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1597 PREMESSA Nel 1994 un gruppo di 22 esperti mise a punto delle linee guida per la terapia e la dia- gnosi dell’angina instabile che furono pub- blicate dal Department of Health and Hu- man Services degli Stati Uniti 1 . Esse furono basate sui risultati di 1800 studi clinici, fra circa 7500 esaminati, di cui 130 erano ran- domizzati con un alto numero di pazienti, 319 furono considerati di qualità eccellente e 1351 furono giudicati di qualità buona. Le prime linee guida ANMCO-SIC per la terapia e la diagnosi dell’angina instabi- le sono state presentate nel 1997 e pubbli- cate nel 1998 2 . Tali linee guida derivavano in gran parte da quelle di Braunwald et al. 1 , ma adattate alle caratteristiche culturali e operative del sistema assistenziale italiano. Il rapido sviluppo delle conoscenze in diversi settori della cardiopatia ischemi- ca acuta ha suggerito, dopo soli 2 anni, la necessità di questo aggiornamento, in particolare nei settori della patogenesi, della stratificazione prognostica e della terapia farmacologica. In queste linee guida aggiornate le parti modificate in maniera sostanziale rispetto a quelle originali pubblicate nel 1998 sono scrit- te in corsivo per rendere più agevole e rapida la lettura a chi desidera ap- profondire gli aggiornamenti soltanto. CAPITOLO 1 Introduzione L’esigenza di produrre linee guida per la diagnosi e la terapia di patologie speci- fiche scaturisce dall’estrema variabilità dei comportamenti medici che da una parte determina una quota rilevante di de- cisioni cliniche non appropriate, dall’al- tra un’utilizzazione inefficiente delle ri- sorse. Una delle cause principali di tali inconvenienti risiede nell’insufficiente comunicazione tra ricerca clinica e prati- ca clinica quotidiana con la conseguente inadeguata applicazione delle evidenze scientifiche acquisite. La messa a punto di linee guida ha l’obiettivo di sanare questa frattura. Nel campo delle malattie cardiovascolari questa esigenza è parti- colarmente sentita in relazione alla dia- gnosi e terapia dell’angina instabile. In- fatti una diagnosi e una terapia tempesti- ve offrono la possibilità di attuare una prevenzione estremamente efficace del- l’infarto in quanto in circa metà dei pa- zienti l’infarto miocardico è preceduto da un periodo più o meno prolungato di in- stabilità. Le linee guida vanno intese co- me raccomandazioni di comportamento clinico prodotte attraverso un processo metodologico sistematico, allo scopo di Ricevuto il 22 settembre 2000. Per la corrispondenza: Prof. Filippo Crea Istituto di Cardiologia Università Cattolica del Sacro Cuore Policlinico A. Gemelli Largo A. Gemelli, 8 00168 Roma E-mail: [email protected] Linee guida Linee guida per la diagnosi e terapia dell’angina instabile Aggiornamento 2000 a cura di Filippo Crea, Marcello Galvani Task Force Filippo Crea (Coordinatore), Augusto Canonico, Vincenzo Cirrincione, Giuseppe Di Pasquale, Francesco Mauri, Maria Penco, Piero Zardini, con il contributo di Corrado Vassanelli Commissione per le Linee Guida ANMCO-SIC Antonio Barsotti (Coordinatore), Gianfranco Mazzotta (Ital Heart J Suppl 2000; 1 (12): 1597-1631)

Linee guida Linee guida per la diagnosi e terapia dell ... · Nel paziente con angina instabile, al contrario, la li-mitazione dell’attività fisica è persistente (classe 3 o 4),

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PREMESSA

Nel 1994 un gruppo di 22 esperti mise apunto delle linee guida per la terapia e la dia-gnosi dell’angina instabile che furono pub-blicate dal Department of Health and Hu-man Services degli Stati Uniti1. Esse furonobasate sui risultati di 1800 studi clinici, fracirca 7500 esaminati, di cui 130 erano ran-domizzati con un alto numero di pazienti,319 furono considerati di qualità eccellentee 1351 furono giudicati di qualità buona.

Le prime linee guida ANMCO-SIC perla terapia e la diagnosi dell’angina instabi-le sono state presentate nel 1997 e pubbli-cate nel 19982. Tali linee guida derivavanoin gran parte da quelle di Braunwald et al.1,ma adattate alle caratteristiche culturali eoperative del sistema assistenziale italiano.

Il rapido sviluppo delle conoscenze indiversi settori della cardiopatia ischemi-ca acuta ha suggerito, dopo soli 2 anni,la necessità di questo aggiornamento, inparticolare nei settori della patogenesi,della stratificazione prognostica e dellaterapia farmacologica. In queste lineeguida aggiornate le parti modificate inmaniera sostanziale rispetto a quelleoriginali pubblicate nel 1998 sono scrit-te in corsivo per rendere più agevole erapida la lettura a chi desidera ap-profondire gli aggiornamenti soltanto.

CAPITOLO 1

Introduzione

L’esigenza di produrre linee guida perla diagnosi e la terapia di patologie speci-fiche scaturisce dall’estrema variabilitàdei comportamenti medici che da unaparte determina una quota rilevante di de-cisioni cliniche non appropriate, dall’al-tra un’utilizzazione inefficiente delle ri-sorse. Una delle cause principali di taliinconvenienti risiede nell’insufficientecomunicazione tra ricerca clinica e prati-ca clinica quotidiana con la conseguenteinadeguata applicazione delle evidenzescientifiche acquisite. La messa a puntodi linee guida ha l’obiettivo di sanarequesta frattura. Nel campo delle malattiecardiovascolari questa esigenza è parti-colarmente sentita in relazione alla dia-gnosi e terapia dell’angina instabile. In-fatti una diagnosi e una terapia tempesti-ve offrono la possibilità di attuare unaprevenzione estremamente efficace del-l’infarto in quanto in circa metà dei pa-zienti l’infarto miocardico è preceduto daun periodo più o meno prolungato di in-stabilità. Le linee guida vanno intese co-me raccomandazioni di comportamentoclinico prodotte attraverso un processometodologico sistematico, allo scopo di

Ricevuto il 22 settembre2000.

Per la corrispondenza:

Prof. Filippo Crea

Istituto di CardiologiaUniversità Cattolicadel Sacro CuorePoliclinico A. GemelliLargo A. Gemelli, 800168 RomaE-mail:[email protected]

Linee guidaLinee guida per la diagnosi e terapiadell’angina instabileAggiornamento 2000

a cura di Filippo Crea, Marcello Galvani

Task ForceFilippo Crea (Coordinatore), Augusto Canonico, Vincenzo Cirrincione,Giuseppe Di Pasquale, Francesco Mauri, Maria Penco, Piero Zardini,con il contributo di Corrado Vassanelli

Commissione per le Linee Guida ANMCO-SICAntonio Barsotti (Coordinatore), Gianfranco Mazzotta

(Ital Heart J Suppl 2000; 1 (12): 1597-1631)

Page 2: Linee guida Linee guida per la diagnosi e terapia dell ... · Nel paziente con angina instabile, al contrario, la li-mitazione dell’attività fisica è persistente (classe 3 o 4),

fornire a medici e pazienti un supporto per sceglierele modalità di assistenza più appropriate in specifi-che circostanze cliniche.

Definizione di angina instabile

Nello spettro delle manifestazioni cliniche dellacardiopatia ischemica l’angina instabile si colloca co-me una sindrome di gravità intermedia fra quella del-l’angina stabile e quella dell’infarto. Il paziente con an-gina instabile può presentare tre quadri clinici principa-li riassunti nella tabella I. Nella tabella I e nel resto del-le linee guida, la gravità dell’angina sarà definita sullabase di una versione modificata della Canadian Cardio-vascular Society che è riportata nella tabella II3.

È importante notare che nei pazienti con angina sta-bile la presenza di stenosi dinamiche e di alterazionifunzionali del microcircolo possono profondamentemodificare la soglia ischemica e determinare, occasio-nalmente, anche angina a riposo. Tuttavia, nonostantequeste oscillazioni, l’andamento dei sintomi rimane sta-bile, anche se il paziente può presentare “giornate buo-ne”, durante le quali la soglia ischemica riflette più fe-delmente la gravità delle stenosi organiche, e “giornatecattive”, caratterizzate dal sovrapporsi di un aumento

dinamico del tono coronarico a livello della placca ate-rosclerotica o del microcircolo, in cui la soglia ischemi-ca può ridursi fino ad aversi occasionali episodi a ripo-so. Nel paziente con angina instabile, al contrario, la li-mitazione dell’attività fisica è persistente (classe 3 o 4),la presenza di angina a riposo ricorrente e i sintomi ten-dono ad essere, in generale, ingravescenti.

Definizione degli ambienti di cura

I pazienti con angina instabile possono essere esa-minati e seguiti, a seconda della gravità del quadro cli-nico, nei seguenti ambienti di cura: ambulatorio, corsiacardiologica, unità coronarica.

Ambulatorio. Per ambulatorio si intende uno studiomedico, il pronto soccorso di un ospedale od un ambu-latorio divisionale dove sia possibile eseguire un elet-trocardiogramma (ECG) a 12 derivazioni ed assicurareuna via venosa periferica.

Corsia cardiologica. La corsia cardiologica deve essereattrezzata per eseguire immediatamente un ECG a 12derivazioni e per assicurare una via venosa periferica;deve essere raggiungibile entro pochi minuti da un ria-nimatore. Il personale infermieristico deve essere ingrado di riconoscere un episodio anginoso e capace dieseguire un massaggio cardiaco.

Unità coronarica. L’unità coronarica deve avere un rap-porto infermieri/pazienti possibilmente non inferiore a1:2, deve essere attrezzata per il monitoraggio continuodell’ECG, della pressione arteriosa e della pressionepolmonare. Deve essere in grado di gestire pazienti chenecessitano dell’infusione di farmaci vasoattivi, del-l’impianto di un pacemaker temporaneo o di ventila-zione meccanica. Inoltre, deve poter essere immediata-mente raggiunta da un rianimatore. Il personale infer-mieristico deve essere in grado di riconoscere un episo-dio anginoso e le aritmie cardiache.

È da notare che non tutte le unità coronariche han-no a disposizione un laboratorio di emodinamica e che

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Ital Heart J Suppl Vol 1 Dicembre 2000

Tabella I. Presentazioni cliniche dell’angina instabile.

Angina di nuova insorgenza a) angina di classe CCSC 3 o 4 (entro gli ultimi 2 mesi) b) angina a riposo (spesso prolun-

gata)c) a + b

Angina ingravescente Aggravamento di un’angina pre-(entro gli ultimi 2 mesi) esistente per la comparsa di episo-

di anginosi: a) più intensi; b) piùprolungati; c) a soglia più bassa;e/o d) a riposo

Angina postinfartuale a) angina di classe CCSC 3 o 4 (entro 2 settimane b) angina a riposodopo l’infarto) c) a + b

CCSC = Canadian Cardiovascular Society Classification.

Tabella II. Classificazione modificata dell’angina secondo la Canadian Cardiovascular Society.

Classe 1 L’attività fisica abituale, come camminare o salire le scale non causa angina. L’angina si manifesta tipicamente duran-te esercizio strenuo, rapido o prolungato durante attività lavorative o ricreative.

Classe 2 Lieve limitazione delle attività abituali. L’angina si manifesta tipicamente: a) camminando o salendo le scale rapida-mente oppure camminando in pianura per più di 200 m o salendo più di due piani di scale ad andatura normale ed incondizioni ambientali normali; b) camminando o salendo le scale dopo i pasti, in ambiente freddo o ventoso, c) cam-minando in salita, d) durante stress emotivo.

Classe 3 Marcata limitazione dell’attività fisica abituale. L’angina si manifesta camminando per meno di 100-200 m o salendouno o due piani di scale ad andatura normale ed in condizioni ambientali normali.

Classe 4 Incapacità ad eseguire qualsiasi attività fisica senza angina. L’angina può essere presente a riposo.

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non tutti i laboratori di emodinamica che eseguono esa-mi diagnostici sono attrezzati per eseguire anche an-gioplastica coronarica (PTCA). Nonostante ciò il ruolodell’unità coronarica nella gestione dell’angina instabi-le ad alto rischio è fondamentale anche nel caso non siapossibile fare riferimento immediato ad un laboratoriodi emodinamica. Infatti in almeno il 90% dei pazientianginosi è possibile stabilizzare i sintomi in unità coro-narica ottimizzando la terapia medica, consentendo unulteriore margine di tempo necessario per un successi-vo ricovero mirato all’esecuzione dell’angiografia co-ronarica. Inoltre, per quei pazienti ad alto rischio chenecessitano di rivascolarizzazione coronarica immedia-ta l’unità coronarica rappresenta il luogo ideale dove at-tivare il trasferimento del paziente in strutture sanitarieche possano far fronte a questo tipo d’urgenza o emer-genza terapeutica. La creazione di “reti” di unità coro-nariche basata sull’utilizzazione sempre più efficiente ecapillare delle risorse telematiche potrà ulteriormentepotenziare questo tipo di collaborazione e quindi mi-gliorare la prognosi dell’angina instabile ad alto ri-schio.

Definizione del tipo di raccomandazioni

Ogni raccomandazione data in queste linee guidasarà basata su un’evidenza di tipo A, B o C.

Evidenza di tipo A. La raccomandazione è basata sugrandi studi clinici randomizzati.

Evidenza di tipo B. La raccomandazione è basata sumetanalisi di studi clinici randomizzati, su studi clinicinon randomizzati o randomizzati ma in popolazionipiccole.

Evidenza di tipo C. La raccomandazione è basata su unconsenso raggiunto dagli autori di queste linee guida.

Introduzione all’angina instabile

Dati epidemiologici. La cardiopatia ischemica è la piùimportante causa di morbilità e di mortalità nel mondooccidentale. Circa il 10% dei pazienti con cardiopatiaischemica presenta angina instabile come prima mani-festazione di malattia, ma la percentuale di pazienti concardiopatia ischemica che presenta uno o più episodi diinstabilità nel corso della loro malattia è molto più alta.Da notare, inoltre, che circa il 50% dei pazienti ricove-rati per infarto riferiscono la presenza di episodi angi-nosi che configurano un quadro di angina instabile neigiorni immediatamente precedenti4.

Nonostante la riduzione di mortalità per cardiopatiaischemica osservata negli ultimi 20 anni, il numero diricoveri per angina instabile è aumentato, almeno negliStati Uniti, da 130 000 nel 1983 a 570 000 nel 19915.

La ragione di questa apparente contraddizione è proba-bilmente duplice: da una parte l’affermazione di criterimeno restrittivi per la diagnosi di angina instabile; dal-l’altra la riduzione di mortalità per cardiopatia ischemi-ca con conseguente aumento del rischio di andare in-contro ad una fase di instabilità.

Negli Stati Uniti, circa il 60% dei pazienti con angi-na instabile come prima manifestazione di malattia è disesso maschile ed ha più di 60 anni. Con l’aumentaredegli anni, la percentuale di pazienti di sesso maschilediminuisce. Più donne che uomini sono ricoverati condiagnosi di angina instabile dopo gli 85 anni; ciò riflet-te, probabilmente, il maggior numero di donne che rag-giungono questa età piuttosto che una variazione nellaprevalenza di angina instabile nei due sessi6. In Italia,circa un terzo dei pazienti ricoverati per angina insta-bile è di età > 70 anni7.

Patogenesi dell’angina instabile. L’angina instabile,così come l’angina stabile, dovrebbe essere considera-ta una sindrome, poiché i fattori che causano l’instabi-lità e la sua evoluzione verso l’infarto possono esseredifferenti in diversi pazienti. La tendenza ad evolvereverso l’infarto ha determinato il fiorire, con il passaredegli anni, di diversi termini descrittivi come “anginapreinfartuale”, “angina in crescendo”, “sindrome co-ronarica intermedia” o “insufficienza coronarica acu-ta”, finché nel 1971 Conti et al.8 proposero il termine“angina instabile”. Anche se è stato ripetutamente cri-ticato, questo termine è stato infine accettato univer-salmente allo scopo di richiamare l’attenzione del me-dico sul maggior rischio di eventi clinici gravi rispettoall’angina stabile.

Una placca aterosclerotica può diventare instabile(indipendentemente dalla sua gravità emodinamica)attraverso due diversi meccanismi: a) iperreattività delmuscolo liscio vascolare che determina spasmo transi-torio in risposta a stimoli vasocostrittori fisiologici; b)formazione di un trombo coronarico reversibile. Il pri-mo meccanismo opera in una percentuale variabile mapiccola di pazienti con angina instabile. Il secondomeccanismo è responsabile dell’instabilità nella mag-gioranza dei pazienti con angina instabile. Spasmo etrombosi aumentano acutamente la gravità emodina-mica della placca aterosclerotica instabile determinan-do angina di nuova insorgenza a bassa soglia o ridu-zione della soglia di un’angina preesistente e/o episodidi angina a riposo se l’ostruzione dinamica è talmentegrave da ridurre transitoriamente il flusso coronaricobasale9. In un periodo di tempo variabile ma di solitonon superiore ad alcune settimane, l’instabilità dellaplacca aterosclerotica, può progredire verso l’infartodel miocardio (causato da occlusione coronarica per-sistente) o verso la morte improvvisa (favorita daun’alta suscettibilità miocardica alle aritmie) oppurepuò evolvere verso una fase di stabilità favorita dallalisi o dall’organizzazione del trombo (Fig. 1). In que-st’ultimo caso la riduzione della riserva coronarica

F Crea, M Galvani - Linee guida per la diagnosi e terapia dell’angina instabile

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causata dall’organizzazione del trombo, se non vienecompensata da un adeguato sviluppo del circolo colla-terale, determina una riduzione della soglia anginosadurante sforzo.

Le cause primarie dell’iperreattività del muscolo li-scio coronarico nei pazienti in cui l’angina instabile ècausata da spasmo sono ancora ignote. L’iperreattivitànon sembra essere causata da un’alterazione di un re-cettore specifico delle cellule muscolari lisce, in quan-to da una parte agonisti di recettori diversi possonocausare spasmo nello stesso paziente, dall’altra anta-gonisti specifici non prevengono lo spasmo. Pertanto,le cause dell’iperreattività risiedono probabilmente inalterazioni post-recettoriali legate alla trasduzione in-tracellulare dei segnali di membrana10.

Anche le cause primarie della trombosi coronaricareversibile e le cause dell’evolutività di quest’ultima ver-so l’infarto sono ancora poco note e probabilmente mul-tiple. Tuttavia, numerosi studi hanno dimostrato che incirca la metà dei casi l’instabilità si associa ad un au-mento dei livelli sistemici di proteina C-reattiva11, unaproteina di fase acuta sintetizzata dal fegato in rispostaa citochine, in particolare l’interleuchina-6, secrete so-prattutto da cellule infiammatorie attivate. In questi pa-zienti, come confermato da studi anatomo-patologici,l’attivazione di cellule infiammatorie a livello della plac-ca aterosclerotica può avere un ruolo fondamentale nelcausarne l’instabilità, in quanto può determinare: a) at-tivazione endoteliale con espressione, fortemente trom-bogenica, di fattore tissutale9,12,13; b) rottura del cappuc-cio fibroso causato dalla secrezione di metalloproteina-si della matrice intercellulare con l’estrusione del nu-cleo lipidico fortemente trombogenico14; c) aumento del-la sintesi e secrezione di endotelina, un potente vasoco-strittore15-17. Le cause dell’attivazione delle cellule in-fiammatorie nei pazienti in cui l’instabilità è associataad un aumento sistemico della proteina C-reattiva sonoancora poco note e probabilmente multiple18.

Prognosi dell’angina instabile

L’angina instabile rappresenta uno degli estremidelle sindromi coronariche acute che, come è noto,costituiscono un continuum fisiopatologico e di gra-vità clinica19. Nell’ambito di questo spettro di manife-stazioni, la distinzione tra angina instabile ed infartomiocardico viene di regola effettuata retrospettiva-mente in base alla presenza o meno di elevazioni ca-ratteristiche dei marcatori di necrosi miocardica nel-le ore successive al ricovero. La stratificazione pro-gnostica dei pazienti che si presentano all’ospedaleper un episodio di ischemia miocardica acuta riguar-da quindi in generale tutti questi soggetti indipenden-temente dalla diagnosi definitiva.

Una stima accurata della prognosi dell’angina in-stabile può essere basata solo sulla conoscenza preci-sa delle cause dell’instabilità nel singolo paziente. Nonavendo ancora questa informazione, possiamo opera-re una stratificazione prognostica ragionevolmenteaccurata tenendo presente che quest’ultima è influen-zata dal profilo del rischio di base (fattori determinan-ti cronici) e dalla tendenza alla progressione dell’in-stabilità coronarica verso l’occlusione coronaricacompleta e irreversibile (fattori determinanti acuti).

Variazione della prognosi nel tempo. La prognosi di-pende dal momento in cui si opera la stratificazioneprognostica. Nella maggior parte degli studi quest’ul-tima è stata valutata non all’insorgenza dei sintomi, masolo dopo aver stabilito in maniera definitiva la dia-gnosi di angina instabile. È probabile che la prognosidei pazienti in cui è già stata ottenuta una diagnosi de-finitiva di angina instabile sia sensibilmente miglioredi quella valutata all’insorgenza dei sintomi in quantoesclude i pazienti a più alto rischio che evolvono rapi-damente verso l’infarto o la morte improvvisa. Ciò èchiaramente dimostrato dai risultati del Duke Cardio-vascular Databank che descrivono la prognosi di21 761 pazienti ricoverati dal 1985 al 1992 per cardio-patia ischemica non sottoposti a rivascolarizzazione1. Ipazienti furono raggruppati sulla base della diagnosi almomento dell’ammissione in pazienti con angina sta-bile, con angina instabile e con infarto. Come dimo-strato con estrema chiarezza dalla figura 2, il rischio dimorte cardiaca dei pazienti con angina instabile e coninfarto raggiunse il valore più alto al momento del-l’ammissione per ridursi esponenzialmente nei primimesi. In seguito il rischio di morte cardiaca risultò si-mile per le tre popolazioni di pazienti. Questi risultatihanno un’importante implicazione pratica, in quantodimostrano che a distanza di pochi mesi da un episodiodi instabilità, la prognosi del paziente può essere basa-ta sugli stessi criteri utilizzati per i pazienti con anginastabile.

Profilo del rischio di base. La valutazione prognosticasi deve basare in primo luogo sul riconoscimento di fat-

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Ital Heart J Suppl Vol 1 Dicembre 2000

Figura 1. Storia naturale dell’angina instabile. Quest’ultima può evol-vere verso l’infarto (1) oppure evolvere verso una fase di stabilità consoglia anginosa ridotta (2) o simile a quella antecedente alla fase di in-stabilità (3).

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tori determinanti cronici che influenzano la vulnerabi-lità del cuore agli stimoli ischemici acuti. Questi sonorappresentati da: la gravità del danno ventricolare pre-esistente (che rende il cuore più vulnerabile ad ulterio-ri perdite di miocardio ed alle aritmie indotte dall’i-schemia), dalla sede e gravità delle stenosi coronariche(che determinano la quantità di miocardio a rischio diischemia), e dall’età che determina un aumento espo-nenziale di mortalità in caso di evoluzione infartuale.Questi indicatori della prognosi hanno un effetto molti-plicativo sui determinanti prognostici acuti.

Tendenza alla progressione della manifestazione ini-ziale verso l’occlusione coronarica completa e irrever-sibile. In assenza di cause extracoronariche, la tenden-za ad evolvere verso l’infarto è suggerita da variabilicliniche, elettrocardiografiche e bioumorali.

Variabili cliniche. Pochi studi hanno valutato l’impattoprognostico delle caratteristiche della sintomatologiaanginosa e delle eventuali conseguenze emodinamichedell’episodio di ischemia miocardica acuta. In genera-le è possibile affermare che la prognosi è influenzatada: 1) la presenza di attacchi anginosi a riposo; 2) labreve distanza temporale (< 48 ore) tra l’attacco angi-noso e il ricovero ospedaliero; 3) la durata (> 20 min)dell’attacco anginoso20; 4) la refrattarietà alla terapiamedica21. È inoltre importante ricordare che se l’episo-dio anginoso si accompagna a sintomi o segni di insta-bilità emodinamica (presenza o peggioramento di unsoffio da rigurgito mitralico, III tono, dispnea parossi-stica, rantoli polmonari, ipotensione arteriosa) il ri-schio di eventi cardiaci a breve termine è elevato22.

Variabili elettrocardiografiche. L’ECG registrato almomento del ricovero rappresenta uno strumento po-tente per stratificare il rischio del paziente con anginainstabile. In particolare la presenza o l’assenza, il tipo,la gravità e l’estensione delle alterazioni ischemichedella fase di ripolarizzazione rappresentano un modosemplice e praticabile di valutare la probabilità di evo-luzione verso l’infarto miocardico e la morte. I dati di-sponibili indicano che nell’ECG all’ingresso: 1) l’as-

senza di alterazioni ischemiche o di variazioni rispettoad ECG precedenti identifica un sottogruppo di pa-zienti a basso rischio23; 2) in presenza di alterazioniischemiche, il tipo di alterazione esprime un gradientecrescente di rischio in quanto i pazienti che mostranoonde T invertite sono a rischio relativamente basso,quelli con sopraslivellamento transitorio del tratto STsono a rischio intermedio e quelli con sottoslivella-mento del tratto ST o blocco di branca sinistro sono arischio elevato23,24, in particolare in presenza di sotto-slivellamento del tratto ST > 2 mm25 ed in presenza dialterazioni ischemiche in più di 5 derivazioni26. Inoltreun’importante variabile prognostica è rappresentatanon solo dalla presenza di alterazioni elettrocardiogra-fiche al momento della prima osservazione, ma anchedalla presenza di alterazioni ischemiche transitorie du-rante trattamento intensivo. È infatti da tempo noto cheil tempo totale di ischemia, rappresentato dagli episodiischemici transitori sia sintomatici che asintomatici, èun predittore prognostico molto più potente del numerodegli episodi anginosi e delle alterazioni elettrocardio-grafiche iniziali27,28. Questo tipo di valutazione era finoa poco tempo fa limitata nella sua applicabilità clinicadalla retrospettività del dato, legata alla disponibilitàdella sola tecnica di Holter per il monitoraggio continuodel tratto ST. Il recente sviluppo di sistemi di monitorag-gio del tratto ST in tempo reale ha consentito di confer-mare l’importanza prognostica dell’ischemia silente inepoca di trattamento antitrombotico aggressivo29,30.

Variabili bioumorali. Negli ultimi anni sono stati con-dotti numerosi studi che hanno dimostrato il valore pro-gnostico di diverse variabili bioumorali in grado diesplorare aspetti differenti della fisiopatologia dellaplacca coronarica instabile (indici di danno miocardi-co31, di attivazione del sistema emocoagulativo32 e fibri-nolitico33, e di infiammazione11). Tra queste le troponine(isoforme cardiache della troponina T ed I), indicatoriestremamente sensibili e specifici di danno miocardico,hanno dimostrato un’incontrovertibile utilità prognosti-ca e possono pertanto essere impiegate nella pratica cli-nica per avere informazioni affidabili sull’evolutivitàdell’instabilità coronarica. È stato infatti dimostrato chei pazienti con sindromi coronariche acute in generale, edangina instabile in particolare, che mostrano elevazionedelle troponine al momento del ricovero o nelle ore suc-cessive, hanno un rischio di morte o infarto miocardiconon fatale aumentato di 4-5 volte i primi, e 7-8 volte i se-condi, rispetto ai pazienti che non hanno danno miocar-dico34. A seguito di un episodio di ischemia miocardicaacuta di gravità tale da causare danno cellulare, anchedi piccole dimensioni, l’innalzamento delle troponinepuò essere riconosciuto a distanza di 6-16 ore dall’esor-dio dei sintomi35. L’elevazione delle troponine inoltrepersiste per lungo tempo (6-8 giorni nel caso della tro-ponina I36, 10-12 giorni per la troponina T37), consen-tendo una diagnosi retrospettiva di danno miocardico.La ragione per la quale l’identificazione del danno mio-

F Crea, M Galvani - Linee guida per la diagnosi e terapia dell’angina instabile

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Figura 2. Prognosi di 21 761 pazienti trattati con terapia medica alDuke University Medical Center raggruppati sulla base della diagnosiiniziale.

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cardico ha implicazioni prognostiche così importanti ri-siede probabilmente nel fatto che l’elevazione delle tro-ponine sottende la presenza di trombosi coronarica e lasua tendenza alla progressione38. Questa informazioneprognostica può essere ottenuta in ogni ambiente in cuiviene valutato il paziente con angina instabile dal mo-mento che sono disponibili metodi di dosaggio rapido(con disponibilità dei risultati entro 30 min) utilizzabilisia nel laboratorio per urgenze che al letto del pazientemediante sistemi “Point of Care”39-45. È auspicabile chela misurazione delle troponine entri nella pratica clinicaaccanto alla misurazione dei marcatori di danno mio-cardico tradizionali (CK-MB).

Per un corretto utilizzo delle informazioni derivantidalla misurazione di tali marcatori, è però necessarioche: 1) le troponine vengano misurate sia al momentodella prima osservazione del paziente (in modo tale dariconoscere immediatamente la gravità di eventuali at-tacchi ischemici verificatisi nelle ore o nei giorni pre-cedenti) che 6-16 ore dopo (per identificare anche i pa-zienti con danno miocardico conseguenza dell’episodioche ha portato al ricovero); 2) vengano utilizzati livel-li decisionali per individuare il danno miocardico ade-guati e validati prospetticamente, in quanto i test di-sponibili sono numerosi e mostrano caratteristicheanalitiche differenti (nel caso della troponina I). Conqueste precisazioni, la troponina I e la troponina T de-vono essere considerate equivalenti da un punto di vi-sta clinico46-50. È inoltre importante sottolineare che letroponine sono indici estremamente sensibili di dannomiocardico, per cui è relativamente frequente riscon-trare elevazioni anche in contesti clinici differenti(scompenso cardiaco, embolia polmonare, miocarditeacuta, ecc.)51-53. Va infine ricordato che nei pazienti coninsufficienza renale severa si possono osservare eleva-zioni delle troponine (più frequentemente della tropo-nina T) in assenza di evidenza clinico-elettrocardiogra-fica di danno miocardico54,55, il cui significato è, al mo-mento, incerto56,57. Il valore prognostico delle elevazio-ni delle troponine va quindi limitato alla situazione incui il riscontro di danno miocardico avviene nel conte-sto clinico-strumentale di ischemia miocardica acuta.

Anche la misurazione della proteina C-reattiva sista affermando come marcatore bioumorale utile a mi-gliorare, in aggiunta alla misurazione della troponina,la stratificazione di rischio dell’angina instabile. Ciògrazie anche alla recente disponibilità di metodi adattialla diagnostica rapida, provvisti di sensibilità analiti-ca paragonabile ai più complessi metodi immunoenzi-matici58. Sebbene il valore prognostico della misura-zione isolata della proteina C-reattiva sia limitato59-62

a causa dell’eterogeneità dei meccanismi responsabilidella sua elevazione sierica63, è possibile affermare cheincrementi della proteina C-reattiva identificano un in-cremento del rischio di morte o infarto sia nei pazienti(complessivamente a basso rischio) troponina-negati-vi61, che un ulteriore aumento del rischio in quelli tro-ponina-positivi64 (Tab. III).

Organizzazione delle linee guida

Nel Capitolo 2 verrà proposto un inquadramentoiniziale del paziente con presunta diagnosi di anginainstabile che consente di stratificare i pazienti in tregruppi: a) un gruppo a rischio basso; b) un gruppo a ri-schio intermedio; c) un gruppo a rischio alto. Nel Ca-pitolo 3 verrà esaminato l’approccio diagnostico e te-rapeutico ai pazienti a rischio basso che possono esse-re seguiti ambulatoriamente. Nel Capitolo 4 verrà esa-minato l’approccio diagnostico e terapeutico ai pa-zienti a rischio alto che necessitano di ricovero in unitàcoronarica. Nel Capitolo 5 verrà esaminato l’approc-cio diagnostico e terapeutico ai pazienti a rischio in-termedio ed ai pazienti a rischio alto dopo stabilizza-zione in unità coronarica che necessitano di ricoveroin corsia cardiologica. Nel Capitolo 6 verranno presiin considerazione gli esami non invasivi da eseguirenei pazienti dopo stabilizzazione dei sintomi. Nel Ca-pitolo 7 verranno prese in considerazione le indicazio-ni ad eseguire coronarografia e rivascolarizzazione co-ronarica. Nel Capitolo 8 verrà infine esaminato l’ap-proccio terapeutico al paziente dimesso dopo un epi-sodio di instabilità.

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Tabella III. Stratificazione prognostica iniziale dell’angina instabile*.

Rischio basso Rischio alto

Sintomi Angina da sforzo Angina da sforzo Angina a riposo di nuova insorgenza ingravescente Angina postinfartuale

ECG all’ingresso Normale o invariato Alterazioni dell’onda T Alterazioni del tratto STBlocco di branca sinistro

Marcatori bioumorali Troponine e PCR Troponine o PCR elevate Troponine e PCRnon elevate elevate

ECG = elettrocardiogramma; PCR = proteina C-reattiva. * il gradiente di rischio è influenzato dai determinanti cronici della prognosirappresentati dall’età, dalla funzione ventricolare sinistra, dalla quantità di miocardio a rischio di ischemia e dalla suscettibilità mio-cardica alle aritmie.

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CAPITOLO 2VALUTAZIONE INIZIALE DEL PAZIENTE CON PRESUNTA

ANGINA INSTABILE

Introduzione ed obiettivi

Se la conoscenza della fisiopatologia delle sindromiischemiche acute fornisce la base concettuale delle pos-sibili strategie terapeutiche, l’appropriata applicazionedi queste strategie dipende dal grado di accuratezza concui, sin dall’inizio, vengono valutati i pazienti che sipresentano con un quadro clinico di “sospetto di angi-na instabile”.

La valutazione iniziale del paziente con “sospetto diangina instabile” si articola in due momenti principali:- diagnostico: stima della probabilità di cardiopatiaischemica e, successivamente, di angina instabile;- prognostico: valutazione del rischio di eventi ische-mici maggiori (morte, infarto non fatale) a brevetermine.

Poiché l’esame clinico-anamnestico ed il traccia-to elettrocardiografico (eventualmente completatodal dosaggio dei marcatori di danno miocardico)forniscono gli elementi indispensabili per la formu-lazione della diagnosi e della prognosi precoce, lavalutazione dei pazienti con “sospetto di angina in-stabile” va fatta in un centro medico ove sia di-sponibile quanto meno un elettrocardiografo e maiper telefono65 (evidenza di tipo B).

I pazienti con instabilità emodinamica o con re-cente perdita di coscienza dovrebbero preferibilmen-te essere valutati in un’unità di terapia intensiva o inun pronto soccorso adeguatamente attrezzato, ove siapossibile, se necessario, praticare la rianimazionecardiorespiratoria avanzata (evidenza di tipo C).

Valutazione diagnostica

La stima della probabilità di cardiopatia ischemicae, quindi, di angina instabile viene definita in base a66:a) caratteristiche cliniche (tipicità della sintomatologia,andamento clinico recente, esame fisico); b) presenzadi segni elettrocardiografici di ischemia nell’ECG dibase o in corso di angina; c) dati anamnestici.

Caratteristiche cliniche. Il dolore toracico può schema-ticamente essere definito: “angina tipica”, “angina pro-babile”, “probabilmente non angina”67.

“Angina tipica” è quella in cui la sintomatologia coni caratteri ben noti si manifesta a seguito di stress fisicoo psichico e cessa prontamente con l’assunzione di ni-trati sublinguali o interrompendo lo sforzo fisico. Nel-l’angina instabile, però, il dolore toracico oltre ad esse-re spesso più intenso e prolungato si può manifestareesclusivamente a riposo: quindi un dolore toracico a ri-poso che ha i caratteri dell’angina e cessa prontamentecon la somministrazione sublinguale di nitrati va consi-derato come angina tipica.

In alcuni pazienti il dolore non è localizzato alla pa-rete toracica anteriore ma in altra sede (braccia, mani,nuca, mandibola, epigastrio, ecc.): se la sintomatologiaha stretta correlazione con lo stress fisico o psichico ecessa prontamente con l’assunzione perlinguale di ni-trati va considerata come “angina probabile”. Più diffi-cile è l’interpretazione di questi disturbi quando essi simanifestano solo a riposo, come può accadere nell’an-gina instabile.

Va sottolineato che una sintomatologia non tipica diangina, o più precisamente un dolore toracico di tipopleuritico o accentuantesi alla digitopressione nonesclude con certezza l’origine ischemica: infatti in al-cuni studi si è osservato che fino al 10% di pazienti chesi erano presentati con un dolore che poteva essere de-finito “probabilmente non angina”, presentavano inrealtà ischemia miocardica acuta68.

Infine la sintomatologia causata da ischemia mio-cardica acuta si può manifestare non come dolore al to-race o in altra sede, ma come critica, inedita dispnea ariposo, o come aggravamento della dispnea da sforzo ocon altro corteo sintomatologico (sudorazione, nausea,vomito, palpitazioni, lipotimia, vertigini, marcata aste-nia, ecc.). Tali manifestazioni cliniche possono essereconsiderate come “equivalenti anginosi” in presenza disegni elettrocardiografici di ischemia; si dovrà comun-que sospettare la loro origine ischemica nei pazienticon storia di cardiopatia ischemica, anche in assenza dinuovi segni di ischemia documentati.

Il riscontro all’esame obiettivo del cuore di un IIItono o di un IV tono o di insufficienza mitralica in cor-so di dolore toracico rende la diagnosi di angina insta-bile altamente probabile. Anche la presenza di soffi va-scolari periferici aumenta la probabilità di angina insta-bile.

Dati elettrocardiografici. L’ECG fornisce informazionicruciali per la diagnosi di angina instabile69. Alterazio-ni elettrocardiografiche che si sviluppano durante unepisodio di dolore toracico e si risolvono quando il do-lore cessa indirizzano decisamente verso l’origineischemica della sintomatologia. Va ricordata però lapossibilità di falsi negativi elettrocardiografici in circail 5% dei pazienti con ischemia miocardica acuta: per-tanto la normalità del tracciato elettrocardiografico du-rante dolore non esclude la diagnosi di angina instabilema indica solamente una minor probabilità di sviluppa-re eventi cardiaci a breve termine70.

Il riscontro di alterazioni elettrocardiografiche al difuori dell’episodio sintomatico non sempre aiuta nel-l’interpretazione della sindrome clinica, specie se non èdisponibile un precedente tracciato di riferimento. Co-munque, nel tracciato di base alterazioni quali sopra osottoslivellamento del tratto ST > 1 mm o la presenza dionde T negative profonde a branche simmetriche inmolte derivazioni, in assenza di segni di ipertrofia ven-tricolare sinistra, di blocchi di branca, di preeccitazio-ne ventricolare o di digitale, aumentano la probabilità

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di ischemia miocardica. Da notare che il sopraslivella-mento del tratto ST si può riscontrare anche nella peri-cardite (in cui di solito è presente in quasi tutte le deri-vazioni ed è associato a dolore di tipo pericarditico piùche stenocardico) oppure si può riscontrare, special-mente nel giovane, come variante normale.

Il sottoslivellamento del segmento ST < 1 mm, on-de T negative < 1 mm in derivazioni con R dominanti ealterazioni non specifiche del segmento ST e dell’ondaT sono associati ad una probabilità bassa/intermedia dicardiopatia ischemica68,71.

Dati anamnestici. Nei pazienti asintomatici all’atto del-la presentazione, con esame obiettivo normale e senzachiari segni elettrocardiografici di ischemia, la proba-bilità di angina instabile va valutata anche in base ai cri-teri anamnestici (storia di cardiopatia ischemica, fattoridi rischio coronarico, altre localizzazioni della malattiaaterosclerotica, età, sesso). In particolare, la storia dicardiopatia ischemica suggerisce che la probabilità chei disturbi recenti/attuali siano da riferire ad angina in-stabile è alta. La probabilità di cardiopatia ischemica equindi di angina instabile aumenta inoltre pro-porzionalmente all’età; a parità di età, l’uomo ha pro-babilità di cardiopatia ischemica maggiore rispetto alladonna fino alla menopausa. Tra i fattori di rischio coro-narico, il diabete mellito è quello maggiormente corre-lato alla probabilità di ischemia miocardica.

Probabilità di angina instabile

In base ai criteri clinici, elettrocardiografici eanamnestici prima esposti i pazienti con sospetto diangina instabile, nel corso della valutazione iniziale,possono essere schematicamente catalogati in sotto-gruppi a probabilità alta, intermedia o bassa di car-diopatia ischemica. La misurazione delle troponinenon è utile a definire la probabilità di angina, dal mo-mento che possono riscontrarsi elevazioni in presen-za di danno miocardico di eziologia diversa dall’i-schemia miocardica acuta e che, al contrario, non siosservano elevazioni nel 70% circa dei pazienti conangina instabile (evidenza di tipo C).

La maggior parte dei pazienti con vera angina in-stabile saranno identificati nell’ambito di quelli aprobabilità alta/intermedia di cardiopatia ischemica.

È bene sottolineare che il percorso diagnostico se-guito nella valutazione iniziale deve tenere conto dimolte variabili e non si presta a semplici schematizza-zioni. La presenza di angina tipica o “equivalenti an-ginosi” che si protraggono oltre 30 min, con segnielettrocardiografici di ischemia acuta, indirizza versola diagnosi di infarto miocardico probabile più che diangina instabile. Tra i pazienti nei quali si sospetta ladiagnosi di angina instabile, si va da quelli con segnielettrocardiografici transitori di ischemia miocardicanei quali la diagnosi può considerarsi certa, a quelli in

cui manca la documentazione elettrocardiografica du-rante dolore nei quali la probabilità della diagnosi èpiù o meno alta in rapporto alla tipicità delle manife-stazioni cliniche ed ai criteri anamnestici prima ricor-dati. Peraltro la diagnosi ipotizzata nella fase inizialepuò variare con il trascorrere delle ore in rapporto al-l’acquisizione di dati strumentali o ematochimici o al-l’evoluzione clinica: per esempio un’angina instabileconsiderata tipica può rivelarsi un infarto miocardiconon Q, in presenza di aumento dei marcatori di dannomiocardico; di converso un’angina instabile conside-rata poco probabile, sulla base dei sintomi, può diven-tare molto probabile se in corso di un nuovo episodioanginoso compaiono segni elettrocardiografici diischemia.

Un tipo particolare di angina instabile è l’angina va-sospastica che dal punto di vista elettrocardiografico ècaratterizzata da episodi di sopraslivellamento transito-rio del tratto ST, talvolta accompagnati da aritmie ven-tricolari. Dal punto di vista clinico, soprattutto nei pa-zienti che non presentano stenosi critiche, l’angina va-sospastica è caratterizzata dalla presenza di dolori an-ginosi a riposo che sono spesso notturni ed “a grappo-lo” e, talvolta, accompagnati da palpitazioni, con tolle-ranza allo sforzo ben preservata.

Nei pazienti con probabilità bassa di cardiopatiaischemica, ma con disturbi protratti, resistenti al tratta-mento iniziale, e senza chiari segni elettrocardiograficidi ischemia, dovrà essere valutata, con estrema urgen-za, mediante un riesame clinico-anamnestico e ulterio-ri indagini strumentali, la possibile esistenza, in alter-nativa alla patologia ischemica, di altre gravi affezioni(dissezione aortica, embolia polmonare, pneumotora-ce, tamponamento cardiaco, rottura o ischemia di orga-ni intraddominali, ecc.). In questi pazienti vanno presein considerazione anche altre possibili diagnosi, qualiulcera peptica, malattie acute della colecisti e delle viebiliari, malattia da riflusso gastroesofageo, spasmo eso-fageo, patologia muscolo-scheletrica, ecc.

Quanto detto in questo paragrafo è riassunto nellatabella IV.

Valutazione prognostica

Nella valutazione iniziale del paziente con anginainstabile, in assenza di fattori precipitanti extracoro-narici quali anemia, febbre, infezioni, ipotensione,ipertensione non controllata, tachiaritmie, tireotossi-cosi od ipossiemia secondaria ad insufficienza respi-ratoria, i fattori dei quali va tenuto conto per la previ-sione del rischio a breve termine di eventi maggiorisono quelli clinici riassunti nella tabella V. È inoltreopportuno prendere in considerazione:- dati strumentali rapidamente disponibili sullo sta-to della funzione ventricolare sinistra (da ottenereall’ingresso);- anatomia coronarica (ovviamente se disponibile).

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Per quanto riguarda i criteri clinici già ricordati, gliindicatori principali di prognosi infausta a breve-mediotermine sono la durata e frequenza degli episodi angi-nosi e la presenza di angina a riposo recente72. Nei pa-zienti in cui l’instabilità clinica si è manifestata in cor-so di terapia antischemica ed antiaggregante è più pro-

babile che risulti inefficace anche il trattamento medicointensivo intraospedaliero.

Tra i criteri elettrocardiografici, ulteriori indicatoriprognostici negativi sono: alterazioni transitorie marca-te e diffuse della ripolarizzazione durante angina73; al-terazioni marcate della ripolarizzazione persistenti do-

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Tabella IV. Probabilità di cardiopatia ischemica, e quindi di angina instabile, basata su caratteri del dolore toracico, elettrocardio-gramma (ECG) ed anamnesi.

Probabilità alta

Almeno una delle seguenti caratteristiche:

Angina tipica o “equivalenti anginosi” ti-pici

Angina probabile in uomini > 60 anni odonne > 70 anni con almeno due fattori dirischio* o anamnesi positiva per cardiopatiaischemica e/o per vasculopatia periferica

Angina probabile in pazienti con sotto osopraslivellamento del tratto ST > 1 mmod onde T negative profonde nelle deriva-zioni precordiali in assenza di digitalizza-zione e senza segni di ipertrofia, difetti diconduzione o preeccitazione all’ECG

Alterazioni ischemiche transitorie del-l’ECG

Probabilità intermedia

Assenza di fattori di probabilità alta e al-meno una delle seguenti caratteristiche:

Angina probabile

Dolore toracico considerato probabilmen-te non angina in pazienti con almeno duefattori di rischio* o anamnesi positiva percardiopatia ischemica

Dolore toracico considerato probabilmen-te non angina in pazienti con sottoslivella-mento del tratto ST > 0.05 mm e < 1 mmod onde T negative non profonde in deri-vazioni con onda R

Probabilità bassa

Assenza di fattori di probabilità alta o in-termedia:

Dolore toracico considerato probabilmen-te non angina

* fattori di rischio: diabete, ipertensione, fumo, ipercolesterolemia, anamnesi familiare di cardiopatia ischemica < 50 anni. La stima del-la probabilità di angina instabile è un processo complesso e condizionato da numerose variabili che non possono essere facilmente sche-matizzate in una semplice tabella. Pertanto, la tabella non può offrire indicazioni rigide e va interpretata in maniera flessibile.

Tabella V. Rischio a breve termine di infarto o di morte in pazienti con angina instabile.

Rischio alto

Almeno una delle seguenti caratteristiche:

Angina a riposo nell’ultimo giorno, in par-ticolare se protratta (> 20 min) e/o ricor-rente

Angina a riposo nelle ultime 2 settimaneaccompagnata da: a) sintomi o segni di in-stabilità emodinamica e/o elettrica, b) alte-razioni marcate e diffuse della ripolarizza-zione (in particolare sottoslivellamento deltratto ST), e/o c) elevazione della troponi-na indicativa di danno miocardico in atto orecente (specie se associata ad elevazionedella proteina C-reattiva, in assenza di ma-lattie infiammatorie o neoplastiche)

Infarto miocardico acuto nelle ultime 2settimane seguito da episodi ricorrenti diangina

Rischio intermedio

Assenza di criteri d’alto rischio e almenouna delle seguenti caratteristiche:

Angina a riposo nelle ultime 2 settimane

Riduzione della soglia anginosa in pazien-ti con angina preesistente e: a) infarto pre-gresso; b) segni di scompenso cardiaco; c)onde Q patologiche; d) sottoslivellamentodel tratto ST > 1 mm od onde T negativeprofonde nelle derivazioni precordiali; o e)precedenti interventi di rivascolarizzazio-ne miocardica

Rischio basso

Assenza di rischio alto o intermedio e al-meno una delle seguenti caratteristiche:

Angina da sforzo di nuova insorgenza

Riduzione della soglia anginosa in pazien-ti con angina preesistente

La stima del rischio a breve termine di infarto o morte nell’angina instabile è un processo complesso e condizionato da numerose va-riabili che non possono essere facilmente schematizzate in una semplice tabella. Pertanto, la tabella non può offrire indicazioni rigidee va interpretata in maniera flessibile.

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po cessazione del dolore74; alterazioni indicative di ma-lattia dell’arteria discendente anteriore prossimale (on-de T negative profonde e simmetriche nelle derivazioniprecordiali che si normalizzano durante angina)75.

Tra i criteri bioumorali l’elevazione della troponi-na34 e della proteina C-reattiva62 rappresentano un im-portante indice prognostico negativo.

Come già ricordato, l’esame obiettivo può eviden-ziare segni di scompenso cardiaco (turgore giugulare,edemi declivi ed epatomegalia, segni di stasi polmona-re) o segni di rigurgito mitralico che possono accen-tuarsi durante crisi anginosa, associati ad una prognosipeggiore. È tuttavia auspicabile una pronta valutazioneecocardiografica, in quanto la funzione ventricolare si-nistra può essere gravemente compromessa anche inassenza di segni di scompenso cardiaco. Se il pazienteha eseguito in precedenza una coronarografia, è impor-tante prenderne in considerazione il risultato.

Va sottolineato, tuttavia, che non sono ancora di-sponibili studi di stratificazione del rischio ben con-dotti, che, tenendo conto delle molteplici variabiliprognostiche, consentano di definire un grado di ri-schio applicabile con buona approssimazione al sin-golo paziente. Gli schemi classificativi finora propostimancano in parte di una validazione clinica basata sustudi osservazionali prospettici e tengono conto, pe-raltro, solo di poche variabili prognostiche. Va inoltreosservato che la stima del rischio di eventi ischemicimaggiori a breve termine, cui si perviene inizialmen-te in base ad alcuni parametri clinici ed elettrocardio-grafici e bioumorali, può avere validità limitata neltempo: cioè nel prosieguo del decorso clinico dellamalattia, eventi sopraggiunti (per esempio la ricorren-za di ischemia) o l’acquisizione di nuovi dati (peresempio lo stato della funzione ventricolare sinistra)implicano un aggiornamento ed una ridefinizione del-la prognosi.

I dati clinici, elettrocardiografici e bioumorali ge-neralmente disponibili al momento della prima osser-vazione del paziente sulla base dei quali è possibile ef-fettuare una prima stratificazione di rischio e basarele decisioni circa la necessità ed il tipo del ricovero so-no schematizzati nella tabella V.

Necessità e modalità del ricovero sulla base dellavalutazione diagnostica e stratificazione prognostica

La valutazione prognostica iniziale si embrica cro-nologicamente con la valutazione diagnostica; quindi sipuò riferire, specie nelle fasi molto iniziali, non solo apazienti con probabilità alta di cardiopatia ischemica lacui diagnosi finale potrà però essere di infarto acuto delmiocardio invece che di angina instabile, ma anche a pa-zienti con probabilità bassa o intermedia di cardiopatiaischemica, tra i quali sono compresi anche pazienti lacui diagnosi finale sarà di malattia non ischemica. Neltentativo di fornire linee guida di facile applicabilità, si

corre, a volte, il rischio di semplificare eccessivamente.Pertanto le linee guida proposte per definire la necessitàe la modalità del ricovero di pazienti con sospetto di an-gina instabile rappresentano un punto di partenza vali-do, ma generale che non necessariamente può essereschematicamente applicato ad ogni singolo paziente.

Facendo riferimento agli schemi classificativiproposti e, più in generale, alle informazioni dispo-nibili ad oggi sulla prognosi a breve termine del-l’angina instabile, sembra opportuno, per un ap-proccio clinico razionale, tentare di identificare, giàin fase di valutazione iniziale, un gruppo di pazientia “probabilità alta” di cardiopatia ischemica chevanno poi distinti in pazienti a “rischio alto” che ne-cessitano di ricovero immediato in unità coronaricaper ottenere un monitoraggio continuo dell’ECG e,se necessario, emodinamico e pazienti a “rischiobasso” che non necessitano di ricovero e possono es-sere seguiti ambulatoriamente. I pazienti invece con“probabilità alta” di cardiopatia ischemica che pre-sentano “rischio intermedio” necessitano di ricove-ro in una corsia cardiologica dove sia possibile ese-guire gli opportuni esami diagnostici e l’ECG a 12derivazioni durante dolore. I pazienti con “probabi-lità intermedia” di cardiopatia ischemica possonoessere inizialmente valutati in ambulatorio dovepossono essere ristratificati sulla base del rischioqualora la diagnosi di angina instabile dovesse esse-re confermata. Infine i pazienti con “probabilitàbassa” di cardiopatia ischemica escono dalle lineeguida sull’angina instabile e necessitano di un ap-proccio individuale (Fig. 3) (evidenza di tipo C).

Trattamento iniziale

Gli obiettivi del trattamento iniziale sono: la sta-bilizzazione clinica e la limitazione dell’incidenza dieventi ischemici maggiori a breve termine.

La valutazione iniziale del paziente con angina in-stabile deve prevedere la ricerca sistematica di tuttequelle condizioni cliniche (diabete non compensato,febbre, anemia, ipertiroidismo, aritmie ad alta frequen-za ventricolare, ipertensione arteriosa non adeguata-mente controllata, valvulopatia aortica, cardiomiopatiaipertrofica) che, aumentando il consumo miocardico diossigeno o riducendone l’apporto, sono in grado diprovocare o esacerbare l’ischemia miocardica, speciein presenza di aterosclerosi coronarica ostruttiva.

La scelta del trattamento da praticare, i tempi di in-tervento, la sede in cui iniziare il trattamento variano aseconda della presentazione clinica e del profilo pro-gnostico del paziente. Le modalità di impiego e le ra-gioni dell’uso dei singoli farmaci verranno descritti indettaglio nel Capitolo 4. L’esposizione che segue ri-guarda la strategia terapeutica immediata da adottaredopo aver operato la suddetta valutazione diagnostica estratificazione prognostica.

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I pazienti con probabilità alta di angina instabile erischio basso, che saranno seguiti ambulatoriamente,dovrebbero ricevere terapia antianginosa per via ora-le ed aspirina a meno che non vi sia una chiara con-troindicazione, quale un’emorragia maggiore in atto,una condizione fortemente predisponente ad un’emor-ragia maggiore (ad esempio, una coagulopatia gravecongenita o acquisita, un sanguinamento recente d’ul-cera peptica o una malattia infiammatoria cronica in-testinale in fase attiva), o ipersensibilità all’aspirina(evidenza di tipo A). In questi casi si può somministra-re ticlopidina (evidenza di tipo B) o clopidogrel (evi-denza di tipo B). Una controindicazione all’uso di far-maci antipiastrinici in generale è rappresentata da pia-strinopenie e piastrinopatie gravi (vedere Capitolo 3).

I pazienti con probabilità alta di angina instabi-le ed a rischio alto oltre all’aspirina dovrebbero ri-cevere trattamento con eparina non frazionata o abasso peso molecolare ed essere trasferiti immedia-tamente in unità coronarica (evidenza di tipo A). Lasomministrazione di ossigeno è indicata solo nei pa-zienti con cianosi e ipossiemia documentata (eviden-za di tipo C) (vedere Capitolo 4).

I pazienti con probabilità alta di angina instabile erischio intermedio potrebbero ricevere, oltre all’aspi-rina, eparina non frazionata o a basso peso molecolaresulla base delle caratteristiche individuali del pazienteed essere trasferiti immediatamente in una corsia car-diologica (evidenza di tipo C) (vedere Capitolo 5).

Nella maggior parte dei pazienti con angina instabi-le i sintomi ed i segni di ischemia regrediscono o si ri-ducono sensibilmente con il trattamento medico in-tensivo nell’arco di 20-30 min.

Se la sintomatologia persiste per periodi maggio-ri di 30 min dopo aver iniziato il trattamento medi-

co intensivo bisogna valutare la possibilità di alter-native diagnostiche:1. in presenza di persistenti segni elettrocardiograficidi ischemia è probabile l’evoluzione verso l’infartoacuto del miocardio; in tal caso l’angina deve essereconsiderata refrattaria e trattata di conseguenza (vedereCapitolo 4);2. in assenza di segni elettrocardiografici di ische-mia bisogna sospettare la presenza di altre gravi pa-tologie (dissezione aortica, embolia polmonare,pneumotorace, tamponamento cardiaco, rottura oischemia di organi intraddominali, ecc.).

Durata della valutazione iniziale

La valutazione iniziale che comprende non solo imomenti diagnostico e prognostico, ma anche la deci-sione circa la strategia terapeutica da adottare ini-zialmente, dovrebbe essere completata nel più brevetempo possibile.

Informazioni da fornire al paziente

Al termine della valutazione iniziale il paziente ed isuoi familiari debbono essere informati della probabilediagnosi cui si è pervenuti, del decorso prevedibile del-la malattia, delle possibilità di recupero e di reinseri-mento nel tessuto sociale, dei presupposti razionali chegiustificano di volta in volta le scelte terapeutiche. Unbuon livello di comunicazione attenua lo stato d’ansiache colpisce quasi sempre un paziente con un problemacardiaco acuto e che spesso è accentuato dal fatto che ilpaziente non conosce il medico o il gruppo di medicicui è affidata la sua salute.

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Figura 3. Valutazione iniziale del paziente con sospetto di angina instabile. Le frecce tratteggiate si riferiscono al caso in cui, se la diagnosi di angi-na instabile è confermata, il paziente a probabilità alta ma a rischio basso e il paziente a probabilità intermedia possono essere gestiti in diversi am-bienti di cura (ambulatoriale od ospedaliero) in relazione all’andamento clinico e al risultato degli esami non invasivi (vedere anche Fig. 4).

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CAPITOLO 3LINEE GUIDA PER PAZIENTI CHE NON NECESSITANO

DI RICOVERO

Introduzione

I pazienti con angina instabile a rischio basso (Tab.V) non necessitano di ricovero (evidenza di tipo C).

La valutazione di questi pazienti va completata en-tro 72 ore e deve comprendere, oltre agli esami diagno-stici cardiologici non invasivi finalizzati a confermarela diagnosi di cardiopatia ischemica e a stratificarne ilrischio, anche la ricerca sistematica dei fattori precipi-tanti cardiaci e non cardiaci che, aumentando il consu-mo miocardico di ossigeno, possano spiegare l’insor-genza o il peggioramento della sintomatologia angino-sa. In ogni paziente andranno pertanto sempre ricerca-te, nel tempo più breve possibile, le seguenti situazionicliniche e patologie concomitanti: iperpiressia, anemia,ipertiroidismo, aritmie, ipertensione arteriosa, cardio-miopatia ipertrofica, stenosi aortica, incremento dellostress fisico e/o psichico, scarsa compliance nell’assun-zione della terapia eventualmente in corso.

Obiettivi

Gli obiettivi da perseguire di fronte ad un pazientecon diagnosi di angina instabile giudicata a basso ri-schio e trattata ambulatoriamente sono:- inizio di una terapia medica (o potenziamento diuna terapia già in corso) adeguata a controllare lasintomatologia e a ridurre il rischio di eventi car-diaci gravi;- ristratificazione del rischio dopo le misure tera-peutiche adottate per valutare eventuali indicazionialla coronarografia ed alla rivascolarizzazione coro-narica.

Terapia ambulatoriale

La terapia ambulatoriale dei pazienti con angina in-stabile si basa principalmente sulle seguenti categoriedi farmaci: antiaggreganti, nitroderivati, betabloccanti,calcioantagonisti, statine.

Le ragioni dell’uso dei singoli farmaci verranno de-scritte in dettaglio nel Capitolo 4.

Antiaggreganti. La terapia con aspirina alla dose di80-160 mg/die deve essere sempre adottata in tutti ipazienti con angina instabile che non presentinocontroindicazioni assolute (grave piastrinopenia opiastrinopatia, ipersensibilità al farmaco o sangui-namento o rischio di sanguinamento gastrointesti-nale importante) (evidenza di tipo A).

In coloro nei quali non può essere utilizzata l’a-spirina e non presentano piastrinopenia o piastrino-

patia grave è consigliabile l’inizio di terapia con ti-clopidina alla dose di 250 mg 2 volte al dì (evidenzadi tipo B) o di clopidogrel 75 mg/die (evidenza di tipoB).

Betabloccanti. L’impiego dei betabloccanti è indica-to in tutti i pazienti con angina instabile che nonpresentano controindicazioni al loro uso (evidenzadi tipo B).

La scelta del farmaco, non essendoci dimostrazionidi diversa efficacia fra i vari componenti della classe,deve essere basata sulla consuetudine del medico con ivari betabloccanti e sulla risposta individuale.

Nitroderivati. I pazienti con angina instabile, in par-ticolare quelli con angina all’esordio devono essereadeguatamente istruiti sull’uso dei nitroderivati pervia sublinguale sia per risolvere la crisi in atto, siaper prevenirle nelle situazioni di stress psico-fisiconon evitabili (evidenza di tipo C).

L’utilizzazione dei nitrati ad azione prolungata otransdermica è limitata dal problema della tolleran-za. Pertanto è meglio usarli in associazione a beta-bloccanti a meno che non esistano controindicazioniall’uso dei betabloccanti (evidenza di tipo C).

Per limitare il problema della tolleranza il tratta-mento farmacologico con nitroderivati ad azione pro-lungata deve essere eseguito utilizzando una finestra te-rapeutica di almeno 8 ore quotidiane, così da ripristina-re la sensibilità al farmaco. Nella maggior parte dei pa-zienti, che presentano di solito episodi diurni, è oppor-tuno somministrare le compresse di nitrati ad azioneprolungata (20-40 mg) al mattino ed al pomeriggio,evitando la dose serale (cosiddetta somministrazioneasimmetrica). Se è usato il cerotto (5-15 mg) è oppor-tuno metterlo al mattino e rimuoverlo alla sera.

Calcioantagonisti. I calcioantagonisti non diidropiri-dinici possono essere impiegati in associazione quan-do i sintomi non rispondono a dosi adeguate di beta-bloccanti e nitrati o come prima scelta nei pazientiche non tollerano tali farmaci (evidenza di tipo C).

La nifedipina può essere impiegata quando i sin-tomi non rispondono a dosi adeguate di betabloc-canti e nitrati, ma sempre in associazione a beta-bloccanti (evidenza di tipo A).

I calcioantagonisti rappresentano il farmaco diprima scelta, insieme ai nitrati, nei soggetti con an-gina vasospastica (evidenza di tipo B).

Statine. Le statine sono particolarmente raccomanda-te nei pazienti con angina instabile e colesterolo LDL> 125 mg/dl (evidenza di tipo A).

Le statine sono efficaci nel ridurre il rischio di in-farto e di mortalità sia coronarica che totale nei pa-zienti che hanno superato un episodio coronarico acu-to. L’effetto è particolarmente significativo per livellidi colesterolo LDL > 125 mg/dl76.

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Autovalutazione dei sintomi

La gestione ambulatoriale dell’angina instabile de-ve coinvolgere in maniera attiva il paziente che deveimparare a riconoscere il sintomo angina e a differen-ziarlo da altri dolori toracici derivanti da patologie di-verse concomitanti. È inoltre necessario che egli siaeducato ad essere un attento osservatore della propriasintomatologia annotando il numero degli episodi an-ginosi, i fattori scatenanti, la variazione di intensità edi durata del dolore, la risposta ai nitrati sublinguali el’insorgenza di nuovi sintomi di accompagnamento. Ilpaziente deve sapere che la comparsa di crisi più pro-lungate e intense e/o a riposo e/o meno sensibili ai ni-trati sublinguali e l’eventuale concomitanza di dispneao palpitazioni devono indurlo a contattare rapidamen-te il centro cardiologico di riferimento. La mancata re-gressione della sintomatologia anginosa dopo l’assun-zione di 3 compresse di nitrati sublinguali, a distanzadi 5 min l’una dall’altra, deve indurre il paziente a ri-volgersi nel più breve tempo possibile al pronto soc-corso.

La mancata capacità da parte del paziente ad effet-tuare una corretta autovalutazione dei sintomi, sia perragioni intellettive che per motivi socio-culturali e lanon raggiungibilità in tempi brevi di una struttura car-diologica adeguata sono importanti controindicazionialla gestione ambulatoriale dell’angina instabile.

Informazioni da fornire al paziente

L’attuazione di un corretto stile di vita è fondamen-tale per il trattamento e dell’angina instabile e per laprevenzione di eventi cardiaci gravi nel futuro. L’abo-lizione del fumo di sigaretta ed il controllo del pesocorporeo sono obiettivi che devono essere perseguitida tutti i pazienti con coronaropatia. Nell’angina insta-bile il riposo sia fisico che psichico costituiscono unacondizione indispensabile allo scopo di ridurre il piùpossibile il lavoro del cuore e quindi il consumo di os-sigeno miocardico. Il paziente deve pertanto essere in-vitato ad abbandonare momentaneamente il suo lavo-ro, ad evitare condizioni di stress emotivo, a trascorre-re gran parte della giornata a riposo e a consumare pa-sti leggeri. L’assunzione di tè e caffè non è sconsiglia-ta se fatta con moderazione. Un bicchiere di vino a pa-sto non solo non è controindicato, almeno in pazientiche non presentano ipertensione o scompenso gravi,ma è addirittura raccomandabile. È necessario spiega-re al paziente che l’attuazione di questi accorgimenti,insieme alla scrupolosa assunzione della terapia medi-ca, può consentire il superamento della fase critica del-la malattia in poche settimane e quindi la ripresa di unavita normale in tempi brevi. Qualora la personalità delpaziente o situazioni stressanti contingenti ed inevita-bili facciano presupporre livelli d’ansia elevati, può es-sere utile una blanda terapia ansiolitica.

Pianificazione dei controlli successivi

Dopo la prima visita che ha consentito di porre ladiagnosi il paziente va rivalutato in tempi molto bre-vi (in genere entro 7 giorni) per potere, in base allasintomatologia e agli eventuali effetti collaterali pre-sentati, ottimizzare la posologia dei farmaci pre-scritti, riservando il ricovero ai pazienti che doves-sero presentare peggioramento dei sintomi anginosinonostante la terapia somministrata. Nei pazientiche non necessitano di ricovero il controllo successi-vo va programmato 2-3 settimane dopo l’aggiorna-mento della terapia. In questa occasione, è opportu-no eseguire una nuova stratificazione del rischio av-valendosi, se necessario, di esami diagnostici non in-vasivi (evidenza di tipo C) (vedere Capitolo 6).

La gestione ambulatoriale dell’angina instabile de-ve prevedere una serie di controlli ravvicinati allo sco-po di verificare le condizioni del paziente e l’efficacia ela tollerabilità della terapia farmacologica. Qualora lecondizioni cliniche del paziente siano considerate sod-disfacenti (assenza di angina o sintomi lievi e ben tol-lerati dal paziente, prova da sforzo negativa o solo de-bolmente positiva ad alto carico, buona funzione ven-tricolare) si potrà proseguire con la sola terapia medicaed evitare il ricovero (Fig. 4).

CAPITOLO 4LINEE GUIDA PER PAZIENTI RICOVERATI IN UNITÀ

CORONARICA

Introduzione

L’unità coronarica per l’intensità dell’osservazio-ne e la solerzia con cui possono essere presi i provve-dimenti diagnostici e terapeutici anche più impegnati-vi deve essere utilizzata per il ricovero dei pazienticonsiderati a rischio alto di morte o di infarto (Tab. V).

Obiettivi degli interventi

Gli obiettivi degli interventi devono essere fina-lizzati:- alla rimozione del dolore toracico se ancora pre-sente ed alla regressione di eventuali altri sintomi;- alla prevenzione totale o alla riduzione della fre-quenza e della durata degli episodi di ischemia mio-cardica transitoria, anche se asintomatici;- al tempestivo riconoscimento e alla terapia dellecomplicanze emodinamiche;- alla definizione della strategia diagnostica e tera-peutica più appropriata.

Nel bagaglio terapeutico dell’angina instabile rien-trano tutti gli interventi in grado di interferire sull’ezio-patogenesi e sulla fisiopatologia dell’ischemia miocar-dica e perciò capaci di inibire la formazione del trombosu una placca instabile, di prevenire lo spasmo corona-

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rico ed infine di ridurre il lavoro del cuore. Si dà perscontato che siano state esplorate e si sia proceduto al-la rimozione di eventuali cause di angina secondaria asovraccarichi di pressione o volume da vizio valvolare,ad anemia grave, a grave disfunzione ormonale.

Una volta conseguita la risoluzione dell’attaccoischemico eventualmente in atto bisogna informare ilpaziente sulla causa della malattia in atto e definire lestrategie diagnostiche e terapeutiche necessarie.

Trattamento farmacologico (Tab. VI)

Aspirina. L’aspirina deve essere somministrata 1 vol-ta al giorno alla dose di 300 mg il primo giorno e, suc-cessivamente, di 80-160 mg in tutti i pazienti che nonpresentino controindicazioni assolute (grave piastri-nopenia o piastrinopatia, ipersensibilità al farmaco osanguinamento o rischio di sanguinamento gastroin-testinale importante) (evidenza di tipo A).

L’azione dell’aspirina deve essere fondamental-mente attribuita alla sua capacità di inibire l’aggrega-zione piastrinica. La sua efficacia è ben documentata datrial di medie e grandi dimensioni sia nell’angina insta-bile che nell’infarto miocardico acuto77. Deve essereproseguita a tempo indeterminato. Deve essere postaattenzione all’insorgenza degli effetti collaterali più co-muni (disturbi ed emorragie gastrointestinali).

Ticlopidina e clopidogrel. I soggetti con controindica-zioni all’uso dell’aspirina che non presentano pia-strinopenia o piastrinopatia grave devono esseretrattati con ticlopidina alla dose di 250 mg 2 volte aldì (evidenza di tipo B) o con clopidogrel alla dose di75 mg/die (evidenza di tipo B).

La ticlopidina è un farmaco antipiastrinico che inibi-sce l’aggregazione attraverso il blocco del recettore perl’ADP presente sulla membrana piastrinica. L’effetto delfarmaco è evidenziabile solo dopo 48 ore dall’inizio del-la sua somministrazione e pertanto non è utile quando èrichiesta un’azione rapida. Nei pazienti con angina insta-bile la ticlopidina è più efficace del placebo nel ridurremorte ed infarto a 6 mesi78. La ticlopidina ha due impor-tanti effetti collaterali: la neutropenia (che compare di so-lito dopo alcune settimane di trattamento), e la porporatrombotica trombocitopenica. Inoltre, alle dosi consiglia-te, è scarsamente tollerata a livello gastrico.

Il clopidogrel è derivato dalla tienopiridina analogodella ticlopidina. Ha lo stesso meccanismo d’azione(blocco del recettore per l’ADP), ma è associato ad unaminore incidenza degli effetti collaterali gravi della ti-clopidina. Anche il profilo farmacocinetico appare piùfavorevole in quanto l’effetto antipiastrinico comparepiù rapidamente. Il farmaco viene utilizzato alla dose di75 mg/die. In pazienti stabili il clopidogrel è lievementesuperiore all’aspirina nel prevenire infarto o ictus79.

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Figura 4. Valutazione del paziente con angina instabile che inizialmente non necessita il ricovero (ovvero il paziente a probabilità alta ma a rischio bas-so e il paziente a probabilità intermedia). È necessario ricoverare in ambiente cardiologico (per stabilizzare i sintomi e/o procedere ad accertamenti in-vasivi) i pazienti che mostrano caratteristiche di rischio intermedio-alto al test provocativo eseguito per confermare la diagnosi (vedere Capitolo 6) ecoloro che mostrano peggioramento dei sintomi nonostante terapia farmacologica adeguata. * se il test indica rischio intermedio-alto.

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Farmaco

Aspirina

Inibitori del recettore piastrinicodell’ADP

Inibitori non competitivi della GPIIb/IIIa (abciximab)

Inibitori competitivi della GP IIb/IIIa

Eparina non frazionata

Eparine a basso peso molecolare

Betabloccanti

Nitrati

Calcioantagonisti

Indicazione

Sempre

Controindicazioni all’aspirina

Pazienti per i quali è programmata la ri-vascolarizzazione percutanea entro 24ore*

Pazienti refrattari o ad alto rischio (tro-ponina elevata)Pazienti per i quali è programmata coro-narografia seguita da eventuale rivasco-larizzazione miocardica

Sempre (oppure: eparine a basso pesomolecolare)

Sempre (oppure: eparina non fraziona-ta)

Sempre con l’eccezione dei pazienti conangina vasospastica

Angina vasospastica. Negli altri casiquando i sintomi non sono ben controlla-ti dalla terapia con eparina ed aspirina (oticlopidina o clopidogrel) e da betabloc-canti

Angina vasospastica. Negli altri casiquando i sintomi non sono ben controlla-ti dalla terapia con eparina ed aspirina (oticlopidina o clopidogrel) e da betabloc-canti

Controindicazioni

Grave piastrinopenia, ipersensibilità,emorragie gastrointestinali recenti

Grave piastrinopenia

Come eparina non frazionata (potenzia-mento dell’effetto emorragico) o piastri-nopenia grave

Come eparina non frazionata (potenzia-mento dell’effetto emorragico) o piastri-nopenia grave

Emorragia in atto o alto rischio emorra-gico, ictus recente, storia di trombocito-penia indotta da eparina

Come eparina non frazionata

BAV II-III; frequenza cardiaca < 60b/min; pressione arteriosa sistolica < 90mmHg; insufficienza cardiaca

Pressione arteriosa sistolica < 90 mmHg

BAV II-III; frequenza cardiaca < 60b/min; pressione arteriosa sistolica < 90mmHg; insufficienza cardiaca

Dosi

Dose iniziale: 300 mg per osMantenimento 80-160 mg/die per os

Ticlopidina: 250 mg per os ogni 12 oreClopidogrel: 75 mg/die per os

Bolo: 0.25 mg/kgInfusione: 0.125 �g/kg/min per 24 ore

Eptifibatide:Bolo: 180 �g/kgInfusione: 2.0 �g/kg/min per almeno 48ore (in generale 72 ore)Tirofiban:Bolo: 0.4 �g/kg/min per 30 minInfusione: 0.10 �g/kg/min per almeno 48ore (in generale 72 ore)

Dose iniziale: 5000 UIMantenimento: 800-1000 UI/ora, modi-ficare in seguito così da mantenerel’aPTT tra 1.5 e 2.5 volte quello del pla-sma di riferimentoDurata del trattamento: almeno 48-72ore

Enoxaparina**: 100 UI/kg 2 volte/die s.c.(eventualmente preceduta da bolo di3000 UI e.v.)Dalteparina: 120 UI/kg 2 volte/die s.c.Nadroparina: 87 UI/kg 2 volte/die s.c.Durata del trattamento: 6 giorni circa

Metoprololo:Dose iniziale: 5 mg e.v. in 1-2 min ripe-tuti ogni 5 min fino 15 mgMantenimento: 25-50 mg per os a parti-re da 1-2 ore dopo il carico, ogni 6-8 orePropranololo:Dose iniziale: 0.5-1 mg e.v. lentamenteMantenimento: 40-80 mg per os a parti-re da 1-2 ore dal carico ogni 6-8 oreEsmololo:Dose iniziale: 0.1-0.5 mg/kg e.v. in 4-5minMantenimento: 0.1 mg/kg/min e.v. se-guita da incrementi di 0.05 mg/kg/minogni 10-15 min fino a 0.20 mg/kg/minAtenololo:Dose iniziale: 5 mg e.v. in 2-5 min, se-guiti da altri 5 mg dopo 5 minMantenimento: 25-100 mg/die per os apartire da 1-2 ore dopo il carico

Dose iniziale: nitroglicerina 0.35 mg oisosorbide dinitrato 5 mg s.l. ripetutiogni 5-10 min se persiste angina oppureun bolo e.v. di 0.25-0.5 mg o 2 mg, ri-spettivamenteMantenimento: 5-10 �g/min e.v. di ni-troglicerina o 15-30 �g/min e.v. di iso-sorbide dinitrato con incrementi di 10�g/min ogni 10 min fino al consegui-mento di una riduzione della pressionearteriosa dal 10 al 30%, comunque non< 90 mmHg

Verapamil o diltiazem:Dose iniziale: 0.1 mg/kg e.v.Mantenimento: 1.5 µg/kg/min e.v. oppu-re 60-80 mg per os ogni 6 oreNifedipina: 20 mg per os ogni 8-12 ore inpreparazioni ad azione protratta

Tabella VI. Modalità di somministrazione dei farmaci nei pazienti con angina instabile ricoverati in unità coronarica.

aPTT = tempo di tromboplastina parziale attivata; BAV = blocco atrioventricolare. * da preferire agli inibitori competitivi della GP IIb/IIIa; ** da preferire in attesa di studi di confrontodiretto tra le varie molecole.

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Inibitori del recettore piastrinico GP IIb/IIIa. Questanuova classe di farmaci trova la sua indicazione otti-male, in aggiunta al trattamento antitrombotico con-venzionale, nei pazienti con angina instabile che ven-gono sottoposti nel periodo della loro somministrazio-ne a procedure di ricanalizzazione coronarica percu-tanea (evidenza di tipo A), anche se l’effetto beneficopotrebbe essere limitato ai pazienti con livelli elevatidi troponina (evidenza di tipo B).

Gli antagonisti dei recettori IIb/IIIa possono mi-gliorare la prognosi anche in pazienti con angina in-stabile che non vengono immediatamente sottoposti aprocedure di rivascolarizzazione coronarica percuta-nea: 1) in pazienti ad alto rischio, in particolare per lapresenza di valori elevati di troponina (evidenza di ti-po B); 2) in pazienti, che pur avendo angina refratta-ria (vedi in seguito), non possono essere immediata-mente sottoposti ad interventi percutanei per ragionilogistiche (o comorbidità) (evidenza di tipo C).

Il recettore GP IIb/IIIa rappresenta la via finale co-mune dell’aggregazione piastrinica; pertanto la suainibizione farmacologica permette di impedire l’accu-mulo delle piastrine nelle sedi di danno vascolare. L’ef-fetto finale della sua inibizione è la riduzione della su-perficie della membrana piastrinica disponibile a so-stenere il processo della coagulazione; ciò determinaun effetto antitrombotico potente e completo.

I farmaci attualmente disponibili per l’uso clinicosono rappresentati da:1. abciximab (capostipite della categoria), un anticor-po monoclonale chimerico (murino ed umano) che ini-bisce irreversibilmente il recettore80;2. eptifibatide, un eptapeptide ciclico che si lega al re-cettore ed è provvisto di breve emivita81;3. tirofiban, un composto non peptidico di piccole di-mensioni, anch’esso provvisto di emivita breve82.

Eptifibatide e tirofiban simulano la sequenza RGD(arginina-glicina-acido aspartico) o KGD della catena� del fibrinogeno, una delle sequenze riconosciute dalrecettore GP IIb/IIIa. Questi farmaci agiscono pertan-to come antagonisti competitivi del fibrinogeno. Al mo-mento attuale non esistono studi di confronto diretto trale diverse molecole disponibili.

Nei pazienti con sindromi coronariche acute in ge-nerale, ed angina instabile in particolare, trattati conaspirina ed eparina non frazionata perlopiù secondouna strategia di rivascolarizzazione aggressiva, l’ag-giunta di abciximab83, eptifibatide84 o tirofiban85 ridu-ce significativamente l’incidenza di morte o (re)infartonon fatale: a) durante il periodo di somministrazionedel farmaco o fino all’intervento percutaneo del 44%(odds ratio-OR 0.66; intervallo di confidenza-IC 95%0.54-0.81)86; b) nelle 48 ore successive all’interventopercutaneo (nei pazienti che in questi studi sono staticosì trattati) del 41% (OR 0.59; IC 95% 0.44-0.81)86;c) a 30 giorni (indipendentemente dalla strategia di ri-vascolarizzazione scelta) del 12% (OR 0.88; IC 95%0.81-0.97)87. In questi studi si osserva anche un trend

verso la riduzione della mortalità, anche se non signi-ficativo.

Gli inibitori del recettore GP IIb/IIIa possono per-tanto essere considerati un modo efficace per ridurregli eventi acuti e per stabilizzare i pazienti con anginainstabile. I dati disponibili indicano, tuttavia, che l’ef-fetto favorevole a medio termine è certo e particolar-mente intenso nei pazienti che vengono sottoposti aprocedure di rivascolarizzazione percutanea precocesoprattutto se hanno valori elevati di troponina88, men-tre è incerto e, comunque, lieve nei pazienti trattati constrategia conservativa89. Per quanto riguarda i primi,bisogna sottolineare che la somministrazione degli ini-bitori della GP IIb/IIIa deve essere iniziata prima del-la procedura (18-24 ore l’abciximab, 48-72 ore l’epti-fibatide e il tirofiban) e che, seppure non esistano con-fronti diretti tra le diverse molecole, l’effetto beneficosembra maggiore quando viene utilizzato l’abcixi-mab83,90,91 rispetto a quando vengono impiegati gli ini-bitori recettoriali competitivi92,93. Per quanto riguardainvece i secondi, è verosimile che i pazienti che posso-no trarre un beneficio rilevante dalla somministrazionedi questi farmaci siano quelli con il più elevato profilodi rischio (elevazione della troponina, ischemia ricor-rente, instabilità emodinamica o aritmica, angina post-infartuale precoce, sottoslivellamento del tratto ST). Diquesti indicatori, quello che finora sembra identificarei pazienti che traggono sicuro e cospicuo vantaggiodall’uso degli inibitori della GP IIb/IIIa è l’elevazionedella troponina riscontrata al momento del ricovero delpaziente94.

In generale l’aggiunta di questi farmaci è associataad un lieve incremento delle emorragie maggiori (nonintracraniche) rispetto al trattamento con sola aspirinaed eparina non frazionata95. Per i composti non anti-corpali (escreti principalmente per via renale) è neces-saria una riduzione della dose in presenza di insuffi-cienza renale significativa. Nel caso dell’abciximab so-no possibili reazioni allergiche e trombocitopenia.

Eparina non frazionata. La somministrazione dell’e-parina viene di solito iniziata immediatamente, so-prattutto in pazienti che hanno presentato angina ariposo recente nonostante terapia antischemica, edeve essere proseguita per 2-5 giorni o fino a quan-do non sia stata espletata la procedura di rivascola-rizzazione, quando ritenuta necessaria96 (evidenzadi tipo A).

L’interruzione del trattamento con eparina deveessere fatta con cautela in quanto si può associare aduna ripresa dell’instabilità coronarica97 (evidenza ditipo B).

La dose di carico deve essere di 70 UI/kg (o 5000UI) in bolo e.v., mentre il mantenimento può essereiniziato alla dose di 15 UI/kg/ora (oppure 800 UI/oraper i pazienti di peso < 80 kg, 1000 UI/ora per quellidi peso superiore). Il dosaggio deve essere riaggiusta-to ogni 6 ore sulla base del valore dell’aPTT che deve

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rimanere tra 50 e 75 s (prolungamento di circa 1.5-2.5volte rispetto al siero di riferimento). Durante il trat-tamento devono essere verificati quotidianamente ivalori dell’ematocrito, dell’emoglobina e delle pia-strine. In caso di importanti variazioni dei primidue devono essere attentamente cercate possibiliemorragie.

Una grave piastrinopenia può verificarsi nell’1-2%dei pazienti trattati ed è più frequente con le eparine diorigine porcina. Una complicanza rara (incidenza0.2%) del trattamento con eparina è rappresentata dallapiastrinopenia con trombosi. Quando si verificano que-ste gravi complicanze la terapia deve essere interrottaimmediatamente.

Eparine a basso peso molecolare. Le eparine a bassopeso molecolare (in particolare l’enoxaparina) sonouna valida alternativa all’eparina non frazionata neipazienti con angina instabile. Rispetto a quest’ultimahanno il vantaggio di una minore incidenza di pia-strinopenia ed una più facile modalità di sommini-strazione in quanto possono essere date a una dosefissa (basata sul peso corporeo) e non necessitano dimonitoraggio dell’aPTT (evidenza di tipo A).

Le eparine a basso peso molecolare98 vengono pro-dotte mediante depolimerizzazione chimica o enzima-tica dell’eparina non frazionata, che porta alla forma-zione di catene saccaridiche di varia lunghezza macon peso molecolare di circa 5000 D. Queste catenebrevi contengono la sequenza pentasaccaridica neces-saria per l’inibizione del fattore Xa. A differenza del-l’eparina non frazionata hanno una proporzione va-riabile, ma sempre minore, di catene di 18 saccaridinecessarie per la formazione del complesso ternarioeparina-antitrombina-trombina che inibisce l’attivitàtrombinica. Le eparine a basso peso molecolare sonopertanto provviste di una capacità di inibizione del fat-tore Xa in confronto di quella della trombina netta-mente superiore a quella dell’eparina standard nonfrazionata. In confronto a quest’ultima, le eparine abasso peso molecolare possiedono una serie di van-taggi:1. la modalità di somministrazione è più semplice (sot-tocutanea 2 volte al giorno, essendo provviste di eleva-ta biodisponibilità);2. inibiscono sia la generazione di trombina che la suaattività manifestando un’azione antitrombotica piùcompleta;3. il legame con le proteine plasmatiche è scarso, percui l’effetto è prevedibile. Per tale motivo non necessi-tano di controlli di laboratorio;4. l’incidenza di trombocitopenia è ridotta.

Tre eparine a basso peso molecolare sono state con-frontate con l’eparina non frazionata in studi clinici ri-guardanti pazienti con sindromi coronariche acute: l’e-noxaparina, la dalteparina99 e la nadroparina100. Le tremolecole differiscono tra loro per il rapporto anti-Xa/anti-IIa (superiore per enoxaparina e nadroparina

rispetto a dalteparina). La somministrazione di enoxa-parina è associata ad una minore incidenza a breve ter-mine di eventi coronarici maggiori (morte, infarto nonfatale e ischemia refrattaria) rispetto all’eparina nonfrazionata (19.8 vs 23.3% nello studio ESSENCE101 e12.4 vs 14.5% nello studio TIMI 11B102). La metanali-si dei dati dell’ESSENCE e del TIMI 11B indica una ri-duzione degli eventi “duri” (morte ed infarto miocar-dico non fatale) del 20% a medio termine103. Nel TIMI11B la prognosi non è stata ulteriormente miglioratada un trattamento prolungato (fino a 6 settimane) men-tre si è osservato un aumento degli effetti collateralidell’enoxaparina. L’effetto benefico della dalteparinae della nadroparina sembra invece essere equivalente aquello dell’eparina non frazionata104,105.

Tuttavia non esistono studi di confronto diretto trale varie eparine non frazionate; pertanto non è possi-bile stabilire in modo definitivo se una sia superiore al-le altre. Inoltre non è stata ancora studiata l’efficacia ela sicurezza di questi composti in associazione agli ini-bitori della GP IIb/IIIa.

Betabloccanti. Il trattamento con betabloccanti, inassenza di controindicazioni, deve essere intrapresoper via endovenosa nei soggetti a rischio particolar-mente elevato (episodi anginosi molto frequenti e/oaccompagnati da aritmie gravi); negli altri pazientisi può iniziare con la somministrazione per via ora-le. Non sembra rilevante il tipo di farmaco (eviden-za di tipo B).

Se vi sono timori circa la possibilità di effetti col-laterali per esempio nei soggetti broncopneumopati-ci, o con disfunzione ventricolare sinistra, o a rischiodi ipotensione o con grave bradicardia è opportunoricorrere come somministrazione iniziale a farmacicon durata d’azione breve, come il metoprololo abasso dosaggio (2.5 mg e.v. o 12.5 mg per os), o bre-vissima, come l’esmololo, piuttosto che rinunciarealla somministrazione (evidenza di tipo C).

L’effetto benefico dei betabloccanti è mediato dalblocco dei recettori beta-1, presenti nelle cellule mio-cardiche e alla conseguente riduzione del lavoro car-diaco dovuto ad una riduzione della contrattilità e dellafrequenza cardiaca.

La dimostrazione della loro efficacia clinica poggiasu trial ben condotti in pazienti con infarto miocardicoacuto che hanno dimostrato una riduzione della morta-lità di circa il 20%. I trial condotti nell’angina instabilehanno documentato una riduzione del 13% della pro-gressione verso l’infarto miocardico106.

La scelta del farmaco si basa fondamentalmente sul-le caratteristiche del paziente da trattare e sulla presen-za di eventuali controindicazioni. Vantaggi e svantaggicollegati con la somministrazione di farmaci con atti-vità simpaticomimetica intrinseca non sono ancora co-sì ben definiti da determinare una scelta specifica.

In conclusione, l’evidenza dei benefici del tratta-mento con betabloccanti nell’angina instabile deriva da

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trial di limitate dimensioni, da considerazioni fisiopa-tologiche e dall’estrapolazione di dati provenienti dastudi in pazienti con infarto acuto.

Nitrati. L’utilità dei nitrati sublinguali nel risolvere ildolore anginoso è fuori discussione. Nei pazienti chenon presentano ipotensione si può arrivare alla som-ministrazione sublinguale di 3 perle di nitroglicerinao di 3 compresse di isosorbide dinitrato (5 mg) in suc-cessione per ottenere la remissione dell’angor. In al-ternativa si possono utilizzare boli endovenosi di ni-troglicerina (0.25-0.5 mg) o di isosorbide dinitrato(1-2 mg) quando esista un accesso venoso già in sede.Nei pazienti che non rispondono a terapia con eparinaed aspirina (o ticlopidina o clopidogrel) e a dosi ade-guate di betabloccanti, o nei pazienti che non tollera-no betabloccanti, il trattamento endovenoso può es-sere proseguito alla dose di 5-10 µg/min di nitrogli-cerina o di 15-30 µg/min di isosorbide dinitrato, daaumentare di 10 µg/min ogni 10 min fino alla risolu-zione dell’ischemia o alla riduzione della pressionearteriosa sistolica del 10% nei normotesi e del 20-30% negli ipertesi ed a valori comunque non inferio-ri a 90 mmHg (evidenza di tipo C).

Il trattamento con nitrati ai dosaggi più elevatipuò indurre tolleranza precoce (anche dopo 24 ore diinfusione). Pertanto in presenza di crisi anginose re-cidivanti nonostante alte dosi di nitrati è improbabi-le che si possano ottenere risultati migliori aumen-tandone ulteriormente le dosi (evidenza di tipo C).

Conseguita la stabilizzazione del paziente e l’as-senza di crisi anginose per almeno 24 ore si può pas-sare al trattamento transdermico o con preparatiorali a lento rilascio, tenendo ben presente che perevitare la tolleranza, che è dose e durata-dipenden-te, è necessaria una finestra terapeutica della dura-ta di circa 8 ore107,108 (evidenza di tipo B).

I nitrati hanno effetti periferici e coronarici. Au-mentano la capacitanza del sistema venoso, riducendoil precarico e conseguentemente le dimensioni del vo-lume diastolico del ventricolo sinistro e lo stress parie-tale. L’effetto di vasodilatazione arteriosa periferica,che riduce il postcarico, è presente solo ai dosaggi piùelevati. Inoltre i nitrati determinano vasodilatazione alivello delle stenosi e aumentano il flusso ematico pro-veniente dal circolo collaterale, così migliorando laperfusione miocardica. Infine prevengono lo spasmocoronarico nell’angina vasospastica109.

La maggior parte degli studi sull’uso dei nitrati nel-l’angina instabile sono piccoli e non controllati. Diconseguenza il razionale sull’uso dei nitrati nell’anginainstabile poggia su principi di fisiopatologia e, soprat-tutto, sull’esperienza clinica.

Calcioantagonisti. I calcioantagonisti non diidropi-ridinici possono essere utilizzati in associazione neipazienti in cui i sintomi e gli episodi di ischemiatransitoria non sono ben controllati dalla terapia

con eparina ed aspirina (o ticlopidina o clopidogrel)e da dosi adeguate di betabloccanti, o nei pazientiche non tollerano betabloccanti (evidenza di tipoC).

Devono essere evitati nei soggetti con importantedisfunzione ventricolare. La scelta del farmaco deveessere dettata dalle condizioni emodinamiche, dal-l’insorgenza di eventuali effetti collaterali comescompenso cardiaco o blocco atrioventricolare e dal-la familiarità del clinico con l’uso del farmaco scelto(evidenza di tipo C).

La nifedipina può essere impiegata quando i sin-tomi non rispondono a dosi adeguate di betabloc-canti e nitrati somministrati per via endovenosa, masempre in associazione a betabloccanti (evidenza ditipo A).

I calcioantagonisti rappresentano il farmaco diprima scelta, insieme ai nitrati, nei soggetti con an-gina vasospastica (evidenza di tipo B).

Non ancora ben definito appare il ruolo dellenuove diidropiridine a più lunga durata d’azione(evidenza di tipo C).

La riduzione del flusso del calcio all’interno dellacellula riduce la contrattilità delle fibre miocardiche ela contrattilità delle cellule muscolari lisce vascolari ela conduzione atrioventricolare. L’effetto benefico èpertanto dovuto alla riduzione di contrattilità e del post-carico ed alla dilatazione della stenosi responsabile del-l’instabilità con aumento del flusso coronarico. Tutta-via, in pazienti con insufficienza cardiaca i calcioanta-gonisti possono causare un peggioramento dei segni discompenso con ipotensione e blocco atrioventricolare.

Studi clinici di piccole dimensioni hanno docu-mentato la loro capacità di migliorare i sintomi angi-nosi. Uno studio clinico controllato di maggiori di-mensioni ha invece documentato un incremento del ri-schio di infarto con la nifedipina da sola; mentre inve-ce si è osservata una riduzione del rischio di infartocon il metoprololo o con l’associazione di nifedipina emetoprololo110. La metanalisi di tutti i trial con cal-cioantagonisti non ha fatto emergere alcun beneficioprognostico111. Da queste osservazioni derivano alcu-ne cautele nel loro uso. Va tuttavia ricordato che essirappresentano il trattamento di scelta, insieme ai nitra-ti, nei pazienti con angina vasospastica. In questo casola dose di calcioantagonisti va aumentata fino ad otte-nere remissione degli episodi ischemici transitori; a ta-le scopo si può arrivare fino a una dose di 800-900mg/die di verapamil o diltiazem e di 80-100 mg/die dinifedipina associati a nitrati ad alte dosi112. Queste do-si vanno somministrate a pazienti ricoverati sotto stret-ta sorveglianza medica.

Ossigenoterapia. L’ossigenoterapia è indicata in pa-zienti che presentano ipossiemia. La sua utilizzazio-ne routinaria è invece controindicata in quanto nonmigliora l’ossigenazione dei tessuti e può causareansia al paziente (evidenza di tipo C).

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Morfina e sedativi. Allorché gli episodi anginosi si di-mostrino resistenti alla terapia somministrata, so-prattutto se il paziente è irrequieto ed ansioso, èconsigliabile il ricorso alla somministrazione di 2-5mg e.v. di morfina solfato, a meno che non esistanocontroindicazioni (ipotensione o intolleranza al far-maco). Nel caso la morfina sia data nel corso di unepisodio anginoso prolungato, la sua somministra-zione può essere ripetuta a distanza di 5-30 min(evidenza di tipo C).

La morfina ha un potente effetto analgesico e an-siolitico oltre ad effetti emodinamici favorevoli di ri-duzione del pre e postcarico. La meperidina può sosti-tuire la morfina nei soggetti con marcato ipertono va-gale. In caso di ipotensione si può ricorrere alla som-ministrazione di succedanei del plasma. Il 20% dei pa-zienti presenta nausea e vomito; se questi ultimi do-vessero essere particolarmente fastidiosi o se, eventua-lità rara, si dovesse osservare una marcata depressionedel centro del respiro, pericolosa soprattutto in sogget-ti con insufficienza respiratoria preesistente, è oppor-tuno ricorrere al naloxone, un antagonista specificodella morfina.

Fibrinolitici. I farmaci fibrinolitici non sono indicatinei pazienti con angina instabile (evidenza di tipoA).

Possono tuttavia essere utilizzati in soggetti conangor di durata > 30 min e con sopraslivellamentodel tratto ST, segni fortemente indicativi di unaprogressione verso l’infarto miocardico acuto (evi-denza di tipo C).

La dimostrazione dell’importante ruolo patogeneti-co della trombosi intracoronarica sembrerebbe un fortepresupposto logico per un effetto favorevole della tera-pia fibrinolitica. Tuttavia nell’angina instabile, a diffe-renza dell’infarto miocardico acuto, in cui esiste untrombo ostruttivo da lisare, donde il razionale dell’uti-lità dei trombolitici, la trombosi coronarica è transito-ria, per cui diventa importante la prevenzione dellatrombosi piuttosto che la fibrinolisi. Studi randomizza-ti multicentrici hanno confermato che la somministra-zione di farmaci fibrinolitici non migliora la prognosidei pazienti con angina instabile113.

Valutazioni strumentali e di laboratorio

Gli esami strumentali e di laboratorio nella fase acu-ta devono mirare a determinare: a) l’evolutività del pro-cesso ischemico e l’eventuale presenza di necrosi mio-cardica; b) la contrattilità globale e regionale; c) lo sta-to di compenso emodinamico.

È pertanto raccomandabile che vengano eseguiti(oltre agli esami bioumorali principali e possibilmenteun’emogasanalisi), secondo i tempi e le modalità di se-guito descritte: ECG; marcatori cardiaci (CK-MB etroponina); ecocardiogramma; radiografia del torace.

Elettrocardiogramma. Dopo l’ECG iniziale è racco-mandabile ripetere un ECG di controllo ogni 24 oreonde sorvegliare l’evoluzione del processo ischemicoe ogni qualvolta il paziente ha sintomi o modifica-zioni dello stato clinico. È opportuno verificare lemodificazioni del tracciato sia all’insorgenza del-l’angina, sia dopo che il dolore si è risolto (evidenzadi tipo C).

La registrazione dell’ECG permette un inquadra-mento prognostico basato sulla gravità ed estensione del-le modificazioni transitorie del tratto ST, dei disturbi diconduzione e delle aritmie durante angina. Sembranoestremamente utili per la definizione del rischio del pa-ziente anche le modificazioni del tratto ST rilevabili conregistrazione dell’ECG dinamico o con i nuovi sistemi dimonitoraggio, che permettono di quantificare anche ilnumero e la durata degli attacchi ischemici silenti.

Marcatori bioumorali. I livelli ematici di CK-MB de-vono essere misurati (preferibilmente come massaproteica) al momento dell’accettazione del paziente,dopo 6-9 ore e dopo 12-24 ore allo scopo di escludereinfarto miocardico non Q. Il CK-MB deve essere mi-surato con lo stesso schema anche dopo ogni attaccoischemico che si protrae oltre i 20 min. I valori delCK-MB cominciano ad innalzarsi circa 6 ore dall’ini-zio dei sintomi, raggiungono il picco in 10-18 ore e sinormalizzano dopo 48-96 ore114. In base ai criteri sta-biliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS), la diagnosi di infarto miocardico viene postain presenza di elevazioni del CK-MB che superano dipiù di 2 volte il limite superiore di riferimento adotta-to115,116. Questi criteri sono tuttavia attualmente og-getto di revisione117. La specificità del CK-MB per ilmiocardio è solo relativa118,119.

Agli stessi tempi è altresì utile misurare i livelli ditroponina (I o T) la cui elevazione permette di svelarela presenza di danno miocardico in circa il 30% deipazienti con sindrome coronarica acuta in cui l’infar-to miocardico è stato escluso in base ai criteriOMS31,120 (evidenza di tipo A).

La lunga persistenza della troponina nel sangue (1-2 settimane circa) permette una diagnosi retrospettivadi danno miocardico36. Come discusso in precedenza, ipazienti con danno miocardico definito in base alle ele-vazioni della troponina hanno una prognosi peggiore everosimilmente si giovano di un trattamento antitrom-botico più aggressivo88,94. La specificità della troponi-na per il miocardio è molto elevata; bisogna tuttavia ri-cordare che si possono osservarne elevazioni in pa-zienti con insufficienza renale55,57,121-123, il cui signifi-cato è ancora incerto, e in tutte le condizioni in cui siha danno miocardico in assenza di ischemia miocardi-ca acuta52.

La misurazione della CK totale, delle transamina-si e dell’LDH è da ritenersi obsoleta a causa dell’as-senza di miocardio-specificità di questi marcatori en-zimatici.

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Valutazione della funzione cardiaca. Un’accurata va-lutazione strumentale non invasiva della funzioneventricolare sinistra va eseguita precocemente (pos-sibilmente entro 24 ore dal ricovero) in tutti i pa-zienti con angina instabile degenti in unità corona-rica (evidenza di tipo C).

La frazione di eiezione è il miglior indice prognosti-co sinora individuato nei soggetti con cardiopatia ische-mica. Il metodo di indagine (ecocardiografia bidimen-sionale o ventricolografia radioisotopica) dipende dalladisponibilità strumentale. Tuttavia, l’ecocardiografia ol-tre ad essere più economica ed a fornire, almeno nei pa-zienti con una buona finestra, un’accurata valutazionedella frazione di eiezione, offre anche informazioni ag-giuntive importanti sull’anatomia delle pareti, la con-trattilità segmentaria e la funzione delle valvole.

Radiografia del torace. La radiografia del torace,anche al letto del paziente se non è possibile altri-menti, deve essere effettuata immediatamente, so-prattutto in soggetti con segni di scompenso car-diaco o instabilità emodinamica. Essa può esserepoi ripetuta per controllare l’efficacia del tratta-mento (evidenza di tipo C).

Nei soggetti con segni e sintomi di insufficienzacardiaca o rilevante cardiomegalia la radiografia del to-race è importante per valutare l’adeguatezza della tera-pia medica, soprattutto diuretica.

Valutazione dell’efficacia della terapiaantischemica

L’angina instabile va considerata refrattaria allaterapia medica (evidenza di tipo C) quando dopo averiniziato trattamento con aspirina (o ticlopidina o clo-pidogrel), eparina (non frazionata o a basso peso mo-lecolare), betabloccanti, nitrati e calcioantagonisti adosi pienamente terapeutiche:- i sintomi anginosi persistono per oltre 30 min dall’i-nizio della terapia massimale;- si manifesta un episodio anginoso di durata > 20min o associato ad ipotensione, edema polmonare ocomparsa di soffio grave da insufficienza mitralica,anche se nelle prime 24 ore dall’inizio della terapia;- i sintomi anginosi recidivano dopo le prime 24 oredall’inizio della terapia.

La percentuale di refrattarietà alla terapia medicanon è superiore al 5-10%124.

È estremamente importante che gli obiettivi tera-peutici vengano raggiunti velocemente nelle prime oredal momento del ricovero, riaggiustando le dosi dei far-maci sulla base di controlli frequenti dei seguenti indi-ci:- aPTT ogni 6 ore (per i pazienti trattati con eparinanon frazionata);- frequenza cardiaca e pressione arteriosa ogni 30-60min.

La veloce stabilizzazione della sintomatologia delpaziente con adeguato trattamento è importante perchéfa evitare il ricorso precoce a indagini e trattamenti ag-gressivi che comportano rischi maggiori di complican-ze.

Riconoscimento e trattamento delle principalicomplicanze dell’attacco ischemico

Le principali complicanze dell’attacco ischemicoacuto sono rappresentate da: evoluzione infartuale, ede-ma polmonare, comparsa di insufficienza mitralica gra-ve, shock cardiogeno, aritmie ventricolari maligne eblocco atrioventricolare completo. Tali complicanze ri-chiedono trattamenti farmacologici specifici e talvoltamonitoraggio emodinamico con catetere di Swan-Ganzo supporti circolatori esterni come la contropulsazioneaortica.

Cateterismo cardiaco destro con catetere di Swan-Ganz. L’insorgenza di complicanze emodinamichedurante trattamento o in coincidenza con crisi diangina può richiedere una conoscenza diretta epronta del quadro emodinamico completo (pres-sioni di riempimento del ventricolo sinistro e dellesezioni destre, portata cardiaca) mediante cateteredi Swan-Ganz, allo scopo di poter riaggiustare laterapia vasoattiva e diuretica nel modo più ade-guato possibile (evidenza di tipo C).

Nel caso si debba procedere a rivascolarizzazioned’urgenza, il monitoraggio emodinamico con cateteredi Swan-Ganz può guidare la terapia in maniera appro-priata anche nel postintervento.

Va comunque osservato che la possibilità di ottene-re le pressioni polmonari mediante esame eco-Dopplere le informazioni derivanti dall’esame obiettivo e dallaradiografia del torace, tendono a rendere l’utilizzazionedel catetere di Swan-Ganz sempre meno frequente.

Contropulsazione aortica. La contropulsazione aorti-ca può essere messa in atto nei soggetti refrattari al-la terapia medica massimale e con segni di instabi-lità emodinamica per favorire la stabilizzazione cli-nica del paziente in attesa di coronarografia, in par-ticolare se quest’ultima non può essere eseguita im-mediatamente (evidenza di tipo C).

Dalla procedura devono essere esclusi i soggetti congrave arteriopatia periferica, insufficienza aortica,aneurisma aortico, fibrillazione atriale ad alta frequen-za ventricolare, extrasistolia che non consenta un ade-guato triggering, malattia dell’asse aortoiliaco. Gli ef-fetti positivi della contropulsazione aortica consistonoin una significativa riduzione del postcarico, in un mo-desto incremento dell’indice cardiaco (10-20%) e in unsignificativo aumento della pressione di perfusione co-ronarica durante la diastole.

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Figura 5. Gestione del paziente ricoverato in unità coronarica.

Si stima che la necessità di uso della contropulsa-zione aortica non sia superiore all’1-2% dei soggettiammessi in unità coronarica con la diagnosi di anginainstabile.

Non esistono studi controllati sull’uso della contro-pulsazione aortica. I centri che ne fanno un uso siste-matico dichiarano una pronta stabilizzazione dei sinto-mi nei soggetti sottoposti a trattamento. L’incidenzadelle complicanze vascolari è approssimativamente del10-15%. Pertanto deve essere usata con un adeguatotrattamento anticoagulante con eparina e per il più bre-ve tempo possibile.

Coronarografia e rivascolarizzazione d’urgenza o d’e-mergenza. Devono essere avviati alla coronarogra-fia con criterio d’urgenza tutti i soggetti refrattarialla terapia medica massimale, in base ai criteri de-finiti in precedenza (ossia: angina presente all’in-gresso che non risponde alla terapia massimale en-tro 30 min, singolo episodio di angina con segni dicompromissione emodinamica entro le prime 24 ore,angina persistente dopo 24 ore di terapia massimale)(evidenza di tipo A).

I pazienti refrattari alla terapia medica che pre-sentano segni di instabilità emodinamica, prima dieseguire la coronarografia possono trarre vantag-gio dall’instaurazione di contropulsazione aortica(evidenza di tipo C).

I pazienti refrattari alla terapia che presentanodolore di durata > 30 min con segni elettrocardio-grafici di ischemia transmurale (ST sopraslivellato),vanno sottoposti a terapia riperfusiva (trombolisi si-stemica o rivascolarizzazione percutanea in base al-la situazione logistica e alla presenza di eventualicontroindicazioni assolute alla fibrinolisi) dato che è

molto probabile che sia in corso un infarto del mio-cardio (evidenza di tipo C).

La rivascolarizzazione d’emergenza è indicatanei soggetti con angor accompagnato da segni di in-stabilità emodinamica in cui la coronarografia ab-bia mostrato aterosclerosi ostruttiva; la rivascola-rizzazione d’urgenza è indicata nei rimanenti pa-zienti refrattari a terapia medica massimale (evi-denza di tipo C).

Il cateterismo cardiaco e la coronarografia, che insituazione d’urgenza o d’emergenza comportano un ri-schio aggiuntivo, devono essere eseguiti solo quando siha l’intenzione e la possibilità di avviare il paziente aduna procedura di rivascolarizzazione d’urgenza o d’e-mergenza (Fig. 5).

Preparazione e trasferimento in terapia subintensiva

Il trattamento per via endovenosa con nitrati,betabloccanti e/o calcioantagonisti deve essere tra-sformato in trattamento per via orale dopo 24 ore distabilità clinica ed emodinamica (evidenza di tipoC).

L’eparina non frazionata può essere interrottadopo almeno 2-3 giorni di trattamento e dopo alme-no 1 giorno di totale asintomaticità (evidenza di tipoC). Le eparine a basso peso molecolare, che possonoessere somministrate in ogni ambiente di cura, devo-no essere proseguite per almeno 6 giorni.

Dopo sospensione della terapia infusionale la via diinfusione endovenosa può essere rimossa. A questopunto i pazienti possono essere mobilizzati, ma istruitiad avvertire il personale infermieristico circa un’even-tuale, anche se lieve, recidiva del dolore anginoso.

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Informazioni da fornire al paziente

Al paziente con angina instabile devono essere offerti:- idonea assistenza psicologica, che miri a eliminare lostato d’ansia, spesso presente in questo tipo di malattia,con corrette informazioni circa lo stato di salute e ri-mozione, per quanto possibile, di eventuali stimoliesterni;- chiarimenti tempestivi circa il programma diagnosti-co e terapeutico.

Di fronte a persistente stato d’ansia è opportunoricorrere anche a trattamento farmacologico conansiolitici (evidenza di tipo C).

CAPITOLO 5LINEE GUIDA PER PAZIENTI RICOVERATI IN CORSIA

CARDIOLOGICA

Introduzione

La maggior parte dei pazienti con angina insta-bile considerati inizialmente a rischio intermedio(Tab. V) possono essere ricoverati direttamente nel-la corsia cardiologica, possibilmente con il supportodel monitoraggio telemetrico nelle prime 24 ore.Vanno inoltre trasferiti in corsia dall’unità corona-rica i pazienti inizialmente a rischio alto, ma asinto-matici da almeno 24 ore ed emodinamicamente sta-bili (evidenza di tipo C).

Obiettivi

Consistono nel mettere a punto la terapia medicapiù idonea per evitare la riattivazione dell’ischemia a

breve termine e nel definire la strategia diagnostico-te-rapeutica più idonea a ridurre il rischio di eventi clinicigravi (morte improvvisa, infarto e recidiva di angina in-stabile) a breve-medio termine (Fig. 6).

Terapia medica

In questa sede la terapia antiaggregante va conti-nuata secondo le modalità (vedere Capitolo 4) con cuiè stata già iniziata (evidenza di tipo A).

L’opportunità di continuare la somministrazione dieparina (secondo le modalità illustrate nel Capitolo 4)va valutata individualmente (evidenza di tipo C).

La terapia antischemica può essere somministrataper os. L’opportunità di somministrare nitrati per viaendovenosa (secondo le modalità illustrate nel Ca-pitolo 4) va valutata individualmente (evidenza di ti-po C).

I pazienti debbono essere istruiti a riferire immedia-tamente all’infermiere l’eventuale comparsa di doloretoracico o di altri disturbi evocanti l’equivalente angi-noso ad essi noto. L’infermiere deve avvisare immedia-tamente il medico e nel frattempo registrare un ECG a12 derivazioni. In caso di angina di durata > 20 min (e/ocon altri indizi di gravità come sincope, dispnea o pal-pitazioni) il paziente dovrà essere (ri)trasferito in unitàcoronarica iniziando o riprendendo un trattamento an-titrombotico più aggressivo (inibitori della GP IIb/IIIa)e prenotato per coronarografia in tempi brevi. Se la re-cidiva di angina risponde prontamente ai nitrati sublin-guali il trasferimento in unità coronarica non è neces-sario ma si dovrà rivalutare la terapia. Un’ulteriore re-cidiva entro 24 ore comporterà però il trasferimento inunità coronarica.

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Figura 6. Gestione del paziente ricoverato in corsia cardiologica. * eccetto instabilità emodinamica/aritmica, infarto miocardico acuto recente, pre-gressa rivascolarizzazione.

*

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Strategia diagnostico-terapeutica

Nei pazienti con angina instabile inizialmente a ri-schio intermedio, o a rischio alto ma poi stabilizzati etrasferiti in corsia, vengono considerate due strategiediagnostico-terapeutiche ulteriori, tra loro alternative:una aggressiva con coronarografia a tutti entro 48-72ore dalla presentazione (a meno di specifiche controin-dicazioni), e una conservativa con coronarografia soloper coloro a rischio intermedio-alto di eventi gravi (ve-dere Capitoli 6 e 7).

Informazioni da fornire al paziente

Durante il periodo di ricovero non intensivo, ilpaziente, sotto stretta osservazione medica, devegradualmente recuperare la capacità di svolgere lapropria attività quotidiana, compatibilmente con lerestrizioni imposte dal ricovero ospedaliero (eviden-za di tipo C).

In questa fase sia il paziente che i suoi familiaridebbono essere informati dell’importanza della cor-rezione dei fattori di rischio coronarico e istruiti sul-le modalità per attuarla (evidenza di tipo C).

La preparazione del paziente alla dimissione vieneintrapresa in questa fase e comprende consigli sulla die-ta, sull’attività fisica, sulla ripresa delle relazioni sessua-li, dell’attività lavorativa e delle altre attività abituali, in-clusa la guida. Inoltre, devono essere condotte discussio-ni dettagliate con il paziente e la famiglia sugli eventi chesi sono verificati sin dalla loro presentazione e sul loro si-gnificato, sullo stato attuale della malattia, sulle opzionidiagnostico-terapeutiche e sulla prognosi.

Il ritmo più lento di questo periodo di ospedalizza-zione, in contrasto con la terapia intensiva delle primeore, permette una più attenta educazione sanitaria sullacardiopatia ischemica. Infatti, durante la fase acuta del-la malattia, il paziente, a causa del dolore, della seda-zione o dell’ansia, può non comprendere appieno leinformazioni che gli vengono date, mentre, immediata-mente prima della dimissione il paziente può essere di-stratto dalla preparazione per il ritorno a casa.

CAPITOLO 6LINEE GUIDA PER LA DIAGNOSTICA NON INVASIVA

Introduzione

L’intero processo di trattamento dei pazienti con an-gina instabile richiede un’accurata stratificazione del ri-schio. Molte informazioni di valore prognostico deriva-no dalla valutazione iniziale e dal decorso clinico suc-cessivo del paziente oltre i primi giorni di trattamento.

Nei pazienti stabilizzati dalla terapia medica i risul-tati degli esami non invasivi costituiscono un supportoessenziale nella valutazione del rischio. Tuttavia alcuni

pazienti, come quelli con angina e segni di scompenso,hanno già di per sé un’alta probabilità di eventi avversie gli esami non invasivi non aggiungono informazioniclinicamente rilevanti. Inoltre, alcuni pazienti non sonopropensi a prendere in considerazione la rivascolariz-zazione coronarica, o hanno malattie concomitanti gra-vi o sono molto anziani, per cui l’indicazione ad ese-guire rivascolarizzazione preceduta da coronarografianon può esser posta a prescindere dai risultati degli esa-mi non invasivi.

In tutti i pazienti che non cadono nelle suddette ca-tegorie la stratificazione del rischio e, quindi, l’indica-zione ad eseguire coronarografia e rivascolarizzazionemiocardica è principalmente basata sull’esito degli esa-mi non invasivi.

Obiettivi

Lo scopo degli esami non invasivi in un pazientecon angina instabile che si è recentemente stabilizzatoè quello di stimare la prognosi a breve-medio terminevalutando la funzione ventricolare sinistra e l’estensio-ne del miocardio a rischio di ischemia allo scopo di de-finire la condotta diagnostica e terapeutica più adegua-ta. Per quanto riguarda la valutazione della funzioneventricolare sinistra il metodo più utilizzato nella mag-gior parte dei pazienti è la misurazione della frazione dieiezione mediante ecocardiografia bidimensionale (ve-dere Capitolo 4); la selezione dei test per la valutazionedell’estensione del miocardio a rischio di ischemia è di-scussa nel paragrafo seguente.

Selezione dei test per la valutazione dell’estensionedel miocardio a rischio di ischemia (Fig. 7)

I test da sforzo o da stress farmacologico costitui-scono la base della valutazione nei pazienti con angi-na instabile a basso rischio trattati ambulatoriamen-te, in quelli a rischio intermedio ricoverati in corsiacardiologica ed in quelli ad alto rischio stabilizzati,dopo trasferimento dall’unità coronarica in corsia(evidenza di tipo C).

La scelta del test iniziale dovrebbe essere basatasu un’attenta valutazione dell’ECG a riposo, sullacapacità di lavoro del paziente, sull’esperienza deglioperatori locali e sulle tecnologie disponibili. In ge-nerale, l’ECG da sforzo dovrebbe costituire il teststandard da usare nei pazienti con ECG normaleche non prendono digitalici. Pazienti con sottoslivel-lamento diffuso del tratto ST a riposo (> 1 mm), al-terazioni del tratto ST secondarie a digossina, iper-trofia ventricolare sinistra, blocco di branca sinistroo preeccitazione ventricolare, o complessi da elet-trostimolazione, dovrebbero essere valutati utiliz-zando il test da sforzo associato ad una modalità diimaging. I pazienti inabili all’esercizio per limita-

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zioni fisiche (per esempio artrite, amputazioni, gra-ve arteriopatia ostruttiva periferica, grave bronco-pneumopatia cronica ostruttiva, o complessivamen-te debilitati) dovrebbero essere sottoposti a test dastress farmacologico associato ad una modalità diimaging (evidenza di tipo C).

La scelta tra le differenti modalità di imagingche possono essere usate in combinazione con l’e-sercizio o lo stress farmacologico dovrebbe esserebasata prioritariamente sull’esperienza degli opera-tori locali nell’effettuare e interpretare i risultatidello studio (evidenza di tipo C).

I test da sforzo o da stress farmacologico sono basa-ti sull’utilizzazione dell’esercizio o di farmaci in gradodi indurre ischemia o disomogeneità della perfusionemiocardica in presenza di malattia coronarica. Il test dasforzo consiste nel far eseguire al paziente uno stress fi-siologico progressivo (usualmente utilizzando il tappe-to rotante o il cicloergometro) in grado di aumentare illavoro cardiaco e la domanda di ossigeno, utilizzandosimultaneamente una metodica in grado di rilevare lapresenza di ischemia (ECG, ecocardiogramma, ventri-colografia isotopica) o di una disomogeneità della per-fusione miocardica (scintigrafia perfusionale con tal-lio201 o MIBI marcato con tecnezio99).

Lo stress farmacologico diventa necessario in pa-zienti inabili all’esercizio. Il test al dipiridamolo o al-l’adenosina consiste nella somministrazione endoveno-sa di vasodilatatori del microcircolo coronarico in gra-do di diminuire la resistenza vascolare coronarica equindi di aumentare il flusso. Ove sussista una stenosisignificativa di un ramo coronarico epicardico, l’au-mento di flusso è limitato ai segmenti miocardici rifor-niti dalle arterie non ostruite. Questa disomogeneità èusualmente valutata con la scintigrafia perfusionale.Questi agenti oltre che disomogeneità possono produr-re vera e propria ischemia (che può essere rilevata me-diante ECG, ecocardiogramma o ventricolografia iso-

topica) causata da un furto ematico transmurale dal-l’endocardio all’epicardio con diminuzione della per-fusione sottoendocardica nel territorio della coronariastenotica e/o furto intercoronarico in pazienti con ma-lattia multivasale. Il test alla dobutamina ad alte dosiaumenta il consumo miocardico di ossigeno, similmen-te a ciò che succede durante test da sforzo, così deter-minando, in presenza di stenosi coronariche critiche,ischemia miocardica e disomogeneità della perfusionemiocardica.

Il test eco-dobutamina a basse dosi è utile nell’iden-tificazione di regioni miocardiche acinetiche ma vitali(stordite o ibernate), con ripresa di cinesi durante infu-sione di dobutamina, diversamente da quello che si ve-rifica nelle regioni miocardiche necrotiche. Le regionimiocardiche ibernate possono anche essere identificatemediante scintigrafia con tallio201, eseguendo una scin-tigrafia tardiva; infatti, mentre il tallio inizialmente sidistribuisce proporzionalmente alla perfusione regio-nale, tardivamente si distribuisce similmente in tutte leregioni vitali, anche se ibernate.

In sintesi l’ECG da sforzo per la sua semplicità diesecuzione e di interpretazione è il test più utile per lastratificazione prognostica dei pazienti con angina in-stabile. L’utilizzazione di uno stress farmacologico ènecessaria in pazienti inabili all’esercizio125; tuttavia,non aggiunge informazioni prognostiche clinicamenterilevanti in pazienti che possono eseguire prova da sfor-zo. Similmente, le tecniche di imaging sono estrema-mente utili in pazienti in cui l’ECG non è interpretabi-le; tuttavia non forniscono informazioni prognosticheaggiuntive clinicamente rilevanti in pazienti in cuil’ECG è interpretabile. Per quanto concerne la sceltadella tecnica di imaging non esiste nessuna evidenzache lo studio della cinetica parietale ventricolare sini-stra durante stress fisico o farmacologico mediante eco-cardiografia o tecniche scintigrafiche fornisca informa-zioni prognostiche diverse da quelle ottenute mediante

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Figura 7. Indicazioni per l’esecuzione di esami diagnostici non invasivi.

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Figura 8. Nomogramma relativo al contenuto prognostico di una prova da sforzo.

studio della perfusione miocardica; tuttavia, il costominore e la più ampia disponibilità della metodica eco-cardiografica ne rendono più agevole l’uso.

Valore prognostico dell’ECG da sforzo

Durante ECG da sforzo l’induzione di ischemiaa basso carico di lavoro è associata ad una prognosipeggiore (evidenza di tipo B).

Il RISC Study Group ha valutato l’uso dell’ECG dasforzo predimissione in 740 uomini ricoverati con an-gina instabile (51%) o infarto non Q (49%)126. L’anali-si multivariata dimostrò che l’estensione del sottosli-vellamento del tratto ST (numero di derivazioni con se-gni di ischemia) e un basso carico di lavoro erano pre-dittori indipendenti di mortalità a 1 anno. Sono statieseguiti altri studi di questo tipo, ma in nessuno è statoarruolato un numero sufficientemente alto di pazientidopo stabilizzazione dell’angina instabile tale da potersviluppare e verificare l’accuratezza di un’equazionemultivariata127.

Solo studi in pazienti con angina stabile hanno con-sentito di mettere a punto nomogrammi in grado diconvertire i risultati di un test non invasivo in rischio dieventi cardiaci nel tempo. Benché la patogenesi dell’i-schemia possa essere differente è probabile che l’uso dinomogrammi prognostici derivati da studi in pazienticon angina stabile, possa anche essere esteso anche apazienti con recente angina instabile stabilizzata. Inparticolare per l’ECG da sforzo è stato ottenuto un no-mogramma in grado di predire la prognosi sulla base ditre parametri facilmente ottenibili durante il test: a)gravità del sottoslivellamento del tratto ST; b) presen-

za di angina; c) durata della prova da sforzo (Fig. 8).Anche se l’uso di questo nomogramma può forse sot-tostimare il rischio in pazienti con angina instabile ri-spetto a quelli con angina stabile, questo approccio for-nisce informazioni clinicamente più utili di una sem-plice lettura qualitativa (normale/anormale) della pro-va da sforzo128.

Tempo di esecuzione dei test non invasivi

Nella maggior parte dei casi il test dovrebbe esse-re effettuato, preferibilmente sotto terapia, entro 72ore dalla presentazione clinica nei pazienti con angi-na instabile a basso rischio ed almeno dopo 48 oredall’ultimo episodio anginoso nei pazienti a rischioalto o intermedio stabilizzati (evidenza di tipo B).

In uno studio eseguito in 189 pazienti con anginainstabile o infarto non Q, il valore prognostico di unaprova da sforzo limitata dai sintomi eseguita da 3 a 7giorni dopo l’evento acuto risultò simile a quello diuna prova eseguita 1 mese dopo; tuttavia, il test piùprecoce aiutò a predire eventi cardiaci che si verifica-rono nel primo mese e che rappresentarono circa lametà di tutti gli eventi durante il primo anno129. Questostudio illustra l’importanza del test non invasivo pre-coce per la stratificazione del rischio dei pazienti conangina instabile. Il timore diffuso circa il rischio di unaprova da sforzo o da stress farmacologico precoce nonè giustificato né dai risultati degli studi eseguiti, nédalla considerazione che i meccanismi responsabili diischemia durante sforzo o stress sono sostanzialmentediversi da quelli responsabili di ischemia durante la fa-se di instabilità.

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I test non invasivi nelle donne

Fino a quando non saranno riportati dati certiper chiarire questo problema, è ragionevole usare itest prognostici non invasivi nelle donne così comenegli uomini, tenendo però presente l’influenza delsesso sulla probabilità pretest di cardiopatia ische-mica (evidenza di tipo C).

La strategia ottimale degli esami non invasivi nelledonne è meno ben definita che negli uomini. La predit-tività diagnostica di questi esami è minore nelle donneche negli uomini. Almeno in parte la minore predittivitàderiva da una più bassa probabilità pretest di cardiopa-tia ischemica nelle donne rispetto agli uomini, soprat-tutto prima della menopausa. La predittività prognosti-ca degli esami non invasivi nelle donne non è stata an-cora adeguatamente studiata.

Interpretazione dei test non invasivi

Rischio basso. I test non invasivi consentono di iden-tificare una popolazione di pazienti a basso rischiocon mortalità annua < 1% caratterizzati da: 1) provada sforzo negativa o solo lievemente positiva (sottosli-vellamento < 1 mm) ad alto carico (> 6 METS) in as-senza di aritmie ventricolari gravi o in cui i test diimaging sono negativi o mostrano un’area limitata diipoperfusione miocardica o di disfunzione contrattilereversibili durante stress; 2) buona frazione di eiezio-ne (> 45%) (evidenza di tipo B).

Rischio intermedio o alto. Il rischio di eventi a medio-lungo termine aumenta progressivamente con l’aumen-tare della quantità di miocardio a rischio di ischemia,della gravità della disfunzione ventricolare sinistra edella suscettibilità del miocardio alle aritmie gravi.

È ovvio che questa stratificazione prognostica basa-ta sulla funzione ventricolare, sulla quantità di miocar-dio a rischio di ischemia e sulla suscettibilità alle arit-mie è ancora del tutto insoddisfacente. Ciò deriva dalfatto che i parametri su cui è basata la stratificazioneprognostica forniscono un fotogramma della gravitàdell’aterosclerosi e della risposta miocardica al dannoischemico, ma non forniscono nessuna informazionesull’evolutività dell’aterosclerosi coronarica. Infatti,mentre il risultato della prova da sforzo è determinatodalla presenza delle stenosi esistenti, eventuali eventicoronarici acuti futuri sono determinati molto frequen-temente dalla rapida progressione di irregolarità parie-tali non ostruttive. D’altra parte finché non saranno di-sponibili marcatori in grado di dare un’informazioneaccurata sull’evolutività delle placche aterosclerotiche,l’informazione prognostica su cui operare le scelte cli-niche, ancorché imperfetta, non può che essere basatasul livello di compromissione della funzione ventrico-lare sinistra e sulla quantità di miocardio a rischio diischemia.

Informazioni da fornire al paziente

I risultati dei test non invasivi dovrebbero essere ri-feriti al paziente, o alla sua famiglia, in un linguaggiocomprensibile e dovrebbero essere utilizzati dal pa-ziente e dal medico per determinare insieme l’opportu-nità di eseguire una coronarografia e per ottimizzare icomportamenti.

CAPITOLO 7LINEE GUIDA PER LA DIAGNOSTICA INVASIVA

E LA RIVASCOLARIZZAZIONE

Introduzione

Le osservazioni coronarografiche effettuate in sog-getti con angina instabile hanno dimostrato130,131: ma-lattia monovasale nel 10-20%, bivasale nel 25-30%, tri-vasale nel 20-25%, malattia del tronco comune nel 5-10%, assenza di stenosi significative nel 10-20%. Insoggetti con angina instabile di recente insorgenza esenza precedenti anamnestici di infarto miocardico o diangina stabile da sforzo, i reperti coronarografici mo-strano un’incidenza di malattia monovasale ancoramaggiore. Nello studio TIMI IIIB il 38% dei pazientisottoposti a coronarografia entro 18-48 ore dall’esordiodei sintomi (strategia aggressiva) mostrò malattia mo-novasale, il 43% malattia bi-trivasale, il 4% malattia deltronco comune, il 19% assenza di stenosi significati-ve113. Le lesioni coronariche nell’angina instabile sono,più frequentemente di quelle nell’angina stabile, eccen-triche con bordi irregolari e difetti di riempimento, ri-lievi riferibili a placche aterosclerotiche complicate conpresenza di trombi parzialmente lisati e associati ad unmaggiore rischio di infarto miocardico e morte improv-visa. Questi dati, nel loro complesso, dimostrano l’e-strema variabilità della compromissione anatomica co-ronarica nei soggetti con angina instabile, talvolta im-prevedibile sulla base dei rilievi clinici e strumentalinon invasivi.

Obiettivi

Lo studio invasivo emodinamico e coronarograficofornisce informazioni sulla localizzazione ed estensio-ne delle stenosi coronariche, sull’entità della disfunzio-ne ventricolare sinistra, regionale e globale e sulla pre-senza e gravità di malattie valvolari o congenite coesi-stenti.

Lo studio morfologico dell’albero coronarico nonfornisce, tuttavia, informazioni sulle alterazioni funzio-nali del circolo coronarico. In casi selezionati in cui siastata messa in evidenza una scarsa compromissioneanatomica dei rami coronarici epicardici, può essereutile eseguire, al termine della coronarografia, test vol-ti a valutare alterazioni funzionali a livello delle arterie

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epicardiche e del microcircolo coronarico. Tra tutti ilpiù usato rimane il test all’ergometrina, che consiste nelvalutare la risposta, clinica, elettrocardiografica ed an-giografica alla somministrazione di 0.4 mg di ergome-trina. La documentazione di spasmo coronarico focaleo, meno frequentemente, diffuso, accompagnato da do-lore e sopraslivellamento del tratto ST, conferma la dia-gnosi di angina vasospastica ed indica la necessità di te-rapia con calcioantagonisti e nitrati, a dosi sufficiente-mente alte da ottenere una risoluzione completa dellasintomatologia anginosa (vedere Capitolo 4). Talvolta,la risposta all’ergometrina può essere caratterizzata davasocostrizione distale, dolore e sottoslivellamento lie-ve e diffuso del tratto ST; ciò può suggerire una disfun-zione del microcircolo coronarico la cui terapia è anco-ra empirica.

Strategia diagnostico-terapeutica

In considerazione della relativa carenza di ospe-dali dotati di emodinamica e di cardiochirurgia, e deidati non univoci presenti in letteratura, sembra op-portuno continuare a privilegiare in Italia una strate-gia conservativa.

Le indicazioni ad eseguire una coronarografia neipazienti con angina instabile rimangono tuttora con-troverse. I risultati di due studi sistematici di confrontotra strategia aggressiva di rivascolarizzazione sistema-tica e strategia conservativa di rivascolarizzazione so-lo in presenza di caratteristiche cliniche basali di altorischio e di ischemia ricorrente o provocata113,132 han-no evidenziato un’equivalenza tra le due strategie perquanto riguarda l’incidenza di morte ed infarto mio-cardico non fatale sia a breve che a lungo termine. Ta-le equivalenza è stata confermata anche in studi osser-vazionali come il registro del trial OASIS133. Tuttaviada questi studi emerge che i pazienti assegnati allastrategia conservativa restano ricoverati più a lungo,presentano più frequentemente recidiva di angina in-stabile, richiedono più farmaci e soprattutto necessita-no più frequentemente di nuovi ricoveri.

Le strategie di trattamento aggressivo dei pazienticon sindrome coronarica acuta appaiono in questo mo-mento in rapida evoluzione per la disponibilità dei nuo-vi farmaci antitrombotici e l’uso frequente degli stentdurante le procedure di rivascolarizzazione percutanea.È lecito attendersi dai primi, in particolare dagli inibi-tori della GP IIb/IIIa, un miglior controllo della dina-mica della trombosi coronarica e, dal secondo, la pre-venzione più efficace delle recidive ischemiche a mediotermine. Bisogna inoltre considerare che l’equivalenzatra le due strategie si basa su studi in cui il trattamentoantitrombotico non era ottimale (vedi l’uso del rt-PA nelTIMI IIIB), la rivascolarizzazione veniva effettuataspesso chirurgicamente (vedi l’elevata incidenza di in-farto miocardico perioperatorio nei pazienti del VANQ-WISH sottoposti a bypass aortocoronarico) e l’uso del-

lo stent era solo occasionale. Recentemente sono statipubblicati i risultati dello studio FRISC II134, condottosu più di 3000 pazienti con sindromi coronariche acutesenza sopraslivellamento del tratto ST arruolati entro48 ore dall’inizio dei sintomi e trattati con aspirina edalteparina per almeno 5 giorni. La strategia aggressi-va di rivascolarizzazione (eseguita in media dopo 6giorni di intenso trattamento antitrombotico nel 71%dei pazienti) è risultata associata ad un’incidenza dimorte ed infarto miocardico non fatale a 6 mesi del9.4%, rispetto ad un’incidenza del 12.1% osservata neipazienti randomizzati alla strategia conservativa (ridu-zione del rischio relativo del 22%; p = 0.031). Ad 1 an-no la mortalità da sola è risultata significativamentemeno frequente nei pazienti trattati aggressivamente135.Il numero di pazienti con recidiva di angina e il numerodi ricoveri successivi è stato dimezzato dal trattamentoaggressivo. I risultati di questo studio sembrano sugge-rire, per la prima volta, che una strategia aggressivapuò migliorare la prognosi dei pazienti con sindromi co-ronariche acute senza sopraslivellamento del tratto STrispetto alla terapia conservativa. È però necessariosottolineare che in qualunque studio di confronto trastrategia invasiva e non invasiva la differenza di eventiosservata dipende in misura sostanziale dalla percen-tuale di pazienti assegnata al braccio aggressivo chevengono effettivamente rivascolarizzati e dalla percen-tuale di soggetti randomizzati al braccio conservativoche vengono inviati alla rivascolarizzazione successiva-mente. Quest’ultima è a sua volta condizionata ampia-mente dalla selettività dei criteri di diagnostica non in-vasiva utilizzati per decidere l’invio del paziente allacoronarografia e all’eventuale procedura di rivascola-rizzazione. Negli studi ricordati in precedenza la per-centuale di pazienti rivascolarizzati nel braccio aggres-sivo e in quello conservativo è risultata assai variabile.È perciò assai difficile concludere per una superiorità“a priori” di una strategia rispetto all’altra sulla basedei dati in questo momento disponibili.

Indicazioni per l’esecuzione della coronarografia(Fig. 9)

Nell’ambito di una strategia conservativa, fra ipazienti con angina instabile è necessario innanzi-tutto identificare il sottogruppo a maggiore rischio,in cui la coronarografia deve essere effettuata d’e-mergenza o d’urgenza (vedere Capitolo 4). Nei ri-manenti pazienti l’indicazione ad uno studio invasi-vo può essere rinviata e subordinata al profilo di ri-schio di base, all’evoluzione clinica nella fase suc-cessiva ed al risultato degli esami non invasivi (ve-dere Capitolo 6).

In generale la coronarografia è comunque consi-gliata113 (evidenza di tipo C):- nei pazienti con angina instabile postinfartuale pre-coce;

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- nei pazienti che hanno presentato segni di instabilitàemodinamica;- nei pazienti con evidenza di aritmie ventricolari ma-ligne;- nei pazienti con pregressa PTCA, bypass aortocoro-narico (in cui l’indicazione all’esame invasivo deveessere però presa in considerazione tenendo presentianche i rilievi dei precedenti esami coronarografici);- nei pazienti in cui la terapia medica massimale, ade-guatamente condotta, non consente di ottenere la re-missione della sintomatologia (angina refrattaria o ri-corrente) (vedere Capitolo 4);- nei pazienti con angina instabile stabilizzata in cui gliesami non invasivi indicano rischio alto o intermediodi eventi gravi a medio-lungo termine (vedere Capito-lo 6);- nei pazienti con patologie cardiovascolari associa-te che possono fortemente condizionare l’evoluzioneclinica successiva (valvulopatia mitralica o aortica,cardiomiopatia ipertrofica, ecc.).

In tutti i casi l’indicazione deve essere esaminata at-tentamente nel singolo paziente e valutata anche sullabase:- dell’eventuale presenza di gravi patologie concomi-tanti con limitata aspettativa di vita (ad esempio, tumo-ri metastatizzati con modesta aspettativa di vita, pato-logia intracranica con controindicazione alla terapiaanticoagulante, grave epatopatia con ipertensione por-tale sintomatica, grave insufficienza renale, ecc.);- della scelta del paziente (particolare importanza deveessere data ad un’adeguata informazione del paziente edella famiglia sui rischi della procedura e sui vantaggiche essa offre allo scopo di migliorare la prognosiquoad vitam e quoad valetudinem).

Indicazioni per la rivascolarizzazione miocardica

La rivascolarizzazione miocardica è indicata neipazienti con angina resistente al trattamento medi-co (vedere Capitolo 4) dopo documentazione di ma-lattia ostruttiva coronarica (intervento d’emergen-za o d’urgenza) (evidenza di tipo A).

Nei pazienti stabilizzati con terapia medica masottoposti a coronarografia per uno dei motivi espo-sti in precedenza (rischio elevato di eventi maggioria breve-medio termine), la rivascolarizzazione mio-cardica è indicata nei seguenti casi:- malattia del tronco comune (stenosi > 50%) o di 2o 3 vasi (stenosi > 70%) (evidenza di tipo A);- malattia isolata della discendente anteriore constenosi critica (stenosi > 70%) prossimale (evidenzadi tipo B).

Nei pazienti rimanenti i risultati del trattamentomedico e della rivascolarizzazione, sia con bypasssia con PTCA, sono sostanzialmente sovrapponibilidal punto di vista prognostico (evidenza di tipo A).

Nei pazienti in cui non si rilevano caratteristiche dirischio elevato, la strategia terapeutica è individuale econdizionata soprattutto dalle scelte del paziente. Adesempio, a pazienti considerati a basso rischio ma chedopo stabilizzazione con intensa terapia medica han-no una qualità di vita insoddisfacente, può essere pro-posta la rivascolarizzazione coronarica, dopo adegua-te informazioni sui rischi e sui possibili benefici dellaprocedura. Infatti, la rivascolarizzazione coronaricaha una probabilità molto maggiore della terapia medi-ca di migliorare la qualità della vita, anche in quei pa-zienti in cui non sembra aumentare la sopravviven-za136.

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Figura 9. Indicazioni per l’esecuzione di angiografia coronarica e rivascolarizzazione. FE = frazione di eiezione. * con inibitore GP IIb/IIIa se ese-guita in fase acuta.

*

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Da notare che le scelte terapeutiche del medico inquesto campo sono guidate da informazioni emerse datrial eseguiti in pazienti con angina instabile137-140, o datrial, più numerosi, eseguiti in pazienti con angina sta-bile67,141,142, di confronto fra terapia chirurgica e terapiamedica, che attualmente non riflettono necessariamen-te i consistenti miglioramenti apportati sia alla chirur-gia coronarica (utilizzazione di condotti arteriosi, pro-tezione miocardica con soluzioni cardioplegiche, tecni-che anestesiologiche) sia al trattamento medico. Inoltrequesti trial non tenevano conto della PTCA.

Va tuttavia tenuto presente che disponiamo anche diinformazioni aggiornate sui meriti rispettivi delle di-verse procedure di rivascolarizzazione e della terapiamedica, provenienti da studi non randomizzati ma co-munque di eccellente qualità, che sembrano sostanzial-mente confermare quanto emerso in precedenza neglistudi randomizzati143.

Scelta del tipo di rivascolarizzazione

Sulla scorta dei risultati disponibili la strategiadi rivascolarizzazione può essere così riassunta (evi-denza di tipo A):- indicazione al bypass: malattia del tronco comune; - indicazione al bypass o alla PTCA: malattia mono,bi o trivasale.

I pazienti con angina instabile sottoposti ad inter-venti percutanei di rivascolarizzazione miocardica infase acuta dovrebbero essere pretrattati con antagonistidei recettori della GP IIb/IIIa (evidenza di tipo A) (ve-dere Capitolo 4 e Fig. 9). Nei pazienti pretrattati con far-maci inibitori della GP IIb/IIIa in cui si ottiene risulta-to angiografico ottimale l’impianto di stent non sembraridurre ulteriormente il rischio di complicanze a brevetermine, anche se potrebbe essere associato ad una mi-gliore prognosi a medio termine (evidenza di tipo A).

Nei pazienti con angina instabile stabilizzata l’in-dicazione a completare la procedura con impianto distent può essere basata sugli stessi criteri adottati neipazienti con angina stabile (vedere le linee guida perla diagnosi e terapia dell’angina stabile).

Per quello che riguarda la scelta della strategia di ri-vascolarizzazione (PTCA o chirurgia), le evidenzeemerse da recenti studi di confronto144-146 sembrano farconcludere per un’equivalenza tra le due procedure dalpunto di vista prognostico. Tuttavia, la PTCA, anche semeno indaginosa, dà un risultato meno stabile a causadel rischio di ristenosi; di converso, la scelta chirurgicaè inizialmente più impegnativa per il paziente, ma for-nisce un risultato terapeutico più stabile. Pertanto,quando ambedue i tipi di rivascolarizzazione sono pro-ponibili è necessario coinvolgere in questa scelta il pa-ziente, spiegando con chiarezza i vantaggi e gli svan-taggi delle due scelte terapeutiche.

Per quanto riguarda i pazienti con angina instabilesottoposti a rivascolarizzazione miocardica percutanea

un recente studio randomizzato di medie dimensioni hadimostrato che il miglioramento della prognosi a brevetermine dipende dall’utilizzazione di inibitori del recet-tore IIb/IIIa piuttosto che dal tipo di rivascolarizzazio-ne percutanea; infatti, l’incidenza di morte, infarto nonfatale e rivascolarizzazione ad 1 mese fu significativa-mente più alta in pazienti randomizzati a stent e place-bo che in pazienti randomizzati ad angioplastica e ab-ciximab o stent e abciximab (10.8 vs 6.9 e 5.3%)147. Alfollow-up ad 1 anno l’incidenza di morte e infarto fu13.1, 8.9 e 6.8% rispettivamente148.

Informazioni da fornire al paziente

Il dialogo con il paziente è estremamente importan-te e la responsabilità del medico è quella di fornire alpaziente e alla sua famiglia un adeguato supporto nel-l’esporre i benefici e i rischi della diagnostica invasivae degli interventi di rivascolarizzazione. È importanteevitare che si creino false e illusorie aspettative sui ri-sultati dell’intervento di rivascolarizzazione ed esporrenei dettagli le varie fasi della procedura.

CAPITOLO 8LINEE GUIDA PER LA GESTIONE DEI PAZIENTI DIMESSI

Introduzione

La fase acuta dell’angina instabile si risolve in ge-nere in poche settimane e la sua storia naturale com-prende la progressione verso l’infarto o la sua risolu-zione con ritorno ad una fase di stabilità.

La durata del ricovero ospedaliero dipende dal tem-po e dalle modalità con le quali viene ottenuto il con-trollo dei sintomi e/o il passaggio ad una categoria di ri-schio inferiore. I tempi di degenza saranno più brevi peri pazienti che hanno risposto bene alla sola terapia me-dica, rispetto a coloro per i quali è stato necessario ri-correre alla coronarografia ed alle successive procedu-re di rivascolarizzazione.

Una volta ottenuto il controllo della sintomatologiaanginosa è necessario procedere ad una nuova stratifi-cazione del rischio mediante test non invasivi prima didimettere il paziente (vedere Capitolo 6) per identifica-re i pazienti che necessitano di coronarografia e riva-scolarizzazione miocardica (Capitolo 7).

È opportuno in questa fase integrare i risultati deitest non invasivi con i dati bioumorali ottenuti nella fa-se acuta (troponina e proteina C-reattiva): infatti i pa-zienti che, pur in assenza di test provocativi ad “alto ri-schio”, hanno presentato elevati livelli di troponina149

o di proteina C-reattiva durante l’episodio acuto han-no un’incidenza di eventi a breve termine sensibilmen-te elevata. Non esistono studi prospettici randomizzatiche consentano di stabilire la modalità terapeutica piùidonea a migliorare la prognosi in pazienti con queste

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caratteristiche che, comunque, devono essere sottopo-sti a controlli clinici e strumentali più frequenti ed at-tenti.

Obiettivi

Dopo la dimissione gli obiettivi da perseguire sono:- reinserimento del paziente nel modo più completopossibile nella propria vita sociale e lavorativa;- adeguamento della terapia iniziata durante il ricoveroa questa nuova situazione.

Terapia ambulatoriale

La terapia con farmaci antipiastrinici deve esse-re continuata indefinitamente in tutti i pazienti peri già documentati effetti prognostici favorevoli sullamalattia coronarica (evidenza di tipo A).

La terapia con statine, in quei pazienti in cui è in-dicata (vedere Capitolo 3), deve essere continuataindefinitamente (evidenza di tipo A).

La terapia con ACE-inibitori va intrapresa in pa-zienti con disfunzione ventricolare sinistra (frazionedi eiezione < 45% e/o con segni di scompenso) (evi-denza di tipo A). I risultati di uno studio recente di-mostrano un vantaggio prognostico nei pazienti conalmeno un fattore di rischio coronarico anche se lafunzione ventricolare sinistra è preservata (evidenzadi tipo A)150.

Nei pazienti che durante la degenza sono statisottoposti con successo ad una procedura di riva-scolarizzazione miocardica e non presentano al mo-mento della dimissione segni o sintomi di ischemiamiocardica residua, potrebbe essere opportuno con-tinuare temporaneamente la terapia antischemica,da sospendere eventualmente sulla base dei control-li effettuati successivamente (evidenza di tipo C).

Tutti gli altri pazienti, sia quelli gestiti con tera-pia medica che quelli sottoposti ad intervento di ri-vascolarizzazione solo parzialmente efficace, devo-no continuare a domicilio il trattamento antischemi-co iniziato in regime di ricovero (evidenza di tipo C).

Autovalutazione dei sintomi

Dopo il periodo di degenza spesso breve, il pa-ziente, opportunamente istruito dal personale medico,deve imparare a valutare da solo i propri sintomi e adare loro il giusto significato. La ricomparsa di dolo-re toracico simile per caratteristiche a quello angino-so deve indurre il paziente ad interrompere l’attività incorso, a sedersi ed assumere il nitroderivato sublin-guale.

Qualora ricompaia una sintomatologia angino-sa o simil-anginosa, anche se di breve durata, il pa-

ziente dovrà comunque mettersi in contatto con ilproprio cardiologo per concordare insieme le stra-tegie terapeutiche più opportune. La mancata re-gressione della sintomatologia nonostante l’assun-zione di 3 compresse di nitrati sublinguali a di-stanza di 5 min deve imporre di raggiungere conurgenza o il centro cardiologico di riferimento o ilpronto soccorso (evidenza di tipo C).

Un aiuto concreto per favorire una corretta autova-lutazione dei sintomi potrebbe essere fornito da acces-si preferenziali anche solo telefonici tra struttura car-diologica di riferimento e paziente.

Informazioni da fornire al paziente

È indispensabile che il paziente corregga le abi-tudini di vita che costituiscono fattori di rischio perla malattia coronarica. A questo scopo è utile spie-gare chiaramente i vantaggi in termini di sopravvi-venza e di qualità della vita derivanti dalla sospen-sione del fumo, dal controllo del peso corporeo, dal-l’attuazione di una dieta corretta e dallo svolgimen-to di una moderata attività fisica quotidiana. Ade-guatamente informato, il paziente può raggiungerecon maggiore determinazione uno stile di vita piùidoneo alla propria condizione clinica (evidenza ditipo C).

Al momento della dimissione il paziente deve es-sere anche informato, in maniera dettagliata, in baseall’età, alle condizioni cliniche e alle sue caratteristi-che psico-fisiche su come riprendere la propria vitanormale. Devono essere specificate le attività con-sentite e quelle sconsigliate e programmato il tempoper la ripresa della guida dell’auto e dell’attività ses-suale.

Pianificazione dei controlli successivi

La pianificazione dei controlli successivi dipendedalla categoria di rischio alla quale appartiene il pa-ziente al momento della dimissione. I pazienti a bassorischio, come quelli che hanno superato senza compli-canze la fase di instabilità e rimangono asintomatici interapia medica o quelli sottoposti con successo ad in-tervento di rivascolarizzazione possono essere rivaluta-ti ambulatoriamente dopo circa 1 mese. Qualora risulti-no ancora asintomatici dopo tale periodo potranno es-sere trattati come pazienti con angina stabile da ricon-trollare periodicamente; se invece dovessero essere an-cora sintomatici diventa necessario valutare l’opportu-nità di un nuovo ricovero.

I pazienti più ad alto rischio come quelli che pre-sentano scompenso cardiaco o aritmie ventricolari incui non è stato possibile eseguire intervento di rivasco-larizzazione coronarica dovrebbero essere rivalutati en-tro 1 settimana.

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