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DIPARTIMENTO DI LINGUE, LETTERATURE E CULTURE MODERNE
DOTTORATO DI RICERCA IN
Letterature moderne, comparate e postcoloniali
Ciclo XXVII
Settore Concorsuale di afferenza: 10/F1
Settore Scientifico disciplinare: L-FIL-LET/14
Oltre il postmodernismo: l’opera di David Foster Wallace
tra autoriflessività e realismo
Presentata da: Dott.ssa Alessandra Tedesco
Coordinatore Dottorato Relatore
Prof.ssa Silvia Albertazzi Prof. Federico Bertoni
Co-relatore
Prof. Franco Minganti
Esame finale anno 2015
Alla mia famiglia
Indice
Introduzione 7
Capitolo I Introduzione al postmodernismo 13
1. Finding a road: introduzione al postmoderno 13
2. La Questione del postmodernismo: le fasi e la storia di un termine 20
3. La riproducibilità in serie della realtà 30
4. La crisi della realtà: le metanarrazioni e il senso del reale 35
5. Il fatto e l’evento 44
6. La costruzione della realtà: il rapporto tra potere e sapere 50
7. La verità decostruita 56
8. La crisi dell’impostura: critica al postmodernismo 67
8.1 La critica all’intrattenimento e alla tv 81
Capitolo II David Foster Wallace e il postmodernismo 93
1. “Life as a fiction”: realismi a confronto 93
2. L’autoriflessività 104
2.1 L’autoriflessività wallaciana 122
3. La rappresentazione della realtà: il paradosso del linguaggio 131
3.1 Wallace e Wittgenstein 141
3.2 La crisi ontologica del personaggio 149
3.3 L’entropia pynchoniana 162
Capitolo III La letteratura contemporanea,
ovvero come combattere la solitudine.
La fase post-postmoderna di David Foster Wallace 173
1. Tra realismo, critica e sperimentalismo 173
2. Il paradosso del linguaggio tra parzialità e necessità 179
3. «Benvenuti dentro la mia testa»: intertestualità e strutture di Infinite Jest 202
4. Wallace e la matematica 211
4.1 L’infinito 215
5. Le note di chiusura 218
6. Le coordinate spazio-temporali come strumenti allegorici 224
7. Oltre l’ironia postmodernista 235
8. L’incomunicabilità 241
9. «…sembrava che la mia vita fosse finita»: la depressione 248
10. Il manque lacaniano 257
11. Un antidoto contro la solitudine 266
Conclusioni 275
Bibliografia 297
Introduzione
Contemporaneità. Termine che, al pari di “postmodernismo” – argomento largamente
discusso negli ultimi anni ma “intrappolato” in un vicolo cieco teorico –, crea spesso un
senso di riluttante fastidio, una pruriginosità a livello intellettivo e critico.
Il Novecento è forse il secolo più complesso, un ambiguo spettro di possibilità che
incorpora al suo interno un ventaglio disarmonico di sfaccettature e contraddizioni. Il
secolo in cui la “crisi dell’Io” ha modificato radicalmente il modo di scrivere, di pensare
e di percepire la realtà circostante. Le certezze proprie dell’età classica – come ad
esempio il tempo oggettivo, reiterato e scandito con cura e precisione, la fissità delle
azioni e la diffusione di ideologie (o grandi narrazioni lyotardiane), che avrebbero
creato una sorta di ontologia (pre/per)sistente – sono irrimediabilmente crollate. I loro
frammenti sono ancora disseminati nelle pieghe della mente e le lacerazioni, ad essi
connesse, sono ancora visibili negli occhi e sui corpi degli uomini.
Ed è proprio la contemporaneità, nel suo farsi letteratura, l’oggetto di questo lavoro.
Un oggetto dalle implicazioni scivolose e perniciose perché, è evidente, risulta difficile
raccontare il mondo in cui viviamo senza la presenza di un adeguato distacco critico e
temporale. Si parte pertanto dal presupposto che ogni critica, ogni analisi sui fenomeni
umani, non possa aspirare all’oggettività ed esaurirsi in essa, né trovare un totale e
gratificante appagamento intellettuale, in quanto ogni analisi è una pura convenzione,
frammentata e porosa. I confini tra i diversi periodi letterari sono, ad esempio, solo
generalizzazioni, astrazioni matematiche di elementi-chiave (o lessie barthiane) basate
sull’analisi di testi particolari. Un testo letterario infatti, nello specifico un romanzo, con
la sua complessità e le infinite interpretazioni a cui si apre, si presenta come un
fenomeno unico, irripetibile, irriducibile a pure astrazioni. Ma, in generale, l’essere
umano ha la necessità di etichette, categorizzazioni, segmenti interpretativi in grado di
rendere l’esperienza comprensibile e trasmissibile agli altri individui che possiedono, al
di là delle diversità sincroniche e diacroniche e dei processi individuali/sociali, le stesse
“forme di vita”. Perché, nonostante l’irriducibilità dell’individuo in costrutti sintattici e
narrativi, vi è sempre la necessità pregnante di dare una forma e una voce all’esperienza
8
umana, al senso di alienazione in un mondo che diventa sempre più inenarrabile e
astratto. Un mondo in cui le certezze e le ideologie del passato sono state corrose dalla
moltiplicazione dei saperi, degli stimoli, dei mezzi di produzione e riproduzione del
reale.
È in particolare negli ultimi sessant’anni che, con il progressivo affermarsi di una
società dei consumi pienamente globalizzata, tali dinamiche si sono esacerbate e l’uomo
si trova ad essere alieno non solo rispetto alla realtà che lo circonda ma anche, e
soprattutto, rispetto alla sua stessa vita.
Quest’incertezza ontologica, unita alla nozione di unspeakability 1 e all’impossibilità
di cogliere la realtà, si traduce, nel postmodernismo letterario, in una maggiore
concentrazione sull’attitudine ironica nei confronti del mondo, sulla messa in
discussione dei confini tra la realtà e la finzione, e nell’utilizzo della metafiction. Si
noterà infatti come, a differenza dei periodi precedenti, all’uomo venga negato un
qualsiasi accesso alla realtà. Di conseguenza il linguaggio, non è più trasparente, né è in
grado di trasmettere una “verità” o “realtà” unica e oggettiva (Barthes).
Negli ultimi vent’anni però, si assiste allo sviluppo di una nuova sensibilità letteraria
– non ancora oggetto di studio sistematico da parte dei critici – che si trova in un
rapporto sia di continuità che di rottura con il postmodernismo e si declina in una
modificazione della percezione del linguaggio e della realtà: una letteratura che non si
chiude nell’autoreferenzialità ed esaltazione dei dispositivi narratologici tipicamente
postmodernisti – perlomeno, non solo – ma si spinge a recuperare quel senso di realtà e
quella finalità comunicativa andati persi nel periodo precedente.
L’obiettivo del presente lavoro è, pertanto, quello di delimitare uno spazio critico che
consenta di ripensare il concetto di postmodernismo in America alla fine del XX secolo
e, a partire dagli anni novanta del Novecento, il tentativo di un suo superamento. In
questa direzione, si è deciso di focalizzare l’analisi sull’opera dello scrittore David
Foster Wallace, che esemplifica le contraddizioni interne al postmodernismo e mostra il
passaggio cruciale dal postmodernismo a una non-ancora-ben-definita letteratura
contemporanea. Attraverso un percorso tematico, nonché strutturale, si cercherà dunque
di porre in rilievo il recupero del realismo da parte di Wallace che, seppur nel suo breve
periodo compositivo, riassume ed esemplifica questa nuova direzione della letteratura
americana, promuovendo la “formazione” del nuovo lettore che deve avere «la capacità
1 “Postmodernism: the Uninhabited World, Critics’ Symposium”, «Critique», summer 1990, vol. xxxi, no.
4.
9
di accedere a un catalogo di “tracce” che gli permette di “tradurre” e ricostruire –
partendo da esse – uno scenario assente, invisibile a chi si serve soltanto dei propri
occhi» 2 .
Come punto di partenza, si è dovuto sia contestualizzare tassonomicamente il
fenomeno (ovvero la postmodernità) che presentare, pur nella sua complessità, questa
nuova “sensibilità” artistico-letteraria (cioè il postmodernismo), per confrontare gli
artifici e le finalità di David Foster Wallace con quelli di scrittori postmodernisti quali
John Barth e Thomas Pynchon. Mantenendo infatti come base metodologica i
presupposti della metafiction autoriflessiva, è stato poi possibile rintracciare nell’opera
di Wallace una discontinuità.
È stato quindi necessario dapprima delineare una mappa conoscitiva degli elementi-
chiave della postmodernità e, successivamente, esporre criticamente le diverse linee
filosofiche del periodo, r