTIME GMO PRODUCTION STILL

LEADS TO DOUBTS AND DISPUTES.

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La Basilicata punta sull’innovazione anche nell’agroindustria. O meglio le Ba-silicate, perché, in questo caso, i progetti vedono un partner della regione “geo-grafica” ed uno di quella oltreoceano. Un’iniziativa nata nell’Ambito del Pro-gramma di Partenariato internaziona-le con gli italiani all’estero (Pptie), pro-mosso dal Ministero degli Esteri e del-la Regione Basilicata in collaborazione con il Cif Oil dell’Onu di Torino.

L’idea imprenditoriale è semplice ed efficace, di quelle in grado di avere suc-cesso sul mercato. Ma alle spalle ci sono laboriose attività di ricerca.

Un asse che coinvolge l’associazio-ne dei lucani di Paysandù, in Uruguay, e l’associazione dei produttori biologi-ci “ProBioTer” della Cia di Basilicata: i primi impegnati nella coltivazione della Stevia Rebaudiana, un dolcificante natu-rale specialmente indicato per i diabeti-ci, i secondi nella Rosa Canina, un fiore utilizzato per infusi, tisane e marmellate, ma dalle potenzialità terapeutiche anco-ra non del tutto sfruttate per l’enorme ricchezza di vitamina C e sostanze an-tiossidanti che contiene.

Partenariatointernazionale,CIA Basilicatae AssociazioneLucani Paysandù

L’intesa stretta al workshop Pptie di Potenza mira allo sviluppo congiunto di un progetto di ricerca che porti alla crea-zione di una linea di prodotti per diabe-tici ma anche alla produzione di mar-mellate e dolci da vendere sul mercato “normale”. Un punto di partenza, per-ché gli spazi di collaborazione sono mol-to più ampi.

Il progetto di “Unità agrobiologia” dell’Alp (Associazione Lucani di Paysan-dù) incentra su un’area di 30 ettari un progetto di sistema integrato di produ-zione organica. Anche in questo caso un progetto di studio per ‘biocontrolla-re’ naturalmente le malattie e le pesti di vegetali ed animali e migliorare le pro-duzioni agrarie rafforzando, sempre in modo biologico, le qualità. Con risulta-ti positivi anche sotto l’aspetto lavorati-vo. “Obiettivo dell’iniziativa non sono tan-to i vantaggi di natura economica e tec-nica, ma si è pensato - spiega la consu-lente dell’Alp, Maria Acuna - soprattutto ai risultati “sociali” del progetto e cioè al-l’impatto positivo che la sua realizzazione avrebbe sulla disoccupazione, giovanile e non”. ANGELA REMOLLINO

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ENTREPRENEURIAL IDEA: THEIR

PROJECT AIMS TO CREATE A PRODUCT

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DIABETES, WHICH ALSO INCLUDES

JAMS AND SWEET THINGS.

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La Madonna di Viggiano.Patrona e Regina delle genti lucane

ENZO V. ALLIEGRO

The Sanctuary of “Our Lady of Viggiano” is one of the most important spiritual and religious centres in Basilicata.Enzo Alliegro, professor of Anthropology at the University “Federico II” of Naples, tells the legend of its foundation and some historical reconstructions, and underlines the importance of the devotion to Our Lady of Viggiano for Lucanian emigrants, even abroad; because of the changes of the folk society, this devotion also underwent significant changes.

La leggenda di fondazione del cul-to della Madonna di Viggiano ci infor-ma, secondo un linguaggio immediato e a tinte forti, della nascita del pellegrinag-gio e del Santuario. Essa, in effetti, ripro-pone un modello assai diffuso secondo il quale il rituale, ovvero il pellegrinaggio che si festeggia oggi, è la riproposizione di un’azione archetipale già compiuta in illotempore. Posto che le cose sono an-date in questo modo, a noi, oggi, il com-pito di seguire quel modello sacro.

Fin qui la leggenda. Ma veniamo alla storia, la quale, in

molti casi, si è fatta strada non alternati-vamente alle credenze popolari, semmai integrandole nel tentativo di fornire una ricostruzione che non eludesse il sub-strato tradizionale, semmai lo rinvigoris-se. Secondo alcuni, dunque, è sembra-to plausibile ritenere che la statua della Madonna sia stata ritrovata in una buca sul monte (buca posta alle spalle dell’al-tare e tuttora visibile), dopo che era sta-ta venerata, nella città di Grumentum, sin dagli albori del Cristianesimo (Cfr. B. La Padula, Viggiano e la sua Madonna, Po-tenza, 1968).

Secondo altre ricostruzioni, e si trat-ta di quelle maggiormente accreditate, la Madonna è stata ritrovata sul monte in quanto era stata lì nascosta dai monaci basiliani con lo scopo di difenderla dal-l’iconoclastia saracena (su questi aspet-ti cfr. I. Santangelo, Apostolato Mariano, in

E. V. Alliegro e V. Prinzi (a cura di), Don Francesco Romagnano. Parroco-Rettore del Santuario di Viggiano. La sua Chiesa, la sua Basilicata, Potenza, Ermes, 2003, pp. 143-160).

Di certo, ci è dato far risalire il cul-to, secondo una importante scoperta di Valeria Verrastro che ha provvedu-to a retrodatarne l’avvio, almeno al giu-gno del 1393 quando, certo Tomma-so Bono Iurno di Viggiano, assegnò alla Chiesa di S. Maria del Monte dieci gra-na pro luminaris (cfr. V. Verrastro, Con il bastone del pellegrino attraverso i Santua-ri Cristiani della Basilicata, Matera, Altri-media Edizioni, 2000, p. 281).

Secondo Giovanni Colangelo, Ni-cola Tommasini, Giovanni Tramice, stu-diosi che hanno dedicato al Santuario di Viggiano importanti approfondimenti, è accertato che il culto fosse piuttosto dif-fuso già intorno agli inizi del 1500 quan-do, della chiesa di Santa Maria del Mon-te di Viggiano, si occupò papa Giulio II.

Al secolo successivo, invece, pre-cisamente al 9 novembre del 1618, ri-sale una importante relazione ad limi-na del vescovo di Marsico Nuovo Ti-moteo Caselli, dalla quale si apprende della presenza di una chiesa “Santa Ma-ria del Monte, che si sosteneva con pro-prie rendite ed elemosine, servita da tutti il clero di Viggiano” (Cfr. G. A. Co-langelo, Il Santuario di Viggiano, Ed. Osan-nna, 1984, p. 9). 8

LA LEGGENDA DI FONDAZIONE DEL SANTUARIO

Si racconta che alcuni pastori videro, in una calda notte di luglio, sulla cima del monte di Viggiano, una fiamma talmente intensa che illuminava l’intera

vallata. Accorsi sul luogo, in seguito ad una lunga scalata, della fiamma nessuna traccia. Datene notizia alle autorità ecclesiali, il popolo si recò nuovamente sulla vetta dove trovò, nel punto dove era stata vista la fiamma, una splendida statua. Innanzi a tale

prodigio la popolazione decise di erigere sul monte una chiesa per ospitare il simulacro ritenendo che fosse quello il modo migliore per onorare la Vergine. Finiti i lavori di costruzione e posta la statua sull’altare, ecco, però, un nuovo fenomeno sorprendente

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ed insolito: la statua venne vista dai presenti trascinata da una mano invisibile fuori dalla chiesa, e condotta a Viggiano, dove venne appositamente eretta una splendida chiesa. Trascorsi alcuni mesi, la popolazione ritenne che dovesse essere il paese la sede

della Madonna. Tuttavia, la prima domenica di maggio, la statua si sollevò nuovamente, per recarsi sulla vetta dove era stata ritrovata.Era chiaro, dunque, che la Madonna avesse dato delle precise indicazioni, vale a dire che intendesse trascorrere alcuni

mesi all’anno, sulla vetta del Sacro Monte, altri, in paese. Di intesa con il vescovo, la popolazione decise che la prima domenica di settembre la statua sarebbe stata condotta processionalmente a Viggiano, mentre la prima domenica di maggio sarebbe stata ricondotta sul Monte.

PAPA WOITJLA INCORONA LA MADONNA DI VIGGIANO REGINA DELLE GENTI LUCANE

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Il Santuario di Viggiano, al di là delle diatribe storiografiche circa le sue origi-ni, costituisce, oggi, sicuramente uno dei centri di spiritualità e di fede mariana più importanti della Basilicata e dell’in-tero Mezzogiorno. Ogni anno, la prima domenica di maggio e settembre, esso è meta di migliaia di pellegrini che vi giun-gono dall’intera Basilicata e da varie pro-vince limitrofe.

Quante storie di disperazione, di povertà, di bisogni, si potrebbero scrive-re se solo si riuscisse a carpire i segreti di tante madri addolorate che vi si sono recate negli anni della guerra e del do-poguerra.

Quanti aneliti di speranza, quanti desideri di riscatto e di emancipazione si potrebbero ascoltare se solo si riuscisse a dare voce a quella moltitudine di cor-regionali che decisero di lasciare la Basi-licata per andare a vivere altrove e che proprio nello sguardo della Madonna di Viggiano trovarono, come essi stessi ri-cordano, protezione e guida.

È, indubbiamente, attraverso gli oc-chi che i pellegrini lucani hanno costrui-to un legame particolarissimo con la loro Madonna.

È con i propri occhi arrossati, appe-na commossi, o in lacrime, che si sono rivolti i migranti lucani alla Madre di Dio per richiedere, qui ed altrove, prote-zione.

Da Melbourne, il 18 dicembre 1963, un emigrato lucano nel rivolger-si al compianto Rettore del santuario,

don Francesco Romagnano, tra l’altro, scriveva: “Vi ringrazio per la veduta della chiesa, molto bella, e per l’immagine della Madonna, sia lei la nostra guida”; mentre il 29 agosto 1954 un contadino origina-rio di Accettura, da Nottingham, non mancava di precisare: “Dono alla SS. V. del Monte di Viggiano una Sterilina, avendo-mi salvato dalla miseria, concessa la gra-zia di farmi emigrare in Inghilterra; sono lieto e sarò sempre devoto alla SS. Vergi-ne di Viggiano”.

Eppure quegli occhi che hanno ras-sicurato contadini e pastori in cerca di riscatto e desiderosi di emigrare, sono gli stessi che hanno incrociato lo sguar-do orgoglioso e fiero di tanti lucani ri-tornati a Viggiano da varie parti del mondo, per manifestare gratitudine ed attestare riconoscenza alla Madonna per il successo raggiunto.

Da quando, nel secolo scorso, si ri-teneva che proprio negli occhi si con-centrasse una forza mistica che permet-teva ai pellegrini di scorgere la Madonna “in vari aspetti, ora benigna, ed amabile, or maestosa, e severa; ora pietosa, or fulmi-nante; ora scherzevole, ed ora terribile” di mutamenti ne sono sopraggiunti tanti.

L’opera di evangelizzazione svolta dalla Chiesa (cfr. E. V. Alliegro, Processi di trasformazione di pratiche religiose parti-colari, in Bollettino Storico Della Basili-cata, n. 17, 2001, pp. 139-181), da Mon-signore Rocco Pellettieri nella prima metà del Novecento; da don France-sco Romagnano tra gli anni Cinquanta

e gli anni Novanta; dal 1993 dall’attuale Rettore don Paolo D’Ambrosio, ha fat-to sì che la religiosità sia stata depurata da una serie di aspetti tradizionali poco consoni ai tempi moderni.

Questo significa che i lucani dimo-ranti oggi all’estero, dove, tra l’altro, si svolgono i festeggiamenti mariani del-la prima domenica di settembre, trove-rebbero difficoltà nel riconoscere i pel-legrinaggi così come hanno luogo nei nostri giorni.

Molte cose, infatti, sono cambiate. Le contadine che si percuotevano il

petto sono scomparse, così come quel-le che entravano in chiesa strisciando la lingua sul pavimento.

Del resto, sempre meno sono le donne che raggiungono la vetta scalze e quelle che si lasciano andare a com-portamenti isterici, così come in decli-no sono i gruppi di zampognari e i “cin-ti” (castelletti votivi costruiti con cande-le appositamente decorate e poi dona-te al Santuario quale richiesta di grazia o per grazia ricevuta).

Quello che, sicuramente, è rimasto invariato, è lo sguardo della Madonna, quello che i lucani, ovunque nel mondo, tuttora ricordano.

Lo stesso sguardo che il Som-mo Pontefice, Giovanni Paolo II, ebbe modo di ammirare in occasione del-la sua visita in Basilicata nel corso della quale, il 28 aprile 1991, incoronò la Ma-donna di Viggiano, riconfermandola Pa-trona e Regina delle Genti Lucane. =

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Ritorno

Oh cchi di dolore mi sent

Ch’ aggià lasciare Maria

Ti prego Maronna Maria

Fammi restare cu te

Maria risponne

Io t’accumpagno

Sott’il mio manto

Ti porterò

Io mo mi nni vao

E nu saccio che ti lascià

Ti rico l’Ave Maria

Statti bbona Maronna mia

Maria risponne

Io t’accumpagno

Sott’il mio manto

Ti porterò

Io mo mi nni vao

E nu saccio si ritorno

Ma si Maria non torn

Nun ti scurdare ri me

Maria risponne

Io t’accumpagno

Sott’il mio manto

Ti porterò

Io mo mi nni vao

ma rietr l’ombra mia

veo te Maria

che mmi ven’accumpagnà

Maria risponne

Io t’accumpagno

Sott’il mio manto

Ti porterò

Andata

Iamm’ a lu Mont

A truvare la Reggina

Le vugli sta vicini

Che gioia che sarà

Pi mmare e pi terra

Si numminata tu

Maronna ri Viggiano

Si chiena ri virtù

Quanti mi siembri bella

Cu st’uocchi a sigguardà

Si Madre e Virginella

Tutta chiena ri santità!

Pi mmare e pi terra

Si numminata tu

Maronna ri Viggiano

Si chiena ri virtù

Maria si rallegra

Quann sente a nui cantà

La santa lutania

E lu rusarie a rricità

Pi mmare e pi terra

Si numminata tu

Maronna ri Viggiano

Si chiena ri virtù

Tre vote ngiri

Attuorn’ a sta cappella

Vergine bella

Vienimm’aprì

Pi mmare e pi terra

Si numminata tu

Maronna ri Viggiano

Si chiena ri virtù

CANTO POPOLARE

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CARLO GESUALDO FROM VENOSA, ILLUSTRIOUS MADRIGALIST OF THE 16TH CENTURY AND MASTERLY INTERPRETER OF “SACRED” MUSIC AS WELL, IS A CHARISMATIC AND INGENIOUS FIGURE IN THE FIELD OF MUSIC. A “PARODIST OF THE IMPOSSIBLE” WHO, HOWEVER, HIDES FROM THE MAJORITY OF PEOPLE A SOUL FULL OF DESPAIR, LIKE THAT OF “WHO TRIED TO EXPIATE HIS MISDEED BY ELEVATING HIS ‘MOANS’ TO A MILKY WAY MIRRORED IN THE PUDDLE OF HIS AGE”. GESUALDO’S MUSIC IS, THUS, UNMISTAKABLE, IT CROSSES TIME AND CONTINUES, EVEN AFTER FOUR CENTURIES, TO “UPSET” THE SOULS WITH ITS CHARACTERISTIC ALTERNANCE OF TONALITIES, UNUSUAL CHROMATIC SHAPES AND ITS “MELANCHOLIC AND DESPERATE VOICES, FULL OF MYSTERY”. THIS IS THE DESCRIPTION ROCCO BRANCATI GIVES OF THE PRINCE OF VENOSA, WHO HAS BEEN CHOSEN AS A SUBJECT FOR A FILM THANKS TO HIS CHARISMA AND HIGH VALUE AS AN ARTIST. THE FAMOUS DIRECTOR BERNARDO BERTOLUCCI WILL MAKE THIS FILM TO PAY TRIBUTE TO THIS GREAT MUSIC MAESTRO WHOSE MEMORY IS RIGHT AND FAIR AND MUST REMAIN INDELIBLE IN THE MINDS OF US ALL.

ROCCO BRANCATI

Non potete negare… al suo destino le vostre lacrime (Goethe).

Quattro secoli sono trascorsi dalle vicende umane di Car-lo Gesualdo. La sua musica (l’esperienza rivoluzionaria dei suoi madrigali a 5 voci) tormentata e visionaria, è stata “riscoper-ta” solo dopo la seconda metà del XX secolo grazie ad Igor Stravinsky.

Fu il musicista russo a togliere dall’oblio uno dei personaggi più inquietanti dell’intera storia della musica. Stravinsky gli de-dicò addirittura un Monumentum (rielaborando tre madrigali del principe) e lo definì “uno dei più personali ed originali mu-sicisti mai nati alla mia arte”.

Parlando agli studenti dell’Università di Harvard, nel mag-gio del 1940, lo stesso Stravinsky invitò a seguire il “mirabile consiglio” di Verdi: “Torniamo all’antico e sarà un progresso”.

Ciak di Bertolucci su GesualdoFinalmente, dopo anni di attesa sarà dedicato proprio a

Carlo Gesualdo il nuovo film del regista Bernardo Bertoluc-ci. Il film, ambientato nella Napoli della fine del ‘500 ma anche a Venosa, Gesualdo e Conza dovrebbe intitolarsi Heven and Hell. “Sarà un film molto costoso - ha annunciato il regista - e per questo, purtroppo, lo dovremo girare in inglese, visto che dovrà essere venduto in tutto il mondo”.

Bertolucci ha confermato che la vicenda prenderà le mos-se proprio dal viaggio di Igor Stravinsky a Gesualdo e a Veno-sa, quando venne in Irpinia e in Basilicata per capire chi fosse l’autore di quella musica così astratta e moderna.

Da questo “incipit” il film racconterà la vita del musicista, fi-glio di una delle più nobili famiglie napoletane e della sua sto-ria d’amore con Maria d’Avalos, sua cugina, considerata la più bella donna di Napoli. Tradito da lei, il principe fu costretto, la notte tra il 16 e il 17 ottobre del 1590, ad ucciderla insieme al suo amante, il duca d’Andria Fabrizio Carafa.

Nel 1996-97 Bertolucci cominciò a pensare seriamente al film sul Principe di Venosa sulla scorta di alcuni manoscrit-ti (p.es. gli Atti della Vicaria sul duplice assassinio) consultati dal critico cinematografico Marcello Garofalo nella Biblioteca na-zionale di Napoli. Diede quindi l’incarico a suo cognato, lo sce-neggiatore Mark Peploe di cominciare a pensare al nuovo sog-

Gesualdoun musicista “sacro”

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getto cinematografico in-centrato su una storia di passioni e di tradimen-ti, di furore e di sangue consumata quattrocen-to anni fa.

A distanza di circa sei anni si sono fatte avanti nuove idee che si incrocia-no. Perché il cinema è spes-so fatto proprio di propo-ste che si accavallano. In que-sto momento sono almeno cin-que e convergono quasi tutte sul-le straordinarie incursioni della mu-sica gesualdiana nella modernità. “In-ferno e paradiso” di Bertolucci non sarà certamente un “polpettone in costume”. Dal regista delle ricostruzioni grandiose bisogna aspettarsi una Napoli con i profumi di gelsomino e i fe-tori di sterco, un affresco storico della città più grande d’Euro-pa (dopo Parigi); simile proprio a quella Parigi di “Notre Dame de Paris” di Victor Hugo.

I “precedenti”Il film di Bertolucci seguirà il documentario “Death for five

voices” di Werner Herzog girato alcuni anni fa e presentato proprio a Napoli al “Prix Italia” dove vinse una sezione dedi-cata alla produzione televisiva. Qualche anno prima di Herzog era stato Klaus Lindemann a proporre una interpretazione te-levisiva, e in chiave paradossalmente contemporanea, delle vi-cende umane di Carlo Gesualdo.

Nel 1995 (la “prima” a Vienna il 26 maggio) fu invece Al-fred Schnittke a proporre un’Opera “in un prologo, sette sce-ne e un epilogo”. Gesualdo di Schnittke (al pari di Bertolucci) fu anch’esso il frutto di una incubazione. Lo stesso composito-re ha spiegato come sia giunto a realizzare un’opera sulla vi-cenda del grande madrigalista “quando mi sono imbattuto nel soggetto di Gesualdo e mi sono accorto che era come se lo avessi aspettato tutta la vita.

Ci sono molti modi di realizzare teatralmente un progetto del genere, ma di particolare interesse per me è la combina-

zione di elementi sacri e faceti”. Anche la let-teratura si è occupata di Gesualdo. Negli ul-timi anni vanno citati due romanzi: “Testimo-ne nell’ombra. Il giardino degli orrori di Gesualdo da

Venosa” di Michel Brietman (Ed. Sugarco, Milano, 1986) e

il recentissimo “Gesualdo” di Jean Marc Turine (ed. Benoit

Jacob, Paris, 2003). In prece-denza c’era stato Alberto Con-

siglio con il suo “Gesualdo: ovvero assassinio a cinque voci, storia tragica

italiana del secolo XVI” (ed.Berisio, Na-poli, 1967).

La nascitaDel principe di Venosa (erroneamente considerato napo-

letano e nato intorno al 1560) si conoscono oggi il luogo e l’esatta data di nascita, grazie a due preziosi documenti custodi-ti nell’Archivio Borromeo della Biblioteca Ambrosiana di Mi-lano. La prima lettera è di Girolama Borromeo madre di Car-lo e moglie di Fabrizio Gesualdo ed è indirizzata al fratello Carlo Borromeo. Porta la data (Venosa, 21 febbraio 1566).

Con questa lettera Girolama (o Geronima) annuncia al fratello la sua imminente maternità e l’intenzione, in caso che il nascituro fosse stato maschio, di chiamarlo Carlo per amo-re di V.S.I.a”. La seconda lettera è di Pietro Posterla o Puster-la (è datata Roma, 30 marzo 1566), persona di fiducia di Car-lo Borromeo, che faceva la spola, per conto dello stesso Arcive-scovo di Milano, tra Roma, Venosa e Gesualdo ed altre locali-tà dove i Borromeo avevano interessi ecclesiastici, politici, eco-nomici o familiari.

La lettera indirizzata a Carlo Borromeo è costituita da due fogli e tratta di varie questioni ecclesiastiche e patrimoniali che potrebbero anche risultare interessanti, se fosse più leggibile. La notizia che riguarda la nascita di Carlo Gesualdo è, però, leggibilissima, e si trova dalla 6° alla 9° riga del fronte del se-condo foglio. 8

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In conclusione: Carlo Gesualdo, principe di Venosa nacque certamente l’8 marzo del 1566 e con molta probabilità (a fron-te di altri documenti per il momento sconosciuti) a Venosa, nel castello “Pirro del Balzo” dove il principe Fabricio e Donna Je-ronima si erano fermati 15 giorni prima del parto.

Un musicista “sacro”Carlo Gesualdo è un musicista sacro, con tutto ciò che di

impuro e profanante il termine può significare. Troppo a lun-go, parlando di lui, in questi ultimi quattro secoli, ci si è fermati sul termine “musicista assassino” che ridusse l’importanza del-la sua opera, ponendo in secondo piano il geniale compositore di madrigali a cinque voci rispetto alla biografia piuttosto tur-bolenta del personaggio.

Ma dietro il “parodista dell’impossibile” (secondo una defi-nizione di Richard Wagner) c’è la disperazione di chi tentò di espiare la sua colpa elevando i suoi “lamenti” verso una vita lat-tea riflessa nella pozzanghera della sua epoca.

“O vos omnes” (attribuita ai “Lamenti di Geremia”) : “O voi tutti, che passate per questa via, fermatevi a vedere se esiste dolore al mondo simile al mio dolore”, sembra essere uno dei testamenti spirituali di Carlo Gesualdo.

L’angoscia di un santo diventato diavolo, un diavolo co-stretto a vagare sotto un cielo vuoto in quella “palude definiti-va” del peccato eterno (stipendium vitae mors est). Ma, in Ge-sualdo, l’inferno si sconta ogni giorno. Come interpretare i suoi

Un master in musica del tempo di Gesualdo all’Università di BasilicataTra le priorità per l’affermazione culturale della Basilicata ricordate da Claudio Abbado nell’ottobre scorso, durante il conferimento della laurea honoris causa da parte dell’Università di Potenza, la più urgente è la valorizzazione della figura di Carlo Gesualdo da Venosa. Abbado ha esortato le forze culturali della regione a lavorare insieme per la completa riscoperta della musica di Gesualdo. Le reazioni sono state estremamente positive. Ateneo Musica Basilicata e l’Università di Basilicata hanno dato vita all’Istituto di Studi Gesualdiani e la Regione Basilicata dovrebbe in tempi brevi acquisire una intera biblioteca privata americana, con migliaia di volumi specializzati in arte e musica nel Rinascimento italiano. La novità più rilevante è l’istituzione da parte dell’Università di un Master biennale di I livello in Musica rinascimentale e barocca, il primo in Italia che unisce musica pratica allo studio teorico, e che consentirà a 40

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“lamenti” se non immersione, esaltazione e, sotto certi aspet-ti, affascinante disprezzo della vita? Siamo di fronte al concet-to lucreziano sui presunti castighi infernali dei grandi peccato-ri: Quae finguntur paenae Sispho et Tantalo sunt hae quae viven-tes ferimus (le pene immaginate per Sisifo e per Tantalo sono quelle che sopportiamo in vita).

La musica di Gesualdo sconvolge gli animi. A volte sono visioni apocalittiche, paure bibliche, canti non ancora requiem ma già polifoniche esaltazioni dell’aldilà. Dopo quattro secoli la musica del principe di Venosa continua a sconvolgerci. Colpi-sce quell’alternanza di voci, quel suo modo di raccontare utiliz-zando forme cromatiche inconsuete.

È tra un suono e l’altro delle sue voci che si rincorrono e si inseguono che la vita appare e svanisce. Nel turbinio dei secoli la musica di Gesualdo si riflette come su uno specchio defor-mato e ripropone all’infinito la sua immagine. Sono voci malin-coniche e disperate, piene di enigmaticità perché hanno varca-to la soglia dello spazio e del tempo.

Soprattutto le Sacrae Cantiones del principe, canti liturgici solitamente alternati tra un solista e il coro (partiture custodi-te dai Girolamini a Napoli) interpretano la comunicazione tra il divino e l’umano. Ma scrive Gorge Steiner, grande “cultore” di Gesualdo, nel suo “Errata”: “la musica è, in qualche modo, estranea all’uomo. Usando il termine senza giudizi di valore, si può dire che la musica prende forma da una fondamentale di-sumanità o non umanità”. =

studenti presumibilmente non solo italiani di frequentare a Potenza le lezioni di canto antico, liuto, viola da gamba, flauto, clavicembalo, violino e musicologia tenute dai migliori maestri d’Europa. Il presidente dei corsi e dell’Istituto di Studi Gesualdiani sarà Abbado. Per garantire tale livello è stata richiesta la collaborazione istituzionale della Schola Cantorum Basiliensis in Svizzera, la più prestigiosa accademia di musica antica del mondo, dove insegna gran parte dei docenti invitati a Potenza (tra gli altri Hopkinson Smith, Chiara Banchini, Daniela Dolci, Jesper Christensen). La Regione Basilicata mette a disposizione borse di studio per consentire la frequenza di corsi che possono essere considerati tra i più qualificanti a livello europeo. Il bando per l’ammissione al Master sarà pubblicato in aprile e prevede una serie di materie quasi inesistenti in Italia (analisi del repertorio antico, basso continuo, filologia musicale) e inoltre seminari e laboratori (danza antica, drammaturgia e gestualità, videoscrittura musicale al computer). I corsi consentiranno un doppio indirizzo: pratico concertistico (per coloro già molto avanzati nella pratica di uno strumento antico) e musicologico

(per studenti provenienti da corsi teorici universitari interessati alla ricerca). I migliori esecutori potranno partecipare da subito alle rassegne concertistiche, mentre gli studenti dell’indirizzo musicologico potranno collaborare ai progetti di ricerca ed editoriali, come l’Edizione Nazionale delle Opere di Gesualdo che ha già ottenuto l’alto patronato del Presidente della Repubblica. Coronamento di queste attività sarà il festival stabile Tracce dedicato a “Gesualdo oggi”, progetto speciale del dipartimento Cultura della Regione Basilicata coordinato da Ateneo Musica Basilicata, che si svolgerà da giugno ad ottobre, tra Lagopesole, Potenza, Matera, Maratea, con la partecipazione della Cappella della Pietà dei Turchini diretta da Antonio Florio, l’integrale del I libro dei Madrigali di Gesualdo eseguita dal Concerto delle Dame di Ferrara diretto da Sergio Vartolo e infine il ritorno di Claudio Abbado con un progetto artistico che vede la presenza di un complesso di strumenti antichi dell’isola di Cuba, l’Ars Longa, con musiche del vecchio e nuovo mondo.

Dinko Fabris

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È una danza che si fa pensiero, parola, movimento, attra-verso l’intima unione di scritture coreografiche e composizioni musicali, che si evolvono e fondono insieme grazie alla intensa collaborazione creativa di danzatori e musicisti.

Definite come “un fiume in piena che già reca in sé il bi-sogno di un argine che ne disciplini il corso”, le produzioni di Francesco Scavetta, il coreografo cosmopolita di origini luca-ne, si caratterizzano per una personale ricerca sul movimen-to e sulle possibilità di “raccontare”, con una costante curiosità per gli elementi provenienti da altre forme d’arte.

“Suoni, rumori, canti e parole si compenetrano, si genera-no l’un l’altro in una drammaturgia uditiva che azzera il tradi-zionale dualismo parola-musica”.

È il trionfo di una costante e ossessiva sperimentazione ar-tistica, i cui frutti hanno già fatto il giro d’Europa. La compagnia Wee, creata ad Oslo nel 1999 dal danzatore, originario di Ga-raguso in provincia di Matera, e dalla danzatrice Gry Kippe-berg, è di fatto una vera fucina di creatività internazionale. Im-portanti negli ultimi anni le collaborazioni di artisti di Norve-gia, Italia, Francia, Giappone, e il proficuo rapporto con com-positori come Bjorn Klakegg, Daniel Bacalov, Nils Setter Mol-vaer, Reidar Skar e Jon Balke, autori delle musiche originali de-gli spettacoli. Insieme con loro, Scavetta ha creato “un mondo immaginario, un funny dream, strano, poetico e sorprendente”. Francesco Scavetta, classe 1966, inizia a studiare danza all’età di 15 anni. Prosegue gli studi all’Accademia Nazionale di Danza e si laurea in Storia del Teatro e dello Spettacolo a “La Sapien-za” di Roma, perfezionandosi anche in Scienze della Comuni-cazione. Mantiene vivo il suo rapporto con la terra delle origi-ni, andando spesso a Garaguso, paese del padre, dove incontra con piacere amici e parenti. Importante per la sua formazione l’incontro con coreografi e maestri come Adriana Borriello, Anne Teresa de Keersmaeker, Giorgio Rossi della Sosta Pal-mizi, Lans Gries, e Dominique Dupuy.

Targato 1996 il primo incontro con gli artisti norvegesi du-rante una tournée con la compagnia toscana “Sosta Palmizi”: di qui la nascita del sodalizio e la creazione della compagnia in un paese che offriva, e che continua ad offrire, molte più op-portunità dell’Italia.

“Dalla Norvegia vengono tutte le basi produttive – ha detto Scavetta - e in Italia, poi, non è possibile fare danza, il settore è in una situazione davvero difficile, molti coreografi italiani sono pre-cari oggi, più o meno come ieri”. Crisi e precariato non solo per la danza, ma per tutto il settore dello spettacolo 8

il volo magico di Francesco Scavetta FOR FRANCESCO SCAVETTA, BORN IN 1966 WITH ORIGINS FROM GARAGUSO, DANCING IS THE ONLY REASON TO LIVE. AFTER HIS OFFICIAL DÉBUT IN OSLO AT THE “BLACK BOX THEATRE” WITH HIS FIRST NORWEGIAN WORK “DADDY ALWAYS WANTED ME TO GROW A PAIR OF WINGS” (1998), THE COSMOPOLITAN CHOREOGRAPHER HAS CONTINUED TO PRODUCE SHOWS WHICH WENT ROUND EUROPE. THE ANARCHIST SCAVETTA, APPRECIATED BY CRITICS AND PUBLIC, IS NOW ENGAGED ON HIS LAST WORK “Z”, UNDER TITLED “I LOVE YOU HONEY BUNNY”, THE PREMIÈRE OF WHICH WAS PRESENTED IN ITALY.

IVANA INFANTINO

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TeatroBasilicataRicco di appuntamenti il cartellone della stagione teatrale 2004 dell’Associazione Basilicata Spettacolo. Dalla prosa, alla ricerca, al teatro-ragazzi, ai numerosi interventi su altri linguaggi (cinema, musica, danza), per un totale di 250 spettacoli teatrali e 300 eventi, distribuiti su tutto il territorio regionale, per una media annua di circa 55 mila spettatori. Dedicata alle produzioni teatrali “lucane”, una specifica rassegna del cartellone Abs “Sipario Sud”. Tra le produzioni targate 2004 “La porta delle stelle” della drammaturga ferrarese Cristina Gualandi, regia di Massimo Lanzetta, della compagnia materana “Il Teatro

dei Sassi” (Direttore artistico/Presidente Massimo Lanzetta), e “Contadini del sud”, di Giovanni Russo e dell’attore e regista Ulderico Pesce, del “Il Centro Mediterraneo delle Arti” (Direttore artistico Ulderico Pesce/Direttore organizzativo Elisabetta Brigante). Numerose le produzioni delle due compagnie, una materana e l’altra potentina, che da anni operano nel settore con successo. Ha infatti ottenuto la menzione speciale della Giuria Internazionale della XV° edizione del “Premio Strega Gatto 2000/2001”, “La storia dei mille giuramenti”, lo spettacolo, scritto e diretto da Massimo Lanzetta, nato dalla collaborazione con l’associazione materana di medici volontari “Tolbà”. Grande successo di critica e di pubblico anche per “La rivolta della Madonna

FRANCESCO SCAVETTAPH. FLORINDO RILLI

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in Italia, dove l’Agis, sulla spinta dei suoi settemila associati, ha aperto, nei mesi scorsi, una “Vertenza Spettacolo” per i disagi e gli scontenti delle varie categorie (imprese del cinema, del-la musica, del teatro, dell’editoria e dello spettacolo) che da tempo reclamano l’approvazione di provvedimenti adegua-ti a fronteggiare la crisi di una delle più grandi ed importan-ti industrie italiane.

Il debutto ufficiale ad Oslo per Scavetta, risale al 1998 nel “Black Box Theater” con Daddy always wanted me to grow a pair of wings, accolto da un grande successo di critica e di pub-blico. Nel 1999 la Wee presenta in forma di studio al Festival Internazionale Inteatro di Polverigi A tiny grin.

degli Angeli”, del drammaturgo Mimmo Sammartino, regia di Ulderico Pesce, protagonista con Maria Letizia Gorga, che ha riportato alla luce una pagina di storia dimenticata, i moti carbonari del 1821/22 a Calvello, sapientemente recuperata dall’autore attraverso la lettura delle pagine del diario di Michelina Battaglia, una lucana contemporanea agli avvenimenti. Sempre in “Sipario sud” anche l’ultima produzione di teatro-danza dell’ “Albero di Minerva” (Direttore artistico Lucia di Cosmo/Presidente Mariangela Corona). Una storia, avvolta nel mistero della licantropia, e una donna-lupo, interpretata dalla giovane danzatrice Simona Pett, responsabile del tremendo assassinio del suo amante. “Male di luna” di Lucia di Cosmo e Mariangela Corona, ha affascinato il pubblico con le splendide performances di Vladimir Luxuria,

Un duo d’eccezione, accompagnato dal pianista Jon Balke, è invece la nuova formula di A Sudden, Unexpected Faint del 2000, che ha debuttato al Festival Internazionale Inteatro di Pol-verigi, poi al Festival Internazionale DanseM di Marsiglia.

“Può essere stato il bisogno d’intimità che mi ha spinto a la-vorare in “duo” e a raccontare una piccola storia sull’Epifania e le Metamorfosi - ha detto Scavetta - una storia di humour, di fragi-lità con una danza acrobatica come una carezza”.

In collaborazione con “Tuscania Teatro” e in co-produzio-ne con il “Black Box Theater” nel 2001 la Wee realizza August. Some stories about my father’ wish.

Da Cagli a Bergen, a Oslo, a Trondheim, a Venezia, Live, la performance nata nel 2002 dall’incontro tra il coreografo e il compositore Luigi Ceccarelli (vincitore del Premio Ubu), in occasione del progetto Nuove creazioni La Biennale di Venezia - Commissioni di danza e musica per il 2001, ha fatto il giro del-l’Europa. In scena un assolo in cui “la presenza del danzatore si riverbera nella musica dal vivo di Luigi Ceccarelli”, e nei suoni del clarinettista Paolo Ravaglia, “per moltiplicarsi nella vertigine elettronica del video”. La triangolazione tra telecamere e mo-nitor, insieme alla sovrapposizione di diverse sorgenti di imma-gini, crea infatti vari livelli di realtà. Una specie di corto circuito nella trasmissione delle immagini che giustappone/mischia rea-le e pensiero, allucinazione e memoria, come un flusso conti-nuo di interferenze. Una sorta di viaggio carico di senso psichi-co, in cui è affidata al pubblico la scelta dell’approdo, mai uguale per tutti perché basata su percezioni individuali.

Spettacolo dal vivo in Basilicataverso una nuova legge

Dopo quasi vent’anni dall’ultimo intervento nel setto-re, la L.R. n. 22 del 1988, sulle “Norme per la programma-zione e lo sviluppo delle attività educative e culturali sul territorio regionale”, una nuova proposta legislativa appro-da fra i banchi delle commissioni regionali.

Obiettivo della proposta sulle “Norme sullo spettacolo dal vivo”: “razionalizzare e definire gli strumenti dell’inter-vento pubblico a favore dello spettacolo, e gli incentivi per la partecipazione dei privati al finanziamento delle attività culturali”. Presentato su iniziativa dei consiglieri Sabino Al-tobello, Egidio Mitidieri e Antonio Pisani l’intervento mira a predisporre indirizzi generali che favoriscano la produzio-ne e la diffusione dello spettacolo dal vivo, anche attraver-so l’estensione “della produzione, dell’offerta e del consu-mo, soprattutto in quelle aree espressive ignorate o trascu-rate dal mercato”.

Saranno quindi tutelate le culture “minori”, dai dialetti alle avanguardie, dalle memorie storiche locali alla ricerca e alla sperimentazione.

Previste infine azioni “indirizzate alla crescita ed al raf-forzamento di quelle esperienze produttive che intendono costruire un progetto culturale stabile e qualitativamente significativo” e misure di sostegno per i giovani e le don-ne. (Ivana Infantino)

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protagonista, e di Riccardo di Cosmo, primo ballerino del Teatro dell’Opera di Roma. In programma invece nella rassegna “Soli” (teatro di ricerca) dell’Abs, “Liombruno”, l’ultimo lavoro dell’Officina Accademia Teatro (Direttore artistico Pino Quartana/Presidente Sandro Bianco), di Sandra Bianco, musiche di Rossella Clementi, elaborazione multimediale Miguel Angel Giglio, per la regia di Pino Quartana, in scena anche al teatro “El Imperdible” di Siviglia e alla “Murcia Spagna Escuela Of. de Idiomas”. Alle prese con la realizzazione di “Sotto sopra”, per la regia di Giulia Gambioli, i 6 attori e 2 tecnici della compagnia teatrale per l’infanzia e la gioventù “La Mandragola teatro” (Direttore Giulia Gambioli/Presidente Angelo Montano). Protagonisti gli allievi ospiti di due case residenziali, “Demetra” di Villa d’Agri, e “Fratello

Sole” di Irsina, nell’ambito del primo progetto realizzato in collaborazione con il dipartimento di Salute Mentale della Asl n.2 di Potenza. In giro nelle scuole, lucane e non, “Qui comincia l’avventura del signor Bonaventura”. Due nuove produzioni nazionali, oltre ai laboratori nelle scuole, per “Il Centro di Drammaturgia Europeo (Presidente Salvatore Damiano/Direttore artistico Mariano Paturzo). “Bangkok” di Renato Giordano, una commedia shock sulla pedofilia, e “Odisseo” di Aurelio Gatti. In programma per l’estate la 2ª edizione del “Venosa Teatro Festival”. Fondato nel 1991 come diretta istituzione della Provincia di Potenza, il centro di drammaturgia opera nella produzione teatrale con l’allestimento di spettacoli finalizzati alla divulgazione della drammaturgia contemporanea. (I. I.)

Ultimo in ordine di arrivi “Z”, sottotitolato I love you Ho-ney Bunny, presentato in anteprima assoluta in Italia, a gennaio, per “Enzimi” in una forma “non completamente fissata”. “Mi sono preso la libertà di vedere fino a che punto si poteva spin-gere prima di trovare l’organicità giusta - ha confidato il coe-reografo Scavetta - adesso l’opera è completa, più unitaria. Ho apportato cambiamenti all’interno del movimento e nell’ordine delle cose, ora è tutto più organico e compatto”.

Dal lavoro, che ha debuttato in forma compiuta al “Bit Teatergarasjen” di Bergen a fine febbraio, emergono “i carat-teri specifici di un percorso poetico chiaro ed interessante.

Al pubblico è dato solo di “discernere i contorni, le sagome, intorno al buio che ne invade i corpi”.

Corpi che sono “presenze e buchi del campo visivo” fino a perdere completamente il discernimento tra “essere e non essere, esserci e non esserci”. In questo modo l’anarchico Scavetta, è quindi libero di giocare con le immagini sovrappo-ste di personaggi fuori scena o di danzare con le figure fisica-mente in pedana. Un modo del tutto originale di esprimersi, che sarà possibile apprezzare anche nella sua terra d’origine. Due date, una a Potenza e l’altra a Matera, nel cartellone di danza dell’Abs. =

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Territori e Realismi. Due collocazioni apparente-mente concrete per due espressioni artistiche con-temporanee. Entrambe al femminile. Entrambe gio-cate sul corpo e sull’immagine. O meglio, sulle dif-ferenti allusioni, filtrate da una radice “concettuale” non comune. Elisa Laraia, 30 anni, potentina e Mo-

nica Palumbo, 31 anni, materana. Sono le uniche artiste luca-ne invitate alla XIV Quadriennale di Roma, per la prima volta a Napoli, per l’Anteprima ospitata a Palazzo Reale dal 15 no-vembre 2003 all’11 gennaio 2004. Tra i 96 selezionati dalle re-gioni del centro sud, tra i giovani talenti in evidenza con mostre personali tenute dopo il 1990, la commissione composta dai critici Mariantonietta Picone Petrusa, Massimo Bignardi, Vital-do Conte, Riccardo Notte e Vincenzo Trione, ha individuato, in Basilicata, questi due esempi di “nuove tendenze” dell’arte di ricerca. In mostra un’opera a testa.

“La donna di picche è il joker - IV”, stampata su un foglio di pvc di 21 metri quadri, da Elisa Laraia. “Fate di me quello che vo-lete”, un’ installazione con un tavolo imbandito per sei, dove le pietanze si consumano in piatti con fondi stampati a caldo, ri-producenti fotografie di parti del corpo di Monica Palumbo. Il gioco delle carte, lo scambio di identità, la sfera delle tentazio-ni nel prato verde su cui è distesa la “megera” potentina, da un lato. Il prolungamento di altre offerte alimentari e frammenti di disvelamenti corporali, made in Matera, dall’altro.

The continuity and the choices made by the advanced point of women’s contemporary artistic production have been rewarded by critics. Two Lucanian women who mostly put their image and body under discussion emerged among 96 young talents. During the Neapolitan preview of the Quadriennal of Rome, two conceptual works by Elisa Laraia and Monica Palumbo use the interference of the languages of painting, photography and installation.

Laraia e Palumbo la Quadriennale “fa per noi”

t

PIERO RAGONE

ELISA LARAIA, LA DONNA DI PICCHE È IL JOKER

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In entrambi i casi, una messa in discussione di se stessi, to-tale, senza mediazioni, a partire dal proprio essere, dalla perce-zione di se, da come si può essere visti o immaginati e di quan-to si può osare nel “mostrare” o nel “sembrare”, intervenendo sulla propria riconoscibilità o sulla non-evidenza. Temi distinti, non sovrapponibili, trattati differentemente, affrontati secondo la propria indagine e inclinazione. Temi attuali, pregnanti, appar-tenenti ad un vissuto personale “ribaltato” alla collettività. Ed è interessante, in questa ipotesi di lettura parallela, vedere quan-to divergenti siano le influenze assimilate dalle due artiste di-plomate all’Accademia di Belle Arti di Bologna (in scenografia, la Laraia) e di Bari (in pittura, la Palumbo).

Le loro opere non si avvalgono solo dell’ausilio della foto-grafia. C’è la commistione di pittura, scenografia, performance, video, tecnologie digitali. Nei percorsi individuali è ampiamente documentata l’iniziativa e la partecipazione a momenti creativi di ampio respiro. Nazionali e internazionali per Laraia, in con-corsi, rassegne ed esposizioni commissionate da enti (vedi sito www.elisa.laraia.it). Principalmente tra Puglia e Basilicata, con il sostegno della critica e in collaborazione con l’associazione Arterìa la Palumbo.

Nei curricula la motivazione della selezione alla Quadrien-nale, tesa alla scoperta e alla segnalazione di interpretazioni va-lide sotto il profilo estetico, culturale, poetico. Gli stessi rag-gruppamenti suggeriti da Anteprima - insieme a Territori e Realismi, figuravano nell’allestimento partenopeo anche Per-manenze e Relazioni – non avevano carattere di confinamen-to o imbrigliamento in sezioni e categorie predefinite. Tentava-no piuttosto un’aggregazione di analogie, corrispondenze, ma anche dissonanze di significati e di intenzioni coltivate e prati-cate dagli artisti.

Sia nel confronto tradizione-innovazione, tra archetipi, sim-boli, codici formali e linguistici in contrasto con interattività e capacità connettive, sollecitazioni psichiche e dispersioni icono-

grafiche. Sia nella visionarietà-contaminazione, tra seduzioni del reale, comunicazione pubblicitaria, sublimazione consumistiche, distinte da ambiguità natura-artificialità, sdoppiamenti, spaesa-menti, immaterialità. Le due lucane, approdate alla Quadrienna-le anche per merito della continuità nella ricerca.

Per Elisa Laraia, il tema dell’identità è già apparso nella sua tesi del 2001 “La morte dello scambio di identità nell’arte”. È pro-seguito con le quattro edizioni di “La donna di picche è il joker” a cui ha partecipato anche Silvio Giordano, premiata nel festi-val bolognese Iceberg 2003 e acquisita in Corporarte, una rete museale di arte contemporanea promossa da aziende matera-ne e pugliesi, curata da Antonella Marino.

Una ricerca sviluppata con altri linguaggi, con mostre, instal-lazioni, performances, contaminazioni legate alla memoria e ai “non luoghi”. Un complesso itinerario mentale e artistico, ol-tre che geografico, consumato tra Bologna e Londra, Parigi, Sa-rajevo e Urbino.

Così come il corpo (in special modo il suo) è diventa-to terreno di analisi e rivisitazione del quotidiano da parte di Monica Palumbo. Lo è stato quale soggetto principale di alcu-ni video degli ultimi anni Novanta girati e montati con Mario Raele: “Riferimenti sensoriali”, “Magnetiche risonanze”, “Primi pia-ni”. Seguiti da studi alimentari e fotografici come “Polpa di don-na”, “Mangiami”, “Mi do in pasto”, un provocatorio scandaglio di flussi e ciclicità femminili, intuizioni dissacratorie, voglia di in-frangere pudori e negazioni di una società di uomini onnivori e donne spaventate.

In questo itinerario di citazioni, lontano da intenti compara-tivi, per due giovani artiste che operano in contesti così diver-sificati, e per giunta amiche, un’altra coincidenza mi pare singo-lare. Entrambe si sono fatte carico della gestione di uno spazio destinato ad incontri ed esposizioni. La Palumbo, dal 2001, ha aperto negli antichi rioni dei Sassi il Momart. Mentre la Laraia ha inaugurato a gennaio, a Bologna, l’”Orfeo Hotel”. =

MONICA PALUMBO, FATE DI ME QUEL CHE VOLETE

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ARTEflash• Fino al 2 maggio, su iniziativa della Provincia di Potenza, presso il Polo della Cultura, è aperta una mostra di pittori e scultori del potentino. La commissione, composta dallo storico dell’arte Stefano Fugazza, dal critico Laura Gavioli e dal giornalista Franco Corrado, esaminati i curricula e la documentazione presentata dagli aspiranti al concorso, ha ammesso gli artisti: Pietro Basentini, Alfonso Bavusi, Pasquale Belmonte, Alfredo Borghini, Amedeo Brogli, Cosimo Budetta, Michele Cancro, Luigi Cervone, Pasquale Ciliento, Vito Vincenzo Claps, Salvatore Comminiello, Maria Di Taranto, Federica Falabella, Anna Faraone, Antonio Genovese, Gaetano Ligrani, Donato Linzalata, Luciano Longo, Angela Manieri, Angelo Vito Masi, Antonio Masini, Arcangelo Moles, Cristiano Montesano, Vito Palladino, Minerva Ramirez, Gianvito Saladino, Mario Vasta, Enza Viceconte.

• Presso i saloni del Pontificio Seminario Minore di Potenza, in viale Marconi, 140, fino al I° maggio, si può visitare la mostra, curata da don Vito Telesca, “Rosarium Virginis Mariae - Via pulchritudinis”. Sono 71 gli artisti invitati e 85 le opere pittoriche e scultoree dedicate al Rosario, alla preghiera, alla contemplazione della bellezza e alla riflessione sui temi della pace, della luce, del dolore, della gioia, della gloria. Partecipano alla rassegna i lucani: Antonietta Acierno, Natale Addamiano,

La nostra finestra aperta sulle produzioni artistiche inter-nazionali, riconducibili a lucani o loro familiari, comincia a crea-re altre eco. Dopo l’articolo su Josè Carlos Langone, dall’Ar-gentina, ci giunge una nuova segnalazione. Via internet ci sono arrivate le immagini di alcuni quadri di una giovane artista di La Plata, in provincia di Buenos Aires. L’autrice ha 26 anni, è nata ad Alberti, (Buenos Aires), ma il suo bisnonno Michele era un lucano di Tricarico (Matera). La nonna Luisa ha avuto un unico figlio, Raul, sposato con Marta, di origini piemontesi. Da que-sta unione sono nati Yanina e Fernando. A dipingere è proprio Yanina Vanesa Russo, laureata in pittura, arti plastiche e storia dell’arte, presso la facoltà delle Belle Arti all’Università nazio-nale di La Plata, che ha mantenuto la cittadinanza italiana.

Rimanendo nel solco dell’interesse per le donne impegna-te in campo artistico, (purtroppo ancora una minoranza nel-lo sfaccettato scenario della creatività detenuto dagli uomini), dopo le affermazioni di Laraia e Palumbo alla Quadriennale, raccogliamo volentieri la possibilità di presentare ai lettori di “Mondo Basilicata” la storia di Yanina.

Dopo aver vissuto a Bragado, a circa 300 chilometri dal-la capitale argentina, dove i Russo avevano messo radici, Yani-na si è traferita a La Plata per frequentare l’università. Ha fatto la baby sitter, la commessa, l’insegnante in corsi di formazione professionale. Oltre allo spagnolo, conosce l’italiano e lo scrive correntemente. Ma la sua vera passione è per l’illustrazione e per i colori. Ha lavorato anche come cartellonista. La sua attivi-tà espositiva è cominciata nel 1999 con dipinti ad olio, per poi spostarsi sull’uso più immediato degli acrilici su tela e legno.

Yanina Russo cercare dentro per vedere lontano

Yanina Russo’s dream to go back to Italy will probably become true in May. In the meantime, by e-mail from Argentina, she talks about her grandfather from Tricarico and makes us aware of her paintings. Prizes and awards boost her curiosity for the elaboration of microscope magnifications, which become landscapes of irrational thought and fantastic worlds playing with colours.

PASQUALE BELMONTE, MARINA

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Numerosissime sono le mostre tenute principalmente a La Plata. Con partecipazioni agli “Incontri d’arte giovanile in Municipio”, le selezioni del “premio Philips per giovani talen-ti”, gli interventi di disegno, murales, architettura, incisioni orga-nizzate dall’Associazione di Artisti della Provincia di Buenos Ai-res e dall’Università. Tra le personali quelle al Grafikar, Espacio Creativo, al Banco del Sol, al Collegio de Psicòlogos, alla Casa della Cultura, a La Moneda. Ha ottenuto molte segnalazioni e apprezzamenti. È stata premiata a La Plata con la Prima Men-zione Salon Estimolo di pittura nel 2000 e con la Menzione nel Salon di Maggio nel 2002.

Numerosi i corsi di aggiornamento frequentati su: linguag-gio visuale e sociale dei murales, trucco artistico, conserva-zione del patrimonio architettonico, prevenzione del degrado ambientale, saponi artigianali. Nell’ultimo anno ha seguito un corso di lingua e cultura italiana della Società Dante Alighie-ri in Italia, un seminario di conservazione dei beni culturali e un forum su “I giovani artisti costruiscono Nostra Identità”. A maggio, spera di tornare in Italia per frequentare un master or-ganizzato dalla Regione Basilicata.

Le immagini che Yanina Russo ci ha inviato per e-mail sono solo un esempio della sua elaborazione pittorica. Gli interven-ti più recenti riguardano alcuni ingrandimenti ottenuti al mi-croscopio elettronico. Su questo tema, sulla possibilità di zoo-mare all’interno della materia, ha prodotto una serie di varia-zioni grafiche e cromatiche. I dettagli, sulla tela, sono diventati dei labirinti iperreali da animare col gioco dei chiaroscuri, del-le ombre e delle sfumature di colore. Con dominanti verdi, az-

zurre, viola, orientando e dosando luci, stratificando i fondi, ha dato corpo a scansioni dall’effetto tridimensionale. Stringendo e diradando le trame, il sipario dei filamenti pare separare le immagini reali da quelle astratte. Sensibilità ed emozioni sono chiamate a partecipare al mistero delle cose e della loro com-posizione che, nel caso di Yanina, va ben oltre la scientificità del processo di struttura e metamorfosi fisica. Le consistenze, so-lide o liquide che siano, nelle sue opere, paiono evocare, tutta-via, il rapimento del sogno. Un sogno diverso da quello ad oc-chi aperti che il suo ricordo del viaggio italiano ha voluto, co-munque, trasferire sulla tela. =

Pasquale Belmonte, Giovanni Cafarelli, Salvatore Comminiello, Gerardo Corrado D’Amico, Gerardo Cosenza, Luigi Lapetina, Cinzia Leone, Donato Linzalata, Felice Lovisco, Tarcisio Manta, Vito Masi, Antonio Masini, Arcangelo Moles, Donato Pace, Maurizio Restivo, Gianvito Saladino, Roberto Santomassimo, Marco Santoro, Giovanni Spinazzola, Nino Tricarico, Mario Vasta. Tra gli artisti di fuori regione: Floriano Bodini, Ennio Calabria, Bruno Ceccobelli, Omar Galliani, Minerva Ramirez, Giovanni Vangi.

• Dopo Bernalda e Padova (all’Arte Fiera), la mostra “La Magna Grecia e le manifestazioni del sacro, esempi di arte contemporanea” si sposta a Lerici (La Spezia). L’apertura è in programma nel mese di maggio. All’esposizione, organizzata dalla Pinacoteca Comunale di Arte Moderna Bernalda-Metaponto partecipano gli artisti: Corrado Lorenzo, Salvatore Sebaste, Giulio Orioli, Giuseppe Filardi, Marilena Troiano e Anna Bruno.

• Da giugno ad ottobre prossimi, a Matera, a Palazzo Lanfranchi, si potrà visitare la mostra “La scultura lignea in Basilicata dalla fine del XII secolo alla prima metà

La redazione sollecita segnalazioni di scadenze e partecipazioni a manifestazioni artistiche di rilievo di lucani che vivono fuori regione e all’estero. Le segnalazioni vanno inviate via fax al numero 0971 447182 oppure all’indirizzo e-mail [email protected]

YANINA RUSSO, FINESTRA DUCALE

del XVI”. L’iniziativa è promossa dalla Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Demoantropologico della Basilicata e dall’Università lucana. Saranno esposte 50 sculture in legno restaurate con finanziamenti della Regione Basilicata e della Banca Carime.

• Con l’opera Metamorfosi, il trentaduenne potentino Marco Corrado ha partecipato all’”Artexpo 2004” di New York. Proposto dalla galleria Alba di Ferrara, dal 26 febbraio al 1 marzo, ha partecipato all’allestimento internazionale che ha ospitato 2000 artisti, presso lo “Javits convention center”. (P.R.)

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Giuseppe Lovagliodiario amaro di un emigrante

Un fiume di parole, quasi scritte tutte d’un fiato per non dimenticare, per lasciare nero su bianco le memorie di una vita “eccezionale”.

Redatta di getto - lo rivelano la grafia costante e il linguag-gio dal ritmo coerente - in poche settimane, con l’ansia di chi vuol “far sapere”, l’autobiografia di Giuseppe Lovaglio, “un lu-cano nel mondo”, nasce dalla consapevolezza di avere qualco-sa da raccontare, “di ritenere la propria storia come esempla-re, se non altro in quanto dimostrazione delle difficoltà incon-trate e superate”.

Divise dall’autore in sei taccuini uguali, le pagine di “Soffri-mento Destino e Aventura” sono dense di umori, passioni ed emozioni. Segnano il lettore, sbattendogli in faccia la tragedia dei campi di concentramento, o quella dell’emigrazione.

La stessa tripartizione del titolo, “Soffrimento destino e aventura”, come ha segnalato nella premessa l’attenta curatri-ce Maria Schirone, sembra inoltre corrispondere anche nel-la narrazione.

Infatti al racconto dell’infanzia e della giovanissima età, se-gnata da sofferenza e miseria, seguono i ricordi del servizio mi-litare sullo sfondo della seconda guerra mondiale, le cui vicen-de da deportato in Germania l’autore attribuisce spesso al de-stino, e infine gli spostamenti avventurosi da emigrante che lo porteranno in Sud America e infine in di nuovo in Germania.

Le tre sezioni sono però ben saldate da un unico filo con-duttore: la dolorosa memoria personale che diventa memo-ria pubblica del novecento italiano. Infatti, seppure in un ita-liano non completamente acquisito, con una imperfetta sin-tassi e un’ortografia incerta, attraverso la stesura dei taccuini, Lovaglio “trova il modo di trasportare la memoria personale

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An extraordinary story, which has been reconstructed by the bright work of a careful editor, Maria Schirone, comes back to Basilicata from the far-off Germany, from Hamburg where Giuseppe Lovaglio lived before passing away.A valuable autobiography given back to the readers in its authenticity, without any editor’s influences or interventions. In this way Ms. Schirone, who has devoted herself to studies on Lucanian emigration for a long time, has paid tribute to that Lucanian of the world who wanted to leave an indelible mark of the adventurous incidents which led him to be a citizen of the world.

IVANA INFANTINO

In LibreriaGian Antonio Stella, “L’orda, quando gli albanesi eravamo noi”, Rizzoli, 2002 - Pag. 277 - Euro 17

Il titolo riprende una dichiarazione di Schwarzenbach che vinse le elezioni svizzere utilizzando lo slogan “per ferma-re l’orda degli invasori”. Nel libro di Stella c’e’ l’altra fac-cia della grande emigrazione italiana che ci ricorda seco-li di stereotipi infamanti e di diffidenza verso gli Italiani ri-tenuti capaci di ogni crimine e capro espiatorio per i casi delittuosi insoluti. Una xenofobia che si confronta con l’ostilità verso gli Al-banesi, i clandestini, “lo siamo stati anche noi, a milioni”. Il libro è scritto deducendo gli avvenimenti dalla cronaca

giudiziaria: non biografie appas-sionanti di riscatto sociale, ma pagine provocatorie.

Giuseppe Lupo, “L’Americano di Celenne”Farfalle, 2000 - Pag. 200Euro 12,91L’autore, nativo di Atella, nar-ra le vicende di Danny Leone che, abbandonato il paese na-tio nel Vulture, emigra a New York dove, grazie all’incontro con un miliardario a cui salva

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in testimonianza storica - come scri-ve nell’introduzione Nicola De Biase, docente di Storia della Lingua Italia-na - gettando uno spiraglio su episo-di storici poco noti come la partenza per la Grecia il 9 settembre 1943, al-l’indomani dell’armistizio”.

“La tradotta segue il destino per la grecia, scriverà Lovaglio, maledetto fu quella tradotta e la nostra decisione di seguire il destino”.

Pagine e pagine di ricordi, dalle quali vien fuori non solo la vicenda umana del “contadino-soldato-operaio specializzato”, nato a Pantano di Pignola e morto ad Amburgo, ma la sto-ria di un intero paese distrutto dalla guerra, ricco solo di mise-ria, dove per sopravvivere bisognava “andare”. Sapientemente recuperata da Maria Schirone, insegnante di lettere ed attenta studiosa dell’emigrazione lucana, a pochi mesi dalla scomparsa di Lovaglio ad Amburgo, la testimonianza autografa, fornita dal-la moglie Maria Donata, sembra suggellare idealmente il ritor-no dell’emigrante nella terra dalla quale era partito, quella del-le origini, dei padri e dei nonni, la “Lucania”.

Il contadino lucano, abituato fin da bambino al duro lavoro dei campi, diventa, suo malgrado soldato in Grecia, e poi pri-gioniero di guerra in Germania. E poi operaio, capo-operaio, “specialista” nel montaggio degli ascensori Otis, in Uruguay, Argentina, Brasile.

“Al ritorno dell’Argentina la mia intenzione era di rimpatriar-ci perche l’Uruguay andava malissimo di tanti ladri che erano ap-parsi in poco tempo e la moneta perdeva valore giorno per gior-ni”. Nonostante i limiti linguistici “di cui è consapevole”, Lova-

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la vita, diviene ricchissimo. Nel ’34 il protagonista tornerà in Lucania, perché “ si può to-gliere un uomo dal suo paese ma non il paese dal cuore del-l’uomo”, con l’idea di converti-re al mito della Grande Mela il suo paese di origine. La vita di Danny Leone è rac-contata dopo la sua morte at-traverso tre narratori: un suo-natore di jazz; il medico del-l’ospizio e Larry, figlio del-l’amico del protagonista.

Emilio Franzina, “Dall’Arcadia in America” F. Agnelli, 1996 - Pag.326 - Euro 25,82

È un libro sulla letteratura d’emigrazione italiana nel-le Americhe fra Ottocento e Novecento che conside-ra le opere meno note di alcuni esponenti delle lettera-tura italiana ( De Amicis, Levi, ecc.) e gli scritti degli au-tori minori. L’autore raccoglie, in un approccio socio-antropologi-co, gli scritti degli emigrati, in un’opera interdisciplina-re che esamina il mito popolare dell’America, alimenta-to da generazioni di lavoratori emigranti, dalla canzone popolare, alla trasfigurazione letteraria, con particolare attenzione al valore documentario del lutto, dell’esoti-smo, dei racconti dell’emigrante. LORENZO TARTAGLIA

glio non desisterà però dall’impegno, “giacché egli sa bene che il pregio del-la narrazione risiede proprio nei fat-ti e negli eventi di cui è protagonista”, come ha annotato a buon diritto la curatrice, puntuale anche nel segnala-re alcuni aspetti “formali” del mano-scritto: interferenze fra dialetto e lin-gua, presenza di iberismi appresi dal-

l’autore in America latina, scarsa presenza di maiuscole e di punteggiatura, omissioni di accenti e apostrofi. Una lettura con-tinua, a tratti faticosa, senza interruzioni, dove a susseguirsi non sono solo pensieri, ma scene di vita vissuta, flash di momenti cruciali, di decisioni importanti. Ricorre spesso infatti il pensie-ro della moglie, Maria Donata che dal giorno della loro unio-ne segue il marito in quel girotondo di avventure, liete e di-sperate che vedrà, infine, Lovaglio nel 1971 accettare un’offer-ta di lavoro a Wuppertal, come operaio cantierista nelle fer-rovie tedesche.

Ancora straniero, ancora emigrante, ancora alla ricerca di un pezzo di terra ed una casa, questa volta in Europa però. Come sospeso da una pausa momentanea il racconto ad un certo punto s’interrompe: “è probabile - ha concluso la Schiro-ne - che Giuseppe Lovaglio non abbia più potuto continuare a scrivere. O voluto: la lacuna riguarda l’intera fase finale in Ger-mania (…) nella terra di prigionia, carica di ricordi amari”.

E così per uno strano scherzo del destino il cosmopolita Lovaglio torna infine in quella città, Amburgo, dove fu prigio-niero e dove aveva giurato di non farvi mai più ritorno. Termi-nerà invece proprio qui la sua eccezionale vita. =

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TRA CASTELLI E BANCHETTI

Il nostro cammino attraverso gli archivi comincia dal Medioevo. Proviamo a percorrere le strade della Basilicata dell’epoca con la guida di alcuni documenti molto importanti: i registri della cancelleria angioina. Questi grossi volumi, sui quali erano annotati gli atti emanati dai re angioini, andarono distrutti nell’incendio appiccato dalle truppe tedesche a villa Montesano in San Paolo Belsito, presso Nola, il 30 settembre 1943. Grazie però al paziente lavoro di archivisti napoletani, questi registri sono stati parzialmente “ricostruiti” mettendone insieme brani che erano stati trascritti da vari studiosi prima della loro distruzione. E da questi famosi registri, molto utilizzati anche da Giustino Fortunato per le sue ricerche, partiamo per sbirciare nella vita di corti e castelli lucani, dove i sovrani angioini amavano rifugiarsi. Carlo I soggiornò spesso nel castello di Lagopesole, dove organizzava con la sua corte succulenti banchetti. I commensali si servivano di fine vasellame da mensa e di stoviglie di ogni tipo, da quelle di terracotta a quelle metalliche. Resti di vasellame sono stati ritrovati in alcuni scavi praticati recentemente nel cortile minore del castello. Nel corso del sec. XII, con l’afflusso e lo sviluppo delle Crociate, erano stati introdotti nuovi prodotti alimentari, come i cavoli, gli spinaci, l’acetosella, il prezzemolo, il cerfoglio e la melanzana. Ma sulla mensa non poteva soprattutto mancare il buon profumo del pane di grano. Nei registri angioini leggiamo di un ordine dato dal re il 26 settembre 1278: oltre al forno esistente nella regia masseria di Carda presso Lagopesole, doveva essere costruito un altro forno, mediante il quale si potessero cuocere ogni giorno, in due volte, sei salme di pane per uso della casa reale. Il pane accompagnava l’uso abbondante di carne o di pesce. Il 9 dicembre 1279 il re disponeva che fossero prese nei pantani regi di Versentino e di Salpe diecimila piccole anguille le quali, portate in barili a Lagopesole, fossero immesse in quel lago per moltiplicarsi.Signore della tavola era il vino della zona, l’Aglianico, cui si fa sicuramente riferimento nei documenti quando si parla del “vino rosso di Melfi”. Non a caso i sovrani si occuparono a più riprese dell’incremento dei vigneti: nel

VALERIA VERRASTRO

THANKS TO THE REGISTERS OF THE ANGEVIN CHANCELLORY, RECONSTRUCTED AFTER THE DESTRUCTION OF THE ORIGINALS IN 1943, WE CAN UNDERSTAND THE MEDIEVAL LIFE IN LUCANIAN CASTLES, WHERE SOVEREIGNS LOVED TO SPEND THEIR TIME ORGANIZING BANQUETS FOR THEIR COURT. THE LORD OF THE TABLE WAS THE WINE OF THE AREA, AGLIANICO, WHICH IS SURELY WHAT THE DOCUMENTS REFER TO WHEN THEY TALK ABOUT “THE RED WINE OF MELFI”.

ATTRAVERSO I REGISTRI DELLA CANCELLERIA ANGIOINA

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1280 Carlo I d’Angiò emanava disposizioni affinché i vigneti regi non subissero danni e condannava Costantino Caciole di Trani, secreto di Puglia - una sorta di funzionario dell’amministrazione finanziaria - per essersi disinteressato delle vigne regie di Melfi. L’anno seguente il sovrano ordinava al giustiziere di Basilicata - funzionario preposto all’amministrazione provinciale - di far piantare sessanta vigne vini rubei Melfie. Ogni volta che si trasferiva a Lagopesole, Carlo I si preoccupava di darne avviso per tempo al castellano, affinché al suo arrivo le botti del castello si trovassero piene di vino. Al settembre del 1280 risale un ordine dato al giustiziere di Basilicata di acquistare per la corte, la quale si sarebbe spostata a Lagopesole nella stagione estiva dell’anno successivo, de vino rubeo Melfie meliori quod haberi poterit, della vendemmia di quell’anno e nella quantità di ben quattrocento salme, unità di misura pari a 185 litri. Il vino sarebbe stato acquistato con la consulenza di quattro esperti di Melfi e avrebbe poi dovuto esser riposto nelle botti del castello. A questa seconda delicata fase avrebbe dovuto presiedere Bertoldo Bruno, custode del castello: si doveva far attenzione affinché nell’operazione venisse posta curam diligentem et studium oportunum, in modo tale da far sì che l’estate successiva il vino si fosse trovato bonum et utile pro usu nostro et hospitii nostri. Del vino acquistato si doveva tenere un quaderno sul quale andavano annotati, di giorno in giorno, la quantità comprata, i nomi e i cognomi dei venditori, la quantità procacciata da ciascuno di essi ed il relativo prezzo. Peccato davvero che nessuno si sia dato pensiero di custodire gelosamente il quaderno in qualche archivio: i nomi di quei venditori e lo spessore della loro attività commerciale ci rimarranno per sempre sconosciuti. Il vino veniva dunque consumato in gran quantità dai re angioini, anche come mezzo di evasione dalle fatiche e dalle preoccupazioni del regnare. Desiderata compagnia nelle più lieti ore trascorse fra i boschi e le campagne di Lagopesole, là dove si poteva scorgere il dolce profilo del Vulture disperdersi nell’incandescente luce dei tramonti, rossi come il fuoco, rossi come… lo squisito succo dei suoi vigneti. =

DISEGNO DEL CASTELLO DI BOIRANO NEL CABREO DELLA SS. TRINITÀ DI VENOSA DEL 1774 (ARCHIVIO DI STATO DI POTENZA, CORPORAZIONI RELIGIOSE, VOL. 200)

Sbirciamo fra qualche pagina dei “ricostruiti” registri della cancelleria angioina, già pubblicati da Giustino Fortunato nella sua opera Il castello di Lagopesole, Trani, Vecchi, 1902 (rist. anast., Venosa, Osanna, 1987).

1280 settembre 16, Melfi.È stato scritto al nostro giustiziere di Basilicata.

Con il nostro beneplacito si provveda affinché nel nostro palazzo di Lagopesole possa trovarsi del vino rosso di Melfi della migliore qualità che si possa avere, della vendemmia dell’anno presente, che, nella misura di quattrocento salme, dovrà esser diligentemente e in modo salubre riposto e conservato nello stesso palazzo, affinché quando giungeremo lì nella prossima estate, lo stesso vino possa esser trovato buono e utile per il consumo nostro e del nostro ospizio. Ci raccomandiamo pertanto fermamente ed espressamente alla tua fedeltà affinché, sotto pena di cento once di oro, scelti quattro uomini di Melfi fedeli ed esperti e affiancato ad essi un uomo forestiero della tua famiglia oppure qualcuno dei nostri stipendiati che dimorano con te e di cui tu goda piena fiducia, tu faccia da loro comprare del predetto vino, col denaro della nostra Curia, del migliore vino rosso di questa terra che si possa trovare, s’intende mosto [vino nuovo], della vendemmia di questo anno, che si possa trovare sulla migliore piazza, sino alla quantità predetta di quattrocento salme…

Nell’acquisto e nella deposizione del vino farai in modo che siano poste la diligenza e la cura opportune, in modo che la prossima estate possiamo trovare il vino buono e adatto al consumo nostro e del nostro ospizio, poiché, se sarà altrimenti, unicamente a te faremo reclamo.

Dato a Melfi il giorno sedicesimo del mese di settembre, nona indizione.

(Archivio di Stato di Napoli, Registri Angioini, 1281 B, n. 42, fol. 65.)

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Il mondo dietro l’obiettivo

ANGELA DI MAGGIO

Basta il clic di una macchina fotografica per fermare un at-timo, un particolare. Basta uno scatto per creare un’ immagine e per darle corpo e anima. Basta uno scatto per interpretare ele-menti apparentemente insignificanti, ma che poi, invece, sono in grado di lasciare il segno e rimanere impressi nella memoria.

“Ho sempre amato ritrarre il mondo in ogni suo aspetto e la mia più grande passione è stata sempre quella di raccontarlo at-traverso le foto”. A parlare è Canio Romaniello, un fotoreporter partito da Possidente, una frazione della provincia di Potenza, con la sua famiglia, quando aveva solo dieci anni. La sua storia e quel-la della sua famiglia, assomiglia a quella di tanti emigrati che han-no dovuto lasciare la terra d’origine, nella maggior parte dei casi, costretti dalla mancanza di lavoro. Si è trasferito a Milano dove, dopo gli studi, ha cominciato a collaborare con importanti quoti-diani e riviste nazionali. Ma prima che cominciasse a lavorare per una agenzia fotografica ha dovuto faticare molto per “piazzare” i suoi reportages, bussando alla porta di molte redazioni e andan-do continuamente alla ricerca di qualcuno che fosse interessa-to ai suoi lavori.

Il suo primo vero reportage fotografico lo ha fatto in uno dei quartieri periferici di Milano e, in particolare, puntan-

do il suo obiettivo sul disagio giovanile. Inesperto e con l’imbarazzo di chi è alle prime armi ha bussato alla re-dazione della “Repubblica” chiedendo, timidamente, di essere ricevuto. Da qui è cominciata la sua avven-tura nell’affascinate universo della fotografia. Da quel

momento in poi, la macchina fotografica è stata la sua compagna fedele. La porta sempre con sé: “È la mia se-

conda pelle - dice Canio Romaniello - ricordo come, anco-ra prima che la fotografia diventasse il mio mestiere, mi dilettas-si a scattare foto ovunque. Poi, quando ho capito che con que-sto mezzo riuscivo ad esprimermi pienamente ho deciso di far-ne una professione”. La sua attività di fotoreporter lo ha por-tato a fermare momenti importanti e che hanno caratterizzato la storia italiana. Era dietro l’obiettivo il giorno in cui il giornali-sta Indro Montanelli ha incontrato il suo attentatore e quando l’Italia piangeva le vittime del Pirellone sventrato da un aereo. La cronaca nera e l’attualità, dunque, sono stati il suo primo amore, ma senza aver mai tralasciato la politica. Il tutto strizzando l’oc-chio alla mondanità. Numerosi, infatti, i personaggi immortalati che appartengono al mondo dello spettacolo, al cinema e alla moda. Eppure se qualcuno lo definisce “paparazzo” non ci sta e risponde: “Paparazzo” è il termine usato per indicare un fotogra-fo d’assalto. Io sono un fotoreporter e basta”.

IN A PHOTOREPORTER’S SUITCASE YOU CAN HARDLY FIND A NOTEBOOK AND A PEN. THE ONLY NOTEPAD THEY HAVE IS THEIR OBJECTIVE AND, BY MEANS OF THIS TOOL, THEY “NARRATE” THE WORLD BY GIVING A PHOTOGRAPH DYNAMISM, HARMONY AND MOVEMENT.

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Canio Romaniello racconta l’ori-gine del termine “paparazzo” ricor-dando il fascino che si nasconde die-tro questo aggettivo, ma prendendo-ne comunque le distanze. “L’immagi-ne felliniana del fotografo de “La dol-ce vita” che rubava pezzi della vita dei vip della Roma del dopoguerra - continua il fotoreporter lucano – è un’immagine senza tempo. Un’in-venzione che ha senza dubbio tra-sformato, nell’immaginario colletti-vo, lo stereotipo del fotografo. Sem-bra che tutto sia nato da un libro che Fellini stava leggendo all’epo-ca de “La dolce vita”. Il libro in que-stione era quello di un scrittore, Gis-sing, sul suo viaggio di fine ottocen-to in Calabria in cui racconta la sto-ria di un albergatore che di cognome faceva “Paparazzo”. Quest’ultimo, in-fatti, raccolse le simpatie dello scrit-tore per aver affisso, alla porta del-le stanze dei suoi ospiti, un “buffo” in-vito ad utilizzare il ristorante dell’al-bergo. Il popolare regista si innamo-rò di quel nome al punto che “papa-razzo” divenne e, lo è tuttora, l’agget-tivo identificativo dei fotografi inva-denti in cerca di scoop sui personag-gi famosi”. Ad ogni modo, che si defi-niscano “paparazzi” o “fotoreporter” la cosa bella della loro arte è la ca-pacità di cogliere gli istanti. Vagano in giro per il mondo e la loro compa-gna di viaggio è, quasi sempre, solo la macchina fotografica.

“Nella maggior parte dei casi - commenta Canio Romaniello - la fotografia è qualcosa di più che un’immagine. Essa diventa un’intuizione. L’abilità di rubare l’attimo e di percepire qualcosa che poi va al di là dello scatto. È la capacità di far soffermare chi la guarda non solo sulla bellez-za della singola foto, ma di riuscire a far “vedere” chi c’è dietro l’obiettivo e cosa intende comunicare. E così, di scatto in scatto - ha precisato ancora - la fotografia ne ha fatta di strada”.

L’evoluzione della fotografia e del ruolo che essa ha, man mano, assunto sui giornali, ad esempio, è stata notevole. Ma è stata altrettanto importante la valenza culturale e artistica che ha assunto nel corso degli anni. Ne sono cambiate di cose, infat-ti, da quando i giornali dovevano scontrarsi con mille difficoltà per ricevere rapidamente una foto e si faceva ricorso o a foto di archivio o alle tradizionali “fuori sacco”. Poi l’immagine è diven-tata un aspetto importante per l’informazione e si è appropriata di nuovi ruoli e di nuovi spazi. Le sue infinite possibilità di comu-nicazione le hanno permesso di diventare strumento per docu-mentare le atrocità dell’uomo, fermando gli orrori generati dai

conflitti e dalle guerre e per denunciare temi sociali e umanita-ri conferendole un’importanza culturale rilevante. Un’evoluzione che ha facilitato l’affermarsi del giornalismo fotografico e che ha trovato e, trova ancora adesso, la sua espressione più alta nella realtà sociale come i conflitti politici, le guerre, i problemi razzia-li e le crisi internazionali. Fatti e avvenimenti che non se non fos-sero corredati da una documentazione fotografica non avreb-bero la stessa forza.

“Nella valigia di un fotoreporter - conclude Canio Roma-niello - difficilmente si può trovare un blocco per gli appunti e una penna. Il nostro taccuino è l’obiettivo ed è attraverso que-sto strumento che riusciamo a “raccontare”e a conferire dina-micità, armonia e movimento ad una foto che, per definizione, rappresenta la staticità”.

Insomma, la fotografia può avere diverse interpretazioni. Im-pegno sociale, ad esempio, o rivelazione di altri modi di vivere. Un’ occasione per andare alla ricerca di “punti di vista” che iden-tifichino l’uomo e l’ambiente; l’uomo e il territorio. =

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Pochi sanno che l’affermazione della fotografia in Italia si è accompagnata in modo stretto e profondo con il turismo: il Club Alpino Italiano, fondato nel 1863, e soprattutto il Touring Club Italiano, nato trentadue anni dopo, promuovevano iniziative che sposavano l’escursionismo e la passione per la fotografia. La semplificazione dei procedimenti fotografici permetteva di utilizzare macchine di piccole dimensioni così che un valente alpinista poteva permettersi di mettere nello zaino un’attrezzatura di peso accettabile e realizzare immagini più che accettabili, anche se ben lontane dalla qualità eccelsa che Vittorio Sella, nipote dello statista Quintino e grande esploratore sulle montagne di tutto il mondo, otteneva su negativi in lastra di vetro utilizzando pesanti macchine a banco ottico con relativo treppiede. Ancor più interessante era il connubio fra fotografia e bicicletta che permetteva di realizzare lunghe e talvolta lunghissime escursioni coinvolgendo intere sezioni del T.C.I. che potevano contare su una serie di locande e alberghi attrezzati con “gabinetti fotografici” per consentire agli impazienti turisti di sviluppare e stampare i rullini esposti durante il viaggio.

Oggi gli alberghi offrono gli internet point e noi magari sorridiamo di quegli ingenui entusiasmi, eppure era proprio da una capacità di osservazione attenta e concentrata che nasceva un nuovo modo di vedere, di apprezzare, di interpretare il mondo che circondava i nostri antenati, che solo così imparavano a conoscere quel Paese unito formalmente da pochi anni ma sconosciuto ai più. In un’epoca completamente diversa come la nostra, dove l’immagine sembra avere un ruolo centrale, c’è invece da chiedersi se siamo davvero capaci di fruire fino in fondo di questa imponente massa di informazioni visive che necessitano di strumenti interpretativi e di una razionale organizzazione che raccolga i dati così da renderli accessibili e fruibili per tutti. Siamo di fronte all’avanzata impetuosa di nuove tecnologie: per fare un solo esempio, in breve tempo il formato super8 è diventato arcaico e i film si possono realizzare in digitale con elevata qualità e perfino, se se ne accettano i limiti, con i telefonini della nuova generazione. Ha dunque senso, in questa situazione, ritornare a un mezzo sostanzialmente tradizionale come la fotografia per descrivere

LA FOTOGRAFIA COME SPECCHIO DELLA REALTÀ

ROBERTO MUTTI FOTO: ALDO LA CAPRA

“PHOTOGRAPHY “FORCES” TO STOP, TO

WONDER, TO DELVE INTO THE DEPTH OF

REALITY, TO MAKE CHOICES WHICH ARE

NOT ONLY AESTHETIC ONES”. IN THIS WAY,

ROBERTO MUTTI, THE PERSON RESPONSIBLE

FOR PUBLISHING THE REVIEW “IMMAGINI

FOTO PRATICA”, INVITES US TO WONDER

ABOUT THE VALUE OF PHOTOGRAPHY,

INTENSE ARTISTIC EXPRESSION IN A WORLD

ENSLAVED BY RUSH WHICH PREVENTS

US FROM GRASPING THE MOST HIDDEN

ASPECTS OF REALITY. BUT, ABOVE ALL,

IT IS A VERY POWERFUL COMMUNICATION

MEANS, CAPABLE OF SPREADING AND

MAKING AVAILABLE TO EVERYONE THE

IDENTITY AND THE TIES LINKING A

POPULATION TO THEIR LAND.

WITH THIS AIM THE REGIONAL COUNCIL

OF BASILICATA DECIDED TO SET UP A

PHOTOGRAPHIC CONTEST WHICH CAN

EXTOL THE DISTINCTIVENESS OF ITS

TERRITORY THROUGH THE IMAGES TAKEN

BY PHOTOGRAPHERS DISPOSED TO

DISCOVER AND SHOW THEIR OWN

IDENTITY AND THAT OF THEIR REGION.

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il mondo? Le ragioni della nostra risposta affermativa sono molte ma sono sostanzialmente riconducibili a una motivazione più forte delle altre: il nostro mondo corre troppo velocemente, i momenti di riflessione e quelli di silenzio vengono considerati una perdita di tempo e ormai, mentre quasi tutti sono stati messi in grado di vedere, pochissimi sono poi capaci di fare il salto qualitativo arrivando ad osservare. La fotografia “obbliga”, invece, a fermarsi, a porsi delle domande, a indagare fra le pieghe della realtà, a operare delle scelte non solo estetiche. In un Paese come il nostro dove i concorsi fotografici sono moltissimi e conservano il sapore vecchiotto del puro confronto fra stili ed estetiche diverse, promuovere un premio riservato a chi voglia interpretare fotograficamente una regione come la Basilicata non è un’operazione priva di significati profondi. Fin da quando, nel 1984, la Datar ha lanciato una grande “mission photographique” per documentare i cambiamenti del paesaggio in Francia, le istituzioni più attente e sensibili hanno raccolto il messaggio individuando nei fotografi i potenziali interlocutori per una

riflessione non superficiale su quella che viene giustamente definita l’identità dei luoghi. “Viaggio in Basilicata. Identità di un territorio” è, quindi, non casualmente il titolo di questo premio che servirà sicuramente a far (ri)scoprire una terra dove convivono paesaggi naturali e urbani, la tradizione e la modernità, i segni di antichissime civiltà e quelli della contemporaneità. Non sfugge, tuttavia, a nessuno l’importanza di costruire un’immagine diversa che sappia evitare la retorica dell’oleografico e del “pittoresco” che tanto hanno penalizzato l’immagine del Meridione: da questo punto di vista l’idea di rendere internazionale il premio potrà assicurare una molteplicità di sguardi e un confronto fra contributi differenti tutti da indagare a fondo. Ma questa è anche un’occasione per valorizzare le straordinarie opportunità che offre il mezzo fotografico non solo agli autori più bravi che avranno l’occasione di misurarsi fra di loro, ma anche ai semplici fotografi per passione: troppo spesso, infatti, la fotocamera occupa una piccola tasca del giubbotto e viene tirata fuori solo per la foto ricordo degli amici accanto paesaggi e monumenti. Chi vorrà tornare a

viaggiare non portandosi dietro una macchina fotografica ma facendosi guidare da questa scoprirà un modo diverso di osservare la realtà: sarà “costretto” a concentrare lo sguardo, a girare attorno a quanto gli piace fino a trovare l’angolazione più interessante, a scegliere il taglio che sintetizzi in uno scatto la complessità di quanto scorre dinanzi a lui. Scoprirà così che la fotografia, quando ben usata, aiuta ad apprezzare il mondo che, osservato attraverso il mirino, apparirà ancor più complesso e quindi interessante: ecco perché si dice che i fotografi sono capaci di cogliere quanto altri neppure vedono. Se questo premio servirà anche da riflessione più generale il suo scopo sarà raggiunto, ma è evidente che dovrebbe considerarsi come un primo passo per un progetto più ambizioso che metta al centro dell’interesse la fotografia come mezzo, come linguaggio, come forma artistica. Come in altre regioni, anche in Basilicata ci dovrebbe essere l’occasione per creare un festival dove ci si possa confrontare, si possa discutere, si possano valorizzare i fotografi locali, si possano ospitare grandi mostre d’autore. Ma questo, per ora, è solo un auspicio. =

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Caracas - Bogotà. Marzo 2004 - La prima immagi-ne di Caracas regala uno spettacolo sconvolgente. Migliaia di ranchitos - così si chiamano in Venezuela le baraccopoli - abbarbicati alle colline, ma vicinissi-

mi ai grattacieli e alle ville signorili. La prima, spontanea doman-da è se anche gli italiani, e i lucani in particolare, vivano in quel-le condizioni. Dai lucani - qui ormai da tempo - la rassicurante risposta: “solo qualcuno”.

Eppure ci sono anche tra i lucani in Venezuela casi di po-vertà e indigenza, che la difficile situazione politica ed econo-mica degli ultimi anni sta acuendo. Il che influisce soprattutto sulla possibilità di curarsi. La Sanità Pubblica funziona poco e male, in Venezuela; quella privata costa troppo.

L’ultimo viaggio dei componenti della commissione regio-nale dei lucani all’estero ha portato - però - a Caracas un aiu-to concreto: l’apertura di un poliambulatorio, un “consultorio”, realizzato con i fondi della Regione Basilicata: 120 mila euro del “Progetto Solidarietà per il Sud America”.

La proposta per la costruzione del consultorio - presenta-ta alla Regione dalla Federazione dei Lucani in Venezuela - ri-saliva al 1999. Oggi è realtà. Tre i Servizi attivati: Medicina Ge-nerale, Cardiologia e Odontoiatria. Entro l’anno prossimo, si spera di attrezzare anche un Laboratorio Analisi. Vi lavoreran-no medici italiani, figli di lucani, a tariffe agevolate. Agevolati an-che i prezzi per i pazienti italiani e lucani; gratuite le prestazio-ni per i lucani indigenti segnalati dal Consolato. Un aiuto con-creto, questo, che fa sentire i lucani all’estero “ancora lucani” e ancora parte della regione.

È una grande famiglia quella italiana in Venezuela. Un bellis-simo Centro, attrezzato di piscina, campi da tennis e bocce, sale biliardo, un Teatro, una Biblioteca e sale ricreative di ogni gene-re, accoglie, ogni giorno, gli italiani, e i lucani, che vivono a Ca-racas. Una realizzazione che parla da sola di un tenore di vita alto, almeno fino a qualche tempo fa. Gli italiani, spina dorsa-le dell’economia venezuelana, subiscono, però, oggi, forti pres-sioni dal governo di Chavez. Le loro attività si stanno ridimen-sionando “ho dovuto licenziare 70 dipendenti qualche tempo fa” - racconta Antonio Azzato, imprenditore, originario di Mar-sico Nuovo, qui da 40 anni, e con un’avviata fabbrica di reti e materassi alle porte della città. E non va meglio ai professioni-sti, né alla classe media. 8

GRAZIA NAPOLI

Sudamerica a due facce

D I A R I O D I V I A G G I O

The project “Solidarietà per il Sud America” is being accomplished; thanks

to the funds granted by the Region of Basilicata, a general hospital has been

opened in Caracas. For the moment it supplies three services, General

Medicine, Cardiology and Dentistry and, hopefully by the end of next year, it

will have a Test Lab as well. The proposal for building the clinic

has been supported by the Venezuelan “Federazione dei Lucani”.

cNELLA PAGINA A FRONTE, UN ANFITEATRO A BOGOTÀ, CAPITALE DELLA COLOMBIA.A DESTRA, ROCCO CURCIO INAUGURA IL CENTRO MEDICO DI CARACAS

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NELLA FOTO IN ALTO, UNA PIAZZA DI BOGOTÀ. IN BASSO, AVENIDA BOLIVAR A CARACAS

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È un’emigrazione relativamente giovane quella lucana in Venezuela. Risale al secondo dopoguerra.

“Questa è la terra più bella del mondo, ma oggi la vita è più difficile”. Così si esprime la gran parte dei lucani che abbia-mo incontrato. Hanno belle case, un lavoro, ma è come se - ora - fossero impauriti. “Ormai investiamo solo all’estero” dice Antonio Spina, arrivato giovane parrucchiere da Moliterno e, oggi, titolare di due saloni di bellezza a Caracas. La crisi sembra, però, non sfiorare le sue attività. “Le donne venezuelane - af-ferma - rinunciano anche a mangiare, ma non a curare la pro-pria bellezza.”

È una piccola solidale comunità lucana quella che incon-triamo a Caracas. Arrivano quasi tutti dalla Val d’agri. Molti da Pescopagano. Sono imprenditori, parecchi nel turismo, nel Mar dei Carabi. E non mancano artisti e giornalisti.

Allo spettacolo del Centro Mediterraneo delle Arti, che - per volere del Polo della Cultura della Provincia di Potenza - porta in scena “Contadini del Sud”, tratto dai testi di Rocco Sco-tellaro, incontriamo Antonio Costante da Pescopagano: regi-sta di fama internazionale in allestimenti scenici di prosa e di opere liriche; ha il volto andino, ma un padre di Pescopagano Teresa De Vincenzi, giovane e rampante giornalista di “El Uni-versal”, il secondo giornale del Venezuela.

Il giorno prima del nostro incontro ha visto morire un suo collega negli scontri durante una delle manifestazioni antigo-vernative nel centro della città.

“Voglio continuare a raccontare questa realtà, anche con il giubbotto antiproiettile”, dice. E ricorda la Basilicata, c’è stata più volte: “un posto tranquillo, dove si mangia bene e la gente è ‘muy hermosa’”, molto amabile.

Qui vive un’altra Basilicata. Quella della seconda genera-zione, si mescola a chi è arrivato a Caracas da piccolo o molto giovane e rivive, nelle parole dello spettacolo di Ulderico Pe-sce, la traversata in mare da emigranti, la povertà della Basilica-ta anni ’50, la nostalgia del paese. Anche se, oggi, sa riderne con ironia. Segno che tanto è cambiato.

Solo due ore di aereo separano Caracas da Bogotà. In Co-lombia, a 2.600 metri d’altitudine, i lucani fanno i ristoratori, i commercianti, i medici. Una vera colonia di marateoti, lagone-gresi, laurioti, rivellesi. Iannini, Brando, Filardi, Savino, Riccardi. Questi i cognomi. Sono gli eredi di un’emigrazione più antica, che risale anche agli inizi del ‘900.

A Bogotà è stata costituita, nel 1999, l’Associazione dei Lucani. Molti ragazzi, figli di questi lucani, sono in Italia, in Ba-silicata, per frequentare corsi di formazione e specializzazione. Parlano appena l’italiano, ma si sentono a casa. Anche a loro arriva l’aiuto della Regione.

Tante le storie in una zona del mondo tra le più pericolo-se, minacciata da guerriglieri e narcotrafficanti. Cesare Iannini, quattro eleganti ristoranti al centro di Bogotà, produce la pa-sta “Maratea” con il grano duro - come faceva suo padre - e la serve “al dente”. Macario Zito, da San Giorgio Lucano, in-vece, porta in tavola - nella zona elegante della città - pepe-roncino e ravioli sempre freschi. E poi, ci sono i rivellesi, custo-di dell’arte orafa e della fabbricazione degli orologi. Arti anco-ra vive a Rivello.

Tutti conservano la lingua, le tradizioni, la gastronomia, i mestieri. E guardano alla Lucania con “simpatia”. Tornano spes-so, anche più volte all’anno. Insegnano la “lucanità” ai loro fi-gli. Ma, ormai, affetti e vita sono oltreoceano. Senza troppi rim-pianti. =

... Il Venezuela è la terra più bella del mondo, ma oggi la vita è più difficile...

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“Speculatori avidi ed inumani, senza riguardo alcuno […] seducono specialmente i contadini delle nostre campagne con la speranza di inaspettati guadagni nell’altra parte dell’emisfero e li traggono colà, ove spesso al loro arrivo non li aspetta che miserie e mancanza di lavoro”.

Con queste parole, il 22 luglio 1874, la Camera di Com-mercio di Potenza indicava uno dei più odiosi aspetti assun-ti dal problema emigrazione: la presenza di sfruttatori ed af-faristi che cinicamente si arricchivano sfruttando l’ignoran-za delle masse.

In particolare l’indice era puntato contro gli agenti delle compagnie di navigazione, accusati di far opera di proseliti-smo e di convincere, in tal modo, gli ingenui contadini a par-tire, nel miraggio di arricchire.

La dimensione assunta da quello che ormai era un vero e proprio esodo spingeva le classi dirigenti nazionali, così come quelle locali, ad interrogarsi sulla natura del fenome-no emigrazione, sulle sue cause e sul modo migliore per ar-ginarlo. Nel 1869, infatti, furono 119.806 gli italiani che la-sciarono la Patria per cercar fortuna all’estero. Nel 1871 il numero salì a 122.479, e a 151.781 nel 1873. In Basilicata si era passati dai 359 emigranti del 1869 ai 4.221 del 1873, con 5.654 espatriati nel 1872 (vedi grafico).

In genere, anche se all’emigrazione si attribuivano alcu-ni effetti positivi, come quello di fungere da valvola di sfogo per liberare la società dagli elementi sfaccendati e turbolen-ti, la classe politica riteneva che essa costituisse un rischio per gli assetti socio-economici tradizionali. La grossa bor-ghesia terriera, per esempio, temeva che lo spopolamento delle campagne avrebbe provocato una lievitazione dei sa-lari a causa della carenza di manodopera.

Così i vari governi, tanto della Destra storica che del-la Sinistra, tentarono di prendere dei provvedimenti. Il mini-stro degli interni Lanza, ad esempio, nel 1873 inviò una cir-colare ai prefetti “con la quale si invitavano le autorità di go-verno nelle province ad impedire l’emigrazione clandestina ed a frenare con ogni mezzo quella lecita e spontanea”.

Una serie di progetti di legge (mai effettivamente ap-provati) poi, andarono nella direzione di una lotta senza quartiere alle compagnie di navigazione e ai loro agenti, ac-

Nel dibattito sull’emigrazione:osservazioni e proposte della Camera di Commercio e Artidi Potenza (1874)

LUIGI CALABRESE

Around 1870 emigration in Italy had become a mass exodus. Managerial classes, worried mainly about the great impact this escape had on traditional socio-economic assets, and they began to wonder about the nature of the phenomenon and the measures to take in order to stem it on. The 22nd July 1874, during a meeting of the Chamber of Commerce and Arts of Potenza, the problem of emigration was discussed in order to identify its causes and effects.

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cusati di essere i veri respon-sabili dell’esodo. Quello che emerge, però, da questi pro-getti, è un sostanziale frainten-dimento delle vere cause del-l’emigrazione. Esse sono indi-viduate nella propaganda de-gli agenti di navigazione, o im-putate a fattori come spiri-to d’avventura e miraggio di arricchire in fretta lavoran-do poco. Nella relazione della Camera di Commercio di Po-tenza leggiamo infatti che “fa-miglie intere lasciando le più care affezioni, abbandonano la loro terra natia in cerca di al-tro cielo, ove sognano di trovare una natura ridente e di rin-francarsi largamente del doloroso distacco della madre pa-tria con guadagni inaspettati”. Secondo il Consiglio, quindi, non era l’estrema miseria a spingere intere famiglie ad emi-grare, ma il desiderio d’arricchire. La tendenza all’emigrazio-ne viene definita una “crescente mania” assolutamente in-giustificata. Il consiglio si scagliava, infatti, contro coloro che sostenevano “senza aver mai conosciuto né la postura del-le terre lucane né l’indole degli abitanti, che i salarii siano vili in modo da costringere la gente a fuggire dal suolo che li vide nascere”.

Anzi il consiglio affermava che i salari, in Basilicata, erano talmente alti da richiamare lavoratori da altre province. Leg-giamo, infatti, che “la mano d’opera si è elevata in modo da non temere raffronto con qualunque altra Provincia d’Ita-lia” tanto che “vengono a torme gli operai dell’Alta e Me-dia Italia a ritrovare un salario che invano spererebbero nel-le province natie”.

Queste parole sono rivelatrici della vera paura di quella classe dirigente: che lo spopolamento delle campagne, pro-vocando una diminuzione della mano d’opera, facesse lievi-tare i salari. Ecco quindi i consiglieri scagliarsi contro quan-ti “preferiscono di andare in altre parti della terra a con-quistare una fortuna, la quale spesso non resta che nei loro sogni dorati”, e chiedere al governo di “studiare il modo onde conciliare gl’interessi dell’agricoltura e del commercio, con la libertà de’ cittadini, regolando l’andamento dell’emi-grazione; acciò molti ignoranti non vengano sedotti da fal-laci apparenze, e sognando tesori che poi non si realizzano,

vadano fuori del proprio pae-se con discapito dell’individuo, e della industria nazionale, che ne risente i gravissimi danni”.

Non troviamo in questa relazione nessuna menzione dei gravi problemi che spin-gevano ampie fette della po-polazione della Basilicata a la-sciare il paese natio per ten-tare la fortuna all’estero: dal-la mancata rivoluzione agraria, allo sfruttamento della mano-dopera con salari troppo bas-si, all’eccessivo fiscalismo. Per

affrontare questi problemi sarebbe servita, infatti, una for-te assunzione di responsabilità da parte della classe politi-ca, tanto nazionale che locale. E proprio la voluta cecità del-la classe dirigente fu oggetto delle critiche, fra gli altri, del grande meridionalista lucano Giustino Fortunato, il qua-le vedeva, in questa preoccupazione per il povero conta-dino ingannato, solo l’interesse “dei proprietari che coll’emi-grazione vedono crescere i salari e in generale le pretese e «l’insubordinazione» dei contadini”. Egli stigmatizzava inol-tre una classe dirigente che rifiutava di vedere gli aspetti po-sitivi che poteva avere l’emigrazione, se “ben diretta”.

Aspetti positivi? Giustino Fortunato credeva che ce ne fossero molti. Nel 1909, quando l’emigrazione portava via dalla Basilicata molta più gente che negli anni Settanta dell’800 (vedi grafico), in un discorso tenuto alla camera dei deputati egli sostenne che l’emigrazione “ci ha purgati dal-la vergognosa piaga di quel brigantaggio, che pareva […] fu-nesta dote delle nostre campagne […]. Essa ha fatto laggiù sparire il «cencioso» […] ed ha scemato più che un quar-to il numero degli omicidî, ed ha reso meno frequente l’abi-geato […]. Essa ha fatte tra noi più rade le sanguinose rivol-te de’ ceti rurali […]. Essa, infine, ha debellata l’usura, fino a ieri scandalosissima, ed ha permesso e permette a molti, a un gran numero di povera gente, di non crepar di fame, se è vero che in molti comuni della mia Basilicata, ed io potrei farne i nomi, finanche il pagamento delle imposte sia possi-bile solo per opera degli emigrati”.

Parole in sostegno dell’emigrazione, quindi, nella consa-pevolezza che ad essa, in molte zone d’Italia, non c’era al-ternativa. =

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Fra radici e prospettive

Questi si erano indirizzati in un primo momento verso tematiche squisitamente meridionalistiche, in particolare il nesso post-unitario tra brigantaggio ed emigrazione. In seguito il fascino della filosofia tedesca, in particolare quella dell’illuminismo e di Kant, e quella dell’idealismo e di Hegel, mi ha conquistato del tutto. Gli anni di ricerca nelle Università di Bochum, Monaco, Trier e al Max-Planck-Institut für Geschichte di Göttingen, alla Herzog-August-Bibliothek di Wolfenbüttel mi hanno offerto l’opportunità di confrontarmi con una cultura e con un sistema universitario e più in generale di organizzazione della vita che a ragione ha costituito e costituisce senz’altro un modello di eccellenza. Gli anni di insegnamento di Filosofia all’Università di Trier sono stati inoltre un’occasione davvero speciale per mettermi in relazione, dall’interno della vita accademica tedesca e svolgendo i corsi in tedesco, con molte delle problematiche filosofiche e culturali in cui mi sono imbattuto in questi anni. L’insegnamento di Storia della Filosofia tedesca da me tenuto presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, mi permette di mantenere ben saldo il contatto con il mondo culturale tedesco e rappresenta un forte stimolo a continuare l’attività di ricerca mirando a comunicarla agli studenti.Quella dimensione ambivalente, molto lucana, del rapporto con la temporalità – da un lato un presente intriso di positività e propositività, un futuro che si raggiunge solo sradicandosi dal proprio territorio, dall’altro il rivolgersi spesso nostalgico a un mondo e ad un tempo che non ci sono più – quella dimensione può del resto assumere un carattere di universalità. Ma, superati infine il ‘rimorso’ e la malinconia, diviene possibile orientarsi a una composizione armonica delle contraddizioni fra passato e futuro, fra radici e prospettive, ed esprimere una creatività capace anche di riappropriarsi di una tradizione.

Giuseppe D’Alessandro

q Queste brevi riflessioni autobiografiche mi fanno ripensare agli innumerevoli viaggi di andata e ritorno dalla e verso la Basilicata che hanno caratterizzato gran parte della mia vita. Una dimensione, quella del

viaggio in Lucania, che ancora permane e che è intrisa di quel misto di sentimenti di entusiasmo e malinconia che spesso mi hanno accompagnato nelle partenze e negli arrivi da e a Laurenzana. Ripenso in questo agli struggenti e al tempo stesso liberatori versi di Rocco Scotellaro, quando parlava degli “altri uccelli” che “fuggiranno dalla cova” perché “l’alba è nuova, è nuova”, volendo con ciò descrivere, cantare quasi il destino di viaggio, di partenza degli uomini della Basilicata dopo un secolo di emigrazione. Le montagne, belle, spoglie, imponenti, della mia terra natia evocano, con il loro silenzio, proprio questo destino, una vera e propria epopea, del grande esodo che ha svuotato, spopolato gran parte di queste terre. Allora, è come se ci fosse una cesura spazio-temporale che scandisce il ritmo e la percezione della vita al di qua e al di là dei confini della Basilicata interna: di qua il ricordo, il silenzio, la considerazione del passato, la malinconia, di là lo stare immersi nel presente con lo sguardo rivolto al futuro, il confrontarsi con la modernità, la vita attiva. La compresenza di entrambi questi aspetti ha fatto parte del mio bagaglio di esperienza vissuta fin dal Liceo a Potenza e poi ancora all’Università a Napoli, accompagnandomi anche nei lunghi anni tedeschi. La Germania è stata ed è per me una seconda patria, dove ho avuto modo di coltivare proficuamente i miei interessi di studio.

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Alta formazione per migrantiANNA EMILIA COLUCCI

Da qualche settimana Eliana, Adria-no, Ponzalo, Yolanda e Andrea frequen-tano un corso di Alta Formazione pres-so l’Università di Basilicata. Non sono studenti lucani ma migranti, discenden-ti di lucani all’estero, i primi a beneficia-re di una misura formativa promossa dal-la Regione Basilicata d’intesa con l’Ate-neo. La legge diventa uguale per tutti. Ai discendenti dei lucani all’estero vengo-no garantiti gli stessi diritti di chi vive in regione.

Si tratta per questi ragazzi di una “ri-vincita”. I loro genitori furono costretti a lasciare la loro terra per bisogno, soprat-tutto di lavoro. Loro rientrano per cono-scere anche il passato, ma soprattutto per costruire il proprio futuro. Il master vedrà impegnati per un anno i giovani sudamericani. Quattro di loro si specia-lizzeranno in Comunicazione Pubblica, l’altro in BioIngegneria per la Diagnosi e la terapia medica. Per ogni stagista la Regione ha finanziato una borsa di stu-dio di 7.200 euro a cui si aggiunge un contributo nella misura di 6.000 euro.

Determinati a conseguire il presti-gioso titolo i cinque giovani vivranno il territorio lucano di cui hanno sin dalla nascita sentito parlare e che hanno de-finito speciale perché vanta un capita-le umano straordinario. Hanno instaura-to buoni rapporti di amicizia integran-dosi senza difficoltà sia all’interno del-l’università sia alla Casa dello Studente che li ospita.

È l’ARDSU, l’Azienda Regionale di Diritto allo Studio Universitario, ad aver provveduto alla loro sistemazione for-nendo un alloggio, un tesserino per ac-cedere alla mensa universitaria, un ab-bonamento ai mezzi di trasporto urba-no oltre che ad uno sconto variabile dal 40 al 50 per cento per tutte le attività culturali a cui l’ARDSU aderisce.

Durante la permanenza i giovani, nell’ambito delle attività promosse dal Comitato istituzionale per le Politiche

del Lavoro e dall’Ufficio delle Consiglie-ri di Parità, convoglieranno attraverso il Portale della Regione tutte quelle infor-mazioni che dall’Italia non riescono ad arrivare oltre oceano.

Notizie che riguardano l’organizza-zione di altri master, delle Borse Lavoro e di tutte le iniziative che saranno pro-mosse. In particolare sarà sperimenta-ta un’attività legata all’insegnamento del-l’italiano on line.

E dopo il master? Ritorneranno nei Paesi sudamericani dove, questa è la loro speranza, spenderanno il titolo ac-quisito in Italia nel mondo del lavoro

Frequentare un master in Argentina comporta una spesa notevole. Sono po-chi i laureati che riescono ad accedere ai corsi post laurea.

“La vita - hanno raccontato i giovani - non è facile. Molti non hanno un lavo-ro e vivono di sussidi concessi dallo Sta-to. I bambini hanno sempre fame perché il cibo non è mai sufficiente. Ci vuole an-cora molto tempo per migliorare la qua-lità della vita. Siamo fieri di poter fare questo master nella terra che ha dato i natali ai nostri genitori.

Riscatteremo - hanno detto con emo-zione - i dispiaceri dei nostri cari quando furono costretti a lasciare la Basilicata per cercare fortuna nei paesi dove attual-mente viviamo.

I nostri genitori sono orgogliosi di noi e li premieremo e ripagheremo i loro sa-crifici conseguendo il titolo che ci rilasce-rà l’Università di Basilicata. Per noi si trat-ta di una straordinaria occasione che ci porta a rinsaldare le nostre radici luca-ne e a raggiungere, nel contempo, un obiettivo importante che riguarderà il nostro futuro Ci sentiamo veramente a casa. L’ospitalità dei lucani è ecceziona-le, il territorio incontaminato, il clima frizzante”. I loro volti sono ancora ab-bronzati.

A Cordoba, La Plata, Buenos Aires, i loro paesi, l’estate è calda e lunga. I loro nonni vivono a Roccanova, Satriano, San Giorgio, Rionero e San Fele. Nei giorni festivi si ritrovano insieme. Sulle tavole pietanze lucane che si accompa-gnano a vini nostrani.

E insieme al piacere dei cibi assapo-rano con altrettanto buon gusto il dia-letto di appartenenza. =

TON

Y V

ECE