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ISSN: 2038-7296 POLIS Working Papers [Online] Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS Institute of Public Policy and Public Choice – POLIS POLIS Working Papers n. 221 July 2015 Le direttive UE del 2014 in tema di appalti pubblici e concessioni Atti del convegno svolto il 23/03/2015 Piera Maria Vipiana and Matteo Timo UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo AvogadroALESSANDRIA Periodico mensile on-line "POLIS Working Papers" - Iscrizione n.591 del 12/05/2006 - Tribunale di Alessandria

Le direttive UE del 2014 in tema di appalti pubblici e ...polis.unipmn.it/pubbl/RePEc/uca/ucapdv/polis0221.pdf · misura, nuove modalità per l'affidamento degli appalti ² come la

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ISSN: 2038-7296POLIS Working Papers

[Online]

Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLISInstitute of Public Policy and Public Choice – POLIS

POLIS Working Papers n. 221

July 2015

Le direttive UE del 2014 in tema diappalti pubblici e concessioni

Atti del convegno svolto il 23/03/2015

Piera Maria Vipiana and Matteo Timo

UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA

Periodico mensile on-line "POLIS Working Papers" - Iscrizione n.591 del 12/05/2006 - Tribunale di Alessandria

I

LE DIRETTIVE UE DEL 2014 IN TEMA DI APPALTI

PUBBLICI E CONCESSIONI

Atti del convegno svoltosi il 23 marzo 2015 ad Alessandria, presso il

Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze Politiche, Economiche e

Sociali

dell'Università del Piemonte Orientale

A cura di Piera Maria Vipiana

Con il coordinamento di Matteo Timo

I

SOMMARIO

PARTE PRIMA

RELAZIONI

RELAZIONE INRODUTTIVA

(Piergiorgio Alberti)

............................................................................................................................... 3

ILRECEPIMENTO DELLE DIRETTIVE COME OCCASIONE PER LA RIFORMA

DELLA NORMATIVA ITALIANA IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI E CONCESSIONI

(Piera Maria Vipiana)

1. Premessa ................................................................................................................ 5

2. I profili di criticità del panorama normativo italiano in tema di appalti

pubblici e concessioni............................................................................................ 6

3. Il recepimento delle direttive: brevi riflessioni ..................................................... 8

4. La riforma in itinere: cenni ai problemi di fondo .................................................. 9

COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/24/UE,

RELATIVA AGLI APPALTI NEI SETTORI ORDINARI

(Raffaello Gisondi)

1. La Direttiva n. 24/2014 nel quadro della evoluzione degli obiettivi e dei

compiti della UE .................................................................................................... 11

2. Novità in tema di procedure di aggiudicazione: il nuovo ruolo delle

procedure negoziate ............................................................................................... 14

3. Novità relative ai criteri di aggiudicazione ........................................................... 17

4. Principali novità in tema di cause di esclusione .................................................... 20

II

COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/25/UE,

RELATIVA AGLI APPALTI NEI SETTORI SPECIALI

(Roberto Invernizzi)

1. Generalità .............................................................................................................. 25

2. Le prospettive del recepimento ............................................................................. 29

3. Note sull’ambito soggettivo applicativo ................................................................ 30

4. Profili di flessibilità delle procedure ex direttiva 2014/25/Ue rispetto

alle regole ordinarie: tipologie di procedure di affidamento. ................................ 32

4.1. In generale, sui criteri di aggiudicazione e sulle consultazioni preventive

del mercato ............................................................................................................ 32

4.2. Le procedure: il dialogo competitivo .................................................................... 33

4.3. Le procedure. La procedura negoziata con previa indizione di gara:

deficit di competitività nei settori speciali? .......................................................... 34

4.4. I criteri di selezione ed esclusione dei concorrenti ................................................ 38

5. Conclusioni ............................................................................................................ 38

COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/23/UE,

SULLE CONCESSIONI DI LAVORI E DI SERVIZI

(Andrea Mozzati)

1. Introduzione ........................................................................................................... 41

2. La perimetrazione della figura della concessione ................................................. 43

3. La fase dell'evidenza pubblica nell'assegnazione della concessione ..................... 46

4. L'incidenza dei principi concorrenziali anche nella fase esecutiva del

rapporto concessorio .............................................................................................. 48

5. Considerazioni finali ............................................................................................. 49

III

SESSIONE POMERIDIANA

IL PARTENARIATO PUBBLICO E PRIVATO

(Mario Alberto Quaglia)

............................................................................................................................... 51

IL CAMPO DI APPLICAZIONE OGGETTIVO DELLE DIRETTIVE APPALTI,

CON PARTICOLARE TIGUARDO ALLA NOZIONE DI APPALTO

(Alberto Di Mario)

............................................................................................................................... 63

IN HOUSE PROVIDING, RINNOVI

E PROROGHE

(Giuseppe Franco Ferrari)

…….. ..................................................................................................................... 73

CONCLUSIONI

(Giuseppe Pericu)

............................................................................................................................... 87

IV

PARTE SECONDA

COMUNICAZIONI

SOCIETÀ IN-HOUSE PROVIDING E GIURISDIZIONE DELLA CORTE DEI CONTI

(Maria Pia Giracca)

1. Considerazioni introduttive ................................................................................... 95

2. L'orientamento della Corte di Cassazione sulla giurisdizione contabile in tema

di “in-house” .......................................................................................................... 98

3. La critica in dottrina. ............................................................................................. 101

4. Considerazioni conclusive ..................................................................................... 103

RECENTI INDIRIZZI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI APPALTI E CONCESSIONI.

IN PARTICOLARE: LE INDICAZIONI DELL’ADUNANZA PLENARIA DEL

CONSIGLIO DI STATO

(Alessandro Paire)

1. Premessa ................................................................................................................ 107

2. La giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria. Fattispecie (nuove ed antiche) di

particolare interesse ............................................................................................... 108

3. Segue ..................................................................................................................... 114

4. Spunti conclusivi ................................................................................................... 118

LA SICUREZZA SUL LAVORO NEGLI APPALTI PUBBLICI

CONSIDERAZIONI A SEGUITO DELLE DIRETTIVE UE DEL 2014

(Matteo Porricolo)

1. I rapporti tra il Codice dei contratti pubblici e il Testo unico della salute

e della sicurezza nei luoghi di lavoro .................................................................... 119

2. Le principali responsabilità delle figure garanti .................................................... 121

3. Il sistema sanzionatorio ......................................................................................... 123

4. La sicurezza nelle fasi precedenti l’esecuzione. .................................................... 127

5. Il dibattito giurisprudenziale sull’omessa indicazione degli oneri ........................ 129

6. Conclusioni ............................................................................................................ 132

V

LE CAUSE DI ESCLUSIONE FRA NORMATIVA NAZIONALE E RECEPIMENTO

DELLA DIRETTIVA APPALTI 2014/24/UE

(Matteo Timo)

1. Premessa ................................................................................................................ 135

2. Cenni alla disciplina della Direttiva n. 2014/24/UE in materia di cause di

esclusione .............................................................................................................. 138

3. Aspetti problematici della normativa interna all’indomani del recepimento

delle direttive europee del 2014 ............................................................................ 142

1

PARTE PRIMA

RELAZIONI

3

RELAZIONE INTRODUTTIVA

Piergiorgio Alberti

(Università degli Studi di Genova)

Un sentito ringraziamento, innanzitutto, alla prof. Piera Vipiana che ha organizzato il

Convegno e che ci ha portato il saluto dell'Università che ci ospita.

Per parte mia, non intendo sottrarre tempo ai relatori e mi limiterò, quindi, ad alcune,

brevi considerazioni introduttive.

Il nuovo pacchetto di direttive, pur fissando un insieme di regole comuni, consente ai

Paesi dell'Unione di dotarsi di ulteriori strumenti volti, da un lato, a favorire una maggiore

apertura alla concorrenza nel settore dei contratti pubblici e, dall'altro lato, a far sì che le

amministrazioni aggiudicatrici dispongano di una maggiore flessibilità nell'utilizzo dei modelli

più adeguati a soddisfare le proprie, specifiche esigenze.

In effetti le nuove direttive, proprio per il fatto di attribuire a tali amministrazioni una

notevole autonomia nella scelta delle procedure finalizzate all'affidamento degli appalti pubblici e

delle concessioni, costituisce un approccio alla disciplina di settore assai diverso dal contesto

normativo italiano, nel quale, mediante una regolamentazione molto puntuale, si è voluto limitare

la discrezionalità delle stazioni appaltanti (soprattutto con l'intento di prevenire fenomeni di

corruzione o di infiltrazioni criminali).

Tuttavia, com'è noto, una siffatta regolamentazione ha prodotto notevoli incentivi al

contenzioso, senza ottenere significativi risultati in termini di efficacia ed efficienza. Assai spesso,

l'aggiudicazione e l'esecuzione dei contratti è stata rallentata da controversie originate dal presunto,

mancato rispetto di questioni meramente formali che, frequentemente, non incidono sugli aspetti

sostanziali dell'affidamento, con grave danno anche per la finanza pubblica.

4

L'orientamento del legislatore europeo, volto ad allargare e a privilegiare, in una qualche

misura, nuove modalità per l'affidamento degli appalti — come la procedura competitiva con

negoziazione (che affianca il dialogo competitivo) e i partenariati per l'innovazione — impone un

cambio di passo anche al nostro legislatore.

Le nuove direttive ritengono, infatti, che soprattutto negli appalti complessi e innovativi,

le amministrazioni debbano disporre di procedure flessibili, da svolgere in più fasi, mediante un

"dialogo" o una negoziazione con i concorrenti, così da individuare la soluzione e i mezzi più

idonei a soddisfare, nel miglior modo possibile, le necessità delle amministrazioni stesse, ossia

l'interesse pubblico.

Il nostro ordinamento, finora "ingessato" al rispetto delle tradizionali procedure formali,

deve quindi operare una profonda rimeditazione della fase dell'evidenza pubblica.

In effetti, a fronte del rischio di essere chiamato a rispondere per danno erariale, il

pubblico funzionario tenderà a privilegiare la scelta di una procedura concorsuale maggiormente

rigida e formale — autolimitando, di fatto, il proprio spazio di apprezzamento discrezionale —

piuttosto che modelli più efficienti, ma forieri di possibili ripercussioni in termini di responsabilità

Com'è stato anche recentemente osservato1, la situazione potrebbe essere superata

mediante l'introduzione di un sistema di incentivazione che consenta di "premiare" le scelte

virtuose dei funzionari.

Perché ciò possa avvenire, occorre al contempo riconsiderare la natura stessa della fase di

formazione del contratto, non già come una semplice sequenza procedimentale volta

all'erogazione di una spesa gravante sull'Erario, bensì come una vera e propria operazione

commerciale, che necessita dell'utilizzo di schemi contrattuali più liberi, che prevedano anche

ipotesi di negoziazione e rinegoziazione con il privato.

Si tratta, in altri termini, dell'interessante tema della riferibilità all'Amministrazione della

sfera dell'autonomia negoziale (intesa in senso civilistico) e del rapporto tra quest'ultima e

l'evidenza pubblica (configurata, invece, in senso tradizionale, come rigida sequenza di atti

amministrativi).

Mi fermo qui.

Invito, ora, i relatori della sessione mattutina a svolgere i loro interventi, cominciando

dalla stessa prof. Vipiana.

1 V., in particolare: C. LACAVA, Le nuove procedure, la partecipazione e l'aggiudicazione, in Giorn.

Dir. Amm., 12/2014, 1145; M. CAFAGNO, Flessibilità e negoziazione. Riflessioni sull'affidamento dei

contratti complessi, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2013, 1019

5

IL RECEPIMENTO DELLE DIRETTIVE COME OCCASIONE PER LA RIFORMA

DELLA NORMATIVA ITALIANA

IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI E CONCESSIONI

Piera Maria Vipiana

(Università degli Studi

del Piemonte Orientale)

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I profili di criticità del panorama normativo italiano

in tema di appalti pubblici e concessioni. – 3. Il recepimento delle direttive: brevi riflessioni. –

4. La riforma in itinere: cenni ai problemi di fondo.

1. Premessa

Ringrazio il collega prof. Alberti per la densa introduzione, ricca di spunti interessanti

per il prosieguo dei lavori di questa giornata, che si incentra sull’esame di tre recenti direttive

europee: la direttiva 2014/23 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, la direttiva

2014/24 sugli appalti pubblici (che abroga la direttiva 2004/18/CE) e la direttiva 2014/25

sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti

e dei servizi postali (che abroga la direttiva 2004/17/CE).

È un’iniziativa2 che vede coinvolti una serie di illustri relatori – ai quali sono molto

grata, sia a titolo personale, sia a nome del Dipartimento –, noti proprio per le loro specifiche

competenze in materia di diritto degli appalti pubblici: a seconda dei casi, si tratta di

professori universitari che sono anche affermati avvocati, di magistrati amministrativi che

hanno al loro attivo un’ampia produzione scientifica ed esperienze di docenza, nonché di

avvocati amministrativisti che hanno pubblicato intensamente e hanno tenuto corsi anche a

livello universitario.

Il convegno è articolato, innanzi tutto, in tre relazioni che recano altrettanti commenti

sui profili più salienti ed innovativi delle tre direttive citate. Seguiranno alcune relazioni che

2 Rivolta sia agli studenti dei corsi in materie giuridiche dell’Università del Piemonte Orientale, sia al

pubblico, ed in particolare agli avvocati.

6

prenderanno in esame aspetti particolarmente interessanti in materia, scelti per la loro

rilevanza, senza alcuna pretesa di esaustività3: il partenariato pubblico privato; il campo di

applicazione oggettivo delle direttive appalti, con particolare riguardo alla nozione di appalto;

la disciplina del cosiddetto “in house providing”, nonché dei rinnovi e delle proroghe. In

seguito sono previsti alcuni interventi programmati che, qualora non potessero svolgersi per

ragioni di tempo, troveranno collocazione nella veste di comunicazioni nell’ambito della

pubblicazione degli atti del convegno. La presidenza della sessione mattutina spetta al prof.

Alberti, il quale ha anche introdotto la giornata, mentre al prof. Pericu sono riservate, oltre

alla presidenza della sessione pomeridiana, le conclusioni.

2. I profili di criticità del panorama normativo italiano in tema di appalti

pubblici e concessioni

L'approvazione delle tre direttive in esame è intervenuta a fronte di un panorama

normativo italiano che presenta forti criticità. In effetti, tale panorama risulta caratterizzato

perlomeno da quattro fattori.

Per un verso, la complessità, la scarsa chiarezza e, in taluni casi, la lacunosità di tale

normativa. Massimo Severo Giannini descrisse la condizione legislativa dei lavori pubblici,

alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, in termini di "enigmistica giuridica"4: in

sostanza, ad un massimo di legislazione, affastellata sulla legge base del 1865, corrispondeva

un massimo di inefficienza e di illegalità5. Non sembra affatto che, al momento, dopo

decenni, la situazione sia migliorata: anzi, probabilmente si può riscontrare addirittura un

peggioramento a livello di drafting normativo nel settore in considerazione.

Per un altro verso, la normativa in materia di appalti e concessioni è caratterizzata in

Italia da una formazione alluvionale, perché, nonostante l'esistenza di un articolato codice dei

contratti pubblici che ha solo nove anni, continua ad interessare la materia una pletora di

disposizioni continuamente introdotte in prevalenza da decreti legge, convertiti in legge 3 Visto il carattere innovativo delle direttive de quibus, che si evince dalla lettura di R. Caranta - D.D.

Cosmin, La mini-rivoluzione del diritto europeo dei contratti pubblici, in Urbanistica e appalti, 2014,

5, 493 ss. 4 V. inoltre il Rapporto Giannini (Rapporto sui principali problemi della amministrazione dello Stato,

trasmesso alle Camere dal Ministro per la funzione pubblica Massimo Severo Giannini il 16 novembre

1979), 3.6. 5 P. Mantini, Il dilemma di Sunstein ed il nuovo diritto europeo degli appalti, in www.giustamm.it.

7

sovente con modificazioni ed integrazioni rilevanti. Si pensi ai decreti legge 133/2014 (c.d.

sblocca Italia), 90/2014 (Semplificazione delle pubbliche amministrazioni), 66/2014

(Spending review 3)6. Siffatta produzione normativa, che si connota altresì per essere fondata

su una (più o meno evidente) urgenza, ha continuato ad aver luogo anche dopo l'avvento delle

tre direttive in esame e sebbene la strada maestra da seguire in materia sia ormai quella del

recepimento delle direttive e della riforma del disciplina di cui al codice dei contratti.

Per un verso ulteriore, e conseguentemente, in materia si riscontra la formazione di un

ampio contenzioso in sede giurisdizionale amministrativa. In effetti, come ha ricordato il

Presidente del Consiglio di Stato Giovannini nella sua relazione alla cerimonia di

inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2015 del Consiglio di Stato7, nell’anno 2014 si è avuto

un consistente aumento dei ricorsi proposti dinanzi ai diversi organi della giustizia

amministrativa, sia in primo grado dinanzi ai Tribunali amministrativi regionali, sia in grado

di appello dinanzi al Consiglio di Stato, e tale aumento ha riguardato, in particolare, proprio la

materia degli appalti. Non è solo il fenomeno quantitativo quello che interessa, ma anche

quello qualitativo: fra l’altro, proprio in tale materia si nota, ogni anno, un elevato numero di

pronunce dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che non di rado incontrano

l'interesse della dottrina.

Per un altro verso ancora, il contenzioso dinanzi al giudice amministrativo, sebbene

ampio, potrebbe esserlo ancora di più, se uno scoraggiamento non provenisse dalla normativa

che rende molto oneroso l'accesso alla giustizia amministrativa in materia di appalti. Molto

recentemente Franco Gaetano Scoca ha scritto: “la particolare severità dei costi economici,

necessari ed eventuali, previsti per le controversie in materia di appalti pubblici” trova

spiegazione soltanto alla stregua di una delle misure di politica giudiziaria, insieme alla

riduzione dei termini per ricorrere e alla speciale disposizione sulla sinteticità degli atti

processuali, in quanto dirette “a rendere più gravoso chiedere al giudice amministrativo di

verificare la legittimità dei provvedimenti di aggiudicazione degli appalti”. Nella specie, ha

6 L’approvazione e la pubblicazione della nuova direttiva comunitaria sugli appalti n°2014/24/UE, che

dovrà essere recepita dagli Stati Membri dell’UE entro i prossimi due anni, costituisce una buona

opportunità per una revisione globale del quadro normativo del settore dei lavori pubblici, oramai

frammentato da una serie di interventi legislativi, con leggi omnibus, che hanno privato sia il codice

dei contratti che il regolamento di attuazione della loro identità originaria (“Primo Contributo per la

definizione di un nuovo quadro normativo per il settore dei lavori pubblici, in recepimento della

direttiva n°2014/24/UE”. Documento condiviso dal Tavolo Tecnico “Lavori Pubblici” della RPT,

nella seduta del 7 Gennaio 2015, in www.giustamm.it). 7 La relazione si può leggere, fra l’altro, sul sito www.giustizia-amministrativa.it.

8

ritenuto “miope (o di comodo)” la visione che intenda concentrare nella sola sede penale la

verifica legittimità dei provvedimenti di aggiudicazione degli appalti, “perché non sempre la

illegittima ed ingiusta aggiudicazione si colora di riflessi penali”8. Scoca ha pertanto criticato

la disciplina attuale in materia di costi del processo amministrativo, ritenendo che essa

costituisca un serio ostacolo all'accesso alla giustizia, con tutte le conseguenze che ne possono

derivare sulla piano della legittimità costituzionale, comunitaria e internazionale9.

3. Il recepimento delle direttive: brevi riflessioni

A proposito del recepimento delle direttive, il Consiglio dei Ministri del 29 agosto

2014, su proposta del Presidente e del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha

approvato un disegno di legge delega al Governo per l’attuazione delle tre direttive attuandole

in un sistema più ampio e variegato mediante la compilazione di un Codice dei contratti e

delle concessioni pubbliche. Presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è stata

istituita una Commissione di studio sul recepimento delle direttive europee in esame10

.

Pertanto si è messa in moto la macchina per il recepimento delle direttive e, al

contempo, per la riforma integrale della normativa in materia.

Il disegno normativo di ampio respiro è stato già ultimato ed è divenuto operante in

Gran Bretagna, con "The Public Contracts Regulations 2015", testo che include le

disposizioni di recepimento della direttiva sui contratti pubblici (part 2 - rules implementing

the public contracts directive). La rapidità dell'iter di approvazione del testo non è andato a

detrimento della necessità di rispettare le istanze partecipative: tale iter, infatti, ha incluso le

consultazioni di una pluralità di soggetti, che è avvenuta già sulla base dei progetti di

direttiva.

Ovviamente sarebbe interessante prendere in esame questo testo – potrebbe essere

un'idea per giovani studiosi –, così come le altre normative di recepimento delle direttive,

adottate da altri Stati.

8 F. G. Scoca, Il “costo” del processo tra misura di efficienza e ostacolo all'accesso, in Dir. Proc.

Amm., 2014, fasc. 4, 1414 ss., § 13. 9 Ibidem.

10 Successivamente al convegno dei quale si raccolgono gli atti in queste pagine, il Senato della

Repubblica, il 18 giugno 2015, ha approvato il disegno di legge al quale si fa riferimento nel testo: la

parola spetta quindi ora alla Camera dei Deputati.

9

In effetti, come è stato illustrato un recente saggio, l’idea di un diritto transnazionale

amministrativo trova uno dei suoi terreni più fertili proprio nell’analisi del diritto dei contratti

pubblici e degli accordi tra pubblico e privato11

. Quindi l'esame delle tre direttive costituisce

occasione per una profonda riforma della normativa italiana in tema di appalti pubblici e

concessioni nell'ottica della globalizzazione in materia12

.

Dal punto di vista contenutistico le direttive de quibus presentano indubbiamente

profili altamente innovativi, come le relazioni che seguiranno avranno modo di porre in

evidenza. In particolare, Piergiorgio Alberti ci ha appena illustrato, in modo acuto ed

esaustivo, che tali direttive prevedono, rispetto al quadro normativo precedente, una maggiore

apertura alla concorrenza nel settore dei contratti pubblici ed una maggiore flessibilità, per le

amministrazioni aggiudicatrici, nell'utilizzo dei modelli più adeguati a soddisfare le proprie

esigenze specifiche.

4. La riforma in itinere: cenni ai problemi di fondo

I problemi connessi con tale riforma, che trae spunto dalla necessità di attuare le

direttive, sono vari. In questa sede non ne sarebbe possibile una trattazione puntuale, che

presupporrebbe un’analisi compiuta di tutte le previsioni delle tre direttive: tuttavia qualche

cenno sembra illustrabile.

In primo luogo – ed in stretta correlazione con il tema del recepimento – si tratta di

distinguere, nell'ambito delle direttive, le disposizioni cogenti e quelle non cogenti e decidere

se procedere alla trasposizione anche di queste ultime.

In secondo luogo, nel calibrare la disciplina italiana di prossima introduzione, occorre

prendere posizione, ovviamente nell'ambito di quanto è consentito dalle direttive, tra

un'alternativa di fondo: la normazione a maglie larghe, vale a dire che consenta un’ampia

liberalizzazione delle forme e delle modalità di azione delle pubbliche amministrazioni

(stazioni appaltanti), vincolandole però al rispetto di principi generali cogenti; oppure una

11

S. W. Schill, Transnational Legal Approaches to Administrative Law: Conceptualizing Public

Contracts in Globalization, in Riv. Trim. Dir. pubbl., 2104, n. 1. 12

In tema cfr. V. H. Caroli Casavola, La globalizzazione dei contratti delle pubbliche amministrazioni,

Milano, Giuffrè, 2012.

10

normazione a maglie strette, ossia rigida, che contempli procedure e moduli standardizzati e

riduca la discrezionalità amministrativa13

.

A sua volta, l'affinamento normativo dovrebbe passare attraverso il coordinamento

puntuale con normative connesse: fra l’altro, con la disciplina del codice del processo

amministrativo relativa al rito in materia di appalti e, in primis, con quella in tema di

prevenzione e contrasto della corruzione e con quella sulla trasparenza e sull'accesso. A

quest'ultimo riguardo evidente è la stretta correlazione tra il modo in cui sono formulate le

disposizioni in materia di appalti e la facilità di trovare il modo per realizzare fenomeni di

corruzione o di maladministration in genere.

Infine la normativa in tema di appalti e concessioni non può andar esente dalla

considerazione di profili specifici o settoriali, da più punti di vista: o in base ai soggetti (ad

esempio, gli enti locali) oppure per ambito oggettivo (si pensi al tema del Green Public

Procurement o a quello delle attività portuali14

).

13

In proposito, sembra molto utile rileggere le considerazioni di P. Mantini, Il dilemma ..., cit.: "… ci

sono due modi per realizzare la semplificazione normativa e amministrativa. Il primo modo è

costituito da un’ampia liberalizzazione delle forme e delle modalità di azione delle pubbliche

amministrazioni (stazioni appaltanti) che però sono vincolate al rispetto di principi generali cogenti

(principio di efficienza e di efficacia, principio di imparzialità, principio di concorrenza, principio di

trasparenza ecc.). Questo approccio, appena sommariamente descritto, presuppone un forte grado di

competenza tecnica e di accountability delle stazioni appaltanti che sono, per usare un’espressione

classica nel diritto amministrativo, più libere nei modi ma vincolate nei fini, godendo di una più ampia

discrezionalità e di maggiori obblighi di risultato. Il secondo modo possibile è invece quello della più

rigida normazione, attraverso procedure e moduli standardizzati, la riduzione del numero delle norme,

lo sviluppo di modelli informatizzati a livello nazionale, con ciò riducendo la discrezionalità

amministrativa e l’autonomia degli enti locali". 14

Con specifico riferimento alle direttive 23 e 25 v. S. M. Carbone - L. Schiano di Pepe, Competition,

safety, security and environmental concerns in the emerging ports policy of the European Union, in

Dir. commercio internaz., 2014, n. 4, 839 ss. e spec. 842 ss.

11

COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/24/UE, RELATIVA AGLI APPALTI NEI

SETTORI ORDINARI

Raffaello Gisondi

(T.A.R. Toscana)

SOMMARIO: 1. La Direttiva n. 24/2014 nel quadro della evoluzione degli obiettivi e

dei compiti della UE. - 2. Novità in tema di procedure di aggiudicazione: il nuovo ruolo delle

procedure negoziate. - 3. Novità relative ai criteri di aggiudicazione. - 4. Principali novità in

tema di cause di esclusione.

1. La Direttiva n. 24/2014 nel quadro della evoluzione degli obiettivi e dei compiti

della UE

Per comprendere meglio le novità apportate dalla nuova direttiva comunitaria sugli

appalti ordinari di lavori, servizi e forniture dobbiamo farci una domanda: perché a distanza

quasi di dieci anni dall’ultimo intervento normativo la UE ha emanato un nuovo pacchetto di

direttive che innova profondamente la disciplina europea sulle procedure relative

all’aggiudicazione delle commesse pubbliche?

Nel 2004 l’Unione aveva compiuto un grosso sforzo di sistemazione ed

organizzazione della materia unificando le discipline relative agli appalti di lavori di forniture

e di servizi in un unico testo normativo e inquadrando i vari settori delle commesse pubbliche

in una cornice di regole e principi unitari.

12

Si trattava, quindi, di un corpus normativo costruito per durare e che, invece, dopo un

lasso di tempo relativamente breve è stato interamente abrogato e sostituito da un intervento

altrettanto importante che si propone di apportare innovazioni profonde nel comparto delle

procedure di affidamento.

I motivi per cui la UE ha deciso di superare in toto il precedente assetto sono vari.

Sicuramente v’è stata la volontà di dare veste normativa a temi di importantissimo

rilievo dei quali, in precedenza, si era occupata la giurisprudenza della Corte di giustizia o la

Commissione nei suoi documenti interpretativi. Si tratta di questioni spesso fondamentali al

fine di stabilire il campo di applicazione delle procedure di affidamento come la precisazione

della nozione di appalto, la rilevanza delle forme di cooperazione fra enti pubblici, gli

affidamenti in house etc.

Tuttavia, questa, pur importante, opera di aggiornamento normativo non spiega di per

sé i più profondi elementi di novità delle nuove direttive il cui fondamento sta nell’esigenza di

adeguare il settore degli appalti pubblici alle nuove strategie che la UE si è prefissa di

perseguire.

Sappiamo che lo scopo che ha caratterizzato la Comunità europea sin dalla sua nascita

è stato quello della creazione di un mercato comune. Nel sistema degli appalti pubblici ciò ha

comportato la elaborazione di regole volte ad assicurare a tutte le imprese appartenenti agli

stati della UE la possibilità di concorrere su un piano di parità rispetto agli operatori nazionali

nel conseguimento delle commesse pubbliche.

Oggi, tuttavia, benché la creazione di un mercato unico costituisca ancora un obiettivo

fondamentale della UE, non si può più affermare che esso esaurisca i compiti della Comunità

europea in quanto la promozione della concorrenza deve coniugarsi con le esigenze di uno

sviluppo sostenibile dal punto di vista ambiente e della crescita economica ed occupazionale

(art. 3 del Trattato istitutivo).

Le finalità di crescita economica ed occupazionale, in particolare, hanno assunto un

ruolo strategico con la crisi economica che ha colpito molti degli Stati europei e si è

riverberata anche sulla tenuta complessiva della UE minandone la stabilità monetaria.

In quest’ottica la Commissione ha messo a punto nel 2010 un programma decennale

per la crescita e l’occupazione – la cosiddetta “Strategia Europa 2020” – che mira a

promuovere una crescita intelligente, sostenibile dal punto di vista ambientale e solidale in

quanto volta a anche al raggiungimento di obiettivi di carattere sociale.

13

Gli obiettivi della Strategia Europa 2020, in particolare, riguardano l’occupazione,

l’aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo, riduzione delle emissioni di gas serra,

aumento della soddisfazione di bisogni energetici attraverso le fonti rinnovabili, i risparmi

energetici da conseguirsi attraverso un aumento dell’efficienza energetica dei prodotti, lotta

alla povertà all’emarginazione e contrasto al fenomeno dell’abbandono scolastico.

Le nuove direttive si inseriscono a pieno titolo nell’ambito di tale programma.

Gran parte dei contenuti innovativi che le caratterizzano risultano, infatti, ispirati ad

una visione che concepisce le procedure di selezione dei contraenti non più solo come

strumenti di trasparenza volti alla creazione del mercato unico ma anche come leva per la

crescita economica e un uso più efficiente delle risorse pubbliche.

Grande attenzione è stata data al rapporto fra spesa e risultati.

Uno dei problemi che la Commissione ha riscontrato sulla scorta delle consultazioni

effettuate è, infatti, quello delle inefficienze provocate dalla eccessiva rigidità delle procedure

di gara che non consentirebbero alle amministrazioni di modulare il processo di scelta del

contraente in modo da ottenere il prodotto più confacente alle proprie esigenze e migliore

sotto il rapporto qualità prezzo.

Di qui la scelta di rendere più flessibili procedure e criteri di selezione del contraente

attribuendo alle amministrazioni aggiudicatrici maggiori poteri di negoziazione e di

modulazione dei criteri di aggiudicazione.

Le procedure negoziali tendono, così, a divenire moduli ordinari di scelta del

contraente tutte le volte che la stazione appaltante non possa o non voglia definire a priori le

caratteristiche del prodotto che intende acquistare ed intenda avvalersi a tale scopo degli

apporti che il mercato può fornirgli.

Con riguardo ai criteri di aggiudicazione la direttiva guarda con sfavore al criterio

finanziario del prezzo più basso (che, anzi, nominalmente è stato eliminato) e tende a

sostituirlo con quello economico del costo che tiene conto degli oneri economici che deve

sostenere l’amministrazione per mantenere e per smaltire un determinato prodotto durante il

suo ciclo di vita.

Sono stati, inoltre, introdotti nell’ambito dei parametri di scelta della offerta

economicamente più vantaggiosa criteri che consentono di valorizzare non solo l’interesse

specifico dell’amministrazione ma anche i costi ed i benefici sociali che possono derivare

dalla preferenza accordata ad un certo prodotto, tenuto conto non solo delle sue caratteristiche

14

oggettive ma anche del suo processo produttivo (possono, ad, esempio, essere privilegiati

certi processi produttivi per il fatto che comportino l’impiego di soggetti appartenenti a

categorie disagiate).

Si tratta di un’impostazione molto innovativa rispetto a quella che caratterizzava gli

esordi di queste procedure.

Altro capitolo importante della direttiva, importantissimo nel nostro Paese, è

l’attenzione che è stata data a quei fenomeni anticoncorrenziali che non sono correlati alle

irregolarità formali o procedurali, ma a comportamenti scorretti che operano, di regola, sotto

traccia: conflitti di interesse, cartelli fra le imprese offerenti, fino ad arrivare a veri e propri

comportamenti di carattere corruttivo.

Si tratta di patologie che non sono correlati con il carattere formale che, muovendo da

un approccio amministrativistico, siamo abituati ad attribuire al procedimento di evidenza

pubblica, ma non per questo meno idonei a falsare il gioco della concorrenza.

L’Unione si è data carico di affrontare, anche se non sempre in modo efficace, questa

tipologia di problematiche introducendo nuove cause di esclusione e prevedendo, in

determinate ipotesi, anche la possibilità dell’amministrazione aggiudicatrice di risolvere

contratti che si si siano formati sotto l’influenza di questo genere di fenomeni.

Nel prosieguo della relazione verranno approfonditi i temi cui si è sopra accennato con

particolare riferimento alle procedure ed ai criteri di aggiudicazione ed alle cause di

esclusione.

2. Novità in tema di procedure di aggiudicazione: il nuovo ruolo delle procedure

negoziate

La direttiva amplia sia la tipologia delle procedure negoziate sia le ipotesi in cui le

amministrazioni possono avvalersene.

Tale scelta si pone in controtendenza rispetto alla preferenza accordata in passato alle

procedure aperte e ristrette che, riducendo gli ambiti di discrezionalità della p.a. nelle

selezione dell’offerta, venivano considerate più rispondenti ai principi di imparzialità e

trasparenza.

15

Per il vero già la direttiva n. 18 del 2004 aveva affiancato alle classiche procedure

negoziate con bando e senza bando quella del dialogo competitivo.

Tale procedura (simile al nostro “vecchio” appalto concorso) derogava al principio

della separazione fra la fase di progettazione (dove si determina l’oggetto del contratto sotto il

profilo tecnico) e quella della gara, consentendo e alle amministrazioni di rivolgersi

direttamente al mercato non solo per acquisire offerte relative ad un prodotto già

compiutamente individuato ma anche per elaborare, attraverso un dialogo con soggetti

particolarmente qualificati, la soluzione progettuale più conforme alle proprie esigenze.

Il Codice dei contratti aveva precisato i presupposti per ricorrere a tale procedura

circoscrivendone l’esperimento ad appalti di elevatissima complessità, per i quali l’apporto

creativo e progettuale dei concorrenti risultava indispensabile fin dalla fase ideativa

dell’intervento ed aveva imposto alla p.a. l’onere di dar conto della sussistenza di tali

circostanze nella motivazione della determina o delibera a contrarre.

Il dialogo competitivo restava, quindi, una procedura negoziata esperibile in casi

limitati e non metteva in discussione il primato delle procedure aperte e ristrette rispetto a

quelle negoziate.

La nuova direttiva erige lo schema di fondo che stava alla base del dialogo

competitivo a modello generale delle procedure negoziate con bando.

Tale modello si articola ora nei tre schemi procedurali del dialogo competitivo (art.

30), della procedura competitiva con negoziazione (art. 29) e del partenariato per

l’innovazione (art. 31) i quali hanno come comune denominatore quello la collaborazione

partecipata fra p.a. e privati nella definizione delle caratteristiche dell’offerta.

Il ricorso a queste procedure negoziate è reso possibile dalla direttiva non solo nei casi

in cui le caratteristiche oggettive delle prestazioni o dei prodotti richiesti non consentano

all’amministrazione di definirne compiutamente l’oggetto (ad. es. prestazioni intellettuali,

operazioni giuridico finanziarie complesse, progetti, innovativi etc.) ma anche nelle ipotesi in

cui essa non abbia soluzioni immediatamente disponibili per soddisfare le proprie esigenze

(art. 26).

Quando la conoscenza tecnica del prodotto è particolarmente bassa la procedura più

indicata sarà allora il dialogo competitivo (art. 30) il cui esperimento presuppone solo

l’indicazione delle esigenze da soddisfare, di certi requisiti minimi e dei criteri di

aggiudicazione.

16

Quando, invece, vi è un livello di conoscenza superiore ma non tale da definire tutte le

specifiche del prodotto lo strumento sarà quello della procedura competitiva con negoziazione

(art. 32) che presuppone un indicazione delle caratteristiche richieste delle forniture, dei

servizi e dei lavori da appaltare.

Nei casi in cui si tratti di acquisire prodotti innovativi che non sono ordinariamente

reperibili sul mercato la procedura negoziata assumerà le forme del partenariato per

l’innovazione (art. 31).

Le novità rispetto al passato stanno, quindi, nello stesso modo di concepire la

procedura negoziata che viene considerata come una forma di confronto partenariale plurimo

finalizzato a definire il contenuto dell’offerta, nonché nel fatto che il ricorso alle procedure

negoziate non sembra più essere limitato ad ipotesi tassative ed eccezionali ma viene a

dipendere da una scelta ampiamente discrezionale della p.a. in ordine alla definizione delle

caratteristiche tecniche del prodotto da acquistare prima della gara o attraverso la gara stessa.

All’ampliarsi degli spazi applicativi delle procedure negoziate corrisponde una loro

più specifica disciplina finalizzata a garantire la realizzazione dei principi di pubblicità,

trasparenza e parità di trattamento.

Innanzitutto risulta sempre necessaria la pubblicazione di un bando.

La procedura risulta poi articolata in tre fasi: 1) prequalifica; 2) la negoziazione; 3)

fase della gara nella quale avviene la selezione dell’offerta migliore.

Di queste tre fasi la più complessa è sicuramente la seconda perché è quella che

prevede un confronto diretto fra amministrazione ed imprese non basato su regole prestabilite.

La direttiva prevede che la flessibilità che connota questa fase debba essere

controbilanciata da obblighi di trasparenza quali:

- assicurare a tutti i partecipanti la conoscenza delle informazioni necessarie a

precisare le condizioni della propria offerta via via che l’amministrazione nel corso della

procedura si forma un’idea più precisa di ciò che intende acquisire o come quello;

- attenersi ai criteri previsti dal bando nelle eventuale riduzione del numero delle

imprese ammesse a continuare la negoziazione nel corso della procedura.

Sono facilmente intuibili i problemi applicativi di queste disposizioni.

La stessa Commissione UE dimostra di esserne consapevole affermando nel Libro

verde del 2011 che i possibili vantaggi derivanti da una maggiore flessibilità e dalla

potenziale semplificazione devono essere ponderati con i maggiori rischi di favoritismi e, più

17

in generale, di decisioni eccessivamente soggettive derivanti dalla più ampia discrezionalità di

cui godono le amministrazioni aggiudicatrici nella procedura negoziata.

I problemi paventati dalla Commissiono sono particolarmente acuiti nella situazione

italiana caratterizzata da un pericolo sempre incombente di corruzione e da una non sempre

adeguata preparazione (soprattutto economica) dei funzionari che conducono le procedure.

Il fatto che il progetto venga via via elaborato in sede di gara attraverso il confronto

con gli operatori richiede, infatti, la capacità di assumere in quella sede decisioni di altissima

competenza tecnica che fino ad oggi sono state compiute nella fase di progettazione.

In difetto di un adeguato controllo sulle scelte progettuali che i nuovi modelli di

procedura negoziata comportano vi è il rischio di accettare soluzioni che potrebbero poi

comportare costi imprevisti o necessità di varianti nel corso della fase di esecuzione15

.

Tuttavia, senza adeguate professionalità sarà molto difficile per le amministrazioni

valutare tutte le implicazioni delle soluzioni progettuali proposte e non è detto che il

confronto fra una pluralità di soluzioni sia sufficiente a scongiurare i rischi connessi con

questa impostazione.

A ciò si aggiunga che in non pochi casi (specie ove si tratti di appalti di lavori) lo

svolgimento della fase negoziata della gara secondo i dettami della direttiva comporterà anche

la necessità di effettuare durante il corso della stessa scelte che esulano le competenze

strettamente tecniche demandate alla commissione in quanto comportanti una valutazione di

rispondenza al pubblico interesse di una delle soluzioni progettuali proposte nel corso del

negoziato; scelte che dovranno essere demandate agli organi di indirizzo politico16

.

3. Novità relative ai criteri di aggiudicazione

Molte sono le novità introdotte dalla direttiva anche sotto questo fondamentale aspetto

delle procedure di gara.

Il precedente sistema basato sui due criteri della offerta economicamente più

vantaggiosa e il prezzo più basso viene superato.

15

Le note vicende relative al ricorso da parte di certe amministrazioni locali ai contratti derivati di

swap per ristrutturare i propri debiti dovrebbero costituire un monito da tenere in attenta

considerazione. 16

Come già la giurisprudenza ha affermato a proposito della procedura di project financinng (TAR

Sardegna, 1783/2008).

18

Il criterio unico ora è quello della offerta economicamente più vantaggiosa la quale,

tuttavia, può assumere diverse configurazioni.

Il criterio della offerta economicamente più vantaggiosa può, infatti, articolarsi in tre

modi:

a) può basarsi sul criterio del prezzo;

b) su quello del costo;

c) oppure nella combinazione di uno dei due suddetti criteri con la valutazione di

aspetti qualitativi (rapporto qualità/prezzo). Combinazione che può anche risolversi

nell’apprezzamento dei soli aspetti qualitativi a prezzo o costo fissi.

Il criterio del prezzo più basso, quindi, non scompare ma costituisce una delle

modalità in cui può articolarsi l’offerta economicamente più vantaggiosa, salva la possibilità

per gli stati membri di vietare l’utilizzo del prezzo o del costo come unici criteri di

aggiudicazione o di limitarne l’uso a determinate categorie di amministrazioni aggiudicatrici

o a determinati tipi di appalto.

La direttiva dedica una particolare attenzione al criterio del costo.

Tale criterio, in particolare, tiene conto non solo dell’esborso finanziario che la p.a.

deve effettuare per acquistare il prodotto ma dei costi di utilizzo che esso comporta nel corso

di tutto il suo ciclo di vita come quelli di manutenzione, di trasporto, di funzionamento

(consumi di energia), di smaltimento (una volta esaurito il ciclo).

Fra i costi da computare nella valutazione di convenienza vi sono anche quelli

riferibili alle cd. “esternalità ambientali” (come le emissioni di gas effetto serra) a condizione,

però, che sussistano sistemi oggettivi e riconosciuti per determinare il loro valore monetario

(parrebbe che a livello europeo una metodologia approvata per la quantificazione dei suddetti

costi riguardi solo i veicoli a motore).

Ancor più innovativi sono poi gli aspetti concernenti la valutazione dei profili

qualitativi dell’offerta.

Le novità al riguardo sono essenzialmente tre.

La prima consiste nella valorizzazione delle caratteristiche “sociali” e “ambientali”

dell’offerta.

Viene quindi superato il concetto di convenienza puramente economica potendo la p.a.

dare la prevalenza anche ad offerte che, benché più costose, realizzino obiettivi di carattere

19

sociale Questo in coerenza con le finalità della direttiva di valorizzare il mercato delle

commesse pubbliche anche in una chiave sociale ed ecologica.

Correlata alla prima è anche la seconda novità in tema di offerta economicamente più

vantaggiosa che consiste nella possibilità di apprezzare anche profili che non attengono alla

prestazione che costituisce l’oggetto dell’appalto.

Il collegamento con l’oggetto dell’appalto può, infatti, non essere immediato e diretto

e riguardare anche il processo produttivo, soprattutto ove ciò si leghi a criteri di valutazione di

carattere sociale.

Il considerando n. 99 della Direttiva afferma in proposito che “possono essere oggetto

dei criteri di aggiudicazione o delle condizioni di esecuzione dell’appalto anche misure intese

alla tutela della salute del personale coinvolto nei processi produttivi, alla promozione

dell’integrazione sociale di persone svantaggiate o di membri di gruppi vulnerabili nel

personale incaricato dell’esecuzione dell’appalto o alla formazione riguardante le competenze

richieste per l’appalto, purché riguardino i lavori, le forniture o i servizi oggetto dell’appalto”.

“Tali criteri o condizioni potrebbero riferirsi, tra l’altro, all’assunzione di disoccupati di lunga

durata, all’attuazione di azioni di formazione per disoccupati o giovani nel corso

dell’esecuzione dell’appalto da aggiudicare. Nelle specifiche tecniche le amministrazioni

aggiudicatrici possono prevedere requisiti di natura sociale che caratterizzano direttamente il

prodotto o servizio in questione, quali l’accessibilità per persone con disabilità o la

progettazione adeguata per tutti gli utenti”.

Nel considerando n. 97 si legge che i criteri e le condizioni riguardanti tale processo di

produzione o fornitura possono ad esempio consistere nel fatto che la fabbricazione dei

prodotti acquistati non comporti l’uso di sostanze tossiche o che i servizi acquistati siano

forniti usando macchine efficienti dal punto di vista energetico. Vi rientrano anche criteri di

aggiudicazione o condizioni di esecuzione dell’appalto riguardanti la fornitura o

l’utilizzazione di prodotti del commercio equo nel corso dell’esecuzione dell’appalto.

Il collegamento dei criteri di valutazione dell’offerta con l’oggetto dell’appalto

rappresenta, quindi, un limite blando che vale solo ad escludere dall’ambito della procedura di

aggiudicazione la valutazione di criteri e condizioni riguardanti la politica generale

dell’impresa nella misura in cui essa non interessi il processo specifico di produzione del bene

acquisito.

20

La terza novità in tema di criteri di aggiudicazione consiste nel superamento della

regola relativa alla distinzione fra requisiti di qualificazione e criteri di valutazione delle

offerte che la giurisprudenza della stessa Corte di giustizia aveva introdotto.

I requisiti soggettivi dell’operatore economico che partecipi alla gara, come

l’organizzazione e l’esperienza professionale del personale incaricato di eseguire l’appalto,

possono ora giocare non solo come elementi qualificazione dei contraenti idonei ma anche

come elementi da valutare nell’ambito degli aspetti qualitativi dell’offerta.

4. Principali novità in tema di cause di esclusione

La direttiva prevede un ampliamento delle ipotesi che costituiscono cause di

esclusione sia facoltative che obbligatorie dalle procedure.

Fra le ipotesi di esclusione obbligatoria sono ora incluse anche le condanne definitive

per reati di terrorismo e lavoro minorile.

Molto più rilevanti sono, però, le novità che riguardano le esclusioni facoltative.

Fra queste viene inclusa l’ipotesi in cui la impresa offerente non abbia osservato le

normative ambientali e sociali inerenti l’esecuzione dell’appalto. Questo in coerenza con

l’impronta ambientale e sociale che la direttiva ha inteso attribuire alla disciplina comunitaria

delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici.

Occorre sottolineare che la direttiva non considera necessario che la condotta

dell’impresa sia prevista come fattispecie di reato e che lo stesso debba essere accertato da

una sentenza del giudice penale.

Dico questo perché nel nostro ordinamento interno le cause che determinano il venir

meno della moralità professionale dell’impresa corrispondono ad ipotesi delittuose

penalmente accertate. Tali ipotesi possono comprendere sicuramente la violazione di

normative ambientali e sociali (ad es. sicurezza sul lavoro) ma ciò avviene solo se si tratta di

violazioni penalmente sanzionate rispetto alle quali sia intervenuta una sentenza.

La direttiva 24/2014 ritiene, invece, rilevante solo l’interesse protetto dalla norma

(ambiente, protezione sociale di alcune categorie) e non richiede, quindi, la configurazione

penalistica della condotta (l’esclusione del resto non è una sanzione accessoria ma un mezzo

di tutela dell’interesse pubblico).

21

Dovrebbe, quindi, essere sufficiente ad integrare la causa di esclusione anche la

commissione di un illecito amministrativo (che presumibilmente dovrà risultare accertato con

provvedimento divenuto inoppugnabile).

A questo proposito occorre sottolineare come sia nella direttiva sia nel nostro

ordinamento interno manca l’indicazione dei mezzi di pubblicità con cui la irrogazione delle

predette sanzioni dovrebbe essere resa nota alle stazioni appaltanti.

L’art. 60 comma 2 della direttiva prevede che le stazioni appaltanti al fine di provare

la regolarità contributiva, previdenziale e l’assenza di procedure concorsuali, debbano

considerare sufficiente la produzione di certificati rilasciati da autorità pubbliche ove ciò sia

previsto dalle legislazioni degli stati membri.

Nulla, però, è detto sui mezzi con cui possono essere accertate le violazioni

amministrative diverse da quelle anzidette (norme, ambientali, sociali, antitrust etc.).

Per rendere effettivo il sistema occorrerebbe, quindi, prevedere nella normativa di

recepimento l’obbligo delle amministrazioni che irrogano le sanzioni per le violazioni

costituenti cause di esclusione di effettuare la comunicazione alla autorità anticorruzione ai

fini dell’inserimento nella bancata dati nazionale dei contratti pubblici (AVCPass) prevista

dall’art. 6 bis del D.Lgs 163/2006.

In difetto di tale previsione le dichiarazioni effettuate dalle imprese di non essere

incorse in violazione di obblighi attinenti la legislazione ambientale, sociale o del lavoro,

difficilmente potranno essere verificabili al di fuori dei casi in cui la normativa abbia un

rilievo penalistico e vi sia stata sentenza di condanna annotata sul casellario giudiziario (ciò

potrà avvenire solo episodicamente).

Fra le cause di esclusione facoltative la direttiva include situazioni obiettive di

incompatibilità o ipotesi di comportamenti fraudolenti che potrebbero falsare il risultato della

procedura quali, ad esempio, il conflitto di interessi in cui si trova un amministratore o un

funzionario pubblico rispetto all’impresa partecipante, l’aver prestato una consulenza relativa

all’oggetto dell’appalto, il tentativo di influenzare indebitamente il procedimento decisionale

dell’amministrazione aggiudicatrice o di ottenere informazioni confidenziali, gli accordi fra

operatori tesi a falsare la concorrenza (partecipazioni pilotate dirette ad influenzare le medie,

spartizioni del mercato etc.).

22

Il riconoscimento che il meccanismo della concorrenza può essere falsato non solo

dalla mancata osservanza delle procedure ma anche da comportamenti o situazioni non

emergenti alla luce del sole è sicuramente un fatto positivo.

L’impressione è, tuttavia, che la UE abbia preso coscienza del problema ma non sia

riuscita ad elaborare rimedi sufficientemente efficaci.

Non solo per la generosità con cui la direttiva ammette, in alcuni di questi casi,

soluzioni alternative alla esclusione ma anche e soprattutto perché conflitti di interessi,

collusioni e comportamenti scorretti (fino alla vera e propria corruzione) emergono

solitamente in un momento successivo alla aggiudicazione a seguito di indagini di autorità

penali o amministrative.

L’esclusione dalla gara non appare quindi una misura sufficiente a contrastare la

portata anticoncorrenziale di tali comportamenti, essendo necessari strumenti che

intervengano nella fase successiva alla stipulazione del contratto.

Su questo tema, tuttavia, si riscontrano gravi lacune sia nella stessa direttiva che nel

nostro diritto interno.

La disciplina della risoluzione contenuta nella lettera b) del comma 1 dell’art. 73 della

direttiva appare, infatti, troppo timida nella parte in cui prevede che l’amministrazione possa

disporre la risoluzione del contratto solo in caso di successiva scoperta circa la sussistenza di

cause obbligatorie di esclusione non rilevate in corso di gara.

Si tratta di una disciplina del tutto insufficiente perché non copre i casi in cui si scopra

ex post che l’aggiudicazione è stata falsata da corruzione o altri comportamenti collusivi o

fraudolenti accertati successivamente (anche se la direttiva spazio alla adozione di soluzioni

più rigorose da parte dei singoli Stati che, specialmente nel caso italiano, appaiono assai

auspicabili).

Vero è che, in tali, ipotesi l’amministrazione potrebbe fare ricorso all’autotutela,

tuttavia, l’incoercibilità della procedura di annullamento d’ufficio lascia scoperto il problema

di quali possano essere gli strumenti di tutela delle posizioni soggettive lese dai

comportamenti scorretti (corruzione, accordi anti concorrenziali, conflitto di interessi etc.)

non conosciuti né conoscibili al momento della aggiudicazione (problema che, come evidente,

non viene risolto dalla sanzione del commissariamento dell’impresa che il legislatore interno

ha introdotto a seguito delle note vicende dell’Expo di Milano).

23

Altro aspetto da sottolineare e la flessibilità che la direttiva attribuisce alla disciplina

delle cause di esclusione la quale che si traduce soprattutto nella possibilità concessa

all’impresa di sanare la situazione che dovrebbe dar luogo ad esclusione adottando apposite

misure.

Il secondo paragrafo del comma 6 dell’art. 57 della direttiva prevede che tali misure

debbano consistere:

- nel risarcimento o dell’impegno a risarcire qualunque danno causato dal reato o

dall’illecito;

- nell’aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente

con le autorità investigative

- nell’aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi

al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti (il considerando n. 102 parla, in

proposito, di rottura di tutti i rapporti con le persone o con le organizzazioni coinvolte nel

comportamento scorretto, in misure adeguate per la riorganizzazione del personale,

nell’attuazione di sistemi di rendicontazione e controllo, nella creazione di una struttura di

audit interno per verificare la conformità e nell’adozione di norme interne di responsabilità e

di risarcimento).

La direttiva non chiarisce se tali misure siano cumulative o anche solo una di esse

possa essere sufficiente a ripristinare l’affidabilità dell’offerente.

E’ dubbio, tuttavia, che si possa prescindere dal risarcimento del danno atteso che tale

misura serve ad eliminare l’indebito vantaggio che l’impresa ha conseguito attraverso il

mancato rispetto delle normative ambientali e sociali.

Di nuovo la applicazione della direttiva chiama in causa il problema dell’elevato tasso

di discrezionalità che viene attribuito alle stazioni appaltanti anche in situazioni delicatissime

come quelle di condanna per corruzione o per reati di tipo mafioso.

Sotto questo profilo, al fine di evitare inaccettabili disparità di trattamento, dovrebbe

essere tenuto in attenta considerazione il suggerimento contenuto nel considerando 102 di

demandare ad autorità diverse dalla stazione appaltante siffatto ordine di valutazioni.

Altra novità di rilievo che la direttiva prevede a proposito delle cause di esclusione è la

disciplina del periodo della loro durata (art. 57 paragrafo 7) la cui determinazione è

demandata alle legislazioni nazionali.

24

Il comma 7 prevede, però, che se il periodo di esclusione non è stato fissato con

sentenza definitiva, non può superare i cinque anni dalla data della condanna con sentenza

definitiva nei casi di esclusioni obbligatorie e i tre anni dalla data del fatto in questione nei

casi di esclusioni facoltative.

Si tratta di una disciplina che, come è stato osservato dai primi commentatori, appare

incongrua in quanto consente di reimmettere l’impresa nel mercato delle commesse pubbliche

anche nel caso in cui la condanna penale abbia una durata superiore a cinque anni e nel

momento della offerta sia ancora in corso.

25

COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/25/UE RELATIVA AGLI APPALTI NEI

SETTORI SPECIALI

Roberto Invernizzi

(Foro di Lecco)

SOMMARIO: 1. Generalità. – 2. Le prospettive del recepimento. – 3. Note

sull’ambito soggettivo applicativo. – 4. Profili di flessibilità delle procedure ex direttiva

2014/25/Ue rispetto alle regole ordinarie: tipologie di procedure di affidamento. – 4.1 In

generale, sui criteri di aggiudicazione e sulle consultazioni preventive del mercato. – 4.2 Le

procedure: il dialogo competitivo. – 4.3 Le procedure. La procedura negoziata con previa

indizione di gara: deficit di competitività nei settori speciali? – 4.4 I criteri di selezione ed

esclusione dei concorrenti. – 5. Conclusioni.

1. Generalità

Primo commento alla direttiva 2014/25/Ue che si impone è quello del rilievo della sua

stessa esistenza.

In sede di varo delle direttive 2014/17/Ce e 2004/18/Ce fu infatti prospettata la

possibilità che in sede di loro successiva revisione fosse cassata la distinzione di regole fra

appalti nei settori ordinari e in quelli speciali, a favore se non dell’identità totale di regole,

quanto meno a favore di una direttiva organica imperniata su di un ceppo di regole comuni e

con un limitato insieme di regole specifiche per i settori speciali.

Questa notazione che si impone all’evidenza nella lettura comparata dei testi delle

direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue detta, per inciso, l’impostazione di questa esposizione, che

26

muoverà dalla verifica della giustificazione – pur con sempre più forte consonanza di regole –

della permanente distinzione formale fra le discipline dei due settori, per passare alla ratio

della necessità di una disciplina degli appalti nei contratti speciali, alla valutazione su come

gli elementi rivenienti dalla direttiva 2014/25/Ue si prospettino ai fini del suo recepimento,

alla valutazione di alcuni profili di distinzione fra le discipline ordinaria e speciale.

L’opzione formale è restata quella della separazione in due testi normativi distinti

(direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue). Nella sostanza le due direttive accentuano le

convergenze di disciplina, proseguendo con coerenza il trend di progressivo avvicinamento

delle discipline già segnato dalle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce, da ultimo, e dalle

direttive 1992/50/Cee, 1993/36/Ce, 1993/37/Ce, da un lato, e 1993/38/Ce, dall’altro.

La distinzione formale predetta non consente ancora di reputare chiusa la marcia

partita all’epoca in cui l’affidamento di determinati appalti era tout-court sottratta alle regole

concorrenziali di matrice comunitaria, passata per l’avvento dell’era dei c.d. settori esclusi (in

concreto, a dispetto della dicitura ora detta, inclusi nel perimetro degli appalti regolati da

norme comunitarie), sino all’odierna età dei settori speciali.

Le ragioni variamente addotte in origine per la sottrazione degli appalti (esclusi) dei

soggetti aggiudicatori operanti in determinati settori alle regole comunitarie della

concorrenza, e indi per l’applicazione attenuata di esse, sono state varie: da vere o presunte

ragioni di peculiarità tecnologica dei beni e servizi da acquisire, alla pertinenza di quegli

appalti alle aree dei servizi di interesse generale; dai condizionamenti derivanti sui soggetti

assegnanti – formalmente pubblici o privati – dalle regole del diritto pubblico, al fatto che

quei settori sono stati storicamente pionieri nell’esperienza di partenariati (quando ancora non

si chiamavano così) pubblico-privati con impieghi di capitali misti; dall’esistenza di

particolari esigenze regolatorie sui mercati di riferimento, all’esistenza di politiche

marcatamente diverse entro i diversi Stati membri. E così via.

Ma questi settori sono effettivamente ancora “speciali”?

Un abbozzo di risposta si dà a due livelli: uno di tipo materiale e l’altro di tipo

normativo, direttamente facente capo, come si vedrà, alla direttiva 2014/25/Ue.

Vediamo il dato materiale. Uno studio commissionato dalla Commissione dell’Unione

europea nel 201117

evidenzia alcuni dati significativi:

17

PWC Public Procurement in Europe – Cost and effectiveness, 2011.

27

a. gli affidamenti ai sensi della direttiva settori speciali (allora la 2004/17/Ce)

rappresentavano per numero il 10% di tutti quelli affidati in base alle due direttive

2004/17/Ce e 2004/18/Ce;

b. in termini di valore percentuale rispetto al complesso degli affidamenti

effettuati tramite le due direttive, quelli ex direttiva 2004/17/Ce erano però il 17% del totale;

c. il valore medio dell’affidamento ex direttiva 2004/17/Ce era di 5,9 milioni di €,

contro i 2,8 milioni di € del contratto medio ex direttiva 2004/18/Ce.

Può riflettersi sul fatto che queste distinzioni sono state in parte frutto della stessa

disciplina diversa (direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce) per i due ambiti. Ma è indubbio che il

dato materiale additi a una situazione per alcuni versi di tangibile differenza per i due contesti,

tale da non fare di per sé reputare irragionevole una persistente, per quanto assottigliata,

differenza di disciplina fra le due specie di affidamenti.

Non sembra estranea a questi dati sostanziali di fondo la motivazione formale della

direttiva 2014/25/Ue espressa dal suo considerando (1), in base al quale l’analisi dell’impatto

applicativo delle direttive precedenti dimostra “opportuno mantenere norme riguardanti gli

appalti degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di

trasporto e servizi postali, in quanto le autorità nazionali continuano a essere in grado di

influenzare il comportamento di questi enti, anche attraverso la partecipazione al loro

capitale sociale o l’inserimento di propri rappresentanti nei loro organi amministrativi,

direttivi o di vigilanza.”, anche considerato che “Un ulteriore motivo che spinge a continuare

a regolare normativamente gli appalti pubblici in questi settori è costituito dalla natura

chiusa dei mercati in cui agiscono gli enti in tali settori, data l’esistenza di diritti speciali o

esclusivi concessi dagli Stati membri in materia di alimentazione, fornitura o gestione delle

reti per erogare il servizio pertinente.”.

In altri termini, la permanente necessità di un insieme di regole (speciali) che assicuri

la competitività degli affidamenti nei settori speciali dipende dal fatto che per quanto per lo

più costituiti in forma privatistica gli appaltanti operano tuttora sotto pesante controllo e

influenza pubblica (con spendita, perciò, in linea di principio di quella che resta una risorsa

pubblica) e dal fatto che i soggetti assegnanti sono spesso titolari di diritti speciali, agendo

quindi in mercati non soggetti ab origine a regole concorrenziali pure.

In relazione a questo duplice ordine di considerazioni ciò che emerge con una certa

evidenza dal (sotto questo profilo senz’altro) condivisibile considerando è la necessità che

28

assegnanti così connotati debbano operare contrattualmente con norme competitive tese a fare

sì che il mercato recuperi in termini di efficienza quanto può essere ab origine perso a causa

dell’interferenza del potere pubblico in attività imprenditoriali formalmente private, ovvero a

causa delle logiche non concorrenziali degli affidamenti di talune delle concessioni o diritti

che abilitano a operare nei settori speciali.

Ciò detto, è assai meno evidente e persuasivo l’argomento che il considerando

predetto vorrebbe spendere a favore (non tanto della necessità che detti appaltanti si

assoggettino alla regole della competizione nella scelta dei propri contraenti, quanto) del fatto

che sia a tutt’oggi giustificata una disciplina peculiare (sebbene sempre meno differente da

quella odierna) degli affidamenti nei settori speciali.

Sotto questo profilo, vale forse un’esigenza sostanziale, formalmente non espressa nel

considerando, ma tuttavia oggettivamente evidente in molte delle attività “speciali” in

questione. Si tratta, anzitutto, del fatto che ben più che nei settori ordinari (con la progressiva

assunzione di rilievo dell’organismo di diritto pubblico18

) i soggetti assegnanti operano in

forma giuridica privata, addirittura della “impresa pubblica”19

, dal che sorge la tendenziale

necessità – pur sempre più ristretta – di poter operare con regole più flessibili di quelle

ordinarie. Il che, in secondo luogo, appare poter assumere maggior pregnanza considerato che

in molti dei settori speciali gli assegnanti nazionali debbono interloquire con soggetti

imprenditoriali sovra nazionali organizzati in forme marcatamente imprenditoriali per poter

reggere il passo con i quali sono necessarie regole contrattualistiche più flessibili di quelle

ordinarie.

È chiaro, per inciso, che la duplice (specie l’ultima) esigenza ora detta può addursi sia

per giustificare la permanenza di una formalmente diversa disciplina fra i due settori, sia per

modulare, in sede di dettatura della disciplina di recepimento relativa ai settori speciali, la

scelta di introdurre o meno tutti i vincoli procedimentali che le direttive lasciano in alcuni

punti alla discrezionalità dello Stato membro se recepire o meno.

Trattando di recepimento preme per inciso una nota sul recente assunto del Consiglio

di Stato in sede consultiva20

in tema di affidamenti in-house, in forza della non ancora

18

Per il quale l’art. 3 paragrafo 4 della direttiva 2014/25/Ue conferma la definizione ordinaria. 19

Definita ex art. 4 paragrafo 2 della direttiva 2014/25/Ue come la “impresa su cui le amministrazioni

aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante perché ne

sono proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria o in virtù di norme che disciplinano

l’impresa in questione.”. 20

Sez. II, 30 gennaio 2015, n. 298; ibidem, 22 aprile 2015, n. 1178.

29

recepita direttiva 2014/25/Ue che esso ritiene ex se applicabile poiché “dettagliata”, con

notevole e apprezzabile slancio europeista, ma forse al di là della regola per cui l’applicazione

diretta di una direttiva esige pur sempre che, oltre che chiara e precisa nel testo, essa sia

“suscettibile di applicazione immediata, [e] dunque non condizionata ad alcun provvedimento

formale dell’autorità nazionale.”21

come sono quelli di recepimento, sino a che il relativo

termine non sia scaduto. Prima di reputare direttamente applicabili norme della direttiva

2014/25/Ue necessita quanto meno che il relativo termine vada a scadenza e che frattanto

entro esso non sia intervenuto il recepimento a opera dello Stato membro22

.

2. Le prospettive del recepimento

La notazione appena espressa conduce al tema delle prospettive del recepimento delle

disposizioni sui settori speciali.

L’esame del disegno di legge governativo per la legge-delega ai fini del recepimento

delle direttive presentato lo scorso novembre e quello dei lavori parlamentari disponibili,

conferma un’assoluta identità di principi e criteri direttivi in vista del recepimento delle tre

direttive.

Ciò è consono alla spinta verso un’ulteriore omogeneizzazione delle discipline

(almeno sugli appalti), ma non sta ovviamente a significare che – anche in relazione a istituti

(molti) disciplinati identicamente dalle direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue ci si debbano

attendere discipline interne identiche per i due ambiti.

Le peculiarità messe in luce in chiusura del paragrafo precedente rendono

perfettamente possibile che, pur a parità di principi e criteri di recepimento formalmente

identici, il recepimento non sia identico nei due settori, specie in relazione alla possibilità per

il legislatore del recepimento di modulare per esempio le clausole rispetto alle quali esso

acceda o meno agli ambiti di discrezionalità lasciati dal legislatore europeo. Come si

21

G. TESAURO, Diritto dell’Unione Europea, Padova, 2012, 169. Corte di Giustizia delle Comunità

europee: 8 aprile 1976 in causa 43/75; 5 aprile 1979 in causa 148/78; 19 gennaio 1982, in causa 8/81;

5 ottobre 2004, in causa C-397-403/01. 22

Per una più compiuta ed equilibrata ricostruzione – riferita al settore dei contratti pubblici -

dell’ampiezza degli effetti delle direttive dettagliate non ancora recepite, e per la messa a fuoco di

come rispetto a esse si pongano il tema della interpretazione conforme del diritto nazionale rispetto a

quello europeo e del significato e dei limiti dello stand still europeo, si veda Consiglio di Stato, Sez.

VI, 26 maggio 2015, n. 2660.

30

accennava, una tendenziale minor introduzione di vincoli sarebbe consona alla pur fortemente

ridotte peculiarità riconosciute ai settori speciali.

Sotto questi profili anche il divieto di gold-plating che sia secondo il diritto

dell’Unione sia secondo i principi e direttive in corso di elaborazione per la legge-delega

rappresenta uno dei fili conduttori dell’operazione di recepimento, può declinarsi

differentemente con riferimento allo specifico recepimento delle disposizioni afferenti ai

settori speciali.

3. Note sull’ambito soggettivo applicativo

È confermata la tradizionale impostazione che vede la direttiva per i settori speciali

applicabile all’esito di una duplice valutazione di tipo soggettivo e oggettivo. Occorre, in altri

termini, che si tratti di soggetti con peculiari caratteristiche soggettive, e che operino nel

campo di svolgimento di determinate attività. Il meccanismo è più complesso di quello di cui

alla direttiva sui settori ordinari, che vede definito il proprio campo di applicazione in linea di

principio sulla scorta della qualificazione come latamente pubblico del soggetto assegnante.

Il combinato disposto degli artt. 3 e 4 della direttiva 2014/25/Ue indica in tal senso

quali enti aggiudicatori:

a. le amministrazioni aggiudicatrici e le imprese pubbliche operanti nei settori speciali;

b. i soggetti che, pur non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche

operano nei settori speciali in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi dal potere pubblico

tramite disposizioni legislative o amministrative aventi l’effetto di riservare a uno o più

soggetti le attività nei settori esclusi, e di incidere [ovviamente in negativo] sulla possibilità

di altri enti di esercitare tale attività.

In relazione a quest’ultima classe soggettiva, il secondo comma del paragrafo 3

dell’art. 4 della direttiva specifica non ricorrere l’ipotesi dei diritti speciali o esclusivi con

riferimento al caso in cui la concessione della posizione corrispondente all’esercizio del

diritto speciale o esclusivo sia stata assegnata “in virtù di una procedura in base alla quale è

stata assicurata una pubblicità adeguata”.

31

In questi casi (enti aggiudicatori diversi da amministrazioni aggiudicatrici o imprese

pubbliche titolari di esclusive affidate con modalità competitive) la direttiva 2014/25/Ue non

si applica.

La ratio sottostante appare legata a quella che connota in generale il sistema della

disciplina europea del sistema di appalti e concessioni latamente pubbliche e in specie il

sistema degli appalti nei settori speciali. Le norme pro competitive volgono in genere a fare sì

che soggetti assegnanti in oggettive posizioni di preminenza (dovute alla soggettività pubblica

e/o alla titolarità di posizioni di esclusiva ottenute in modo non competitivo) operino in

maniera non discriminante e perciò efficiente sia a livello di funzionalità del sistema-

ordinamento sia a livello di allocazione delle risorse (più efficiente spendita di una risorsa

latamente pubblica).

Nel caso specificamente in esame l’evidente presunzione della direttiva è che il

soggetto che si sia aggiudicato in modo competitivo l’esclusiva attività in uno dei settori

speciali sia spinto dalla forza delle cose a non comportarsi in maniera discriminatoria nella

sede dei suoi acquisti. Detto altrimenti, se esso ha dovuto compiere sforzi tecnico-economici

per aggiudicarsi l’esclusiva in esito a una procedura competitiva (nella quale ha dovuto

misurarsi con offerte omologhe e concorrenti) la presunzione è che esso non abbia più riserve

di risorse per permettersi poi affidamenti non guidati da una rigorosa ricerca dell’efficienza

(in termini di minori costi e di soluzioni tecniche più vantaggiose).

Il tema in questione è delicato anche per la sua contiguità al campo degli aiuti di Stato

(artt. 107 e ss. TFUE), dovendosi indagare con particolare severità la effettiva natura

competitiva e concorrenziale della procedura all’origine dell’assegnazione dell’esclusiva in

questione.

32

4. Profili di flessibilità delle procedure ex direttiva 2014/25/Ue rispetto alle regole

ordinarie: le tipologie di procedure di affidamento e i criteri di aggiudicazione

4.1. In generale, sui criteri di aggiudicazione e sulle consultazioni preventive del

mercato

La direttiva 2014/25/Ue assume profili di forte parallelismo con la direttiva

2014/24/Ue in relazione a una serie di istituti innovativi introdottine, nonché in merito alla

parimenti innovativa strutturazione dei criteri di aggiudicazione.

Quanto a questi ultimi gli artt. 67 e 68 della direttiva 2014/24/Ue sono ricalcati dagli

artt. 82 e 83 della direttiva 2014/25/Ue. Anche nei settori speciali è, quindi, accolta

l’evoluzione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa verso il concetto della

considerazione del fattore prezzo e del costo, anche nella proiezione della considerazione del

ciclo di vita dei beni o servizi acquisiti, nonché con l’esasperazione della considerazione delle

componenti tecniche di offerta che può oggi condurre ad affidamenti a prezzo bloccato nei

quali la competizione venga a vertere sulle sole componenti tecnico-qualitative di offerta.

Anche nei settori speciali si completa perciò quel ribaltamento di prospettiva che sul terreno

nazionale si misura nel percorso dalla assoluta o quasi preminenza del criterio del prezzo più

basso in testi come i rr.dd. 2440/1923 e 827/1924 (ma anche nelle prime formulazioni della l.

109/1994 …), attraverso il riconoscimento23

tendenziale di una legittima combinazione di

fattori, sino all’odierno ribaltamento di prospettiva predetto.

Ancora, le direttive 2014/24/Ue e 2014/25/Ue sono parallele nell’accogliere la

disciplina dei sondaggi preliminari di mercato sottoforma delle consultazioni preliminari di

mercato e della connessa disciplina della partecipazione precedente di candidati e offerenti

(artt. 40 e 41 direttiva 2014/24/Ue e artt. 58 e 59 direttiva 2014/25/Ue). Si tratta di profili

rilevanti, in precedenza a torto negletti – fatto salvo rispetto al dialogo tecnico di all’ottavo

considerando motivazionale della direttiva 2004/18/Ce e a un paio di sentenze della CGUE,

positivi perché apportatori di chiarezza nella fase dell’impostazione delle procedure, ove per

23

Es. in taluni filoni giurisprudenziali degli anni ’90 che ancora argomentavano – per la verità in

assenza sostanziale di agganci già nelle direttive dell’epoca – la necessità di quanto meno accordare al

fattore economico la preminenza (più della metà del punteggio assegnabile) su quello tecnico-

qualitativo.

33

eccellenza possono annidarsi le distorsioni che il successivo svolgimento della gara nel

pedissequo rispetto delle (distorsive) regole di essa non fa che perpetuare.

Parimenti analoga (art. 48 direttiva 2014/25/Ue e art. 30 direttiva 2014/24/Ue) è la

conferma dello strumento del dialogo competitivo già noto alle direttive precedenti, al fine di

elaborare soluzioni non ben chiare neppure all’assegnante a base della procedura, ma

suscettibili di trovare nel mercato la base per la soddisfazione di esigenze dell’assegnante che

il dialogo stesso concorre a porre a fuoco.

E, ancora, è comune ai due testi la forte novità costituita dai partenariati per

l’innovazione (artt. 31 direttiva 2014/24/Ue e art. 49 direttiva 2014/25/Ue), con il loro

fondamentale obiettivo di promuovere l’innovazione nel rapporto fra assegnante e operatori

economici, in vista anzitutto dell’innovazione stessa prima ancora per che l’assegnazione di

un determinato contratto.

Bisogna però sottolineare che questa tendenziale comunanza (fra le due direttive) di

strumenti innovativi si cala in contesti diversi nei due corpora, con il risultato indiretto di

accentuare i gradi di discrezionalità e libertà operativa degli assegnanti operanti nei settori

speciali rispetto a quelli operanti nei settori ordinari.

4.2. Le procedure: il dialogo competitivo

Proprio quanto all’in apparenza identicamente disciplinato dialogo competitivo nei

due ambiti – settori esclusi e settori ordinari - occorre registrare anzitutto che la direttiva

2014/24/Ue si preoccupa con apposite disposizioni (art. 26 paragrafo 4, “Scelta delle

procedure”) di disciplinare casi e modi di legittimo impiego della procedura. Ciò rimarca la

preoccupazione – latente nel sistema – che le procedure più innovative e per loro natura più

flessibili (si tratta di esplorare i limiti di soluzioni tecnico-economiche di mercato in rapporto

a esigenze innovative degli assegnanti) siano quelle che, se non adeguatamente presidiate,

possono aprire all’arbitrio la porta delle procedure. Onde, per i settori ordinari sono dettati

parametri-guida normativi volti a normalizzare il ricorso a quelle procedure e, di

conseguenza, a permettere un miglior controllo anche giurisdizionale, sul loro impiego da

parte degli assegnanti.

34

In relazione al dialogo competitivo nei settori speciali, l’art. 44 direttiva 2014/25/Ue,

in apparenza omologo all’art. 26 direttiva 2014/24/Ue, stando alla rispettiva identica rubrica

(Scelta delle procedure), manca della specificazione di casi e modi nei quali debba applicarsi

il dialogo competitivo. Possiamo concludere che la scelta in proposito possa essere arbitraria?

Di certo no. Criteri generali come quello di proporzionalità e ragionevolezza escludono

l’arbitrio. È immaginabile a livello sistematico - quanto meno entro certi limiti24

- la

possibilità di appoggiare sull’analogia le valutazioni in tema di legittimo impiego del dialogo

competitivo nei settori speciali.

Tuttavia, la mancanza di detta prescrizione di indirizzo sull’uso del dialogo

competitivo ha l’indubbio effetto di rendere più flessibile – a discrezione, non ad arbitrio,

dell’assegnante – la procedura con riferimento ai settori speciali. Con conferma delle

rivendicate esigenze di fondo che tuttora (primo considerando motivazionale della direttiva

2014/25/Ue) ne vogliono preservare specificità di presupposti applicativi e disciplina

applicabile.

4.3. Le procedure. La procedura negoziata con previa indizione di gara: deficit di

competitività nei settori speciali?

Una duplice apparente dissonanza rispetto al principio dell’accentuato parallelismo di

strumenti fra le due direttive si lega:

a. al mantenimento nella direttiva 2014/25/Ue della figura – che era nella direttiva

2004/18/Ce ed emergeva dalla direttiva 2004/17/Ce – della procedura negoziata con previa

pubblicazione di bando (o indizione di gara);

b. all’assenza dalla direttiva 2014/25/Ue della peculiare figura innovativa costituita nei

settori ordinari dalla Procedura competitiva con negoziazione ex art. 29 direttiva 2014/24/Ue;

c. al corollario del superamento nella direttiva 2014/24/Ue della figura (già nella

direttiva 2004/18/Ue) della procedura negoziata previa pubblicazione di bando.

24

Resta significativo che il legislatore europeo non abbia voluto nella direttiva 2014/25/Ue la formula

che nella direttiva 2014/24/Ue delimita l’applicazione del dialogo competitivo, ma di certo da ciò non

può trarsi un divieto di ricorso allo strumento analogico per valutarne la congruità applicativa anche

nel campo dei settori speciali.

35

La lettura approssimativa di questa combinazione di innovazioni farebbe percepire un

deficit di competitività nella disciplina dei settori speciali rispetto a quella dei settori ordinari.

Colpisce in specie la formale assenza dalla direttiva 2014/25/Ue dello strumento della

procedura competitiva con negoziazione, giustamente salutata come una fra le maggiori

novità apportate dalla direttiva 2014/24/Ue nel settori ordinari.

Al di là dei dati formali stanno però quelli sostanziali, che possiamo affrontare a

partire dalla tematica della procedura negoziata con previa indizione di gara ex art. 47

direttiva 2014/25/Ue.

Ciò posto, facciamo un passo indietro al regime delle direttive 2004/17/Ce e

2004/18/Ce. Esse prevedevano entrambe lo strumento della procedura negoziata previa

pubblicazione di bando, ma a parità di nomen la disciplina era piuttosto differente.

Anzitutto, l’art. 30 della direttiva 2004/18/Ce vincolava l’utilizzo dello strumento a

casi nei quali ricorressero presupposti particolari.

Per converso, il legislatore dei settori speciali (direttiva 2004/17/Ce) dettava una

disciplina minimale, essenzialmente per differenza – entro l’art. 40 – rispetto al caso della

procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando. Per il resto le pochissime regole

dettate erano di taglio assolutamente generale (invito simultaneo a presentare offerta,

selezione di offerte e candidati sulla scorta di quanto anticipato dall’avviso o bando della

procedura).

Si apriva, così, nei settori speciali, un terreno amplissimo per l’uso della procedura

negoziata previa pubblicazione di bando. Legittimata la quale (art. 40 direttiva 2004/17/Ue)

veniva a profilarsi un ampio spazio discrezionale afferente sia all’an del ricorso alla

negoziazione, sia ai contenuti e alle modalità di questa, con sostanziale libertà – nei limiti

della proporzionalità, della ragionevolezza, della tutela della par condicio e della trasparenza

– per l’assegnante nella strutturazione di fasi e modi della negoziazione, in relazione alle

oggettive esigenze presentate dal quid di volta in volta oggetto di assegnazione25

. Anche le

25

Così, in relazione all’art. 220 d.lgs. 163/2006, basato sull’art. 40 della direttiva 2004/17/Ce, è

osservato che 1.“Una prima e appariscente particolarità propria della disciplina recata dall’art. 220

(e mutuata dalla disciplina previgente), integrante una differenza sostanziale rispetto al regime

ordinario, riguarda la discrezionalità di cui è investita la stazione appaltante nel prescegliere l’una

piuttosto che l’altra procedura di affidamento: e infatti l’art. 220 – diversamente dall’art. 56 – non

assoggetta la facoltà di aggiudicazione a mezzo di procedura negoziata previo bando a rigide e

tassative condizioni, ma anzi ne attua una completa parificazione alle altre metodologie,

tradizionalmente ritenute maggiormente garantistiche della concorrenza e della parità di accesso

degli operatori economici. Ne consegue che alle stazioni appaltanti è lasciata la piena discrezionalità

36

schematiche minimali richieste di contenuto del bando a base della procedura dettate

dall’apposito allegato alla direttiva non intaccavano, ma solo regolavano, quest’ampia

possibilità, contrapposta ai ben più ristretti margini di impiego della procedura negoziata

previo bando nei settori ordinari ex direttiva 2004/18/Ce26

27

.

Per inciso, il disegno di questo ambito di discrezionalità è uno dei fattori all’origine

del censimento, nel 2011, della procedura negoziata previa pubblicazione di bando come la

procedura standard di aggiudicazione degli appalti nei settori speciali28

.

E oggi?

di acquisire i lavori, i servizi o le forniture sempre e comunque secondo questa procedura, senza

neppure la necessità di un’analitica motivazione” (C. CACCIAVILLANI–G. BERTO, sub art. 220, in

Commentario al codice dei contratti pubblici, diretto da G. F. FERRARI–G. MORBIDELLI, Milano,

2013, 189-190). In termini analoghi: “Gli enti aggiudicatori dei settori speciali possono utilizzare

procedure aperte, ristrette, negoziate previo bando, e dialogo competitivo. Non sono stabiliti limiti per

la procedura negoziata previo bando, che è dunque alternativa a quella aperta e a quella ristretta

(art. 220, codice)” (R. DE NICTOLIS, Manuale dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e

forniture, Roma, 2010, 906). 26

“Quel che interessa nella presente sede è evidenziare come nei settori speciali, contrariamente a

quello che accade nei settori cc. dd. classici, il legislatore nazionale considera tutte le procedure di

scelta, purché precedute dalla pubblicazione di avviso di gara, come assolutamente alternative tra

loro, nel senso che gli enti aggiudicatori obbligati al rispetto della disciplina di cui alla Parte III del

Codice possono ricorrere alternativamente ad una procedura aperta, ristretta, negoziata o al dialogo

competitivo previa pubblicazione di bando per l’individuazione del soggetto con cui stipulare il

contratto, senza alcuna limitazione o preferenza tra esse, fatte salve le ipotesi – tassativamente

individuate dall’art. 221 – in cui possono avvalersi anche delle procedure negoziate senza indizione di

gara.” (R. GAROFOLI–G. FERRARI, sub art. 220, in Codice degli appalti pubblici, Roma, 2010, 1972). 27

“Quest’ultima [la direttiva comunitaria 17/2004 n.d.r.], infatti, nei settori speciali considera

equivalenti le procedure aperte, ristrette e negoziate con bando lasciando, quindi, piena

discrezionalità e ben può il legislatore nazionale attuare detti principi applicando agli appalti di

servizi di pulizia non funzionali all’attività nei settori speciali, come nel caso in esame, i maggiori

limiti previsti per gli appalti di servizi nei settori ordinari che prediligono la procedura aperta o

ristretta per la scelta del contraente al fine di garantire una più ampia concorrenza nei servizi non

funzionali all’attività dei settori speciali.” (T.a.r. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 28 maggio 2007, n.

315). In termini analoghi (Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 dicembre 2009, n. 8704) “Si osserva, inoltre,

al riguardo che la pronuncia della Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato 22 aprile 2008, n. 1856

(la quale, pure, ha enunciato in modo amplissimo e con la massima estensione di conseguenze il

principio di matrice comunitaria della pubblicità nelle operazioni di gara anche con riferimento ai

c.d. ‘settori speciali’), ha nondimeno avuto modo di richiamare in modo espresso le assolute

peculiarità della procedura negoziata nell’ambito dei settori speciali, sottolineando (anche attraverso

il rinvio alla decisione 4 novembre 2002, n. 6004) che “solo questa (…) conserva margini di snellezza

e di elasticità che giustificano la sottrazione a regole formali operanti con riferimento alle gare

sottoposte ad un più intenso tasso di pubblicità e di formalismo" (sentenza n. 1856, cit., punto 5.7 della

motivazione)”. 28

PWC Public Procurement, cit.: “Negotiated procedure is much preferred by the Utilities Directive.

It’s the de facto standard procedure and used more frequently than for the classical directive. […]”,

anche a corollario del fatto che “negotiated procedures without publication are applied more

frequently” nei settori speciali stante la maggior flessibilità della relative disciplina anche nella

prospettiva di uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando.

37

La previsione di una disciplina ad hoc per la Procedura negoziata con previa

indizione di gara concentrata nell’art. 47 della direttiva 2014/25/Ue potrebbe apparire di per

sé una involuzione rispetto al più libero sistema precedente e come un deficit di competitività

rispetto alla più scintillante Procedura competitiva con negoziazione ex art. 29 direttiva

2014/24/Ue.

Si vede, in realtà, anzitutto che nella sua scarna portata di principio l’art. 47 direttiva

2014/25/Ue non va oltre il consolidamento testuale unitario di una serie di regole che

l’omologa precedente direttiva 2004/17/Ce collocava in taluni incisi entro pochi dei suoi

articoli.

Si vede inoltre – e soprattutto – che il rapporto fra la disciplina ex art. 47 direttiva

2014/25/Ue e art. 29 direttiva 2014/24/Ue è di totale continenza, nel senso che una procedura

con i lineamenti e contenuti di quella ex art. 29 ora detto è configurabile da un assegnante che

operi nei settori speciali sulla formale scorta dell’art. 47 direttiva 2014/25/Ue.

Si vede, di conseguenza, che fra i due settori, il deficit di discrezionalità (pur ampliate

in assoluto rispetto al previgente sistema ex direttiva 2004/18/Ce) connota, nella relazione con

la disciplina ex direttiva 2014/25/Ue, la disciplina dei settori ordinari ex direttiva 2014/24/Ue.

Infatti, all’assegnante operante nei settori speciali è dato tutto quanto è dato fare

all’assegnante nei settori ordinari, con l’aggiunta – nell’area fra i due cerchi concentrici

costituiti all’esterno dalla disciplina ex art. 47 direttiva 2014/25/Ue e all’interno da quella ex

art. 29 direttiva 2014/24/Ue – di un margine di maggior flessibilità e discrezionalità nella

strutturazione di contenuti e obiettivi della negoziazione (anche in più livelli).

I limiti fondamentali restano quelli di tutela della par condicio, della trasparenza, della

ragionevolezza e della proporzionalità, con l’ausilio, sul piano nazionale, anche di norme

come l’art. 12 l. 241/1990.

Anche qui l’analogia che possa portare a strutturare una procedura ex art. 47 direttiva

2014/25/Ue alla identica stregua di una procedura competitiva con negoziazione ex art. 29

direttiva 2014/24/Ue è senz’altro ammessa. I margini di adattabilità di quest’ultima ai settori

speciali sono però ampi.

38

4.4. I criteri di selezione ed esclusione dei concorrenti

Una conferma del fatto che la pure tangibile maggiore assimilazione delle discipline di

settori speciali e ordinari mantiene in essere differenze ben percepibili emerge dal raffronto

fra la disciplina dei criteri di selezione ed esclusione di candidati od offerenti rispettivamente

facenti capo agli artt. 78 e 80 della direttiva 2014/25/Ue e agli artt. 57 e 58 della direttiva

2014/24/Ue.

Il paragrafo 1 dell’art. 78 della direttiva 2014/25/Ue detta una sintetica disciplina

teleologica, secondo la quale “Gli enti aggiudicatori possono stabilire norme e criteri

oggettivi per l’esclusione e la selezione degli offerenti o dei candidati.” esigendo solo che

“Tali norme e criteri” siano “accessibili agli operatori economici interessati”. In concreto, il

limite è quello della pertinenza, ragionevolezza, oggettività e proporzionalità dei criteri

selettivi, ovviamente assumendo quale parametro di riferimento l’oggetto dell’affidamento di

volta in volta considerato.

L’art. 80 della direttiva 2014/25/Ue argina l’ampiezza della discrezionalità legata a

detta amplissima formulazione assegnando29

la facoltà di fare riferimento ai ben più articolati

insiemi di parametri di esclusione e selezione di cui agli artt. 57 e 58 direttiva 2014/24/Ue.

Essendo significativo, in questo contesto, che solo gli enti aggiudicatori che siano

amministrazioni aggiudicatrici debbono necessariamente applicare i parametri di esclusione di

cui all’art. 57 nn. 1 e 2 direttiva 2014/24/Ue, ossia i casi di condanne penali impeditive.

Si tratta dell’ennesima prova di flessibilità del sistema di assegnazione degli appalti

nei settori speciali, che può peraltro essere governato riducendone l’ampia portata

discrezionale, con ricorso ai principi generali e all’analogia.

5. Conclusioni

Valgono per i settori speciali le preoccupazioni di fondo circa la capacità del

legislatore del recepimento di cogliere appieno le potenzialità degli strumenti apprestati dalle

nuove direttive e di tradurle in norme funzionali nel nostro ordinamento.

29

Peraltro non al legislatore del recepimento, ma, parrebbe, al gestore della singola procedura di

assegnazione. Il che è elemento di ponderazione alla luce del divieto di gold-plating.

39

Valgono vieppiù i timori circa la capacità degli assegnanti nazionali di gestire

procedure che hanno ormai grandi potenzialità in termini di efficacia nel perseguimento degli

obiettivi tecnico-qualitativi ed economici perseguiti, ma che proprio per ciò esigono

un’elevata capacità di gestione, forse non posseduta dall’assegnante medio – specie pubblico

– nazionale.

Quest’ultimo problema potrebbe in parte essere contenuto nei settori speciali dalla

relativamente superiore preparazione tecnico-giuridica degli assegnanti, anche in omaggio

alla loro strutturazione privatistica e imprenditoriale, rispetto a quelli operanti nei settori

ordinari.

Ulteriore fattore di contenimento può essere quello dell’accentuata spinta verso forme

di acquisizione centralizzate presso grandi soggetti, articolati e strutturati più del singolo

assegnante, pur se fatalmente meno in grado di cogliere le specifiche esigenze legate alla

singola acquisizione, in assoluto meglio percepite dal singolo destinatario di questa.

41

COMMENTO ALLA DIRETTIVA 2014/23/UE SULLE CONCESSIONI DI

LAVORI E DI SERVIZI

Andrea Mozzati

(Foro di Genova)

SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. La perimetrazione della figura della concessione. -

3. La fase dell'evidenza pubblica nell'assegnazione della concessione. - 4. L'incidenza dei

principi concorrenziali anche nella fase esecutiva del rapporto concessorio. - 5.

Considerazioni finali.

1. Introduzione

Nel mio intervento intendo passare in rassegna alcuni dei punti salienti della direttiva

2014/23/UE, che contiene, per la prima volta, una disciplina completa e articolata – a livello

europeo – delle concessioni di lavori e di servizi.

Viene così a completamento il percorso avviato dalle istituzioni europee a partire dalla

comunicazione della Commissione del 29/4/2000, che aveva introdotto una regolamentazione

embrionale – tra l'altro, formalmente non vincolante – dei rapporti concessori.

L'evoluzione di tale percorso non è stata certo lineare, com'è confermato dal fatto che

più volte il tema delle concessioni è stato inizialmente trattato e poi stralciato nell'ambito del

procedimento di adozione delle direttive sugli appalti30

.

30

Per una panoramica generale, v. A. MASSERA – G. PIZZANELLI, I contratti nei servizi pubblici a rete

fra negoziazione e mercato, in Trattato dei contratti, a cura di V. Roppo, Vol. V, Milano, 2014, 1143 e

A. MASSERA, Lo Stato che contratta e che si accorda. Vicende della negoziazione con le PP.AA., tra

concorrenza per il mercato e collaborazione con il potere, Pisa, 2012, soprattutto 154 e ss..

42

La materia si è rivelata "sensibile" in considerazione del fatto che l'istituto della

concessione – anche quella di lavori – finisce per coinvolgere l'area dell'organizzazione e

della gestione dei servizi pubblici e, più precisamente, dei servizi di interesse generale.

Materia che tradizionalmente ha suscitato e suscita la ritrosia di alcuni Stati membri a "subire"

gli interventi del legislatore europeo.

Di fronte, tuttavia, alla progressiva enunciazione dei principi in materia di concessioni

da parte del giudice europeo, è maturata la consapevolezza della necessità della

"codificazione" mediante una direttiva quadro31

.

L'accordo tra i varî Stati membri si è, quindi, formato su alcuni punti di "specialità"

del regime delle concessioni rispetto a quello ordinario degli appalti: sicché se, da un lato, la

direttiva sancisce definitivamente l'apertura delle concessioni alla concorrenza per il mercato

e, quindi, all'obbligo di indire procedure competitive per il loro affidamento, dall'altro lato,

viene consentito lo svolgimento di gare ampiamente flessibili e liberamente modulabili da

parte dell'Amministrazione concedente.

Prima di scorrere sinteticamente i punti cardine della direttiva, preme mettere in

rilievo un'opzione di metodo che diviene ormai imprescindibile a seguito della direttiva

2014/23/UE32

.

Non pare, infatti, più possibile confondere e sovrapporre porzioni del regime giuridico

tradizionale, formatosi nell'ordinamento interno, con parti della (nuova) disciplina europea,

come si vedrà, ispirata – in varî punti – a finalità ed obiettivi differenti rispetto a quella

nazionale.

Infatti, il regime giuridico delle concessioni – a livello sia dei principi, sia delle

concrete norme da applicare – va ricostruito prendendo come riferimento preminente la

direttiva 2014/23/UE e la giurisprudenza del giudice europeo. Il diritto interno, quindi, non

può che assumere valore sussidiario soltanto negli spazi lasciati aperti dalla normativa

europea.

31

V. R. CARANTA, The Changes to the Public Contracts Directives and the Story they tell about how

EU law works, in Common market law review, 2015, 52, 429 e ss.; e R. CARANTA – D. COSMIN

DRAGOS, La mini – rivoluzione del diritto europeo dei contratti pubblici, in Urb. App., 2014, 493. 32

Sull'interrelazione tra il livello europeo e quello interno nella materia amministrativa, sia consentito

rinviare a A. MOZZATI, La conformità europea dei procedimenti e degli atti amministrativi interni,

Torino, 2012.

43

2. La perimetrazione della figura della concessione

La direttiva 2014/23/UE codifica l'approccio sostanzialistico nell'individuazione del

perimetro di applicazione della nozione di concessione33

.

Innanzitutto, viene confermata [art. 5, par. 1, lett. a) e b)] la definizione in senso

bilaterale e negoziale del rapporto concessorio, come peraltro già previsto dall'art. 1 della

direttiva 2004/18/CE (sul punto si tornerà comunque più avanti).

Quanto alla distinzione tra la concessione e l'appalto, viene per la prima volta

disciplinato in maniera puntuale il criterio della traslazione del rischio operativo (che verrà

trattato nella relazione del prof. Quaglia).

La norma – contenuta nell'art. 5, punto 1 – va necessariamente integrata con le

importanti indicazioni desumibili dai considerando nn. 18, 19 e 20.

Nonostante alcune autorevoli opinioni discordi34

, risulta confermato che l'operazione

volta a distinguere tra l'appalto e la concessione si traduce in un accertamento sostanziale

circa l'assetto patrimoniale ed economico del rapporto tra ente concedente e concessionario.

Siffatto accertamento deve essere mirato a verificare l'effettività del trasferimento di una

quota adeguata del rischio operativo in capo al concessionario, indipendentemente dal nomen

juris e dalla disciplina formale del rapporto.

Non può, quindi, escludersi che la gestione di un servizio pubblico in senso stretto (v.

ad esempio, la raccolta e il trasporto dei rifiuti) possa essere configurata come un appalto; e

che, viceversa, la prestazione di un determinato servizio, pur se non riconducibile all'area del

servizio pubblico, sia qualificata e qualificabile come concessione di servizi.

Sempre ai fini dell'individuazione del perimetro di applicazione della figura della

concessione, va osservato che, in base al considerando n. 11, non risulta necessario il

trasferimento di determinati beni in proprietà all'Amministrazione concedente. Com'è noto,

costituisce, invece, un elemento tipico dei rapporti di concessione (non soltanto, di opera

33

V. M. RICCHI, La nuova direttiva comunitaria sulle concessioni e l'impatto sul Codice dei contratti

pubblici, in Urb. App., 2014, 743 e ss.. 34

V. A. CARULLO, L'attuale necessità di una corretta distinzione tra appalti pubblici di servizi e

concessioni di servizio pubblico. Un intricato percorso a tappe: dall'irrilevanza della gara,

all'affermazione di un differente partenariato pubblico-privato, e la consapevolezza di un'occasione

perduta, in Riv. Trim. App., 2014, 701 e ss.

44

pubblica, ma anche di servizi) il passaggio all'Amministrazione – quantomeno al termine

della concessione – dei beni nel frattempo realizzati dal concessionario35

.

Ciò che, quindi, rileva ai fini della direttiva 2014/23/UE è che vi sia non tanto un

trasferimento di proprietà, ma che i vantaggi derivanti dai lavori o dai servizi affidati al

concessionario siano sempre di pertinenza degli enti concedenti.

Si tratta, in altri termini, della necessaria sussistenza di uno o più interessi pubblici che

devono innervare il rapporto concessorio, a prescindere dal regime dominicale dei beni

realizzati dal concessionario (si pensi, ad esempio, alla concessione per la realizzazione e

gestione di un albergo o di un centro sportivo).

Viene, poi, tracciato il confine tra la concessione e l'assegnazione di finanziamenti, la

quale non rientra nel campo di applicazione della direttiva (v. considerando n. 12).

Il considerando n. 14 (ri)apre poi la questione della distinzione tra autorizzazione e

concessione, che tradizionalmente si è imperniata nel nostro ordinamento sulla preesistenza o

meno, in capo al privato, del potere giuridico di esercitare una determinata attività: così,

l'autorizzazione rimuove un limite all'esercizio di un potere già presente nella sfera giuridica

dell'operatore economico; per contro, la concessione si traduce nella creazione/costituzione ex

novo di siffatto potere a favore del concessionario.

Sul versante europeo emerge un criterio distintivo parzialmente differente.

Infatti, non sono configurabili come concessioni, ma quali autorizzazioni o licenze gli

atti attraverso i quali l'Amministrazione stabilisce le condizioni per l'esercizio di una

determinata attività economica, rilasciati a seguito di una richiesta dell'operatore economico

(e non su iniziativa dell'Amministrazione stessa) e, comunque, suscettibili di lasciare

l'operatore economico libero di non eseguire le attività relative ai lavori o ai servizi.

Il focus della norma europea è, dunque, non tanto sulla natura della posizione giuridica

"a monte" posseduta dall'operatore economico, quanto sulla doverosità (o meno) dell'attività

assentita con l'atto amministrativo.

Tant'è che – puntualizza il considerando n. 14 –, a differenza delle autorizzazioni o

licenze, i contratti di concessione stabiliscono obblighi reciprocamente vincolanti, in forza dei

quali l'esecuzione dei lavori o dei servizi è soggetta a specifici requisiti definiti dall'ente

concedente, aventi "forza esecutiva".

35

Sul punto v. D. DE PRETIS, Aspetti del regime dei beni nelle concessioni di servizi, in F. Roversi

Monaco (a cura di), Le concessioni di servizi pubblici, Rimini, 1988, 133.

45

Destinato ad assumere rilevanti ricadute è poi il considerando n. 15, che intenderebbe

fissare un criterio di distinzione tra le concessioni dei beni e le concessioni di lavori o servizi.

Anche in questo caso lo scarto rispetto all'ordinamento interno è significativo.

In effetti, si è tradizionalmente differenziata la concessione di beni da quelle di lavori

o servizi facendo riferimento allo sfumato requisito dell'accessorietà (o meno) del bene

rispetto al contenuto principale del rapporto.

Il considerando n. 15 della direttiva pare, invece, limitare la concessione (e la

locazione) di beni esclusivamente ai casi nei quali l'Amministrazione concedente "fissa

unicamente le condizioni generali d'uso senza acquisire lavori o servizi specifici": pertanto,

ove l'assegnazione del bene all'operatore economico sia accompagnata e collegata alla

doverosa esecuzione, da parte di quest'ultimo, di lavori o servizi destinati ad essere acquisiti

dall'ente concedente, allora il rapporto dovrebbe rientrare nell'area disciplinata dalla direttiva

2014/23/UE.

Quanto sopra impatta, ad esempio, sul regime delle concessioni demaniali disciplinate

dal codice della navigazione o dalla legge n. 84/1994 (per le concessioni portuali): così, la

concessione di un'area per uno stabilimento balneare dovrebbe fuoriuscire dal campo di

applicazione della direttiva; non altrettanto può dirsi per la concessione di un terminal

passeggeri o per alcune concessioni terminalistiche (ex art. 18, legge n. 84/1994)36

.

In definitiva, anche a seguito dell'analisi degli articolati considerando (che sono

imprescindibili ai fini dell'individuazione del perimetro di applicazione della direttiva), si può

sinteticamente affermare che il rapporto concessorio – nella direttiva 2014/23/UE – si

caratterizza:

per la realizzazione, da parte del concessionario, di lavori o servizi che perseguano

uno o più interessi pubblici;

per la doverosità, sul versante pubblicistico, dell'esecuzione delle attività oggetto della

concessione da parte del concessionario, che, dunque, non dispone di autonomia nel

rinunciare o abbandonare l'intrapresa;

per il trasferimento in capo al concessionario di una rilevante e determinante quota di

rischio imprenditoriale;

36

Sul punto, v. M. RICCHI, op. cit., 748.

46

per la creazione di un rapporto sostanzialmente sinallagmatico, che si traduce – come

previsto chiaramente dal considerando n. 14 – nella previsione di "obblighi reciprocamente

vincolanti" tra le parti37

.

3. La fase dell'evidenza pubblica nell'assegnazione della concessione

Come si è anticipato, la direttiva ha disciplinato in maniera leggera la fase

dell'evidenza pubblica per l'assegnazione delle concessioni di lavori e di servizi.

Fermo restando il presupposto imprescindibile della doverosa effettuazione di un

confronto concorrenziale, il segmento della gara viene sottoposto ad una regolamentazione

minimale che si preoccupa di fissare i "paletti" di tale fase, piuttosto che di predeterminare, in

maniera tendenzialmente pervasiva, le modalità di svolgimento della gara (come, invece,

accade nei settori ordinari).

In effetti, il par. 1 dell'art. 30 stabilisce che gli enti aggiudicatari "sono liberi di

organizzare la procedura per la scelta del concessionario", fermo restando il necessario

rispetto delle condizioni minime di concorrenzialità prescritte dalla direttiva.

Al contempo l'art. 37 è significativamente rubricato "Garanzie procedurali", lasciando

intendere che la disciplina europea si occupa di fissare, per sottrazione, soltanto alcune

imprescindibili garanzie.

Corollario di tale impostazione – che è in linea con la maggiore flessibilità richiesta

dagli Stati membri e riconosciuta dalla direttiva 2014/24/UE anche negli appalti nei settori

ordinari – è la previsione (par. 6, art. 37) secondo la quale l'ente aggiudicatore "può condurre

liberamente negoziazioni con i candidati e gli offerenti", con l'unico limite

dell'immodificabilità dell'oggetto della concessione, dei criteri di aggiudicazione e dei

requisiti minimi.

Si tratta di una sorta di procedura negoziata "rinforzata" per la quale appare

coessenziale e imprescindibile il mantenimento in capo all'Amministrazione di un'ampia

discrezionalità/autonomia nella strutturazione del confronto selettivo e nella conduzione delle

negoziazioni con i concorrenti.

37

Per alcuni di tali elementi, v. C.H. BOVIS, Future Directions in Public Service Partnerships in the

EU, in European Business Law Review, 2013, 24, 8.

47

Tanto che potrebbero profilarsi dubbi di illegittimità europea – per le medesime

ragioni evidenziate dalla Corte di Giustizia nella sentenza Sintesi38

– ove uno Stato membro o

un'Amministrazione aggiudicatrice ritenessero di adottare schemi rigidi come quelli della

procedura aperta o ristretta.

Anche se – analogamente a quanto accaduto per le procedure negoziate previa

pubblicazione del bando nei settori speciali o per le "gare informali" di cui all'art. 30, d.lgs. n.

163/2006 – non si può escludere che si verifichi un irrigidimento della flessibilità riconosciuta

dalla direttiva, attraverso l'applicazione delle regole tradizionali dell'evidenza pubblica

formatesi nell'alveo della normativa sulla contabilità dello Stato (r.d. n. 2440/1923 e r.d. n.

827/1924).

La vicenda della "gara informale" per l'aggiudicazione della concessione di servizi (ex

art. 30, d.lgs. n. 163) è indicativa, essendosi assistito ad una progressiva formalizzazione del

segmento dell'evidenza pubblica attraverso l'applicazione in via analogica delle regole

ordinarie in tema di pubblicità delle sedute di apertura dei plichi (Cons. Stato, Sez. IV,

20/1/2015, n. 132), di modalità di nomina della Commissione giudicatrice (Cons. Stato, Ad.

Plen., 7/5/2013, n. 13 e Sez. V, 28/4/2014, n. 2191), di operatività delle cause di esclusione

(Cons. Stato, Sez. V, 9/9/2013, n. 4471), ecc.39

.

Coerentemente con l'impostazione "minimale" sopra evidenziata, la direttiva

2014/23/UE sancisce anche l'atipicità dei criteri di aggiudicazione delle concessioni, anche in

questo caso limitandosi a prescrivere alcuni imprescindibili paletti.

In ogni caso, deve essere comunque previsto – nel bando – il criterio di

aggiudicazione, che ovviamente non può lasciare all'ente concedente un'incondizionata libertà

di scelta e deve, altrettanto ovviamente, essere connesso all'oggetto della concessione.

In secondo luogo, è necessario che i criteri di aggiudicazione assicurino una

valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva in modo che venga individuato

e garantito – al termine della procedura – un vantaggio economico per lo stesso ente

concedente.

In terzo luogo, l'Amministrazione è tenuta soltanto ad elencare i parametri di

aggiudicazione in ordine decrescente di importanza (senza, quindi, avere l'obbligo di

associare un "peso" o un "punteggio" a ciascun parametro). L'ordine può essere modificato

38

Corte Giustizia, sentenza n. 7/10/2004, in causa C-247/02. 39

Su tale indirizzo, v. L. BERIONNI, L'applicabilità delle norme del Codice dei contratti pubblici alle

concessioni di servizi, in Foro Amm., 2014, 1913.

48

nel corso della gara (art. 41, par. 3, comma 2), qualora l'ente concedente riceva un'offerta che

contenga una soluzione innovativa che non avrebbe potuto essere prevista – al momento

dell'emissione del bando – con l'ordinaria diligenza. In tal caso occorre, tuttavia, un nuovo

confronto tra i partecipanti alla procedura.

4. L'incidenza dei principi concorrenziali anche nella fase esecutiva del rapporto

concessorio

Com'è riscontrabile anche negli appalti ordinari, l'insieme dei principi relativi alla

concorrenza finisce per influire e incidere anche sulla fase di esecuzione del rapporto

concessorio.

Nonostante l'impostazione "minimale" della direttiva 2014/23/UE, tale orientamento

risulta ormai sancito da alcune norme.

In primo luogo, l'ente concedente e il concessionario non sono liberi di determinare la

durata dei rapporti concessori, la quale, in base al par. 1 dell'art. 18, deve essere limitata40

.

In effetti, ove l'ente concedente intenda assegnare una concessione ultraquinquennale,

la durata massima del rapporto non può superare il periodo di tempo necessario per il

recupero dell'investimento del concessionario dei lavori o dei servizi e per l'ottenimento di un

ritorno sul capitale investito tenuto conto degli investimenti necessari per conseguire gli

obiettivi contrattuali.

Si possono già prospettare le conseguenze derivanti dalla violazione di tale limite.

In effetti, potrebbe risultare illegittimo il bando della procedura competitiva, ove

quest'ultimo preveda (v. punto 4 dell'allegato V della direttiva) una durata massima della

concessione che non rispetti il suddetto equilibrio.

Ove, invece, la durata della concessione costituisca un parametro di valutazione delle

offerte dei concorrenti, l'indicazione di una durata eccessiva rischia di invalidare la proposta

contrattuale.

In ogni caso, il mantenimento in vita dei rapporti concessori con una durata eccessiva

rispetto ai criteri indicati dal citato art. 18 può esporre l'Amministrazione concedente

all'addebito di aver concesso un aiuto di Stato in contrasto con l'art. 107, T.F.U.E.41

.

40

Sul punto, v. M. RICCHI, op. cit., 753 e ss..

49

Sempre con riferimento alla fase di esecuzione del rapporto concessorio, va poi

ricordato l'art. 43 della direttiva, che contiene una pervasiva e completa disciplina delle

ipotesi nelle quali si ritiene ammessa la modificazione dei contenuti del rapporto dopo la

stipula della convenzione di concessione.

5. Considerazioni finali

La panoramica fin qui svolta circa i tratti salienti della "direttiva concessioni" induce

ad alcune considerazioni conclusive.

In primo luogo, emerge definitivamente e in maniera ancor più netta rispetto al passato

la natura sinallagmatica del rapporto concessorio, il quale deve fondarsi su un equilibrio delle

reciproche prestazioni, che – come si è detto – finisce anche per condizionare la durata del

rapporto medesimo.

Risulta, quindi, confermato che le concessioni di lavori e servizi presentano – nella

normativa di livello europeo – un substrato ed una sostanza di tipo bilaterale e negoziale42

.

Il che fa dubitare della declamata neutralità del diritto europeo (v. anche art. 345,

T.F.U.E.) quantomeno nel settore in questione: in effetti, l'esigenza di istituire un equilibrato

rapporto tra gli obblighi di servizio, da un lato, e il doveroso riconoscimento al concessionario

delle compensazioni di natura economico/patrimoniale, dall'altro lato, fanno risaltare in

maniera piuttosto evidente la natura contrattuale del rapporto43

.

La tesi di cui sopra è avvalorata da un ulteriore fattore.

Come si è visto, infatti, la direttiva 2014/23/UE amplia in massimo grado la sfera

decisionale dell'Amministrazione nell'organizzare e strutturare la procedura di selezione del

concessionario, al punto che l'art. 30 parla addirittura di "libertà": termine – quest'ultimo – che

richiama più il concetto di autonomia negoziale, che quello di discrezionalità amministrativa.

41

V. la Comunicazione della Commissione Europea pubblicata in G.U.U.E. 11/1/2012. 42

Per una più diffusa disamina di tale questione, sia consentito rinviare a A. MOZZATI, Il contratto di

servizio: caratteri generali e Il regime giuridico del contratto di servizio, in V. ROPPO (a cura di),

Trattato dei contratti, Vol. V, Milano, 2014, rispettivamente, 1205 e 1229, nonché Contributo allo

studio del contratto di servizio. La contrattualizzazione dei rapporti tra le Amministrazioni e i gestori

di servizi pubblici, Torino, 2010. 43

V. anche A. MOLITERNI, Il regime giuridico delle concessioni di pubblico servizio tra specialità e

diritto comune, in Dir. Amm., 2012, 567.

50

Ovviamente, il tema è denso di ricadute sistematiche, che richiederebbero ben altro

spazio di approfondimento.

E' indubbio, tuttavia, che la direttiva 2014/23/UE configura le modalità di scelta del

concessionario, da parte dell'Amministrazione, in maniera non dissimile dall'esercizio

dell'autonomia negoziale propria di un qualsivoglia contraente privato.

Ciò contribuisce a rafforzare la configurazione contrattuale dei rapporti concessori.

51

SESSIONE POMERIDANA

IL PARTENARIATO PUBBLICO PRIVATO

Mario Alberto Quaglia

(Università degli Studi di Genova)

1. Il tema oggetto della presente relazione propone un approccio alle

problematiche poste dalla direttiva 2014/23/UE muovendo dalla nozione di partenariato

pubblico privato, espressione con cui non si delinea né si definisce un istituto giuridico, ma

soltanto una nozione descrittiva di una pluralità di figure caratterizzate da elementi comuni.

Anche nel diritto dell’Unione Europea la nozione non ha la pretesa di porsi come

riferimento generale, limitandosi a descrivere un fenomeno, suscettibile di assumere varie

vesti giuridiche, caratterizzate da taluni profili comuni.

Infatti, sin dal Libro verde del 2004, dopo una definizione alquanto generica, il

partenariato pubblico privato viene identificato come un fenomeno caratterizzato dalla

presenza di taluni elementi qualificanti: una collaborazione protratta nel tempo; un

finanziamento privato, con successivo recupero dell’investimento; un ruolo

dell’amministrazione di coordinamento e non operativo; il trasferimento del rischio in capo al

partner privato.

Non troppo diversa appare la nozione del diritto interno, quale oggi è espressa nel

codice dei contratti pubblici, dall’art. 3, c. 15 ter (introdotto con il correttivo del 2008 e

successivamente modificato dall’art. 44 del D.L. n. 1 del 2012, convertito nella legge n. 27

del 2012), che definisce i contratti di PPP come “aventi per oggetto una o più prestazioni

52

quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o

di pubblica utilità oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento

totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con

allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti.

Rientrano, a titolo esemplificativo, tra i contratti di partenariato pubblico privato la

concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria, il contratto di

disponibilità, l’affidamento di lavori mediante finanza di progetto, le società miste (...)”.

E’ proprio tale riferimento alla “allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e

degli indirizzi comunitari vigenti” che, finora indeterminato, trova oggi, nella direttiva

2014/23/UE un’espressa e specifica risposta, consentendo di ricostruire una definizione

comunitaria della concessione di lavori e di servizi incentrata sul criterio dell’allocazione del

rischio tra il concedente ed il concessionario.

Tale direttiva, infatti, definisce la fattispecie sul presupposto della ripartizione dei

rischi, precisando in tal modo una nozione con la quale si dovranno confrontare sia le

concessioni future, sia quelle in essere.

2. La disciplina specifica delle concessioni di lavori e di servizi all’interno in un

unico testo normativo – la direttiva 2014/23/UE - modifica la situazione precedente in cui, a

fronte di una regolamentazione della prima, il codice dei contratti pubblici prevede la non

applicazione delle proprie disposizioni per la seconda: le prime, infatti, risultano disciplinate

dalla direttiva 2004/18/CE, mentre le seconde sono sottoposte soltanto ai principi desumibili

dal trattato.

D’altronde, la linea di demarcazione tra le due figure non è sempre netta, in quanto in

ambedue è facile riscontrare lavori e servizi, ma il rapporto giudico va a qualificarsi come

concessione di lavori quando il contratto riguarda “principalmente” la costruzione di un’opera

per conto del concedente, anche se esiste una componente compensativa del relativo costo in

forma di gestione del servizio esercitabile attraverso l’opera stessa; per contro, può parlarsi di

concessioni di servizi in presenza di lavori solo a titolo accessorio della prevalente gestione.

Se fino ad oggi la differente qualificazione delle due fattispecie ha comportato

l’applicazione di regimi giudici radicalmente differenti, con l’attuazione della direttiva

2014/23/UE si arriverà ad una disciplina unitaria delle due figure.

53

Non sono invece sottoposte alla disciplina della direttiva 23, in quanto escluse, le

concessioni traslative di beni o risorse del demanio pubblico (quali terreni o qualsiasi

proprietà pubblica, in particolare nel settore dei porti marittimi o interni o degli aeroporti)

(15° considerando).

3. Nell’ambito della disciplina unificante introdotta dalla direttiva 23, l’elemento

che caratterizza il contratto di concessione di lavori e di servizi, in linea con la sua

collocazione nell’ambito della nozione di PPP, sarà costituito dal trasferimento in capo al

concessionario, oltre ad un rischio di costruzione dell’opera, del cosiddetto “rischio

operativo”(art. 5, comma 1), relativamente alla gestione dei lavori e dei servizi.

Peraltro, prima di descrivere le previsioni della direttiva, occorre ricordare il quadro

normativo posto in merito dal codice dei contratti pubblici, dove già si configurano criteri

volti ad allocare il rischio nella concessione di lavori.

Infatti, già il vigente codice dei contratti pubblici, con esclusivo riferimento alla

concessione di lavori - l’unica disciplinata dettagliatamente – prevede che l’affidamento in

concessione di opere “destinate all’utilizzazione diretta della P.A., in quanto funzionali alla

gestione di servizi pubblici”, può essere effettuata “a condizione che resti a carico del

concessionario l’alea economico-finanziaria della gestione dell’opera” – art. 143, comma 9 -

definendo, con questa ed altre disposizioni, l’allocazione dei rischi tra concedente e

concessionario nella concessione di lavori.

Relativamente alla concessione di lavori, il fatto che la remunerazione del

concessionario consista, anziché in una prestazione pecuniaria, nell’attribuzione del diritto di

gestire l’opera realizzata non definisce i criteri del riparto dei rischi relativi al rapporto: in

essa, la maggiore alea che il concessionario si accolla rispetto all’appaltatore riguarda la

gestione dell’opera. Il concessionario nel momento in cui accetta che il proprio investimento

venga remunerato attraverso il conferimento del diritto di sfruttare economicamente il

manufatto realizzato si assume il rischio di impresa che, normalmente, grava sull’ente

concedente.

Invece, relativamente alla costruzione ed al relativo rischio, il contratto di concessione

di lavori, in base alla sua stessa definizione normativa (sia interna, sia comunitaria), non

presenta differenze rispetto a un comune contratto di appalto, con la conseguenza che tale

54

rischio assunto dal concessionario rimane nei limiti dell’alea normale tipica dell’appalto di

lavori.

Ciò, del resto, trova conferma nel fatto che la disciplina speciale della concessione di

lavori (art. 143 del codice dei contratti) si occupa soltanto degli effetti, sull’equilibrio

economico del contratto, delle sopravvenienze suscettibili di intaccare la remuneratività della

gestione dell’opera (come le modifiche tariffarie) e non di quelle che incidono sui costi di

costruzione.

Nel contratto di concessione di lavori l’adeguamento dell’equilibrio contrattuale ai

costi eccedenti l’alea normale del contratto, anche con riferimento alla costruzione dell’opera,

non necessariamente deve avvenire attraverso il pagamento di una somma di denaro (T.A.R.

Lombardia, Milano, Sez. III, 16 dicembre 2011, n. 3200).

Infatti, essendo la parte preponderante dell’investimento remunerata attraverso il

diritto di gestire l’opera, appare conforme allo schema causale del contratto che l’alterazione

dell’equilibrio contrattuale dovuta all’aumento dei costi di costruzione per effetto di eventi

eccezionali ed imprevedibili possa avvenire anche tramite il mutamento delle condizioni della

gestione previste nel piano economico finanziario (come la durata della concessione, il regime

tariffario, ecc.).

Le nuove condizioni di equilibrio possono essere raggiunte “anche” mediante la

proroga del termine di concessione, e quindi anche mediante altre modalità, quale il

riconoscimento di un prezzo, secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 11, del codice dei

contratti pubblici.

4. La novità della direttiva concessioni rispetto alle previsioni del codice dei

contratti pubblici riguarda dunque l’espressa previsione di cui all’art. 5, comma 1 della

direttiva stessa, secondo cui “l’aggiudicazione di una concessione di lavori o di servizi

comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla gestione dei

lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, o

entrambi”.

Il tema non è nuovo, dato che il rischio del privato è sempre stato considerato

necessario carattere delle forme di PPP ed in particolare delle concessioni; tuttavia, sin qui,

55

non era chiaro l’ambito preciso di tale requisito, salvo affermare che si trattava di un elemento

distintivo rispetto agli appalti.

In sostanza, l’obbligatorietà della previsione che imponeva la traslazione del rischio

era indicativa dell’indeterminatezza del criterio e del fatto che il codice si limita ad operare un

generico rinvio alle prescrizioni comunitarie; prescrizioni comunitarie che soltanto la direttiva

23 ha precisato.

La nuova disciplina di tale direttiva comporta che il rapporto contrattuale di

concessione implica uno spostamento sostanziale del rischio di gestione, consistente nel fatto

che non deve essere “garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti

per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione”, con la precisazione che “la

parte del rischio trasferita al concessionario comporta una reale esposizione alla fluttuazione

del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia

puramente nominale o trascurabile”.

In tal modo, il vuoto sulla previsione sostanziale di rischio a livello comunitario viene

colmato da una definizione che non consente più ai concessionari di pretendere clausole

contrattuali di salvaguardia, idonee ad attenuare il rischio, con spostamento dello stesso sulla

pubblica amministrazione.

La direttiva dispone indicazioni – di natura quantitativa e qualitativa – per identificare

il rischio operativo che deve sostenere il concessionario, sgombrando preliminarmente il

campo dai tentativi di assimilazione del rischio operativo alle conseguenze derivanti dalla

cattiva gestione, inadempimenti o cause di forza maggiore: evenienze queste comuni anche ai

contratti di appalto e inidonee a qualificare il rischio operativo nei contratti di concessione.

Ai sensi dell’art. 5, comma 1, della direttiva, il rischio operativo, che deve essere

trattenuto dal concessionario, ha natura economica e implica la possibilità “che non sia

garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei

lavori o dei servizi oggetto della concessione”.

La direttiva precisa, dunque, il valore della potenziale perdita economica associata al

rischio operativo: fino ad oggi l’indeterminatezza di questo valore ha consentito nella prassi

l’elusione delle prescrizioni comunitarie.

L’entità della possibile perdita, in mancanza di un parametro quantitativo di

riferimento, è stata sovente limitata dal contraente privato, con maggiore competenza e

specializzazione, e dunque con una forza negoziale superiore alla p.a..

56

Esempi di pattuizione elusive dell’obbligo di trattenere il rischio operativo a carico del

concessionario, limitandolo sin dall’inizio, si sono verificati nella prassi: talora prevedendo

canoni da corrispondere dalla p.a. al privato non decurtabili al di sotto di minimi garantiti,

ovvero in presenza di clausole contrattuali che limitino le penali a carico del concessionario,

consentendo di decurtare solo l’utile.

Insomma, clausole contrattuali che tendono a ridurre il rischio del concessionario

secondo condizioni che le indicazioni della direttiva oggi tendono ad escludere.

5. Il rischio operativo, a cui il privato deve essere esposto, può riguardare sia il

lato della domanda sia quello dell’offerta.

Il rischio di domanda consiste nel fatto che la fruizione di quel servizio possa avere un

calo oppure per l’insorgere nel mercato di un’offerta competitiva di altri operatori, per

mancanza di appeal della gestione del concessionario, oltreché per fattori del tutto esogeni

come quello di una contrazione dei consumi generata da una crisi economica.

Il rischio dell’offerta – o rischio disponibilità – può riguardare, invece i contratti in cui

i privati vengono “remunerati esclusivamente dall’amministrazione aggiudicatrice e dall’ente

aggiudicatore .... qualora il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti

dall’operatore per eseguire il lavoro o fornire il servizio dipenda ..... dalla loro fornitura”, e

ancora “per il rischio dal lato dell’offerta si intende il rischio associato all’offerta di lavori e

servizi che sono oggetto del contratto, in particolare che la fornitura non corrisponda alla

domanda” (così i “considerando” nn. 18, 19 e 20 della direttiva).

Il criterio interpretativo – offerto dai “considerando” della direttiva – riguarda il fatto

che il rischio operativo dal lato dell’offerta sia stato configurato solo per i contratti di

concessione dove la p.a. paga un canone periodico a fronte della realizzazione di una struttura

e la gestione di un servizio, oppure solo per la gestione di un servizio.

Il riferimento è alle concessioni di lavori e di servizi c.d. “fredde”.

Quando la capacità dell’offerta del concessionario, stabilita contrattualmente, si riduca

per qualsiasi ragione, con conseguenze sanzionatorie di ordine economico che possono anche

intaccare gli investimenti e i costi di gestione, allora queste circostanze possono configurare il

rischio operativo dal lato dell’offerta.

In particolare, nei contratti di concessioni “fredde” – stante la struttura bilaterale del

rapporto in cui la p.a. paga un canone al concessionario a cadenza periodica – per configurare

57

il rischio operativo dal lato dell’offerta deve essere strutturato un sistema di penali idoneo a

decurtare il canone versato dalla p.a. al concessionario ogni qualvolta venga rilevato il

mancato soddisfacimento degli standard di servizi predeterminati in termini di volume o di

qualità.

La direttiva ha individuato i caratteri che possono assumere i rischi, collocandoli nel

contesto della dinamica del mercato, in cui si fronteggiano domanda ed offerta ed i rischi si

collocano su entrambi i versanti con la capacità di intaccare gli investimenti effettuati dal

concessionario.

6. Così delineato il quadro dei rischi che la direttiva pone a carico del

concessionario, restano da individuare i rischi che incombono sull’amministrazione

concedente.

In proposito, merita attenzione nella definizione di rischio operativo della direttiva,

l’inciso dell’art. 5, comma 1, “in condizioni operative normali”, previsione che introduce una

salvezza per il concessionario privato all’assunzione del rischio operativo. Viene, infatti,

escluso da tale rischio quello prodotto dal rischio finanziario a fronte del quale l’operatore

privato non è responsabile; si tratta di previsione certamente gradita dal sistema bancario.

Probabilmente l’inciso è figlio della crisi economica, ed è destinato a traslare sulla parte

pubblica i rischi relativi alle depressioni dei cicli economici.

Sempre in tale prospettiva, inoltre, occorre rilevare che componente essenziale della

concessione è il PEF, che costituisce un elemento inscindibile della stessa al momento della

stipulazione del contratto, deve essere coerente con il contratto ed il progetto; in particolare, il

PEF è il documento che rappresenta quantitativamente lo sviluppo del progetto, la

realizzazione dell’opera, la gestione del servizio e la sostenibilità economico-finanziaria per la

durata della concessione.

La distribuzione dei rischi tra le parti deve seguire la regola di assegnazione dello

specifico rischio al soggetto (concedente e concessionario) che abbia le migliori capacità di

gestirlo.

Così se, in termini generali, il privato deve trattenere e gestire il rischio costruzione ed

il rischio domanda di mercato o quello di disponibilità, la p.a. deve trattenere e gestire i rischi

58

connessi agli adempimenti della parte pubblica sul rilascio di autorizzazioni, pareri,

approvazioni, pagamenti, o normative sopravvenute.

Infatti, l’art. 143 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, al comma 9, prevede che deve

restare “a carico del concessionario l’alea economico-finanziaria della gestione dell’opera”,

ed al comma 8 configura espressamente l’ipotesi per la quale le modifiche dell’equilibrio del

piano economico finanziario degli investimenti e della connessa gestione “comportano la sua

necessaria revisione, da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di

equilibrio”; “in mancanza della predetta revisione il concessionario può recedere dal

contratto”.

In sostanza, i presupposti e le condizioni di base dell’equilibrio economico-finanziario

possono essere incisi da due ordini di cause – idonee a ridurre i margini di rischio per il

concessionario -:

a. le “variazioni apportate dalla stazione appaltante”, attraverso atti

amministrativi;

b. il sopraggiungere di nuove normative che prevedano nuovi meccanismi

tariffari o nuove condizioni per lo svolgimento del servizio.

Pertanto, la norma ha individuato i presupposti della revisione del contratto – e quindi

l’eliminazione del rischio per il concessionario – nell’esercizio del c.d. ius variandi da parte

dell’amministrazione concedente e nel c.d. factum principis; a fronte di dette cause, nessuna

rilevanza sul rapporto contrattuale possono assumere altre circostanze, quali gli errori del

concessionario nella stima della possibile utenza o il calo della domanda da parte della stessa.

7. L’inquadramento della fattispecie nella nozione di PPP assume rilevanza giuridica

sotto due distinti profili.

Da un lato, infatti, la qualificazione del rapporto contrattuale come concessione,

piuttosto che come appalto, comporta l’applicazione di un distinto plesso normativo e rende le

modalità di aggiudicazione meno stringenti. Pertanto, un’errata configurazione del rischio

operativo comporta la vulnerabilità della procedura di affidamento da parte di operatori

economici concorrenti che, sostenendo trattarsi di appalto e non di concessione, potrebbero

chiedere al giudice l’annullamento della gara e la sua ripetizione con le regole dell’appalto.

59

D’altronde, taluna giurisprudenza – in tale prospettiva – è addirittura pervenuta a

ritenere nulli i contratti di concessione che non assicurassero un’effettiva distribuzione dei

rischi, in quanto in frode alla legge (T.A.R. Sardegna, 10 marzo 2011, n. 2013).

Inoltre, la qualificazione del rapporto come concessione rileva anche in relazione al

problema delle operazioni finanziarie che possono o meno rientrare nel Patto di stabilità.

Infatti, già la decisione Eurostat 11.02.2004, sul deficit e sul debito, prevedeva che le

operazioni in cui il privato si assume il rischio di costruzione o almeno uno dei due rischi di

disponibilità e di domanda, possono non essere registrate nei bilanci delle pubbliche

amministrazioni.

Dalle modifiche operanti dal settembre 2014, possono considerarsi off balance le

operazioni di PPP in cui il partner privato assume la maggior parte dei rischi e, allo stesso

tempo, ha diritto di godere di larga parte dei benefici derivanti dall’operazione.

8. Due considerazioni infine in ordine all’influenza di quanto sin qui esposto con

riferimento alla stessa nozione della concessione (di lavori e di servizi).

La direttiva, unificando la definizione e la disciplina dell’affidamento delle

concessioni di lavori e di servizi, ha condotto al riconoscimento delle concessioni di servizi

“fredde”.

La struttura di tali concessioni è quella propria di un rapporto bilaterale in cui la p.a.

riveste il ruolo di soggetto che paga il concessionario per il servizio svolto e su quest’ultimo

grava il rischio, operativo dal lato dell’offerta, per i servizi resi direttamente alla stessa p.a. o

alla collettività.

Al contrario, com’è noto, le pronunce prevalenti della Corte di giustizia, del Consiglio

di Stato e dei T.A.R. – in particolare quelle che hanno esaminato la differenza tra appalti di

servizi e concessioni di servizi - hanno ricostruito le concessioni di servizi come un rapporto

trilatero tra la p.a., il concessionario e gli utenti precisando che questi ultimi sono i destinatari

dei servizi e coloro che remunerano il concessionario con la tariffa corrispondente.

I casi esaminati dalla giurisprudenza ammettono, quindi, la configurazione della

concessione di servizi quando il rischio gestionale a carico del concessionario sia associato

alla circostanza che i proventi derivino direttamente o, in misura consistente, dagli utenti.

60

La direttiva ha uniformato la definizione di concessioni di lavori e di servizi,

specificando nell’art. 5, comma 1, come il discrimen tra ciò che è concessione e ciò che non

lo è, sia solo la presenza del rischio operativo in capo al privato dal lato della domanda o

dell’offerta.

Poiché l’articolo citato non limita l’alternativa dei due tipi di rischio operativo alle

sole concessioni di lavori, la conclusione non può che deporre per la configurabilità della

concessione di servizi “fredda”, in cui il privato trattenga in modo pieno e verificabile il

rischio operativo dal lato dell’offerta.

Emerge dunque come la natura di una concessione dipenda dalla strutturazione delle

clausole contrattuali e dal reale posizionamento a carico del privato del rischio operativo dal

lato della domanda o dell’offerta, superando in tal modo anche la stessa definizione di cui

all’art. 3, comma 12, del D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163; si prescinde dalla ricostruzione

bilaterale o trilaterale del rapporto concessorio e, perciò, da chi, p.a. o utenti, provenga il

corrispettivo per i servizi resi.

La vera determinante delle concessioni di servizi è naturalmente la strutturazione

contrattuale del rischio operativo dal lato della domanda o dell’offerta, con la previsione di

penali in modo che “ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia

puramente nominale o trascurabile” e che “non sia garantito il recupero degli investimenti

effettuati o dei costi sostenuti”.

Da ultimo, il tratto caratterizzante le concessioni (di lavori e di servizi) che si è messo

in rilievo ed esaminato pone un – ulteriore - profilo problematico anche con riferimento ad un

altro carattere tradizionalmente attribuito alla concessione: vale a dire la traslatività con

accrescimento della sfera giuridica del destinatario. Attraverso la concessione, infatti, al

concessionario verrebbe trasferita una posizione di vantaggio giuridicamente propria della

pubblica amministrazione.

Ci si potrebbe allora chiedere se tale carattere possa ancora ritenersi presente, nel

contesto di una configurazione comunitaria dell’istituto caratterizzata dal trasferimento del

solo rischio economico.

In realtà, in tal caso, la traslatività non riguarderebbe tanto poteri e prerogative della

p.a., quanto il trasferimento del concessionario nella posizione della p.a. conseguente alla

scelta di operare nell’economia, con conseguente alterazione del mercato per divenirne

61

attuatore; in sostanza, la p.a. pone il concessionario nella posizione di mercato che la

caratterizza, in ragione delle peculiari modalità del suo intervento nell’economia.

Anche la concessione comunitaria dunque sembra caratterizzata per un elemento di

traslatività, da intendere in senso sostanziale come trasferimento di una particolare posizione

nel mercato.

63

IL CAMPO DI APPLICAZIONE OGGETTIVO DELLE DIRETTIVE APPALTI,

CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLA NOZIONE DI APPALTO

Alberto Di Mario

(T.A.R. LOMBARDIA)

Grazie. Ringrazio tutti; ringrazio la prof.ssa Vipiana per questa ottima occasione di

confronto sulle direttive, sulle prospettive del diritto comunitario e del diritto nazionale in

materia di appalti. L’importanza delle nuove direttive appalti sta non solo nel fatto che esse

saranno la base del nuovo diritto dei contratti, in quanto porteranno alla modifica se non alla

riscrittura del Codice degli appalti, ma anche nel fatto che esse svolgono una funzione

interpretativa delle norme vigenti, soprattutto scaduti i termini per la loro recezione

nell’ordinamento interno. Mi è stato assegnato il compito di chiarire l’ambito di applicazione

delle nuove direttive ed, in particolare, la nozione di appalto contenuta nella nuova direttiva

che attiene ai settori ordinari, la 24/14. Occorre rammentare che la nozione di appalto

introdotta dalla direttiva 18/04 aveva prodotto notevoli scossoni nel nostro sistema, perché

aveva permesso di superare completamente il sistema dell’appalto secondo le regole del

codice civile, al quale eravamo legati, che era quello di un contratto con tra

un’amministrazione ed un imprenditore per lo svolgimento di un’attività di impresa volta alla

produzione di beni e servizi o lavori. La Direttive 18 del 2004 aveva esteso la nozione di

appalto a qualsiasi forma di contrattazione con operatori economici, anche non imprenditori,

per l’acquisizione con qualsiasi mezzo di beni e servizi: quindi, una nozione molto più ampia,

che ha rotto i ponti che ci legavano alla normativa civilistica. L’altra grossa novità introdotta

dal diritto comunitario con le direttive 2004 era stato il riconoscimento della natura

contrattuale delle concessioni: quindi, l’abbandono delle teorie pubblicistiche in materia, e

l’inserimento delle concessioni nell’ambito contrattuale.

64

La direttiva 24/2014 non è foriera di così grandi novità. Al considerando 4, si pone

come scopo quello di cercare una definizione più chiara del concetto stesso di “appalto”, e

dobbiamo dire che c’è un certo sforzo in questo senso, sforzo che, però, è affidato - più che

alle norme - alla parte introduttiva della direttiva, che si estende in modo molto prolisso a

cercare di individuare i caratteri dell’appalto, con lo scopo espresso di evitare che questa

nozione si ampli rispetto a quella precedente. Occorre domandarsi se effettivamente vi sono

stati dei passi avanti rispetto alla normativa precedente. Il problema più grosso era quello

dell’ambito di applicazione della disciplina degli appalti. In merito occorre ricordare che

l’ambito di applicazione della direttiva appalti era stato ampliato in sede interpretativa dalla

Commissione attraverso in particolare l’individuazione di appalti che, esclusi dalle direttive,

sono ritenute soggette ai principi comunitari di concorrenza in base, sostanzialmente a due

mezzi interpretativi: a) l’affermazione secondo la quale l’ambito di applicazione del Trattato

UE è più ampio di quello delle direttive appalti e non può essere da queste limitato; b) gli

appalti esclusi dall’ambito di applicazione delle direttive, in quanto da esse contemplati, sono

rilevanti per il diritto comunitario e soggette ai principi desumibili dal Trattato. Occorrerà

quindi capire se il principale soggetto al quale è demandata la vigilanza sull’attuazione delle

direttive, cioè la Commissione europea, continuerà in questa attività di ampliamento in via

interpretativa dell’ambito di applicazione delle direttive appalti.

Tornando al testo normativo, i punti di novità più interessanti sono: a) un

rafforzamento del concetto di acquisizione di beni, che limita l’applicazione della direttiva ai

c.d. contratti passivi; b) una disciplina più specifica degli accordi tra le PP.AA., sotto la forma

della cooperazione pubblico/pubblico, che invece in passato non era disciplinata, c’era solo la

disciplina dell’in house, qui invece vengono introdotte delle norme specifiche, che bisognerà

vedere quali effetti avranno; c) l’eliminazione della categoria dei servizi esclusi di cui

all’allegato 2b. A tali tipi di servizi la direttiva precedente diceva che si applicavano i principi,

e questo era uno dei principali agganci normativi che permettevano la costruzione della

categoria dei contratti soggetti solo ai principi, poi ripresa dal Codice degli appalti. Questi

servizi - in particolare i servizi sociali - vengono riassorbiti in una disciplina specifica, una

forma di gara semplificata. Tale modifica assume particolare importanza, soprattutto al fine di

verificare se la struttura stessa del Codice degli appalti possa tenere. Oggi, infatti, il Codice

De Lise si divide in 3 parti: prevede i contratti soggetti alla disciplina comunitaria, sia gli

appalti sia le concessioni; i contratti esclusi, ai quali si applicano i principi; e poi, secondo la

65

terminologia introdotta dall’Adunanza Plenaria n. 16/2011 (sentenza “De Nictolis”), ci sono i

contratti estranei all’ambito di applicazione del Codice. Quindi, riprendendo la struttura della

direttiva n. 18/2004, il nostro legislatore ha previsto questi, diciamo, 3 livelli di applicazione

della disciplina comunitaria. Oggi, dopo la trasformazione della categoria degli appalti

esclusi, da contratti soggetti ad un procedimento di avvicinamento tra gli stati attraverso

l’applicazione dei principi, ad una ridefinizione in termini di appalti semplificati, occorrerà

verificare se questa tripartizione - appalti soggetti alla disciplina comunitaria, appalti esclusi

ma ai quali si applicano i principi, appalti estranei - potrà ancora tenere, e obiettivamente io

qualche dubbio ce l’ho.

Passando ora alla nozione di appalto contenuta nella nuova direttiva occorre rilevare in

primo luogo, che l’art. 1 dice: “La presente direttiva stabilisce norme sulle procedure per gli

appalti indetti da amministrazioni aggiudicatrici per quanto riguarda appalti pubblici e

concorsi pubblici di progettazione, il cui valore stimato non è inferiore alle soglie

comunitarie”. Ecco, qui c’è già una novità, perché agli appalti pubblici vengono equiparati i

concorsi pubblici di progettazione, che invece, nelle precedenti direttive, erano considerate

una forma di gara; quindi, qui, il concorso pubblico di progettazione viene, diciamo,

considerato alla pari dell’appalto, quindi un sistema di aggiudicazione, che non è

riconducibile all’appalto, ma ha una sua propria struttura autonoma, e quindi questo potrà

avere effetto: a) sulla interpretazione di questa figura; b) sulla individuazione della normativa

applicabile, che non è necessariamente o automaticamente quella sugli appalti pubblici,

proprio perché non è una species degli appalti, ma qualcosa che si pone sullo stesso piano

dell’appalto. Importante anche il secondo comma, che dice: ai sensi della presente direttiva, si

parla di appalto quando una o più amministrazioni aggiudicatrici acquisiscono, mediante

appalto pubblico, lavori, servizi o forniture, da operatori economici scelti dalle

amministrazioni aggiudicatrici stesse, indipendentemente dal fatto che i lavori, i servizi e le

forniture siano considerati per una finalità pubblica o meno. Ecco, qui, diciamo, non c’è

novità, nel senso che il concetto di acquisizione di prestazione di lavori, forniture e servizi

c’era già nella precedente direttiva; però, viene individuato, enucleato, in un articolo

specifico, diverso da quello sulla nozione di appalto, e anche - diciamo - nell’introduzione

delle direttive c’è questa enfatizzazione del concetto di acquisizione, che vedremo quale

effetto potrà avere. E poi, si aggiunge, la finalità pubblica o meno, quindi c’è la cancellazione

della distinzione fra diritto privato funzionalizzato e diritto privato libero, che fa parte invece

66

della nostra struttura “classica” del diritto amministrativo, per cui, diciamo, ogni prestazione

di lavori, servizi e forniture deve essere assoggettata a gara,indipendentemente dal fatto che

sia finalizzato per perseguire un interesse pubblico o un interesse privato dell’ente.

Per quanto riguarda la nozione di “appalto”, la nozione è uguale a quella precedente.

La norma dice: “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto tra uno o più operatori

economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici, avente per oggetto l’esecuzione di

lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi”. Il primo requisito è quello

dell’accordo delle parti, che - sappiamo - è un concetto fondamentale anche del diritto civile.

Però, l’accordo delle parti è anche un elemento costitutivo degli accordi amministrativi, e

quindi già la norma pone il problema della sovrapposizione delle due figure. L’individuazione

del contratto come oggetto principale della direttiva, si lega al considerando 5, secondo il

quale “nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati ad affidare a terzi, o a

esternalizzare, la prestazione dei servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con

strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva”. La prestazione dei

servizi sulla base di disposizioni regolamentari o di contratti di lavoro, quindi, dovrebbe

esulare dall’ambito di applicazione della presente direttiva. In alcuni Stati membri, ciò

potrebbe verificarsi, ad esempio, per taluni servizi amministrativi pubblici, tra cui i servizi

esecutivi o legislativi, o per la fornitura di determinati servizi alla comunità. Quindi, diciamo

che viene riaffermato il principio che è la scelta contrattuale che porta l’obbligo di effettuare

la gara, e non il contrario.

Poi vi è la necessità della forma scritta dell’accordo, che è prevista dall’art. 2 della

direttiva, e che è conforme ai nostri principi. L’altro elemento è che il contratto debba essere a

titolo oneroso: e qui iniziamo a dire qualcosa di più. L’onerosità comporta, diciamo, una

controprestazione e un peso anche per l’Amministrazione che intenda acquisire queste

prestazioni. La giurisprudenza comunitaria, in realtà, ha esteso il concetto di onerosità fino

alla sinallagmaticità; è sufficiente, cioè, che ci sia una controprestazione. Devo dire che, da

questo punto di vista, la nuova direttiva non aggiunge nulla, rispetto alla disciplina

precedente. Questo ampliamento ha favorito l’estensione della disciplina degli appalti agli

accordi tra amministrazioni - che sono soggette non tanto al pagamento di un corrispettivo,

quanto a un rimborso spese - resta aperto. Infatti, nella causa C 159-2011, con l’ASL di

Lecce, l’Avvocato generale dello Stato aveva affermato un’interpretazione estensiva della

nozione di “onerosità”, nel senso che essa comprende ogni tipo di remunerazione consistente

67

in un valore in denaro. Quindi, la mera assenza di profitto non conferisce carattere di gratuità

al contratto; e qui, dobbiamo dire che la direttiva non ha, diciamo, comportato mutamenti. La

nozione di onerosità resta generica, e sarà quindi soggetta all’interpretazione dei giudici

ordinari e comunitari l’interpretazione di questo concetto. Nell’ambito dell’onerosità, si è

posto il problema, in passato, dei lavori a scomputo; questo è il caso della Corte di giustizia,

12-VII-2001, causa C 399-1998; l’Ordine degli architetti milanesi contro il Comune di

Milano per la realizzazione del Teatro degli Arcimboldi, nel quale la Corte ha affermato che

anche le opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione sono soggetti a gara. Quindi

dobbiamo dire che novità, da questo punto di vista, non ce ne sono, in quanto questa nozione

non è stata modificata. Sugli oneri di urbanizzazione il problema è stato risolto dal legislatore

interno; la questione, però, rimaneva aperta, perché colui che svolge le opere a scomputo -

quindi, realizza questi immobili - lo fa per non pagare una tassa; quindi, anche nel caso di

opere a scomputo il problema dell’onerosità si pone, e viene risolto mediante un concetto

ampio di onerosità, sul quale la nuova direttiva non aggiunge nulla. Sempre sull’onerosità,

invece, la direttiva fa un passo avanti al considerando 70, dicendo che la direttiva non

dovrebbe applicarsi nei casi in cui le attività di centralizzazione delle committenze o le attività

di committenza ausiliarie non sono effettuate attraverso un contratto a titolo oneroso, che

costituisce appalto ai sensi della presente direttiva; e quindi, sembrerebbe che gli incarichi di

committenza pubblica, in forma pubblica, quindi l’individuazione delle centrali di

committenza e delle attività ausiliarie, se effettuate in forma privata non onerosa o in forma

pubblica, non dovrebbero rientrare nell’ambito degli appalti. Quindi questo aspetto - e quindi

l’affidamento dell’appalto ad un soggetto diverso - non dovrebbe costituire appalto, e quindi

non dovrebbe essere soggetto a gara.

Lo stesso vale, poi, per l’individuazione dei servizi economici e non economici. Anche

qui, diciamo, la direttiva conferma al considerando 6 che esiste una piena libertà delle

amministrazioni e degli Stati di individuare i servizi economici e non economici, e quindi

anche questo elemento non è stato chiarito. Al carattere di economicità o meno del servizio si

collega l’esistenza o meno dell’appalto, perché laddove il servizio è economico, ovvero venga

svolto con caratteri di economicità, allora si può rientrare nell’ambito della disciplina degli

appalti, in quanto si costituisce un rapporto a titolo oneroso, diversamente nel caso in cui si

tratti di servizi non economici. Ecco, qui il grosso problema dell’individuazione dei servizi

pubblici economici e non economici - e quindi, dell’individuazione dell’ambito di

68

applicazione della direttiva che non è stato chiarito. Anche sotto questo aspetto la

Commissione europea, con la decisione del 20-XII-2011, aveva ampliato la nozione,

affermando che gli incarichi di edilizia sociale, pur essendo considerati di interesse

economico generale, erano soggetti agli obblighi di gara, in quanto servizi che fornivano

prestazioni analoghe a quelle in materia di appalti; bisogna dire che, da questo punto di vista,

non ci sono novità. Quindi, l’individuazione dei servizi economici o non economici resta un

punto aperto.

Torniamo alla novità costituita dalla sottolineatura del concetto di acquisizione di un

bene da parte dell’Amministrazione. L’acquisizione comporta un vantaggio per

l’Amministrazione. Il considerando 4 chiarisce, però, che la nozione di acquisizione deve

essere intesa in senso ampio; cioè, nel senso che l’Amministrazione ottenga dei vantaggi dai

lavori, dai servizi e dalle forniture in questione, senza che sia necessariamente richiesto un

trasferimento della proprietà. Quindi, l’appalto non è solo quello con il quale si acquisisce la

proprietà di certi beni, ma anche altre tutte le forme contrattuali che permettono

all’Amministrazione di avere la disponibilità di beni per le proprie necessità o per quelle dei

cittadini. Sempre il considerando 4 introduce, però, una distinzione con il finanziamento;

cioè, dice che il semplice finanziamento, in particolare tramite sovvenzioni di un’attività che è

spesso legata all’obbligo di rimborsare gli importi percepiti, qualora essi non siano utilizzati

per gli scopi previsti, generalmente non rientra nell’ambito di applicazione degli appalti

pubblici. Quindi, il semplice finanziamento di un’attività viene escluso dall’ambito di

applicazione delle direttive e quindi del concetto di appalto, proprio perché in questo caso, pur

essendoci una prestazione da parte dell’Amministrazione, non abbiamo un’acquisizione di un

bene da parte dell’Amministrazione stessa. Quindi, la semplice restituzione, ad esempio, di

beni - in questo caso, di un finanziamento - dal privato all’amministrazione non costituisce

acquisizione di un bene che rientri nel concetto di appalto. Il concetto di acquisizione deve

essere definito in collegamento all’art. 10, comma 1, lettera a), il quale esclude dagli appalti le

prestazione di acquisto in senso proprio di terreni e fabbricati; quindi, l’acquisizione è

un’entrata, diciamo, di un bene, attraverso una prestazione di beni o servizi. Quindi, vedete

come i concetti sono molto complessi; e, da questo punto di vista, la direttiva non introduce,

diciamo, grosse novità.

Vi sono poi gli appalti sovvenzionati, mediante i quali la P.A. acquisisce un bene.

Secondo l’art. 13 (“appalti sovvenzionati dall’amministrazione aggiudicatrice”) la direttiva si

69

applica all’aggiudicazione di una serie di contratti. Questo, ecco, è un concetto che c’era già

nel Codice dei contratti e nella precedente direttiva. Cioè si dice: la sovvenzione non rientra

nell’ambito degli appalti, perché non si acquisisce un bene; però, esistono delle forme di

contratti sovvenzionati, che rientrano nell’ambito della disciplina delle direttive. Sotto questo

punto di vista - cioè, della distinzione fra appalti e sovvenzione - non sono stati fatti passi

avanti, perché si è voluta dare una definizione sostanziale di “acquisizione”, nella quale

rientra anche il concetto di sovvenzione a certe condizioni, ritenendo che a volte dare soldi

per fare una certa cosa è come farla indirettamente, e quindi il problema resta aperto.

Una novità, invece, rilevante, è quella del partenariato pubblico-pubblico.

L’inserimento, diciamo, il confluire degli accordi pubblicistici nell’ambito della disciplina

degli appalti è una novità successiva alla disciplina della direttiva del 2004. Originariamente

si è pensato, in sede di ricezione della direttiva, agli appalti che un’Amministrazione dà al

privato, oppure alle concessioni che dà a un privato, e quindi alle relazioni fra

l’Amministrazione e un privato. È stato con la sentenza del 2009 della Corte di giustizia, nella

sentenza per la causa “Commissione c. Germania”, C-480-2006, che la Corte di giustizia ha

distinto il c.d. “partenariato pubblico-pubblico” in partenariato basato su un fondamento

istituzionale - cioè, con la creazione di un apposito ente, con la funzione di svolgere

determinate prestazioni, in questo caso volto a effettuare servizi, forniture e lavori - dal caso

in cui, invece, l’accordo avvenga su base contrattuale. E, laddove c’è questa base contrattuale,

la Corte ha riconosciuto l’applicabilità delle norme in materia di appalti anche negli accordi

fra PP.AA.: con quale limite? lo svolgimento di funzioni comuni. Cioè, la Corte ha detto che

laddove gli Stati si accordano per svolgere funzioni comuni, allora siamo fuori dall’ambito

degli appalti; laddove, invece, non esiste questa funzione di condivisione della medesima

funzione, allora si rientra nell’ambito degli appalti. Qui c’è una novità importante, cioè l’art.

12, comma 4, della direttiva n. 24/2014, che diciamo, concentra l’attenzione, più che sul

concetto di “contratto”, su quello di “cooperazione”. La norma dice: un contratto concluso

esclusivamente fra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell’ambito di

applicazione della presente direttiva, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: il

contratto stabilisce o realizza una cooperazione fra amministrazioni aggiudicatrici

partecipanti; l’attuazione di tale cooperazione è retta soltanto da considerazioni inerenti

all’interesse pubblico; le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato

aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione. Ecco, quindi, questa è una

70

novità assoluta. Originariamente la disciplina degli appalti era pensata per i rapporti tra

Amministrazione e privato; poi, si è riconosciuto che anche gli accordi tra Amministrazioni

potessero rientrare nella disciplina degli appalti. L’interpretazione della Corte di giustizia -

molto ampia - sul concetto di onerosità ha facilitato questa interpretazione, perché di regola le

relazioni tra Amministrazioni non sono onerose, ma sono fondate sul rimborso spese. Una

volta che anche il rimborso spese può costituire onerosità, si è aperto questo grande spazio per

l’applicazione della disciplina degli appalti anche agli accordi ex art. 15 legge n. 241/1990.

Oggi, la nozione di “accordo pubblicistico” fra PP.AA. soggetto alla disciplina degli appalti

viene ristretto con questo riferimento non solo alla cooperazione - come era in precedenza -

ma anche al fatto che le Amministrazioni svolgano sul mercato aperto più del 20% delle

attività oggetto della cooperazione. Concetto non tanto facile; comunque, se

un’Amministrazione, diciamo, opera sul mercato, allora sarà soggetto alla disciplina sugli

appalti, gli accordi fra Amministrazioni che operano sul mercato saranno soggetti alla

disciplina sugli appalti; se invece si tratta di Amministrazioni che svolgono in maniera del

tutto accessoria attività che interessano il mercato, che sono aperte al mercato, allora questi

accordi pubblicistici sono sottratti alla disciplina degli appalti e quindi all’obbligo di gara. C’è

questa ulteriore specificazione innovativa del rapporto fra accordi pubblicistici e appalti.

Per quanto riguarda, poi, i contratti esclusi, qui c’è l’altra grossa novità. Nella direttiva

n. 18/2004, era prevista una serie di contratti soggetti alla disciplina comunitaria; e poi, era

prevista un’altra serie di contratti, i quali non erano considerati importanti per il mercato degli

appalti comunitari, che era esclusa, ed erano i servizi dell’allegato 2b. Questi servizi erano

esclusi, ma si voleva un avvicinamento, e quindi era stato stabilito che dovessero essere

soggetti ai principi della disciplina comunitaria. Questa categoria scompare con la nuova

direttiva, la quale invece contiene una norma specifica: è il titolo III, in particolare i regimi

d’appalto; l’art. 74 dice: “aggiudicazione dei servizi sociali e di altri servizi specifici - Gli

appalti pubblici di servizi sociali e di altri servizi specifici di cui all’allegato 14 sono

aggiudicati il conformità del presente capo, quando il valore di tali contratti sia pari o

superiore alla soglia comunitaria”. E questi sono in gran parte - ma, anche qui, l’elencazione è

cambiata - gli appalti del vecchio allegato 2b. Quindi, quelli che erano degli appalti che era

meglio non disciplinare ma assoggettare ai principi generali si trasformano in appalti che

vengono inseriti nell’ambito della disciplina comunitaria con una disciplina semplificata. Su

questo passaggio, però, occorre ricordare - e questo mi permette di collegarmi a quanto ho

71

detto prima - che la Commissione europea, che è - diciamo - il terzo incomodo che ancora non

è venuto alla luce, aveva fatto una comunicazione interpretativa del 2006, quindi proprio ai

tempi del Codice dei contratti, nella quale aveva stabilito che per gli appalti il cui importo era

inferiore alle soglie di cui alle direttive e per gli appalti di servizi di cui all’allegato 2b, aveva

individuato i principi comunitari applicabili a questa disciplina; e, quindi, questa

comunicazione interpretativa del 2006 aveva introdotto questa distinzione fra appalti

disciplinati e appalti esclusi ma soggetti ai principi comunitari. A queste categorie,

l’Adunanza plenaria n. 16/2011 - redattore De Nictolis - aveva introdotto quella degli appalti

“estranei” all’ambito di applicazione del Codice, proprio per stabilire un limite

all’applicazione dei principi desumibili dalla disciplina comunitaria. Ora questo aistema

interpretativo perde uno dei suoi tasselli più importanti: il concetto di avvicinamento.

L’eliminazione dei servizi sociali in particolare, la cancellazione dell’allegato 2b e

l’inserimento dei servizi sociali e culturali che erano il centro - diciamo - dell’allegato 2b

nell’ambito di una disciplina specifica e completa, pone anche il dubbio la stessa struttura del

Codice De Lise, la stessa ripartizione in tre categorie che oggi regge il nostro ragionare e

applicare norme in materia di appalti; e quindi questo diventa il problema, diciamo, più

grande connesso alla nuova nozione di appalto, alla nuova struttura della direttiva.

Volevo chiudere con un riferimento alle cc. dd. “esclusioni”, che nella nuova direttiva

hanno un altro, hanno alcune, ulteriori, specificazioni. Le novità più grosse riguardano i

servizi legali. Sappiamo che i servizi legali sono stati assoggettati alla disciplina comunitaria

su pressione della Commissione; anche questi nell’ambito dell’allegato 2b, e oggi invece si

trovano nell’art. 10 della direttiva, quindi sono stati - anche qui - inseriti nell’ambito della

direttiva; sappiamo che una sentenza del Consiglio di Stato - io la chiamo sentenza

“Caringella”, aveva chiarito che l’affidamento degli incarichi di difesa legale da parte delle

Amministrazioni agli avvocati non era soggetta al principio di gara. Ecco, la direttiva estende

esclusione dalla gara: non solo la rappresentanza legale di un cliente - esclusa dall’ambito

degli appalti di servizi - nell’arbitrato o in procedimenti giudiziari, ma anche la consulenza

fornita in preparazione di uno dei procedimenti di cui alla lettera precedente; quindi anche la

consulenza legale, qualora vi sia un indizio concreto, una probabilità elevata che la

controversia su cui verta la consulenza divenga oggetto del procedimento in questione.

Quindi, non solo - diciamo - il patrocinio, ma anche la consulenza legale in preparazione di

una causa, o quella in cui vi sia un indizio concreto, una probabilità che si vada in causa;

72

quindi, in sostanza, una parte della consulenza legale viene inserita nell’ambito escluso dalla

direttiva. Lo stesso, è importante l’esclusione dei servizi finanziari; servizi finanziari,

compresi i prestiti, che, invece, in precedenza, erano inseriti nell’ambito della direttiva.

Ulteriori modificazioni minori riguardano i servizi di media, comunicazione, radiofonici, e

altre piccole fattispecie minori. Comunque, a mio parere, diciamo, i punti fondamentali sono

questi: l’individuazione di una nozione di appalto che resta ancora discutibile in diversi

aspetti; la sottrazione degli accordi tra Amministrazioni alla disciplina degli appalti a nuove

condizioni, che sono non solo quella della cooperazione, ma anche quella di Amministrazioni

che non operano sul mercato, o vi operino a condizione molto limitata; l’eliminazione del

richiamo ai principi nella disciplina dei servizi esclusi soggetti ai principi, sostituita da una

disciplina propria e semplificata, che porrà il problema di capire se occorre ridefinire l’intera

struttura del Codice De Lise, se si potrà andare ancora avanti in questo modo.

73

IN HOUSE PROVIDING, RINNOVI E PROROGHE

Giuseppe Franco Ferrari

(Università Bocconi di Milano)

1. L’espressione in house providing (usata per la prima volta in sede comunitaria nel

Libro Bianco sugli appalti del 1998) identifica il fenomeno di "autoproduzione" di beni,

servizi o lavori da parte della Pubblica Amministrazione. L’autoproduzione consiste

nell’acquisire un bene o un servizio attingendolo all’interno della propria compagine

organizzativa senza ricorrere a "terzi" tramite gara (cosiddetta esternalizzazione) e dunque al

mercato44

: l’in house rappresenta il tentativo di conciliare il principio di auto-organizzazione

amministrativa (che trova corrispondenza nel più generale principio comunitario di autonomia

istituzionale), con i principi di tutela della concorrenza e del mercato45

.

L’in house providing costituisce una parte rilevante del fenomeno delle Società

Pubbliche. Più precisamente, per la particolarità della disciplina che le caratterizza, le società

in house possono essere definite “società ad evidenza pubblica”46

.

Esse, come ogni altro tipo di società, sono soggette al diritto comune e dunque alle

disposizioni dettate dal codice civile47

, ma, in quanto species del genus “società pubbliche”,

44

G. URBANO, L’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto in house providing tra tutela della

concorrenza e autorganizzazione amministrativa, in www.amministrazioneincammino.luiss.it. 45

R. GIOVAGNOLI, Gli affidamenti in house tra le lacune del codice e recenti interventi legislativi, in

www.giustizia-amministrativa.it. 46

F. CINTIOLI, La pubblica amministrazione come socio, l’interesse pubblico e la tutela dei terzi, in Il

nuovo Diritto Amministrativo, 2014, I, p. 7; Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283. 47

Art. 4, comma 13, d.l. 95/2012 (l. conv. 135/2012), a mente del quale “le disposizioni del presente

articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale

partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo

deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali”.

74

sono rette anche da un regime particolare48

. Si pensi, ad esempio, alla responsabilità erariale

degli amministratori per i danni subiti dai soggetti pubblici partecipanti al capitale sociale,

alla previsione di vincoli all’oggetto sociale derivanti dalla necessità che l’attività prevalente

della Società (nella misura dell’80 %, secondo le nuove direttive nn. 2014/24/UE,

20014/23/UE e 2014/25/UE) sia svolta in favore del soggetto controllante, nonché alla

composizione della compagine societaria, essendo imposto il requisito della totale

partecipazione pubblica (con ammissibilità, come da ultimo previsto dalle direttive del 2014,

di una apertura al capitale privato, purché sia connotata dall’assenza di poteri di influenza

sulla gestione della Società, e su cui più diffusamente infra).

Nonostante la centralità della tematica, l’in house providing non trova (quanto meno

sino alle direttive del 2014) disciplina positiva, qualificandosi piuttosto quale istituto di

produzione giurisprudenziale (soprattutto comunitaria) a partire dalla sentenza Teckal49

, che si

è preoccupata di dettare le condizioni necessarie affinché si possa legittimamente derogare

alla gara pubblica, ed identificandole in due capisaldi, ossia:

i. l’esercizio da parte dell’ente committente, sul soggetto affidatario, di un “controllo

analogo” a quello esercitato sui propri servizi;

ii. la necessità che il soggetto affidatario realizzi la parte più importante della propria

attività con l’ente committente (o gli enti, se sono più di uno) che lo controlla.

2. L’individuazione del preciso contenuto semantico dell’espressione “controllo

analogo” è stata oggetto di plurimi pronunciamenti della Corte di Giustizia.

Già nella sentenza Teckal la Corte fornisce una prima definizione di “controllo

analogo” quale “rapporto che determina da parte dell’amministrazione controllante un

assoluto potere di direzione coordinamento e supervisione […] che riguarda l’insieme dei più

importanti atti di gestione”.

48

C. VOLPE, L’affidamento in house di servizi pubblici locali e strumentali: origine ed evoluzione più

recente dell’istituto alla luce della normativa e della giurisprudenza europea e nazionale, in

www.giustamm.it, n. 3/2014. 49

Sentenza 18 novembre 1999, Causa c-107/98, Teckal s.r.l. contro Comune di Viano e Azienda Gas –

Acqua consorziale (AGAC) di Reggio Emilia.

75

Tale conclusione è ribadita anche nella sentenza Stadt Halle50

- oltre che nella

sentenza 13 ottobre 2005, causa n. c-458/03 (c.d. Parking Brixen51

) – con la quale viene

affermato un ulteriore principio fondamentale (che, sino alle direttive del 2014, ha costituito

un caposaldo dell’in house providing), ossia la necessaria partecipazione pubblica totalitaria

al capitale della società affidataria: la presenza (pure minoritaria) di un’impresa privata nel

capitale esclude in ogni caso che l’amministrazione aggiudicatrice, per quanto a sua volta in

possesso di partecipazione azionaria, possa esercitare sulla società un controllo analogo a

quello che essa svolge sui propri servizi52

.

Sul requisito del controllo analogo la giurisprudenza comunitaria è intervenuta poi a

più riprese, chiarendo che la sola partecipazione pubblica totalitaria, per quanto necessaria,

non poteva comunque ritenersi sufficiente a garantire la ricorrenza del requisito de quo53

,

occorrendo strumenti di controllo da parte dell’ente molto più pregnanti rispetto a quelli

previsti dal diritto civile e tali da concentrare nelle mani dell’ente socio la gestione della

società, con radicale ridimensionamento dei poteri del Consiglio di Amministrazione.

L’in house dunque, nella ricostruzione fornitane dalla giurisprudenza, esclude la

terzietà, poiché l’affidamento avviene a favore di un soggetto il quale, pur dotato di autonoma

personalità giuridica, si trova in condizioni di soggezione nei confronti dell’ente affidante, il 50

Sentenza 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Recyclingpark Lochau GmbH contro

Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna. Si veda,

G.F. Ferrari, Servizi pubblici locali ed interpretazione restrittiva delle deroghe alla disciplina

dell’aggiudicazione concorrenziale, nota a sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea,

11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Recyclingpark Lochau GmbH c.

Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall und e – nergieverwertungsanlage TREA Leuna, in Diritto

Pubblico Comparato ed Europeo, n. 2/2005, pp. 834-838. 51

Si veda, G.F. FERRARI, Parking Brixen: Teckal da totem a tabù?, nota a sentenza della Corte di

giustizia della Comunità europea, 13 ottobre 2005, causa C-458/03, Parking Brixen GmbH c.

Gemeinde Brixen, Stadtwerke Brixen AG, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, n. 1/2006, pp.

271-277. 52

C. VOLPE, In house providing, Corte di Giustizia, Consiglio di Stato e legislatore nazionale. un caso

di convergenze parallele?, in www.giustizia-amministrativa.it. Si veda, La Corte di Giustizia tiene il

punto sui requisiti Teckal, nota a sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (quinta

sezione), 19 giugno 2014, causa C-574/14, Centro Hospitalar de Setúbal EPE, Serviço de Utilização

Comum de Hospitais (SUCH) c. Eurest (Portugal) - Sociedade Europeia de Restaurantes Lda, in

Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, n. 3/2014, pp. 1373-1374. 53

Sentenza 11 maggio 2006, Causa C-340/04, Carbotermo s.p.a. e Consorzio Alisei contro Comune di

Busto Arsizio e AGESP. Si veda, G. F. FERRARI, Ancora sui requisiti Teckal: la coperta è sempre più

corta, nota a sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea (prima sezione), 6 aprile 2006,

causa C-410/04, Associazione Nazionale Autotrasporto Viaggiatori (ANAV) c. Comune di Bari,

A.M.T.A.B. Servizio SpA, e 11 maggio 2006, causa C-340/04, Carbotermo SpA, Consorzio Alisei c.

Comune di Busto Arsizio, AGESP SpA, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, n. 3/2006, pp.

1367- 1372 e in Management delle utilities, La Rivista di economia e gestione dei servizi pubblici,

n.3/2006, pp.59-63.

76

quale è nella posizione di determinarne le scelte, essendo l’impresa assoggettata all’influenza

dominante dell’ente socio54

.

La società in house deve quindi qualificarsi come longa manus dell’Amministrazione

aggiudicatrice: la prima si qualifica come soggetto giuridico distinto dalla seconda sul piano

formale, ma non anche alla stregua di una valutazione sostanziale, attenta all’effettiva

capacità decisionale; proprio l’assenza di terzietà del soggetto affidatario rispetto al soggetto

affidante e, dunque, la possibilità di considerare il primo quale parte integrante e

prolungamento del secondo, valgono a giustificare il mancato ricorso all’evidenza pubblica in

cui si sostanza il modulo dell’in house providing55

.

Perché tale giudizio di unitarietà possa essere positivamente formulato è però

necessario – ha aggiunto la giurisprudenza comunitaria56

- che vi sia affinità di intenti

perseguiti, e affinché tale affinità ricorra occorre che la struttura societaria sia integralmente

partecipata dall’ente pubblico, essendo viceversa sufficiente la presenza di un soggetto

privato, anche in quota minoritaria, ad integrare il rischio che la Società devii dal

perseguimento dell’interesse pubblico del socio di maggioranza (elidendo il presupposto

legittimante il regime derogatorio ai principi dell’evidenza pubblica).

Se dunque la totale concentrazione in mano pubblica del capitale non costituisce

elemento sufficiente, a giudizio degli interpreti, a garantire la configurabilità di un’ipotesi di

in house (dovendo ricorrere anche i sopra richiamati presupposti di penetrante ingerenza nella

gestione della Società, da valutarsi alla stregua delle previsioni statutarie), esso costituisce

sicuramente un presupposto a ciò necessario.

Ecco quindi che torna di centrale rilevanza la tematica della concentrazione in mano

pubblica del capitale.

L’orientamento della Corte è stato fatto proprio, in termini altrettanto rigorosi, dalla

giurisprudenza nazionale. Tra le altre, merita particolare attenzione la sentenza del Consiglio

di Stato, Adunanza Plenaria, n. 1/2008, che opera una precisa ricostruzione del panorama

giurisprudenziale comunitario e ne recepisce e conferma pedissequamente i contenuti.

E’ nel panorama appena descritto che si inseriscono le direttive 2014/ 24/UE nei

settori ordinari, 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori

54

C. VOLPE, in op. cit. 55

R. GAROFOLI, L’affidamento diretto a società in house e a società a capitale misto: ricognizione

degli indirizzi sul tappeto, in www.neldiritto.it. 56

Sentenza 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Recyclingpark Lochau GmbH contro

Arbeitsgemeinschaft Thermische Restabfall- und Energieverwertungsanlage TREA Leuna

77

dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali (settori speciali) – che sostituiscono

le direttive 2004/18/CE 2004/17/CE – e 2014/23/UE57

sull’aggiudicazione dei contratti di

concessione, pubblicate in GUCE in data 28 marzo 2014.

Le direttive forniscono, per la prima volta, la disciplina positiva dell’in house

providing, definendone i presupposti e individuando anche parametri oggettivi cui ancorare,

nel concreto, la verifica di ricorrenza di un modello di gestione in house, stabilendo che

l’appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica

di diritto pubblico o di diritto privato può essere sottratto alle regole dell’evidenza pubblica

ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di che trattasi

un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi;

b) oltre l'80 % delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello

svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da

altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui trattasi; e

c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di

capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportino

controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei

trattati, e che non esercitino un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

Le direttive precisano altresì quando possa ritenersi che un’amministrazione

aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui

propri servizi, richiedendo a tal fine che la stessa sia titolare di un’influenza determinante sia

sugli obiettivi strategici, sia sulle decisioni significative della persona giuridica controllata.

Con le direttive del 2014 il Legislatore traduce dunque in norme le indicazioni fornite

dalla giurisprudenza comunitaria, confermando, in primis, il requisito del controllo analogo.

La concentrazione della totalità del capitale in mano pubblica costituisce, si è detto,

secondo l’insegnamento della Corte di Giustizia, il presupposto indispensabile affinché

siffatta influenza possa in concreto esplicarsi.

Tale principio non è superato nemmeno dalle innovative direttive del 2014, che

continuano a richiedere la partecipazione pubblica totalitaria al capitale sociale, pur

introducendo una sostanziale novità: è ammessa la compatibilità con il modulo dell’in house

57

Il riferimento normativo è all’art. 12 della direttiva appalti (2014/24/UE), all’art. 28 della direttiva

settori speciali (2014/25/UE) e all’art. 17 della direttiva concessioni (2014/23/UE)

78

providing della presenza di capitale privato, purché operata con modalità tali da escludere che

il socio privato possa esercitare un’influenza dominante sulla persona giuridica affidataria.

La portata innovativa è evidente, essendo per tale via demolito il totem della

concentrazione in mano pubblica del capitale sociale quale requisito assolutamente necessario

– anche se non sufficiente – perché possa parlarsi di in house providing, anche se la stessa

connotazione in via derogatoria dell’ipotesi di presenza di capitale privato, assoggettata

peraltro a vincoli stringenti – sono ammesse solo forme di partecipazione di capitali privati

che non comportino controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative

nazionali, in conformità dei trattati, con esclusione di ipotesi di influenza determinante sulla

persona giuridica controllata – porta comunque a confermare che la totale partecipazione

pubblica costituisce la regola aurea dell’in house, anche se non più assistita dai connotati di

imprescindibilità che le erano stati assegnati dalla giurisprudenza ormai consolidata.

Fondamentale, quindi, è la valutazione, da operarsi in concreto, della dinamica

societaria, che deve comunque essere nel suo complesso idonea a garantire che la gestione

della società affidataria sia nella piena ed esclusiva disponibilità del socio pubblico, così da

garantire quel rapporto di “delegazione interorganica” che, solo, può giustificare il

superamento delle regole dell’evidenza pubblica, che continuano a costituire la via ordinaria

di affidamento dei contratti della P.A., come confermato dalla circostanza che la stessa

disciplina dell’in house è configurata espressamente dalle direttive in chiave derogatoria.

Particolarmente significativo al riguardo è infatti il primo comma dell’art. 12, dir.

2014/24/UE sui settori ordinari (ma di identico tenore sono, altresì, l’art. 28 della direttiva

settori speciali n. 2014/25/UE e l’art. 17 della direttiva concessioni n. 2014/23/UE), il quale

così dispone: “Un appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una

persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di

applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni

[…]”.

Per quanto quindi la portata dell’innovazione delle direttive sia meno dirompente

rispetto a quanto a prima vista appaia, presentando accanto ad elementi di certa discontinuità,

anche evidenze della volontà di conservare e confermare i capisaldi dell’in house providing,

essa ha suscitato l’interesse degli interpreti – nonché, ovviamente, degli operatori del settore –

, che si sono interrogati sulla possibilità di dare immediata applicazione alle novità introdotte

dal Legislatore comunitario.

79

Parte della giurisprudenza ha affermato l’impossibilità di procedere in tal senso,

evidenziando come le direttive non siano ancora state recepite dagli Stati membri58

(e il

termine per provvedervi – fissato al 17 aprile 2016 – non sia spirato) e debbano ritenersi prive

del carattere dell’immediata esecutività, con conseguente conferma dell’esigenza che si

prosegua a dare applicazione all’orientamento che interpreta in termini assoluti il requisito

della totale concentrazione in mano pubblica del capitale della società in house, tanto da

ritenere censurabile anche la partecipazione non solo minoritaria, ma altresì in via indiretta

(ossia di secondo grado) di capitale privato (Tar Friuli Venezia Giulia, sez. I, 4 dicembre

2014, n. 629).

Di segno opposto è, però, un recente parere del Consiglio di Stato in sede consultiva, il

quale, in ordine alla prescrizione innovativa dettata dal sopra richiamato art. 12, paragrafo 1,

lett. c), dir. 2014/24/CE, ha affermato che “come è noto, la direttiva 2014/24 non è stata

ancora recepita, essendo ancora in corso il termine per il relativo incombente, e tuttavia essa

appare di carattere sufficientemente dettagliato tale da presentare pochi dubbi per la sua

concreta attuazione. Non vi è dubbio quindi che nel caso in esame, se non vi è addirittura

un’applicazione immediata del tipo “self executing”, non può in ogni caso non tenersi conto

di quanto disposto dal legislatore europeo, secondo una dettagliata disciplina in materia,

introdotta per la prima volta con diritto scritto e destinata a regolare a brevissimo la

concorrenza nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nell’U.E.” (sezione II, parere

n. 298/2015).

Di minore impatto e quindi anche di più ridotta difficoltà ermeneutica e applicativa,

ma certo di apprezzabile contributo a definire con maggiore certezza i contorni dell’in house

providing, è anche la scelta del Legislatore comunitario di codificare con le direttive del 2014

anche il c.d. in house frazionato o pluripartecipato, delineando le modalità attraverso le quali

le Amministrazioni che detengano quote di minoranza possano ritenersi titolari del controllo

analogo sull’affidatario.

Più in particolare, è richiesto a tali fini che 1) gli organi decisionali della persona

giuridica controllata siano composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni

aggiudicatrici partecipanti, con la precisazione che singoli rappresentanti possono

rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti; 2) tali

amministrazioni aggiudicatrici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza

58

Il ddl di recepimento è attualmente all’esame della Commissione Lavori Pubblici del Senato.

80

determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica;

e 3) la persona giuridica controllata non persegua interessi contrari a quelli delle

amministrazioni aggiudicatrici controllanti (riproponendosi quindi in via espressa la necessità,

già evidenziata dalla giurisprudenza, della concordanza dei fini).

La disciplina positiva sostanzialmente ricalca le indicazioni della giurisprudenza, che

già in passato aveva trattato la questione del controllo analogo in presenza di azionariato

pubblico diffuso.

In particolare, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sezione III, con la sentenza

29 novembre 2012, pronunciata nelle cause riunite C-182/11 Econord SpA contro Comune di

Cagno e Comune di Varese e C-183/11 Econord S.p.A. contro Comune di Solbiate e Comune

di Varese, aveva risposto alla questione sollevata dal Consiglio di Stato affermando il

seguente principio: “Quando più autorità pubbliche, nella loro veste di amministrazioni

aggiudicatrici, istituiscono in comune un’entità incaricata di adempiere compiti di servizio

pubblico ad esse spettanti, oppure quando un’autorità pubblica aderisce ad un’entità siffatta,

la condizione enunciata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea,

secondo cui tali autorità, per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di

aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell’Unione, debbono

esercitare congiuntamente sull’entità in questione un controllo analogo a quello da esse

esercitato sui propri servizi, è soddisfatta qualora ciascuna delle autorità stesse partecipi sia

al capitale sia agli organi direttivi dell’entità suddetta”.

3. Ulteriore requisito per il legittimo ricorso all’in house providing, si è visto, è

costituito dalla c.d. attività prevalente, che si sostanzia nella necessità che l’affidatario svolga

la più parte della propria attività in favore dell’ente che lo controlla.

Già la giurisprudenza comunitaria59

aveva fornito i parametri di valutazione della

sussistenza del requisito in esame, precisando come a tale fine occorresse tenere in

considerazione tutte le attività svolte dall’affidatario, a prescindere da chi in concreto le

remunerasse (se l’amministrazione aggiudicatrice o il fruitore finale della prestazione), e a

nulla rilevando l’ambito territoriale in cui esse venivano svolte (sul punto, occorre però

evidenziare come, per quanto sia ritenuto ininfluente ai fini della determinazione della

59

Sentenza dell’11 maggio 2006 - causa C-340/04, Carbotermo SpA e Consorzio Alisei contro

Comune di Busto Arsizio e AGESP SpA.

81

sussistenza del requisito dell’attività prevalente sapere su quale territorio siano erogate le

prestazioni, non di meno la giurisprudenza riteneva necessario che lo sviluppo dei servizi

affidati in house si svolgesse nell’ambito territoriale di riferimento dell’ente locale socio, in

quanto, in difetto, non sarebbe stato possibile ipotizzarsi la ricorrenza del controllo

analogo60

).

A giudizio degli interpreti, quindi, il requisito dell’attività prevalente poteva essere

predicato sia nel caso di prestazioni svolte nei confronti dell’ente controllante, sia nel caso di

prestazioni svolte per conto dello stesso, nello svolgimento diretto da parte dell’aggiudicatario

delle attività istituzionali dell’ente pubblico61

.

La medesima giurisprudenza aveva anche chiarito che nell’ipotesi in cui diversi enti

detenessero un’impresa, poteva dirsi integrato il requisito anche qualora tale impresa

svolgesse la parte più importante della propria attività con tali enti complessivamente

considerati62

.

Nel tentativo di fornire parametri di riferimento, gli interpreti avevano individuato nel

fatturato il dato oggettivo su cui concentrare le valutazioni relative al requisito dell’attività,

con l’importante precisazione – in linea con la tendenza sostanzialistica assunta dalla

giurisprudenza nel valutare i requisiti dell’in house – che il fatturato determinante fosse

rappresentato da quello che l’impresa in questione realizzava in virtù delle decisioni dell’ente

controllante (ivi compreso, dunque, quello ottenuto con gli utenti, in attuazione di tali

decisioni) 63

, e che, più ancora che l’individuazione di una soglia percentuale, necessitasse un

giudizio pragmatico fondato non solo sull’aspetto quantitativo, ma anche su quello qualitativo

delle prestazioni fornite. In altri termini, la natura dei servizi, opere o beni resi al mercato

privato, oltre alla sua esiguità, doveva anche dimostrare la quasi inesistente valenza nella

strategia aziendale e nella collocazione dell’affidatario diretto nel mercato pubblico e

privato64

.

Sino alle direttive del 2014 è spettato quindi agli interpreti fornire i riferimenti per il

giudizio di prevalenza.

60

Sentenza del 10 settembre 2009 – causa C-573/07, Sea Srl contro Comune di Ponte Nossa 61

R. GAROFOLI, in op. cit. 62

C. VOLPE, in op. cit. 63

Sentenza dell’11 maggio 2006 - causa C-340/04, Carbotermo SpA e Consorzio Alisei contro

Comune di Busto Arsizio e AGESP SpA. 64

Consiglio di Giustizia Amministrativa Siciliana, 4 settembre 2007, n. 719

82

Oggi è normativamente previsto che tale condizione sia da ritenersi soddisfatta ove

oltre l’80% dell’attività del soggetto affidatario in house venga effettuata nello svolgimento

dei compiti ad esso affidati dal soggetto controllante o da altre persone giuridiche controllate

dall’Amministrazione affidante, dato da verificarsi ponendo mente al fatturato medio totale

dell’affidatario o, comunque, ad un’inidonea misura alternativa dell’attività, quali i costi

sostenuti dalla persona giuridica affidataria o dall’amministrazione aggiudicatrice nei campi

dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto.

Le direttive precisano poi che, se a causa della data di costituzione o di inizio

dell’attività dell’affidatario o dell’amministrazione aggiudicatrice ovvero a causa della

riorganizzazione delle sue attività il fatturato, o la misura alternativa basata sull’attività, non è

disponibile per i tre anni precedenti o non è più pertinente, ad integrare il requisito è

sufficiente la dimostrazione, in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività in

rapporto al raggiungimento della predetta soglia sia credibile.

E’ interessante evidenziare come il Legislatore comunitario abbia scelto un parametro

numerico per definire il requisito dell’attività prevalente, ponendosi in qualche modo in

controtendenza rispetto alle indicazioni della giurisprudenza che da sempre pone l’accento sul

concreto atteggiarsi dell’attività.

4. Il ricorso al modulo gestorio della Società in house costituisce dunque – con ogni

evidenza – una fattispecie, se non eccezionale, certamente derogatoria all’ordinario e pacifico

principio della selezione del contraente mediante gara.

Nella stessa ottica possono essere analizzati altri due strumenti di gestione del

contratto di appalto, ossia la proroga e il rinnovo dell’affidamento.

Secondo la distinzione tradizionalmente individuata dalla giurisprudenza, la proroga

del contratto sposta in avanti il solo termine di scadenza del rapporto, mentre il rinnovo

comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, ossia un rinnovato esercizio

dell’autonomia negoziale (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 20 gennaio 2015, n. 159).

Il provvedimento amministrativo che disponga la proroga dell’affidamento di un

servizio (o di un lavoro, o di una fornitura), così come la firma del contratto di proroga, deve

quindi intervenire prima della scadenza del contratto originario.

83

Ora, la giurisprudenza in materia di rinnovo o proroga dei contratti pubblici di appalto

ha assunto una posizione di principio piuttosto chiara, evidenziando l’assenza di spazio per

l’autonomia contrattuale delle parti in relazione alla normativa inderogabile stabilita dal

Legislatore per ragioni di interesse pubblico, “in quanto vige il principio in forza del quale,

salve espresse previsione dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria,

l’Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di

avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara” (C. Stato, sez. V, 20

agosto 2013, n. 4192).

Tale statuizione di principio non ha però impedito, ferma restando l’affermazione del

ricorso all’evidenza pubblica quale strumento ordinario di selezione del contraente, di dare

ingresso anche ad ipotesi di proroga dei contratti dell’Amministrazione, seppur in presenza di

ben precisi e tassativi presupposti.

A sostegno della legittimità della proroga di contratti di appalto, il Giudice

amministrativo65

ha posto la necessità che vi sia espressa previsione nella lex specialis della

possibilità di procedere alla proroga del rapporto, nonché che l’esercizio di siffatta facoltà sia

accompagnato dall’assunzione di puntuale motivazione da parte dell’Amministrazione, che

dia conto degli elementi che conducono a disattendere il principio generale dell’evidenza

pubblica.

Con la sentenza della Terza Sezione del Consiglio di Stato n. 3580/2013, i Giudici

evidenziano come il principio di concorrenza, più di ogni altro, garantisca la scelta del miglior

contraente, sia sotto il profilo della qualificazione tecnica dell’operatore, sia della

convenienza economica del contratto, ma che, allorché la possibilità della “proroga”

contrattuale sia resa nota ai concorrenti sin dall’inizio delle operazioni di gara, cosicché

ognuno possa formulare le proprie offerte in considerazione della durata eventuale del

contratto, nessuna lesione dell’interesse pubblico alla scelta del miglior contraente sarebbe

riscontrabile, né alcuna lesione dell’interesse generale alla libera concorrenza, essendo la

fattispecie del tutto analoga, dal punto di vista della tutela della concorrenza, a quella nella

quale si troverebbero le parti contraenti nell’ipotesi in cui l’amministrazione avesse operato,

ab initio, una scelta “secca” per la più lunga durata del contratto.

I Giudici aggiungono, inoltre, che la soluzione di operare un frazionamento della

durata del contratto (con riserva espressa di optare per il suo prolungamento eventuale, nei

65

Consiglio di Stato, sez. IV, 24 novembre 2011, n. 6194; sez. V, 20 agosto 2013, n. 4192; sez. III, 8

luglio 2013, n. 3580.

84

termini anzidetti) meglio risponderebbe all’interesse pubblico, poiché consentirebbe di

rivalutare la convenienza del rapporto dopo un primo periodo di attività, alla scadenza

contrattuale, sulla base dei risultati ottenuti, senza un vincolo di lungo periodo, ed

eventualmente, se ritenuta non conveniente la prosecuzione del rapporto, lascerebbe libera

l’Amministrazione di reperire sul mercato condizioni migliori.

Nell’affrontare la diversa tematica della possibilità per la P.A. di rinnovare in via

diretta il rapporto contrattuale con l’affidatario scelto con gara, occorre in primo luogo

considerare il disposto dell’art. 23, l. 18 aprile 2005, n. 62, Legge Comunitaria 2004.

Attraverso siffatta disposizione il Legislatore ha inteso operare al fine di ottenere

l’archiviazione di una procedura di infrazione comunitaria a carico dello Stato italiano, avente

ad oggetto la previsione normativa nazionale – contenuta nell’art. 6, comma 2, l. 537/1993 –

della facoltà di procedere al rinnovo espresso dei contratti delle pubbliche amministrazioni,

ritenuta incompatibile con i principi di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi

cristallizzati nel Trattato CE e con la normativa europea in tema di tutela della concorrenza

nell’affidamento degli appalti pubblici.

Allo scopo di superare la predetta procedura di infrazione, la Legge Comunitaria 2004

è intervenuta disponendo la soppressione dell’ultimo periodo del citato art. 6, comma 2, l.

537/1993, che, nella sua lettera originaria, così recitava: “E' vietato il rinnovo tacito dei

contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli

affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del

predetto divieto sono nulli. Entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni

accertano la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione

dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà

di procedere alla rinnovazione”.

Prima dell’intervento demolitorio del 2005 era dunque vietato espressamente il

rinnovo tacito dei contratti, pur essendo consentito – se preceduto da puntuali valutazioni di

convenienza e corrispondenza all’interesse pubblico – il rinnovo espresso del rapporto

contrattuale.

Gli interpreti hanno assegnato alla modificazione introdotta con la legge 62/2005

valenza generale e preclusiva sulle altre e contrarie disposizioni dell’ordinamento, assumendo

sin da subito posizioni estremamente intransigenti (tra le altre, C. Stato, sez. IV, 31 ottobre

2006, n. 6459), e qualificando l’intervento in questione come evidentemente volto a

85

precludere non solo il rinnovo tacito (già vietato espressis verbis), ma altresì il rinnovo

espresso dei contratti della P.A. (si veda, altresì, C. Stato, sezione V, 8 luglio 2008, n. 3391).

Tanto posto, si osserva come una parziale apertura – limitata, invero, al caso di appalti

di servizi – all’ipotesi di rinnovo espresso (e motivato) del contratto potrebbe però forse

derivare dall’art. 57, d. lgs. 163/2006, che, se al comma 7 espressamente reitera il divieto di

tacita rinnovazione dei contratti aventi ad oggetto forniture, servizi, lavori, sanzionando con la

nullità i sinallagmi stipulati in violazione del predetto divieto, con la previsione del quinto

comma ammette il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di

gara nel caso di appalti per nuovi servizi “consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già

affidati all’operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima

stazione appaltante, a condizione che tali servizi siano conformi a un progetto di base e che

tale progetto sia stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura

aperta o ristretta, e con la precisazione che il ricorso alla procedura negoziata senza bando è

consentito solo nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale e deve essere

indicato nel bando del contratto originario”.

Tuttavia, deve osservarsi che, a stretto rigore, l’articolo è deputato a disciplinare

l’ipotesi di un nuovo affidamento in via negoziata, e non il vero e proprio rinnovo in senso

stretto (il quale ha una connotazione giuridica propria e distinta).

Inoltre, come rilevato, si tratterebbe di una deroga al regime dell’evidenza pubblica e

alla necessità di farvi ricorso alla scadenza del contratto originario (come da ultimo

riaffermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4192/2013) limitata al solo caso

dell’appalto di servizi, e quindi non dotata di forza sufficiente a consentire di ritenere

superabili le obiezioni mosse dagli interpreti, a seguito della Legge Comunitaria del 2004,

circa la possibilità di ritenere ancora ammissibile nel nostro ordinamento ipotesi di rinnovo

(anche espresso) del contratto di appalto.

87

CONCLUSIONI

Giuseppe Pericu

(Università di Milano Statale)

Ringrazio il Prof. Ferrari che ha toccato con maestria un tema delicatissimo e difficile:

quello delle pubbliche amministrazioni, in particolare delle amministrazioni locali, che si

propongono di svolgere attività d'impresa e volendo svolgere attività d'impresa devono dotarsi

di un organizzazione adeguata. Il Comune non è soltanto momento di autorità, non è soltanto

un referente politico ma è anche un gestore di attività economiche, a domanda individuale o a

domanda collettiva, che richiedono organizzazioni imprenditoriali anche se assumono la

formula istituzionale dell' in house. Le relazioni sono state ricchissime e probabilmente hanno

fornito molte risposte ai numerosi quesiti che la tematica trattata ha fatto emergere. Passo

direttamente alle conclusioni che per essere apprezzate debbono essere brevi.

Prima di concludere un ringraziamento. Un sincero ringraziamento alla Professoressa

Vipiana per aver organizzato in modo eccellente quest'incontro, un ringraziamento a coloro

che sono intervenuti e agli studenti che hanno seguito con attenzione le relazioni su temi non

facili, per molti versi ostici. Abbiamo esaminato e discusso di normative comunitarie

altamente complesse che vanno ad inserirsi in un insieme di regole esistenti, anche esse

complesse. Una tematica ardua da impostare e da dipanare.

Le mie conclusioni sono facili perché le relazioni sono state ricche, sono stati

affrontati tutti i profili interpretativi; quindi io non tornerò su i temi già analizzati e discussi,

ma tenterò di aggiungere al quadro interpretativo che è stato delineato qualche ulteriore

considerazione anche non strettamente giuridico formale.

88

Una considerazione preliminare. I giuristi trattano ogni argomento in modo molto

asettico, ed è l’approccio metodologico corretto, ma il tema degli appalti e il tema delle

concessioni sono temi altamente delicati, incidono sulla qualità della vita di ciascuno, non

solo perché ci consentono – se ben gestiti - di fruire di infrastrutture e servizi adeguati, ma

anche perché sono l’ambiente in cui più facilmente si verificano situazioni di sperpero di

denaro pubblico e fenomeni di corruzione. Nelle relazioni condotte soprattutto da chi ha una

formazione di stretto diritto amministrativo il secondo profilo che ho indicato tende ad essere

trascurato, appartenendo più direttamente alle competenze del penalista, ma al contrario

dobbiamo considerarlo soprattutto indagando le possibili relazioni tra la fase della

legislazione e l’organizzazione amministrativa di attuazione.

In realtà sia la normazione che la gestione degli appalti e delle concessioni di lavori,

di opere e di servizi nel nostro paese non sono ottimali. La fase della realizzazione

probabilmente si atteggia e si svolge in modi molto diversificati nelle diverse parti del

territorio nazionale , ma nel complesso è esperienza comune a ciascuno di noi che molte opere

programmate non vengono eseguite o vengono eseguite a costi più alti e in tempi più lunghi di

quelli inizialmente previsti. Purtroppo in non poche situazioni si sono anche verificati

fenomeni di carattere corruttivo. Sono esperienze delle quali quasi quotidianamente deve

occuparsi la stampa. Le carenze, i difetti strutturali che generano questa realtà si ritrovano sia

nella legislazione, sia nella fase della gestione realizzativa.

A livello normativo le direttive che stiamo commentando introducono una serie di

novità: l’aver disciplinato le concessioni amministrative per la prima volta, sia pure in termini

molto esili; l'aver mantenuto la distinzione tra settori ordinari e settori speciali; l'aver

considerato la fase dell'esecuzione del contratto come un momento fondamentale per il

raggiungimento dell’obiettivo, sono indubbiamente scelte che fanno chiarezza su molti profili

di rilievo.

Però a mio giudizio, andando al di là del dato letterale della norma, riprendendo anche

una considerazione avanzata da Consigliere Gisondi, l'elemento fondamentale che caratterizza

le direttive è costituito dal “rational” dei diversi istituti che il legislatore europeo ci propone.

Noi siamo abituati a pensare, siamo sempre stati abituati a pensare, che il buon

amministratore nella gestione di questo tipo di operazioni debba mirare soprattutto al rispetto

del principio della legalità formale: l'appalto è corretto se sono state rispettate tutte le regole

previste dalla legge, dai regolamenti sino a quelle particolari introdotte dal bando. Non ci

89

siamo mai preoccupati se in realtà l'opera venga effettivamente eseguita nei tempi e nei costi

previsti o il servizio sia gestito con piena soddisfazione dei cittadini. La preoccupazione

maggiore della stazione appaltante è costituita dal fatto che l'affidamento sia avvenuto nel

rispetto delle formalità previste.

La logica che ci propone adesso il legislatore comunitario è diversa. Ci si deve

preoccupare dei principi fondamentali, della trasparenza, del confronto concorrenziale, della

parità di trattamento, della buona spesa pubblica, ma si deve anche controllare e verificare

che l'opera si realizzi effettivamente nei termini prefissati, che il servizio affidato sia gestito

nella realtà quotidiana nell'interesse dei cittadini. Per fare questo la stazione appaltante non si

deve limitare a controllare se sono state rispettate le regole che disciplinano il settore, ma

deve controllare che il suo interlocutore - la parte privata cui si affida il lavoro o il servizio -

abbia le capacità economiche e imprenditoriali per realizzare ciò che ha promesso di fare;

deve controllare anche che l’intervento programmato si situi in un contesto sociale adeguato e

non sia un corpo estraneo, determinando crisi di rigetto sostanzialmente impeditive. In poche

parole deve controllare che l’obiettivo che ci si è prefissi sia effettivamente raggiunto nei

termini e con le modalità previste.

Per fare questo non si può far altro che contrattare, occorre confrontarsi con la

controparte, che è un imprenditore, in una posizione sostanzialmente paritaria per definire

insieme le scelte progettuali ed esecutive più idonee nel caso di specie. Si deve avere altresì la

capacità, la professionalità per controllare in continuum che ciò che è stato concordato in un

confronto leale, nel quale sono stati analiticamente individuati e definiti in tutti i momenti le

fasi della progettazione e della esecuzione, sia effettivamente realizzato. Ed ove si rivelino

inadempienze, anche lievi, deve possedere la capacità di sanzionarle in termini non nominali.

E' una logica diversa rispetto a quella che noi abbiamo conosciuto e gestito sino ad oggi. E'

una logica rispetto alla quale è facile avanzare il dubbio sulla possibilità di effettivamente

attuarla.

Ed è su questo punto che vorrei brevemente soffermarmi ancora. La nostra pubblica

amministrazione in oggi non è adeguata ad essere un interlocutore con le caratteristiche cui

sommariamente ho fatto cenno. Non è adeguata in particolare perché ogni qualvolta si tratta

di assumersi una precisa responsabilità operando scelte che sono sostanzialmente

discrezionali ,nell’ambito dell’ineludibile confronto con l'impresa, vi è un sostanziale rifiuto

di decidere che viene mascherato facendo ricorso – rifugiandosi – nel rispetto delle regole

90

formali . Per assumersi responsabilità occorre essere “forti”: avendo la disponibilità di

conoscenze tecniche elevate, disponendo di un’onorabilità reale conquistata sul campo,

essendo capaci nel momento in cui ci si confronta con le imprese di avere le stesse capacità,

quantomeno conoscitive, cha ha l'impresa al fine di evitare di essere “catturati”. Un forte

patrimonio di conoscenze tecniche e nel contempo una capacità di contrattare assumendosi le

relative responsabilità sono paradigmi che non sono propri delle nostre pubbliche

amministrazioni.

Se vogliamo recepire le direttive di cui ci occupiamo dobbiamo dotarci di una diversa

organizzazione amministrativa. Si discute quale potrebbe essere questa diversa

organizzazione: si ipotizza una concentrazione delle stazioni appaltanti; Alberti ricordava

l’introduzione di un sistema di incentivi/disincentivi; le soluzioni in campo sono molte e il

confronto è aperto.

Ogni scelta dovrà confrontarsi con una normativa parallela ed altamente

condizionante: la legislazione anticorruzione. Questo insieme normativo si muove in una

logica per molti versi opposta; basti un solo esempio: al fine di prevenire possibili reati si

prevede un forte turn over da parte dei funzionari responsabili di contrattare per la pubblica

amministrazione, al contrario occorrerebbe che chi è preposto ad ufficio possa continuare ad

occuparlo per periodi sufficienti ad acquisire la professionalità richiesta, che, come si è detto,

non si risolve nella mera conoscenza delle regole giuridiche. A ben vedere un frequente turn

over è possibile ove la preparazione dei funzionari preposti ai diversi settori sia

intercambiabile e tale è solo ed esclusivamente sotto il profilo giuridico. Sono problematiche

complesse che possono essere risolte soltanto se si pone mano effettivamente alla

organizzazione della pubblica amministrazione e non soltanto alla definizione di regole

giuridiche.

C'è un altro profilo sul quale vorrei richiamare l’attenzione; in questo caso non di

carattere organizzatorio, ma strettamente giuridico. In tutti gli interventi è emersa in modo

molto netto la natura contrattuale dei rapporti che si instaurano tra la pubblica

amministrazione e l'appaltatore o il concessionario. Siamo in presenza di contratti. Noi siamo

abituati a gestire questi contratti sulla base di una loro ricostruzione che comunemente

definiamo a doppio stadio: una fase pubblicistica e una fase privatistica . Ma quali sono i

perché di questa ricostruzione? La sola motivazione credibile discende dalla peculiare

articolazione del nostro sistema di giustizia nei confronti delle pubbliche amministrazioni: la

91

fase pubblicistica è sostanzialmente rimessa a un giudice che può conoscere del rapporto

dedotto solo sulla base di un ricorso di impugnazione, di un atto (sia il provvedimento

conclusivo, sia gli atti che l’hanno preceduto, sia lo stesso bando di gara) che deve essere

contestato sotto il profilo della sua legalità formale e soltanto sotto questo profilo.

Un processo di impugnazione mal si coniuga con l'esistenza di rapporti contrattuali

paritari per i quali la verifica giudiziaria deve inserirsi a pieno titolo sul rapporto giuridico in

tutte le sue componenti. Non si tratta soltanto di verificare se la legge è stata rispettata, ma

anche se le pattuizioni intervenute sono proprie e congruenti rispetto all’obiettivo perseguito,

che si sostanzia nella effettiva realizzazione dell’opera; gli stessi poteri del giudice dovranno

essere omogeni rispetto a questo obiettivo e non risolversi in un sterile annullamento di un

atto amministrativo.

La ovvia conseguenza di quanto si viene dicendo comporta una modificazione del

sistema processuale. Modifiche che non mirano a sottrarre la competenza al magistrato

amministrativo, del quale deve essere sempre più valorizzata la vocazione quale giudice della

pubblica amministrazione, ma a indurlo ad essere il momento di verifica giudiziale non di un

atto amministrativo, ma di un rapporto contrattuale. E’ problematica complessa ma ormai

assai approfondita a livello scientifico e politico; le soluzioni ipotizzate sono molteplici e

trovano, forse, l’espressione maggiormente operativa nell’ampliamento della giurisdizione

esclusiva. Anche in questi casi tuttavia non si può non rilevare la grane “fatica” che incontra il

Magistrato ammnistrativo a rinunciare alla logica dell’impugnazione. Siamo di fronte a un

problema culturale di non agevole soluzione, ma essenziale per garantire ai cittadini una

amministrazione legale ed efficiente.

Chiudo con l'ultima considerazione. Oggi abbiamo un codice degli appalti: il codice

De Lise. E’ un insieme normativo che mi pare estraneo alla logica delle nuove direttive. Si

parla di un'abolizione del codice e di una ricezione delle direttive secondo un modello, come

ricordava la prof.ssa Vipiana, a maglie larghe: non una normativa eccessivamente dettagliata.

Recepimento che potrebbe utilmente essere accompagnato all’emanazione di circolari,

suggerimenti, direttive, contratti tipo, cioè di una normazione di rango inferiore non

vincolante che possa essere d'aiuto alle pubbliche amministrazioni. Non dobbiamo

dimenticare che il codice De Lise non solo ha recepito le vecchie direttive comunitarie ma le

ha anche aggravate. Le nuove direttive comunitarie che stiamo commentando si muovono

secondo logiche del tutto diverse ed escludono espressamente un aggravamento dei vincoli ,

92

privilegiando il confronto con il privato e la garanzia dell’ottenimento nella realtà concreta del

risultato perseguito con l’affidamento .

C’è sicuramente molto lavoro da fare: non solo in Parlamento e nel Ministero per

definire le normative, ma anche nel ripensare un diverso modo di fare amministrazione e di

verifica in sede giustiziale della sua correttezza .

93

PARTE SECONDA

COMUNICAZIONI

95

SOCIETÀ IN-HOUSE PROVIDING E GIURISDIZIONE DELLA CORTE DEI

CONTI

Maria Pia Giracca

(Dottore di ricerca in diritto amministrativo)

SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. - 2. L'orientamento della Corte di

Cassazione sulla giurisdizione contabile in tema di “in-house”. - 3. La critica in dottrina. - 4.

Considerazioni conclusive.

1. Considerazioni introduttive

L’in-house providing costituisce una parte rilevante del fenomeno delle Società

Pubbliche66

.

66

Il modello é noto anche come “affidamento diretto” e presenta varie sfaccettature: 1) si

colloca nel contesto delle società pubbliche e in quanto tale incrocia discipline pubblicistiche e

privatistiche, segnatamente di diritto commerciale; 2) rappresenta un'eccezione al principio della

concorrenza, cardine del TFUE all'art. 106; 3) é uno dei modelli di gestione dei servizi pubblici locali

quindi riveste un ruolo di primo piano nell'organizzazione amministrativa. Il fenomeno ha origine

nella giurisprudenza comunitaria ove sono stati numerosi gli interventi della Corte di Giustizia dettati

dall'esigenza di procedere a specifici affinamenti e limature dei principi orginariamente enucleati.

Oggi la materia trova una esplicita codificazione a seguito delle nuove Direttive UE sugli appalti

pubblici e sull'aggiudicazione dei contratti di concessione del 26 febbraio 2014 n. 2014/24/UE (art. 12

settori ordinari); n. 2014/23/UE (art. 17 settori speciali); n. 2014/25/UE (art. 28 concessioni) che

indicano i requisiti: 1) il c.d. controllo analogo; 2) l’attività prevalente della società svolta nei

confronti dell'ente pubblico socio (soggetto controllante) nella misura dell’80 % (secondo le nuove

direttive); 3) la composizione della compagine societaria con il requisito della totale partecipazione

pubblica (con ammissibilità, secondo le direttive del 2014, di una apertura al capitale privato, purché

sia connotata dall’assenza di poteri di influenza sulla gestione della Società), per un approfondito

commento si vedano: C. VOLPE, L’affidamento in house di servizi pubblici locali e strumentali:

origine ed evoluzione più recente dell’istituto alla luce della normativa e della giurisprudenza

europea e nazionale, in www.giustamm.it, n. 3/2014; C. CONTESSA, L'in house providing 15 anni

96

Come ogni altro tipo di società, le società in-house sono soggette al diritto comune e

dunque alle disposizioni dettate dal codice civile67

, ma, in quanto species del genus “società

pubbliche”, sono rette anche da un regime particolare68

.

A tal proposito, uno dei profili di maggiore interesse e attualità, emerso nell'ambito del

dibattito dottrinario e giurisprudenziale sui caratteri delle società in-house, pare la

sottoponibilità alla responsabilità per danno erariale dei suoi amministratori (per i danni subiti

dagli enti pubblici partecipanti al capitale sociale della medesima).

In assenza di specifiche previsioni normative sul punto, la giurisprudenza é stata

chiamata a pronunciarsi sul tema.

La Corte di Cassazione ha sostanzialmente confermato l'indirizzo prevalente69

,

secondo cui le società pubbliche sono soggette alla giurisdizione del Giudice ordinario e ha

introdotto un'eccezione espressa per le società in-house, motivandone la soggezione alla

giurisdizione della Corte dei conti, qualora si profilino ipotesi di mala gestio.

In altri termini, secondo l'orientamento che sarà di seguito esaminato70

, le “società

pubbliche” sono assoggettate al regime di “diritto comune” e quindi alla giurisdizione del

Giudice ordinario, mentre le “società in-house”, pur appartenendo al genus delle società

dopo: cosa cambia con le nuove direttive, in C. CONTESSA e D. CROCCO, Appalti e concessioni. Le

nuove direttive europee, Dei, 2015. 67

Si pensi all'esplicita voluntas legis di cui all'art. 4, comma 13, d.l. 95/2012 (l. conv.

135/2012), secondo “le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere

speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso

che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la

disciplina del codice civile in materia di società di capitali”. 68

Come sottolinea G.F. FERRARI, “In House Providing, rinnovi e proroghe”, pubblicato nella

presente rivista p. 73 ss., al cui contributo si rinvia per una dettagliata descrizione del fenomeno e dei

caratteri. 69

Tale orientamento era stato inaugurato da Cass., sez. un., 19 dicembre 2009, 26806, su cui si

rinvia al commento di C. IBBA., Responsabilità degli amministratori di società pubbliche e

giurisdizione della Corte dei Conti, in Giur. Comm., 2012, I, 641 ss..; per altri contributi vedasi V.

TENORE, La giurisdizione della Corte dei Conti sulle s.p.a. a partecipazione pubblica, in Foro amm.

- Cds (II), fasc. 1, 2010, 92 ss.,; S. SALVAGO, La giurisdizione della Corte dei Conti in relazione

alla posizione dei soggetti responsabili ed a quella degli enti danneggiati, in Giust. civ., fasc. 11,

2010, 2505 ss.; L. E. FIORANI, Le azioni di responsabilità nelle società a partecipazione pubblica, in

Giur. comm., fasc. 2, 2011, 315 ss.; M. SINISI, Responsabilità amministrativa di amministratori e

dipendenti di s.p.a. a partecipazione pubblica e riparto di giurisdizione: l'intervento risolutivo delle

Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in Foro amm. - C.d.S, II, fasc. 1, 2010, 77 ss.. 70

Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283, in Dir. Giust., 2013, con nota di E. BRUNO,

Società a partecipazione pubblica…tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione contabile; in Giur.

Comm., 2014, fasc. 1, 13 ss., con nota di C. IBBA, Responsabilità erariale e società in house; in Foro

amm., fasc. 10, 2014, 2498 ss., con nota di M. DI LULLO, Responsabilità degli amministratori di

società a partecipazione pubblica e giurisdizione della Corte dei Conti: (soltanto) le società “in

house” che gestiscono servizi pubblici sono pubbliche amministrazioni?

97

pubbliche, da questa differiscono per taluni caratteri che sono ritenuti poter fondare la

giurisdizione della Corte dei conti.

Tale impostazione non é unanimemente condivisa in dottrina poiché pare collidere in

maniera insanabile con i principi della materia societaria che governano le società pubbliche.

Nell'indagare, sia pure sinteticamente, gli argomenti offerti dalla giurisprudenza della

suprema Corte, non é possibile trascurare le perplessità sollevate dalla dottrina, specie per le

deroghe alle regole del diritto commerciale e in ordine all'impatto che l'interpretazione

proposta dalla Corte può generare sul piano applicativo.

Per meglio cogliere le ragioni della differente prospettiva, pare opportuno ricordare

che l’in-house providing é fenomeno di origine giurisprudenziale (comunitaria) a partire dalla

sentenza Teckal71

, che si è preoccupata di dettare le condizioni necessarie affinché si possa

legittimamente derogare alla gara pubblica e procedere all'affidamento diretto a soggetti

facenti capo all'aggiudicatore (ossia “in-house”), attingendo dalle proprie risorse interne,

senza ricorrere a terzi tramite gara, ossia senza ricorrere al mercato.

In assenza di una espressa disciplina positiva72

le direttive europee indicano ora i

requisiti in presenza dei quali il c.d. “affidamento diretto” é legittimo, restando

impregiudicato il diverso problema delle forme giuridiche utilizzabili (il che comporta, nel

diritto interno, l'applicazione delle regole del diritto societario, laddove compatibili).

Si confida pertanto che il legislatore nazionale, in sede di recepimento delle direttive

Ue, consideri le peculiarità del fenomeno in-house, sforzandosi di tipizzarne gli strumenti di

tutela per il caso di danni cagionati al suo patrimonio. In questo modo le perplessità della

dottrina civilistica potrebbero essere superate e la Corte dei conti potrebbe vedere

legislativamente (e non solo in via interpretativa ad opera della Corte di Cassazione)

legittimato il suo intervento per le ipotesi di mala gestio.

71

Come ricorda G. F. FERRARI, op. ult. cit., richiamando la Sentenza 18 novembre 1999,

Causa c-107/98, Teckal s.r.l. contro Comune di Viano e Azienda Gas – Acqua consorziale (AGAC) di

Reggio Emilia. 72

La disciplina nazionale in materia di società in house é tra le più altalenanti confuse e

contraddittorie avendo mostrato incertezze e oscillazioni tra norme volte al recepimento di indirizzi

comunitari e norme tese al ridimensionamento del fenomeno (specie nel contesto di interventi di

riduzione della spese pubblica e di lotta agli sprechi e abusi, spesso associati al fenomeno delle società

pubbliche).

98

2. L'orientamento della Corte di Cassazione sulla giurisdizione contabile in tema di

“in-house”

La Corte di Cassazione, sulla scorta dell'indirizzo avviato nel 200973

(che aveva

ammesso la giurisdizione contabile solo se il danno fosse arrecato “direttamente” al socio

pubblico mentre la aveva negata se si fosse trattato di danno arrecato ad una società con

partecipazione pubblica), aveva argomentato in modo molto chiaro che, in ipotesi di danno

arrecato al patrimonio di una società a partecipazione pubblica, non sussiste la giurisdizione

della Corte dei conti ma quella del giudice ordinario74

.

A partire dalla successiva sentenza75

la Suprema Corte ha, tuttavia, evidenziato le

ragioni di una evoluzione da tale impostazione con specifico riguardo alle società in-house.

Si individuano nelle motivazioni due dati essenziali che connotano il rapporto in-

house: il c.d. “controllo analogo” (che implica “subordinazione gerarchica” tra enti e quindi

configura un “rapporto di servizio” tra gli amministratori della società in-house e la PA) e la

mancanza di “alterità tra società in house e ente pubblico socio”. In presenza di tali requisiti,

il danno arrecato al patrimonio sociale della società in-house é danno arrecato direttamente

all'amministrazione pubblica, ossia al patrimonio pubblico, dunque é, tecnicamente, “danno

erariale”.

Secondo la Corte, é irrilevante la natura del soggetto che abbia cagionato il danno

poiché tali enti avrebbero della società solo la “forma esteriore”, costituendo in realtà,

“articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano” e non “soggetti giuridici ad

essa esterni e da essa autonomi”.

Si specifica, inoltre, che il danno inferto al patrimonio della società in-house (per

condotte illecite di amministratori, cui possa avere contribuito un colpevole difetto di

vigilanza imputabile agli organi di controllo), sarebbe “arrecato ad un patrimonio

(separato76

, ma pur sempre) riconducibile all'ente pubblico: é quindi un danno erariale, che

73

Si rimanda alla nota n. 5 del presente contributo. 74

Cass., sez. un., 2 settembre 2013, n. 20075, in Diritto e Giustizia on line, fasc. 0, 2013, 1202,

con nota di E. VITERBO, Al Giudice Ordinario l'azione di risarcimento dei danni subiti da società

pubbliche per effetto delle condotte illecite degli amministratori. 75

Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283, in Giur. Comm., 2014, fasc. 1, 13 ss.; con nota

di C. IBBA, Responsabilità erariale e società in house. 76

In realtà la separazione del patrimonio nel nostro ordinamento é fenomeno caratterizzato dal

vincolo di destinazione specifico e la possibilità convenzionale di creare patrimoni separati é preclusa

all'autonomia privata dall'art. 2740 c.c. che consente la deroga solo per espressa previsione legislativa.

99

giustifica l'attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla relativa azione di

responsabilità”.

Il cuore del ragionamento delle Sezioni unite é volto a fare comprendere le ragioni

della indicazione a favore della Corte dei conti delle azioni di responsabilità nelle società in-

house.

Dopo avere chiarito che le società in-house, pur rivestendo la forma di società private

sono, di fatto, strutturate e gestite come soggetti pubblici a tutti gli effetti, si conclude che

trattasi di “articolazioni interne della PA”. Dunque non é possibile tenere nettamente distinto

il patrimonio sociale privato e il patrimonio pubblico, in quanto il patrimonio sarebbe uno

solo. Per effetto diretto, ogni atto gestorio si riflette sul patrimonio pubblico e ciò determina la

giurisdizione della Corte dei conti77

.

A conferma di tale orientamento giurisprudenziale meritano di essere ricordate le

sentenze successive a Sezioni unite.

Una prima pronuncia78

argomentando dal dato che la società in-house non avrebbe

autonomia patrimoniale, essendo gestita dall'ente pubblico socio, afferma la giurisdizione

contabile solo quando possa dirsi “superata la autonomia della personalità giuridica rispetto

all'ente pubblico”.

Nella stessa linea, si é affermato che, se al momento della condotta illecita la società

non era in-house, non rileva che lo sia divenuta dopo, e la verifica si effettua sulla base dello

statuto societario79

. Con l'occasione la Suprema Corte ha precisato anche un altro importante

Si é così osservato che “i giudici di legittimità avrebbero così coniato in via giurisprudenziale e senza

una previsione normativa una sorta di patrimonio separato, destinato ad uno specifico affare (la

gestione del servizio pubblico) sulla scorta della previsione di cui all'art. 2447 bis c.c.”, così F.

FIMMANÒ, Le società in house tra giurisdizione responsabilità e insolvenza in Crisi d'impresa e

fallimento, 2014, 44 e in Rivista “Gazzetta Forense” n. 1, 2014, 12 ss. a cura dell'Università

Telematica di Pegaso. 77

Infatti nel diritto societario il danno cagionato da organi sociali é danno al patrimonio sociale

(ossia un evento interno e privato), di cui gli organi sociali rispondono ai soci, ai creditori, al terzi

secondo le regole dettate dal codice civile. Il danno erariale si profila, invece, quando ad essere colpito

non é il patrimonio sociale privato della società ma il patrimonio pubblico che, a tutti gli effetti, é il

patrimonio di una società in house. Tale danno può derivare da mala gestio di organi sociali ma anche

da singoli soci nel caso in cui omettano di esercitare diritti determinando la riduzione della quota

sociale. 78

Cass., sez. un., 10 marzo 2014, n. 5491, in Dir giust. 2014 e in Foro amm, 2014, 5, 1391,

(s.m.). 79

Cass., sez. un., 26 marzo 2014, n. 7177 in Foro amm. 2014, 6, 1669 e in Dir. Giust., fasc. 0,

2014, 333, con nota di .E. BRUNO, L'attività delle società in house può finire sotto la lente della

Corte dei Conti, secondo cui “la Corte dei Conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità

esercitata dalla Procura della Repubblica presso detta Corte quando tale azione sia diretta a far valere

100

profilo in ordine ai rapporti tra giurisdizione contabile e ordinaria (civile e penale)

evidenziandone la “indipendenza”80

.

Nel caso del danno arrecato al patrimonio di Anas s.p.a.81

le Sezioni unite hanno

aggiunto un ulteriore elemento di valutazione per incardinare la giurisdizione contabile,

osservando che, pur non appartenendo Anas al novero delle società in-house, essa é pur

sempre inquadrabile nella nozione di ente pubblico82

.

Recentemente, le Sezioni unite hanno nuovamente affrontato la questione relativa alla

azione di risarcimento del danno subito da una società a partecipazione pubblica per effetto di

condotte illecite di amministratori o dipendenti.

In un primo caso83

si é ribadito che compete al Giudice ordinario la giurisdizione per

le società partecipate, bastando a tale riguardo osservare che queste società non si sottraggono

alla disciplina dettata dal codice civile, come può arguirsi dall'art. 2449 c.c.. e che le azioni

sociali di responsabilità sono esperibili a norma degli artt. 2392 e 2393 c.c.. Ne discende

l'impossibilità di configurare come “erariali” danni che restano esclusivamente della società84

.

la responsabilità degli organi sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house,

per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici

servizi, di cui esclusivamente tali enti possano essere soci, che statutariamente esplichi la propria

attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme

di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici”. 80

Si enuncia, infatti, che c'é “indipendenza tra giurisdizione civile e penale rispetto a quella

contabile perché l'eventuale interferenza genera una questione di proponibilità dell'azione e non di

giurisdizione” richiamando Cass. 26659/2014. In altri termini o la società é in house e allora c'é

giurisdizione della Corte dei Conti per mala gestio non lo é e quindi la giurisdizione é del giudice

ordinario. 81

Cass., sez. un., 9.07.2014, n. 15594, in www.altalex.it con nota di R. BIANCHINI, L'Anas

rientra nell'ambito della giurisdizione della Corte dei Conti; per un approfondimento si veda M. DI

LULLO, op. ult. cit., 82

Una serie di indici sono anche il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, l'attribuzione di

funzioni pubbliche e la chiusura ex lege alla partecipazione al capitale privato, per confermare la

natura di ente pubblico che viene eretto a ulteriore fattore idoneo a incardinare la giurisdizione

contabile. 83

Cass., sez. un., Ordinanza 24.03.2015, n. 5848, con nota di A. BASSO, Spetta al Giudice

Ordinario l'azione di responsabilità sugli organi sociali di una s.p.a. “ordinaria” in Dir. Giust., fasc.

13, 2015, 42. Il caso riguarda l'iniziativa di un legale rappresentante pro tempore che cita in giudizio

innanzi al Giudice Ordinario ex amministratori e sindaci di una s.p.a. (divenuta nel frattempo

totalmente partecipata dal Comune e dunque divenuta in house a seguito di modifiche statutarie) per

danni causati al patrimonio della società dalla loro condotta di mala gestio e omesso controllo

sull'operato degli amministratori. 84

Le Sezioni unite puntualizzano, tuttavia, che, a diverse conclusioni, quanto alla sussistenza

della giurisdizione contabile, si é pervenuti nel caso di iniziative del PM nei confronti di organi delle

società in house, longa manus dell'ente pubblico in ragione dell'esistenza del controllo analogo a

quello delle proprie articolazioni interne e di una attività svolta in favore prevalente dell'ente stesso.

101

In un secondo caso85

il carattere imprenditoriale e le finalità perseguite dalla società

Cinecittà Holding hanno condotto ad escludere tout court che possa discorrersi di “attività

amministrativa”, onde l'accertamento della responsabilità degli amministratori non può che

essere devoluto al Giudice ordinario86

.

Tutte le argomentazioni enunciate confermano la sensazione che si sia creata, in via

interpretativa, una deroga espressa alle regole del codice civile in materia societaria (così

come accaduto per il caso Rai s.p.a.87

) poiché nessuna norma di legge prevede le soluzioni

proposte.

3. La critica in dottrina

Come anticipato, la Corte di Cassazione ha sentito il dovere di intervenire a colmare

una lacuna. L'obiettivo di proteggere l'erario dalla diffusa mala gestio degli organi sociali di

società “strumentali” di enti pubblici ha suggerito di affidare alla Corte dei conti l'indagine su

eventi dannosi compiuti da amministratori di società in-house.

Stante la vicinitas tra gli amministratori di una società in-house e i soggetti pubblici

che controllano (in qualità di soci) tale ente, era, infatti, prevedibile una sostanziale inerzia a

fronte di danni cagionati al patrimonio sociale di una società che é, secondo l'interpretazione

proposta dalla Cassazione, longa manus di un ente pubblico e quindi, di fatto, ha un

patrimonio pubblico.

85

Cass., sez. un., 21 luglio 2015, n. 15199 in cui si é esclusa la giurisdizione della Corte dei

conti atteso che la società Cinecittà Holding (costituita all'esito di trasformazione dell'Ente Autonomo

Gestione per il Cinema ex lege 202/1995 con capitale interamente pubblico), pur soggetta a preganti

atti di indirizzo e vigilanza e a pregnanti controlli sulla gestione societaria da arte del Ministero per le

attività culturali e pur essendo soggetta al controllo della Corte dei conti ex art. 12 l. 259/1958 non

esercitava per destinazione statutaria un'attività esclusiva o prevalente a favore della Pa, attività da

definirsi pertanto d'impresa. 86

Si afferma infatti che la giurisdizione della Corte dei conti richiede l'esistenza di

imprescindibili condizioni: 1) la società a totale partecipazione pubblica; 2) la destinazione statutaria

volta ad operare in via esclusiva o prevalente in favore della PA partecipante; 3) l'esistenza del

controllo analogo. 87

Nel caso della Rai s.p.a. (Cass. 22 dicembre 2009, n. 27092, ord., sulla quale si rinvia a

PACE, La Corte di Cassazione ignora la storia, disapplica la legge e qualifica la Rai «ente pubblico»,

in Giur. cost., 2010, 4036 ss.) le cui peculiarità erano tali da includerla nel novero degli enti pubblici

nonostante l'abito formale di s.p.a., si é ricavata la qualificabilità come erariale del danno cagionatole.

Si é sottolineato che la deviazione creata per le società in house allontana dall'orientamento precedente

nel quale le eccezioni erano state limitate a fattispecie bene diverse, sul punto si rinvia a C. IBBA,

Responsabilità erariale e società in house in Giur. Comm., 2014, fasc. 1, 13 ss..

102

L'impostazione della giurisprudenza (civile e contabile)88

non é condivisa dalla

dottrina civilistica che rileva come le categorie concettuali e sistematiche di diritto pubblico e

comunitario, che governano il fenomeno in house, non siano applicabili in maniera diretta al

diritto commerciale.

Vi é chi ha sostenuto che “una società di capitali – anche quando sottoposta a controllo

totalitario dell'ente ed in possesso dei requisiti del c.d. in house – sia pur sempre un soggetto

che svolge attività di diritto privato ed eroga servizi con la veste giuridica propria

dell'imprenditore commerciale”89

.

Seguendo tale indirizzo, sarebbe indubitabile che la società conservi una distinta

personalità giuridica che impedisce di affermare l'assenza di “alterità soggettiva tra socio e

società”, come invece ha sostenuto, in via interpretativa, la Suprema Corte.

Si perviene, così, alla drastica considerazione che “delle due l'una: o si trova una

norma di legge espressamente legittimante tali profonde deroghe” ovvero le società in-house

“sono invalide, per violazione dell'ordine pubblico societario”90

.

Vi é chi ha definito la società in house, come delineata dalle sezioni unite (ossia intesa

come “articolazione organizzativa dell'ente”, posta in una situazione di “delegazione

organica o addirittura di subordinazione gerarchica”), vero e proprio “mostro giuridico” con

l'effetto di produrre la disapplicazione dei principi inderogabili del diritto commerciale.

È certamente condivisibile l'osservazione che la “mancanza di alterità soggettiva”

equivale a dire che la società in-house coincide con l'ente pubblico, ma tale conclusione

genera conseguenze troppo rilevanti sul piano applicativo91

.

88

Nel solco tracciato dalla Suprema Corte di Cassazione, si inserisce da ultimo Corte dei conti,

sezione centrale d'Appello, 24.03.2015, n. 249, che ha, addirittura, affermato che che il discrimine

unico per la propria giurisdizione sia la presenza di capitale pubblico in un organismo,

indipendentemente dalla forma pubblica o privata che lo stesso rivesta. Ne deriva che anche nelle

società “non in house” secondo la Corte dei Conti la partecipazione pubblica di per sé comporta la

necessità di “tutelare l'integrità economica e complessiva del sistema paese”. 89

E. CODAZZI, Società in mano pubblica e fallimento, in Giur comm., fasc. 1, 2015, 74 ss.. 90

E. CODAZZI, op. ult. cit. 91

Le conseguenze più rilevanti sono: 1) non applicabilità dello Statuto dell'imprenditore

commerciale; 2) l'esenzione ai sensi dell'art. 1 della legge fallimentare dalla sottoponibilità a

fallimento e concordato preventivo; infine 3) si é osservato che “il passaggio successivo naturale é

che la responsabilità delle obbligazioni sociali é dell'ente pubblico (…) inevitabilmente i creditori

sociali della società in house divengono creditori dell'ente pubblico verso cui possono agire in via

diretta (…) il risultato sarebbe esattamente opposto a quello che ha spinto la Corte ad intervenire”,

così F. FIMMANÒ, op. ult. cit..

103

L'interpretazione proposta dalla giurisprudenza stride in particolare considerando che

il legislatore si é mosso nella direzione opposta con l'art. 4, comma 13, del d.lgs. 95/2012

convertito nella legge 135/201292

.

4. Considerazioni conclusive

L'orientamento della Corte di Cassazione, favorevole alla giurisdizione contabile per

le società in-house, nasce dalla sollecitazione delle Procure contabili. La preoccupazione che

gli enti locali non assumano iniziative, innanzi al Giudice ordinario, volte a sanzionare

fenomeni di mala gestio di organi societari da questi controllati pare, in effetti, più che

fondata.

Altrettanto condivisibile é l'osservazione che la strada più semplice sarebbe stata la

creazione di un tipo di società c.d. in-house disciplinata dalla legge, cui applicare regole, per

le ipotesi di mala gestio, in deroga al diritto comune e in particolare ai principi del diritto

commerciale.

Invece la soluzione proposta dalla giurisprudenza (che affida come visto alla Corte dei

conti la giurisdizione sulle azioni di responsabilità nelle società in-house in via interpretativa)

riguarda una fattispecie che deve essere oggetto di valutazione, caso per caso, per verificare se

si sia al cospetto di tutti caratteri dell'in-house93

.

È di tutta evidenza, nel presente contesto, il contributo offerto dalle nuove direttive Ue

2014, che indicano, per la prima volta, precisi indici normativi per identificare il fenomeno,

che ora si può dire codificato, pur in assenza di una precisa definizione di società in-house94

.

92

Secondo l'art. 4, comma 13, del d.lgs. 95/2012, convertito nella legge 135/2012, “le

disposizioni anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione

pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe

espresse, si applica comunque alle società a partecipazione pubblica la disciplina del codice civile in

materia di società di capitali”. 93

Nel caso oggetto della pronuncia a sezioni Unite n. 26283/2013 la valutazione era stata

compiuta da giudice in primo grado e non é più stata contestata. 94

Le direttive UE 2014 non parlano mai esplicitamente del fenomeno “in house”, ma lo

regolano nei tre casi di aggiudicazione appalti (Dir. 2014/24/UE) concessioni tra enti (Dir.

2014/23/UE) e appalti nei settori speciali (Dir. 2014/25/UE), stabilendo che non rientra nell'ambito di

applicazione del nuovo corpus di regole un affidamento di servizio tra un'amministrazione

aggiudicatrice e una persona di diritto pubblico o privato se sussistono i requisiti ivi indicati.

104

Le considerazioni sin qui svolte consentono di affrontare una questione che, con ogni

probabilità, si presenterà in sede di recepimento95

e di applicazione delle nuove direttive96

.

Si tratta di verificare se sia possibile che il legislatore, in sede di recepimento delle

direttive, definisca le forme di tutela per i danni cagionati al patrimonio da amministratori di

società in-house.

Viene spontaneo domandarsi se, per il legislatore nazionale, possa essere l'occasione

per tradurre il principio già consolidatosi a livello giurisprudenziale, in una norma che delinei

esplicitamente la Corte dei conti come giudice delle società in-house per le ipotesi di condotte

illecite di amministratori, così legittimando la deroga al diritto societario comune.

Peraltro un siffatto intervento pare compatibile sia con l'ordinamento comunitario

(nella misura in cui non viola il canone della apertura concorrenziale) sia con l'ordinamento

nazionale (che assoggetta tutte le società a totale o parziale partecipazione pubblica al Giudice

ordinario) perché consente di prevedere ex ante le conseguenze per la mala gestio all'interno

di società in-house.

Istituzionalizzare, per così dire, l'orientamento su cui la Suprema Corte pare non più

volere arretrare, contribuirebbe altresì a fare chiarezza nella giurisprudenza di merito che,

sulla scorta della equiparazione con la natura di ente pubblico per la società in house97

, é

giunta a negarne la fallibilità in quanto sarebbero esonerate ex art. 1 della legge fallimentare98

.

95

Il ddl di recepimento é all'esame della commissione Lavori Pubblici del Senato e il termine

per il recepimento é fissato al 17 aprile 2016. 96

Il Consiglio di Stato in sede consultiva (Cons. Stato, sez. II, Parere 30 gennaio 2015, n. 298)

ha ritenuto che la Direttiva 2014/24/UE contiene “disposizioni di compiutezza tale darle ritenere self-

executing, avendo indubbiamente contenuto incondizionato e preciso” (in conformità alle

caratteristiche delineate ai fine di tale qualificazione da Cass. sez. un., 13676 del 25.02.2014). Il

quesito aveva ad oggetto la “possibilità di affidamento “in house” di prestazioni di servizio nel campo

dell'informatica per il sistema universitario, della ricerca e scolastico, da parte del Ministero

dell'Università e della ricerca scientifica in via diretta al Cineca Consorzio Interuniversitario”. Si é,

tuttavia, osservato in senso critico (cfr. R. INVERNIZZI, “Commento alla Direttiva 2014/25/UE

relativa agli appalti nei settori speciali” pubblicato nella presente rivista p. 29) che “prima di reputare

direttamente applicabili le norme delle direttive 2014/25/UE necessita quantomeno che il relativo

termine vada a scadenza e che frattanto entro esso non sia intervenuto il recepimento ad opera dello

Stato membro”, rinviando per una più compiuta ed equilibrata ricostruzione degli effetti delle direttive

non ancora recepite a C. Stato, sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660. 97

Come si é osservato FIMMANO', op. cit., 56, i giudici della Cassazione, pur radicando la

giurisdizione della Corte dei Conti, avevano posto un argine insuperabile alla c.d. Riqualificazione,

ossia alla attribuzione alla società partecipata della qualifica di ente pubblico. 98

Trib. Napoli 9 gennaio 2014, in www.ilcaso.it, secondo cui “se é vero che gli enti pubblici

sono sottratti al fallimento, ciò varrà anche per la società in house integralmente partecipata dagli

stessi”; Trib. Verona, 19 dicembre 2013, in www.ilcaso.it che, ritenendo la struttura delle società in

house totalmente riconducibile a quella degli enti pubblici, estende loro l'esenzione dell'art. 1 legge

105

Ne risulterebbe chiarita e valorizzata la disciplina applicabile alle società pubbliche

(per le quali opera la disciplina comune), circoscrivendo, in maniera chiara, l'ipotesi di deroga

(condotte illecite in società in-house). L'eccezione sarebbe condivisibile non solo in quanto

proposta in via interpretativa dalla Suprema Corte ma anche perché regolata dal legislatore in

sede di recepimento.

fallimentare dalle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo; di segno opposto si veda

Trib. Pescara 14 gennaio 2014 in www.ilcaso.it, che sancisce l'assoggettabilità a concordato preventivo

delle società in house, rilevando che non mutano la loro natura di soggetto di diritto privato solo

perché gli enti pubblici ne posseggono le azioni; anche Trib. Nola, 30 gennaio 2014 in www.ilcaso.it

ha decretato l'ammissione a concordato preventivo di una spa interamente controllata dal Comune per

mancanza di uno dei requisiti del controllo analogo; Trib. Modena 10 gennaio 2014 in www.ilcaso.it

ha ammesso una srl in house a concordato preventivo ritenendo che “rimane valido il principio della

assoggettabilità alle procedure concorsuali delle imprese che abbiano assunto la forma societaria

iscrivendosi nell'apposito registro e quindi assumendo volontariamente la disciplina privatistica”.

107

RECENTI INDIRIZZI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI APPALTI E

CONCESSIONI. IN PARTICOLARE: LE INDICAZIONI DELL’ADUNANZA PLENARIA

DEL CONSIGLIO DI STATO

Alessandro Paire

(Dottore di ricerca in diritto pubblico)

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria. Fattispecie

(nuove ed antiche) di particolare interesse. - 3. Segue. - 4. Spunti conclusivi.

1. Premessa

Le presenti «minime» osservazioni si propongono di richiamare sinteticamente le

indicazioni maggiormente significative rese dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nel

corso dell’anno 2014, e dei primissimi mesi dell’anno 2015, in materia di appalti e

concessioni.

Nell’ambito di una trattazione schematica doverosamente imposta dalla natura del

presente intervento, particolare attenzione sarà riservata all’evoluzione giurisprudenziale che

ha interessato alcuni istituti, soffermandosi sui profili maggiormente pratici ed operativi della

materia della contrattualistica pubblica recentemente interessata dalle nuove direttive

europee99

.

Il riferimento è, ovviamente, al tema delle carenze documentali relative alle

dichiarazioni di cui all’art. 38 del Codice Appalti e al connesso istituto del c.d. “soccorso

istruttorio” ma anche a questioni di più ampio respiro come l’impossibilità di revocare in sede

99

Con riferimento alle direttive UE del 2015, il rinvio alle relazioni del Convegno pubblicate con

questi Atti è pressoché d’obbligo.

108

di autotutela l’aggiudicazione successivamente alla stipula di un contratto ovvero

l’indicazione degli oneri di sicurezza in sede di offerta economica.

Trattasi, come ampiamente noto, di veri e propri spauracchi per gli operatori del

settore ciclicamente interessati – talvolta anche in maniera radicale – dall’intervento del

legislatore, oltre che da una giurisprudenza a dir poco alluvionale.

2. La giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria. Fattispecie (nuove ed antiche) di

particolare interesse

Le sentenze in materia di appalti pubblici e concessioni tra quelle complessivamente

rese nel corso dell’anno 2014 dall’Adunanza Plenaria sono particolarmente numerose e

nutrite, segno evidente di una particolare litigiosità del settore: se alcune si distinguono per

tratti di originalità e di novità, altre spiccano per la loro portata chiaramente conservatrice.

Nondimeno, nelle varie decisioni emanate, sembra rinvenibile un vero e proprio tratto

comune denominatore rappresentato dalla palpabile volontà del Supremo consesso

amministrativo di “chiarire” e “ricondurre a sistema” un ambito del nostro ordinamento

endemicamente interessato per molteplici ragioni (storiche e non) da episodi di corruzione e

malaffare, tanto da sembrare inevitabilmente – ed, inesorabilmente – destinato alla via del

cortocircuito100

.

100

Circa il proliferare della corruzione nel nostro Paese e, segnatamente, nell’ambito della

contrattualistica pubblica, per tutti, si veda la relazione di “Inaugurazione dell’Anno giudiziario 2015”

del Presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri del 10 febbraio 2015, consultabile in internet

sul sito «http://www.corteconti.it» laddove il Presidente della più alta Magistratura contabile osserva

plasticamente che “Crisi economica e corruzione procedono di pari passo, in un circolo vizioso, nel

quale l’una è causa ed effetto dell’altra. La ricerca, talvolta affannosa, di strategie di uscita dalla

crisi e la competizione esasperata per l'accesso a risorse limitate, favoriscono, infatti, la pratica di vie

illecite e di attività illegali. Ciò si riversa, naturalmente e negativamente, sull’efficienza del sistema

complessivo, producendo effetti devastanti sull’allocazione delle risorse finanziarie ed umane e sulla

creazione di condizioni favorevoli all’attività d’impresa e, quindi, alla crescita dell’economia. Solo un

contesto istituzionale segnato da legalità, buona e contenuta legislazione, regolazione efficace delle

attività economiche, pubblica amministrazione efficiente ed un “Servizio Giustizia” celere ed

erogatore di tutele effettive, è in grado di favorire l’imprenditorialità e di rimuovere le rendite di

posizione e le restrizioni alla concorrenza. Di qui l’esigenza, assoluta, di assicurare trasparenza e

regolarità nelle varie gestioni, attraverso procedure pubbliche che garantiscano un’effettiva parità di

posizione tra tutti gli operatori. Ritengo, al riguardo, negativo il fenomeno, diffuso, delle ripetute

proroghe e rinnovi nell’importante settore dell’attività negoziale pubblica atteso che l’affidamento

per periodi lunghi allo stesso soggetto di opere, servizi o forniture non sempre risulta corrispondere a

109

Di qui l’emanazione di decisioni estese ed esaustive che tentano di fare il punto sulle

varie questiono giuridiche sottese alle concrete fattispecie oggetto di rimessione con un

evidente spirito chiarificatore volto a soddisfare un’esigenza di certezza della materia,

esigenza sempre più manifestata ed invocata dagli operatori e – finalmente – sempre più

avvertita dal Supremo consesso amministrativo101

.

Prendendo le mosse da quelle maggiormente innovative ed evolutive, occorre anzitutto

dar conto della sentenza n. 14 del 20 giugno 2014 chiamata a pronunciarsi sulla possibilità o

meno per la PA di revocare l’aggiudicazione successivamente alla stipula di un contratto per

sopravvenute ragioni di “inopportunità alla prosecuzione del rapporto negoziale” e sulla

necessità di ricorrere al recesso ex art. 134 del DLGS n. 163 del 2006.

In tale occasione l’Adunanza Plenaria, dopo avere dato conto dell’indirizzo prevalente

della giurisprudenza amministrativa che riteneva legittimo il “potere di revoca degli atti

amministrativi del procedimento ad evidenza pubblica anche se sia stato stipulato il

contratto, con il conseguente diritto del privato all’indennizzo” e del contrario orientamento

della Corte di Cassazione secondo la quale “tutte le vicende successive alla stipulazione del

contratto danno luogo a questioni relative alla sua validità ed efficacia anche se dovute

all’esercizio di poteri pubblicistici in autotutela”, ha reso una sentenza particolarmente

interessante ed innovativa orientata a recepire le esigenze avvertite dalla Sezione rimettente di

“riconsiderare l’indirizzo prevalente nella giurisprudenza amministrativa ritenendo che,

intervenuta la stipulazione del contratto ad evidenza pubblica, l’amministrazione non possa

esercitare il potere di revoca ma debba agire attraverso il recesso” 102

.

Finalmente, una volta per tutte, con un revirement tutt’altro che di poco conto, è stato

tracciato un regolamento di confini chiaro e preciso idoneo a fugare tutti i dubbi in materia

che vede nella stipulazione del contratto un vero e proprio “punto di non ritorno” per

l’esercizio dello strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione della PA in favore

dell’esercizio del diritto potestativo regolato dall’art. 134 del DLGS n. 163 del 2006.

canoni di efficienza, trasparenza ed economicità, anche generando, alterazioni del regime

concorrenziale, sempre più, peraltro, tutelato dal diritto comunitario”. 101

Tra le decisioni assunte in forma di ordinanza occorre rammentare la n. 17 del 31 luglio 2014 in

materia di competenza territoriale dei TAR la quale ha statuito che, nel caso di contestuale

impugnativa di una informativa prefettizia interdittiva e dei conseguenti atti applicativi adottati dalla

stazione appaltante, il giudice competente deve essere individuato nel TAR nella cui circoscrizione si

trova la Prefettura che ha adottato l'informativa nonché l’Ordinanza n. 29 del 7 novembre 2014,

entrambe consultabili in internet sul sito «http://www.giustziazia-amministrativa.it». 102

La sentenza è consultabile in Foro Amministrativo, (II), 2014, 6, 1671.

110

La portata chiarificatrice di questa prima decisione menzionata è davvero significativa,

tanto per i profili sostanziali che per quelli processuali in punto di giurisdizione ad essa

sottesi.

Sempre in ottica processuale spicca altresì la sentenza n. 8 del 3 febbraio 2014, sia con

riferimento a quanto precisato relativamente al giudizio d’appello nel rito appalti103

, sia

relativamente alla natura e all’intensità del sindacato del giudice amministrativo sugli atti di

gara104

.

Tra il novero delle decisioni rese, di particolare interesse si pone il blocco delle

sentenze relative al tema del c.d. ricorso incidentale “escludente” (n. 7 del 30 gennaio 2014105

e n. 9 del 25 febbraio 2014106

) unitamente a quello relativo al tema delle dichiarazioni di cui

all’art. 38 del Codice Appalti (n. 16 del 30 luglio 2014107

) e alla connessa – e collegata –

questione del c.d. soccorso istruttorio108

.

Con la sentenza n. 7/2014 l’AP ha ribadito che nel giudizio di primo grado avente ad

oggetto una procedura di gara, solo il ricorso incidentale escludente che sollevi un’eccezione

di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario – in quanto soggetto

103

In tale occasione l’AP ha precisato che l’art. 119, comma 6, del CPA, nel prevedere – nel rito per

gli appalti pubblici – che il dispositivo della sentenza è atto immediatamente impugnabile, non

prefigura un tertium genus di tutela cautelare – oltre quella prevista dall’art. 62 CPA nei confronti

delle ordinanze cautelari e dall’art. 98 contro le sentenze del TAR – ma, senza scissione dell’azione

impugnatoria, in relazione alla specificità della materia per la quale è previsto il rito abbreviato,

assicura l’anticipazione delle strumento cautelare in presenza della sola pubblicazione del dispositivo.

Trattandosi non già di un distinto appello rispetto ai successivi motivi aggiunti, ma di unico appello a

formazione progressiva, debbono ritenersi ammissibili i motivi aggiunti anche se mancanti di una

compiuta e separata esposizione dei fatti su cui si innesta la controversia, essendo possibile il parziale

rinvio a considerazioni già espresse nell’impugnazione avverso il dispositivo. 104

Secondo l’Adunanza, è consentito il sindacato esterno del giudice amministrativo sull’operato

dell’organo deputato all’esame delle offerte, in presenza di elementi che il ricorrente elevi a vizio di

eccesso di potere in cui la stazione appaltante si assume sia incorsa per una non corretta disanima di

elementi contenutistici tali da evidenziare una palese incongruità dell’offerta. Cfr. Foro

Amministrativo, (II), 2014, 2, 386. 105

Cfr. Foro Amministrativo, (II), 2014, 2, 384. 106

Cfr. Foro Amministrativo, (II), 2014, 2, 387, nonché Diritto Processuale Amministrativo, 2014, 2,

544, con nota di BERTONAZZI. 107

Cfr. Foro Amministrativo, (II), 2014, 7 – 8, 1903, nonché Foro it, 2015, 1, III, 11, con nota di

TRAVI. 108

In tema si veda, altresì, la sentenza n. 10 del 25 febbraio 2014 volta a statuire che l’articolo 48, 2°

comma, del DLGS 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni va interpretato nel senso che

l’aggiudicatario e il concorrente che lo segue in graduatoria, non compresi fra i concorrenti sorteggiati

ai sensi del 1° comma del medesimo articolo, devono presentare la documentazione comprovante il

possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, di cui al comma

primo, entro il termine perentorio di dieci giorni dalla richiesta inoltrata a tale fine dalle stazioni

appaltanti. Cfr. Diritto & Giustizia, 2014, 17 marzo 2014, 5 ss.

111

che non ha mai partecipato alla gara, o che vi ha partecipato ma è stato correttamente escluso

ovvero che avrebbe dovuto essere escluso ma non lo è stato per un errore

dell’Amministrazione – deve essere esaminato prioritariamente rispetto al ricorso principale.

Tale evenienze, ha puntualizzato il Plenum di Palazzo Spada, non si verifica

allorquando il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte

dall’Amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del

ricorrente principale109

.

109

La sentenza è consultabile in internet sul sito «http://www.lexitalia.it». La sentenza offre spunti

particolarmente interessanti sotto il profilo sostanziale relativamente al tema del c.d. housing sociale.

Mediante un programma di housing sociale intrapreso da un Comune viene posta in essere una

iniziativa di partenariato pubblico-privato per la gestione di un servizio pubblico locale di rilievo

economico e a domanda individuale, mediante lo strumento della concessione di servizio pubblico. Ha

precisato la sentenza in rassegna che “l’housing sociale si sostanzia in un programma attraverso il

quale si progetta di realizzare un insieme di alloggi e servizi, di eseguire azioni e strumenti, tutti

rivolti a coloro che non riescono a soddisfare sul mercato il proprio bisogno abitativo, per ragioni

economiche o per l’assenza di un’offerta adeguata. Tra le molteplicità di risposte offerte dall’housing

sociale vi sono l’affitto calmierato, l’acquisto della casa mediante l’auto-costruzione e le agevolazioni

finanziarie, nonché soluzioni integrate per le diverse tipologie di bisogni.

In particolare, nella fattispecie affrontata (relativa al Comune di Roma Capitale) erano presenti tutti

gli indici che sono stati ritenuti, nel tempo, come qualificanti una concessione di servizio pubblico

locale, di rilievo economico e a domanda individuale. In dettaglio: a) la presenza di un autentico

servizio pubblico locale rivolto alla produzione di beni e utilità per obiettive esigenze sociali – ovvero,

secondo il linguaggio dell’Unione europea (artt. 16 e 86 del Trattato FUE), un servizio di interesse

economico generale che viene a svolgere una funzione essenziale nell’ambito della costituzione

economica di tutti i Paesi membri, dovendosi intendere per tale quello rivolto all’utenza, capace di

soddisfare interessi generali e di garantire una redditività - del quale i cittadini usufruiscono uti

singuli e come componenti la collettività; b) la prestazione a carico degli utenti che si riscontra

tipicamente nei servizi a domanda individuale (nella specie gli utenti devono partecipare ad apposita

selezione, gestita dal concessionario, per l’assegnazione degli alloggi, versando di volta in volta il

corrispettivo della locazione o delle varie tipologie di vendita in base al complesso sistema tariffario

individuato dalla legge di gara); c) l’assunzione a carico del concessionario del rischio economico

relativo alla gestione del servizio; sul punto, deve reputarsi irrilevante che la legge di gara abbia

previsto un parziale corrispettivo a carico di Roma Capitale, stante il suo carattere meramente

eventuale, frutto della scelta dell’offerente finalizzata alla garanzia dell’equilibrio finanziario

dell’impresa, scelta comunque penalizzante in sede di attribuzione del relativo punteggio; inoltre, la

subordinazione al pagamento di un corrispettivo — rilevante nella prospettiva europea e nazionale in

sede di distinzione tra la figura dell’appalto e quella della concessione — dipende dalle

caratteristiche tecniche del servizio e dalla volontà «politica» dell’ente ma non incide, ex se, sulla sua

qualifica di servizio pubblico e non può essere pertanto sopravalutata; d) la preordinazione

dell’attività a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti,

tendenzialmente a tempo indeterminato o comunque per un periodo di lunga durata (nella specie il

rapporto concessorio ha una durata pari a 25 anni); e) la sottoposizione del gestore ad una serie di

obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a

regole di continuità, regolarità, capacità tecnico-professionale e qualità, perché ciò che connota in

modo rilevante la natura di servizio pubblico è il conseguimento di fini sociali a favore della

collettività per il tramite dell’attività svolta dal gestore; f) la delega traslativa di poteri organizzatori

dall’ente al privato (nella specie, non solo i compiti in materia di stazione appaltante per la

112

Con la sentenza n. 9/2014 l’AP è tornata nuovamente sul tema con una decisione di

ampio respiro quasi a volere affrontare – ed esaurire – il tema una volta per tutte.

Dopo avere ribadito che il giudice ha il dovere di decidere la controversia, ai sensi del

combinato disposto degli artt. 76, co. 4, CPA e 276, co. 2, CPC, secondo l’ordine logico che,

di regola, pone la priorità della definizione delle questioni di rito rispetto alle questioni di

merito e, fra le prime, la priorità dell’accertamento della ricorrenza dei presupposti

processuali rispetto alle condizioni dell’azione, il CDS ha statuito che nel giudizio di primo

grado avente ad oggetto procedure di gara, deve essere esaminato prioritariamente rispetto al

ricorso principale il ricorso incidentale escludente che sollevi un’eccezione di carenza di

legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario, in quanto soggetto che non ha mai

partecipato alla gara, o che vi ha partecipato ma è stato correttamente escluso ovvero che

avrebbe dovuto essere escluso ma non lo è stato per un errore dell’amministrazione110

.

realizzazione di opera monumentale, ma soprattutto quelli organizzatori inerenti la scelta dei

beneficiari, l’assegnazione degli alloggi, la gestione dei conseguenti rapporti); tale elemento deve

esprimere, al di là del nomen iuris impiegato dalla legge di gara (concessione, assegnazione,

affidamento, contratto di servizio, atto di incarico), la sostanza di un atto di organizzazione e, in

quanto tale, ontologicamente diverso da un contratto di appalto; vi è dunque una proiezione esterna

dell’utilitas perseguita con l’atto concessorio, a differenza della dimensione interna dell’utilitas che si

consegue con il contratto di appalto; solo grazie al modulo concessorio è possibile esternalizzare il

servizio affidandone la gestione a soggetti privati per i quali il vantaggio è costituito dalla possibilità

di esigere un prezzo (tariffa) nei confronti degli utenti, donde l’importanza della durata del rapporto

idonea a far conseguire un utile al concessionario (caratteristiche queste tutte presenti nella

fattispecie per cui è causa); g) il contenuto del programma di housing, inoltre, si caratterizza per la

sua struttura trilaterale in quanto tutte le prestazioni dei soggetti coinvolti fanno capo

all’amministrazione, al gestore ed agli utenti, mentre nel contratto d’appalto, come noto, il rapporto

ha carattere bilaterale (nella specie è pacifico che la gran parte delle prestazioni del concessionario

sono rivolte a soddisfare esigenze dell’utenza disagiata, nel rispetto dei vincoli gestionali imposti e

monitorati dall’amministrazione). Non è di ostacolo alla qualificazione della procedura in esame

quale concessione di servizio pubblico, la circostanza che, nel caso di specie, il concessionario

prescelto, in ossequio al contenuto del programma di housing, debba realizzare anche cospicui

lavori”. Per la massima che precede nonché per una nutrita rassegna giurisprudenziale in materia, cfr.

http://www.lexitalia.it/p/13/cdsap_2013-08-06.htm. 110

Nella medesima sentenza, l’AP, dopo avere ribadito che nel giudizio di primo grado avente ad

oggetto procedure di gara, il ricorso incidentale non va esaminato prima del ricorso principale

allorquando non presenti carattere escludente, ha poi precisato che “tale evenienza si verifica se il

ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall’amministrazione nel

presupposto della regolare partecipazione alla procedura del ricorrente principale”. Coerentemente

con l’AP 7/2014, la sentenza in parola ha altresì precisato che “nel giudizio di primo grado avente ad

oggetto procedure di gara, sussiste la legittimazione del ricorrente in via principale - estromesso per

atto dell’Amministrazione ovvero nel corso del giudizio, a seguito dell’accoglimento del ricorso

incidentale - ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara,

esclusivamente quando le due offerte siano affette da vizio afferente la medesima fase

procedimentale”.

113

Nondimeno, sempre secondo l’arresto in parola, l’esame prioritario del ricorso

principale è ammesso, per ragioni di economia processuale, qualora risulti manifestamente

infondato, inammissibile, irricevibile o improcedibile.

Nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, il ricorso incidentale

non va esaminato prima del ricorso principale allorquando non presenti carattere escludente;

tale evenienza si verifica se il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara

svolte dall’amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del

ricorrente principale.

Di estremo interesse si pongono altresì i passaggi successivi della decisione relativi

alla c.d. “tassatività delle cause di esclusione” e al connesso tema del “soccorso istruttorio”.

Secondo l’AP, l’art. 4, co. 2, lett. d), nn. 1 e 2, d.l. 13 maggio 2011, n. 70 – Semestre

Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia – che, come noto, ha aggiunto l’inciso

“Tassatività delle cause di esclusione” nella rubrica dell'articolo 46, del Codice, e nel corpo

dello stesso ha inserito il comma 1 bis – non costituisce una norma di interpretazione

autentica e, pertanto, non ha effetti retroattivi e trova esclusiva applicazione alle procedure di

gara i cui bandi o avvisi siano pubblicati (nonché alle procedure senza bandi o avvisi, i cui

inviti siano inviati), successivamente al 14 maggio 2011, data di entrata in vigore del DL n.

70 del 2011.

Il principio di tassatività delle cause di esclusione sancito dall’art. 46, co. 1 bis, codice,

scrivono i Giudici, si applica unicamente alle procedure di gara disciplinate dal medesimo

Codice.

Sempre secondo il Consiglio, “sono legittime ai sensi dell’art. 46, co. 1-bis, codice dei

contratti pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163), le clausole dei bandi di gara che prevedono

adempimenti a pena di esclusione, anche se di carattere formale, purché conformi ai tassativi

casi contemplati dal medesimo comma, nonché dalle altre disposizioni del codice dei

contratti pubblici, del regolamento di esecuzione e delle leggi statali”.

Da ultimo, le considerazioni rese sull’istituto del soccorso istruttorio: nelle procedure

di gara disciplinate dal codice dei contratti pubblici, il “potere di soccorso” sancito dall’art.

46, co. 1, del medesimo codice (DLGS 12 aprile 2006, n. 163) – sostanziandosi unicamente

nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti o dichiarazioni già

esistenti ovvero di completarli ma solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione,

chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire interpretazioni di clausole

114

ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti – non consente la produzione tardiva

del documento o della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa, ove tali

adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal codice dei contratti pubblici, dal

regolamento di esecuzione e dalle leggi statali111

.

Nel corso dell’anno 2014 (e del 2015) a siffatta decisione hanno fatto seguito diverse

altre che, in parte, ne hanno confermato i principi ed, in parte, anche in ragione

dell’intervenuto mutamento normativo medio tempore, ne hanno determinato un superamento

radicale.

3. Segue

Con riferimento al blocco di sentenze relative alle carenze di cui all’art. 38 del Codice,

tra le altre spicca la decisione n. 16 del 30 luglio 2014112

la quale, proprio con diretto

riferimento alla dichiarazione sostitutiva relativa all’assenza delle condizioni preclusive

previste dall’art. 38 DLGS n. 163 del 2006, ha precisato che può essere legittimamente riferita

in via generale ai requisiti previsti dalla norma e non deve necessariamente indicare in modo

puntuale le singole situazioni ostative previste dal legislatore: una dichiarazione sostituiva

confezionata in tal modo è completa e non necessita di integrazioni o regolarizzazioni

mediante l’uso dei poteri di soccorso istruttorio.

Tale dichiarazione – inoltre – non deve contenere la menzione nominativa di tutti i

soggetti muniti di poteri rappresentativi dell’impresa, quando questi ultimi possano essere

agevolmente identificati mediante l’accesso a banche dati ufficiali o a registri pubblici.

Anche una siffatta dichiarazione sostituiva, al pari di quanto detto poc’anzi, è

completa e non necessita di integrazioni o regolarizzazioni mediante l’uso dei poteri di

soccorso istruttorio.

111

Secondo la medesima decisione, nelle procedure di gara non disciplinate dal codice dei contratti

pubblici, il “potere di soccorso” sancito dall’art. 6, co. 1, lett. b), L. 7 agosto 1990, n. 241, costituisce

parametro per lo scrutinio della legittimità della legge di gara che, in assenza di una corrispondente

previsione normativa, stabilisca la sanzione della esclusione; conseguentemente, è illegittima – per

violazione dell’art. 6, co. 1, lett. b), L. 7 agosto 1990, n. 241, nonché sotto il profilo della manifesta

sproporzione – la clausola della legge di gara che disciplina una procedura diversa da quelle di massa,

nella parte in cui commina la sanzione della esclusione per l’inosservanza di una prescrizione

meramente formale. 112

La sentenza è consultabile in internet sul sito «http://www.giustziazia-amministrativa.it».

115

La decisione si distingue per un notevole spirito sostanzialistico orientato a superare

problemi pratici piuttosto gravosi e frequenti.

Relativamente a temi già ampiamenti “arati” dalla giurisprudenza sia di prime cure che

d’appello, giova poi in questa sede (almeno) menzionare la n. 27 del 28 agosto 2014113

e la n.

34 del 10 dicembre 2014114

.

Con la prima il CDS, chiamato a pronunciarsi in tema di riunioni temporanee

d’imprese, è tornato sul “principio della necessaria corrispondenza tra la qualificazione di

ciascuna impresa e la quota della prestazione di rispettiva pertinenza” ex art. 37, commi 4 e

13 del codice dei contratti pubblici115

.

Con la seconda, il CDS ha statuito la legittimità della clausola, contenuta in atti di

indizione di procedure di affidamento di appalti pubblici, che preveda l’escussione della

cauzione provvisoria anche nei confronti di imprese non risultate aggiudicatarie, ma solo

concorrenti, in caso di riscontrata assenza del possesso dei requisiti di carattere generale di cui

all’art. 38 del Codice.

A sostegno della predetta decisione, il Giudice pone una articolata e diffusa

ricostruzione sistematica sull’istituto della cauzione provvisoria116

.

113

Cfr. Rivista Giuridica dell’Edilizia, 2014, 5, I, 1054. 114

Cfr. Foro Amministrativo, (II) 2014, 12, 3068. 115

Secondo la sentenza in parola, ai sensi dell’art. 37, commi 4 e 13 del codice dei contratti pubblici

(DLGS n. 163/2006), nel testo antecedente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 2 bis, lett. a),

DL 6 luglio 2012 n. 95, convertito nella L 7 agosto 2012 n. 135, “negli appalti di servizi o di forniture

da affidarsi a raggruppamenti temporanei di imprese non vige ex lege il principio di necessaria

corrispondenza tra la qualificazione di ciascuna impresa e la quota della prestazione di rispettiva

pertinenza, essendo la relativa disciplina rimessa alle disposizioni della lex specialis della gara”. 116

Scrivono i giudici: “La cauzione provvisoria assolve la funzione di garanzia del mantenimento

dell’offerta in un duplice senso, giacché, per un verso, essa presidia la serietà dell’offerta e il

mantenimento di questa da parte di tutti partecipanti alla gara fino al momento dell’aggiudicazione;

per altro verso, essa garantisce la stipula del contratto da parte della offerente che risulti, all’esito

della procedura, aggiudicataria. In questo senso, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella

decisione n. 8 del 2005, ha affermato che la cauzione provvisoria, oltre ad indennizzare la stazione

appaltante dall’eventuale mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario (funzione

indennitaria), svolge (può svolgere) altresì una funzione sanzionatoria verso altri possibili

inadempimenti contrattuali dei concorrenti. (…) Emerge evidente che, nella fattispecie, dalla

disciplina di gara, tratta dal combinato disposto della norma primaria e della sua integrazione a

mezzo del disciplinare, l’escussione della cauzione non presupponga in via esclusiva il fatto

dell’aggiudicatario né si limita alle dichiarazioni sui requisiti speciali; essa, al contrario, trova spazio

applicativo anche quando (come verificatosi nel caso di specie), per il concorrente (pur se non

aggiudicatario), risulti non corrispondente al vero quanto dichiarato in occasione della

rappresentazione di requisiti generali (in tal senso, i principi già affermati da Ad.Plen. su citata n.8

del 4 maggio 2012). Le conclusioni alle quali si perviene risultano inoltre giustificate, se non imposte,

sia dalla funzione della cauzione provvisoria e dalla previsione del suo incameramento, che dalla sua

natura giuridica. Secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza e dall’Autorità di settore (cfr.

116

Corte cost., 13 luglio 2011, n. 211/ord.; Cons. St., sez. V, 24 novembre 2011, n. 6239; sez. V, 9

novembre 2010, n. 7963; sez. V, 5 agosto 2011, n. 4712; sez. V, 12 giugno 2009, n. 3746; sez. V, 8

settembre 2008, n. 4267; sez. V, 9 dicembre 2002, n. 6768; Autorità per la vigilanza sui contratti

pubblici, determinazione n. 1 del 2010) strutturalmente la cauzione costituisce parte integrante

dell’offerta e non mero elemento di corredo della stessa (che la stazione possa liberamente richiedere

e quantificare). L’escussione della cauzione provvisoria si profila come garanzia del rispetto

dell’ampio patto di integrità cui si vincola chi partecipa ad una gara pubblica. La sua finalità è quella

di responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese, di garantire la serietà e

l’affidabilità dell’offerta, nonché di escludere da subito i soggetti privi delle richieste qualità volute

dal bando. La presenza di dichiarazioni non corrispondenti al vero altera di per sé la gara

quantomeno per un aggravio di lavoro della stazione appaltante, chiamata a vagliare anche

concorrenti inidonei o offerte prive di tutte le qualità promesse, con le relative questioni

successivamente innescabili (come verificatosi nel caso di specie, con esigenze di ricalcolo e nuovo

aggiudicatario). L’escussione costituisce conseguenza della violazione dell’obbligo di diligenza

gravante sull’offerente, tenuto conto che gli operatori economici, con la domanda di partecipazione,

sottoscrivono e si impegnano ad osservare le regole della relativa procedura delle quali hanno piena

contezza. Si tratta di una misura autonoma ed ulteriore (rispetto alla esclusione dalla gara ed alla

segnalazione all’Autorità di vigilanza), che costituisce, mediante l’anticipata liquidazione dei danni

subiti dall’amministrazione, un distinto rapporto giuridico fra quest’ultima e l’imprenditore (tanto che

si ammette l’impugnabilità della sola escussione se ritenuta realmente ed esclusivamente lesiva

dell’interesse dell’impresa). Sotto il profilo della natura giuridica, si ritiene (tra varie, Cons. Stato,

VI, 3 marzo 2004, n. 1058 e Cons. Stato, V, 15 aprile 2013, n.2016) che ferma restando la generale

distinzione fra l’istituto della clausola penale (1383 c.c.) avente funzione di liquidazione anticipata

del danno da inadempimento e della caparra confirmatoria (art. 1385 c.c.) avente la funzione di

dimostrare la serietà dell’intento di stipulare il contratto sin dal momento delle trattative o del

perfezionamento dello stesso, l’istituto della cauzione provvisoria debba ricondursi alla caparra

confirmatoria, sia perché è finalizzata a confermare la serietà di un impegno da assumere in futuro,

sia perché tale qualificazione risulta la più coerente con l’esigenza, rilevante contabilmente, di non

vulnerare l’amministrazione costringendola a pretendere il maggior danno (per altra giurisprudenza,

si veda in tal senso, Cons. Stato, V, 11 dicembre 2007, n.6362, la cauzione provvisoria svolge la

funzione della clausola penale, diretta a predeterminare la liquidazione forfettaria del danno, tanto

che non viene prevista la possibilità del danno eventualmente non coperto dalla cauzione incamerata).

In definitiva e in sostanza, si tratta di una misura di indole patrimoniale, priva di carattere

sanzionatorio amministrativo nel senso proprio, che costituisce l’automatica conseguenza della

violazione di regole e doveri contrattuali espressamente accettati. Per replicare alle obiezioni

sollevate dalla tesi più restrittiva, si ritiene di osservare che l’invocato principio di legalità riguarda

le sanzioni in senso proprio e non già le misure di indole patrimoniale liberamente contenute negli atti

di indizione, accettate dai concorrenti, non irragionevoli né illogiche, rispondenti all’autonomia

patrimoniale delle parti, non contrarie a norme imperative e anzi agganciate alla ratio rinvenibile

nelle disposizioni del codice. Il principio di tassatività è, allo stesso modo, male invocato, essendo lo

stesso riferibile alle sole cause di esclusione dalla gara (nel senso della legittimità della previsione di

adempimenti a pena di esclusione, ma purchè conformi ai casi tassativi indicati dall’articolo 46 del

codice dei contratti pubblici, Consiglio di Stato, ad.plen. 25 febbraio 2014, n.9) e non già ad altre

misure di tipo patrimoniale contenute in clausole degli atti di indizione e riferibili a doveri di

correttezza contrattuale. Si aggiunga che – oltre ad una lettura evolutiva dell’art. 75 nel senso sopra

riportato di far riferimento anche ai concorrenti e non solo all’aggiudicatario e non solo ai requisiti

speciali di cui all’art. 48 ma anche ai requisiti generali di cui all’art. 38 – porta e concludere nel

senso sostenuto anche la previsione contenuta nell’art. 49, che, sia pure nell’ambito della disciplina

dell’avvalimento, ma con valenza sistematica (ai sensi degli articoli 1362 e seguenti codice civile) dal

punto di vista interpretativo, al comma 3 prevede che “nel caso di dichiarazioni mendaci, ferma

restando l’applicazione dell’articolo 38, lettera h nei confronti dei sottoscrittori, la stazione

appaltante esclude il concorrente (non già il solo aggiudicatario) e escute la garanzia”. Per

117

Da ultimo, proprio nell’imminenza del presente Convegno, l’AP si è espressa su un

tema piuttosto noto agli operatori del settore ovverosia sulla questione della c.d. indicazione

degli oneri di sicurezza, foriera di un dibattito giurisprudenziale (oltre che dottrinale)

particolarmente florido e fecondo.

Il riferimento è alla sentenza n. 3 del 20 marzo 2015117

volta, da un lato, a statuire che

nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono indicare nell’offerta

economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione dell’offerta dalla

procedura, anche se non prevista nel bando di gara e, da un altro lato, che la mancata

indicazione non è non sanabile con il potere di soccorso istruttorio della stazione appaltante,

non potendosi consentire di integrare successivamente un’offerta dal contenuto inizialmente

carente di un suo elemento essenziale.

completezza, si deve rilevare che il recente inserimento, all’articolo 38, del comma 2-bis, (inserito

dall’art. 39, comma 1, del D.L. 24 giugno 2014, n.90, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11

agosto 2014, n.114) prevede che la mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli

elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato

causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando

di gara, in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della

gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione

provvisoria (assegnando termine per regolarizzare e prevedendo altresì che le irregolarità non

essenziali non rilevino). In caso di inutile decorso del termine il concorrente è escluso dalla gara. Il

legislatore, inoltre, proprio al fine di evitare gli inconvenienti determinati da “mancanze, falsità o

incompletezze delle dichiarazioni”, prevede, in modo innovativo, che ogni variazione che intervenga,

anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione,

regolarizzazione o esclusione delle offerte, non debba rilevare ai fini del calcolo di medie nella

procedura, né per la individuazione della soglia di anomalia delle offerte. Al di là della irrilevanza

ratione temporis, in virtù della disposizione intertemporale del comma 3 del su menzionato art. 39

(per il quale le nuove disposizioni si applicano solo alle procedure di affidamento indette

successivamente al 24 giugno 2014), ciò che rileva per l’interprete, ove mai ve ne fosse bisogno, è la

conferma della legittimità (della previsione nei bandi della “sanzione”) dell’incameramento della

cauzione provvisoria in caso di mancanze relative ai requisiti generali di cui all’art. 38, riferibili a

tutti i concorrenti e non al solo aggiudicatario. (…) Ritenendo pertanto di decidere nel merito per

intero la controversia sottoposta all’esame, sulla base delle sopra esposte considerazioni, va accolto

ai sensi di cui in motivazione il ricorso in appello proposto dal Comune di Erice e, in riforma

dell’appellata sentenza, va respinto il ricorso originario, con la enunciazione dei seguenti principi di

diritto:«E’ legittima la clausola, contenuta in atti di indizione di procedure di affidamento di appalti

pubblici, che preveda l’escussione della cauzione provvisoria anche nei confronti di imprese non

risultate aggiudicatarie, ma solo concorrenti, in caso di riscontrata assenza del possesso dei requisiti

di carattere generale di cui all’art. 38 del codice dei contratti pubblici»”. 117

Cfr. Foro Amministrativo, (II) 2015, 3, 696.

118

4. Spunti conclusivi

Queste, in estrema sintesi, le sentenze maggiormente significative rese dall’AP negli

ultimi mesi in materia di contratti pubblici.

Dalla fugace rassegna che precede, lungi dal poter pervenire a considerazioni

sistematiche di sintesi financo approssimative, due sono i profili che balzano immediatamente

all’attenzione.

In primo luogo, ad emergere con tutta evidenza è la particolare complessità delle

questioni trattate, complessità dovuta pressoché esclusivamente all’affastellamento normativo

succedutosi caoticamente e disorganicamente negli (ultimi) anni.

Secondariamente, è la crescente esigenza della funzione nomofilattica del Supremo

Giudice amministrativo a destare attenzione e a suscitare interrogativi: teorizzata come

funzione “straordinaria” e, sino ad un recente passato, caratterizzatasi per un ruolo

storicamente “debole”, la giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria si connota oggi come una

costante sistemica fondamentale del nostro ordinamento, soprattutto nella materia dei contratti

pubblici, confermando appieno la tendenza generale che vede le alte Magistrature della

Repubblica sempre più cariche di lavoro118

.

Se la formulazione di cui all’art. 99 del Codice del processo amministrativo ha

indubbiamente rafforzato il ruolo dell’Adunanza secondo il modello della Cassazione, lo

spazio oggi concretamente assunto dal Plenum nella materia dei contratti pubblici non sembra

potersi ascrivere – solo e soltanto – all’intervenuta riforma del rito del deferimento119

.

La sensazione è che tra (continue) novelle legislative, orientamenti giurisprudenziali

contraddittori, disposizioni ANAC120

non sempre intelligibili, l’Adunanza venga via via ad

assumere un ruolo di certazione – inteso proprio nel senso più pieno del termine ovvero

quello di “produrre certezza” – in assenza del quale il sistema sarebbe già imploso da tempo.

118

Il fenomeno del c.d. sovraccarico dei ruoli della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione

rappresenta oramai un dato ampiamente noto, non solo agli operatori del settore. 119

Circa il rafforzamento del ruolo dell’Adunanza Plenaria nel “nuovo” CPA, per tutti, E. CASETTA,

Manuale di diritto amministrativo, XV edizione, Milano, 2013, p. 835 ss.; C. MIGNONE – PM

VIPIANA, Manuale di giustizia amministrativa, Padova, 2013, p. 11 ss. 120

Emblematico si pone il caso dei “Criteri interpretativi in ordine alle disposizioni dell’artt. 38,

comma 2-bis, e 46, comma 1-ter, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163” di cui alla Determinazione n. 1, dell’8

gennaio 2015 e successivo Comunicato del Presidente del 25 marzo 2015.

119

LA SICUREZZA SUL LAVORO NEGLI APPALTI PUBBLICI

CONSIDERAZIONI A SEGUITO DELLE DIRETTIVE UE DEL 2014

Matteo Porricolo

(Dottorando Università degli Studi

del Piemonte Orientale)

SOMMARIO: 1. I rapporti tra il Codice dei contratti pubblici e il Testo unico della

salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. - 2. Le principali responsabilità delle figure

garanti. - 3. Il sistema sanzionatorio - 4. La sicurezza nelle fasi precedenti l’esecuzione. - 5. Il

dibattito giurisprudenziale sull’omessa indicazione degli oneri. - 6. Conclusioni

1. Per quanto la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro siano esigenze da tempo

sentite e tutelate a livello comunitario121

, le tre recenti direttive UE122

non dettano particolari

disposizioni in materia123

; né allo stato attuale a riguardo si rinviene altro nel d.d.l. italiano per

il recepimento di tali direttive (A.S. 1678, nel momento in cui si scrive all’esame in

Commissione). Con tale legge si intende delegare il Governo ad adottare un decreto

121

Già il previgente D. lgs. 19 settembre 1994, n. 626 recepiva una serie di direttive CEE riguardanti il

miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori. 122

Si tratta della direttiva 2014/23/UE del 26 febbraio 2014 del Parlamento europeo e del Consiglio

sull'aggiudicazione dei contratti di concessione; della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 del

Parlamento europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE e della

direttiva 2014/25/UE del 26 febbraio 2014 del Parlamento europeo e del Consiglio sulle procedure

d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali. 123

La direttiva appalti al 41° considerando stabilisce: «Nessuna disposizione della presente direttiva

dovrebbe vietare di imporre o di applicare misure necessarie alla tutela dell’ordine, della moralità e

della sicurezza pubblici, della salute, della vita umana […]».

Al 99°: «Possono essere oggetto dei criteri di aggiudicazione o delle condizioni di esecuzione

dell’appalto anche misure intese alla tutela della salute del personale coinvolto nei processi produttivi

[…]».

120

legislativo che assuma le forme di un testo normativo denominato “Codice degli appalti

pubblici e delle concessioni”, andando così a superare il vigente Decreto legislativo 12 aprile

2006, n. 163.

Invero, l’attuale “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi” (di seguito,

breviter, anche “Codice appalti” o “il Codice”) non rappresenta ovviamente la sedes materiae

della disciplina della sicurezza sul lavoro, essendo questa posizione ricoperta dal Testo unico

di cui al d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (di seguito “Testo unico” o “il T.U.”).

Per quanto esuli, quindi, tale materia dall’ambito applicativo delle direttive, sarà

comunque opportuno che il legislatore coordini le due fonti tenendo presente che il T.U.

81/2008 fa espressi riferimenti al d. lgs. 163/2006 laddove, al Titolo IV, detta “Misure per la

salute e sicurezza nei cantieri temporanei o mobili”.

La portata globale dell’applicazione delle norme (e quindi anche agli appalti pubblici),

oltre a evincersi da specifiche disposizioni iniziali124

, si desume nella parte in cui vengono

fornite la definizioni di “Committente” e “Responsabile dei lavori”, due fra i principali

soggetti interni alla stazione appaltante che il T.U. individua per l’addebito degli obblighi in

tema di sicurezza.

In particolare «Nel caso di appalto di opera pubblica, il committente è il soggetto

titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dell'appalto» (art. 89, c.1, l. b,

secondo periodo).125

E «Nel campo di applicazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e

successive modificazioni, il responsabile dei lavori è il responsabile unico del

procedimento»126

(art. 89, c.1, l. c, secondo periodo).

124

Cfr. l’art. 2 - “Definizioni” e l’art. 3, c. 1, secondo cui: «Il presente decreto legislativo si applica a

tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio». Si tratta del cd. “principio

della circolarità della sicurezza sul lavoro”. Cfr. CHIARA TRULLI, La sicurezza sul lavoro nella

pubblica amministrazione, DEI, Roma, 2012, p. 251. 125

Diversamente dal caso della nomina a datore di lavoro, che può far risorgere la responsabilità dei

vertici politici in caso di omessa individuazione o di individuazione non conforme (ex art. 2, c.1, l. b,

ult. periodo, T.U.), manca qui un’espressa garanzia del genere. E’ stato però correttamente osservato

che, onde evitare illegittime responsabilità da posizione, è corretto ritenere la disposizione estendibile

a questo caso, ad es., per culpa in eligendo o vigilando su dirigenti o funzionari cui è stato affidato il

potere decisionale o qualora non siano state disposte risorse necessarie per rendere effettivo il potere

di spesa relativo alla gestione dell'appalto.

Cfr. CARINCI, CESTER, MATTAROLO, SCARPELLI, Tutela e sicurezza del lavoro negli appalti privati e

pubblici: inquadramento giuridico ed effettività, Utet, Torino, 2011, pp. 411 ss. 126

Si ricordi che ai sensi dell’art. 10 c. 1 del Codice: «Per ogni singolo intervento da realizzarsi

mediante un contratto pubblico, le amministrazioni aggiudicatrici nominano, ai sensi della legge 7

121

A tali disposizioni fa eco il D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 – Regolamento applicativo

del codice – stabilendo che «Il responsabile del procedimento assume il ruolo di

responsabile dei lavori, ai fini del rispetto delle norme sulla sicurezza e salute dei lavoratori

sui luoghi di lavoro» (art. 10, c. 2), oltre una lunga serie di specifiche incombenze.

Il legislatore della riforma dovrà altresì tener presente che il T.U. del 2008 fa ulteriori

richiami all’attuale Codice appalti. Prima fra tutti, la clausola dell’art. 26, c. 7: «Per quanto

non diversamente disposto dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, come da ultimo

modificate dall'articolo 8, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 123, trovano applicazione

in materia di appalti pubblici le disposizioni del presente decreto», che individua, così, una

competenza residuale a favore del Testo unico rispetto al Codice appalti.127

2. Com’è noto, allontanandosi da quel concetto di “gestione a proprio rischio” in capo

all’appaltatore (di cui all’art. 1655 c.c.), il legislatore non ha voluto esonerare del tutto i

soggetti interni all’amministrazione (o il committente privato) dall’assolvimento dei compiti

in materia di salute e sicurezza, individuando un complesso sistema di riparto tra i suddetti e

quelli appartenenti all’azienda titolare del rapporto di lavoro. Si è venuto così a creare un

triplice sistema di garanzie, che coinvolge “sia le fasi antecedenti l'affidamento, con la

agosto 1990, n. 241, un responsabile del procedimento, unico per le fasi della progettazione,

dell'affidamento, dell'esecuzione». 127

Altri sono i richiami. Ad esempio, in tema di rapporti tra committenti, responsabili dei lavori,

datori delle imprese affidatarie e datore delle imprese in subappalto l’art. 100, c. 6 bis, del T.U.

stabilisce che : «Nel campo di applicazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive

modificazioni, si applica l’articolo 118, comma 4, secondo periodo, del medesimo decreto

legislativo». E’una norma che istituisce una responsabilità solidale tra affidatario e subappaltatore

anche relativamente agli adempimenti degli obblighi di sicurezza.

O ancora, all’art 26 (Obblighi connessi ai contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione):

«Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione e il coordinamento […] elaborando un

unico documento di valutazione dei rischi [D.U.V.R.I. N.d.R] che indichi le misure adottate per

eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze […]. Nell'ambito di

applicazione del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 , tale documento è redatto,

ai fini dell'affidamento del contratto, dal soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo

alla gestione dello specifico appalto». (comma 3).

«Nei casi in cui il contratto sia affidato dai soggetti di cui all’articolo 3, comma 34, del decreto

legislativo 12 aprile 2006, n. 163 [la "centrale di committenza", N.d.R], o in tutti i casi in cui il datore

di lavoro non coincide con il committente, il soggetto che affida il contratto redige il documento di

valutazione dei rischi da interferenze recante una valutazione ricognitiva dei rischi standard relativi

alla tipologia della prestazione che potrebbero potenzialmente derivare dall’esecuzione del contratto.

Il soggetto presso il quale deve essere eseguito il contratto, prima dell’inizio dell’esecuzione, integra

il predetto documento riferendolo ai rischi specifici da interferenza presenti nei luoghi in cui verrà

espletato l’appalto […] » (comma 3 ter).

122

cosiddetta verifica di idoneità tecnico-professionale delle imprese esterne, sia la fase

contrattuale, con nuovi adempimenti in materia di valutazione dei rischi interferenziali e di

definizione dei costi connessi alla gestione della sicurezza nello specifico appalto”; sia infine

la fase esecutiva, “con la definizione di precisi obblighi per il committente e gli appaltatori in

tema di cooperazione e di coordinamento”.128

L’art. 90 individua gli “Obblighi del committente o del responsabile dei lavori”:

l’alternativa che vi si legge è data dal fatto che il secondo è il «soggetto che può essere

incaricato dal committente per svolgere i compiti ad esso attribuiti dal presente decreto» (art.

89, c.1, l. c, primo periodo), facoltà consentita qualora il committente non disponga delle

competenze necessarie ad onorare tali funzioni.

Di fatti, ai sensi dell’art. 93, c. 1, «Il committente è esonerato dalle responsabilità

connesse all'adempimento degli obblighi limitatamente all'incarico conferito al responsabile

dei lavori», di modo che quest’ultimo diventa l’alter ego del committente ai fini della

sicurezza in cantiere. 129

Nell’ambito degli appalti pubblici, si è però discusso della natura di tale nomina: una

corrente ha sostenuto che si tratti di una nomina facoltativa, salvo che, una volta designato il

responsabile dei lavori, questi non possa essere che il Responsabile unico del procedimento di

cui al “Codice appalti”, stante il precitato secondo periodo dell’art. 89, c.1, l. c.130

128

IVAN PIETROLUONGO, GIUSEPPE SARTORIO, L’omessa indicazione degli oneri di sicurezza negli

appalti pubblici, in Urbanistica e appalti, 2013, 2, 222.

Sul riparto di responsabilità, GIULIO BENEDETTI, Gli adempimenti di sicurezza sul lavoro nel contratto

di appalto pubblico e privato, in ISL - Igiene & Sicurezza del Lavoro, 10, 2011, pp. 696-700.

Pre riforma, ADRIANA MORGANTE, Le posizioni di garanzia nella prevenzione antinfortunistica in

materia di appalto, in Riv. it. dir. e proc. pen., fasc.1, 2001, pagg. 88 e ss. 129

Per un inquadramento sui compiti e responsabilità del R.U.P. in materia di sicurezza sul lavoro:

MARCO MASI, Contratti per lavori pubblici: responsabile del procedimento anche per la tutela in

cantiere, in Ambiente & Sicurezza, 2011, 4, pp. 12-18

E C. TRULLI, La sicurezza sul lavoro nella pubblica amministrazione, cit., p. 286 ss.

Sull’esonero di responsabilità del committente che nomina il Responsabile dei lavori v. ELENA

CARUSO in LUIGI MONTUSCHI (a cura di), La nuova sicurezza sul lavoro: commento al D. lgs. 9

aprile 2008, n. 81 e successive modifiche, Zanichelli, Bologna, 2011, (vol. III, norme penali e

processuali, a cura di GAETANO INSOLERA), pp. 158-162. 130

Così VALENTINA PASQUARELLA, La valorizzazione della dimensione prevenzionistica degli appalti

pubblici tra vecchie e nuove fonti normative, in Lavoro nelle p.a., fasc.2, 2009, pp. 285 e ss., che

scrive: “L'espressione che identifica il responsabile dei lavori con il RUP, in virtù della facoltatività di

tale ruolo, va intesa nel senso che, laddove il committente ritenga di nominarlo, il responsabile dei

lavori può essere soltanto il RUP; in caso contrario, il committente adempierà personalmente a tutti gli

obblighi prevenzionistici, e di conseguenza il RUP, che rimane una figura obbligatoria nei lavori

pubblici, sarà tenuto solo allo svolgimento dei compiti connessi alle fasi di progettazione, di

affidamento e di esecuzione di lavori, servizi e forniture.

123

A questa impostazione si è contrapposta la visione di chi ha ritenuto l’automatismo

della nomina a responsabile dei lavori in capo al R.U.P., a prescindere da qualsivoglia

incarico espresso da parte del committente.131

Gli altri due soggetti responsabili interni alla stazione appaltante sono il “coordinatore

in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell'opera”, definito come

«soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei

compiti di cui all'articolo 91» (art. 89, c.1, l. e) e il “coordinatore in materia di sicurezza e di

salute durante la realizzazione dell'opera”, ovvero il «soggetto incaricato, dal committente o

dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'articolo 92, che non può

essere il datore di lavoro delle imprese affidatarie ed esecutrici o un suo dipendente o il

responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) da lui designato» (art. 89, c.1, l.

f).132

Va tenuto conto, però, che, anche a seguito di tali designazioni, la legge non esonera il

committente o il responsabile dei lavori da una serie di responsabilità, precisate con rimando

dall’art. 93, c. 2.

A tali figure di garanti, come si è detto, si affiancano senza sostituirli, i datori di

lavoro, i dirigenti e i preposti delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, ossia i reali

titolari del rapporto con il lavoratore, nonché i loro incaricati.

3. A seguire il complesso di prescrizioni specifiche da adottarsi nei cantieri, il Titolo

IV del decreto termina col Capo III, dedicato alle sanzioni e, nello specifico si annoverano gli

articoli da 157 a 160 disciplinanti rispettivamente le sanzioni per i committenti e i

La figura del RUP è quindi obbligatoria - facoltativa - obbligatoria: è obbligatoria nell'ambito della

regolamentazione degli appalti pubblici; è facoltativa quale responsabile di lavori, perché potrebbe

non essere nominato dal committente pubblico; diventa di nuovo obbligatoria, in caso di nomina del

responsabile di lavori, in quanto tale ruolo deve essere obbligatoriamente ricoperto dal RUP”. 131

Aderisce a quest’ultima tesi MIRKO TRAPÈ, Sicurezza sul lavoro: i compiti del RUP, in

www.altalex.com, 9 luglio 2014.

Per l’automatismo anche C. TRULLI, La sicurezza sul lavoro nella pubblica amministrazione, cit., p.

278.

Cfr. anche CARINCI, CESTER, MATTAROLO, SCARPELLI, Tutela e sicurezza del lavoro negli appalti

privati e pubblici: inquadramento giuridico ed effettività, cit., pp. 419 ss. 132

Sui compiti e responsabilità dei coordinatori, v. C. TRULLI, La sicurezza sul lavoro nella pubblica

amministrazione, cit., pp. 310 e ss.

124

responsabili dei lavori, le sanzioni per i coordinatori, quelle per i datori di lavoro e dirigenti e,

infine, quelle per i lavoratori autonomi.133

Il d.lgs. 81/2008 nella parte sanzionatoria adopera un sistema di non agevole lettura,

stabilendo ivi la pena e facendo rinvio per l’individuazione della fattispecie agli articoli

precedenti che enucleano l’obbligo. Lo “statuto penale” della sicurezza sul lavoro ha optato

per un doppio binario134

: ossia certe condotte vengono punite a titolo di contravvenzione (con

sola ammenda, ammenda e arresto o solo arresto), mentre altre violazioni, dal disvalore

inferiore, comportano l’applicazione di sole sanzioni amministrative.

Le disposizioni generali in materia penale e di procedura penale si trovano al Titolo

XII, che si apre con una disposizione per quanto forse superflua, di grande aiuto per

l’interprete per muoversi nel complesso di norme del T.U.: «Quando uno stesso fatto è punito

da una disposizione prevista dal titolo I e da una o più disposizioni previste negli altri titoli,

si applica la disposizione speciale» (art. 298). Il che significa che per la risoluzione del

conflitto apparente di norme, conformemente all’art. 15 c.p., rispetto alle violazioni contenute

nella parte generale prevalgono quelle dei titoli seguenti che dettano una disciplina particolare

per i vari settori di rischio. Ne è un esempio la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, qui

analizzata.

L’accertamento delle violazioni in oggetto è retto da un sistema particolare, che la vale

la pena sintetizzare: le contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro

previste dal decreto o contenute in altra fonte legislativa, per le quali sia prevista la pena

alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero la pena della sola ammenda, giovano, in

ragione dell’art. 301, della procedura di prescrizione ed estinzione del reato contenuta nel

Capo II del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758.

In base all’art. 20 del testo normativo da ultimo indicato, una volta accertata la

violazione «l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui

all'art. 55 del codice di procedura penale, impartisce al contravventore un'apposita

prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di

tempo tecnicamente necessario. Tale termine è prorogabile a richiesta del contravventore,

133

Per un’analisi nel dettaglio dei vari illeciti, v. PIERLUIGI RAUSEI, Illeciti e sanzioni : il diritto

sanzionatorio del lavoro, Ipsoa, Milanofiori – Assago, 2013, pp. 592 ss. 134

Cfr. ELENA CARUSO in LUIGI MONTUSCHI (a cura di), cit. (vol. III, norme penali e processuali, a

cura di GAETANO INSOLERA), p. 158.

125

per la particolare complessità o per l'oggettiva difficoltà dell'adempimento. In nessun caso

esso può superare i sei mesi. […]

Con la prescrizione l'organo di vigilanza può imporre specifiche misure atte a

far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro.

Resta fermo l'obbligo dell'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la

notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell'art. 347 del codice di procedura

penale».

L’art. 22 prende in considerazione il caso inverso, ossia quando sia il pubblico

ministero a prendere notizia di una contravvenzione di propria iniziativa ovvero la riceva

da terzi, dovendo esso darne immediata comunicazione all'organo di vigilanza.

In ogni caso, il procedimento penale resta sospeso dal momento dell'iscrizione della

notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. fino al momento in cui il pubblico

ministero riceve la comunicazione dell’adempimento o dell’inadempimento (art. 23, c.1).

L’art. 21 regola i due casi: «Entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del

termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza verifica se la violazione è stata

eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione.

Quando risulta l'adempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ammette il

contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma

pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.

Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo

di vigilanza comunica al pubblico ministero l'adempimento alla prescrizione, nonché

l'eventuale pagamento della predetta somma.

Quando risulta l'inadempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ne dà

comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla

scadenza del termine fissato nella prescrizione».

In breve, si aprono quindi due vie: l’estinzione del reato se il contravventore adempie

alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine fissato e provvede al

pagamento previsto in via amministrativa; in caso contrario si riattiva il procedimento penale

per l’accertamento della contravvenzione.

126

Gli atti dell’organo di vigilanza, costituendo esercizio di funzioni di polizia

giudiziaria, si ritengono non impugnabili in sede amministrativa o giudiziaria con ricorso al

T.A.R. L’eventuali doglianze dovranno essere risolte all’interno del procedimento penale.135

Sul tema è intervenuta a più riprese la Corte Costituzionale dichiarando infondata la

questione di legittimità costituzionale di taluni articoli del Capo II del decreto legislativo 19

dicembre 1994, laddove il rimettente aveva trascurato che, «nel caso in cui le conseguenze

dannose o pericolose del reato risultino eliminate per effetto di una regolarizzazione

spontanea o a seguito dell'osservanza di prescrizioni irritualmente impartite, non vi sono

ostacoli a che il contravventore venga ammesso al pagamento della somma determinata a

norma dell'art. 21 del D.Lgs. n. 758 del 1994, così da poter usufruire dell'estinzione del reato

disciplinata dall'art. 24 del medesimo decreto».136

Ciò in ossequio alla duplice ratio cui

tendono le norme in questione: assicurare l'effettività dell'osservanza delle misure di

prevenzione e di protezione e conseguire una consistente deflazione processuale.

Sin qui si è analizzata la procedura estintiva per le contravvenzioni punite con la pena

alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero la pena della sola ammenda; ma il T.U.

prevede sistemi ripristinatori anche per gli illeciti amministrativi e per le contravvenzioni

punite col solo arresto.

Nel primo caso, l’art. 301 bis dispone: «In tutti i casi di inosservanza degli obblighi

puniti con sanzione pecuniaria amministrativa il trasgressore, al fine di estinguere l’illecito

amministrativo, è ammesso al pagamento di una somma pari alla misura minima prevista

dalla legge qualora provveda a regolarizzare la propria posizione non oltre il termine

assegnato dall’organo di vigilanza mediante verbale di primo accesso ispettivo».

Mentre, secondo l’art. 302, per le contravvenzioni punite con la sola pena dell’arresto,

il giudice può, su richiesta dell’imputato, sostituire la pena irrogata nel limite di dodici mesi

con il pagamento di una somma determinata secondo i criteri di ragguaglio di cui all’articolo

135 c.p.. La sostituzione può avvenire solo quando siano state eliminate tutte le fonti di

rischio e le conseguenze dannose del reato e la somma non può essere comunque inferiore a

2.000 €. La conversione non è consentita quando la violazione ha prodotto un infortunio da

135

MANUEL FORMICA in LUIGI MONTUSCHI (a cura di), cit. (vol. III, norme penali e processuali, a

cura di GAETANO INSOLERA), pp. 315-316. 136

C. Cost. Ord. 4.6.2003, n. 192. Conformi: Ord. 28.5.1999, n. 205; Ord. 16.12.1998, n. 416;

Sent.18.2.1998, n. 19.

127

cui sia derivata la morte ovvero una lesione personale che abbia comportato l’incapacità di

attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai quaranta giorni.

Decorso un periodo di tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza che ha operato

la sostituzione senza che l’imputato abbia commesso ulteriori reati tra quelli previsti dal T.U.,

ovvero i reati di omicidio colposo o lesioni personali colpose commesse con violazione delle

norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, il reato si estingue.

4. La rilevanza della sicurezza nei luoghi di lavoro spicca, comunque, anche nella fasi

precedenti dell’aggiudicazione, essendo approntato un insieme di norme atte a evitare che gli

oneri per la sicurezza, che gravano sulle aziende, rientrino nel gioco a ribasso dei prezzi.137

Tali oneri sono stati definiti come “quei costi che l'impresa sostiene per predisporre le misure

preventive e protettive necessarie per l'eliminazione o riduzione dei rischi da interferenze

delle lavorazioni individuate nel DUVRI (il Documento Unico per la Valutazione dei Rischi),

o nel Piano di sicurezza e di coordinamento.”138

Innanzitutto, fra i principi generali si stabilisce che il principio di economicità possa

essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti e dal

codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e

dell'ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile (art. 2, c. 2, Codice appalti).

In particolare «Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione

dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di

servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia

adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale

deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle

caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture. Ai fini del presente comma il costo del

lavoro è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della

previdenza sociale […]» (art. 86, c. 3 bis, del Codice, poi recepito dall’art. 26, c. 6, del T.U.).

137

Per una riflessione in proposito, cfr. ad es. FRANCO SCARPELLI, Regolarità del lavoro e regole

della concorrenza: il caso degli appalti pubblici, in Riv. giur. del lavoro e della prev. soc., 2006, 4,

761-773.

E VALENTINA PASQUARELLA, La valorizzazione della dimensione prevenzionistica degli appalti

pubblici tra vecchie e nuove fonti normative, cit. 138

IVAN PIETROLUONGO, GIUSEPPE SARTORIO, L’omessa indicazione degli oneri di sicurezza negli

appalti pubblici, cit.

128

«Il costo relativo alla sicurezza non può essere comunque soggetto a ribasso d’asta».

(art. 86, c. 3 ter).

Dal tenore delle suesposte disposizioni deriva che “nella predisposizione della gara

[…], i costi relativi alla sicurezza derivanti dalla valutazione delle interferenze devono essere

specificamente indicati […] separatamente dall'importo dell'appalto posto a base d'asta, con

preclusione di qualsivoglia facoltà di ribasso dei costi stessi […], in virtù della preclusione

legale di indisponibilità di detti oneri da parte dei concorrenti, trattandosi di costi necessari,

finalizzati con tutta evidenza alla massima tutela del bene costituzionalmente rilevante

dell'integrità dei lavoratori”.139

L’art. 38 del D. Lgs. 163/2006 regola i requisiti di ordine generale delle imprese

concorrenti, stabilendo, tra l’altro, che «Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di

affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere

affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: […] che hanno

commesso gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni

altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro […]» (c. 1, l. e).

Circa i criteri di valutazione delle offerte anormalmente basse, l’art. 87, c. 4 non

ammette giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza, nonché al piano di sicurezza e

coordinamento, e richiede , nella valutazione dell'anomalia, la stazione appaltante tenga conto

dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e

risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture.

Nel Regolamento attuativo (D.P.R. 207/2010) sono poi individuati, all’art. 39, il

“Piano di sicurezza e di coordinamento” e il “Quadro di incidenza della manodopera”140

139

I. PIETROLUONGO, G. SARTORIO, L’omessa indicazione degli oneri di sicurezza negli appalti

pubblici, cit. 140

«Il piano di sicurezza e di coordinamento è il documento complementare al progetto esecutivo,

finalizzato a prevedere l'organizzazione delle lavorazioni più idonea, per prevenire o ridurre i rischi

per la sicurezza e la salute dei lavoratori, attraverso l'individuazione delle eventuali fasi critiche del

processo di costruzione, e la definizione delle relative prescrizioni operative. Il piano contiene misure

di concreta fattibilità, e' specifico per ogni cantiere temporaneo o mobile ed e' redatto secondo quanto

previsto nell'allegato XV al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. La stima dei costi della sicurezza

derivanti dall'attuazione delle misure individuate rappresenta la quota di cui all'articolo 16, comma 1,

punto a.2).

2. I contenuti del piano di sicurezza e di coordinamento sono il risultato di scelte progettuali ed

organizzative conformi alle misure generali di tutela di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 9

aprile 2008, n. 81, secondo quanto riportato nell'allegato XV al medesimo decreto in termini di

contenuti minimi. In particolare la relazione tecnica, corredata da tavole esplicative di progetto, deve

prevedere l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi in riferimento all'area e

129

5. Si osservi in chiusura il dibattito giurisprudenziale che ha riguardato la questione se

fosse ugualmente obbligo per i concorrenti partecipanti ad una gara segnalare l'importo degli

oneri economici imputati esclusivamente alle misure di sicurezza sul lavoro, anche se ciò non

fosse previsto espressamente dal bando.

L’inciso che ha dato adito ai dubbi è stato il secondo periodo dell’art. 87, c. 4 del

Codice: «Nella valutazione dell'anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi

alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui

rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture», non trattando

apparentemente degli appalti di lavori.

Circoscrivendo l’analisi alle pronunce degli ultimi anni, secondo un primo

orientamento l'inosservanza delle norme del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei

contratti pubblici) che impongono l'indicazione preventiva dei costi di sicurezza avrebbe

implicato - anche in assenza di espressa comminatoria del bando di gara - la sanzione

dell'esclusione, in quanto avrebbe reso l'offerta incompleta sotto un profilo particolarmente

rilevante alla luce della natura costituzionalmente sensibile degli interessi protetti e avrebbe

inoltre impedito alla stazione appaltante un adeguato controllo sull'affidabilità dell’offerta

stessa.141

Di altro avviso fu il Supremo Consesso Amministrativo l’anno successivo, nella

pronuncia in cui, onerando le amministrazioni aggiudicatrici, in sede di predisposizione dei

bandi di gara, di indicare i costi relativi alla sicurezza derivanti dalla valutazione delle

interferenze (i quali, a pena d'illegittimità, vanno specificamente separati dall'importo

dell'appalto posto a base d'asta), dichiarò l’annullamento degli atti di gara impugnati.142

Si ritornò in seguito nel filone della prima sentenza analizzata, stabilendo che la

mancata indicazione, nel disciplinare di gara, dell'obbligo per le imprese partecipanti di far

luogo alla indicazione dei costi per la sicurezza da rischio specifico o aziendale non esimeva il

concorrente dalla specificazione di tale elemento. Sulla scorta del dato normativo di cui agli

all'organizzazione dello specifico cantiere, alle lavorazioni interferenti ed ai rischi aggiuntivi rispetto

a quelli specifici propri dell'attività delle singole imprese esecutrici o dei lavoratori autonomi.

3. Il quadro di incidenza della manodopera e' il documento sintetico che indica, con riferimento allo

specifico contratto, il costo del lavoro di cui all'articolo 86, comma 3-bis, del codice. Il quadro

definisce l'incidenza percentuale della quantità di manodopera per le diverse categorie di cui si

compone l'opera o il lavoro.»

Cfr. anche l’art. 131 del Codice (“Piani di sicurezza”) e l’art. 100 del T.U. “Piano di sicurezza e

coordinamento”. 141

C.d.S. sez. V, 23-7-2010, n. 4849. 142

C.d.S. Sez. III, 3-10-2011, n. 5421.

130

artt. 86 e 87, comma quarto, del Codice degli appalti (D.Lgs. n. 163 del 2006) e dell'art. 26,

comma sesto, D.Lgs. n. 81 del 2008, invero, doveva attribuirsi ai costi suddetti la valenza di

un elemento essenziale dell'offerta a norma dell'art. 46, comma primo bis, Codice dei

contratti, la cui mancanza rendeva la stessa incompleta e come tale, già di per solo,

suscettibile di determinare la esclusione del concorrente che l'avesse in tal modo formulata.143

Il forte contrasto giurisprudenziale veniva evidenziato da una pronuncia poco

successiva, con la quale i Giudici di Palazzo Spada riconoscevano in via generale

l’obbligatorietà dell'indicazione dei costi per la sicurezza nell'offerta economica pur in

assenza di indicazioni nella legge di gara; salvo però rilevare che, laddove le indicazioni al

riguardo nel bando di gara fossero tali da portare obbiettivamente ad errare in buona fede o

addirittura idonee ad orientare verso una interpretazione legittimante la non esposizione

nell'offerta economica dei costi in questione, doveva essere dichiarata l’illegittimità

dell’esclusione dell'impresa concorrente che, vista tale obiettiva ambiguità, avesse presentato

l'offerta senza l'esposizione dei detti costi.144

Si contraddistingueva nuovamente di segno contrario a quella che l’aveva preceduta la

sentenza, per la quale, essendo la legge la fonte dell’obbligo di indicazione degli oneri per la

sicurezza, sarebbe stata irrilevante la circostanza che la lex specialis di gara non avesse

richiesto la medesima indicazione, rendendosi altrimenti scusabile una ignorantia legis.145

La giurisprudenza amministrativa continuava sul suo percorso altalenante facendo poi

un distinguo: l'obbligo di indicare nell'offerta di gara gli oneri per la sicurezza aziendale

sarebbe valso solo per gli appalti di servizi e forniture, in quanto per gli appalti di lavori

sarebbe occorso fare riferimento alla quantificazione ad opera della stazione appaltante.146

Il Consiglio di Stato rimaneva su questa tesi anche nel 2014. La motivazione sarebbe

stata dovuta alla ragione per cui nelle gare d'appalto l'obbligo di indicazione, in sede di

offerta, del costo relativo alla sicurezza sarebbe imposto dal legislatore, ex art. 87, comma

4, d.lgs. 163/2006 (Codice degli appalti), esclusivamente per le procedure relative agli appalti

di servizi e forniture mentre in materia di lavori pubblici la quantificazione sarebbe rimessa al

piano di sicurezza e coordinamento ex art. 100 d.lgs. n. 81/2008, predisposto dalla stazione

appaltante ai sensi dell'art. 131 d.lgs. 163/2006; fermo restando l'obbligo di verifica

143

C.d.S. Sez. III, 28-08-2012, n. 4622. 144

C.d.S. Sez. VI, 20-09-2012, n. 4999. 145

C.d.S. Sez. III, 03-07-2013, n. 3565. 146

C.d.S. Sez. V, 09-10-2013, n. 4964.

131

dell'adeguatezza degli oneri per tutti i contratti pubblici in forza dell'art. 86, comma 3 bis del

Codice degli appalti.147

Due sentenze di poco successive, però, propendevano per la legittimità

dell’aggiudicazione di una gara di appalto di lavori in favore di un'impresa che non avesse

indicato specificamente, nell'offerta economica, gli oneri per la sicurezza aziendale148

.

A fine anno contribuiva anche il Consiglio di Giustizia amministrativa149

. I giudici

siciliani, in ragione delle più recenti sentenze, hanno reputato che la giurisprudenza appaia

attualmente orientata nel senso di ritenere illegittima l'esclusione dagli appalti di servizi dei

concorrenti che non abbiano preventivamente indicato i costi per la sicurezza aziendale.

«Nella specie» scrivono «l'omessa indicazione dei costi della sicurezza ("aziendale", o

"interna") non è stata prevista dal bando di gara quale causa di esclusione del concorrente; e

ciò essenzialmente in quanto la recente giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. C.G.A., ord.

26 settembre 2014, n. 475) si è andata sempre più orientando nel senso della condivisione per

la tesi che la violazione di adempimenti non espressamente previsti (né specificamente

sanzionati con l'esclusione) dal bando di gara, né dalla legge, non sia "legittimamente

sanzionabile con l'esclusione, ... dovendosi accordare prevalenza, rispetto al meccanismo di

eterointegrazione, al principio di affidamento. […]

A supporto della soluzione interpretativa cui questo Consiglio aderisce si rileva che

l'obbligo di indicare i costi per la sicurezza interna viene ricavato dagli articoli 86 e 87 del

codice dei contratti pubblici; senonché, tali norme riguardano la verifica di anomalia delle

offerte e, d'altra parte, neppure la legge prevede espressamente alcuna conseguenza in

termini di esclusione dell'offerente (dell'incongruenza di ricavare in via interpretativa

fattispecie escludente sia già trattato sopra)».

Sulla questione è intervenuta finalmente l’Adunanza Plenaria del 20 marzo 2015, su

rimessione della V Sezione «per l’esame della questione di diritto attinente alla corretta

interpretazione dell’art. 87, comma 4, del Codice, che il primo giudice ha ritenuto norma da

cui discende l’obbligo per le imprese partecipanti di indicare, a pena di esclusione, gli oneri

relativi alla sicurezza in maniera analitica sin dal momento di presentazione delle offerte.»

All’esito dell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2015 è stato espresso tale

principio di diritto: «Nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono

147

C.d.S. Sez. V, 07-05-2014, n. 2343. 148

C.d.S Sez. V, 17-06-2014, n. 3056 e C.d.S. Sez. III, 24-06-2014, n. 3195. 149

C.G.A., ud. 10-12-2014; dep. 24-03-2015, n. 305.

132

indicare nell’offerta economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione

dell’offerta dalla procedura anche se non prevista nel bando di gara». È stata pertanto

accolta l’impostazione più gravosa per le imprese, ma senz’altro di maggior tutela per i

lavoratori.

Si dice nella sentenza «Non appare coerente, infatti, imporre alle stazioni appaltanti

di tenere espresso conto nella determinazione del valore economico di tutti gli appalti

dell’insieme dei costi della sicurezza, che devono altresì specificare per assicurarne la

congruità, e non imporre ai concorrenti, per i soli appalti di lavori, un identico obbligo di

indicazione nelle offerte dei loro costi specifici, il cui calcolo, infine, emergerebbe soltanto in

via eventuale, nella non indefettibile fase della valutazione dell’anomalia; così come non si

rinviene la ratio di non prescrivere la specificazione dei detti costi per le offerte di lavori,

nella cui esecuzione i rischi per la sicurezza sono normalmente i più elevati.»

Secondo l’Adunanza Plenaria, una lettura differente delle norme si porrebbe in

contrasto coi principi superiori di tutela dei lavoratori, di rango costituzionale.

«Per evitare» prosegue «una soluzione ermeneutica irragionevole e incompatibile con

le coordinate costituzionali si deve allora accedere ad una interpretazione degli articoli 26,

comma 6, del d.lgs. n. 81 del 2008 e 86, comma 3-bis, del Codice, nel senso che l’obbligo di

indicazione specifica dei costi di sicurezza aziendali non possa che essere assolto dal

concorrente, unico in grado di valutare gli elementi necessari in base alle caratteristiche

della realtà organizzativa e operativa della singola impresa […]».

«Consegue che, ai sensi dell’art. 46, comma 1-bis, del Codice, l’omessa specificazione

nelle offerte per lavori dei costi di sicurezza interni configura un’ipotesi di “mancato

adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice” idoneo a determinare

“incertezza assoluta sul contenuto dell’offerta” per difetto di un suo elemento essenziale, e

comporta perciò, anche se non prevista nella lex specialis l’esclusione dalla procedura

dell’offerta difettosa per l’inosservanza di un precetto a carattere imperativo […]»

6. Si è tentato qui di mostrare come la normativa sugli appalti e quella della sicurezza

sul lavoro siano intensamente intrecciate.

133

Si auspica allora che il legislatore, tenuto conto di ciò, riformi la materia dei contratti

pubblici avendo ben presente, tra l’altro, come l’igiene, la salute e la sicurezza siano obiettivi

imprescindibili.

Visti i dibattiti giurisprudenziali sul tema forse non ancora sopiti e le incertezze che

colgono spesso gli operatori del settore, l’intervento cui l’Unione ci invita dovrà essere

l’occasione anche per rendere più chiara questa materia per sua natura complessa.

135

LE CAUSE DI ESCLUSIONE FRA NORMATIVA NAZIONALE

E RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA APPALTI 2014/24/UE

Matteo Timo

(Dottorando Università di Genova)

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Cenni alla disciplina della Direttiva n. 2014/24/UE in

materia di cause di esclusione. - 3. Aspetti problematici della normativa interna all’indomani

del recepimento delle direttive europee del 2014.

1. Premessa

Il pacchetto di direttive adottato dall’Unione Europea150

, come già è stato chiarito in

apertura del presente convegno151

, è in grado di offrire l’occasione per un generale

ripensamento della normativa italiana di disciplina degli appalti e delle concessioni così come

elaborata nel recepimento delle precedenti direttive del 2004152

. Questa considerazione non

solo si impone come necessaria alla luce delle consistenti innovazioni di cui le nuove direttive

del 2014 sono foriere, ma si rende essenziale anche con esclusivo riferimento alla normativa

nazionale.

Il legislatore italiano procedette al recepimento delle disposizioni comunitarie

redigendo un unico testo normativo costituito dal D.Lgs. n. 163 del 12.04.2006 cosiddetto 150

Direttive nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del

26 febbraio 2014. In proposito si veda N. TORCHIO, Le nuove direttive europee in materia di appalti e

concessioni, in www.lineeavcp.it, 2014. 151

Si veda, in questo convegno, il contributo di P.M. VIPIANA, Il recepimento delle direttive come

occasione per la riforma della normativa italiana in tema di appalti pubblici e concessioni. 152

Direttive nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo

2004.

136

“Codice De Lise” o “Codice dei contratti pubblici”: questo ampio corpus di regole è, infatti,

stato oggetto di ampie critiche concernenti sia la tecnica redazionale sia la difficoltà

interpretativa, ma, ad ogni modo, appare oggi inadeguato a sostenere il recepimento delle

direttive del 2014.

Con maggior attenzione all’oggetto del presente contributo, appare doveroso

premettere che la disciplina interna delle cause di esclusione costituisce un interessante campo

di prova delle considerazioni che sono state formulate poco sopra e più in generale nei primi

contributi di questo convegno153

: infatti, benché la Direttiva 2014/24/UE (relativa agli appalti

nei settori ordinari) non introduca – come meglio sarà indicato nel proseguio – una disciplina

radicalmente innovativa, la regolamentazione contenuta nel D.Lgs. 163/2006 e inerente ai

requisiti di partecipazione è stata oggetto di critiche, poiché ritenuta frammentaria e di

difficoltosa interpretazione e, conseguentemente, ha alimentato l’incertezza degli operatori

economici e delle stazioni appaltanti, accrescendo il contenzioso amministrativo. Si tratta di

considerazioni di lampante evidenza confermate dal numero di interventi, in questa materia,

del giudice amministrativo, degli studiosi di diritto ma anche dell’Autorità di settore e dello

stesso legislatore.

Proprio in ordine a quest’ultimo, si deve rilevare come i recenti interventi154

sulla

normativa nazionale possano in certo senso ritenersi un’anticipazione del diritto europeo, ma

appaiono ancora gravati da pesanti dubbi di conformità ai canoni di flessibilità155

e di

semplificazione che sono tipici delle scelte compiute dall’Unione Europea. Infatti, dalla

lettura delle disposizioni della direttiva appalti concernenti gli obiettivi strategici perseguiti

dall’Unione156

emerge un’attenzione alla flessibilità, intesa come maggiore libertà per le

amministrazioni nella scelta della procedura concorsuale (con evidente invito al maggior

impiego delle procedure negoziate157

), accompagnata da un palese stimolo alla

semplificazione amministrativa e normativa158

, del quale l’Esecutivo italiano, in sede di

153

Ci si riferisce alla relazione di P.M. VIPIANA, cit. e a quella di R. GISONDI, Commento alla direttiva

2014/24/UE relativa agli appalti nei settori ordinari. 154

Con ciò si intendono le modifiche apportate alla disciplina interna delle cause di esclusione nel

2011 e nel 2014, di cui sarà ampiamente trattato nel paragrafo 3. 155

F. DINI, La nuova direttiva appalti nel segno della flessibilità e della negoziazione, in

www.lineeavcp.it, 2014. 156

H.C. CASAVOLA, Le regole e gli obiettivi strategici per le politiche Ue 2020, in Gior. dir. amm.,

2014, pp. 1135 ss. 157

Considerando n. 42, Direttiva 2014/24/UE. 158

Sulla differenza fra le varie figure di semplificazione: P.M. VIPANA, I procedimenti amministrativi.

La disciplina attuale ed i suoi aspetti problematici, Padova, 2012, pp. 137 ss; F. SATTA Liberalizzare e

137

redazione del disegno di legge delega per il recepimento delle nuove direttive, ha colto

appieno la portata proponendo l’abrogazione dell’attuale codice dei contratti pubblici e la

redazione di un nuovo ed unico codice ispirato, per quanto in questa sede ci concerne, alla

certezza giuridica, alla riduzione degli oneri documentali e alla semplificazione

procedimentale159

.

Gli elementi indicati assumono significativo rilievo in tema di cause di esclusione ove

la normativa italiana, benché racchiusa nei suoi profili generali in soli due articoli160

, sembra

non aver mai preso in considerazione le direttrici oggi dettate esplicitamente dal legislatore

europeo (e dall’Esecutivo italiano) ma che, in ogni caso, costituiscono principi generali,

precedentemente già conosciuti ma raramente applicati, di buona tecnica redazionale degli atti

normativi.

Le indicate disposizioni legislative sulle cause di esclusione, non a caso, sono state

ritenute partecipi dei seguenti gruppi di problemi che affliggono il sistema italiano degli

appalti: a) incertezza, aumento del contenzioso161

, difficoltà nel raggiungimento della naturale

conclusione degli appalti, maldestro o inadeguato impiego dei fondi a disposizione della

pubblica amministrazione e conseguente spreco di risorse162

; b) stratificazione della

normativa ed impiego disinvolto della decretazione d’urgenza; c) difficoltà per le stazioni

appaltanti di rendere concretamente operativa nelle procedure di aggiudicazione la normativa

semplificare, in Dir. amm., 2012, 1-2, pp. 184 ss. e G. VESPERINI, Semplificazione amministrativa, in

S. Cassese (diratto da), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, Vol. VI, pp. 5479 ss. 159

Si veda Atto Senato n. 1678, presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri alla seduta del 18

novembre 2014, recante Disegno di legge delega per l’attuazione delle direttive 23, 24 e 25 del 26

febbraio 2014, disponibile in www.senato.it: in particolare, già la relazione governativa di

accompagnamento, a pagina 3, evidenzia la direttrice della certezza giuridica «secondo un approccio

alla disciplina degli appalti e delle concessioni di tipo sostanzialmente diverso da quello previsto

nell’attuale contesto normativo, caratterizzato da una regolamentazione troppo puntuale». Inoltre

l’art. 1 D.D.L., lettere c) ed f), esplicitamente parlano di certezza del diritto, semplificazione dei

procedimenti e riduzione degli oneri documentali. 160

Artt. 38 e 46, D.Lgs. 163/2006. Peraltro, accogliendo pienamente le osservazioni di attenta dottrina

(B.G. MATTARELLA, La trappola delle leggi. Molte, oscure, complicate, Bologna, 2011), si osserva

come problemi di incertezza giuridica non discendano solo dall’ipertrofia normativa ma anche dalla

presenza di poche disposizioni redatte in modo non chiaro o contraddittorio. 161

Relazione governativa all’Atto Senato N. 1678/2014, p. 3. 162

N. TORCHIO, op. cit., nonché P. SESTITO (Capo del Servizio di Struttura economica della Banca

d’Italia), Recepimento delle direttive europee in materia di contratti pubblici, redatta per

Commissione 8a della Camera dei Deputati, 16 giugno 2014, disponibile in wwwbancaditalia.it. In

quest’ultimo contributo si evidenzia, da un lato, come la carenza di finanziamenti sia una tipicità

italiana successiva al 2009 e, dall’altro lato, come le risorse stanziate per investimenti pubblici a

partire dagli anni ’90 fossero conformi alla media europea: l’Autore, pertanto, desume la presenza di

un inefficiente utilizzo delle risorse dovuto anche alla «disorganicità della normativa di riferimento».

138

del codice dei contratti pubblici (e, nello specifico, quella concernente le cause di esclusione e

i requisiti di partecipazione).

La molteplicità di aspetti problematici cui si è fatto brevemente cenno amplifica il già

vivo interesse163

degli studiosi di diritto in ordine ai requisiti generali di partecipazione e alle

cause di esclusione: si rende, quindi, necessario un attento esame della materia in sede di

recepimento delle nuove direttive al fine di non incorrere nuovamente nelle incognite della

regolamentazione attuale. La circostanza, per la quale il legislatore delegato dovrà porre

significativa attenzione al tema che ci occupa, si desume dal rilievo in forza del quale gli

articoli 38 e 46 del codice dei contratti pubblici sono stati interessati, nel corso del solo ultimo

anno, da una novella legislativa, da tre pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di

Stato e da due chiarimenti dell’Autorità di settore164

.

Si ritiene opportuna, pertanto, una sintetica individuazione delle principali criticità

della normativa italiana che si auspica possano trovare rimedio nel futuro “codice degli

appalti pubblici e delle concessioni”165

.

2. Cenni alla disciplina della Direttiva n. 2014/24/UE in materia di cause di

esclusione

All’esame delle complessità scaturenti dall’attuale codice dei contratti pubblici, giova

premettere una sintetica trattazione delle cause di esclusione così come disciplinate dalla

Direttiva n. 24 del 2014 inerente agli appalti nei settori ordinari.

La suddetta direttiva reca la disciplina dei cosiddetti “requisiti generali” di

partecipazione nell’art. 57 rubricato, non a caso, “motivi di esclusione”.

L’art. 57 della Direttiva n. 24166

si pone in parziale continuità con la precedente

disciplina comunitaria contenuta nell’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE. Assimilabile è,

163

F. APERIO BELLA, Riflessioni sul requisito di “moralità professionale”: vecchi dubbi e nuove

soluzioni alla luce del “Decreto sviluppo” n. 70 del 2011, convertito nella L. n. 106 del 2011, in A.

LEONI, Sull’applicazione del Codice dei contratti pubblici coordinato da Maria Alessandra Sandulli e

Francesco Cardarelli, in Foro amm. TAR, 2011, 10, pp. 1067 ss. 164

Ci si riferisce, come sarà chiarito nel proseguio, rispettivamente al D.L. n. 90 del 24 giugno 2014,

convertito nella L. 11 agosto 2014, n. 114; sentenze dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 25 febbraio 2014,

n. 16 del 30 luglio 2014 e n. 3 del 20 marzo 2015; Determinazione A.N.AC. n. 1 dell’8 gennaio 2015 e

Comunicato del Presidente A.N.AC. del 25 marzo 2015. 165

Denominazione desunta dall’art. 1, comma 1, lett. b, D.D.L. A.S. 1678.

139

infatti, la struttura di fondo dei due articoli: così come l’art. 45 Direttiva n. 18 prevedeva una

contrapposizione fra cause di esclusione “obbligatorie” (paragrafo 1) e cause di esclusione

“facoltative” (paragrafo 2), così il nuovo art. 57 Direttiva n. 24 dispone, ricorrendo le ipotesi

di cui al primo paragrafo, che «le amministrazioni aggiudicatrici escludono un operatore

economico dalla partecipazione […]» e, verificandosi le evenienze di cui al paragrafo 4, che

«le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere […]» riproponendo, in tal modo, la

distinzione fra cause di esclusione obbligatorie e facoltative.

Tuttavia, si ha ragione di credere che il medesimo paragrafo 4 dell’art. 57 consenta che

gli Stati membri, ricorrendo le stesse ipotesi di esclusione facoltativa, impongano alla stazione

appaltante l’esclusione del concorrente, così equiparando le cause facoltative a quelle

obbligatorie167

: la nuova Direttiva appare allora più precisa della precedente, il cui art. 45 si

limitava all’elencazione delle ipotesi riferibili alle due tipologie di esclusione, senza precisare

la possibilità per lo Stato membro di rendere vincolante la causa di esclusione facoltativa.

La maggiore analiticità dell’art. 57 si percepisce anche nella previsione di un’apposita

“micro disciplina” della causa di esclusione inerente alla violazione della normativa tributaria

e previdenziale: appositamente, il paragrafo 2 introduce l’obbligatorietà dell’esclusione

dell’operatore economico che non abbia «ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di

imposte o contributi previdenziali» qualora tale inottemperanza sia stata accertata con

provvedimento vincolante e definitivo in conformità alla legislazione vigente del paese di

stabilimento dell’operatore o del paese di appartenenza dell’amministrazione aggiudicatrice.

La disciplina specifica sull’esclusione per il mancato pagamento di imposte e di

mancato versamento di contributi previdenziali, assume particolare valenza se letta in

raffronto con il primo paragrafo dello stesso articolo 57: infatti, mentre quest’ultimo richiede

espressamente che la condanna – rilevante ai fini dell’esclusione obbligatoria – sia stata

pronunciata con sentenza passata in giudicato, il paragrafo secondo al secondo comma

introduce un quid pluris, prevedendo una fattispecie di esclusione facoltativa (ma che può

diventare obbligatoria su previsione dello Stato membro) qualora l’amministrazione

aggiudicatrice abbia a propria disposizione mezzi adeguati per provare l’inadempimento.

166

C. LACAVA, Le nuove procedure, la partecipazione e l’aggiudicazione, in Gior. dir. amm., 2014,

12, pp. 1141 ss. 167

Scelta, peraltro, seguita dal legislatore italiano nel recepimento della precedente direttiva

2004/18/CE.

140

In altri termini, mentre la causa di esclusione obbligatoria del paragrafo 1 richiede

sempre l’accertamento con efficacia di cosa giudicata, la causa si esclusione di cui al

paragrafo 2 richiede la definitività dell’accertamento solo per l’esclusione obbligatoria, ma

permette – al secondo comma – di giungere all’esclusione facoltativa (rectius obbligatoria su

scelta dello Stato membro) per gli stessi motivi sulla scorta dell’apprezzamento ad opera

della stazione appaltante di qualunque adeguato mezzo: ad avviso di scrive, si tratta di una

disposizione sulla quale il legislatore nazionale dovrà, in sede di recepimento, fornire

opportune precisazioni, atteso che non solo gli stessi motivi possono condurre

simultaneamente all’esclusione obbligatoria e a quella facoltativa, ma anche che l’operatore

economico potrebbe trovarsi a giustificare il proprio operato in una materia, quale quella

tributaria, nella quale il nostro ordinamento appronta rigide garanzie amministrativo-

procedimentali e giurisdizionali a tutela del contribuente168

.

Tali considerazioni si fanno maggiormente stringenti alla luce della tradizione italiana

di assimilare le previsioni di esclusione nell’unica categoria delle cause obbligatorie: una

conferma di questa scelta legislativa interna condurrebbe sempre all’obbligatorietà

dell’esclusione del partecipante qualora la stazione appaltante ritenga dimostrabile

l’inottemperanza al pagamento di imposte o contributi previdenziali senza che sia necessaria

l’intermediazione delle amministrazioni e dell’autorità giudiziaria preposta a tale

accertamento.

In ogni caso, un limite a tali disposizioni si desume dallo stesso paragrafo 2169

, il quale

all’ultimo comma dispone l’inapplicabilità dei due periodi precedenti qualora l’operatore

abbia adempiuto o si sia impegnato al versamento: in ogni caso, all’accertamento della

fattispecie di cui al secondo comma del paragrafo 2 dovrebbe riconoscersi sempre un’ampia

possibilità di soccorso istruttorio alla stazione appaltante al fine di mettere l’operatore

economico nella condizione di dimostrare il rispetto della normativa fiscale e previdenziale170

.

168

Garanzie tipiche di un sistema incentrato sulla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. 169

Anche il successivo paragrafo 3, comma 2, invita gli Stati membri ad evitare la sanzione

dell’esclusione, in virtù del principio di proporzionalità, qualora le somme non versate siano esigue

ovvero nei casi in cui l’operatore economico non avrebbe potuto ottemperare prima della formulazione

della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta. 170

Un’interpretazione del genere peraltro risulta coerente con il sempre maggior spazio che la

legislazione tributaria riconosce al contraddittorio endoprocedimentale fra Pubblica amministrazione e

contribuente nella formazione dell’atto di accertamento fiscale.

141

Ulteriori innovazioni rilevabili nel testo dell’art. 57 attengono, in primo luogo, alla

previsione – al paragrafo 3 – di una disciplina maggiormente dettagliata171

della possibilità di

derogare in via eccezionale alle cause di esclusione obbligatorie e a quelle del paragrafo 2,

qualora sussistano «esigenze imperative connesse ad un interesse generale», fra le quali, per

tabulas, sono annoverate la tutela dell’ambiente172

e la salute pubblica.

Con maggiore rigore l’art. 57, Direttiva n. 24, estende a tutte le fasi della procedura la

doverosità – ovvero la possibilità ove prevista – di esclusione dell’operatore che si trovi in

una delle condizioni di cui ai paragrafi 1, 2 e 4.

Di verso opposto sono, invece, le previsioni di cui al paragrafo 6, le quali introducono

le cosiddette “self-cleaning measures”173

manifestamente ispirate al principio di massima

partecipazione alla procedura di aggiudicazione. Il favor partecipationis espresso dalla norma

in esame consente di superare il dato formale della presenza di una pertinente causa di

esclusione (anche quando la stessa derivi da una pronuncia di condanna penalmente rilevante

e munita dell’efficacia della res iudicata174

, a meno che nei confronti dell’operatore non sia

stata pronunciata una sentenza definitiva, che ai sensi del comma 3, paragrafo 6, lo escluda

espressamente dalla partecipazione agli appalti), ammettendo la partecipazione, qualora

l’operatore sufficientemente dimostri la sua affidabilità.

La disposizione costituisce qualcosa in più del semplice principio di collaborazione

procedimentale o del dovere di soccorso istruttorio175

, in quanto non è volta all’eliminazione

di errori o carenze meramente formali che impediscono all’amministrazione di verificare la

reale sussistenza dei requisiti richiesti: infatti, il paragrafo 6 concerne casi in cui l’operatore

non dispone dei requisiti generali di partecipazione in quanto rientra nelle situazioni

disciplinate dai paragrafi 1 e 4 (rispettivamente cause di esclusione obbligatorie e facoltative).

171

L’art. 45 della Direttiva 2004/14/CE si limitava, al paragrafo 1, a statuire la possibilità per gli Stati

membri di preveder deroghe per esigenze imperative di interesse generale. 172

La previsione di deroghe alle cause di esclusione obbligatorie al fine di tutelare aspetti sociali ed

ambientali rientra nella più ampia volontà, espressa dal legislatore europeo nelle Direttive del 2014, di

affiancare alle regole pro-competitive e concorrenziali anche la garanzia di determinati standard

ambientali e sociali in linea con la strategia “Europa 2020”. In proposito, si vedano H.C. CASAVOLA,

op. cit. e N. TORCHIO, op. cit. 173

C. LACAVA, op. cit. e F. DI CRISTINA, La prevenzione dell’illegalità e l’interazione tra le

amministrazioni, in Gior. dir. amm., 2014, 12, pp. 1160 ss., il quale parla di «ravvedimento

procedimentale» (p. 1161). 174

Ciò si desume dal tenore letterale della disposizione che prevede l’applicazione della previsione del

paragrafo 6 a tutti gli operatori che si trovino nelle situazioni di cui ai precedenti paragrafi 1 e 4. 175

In tal senso si pone come ulteriore a quanto già previsto dalla normativa italiana agli artt. 38,

comma 2-bis e 46, commi 1 e 1-ter, c.c.p.

142

Tuttavia, il citato paragrafo si pone in un’ottica “supersostanziale”, permettendo all’aspirante

aggiudicatario di dimostrare di essersi redento dai motivi di esclusione, ancorché derivanti

dalla sanzione penale176

: in proposito, al comma 2, il paragrafo 6 esemplifica gli elementi di

“prova” a disposizione dell’operatore quali il risarcimento del danno, la collaborazione con

l’Autorità giudiziaria e l’adozione di provvedimenti volti alla prevenzione di futuri illeciti o

reati.

Il paragrafo da ultimo esaminato introduce, pertanto, un elemento di forte innovazione

nella regolamentazione delle cause di esclusione delle procedure di aggiudicazione che non

trova un omologo nel diritto interno e che, conseguentemente, dovrà essere recepito dal

legislatore delegato: la trasposizione dell’art. 57, Direttiva n. 24, nel diritto nazionale impone

dunque, da un lato, un ripensamento delle attuali previsioni concepite dal codice dei contratti

pubblici e, dall’altro lato, offre l’occasione per addivenire ad una complessiva semplificazione

e razionalizzazione della medesima normativa.

È opportuno, di conseguenza, mettere in risalto quelle complessità che il legislatore

delegato – si auspica – avrà l’opportunità di rimuovere.

3. Aspetti problematici della normativa interna all’indomani del recepimento delle

direttive europee del 2014

In virtù delle disposizioni contenute nel codice dei contratti pubblici, la stazione

appaltante, in linea generale, può procedere ad escludere dalla gara un operatore economico

allorché il medesimo si riveli privo dei requisiti di ammissione e di partecipazione richiesti

dalle disposizioni di legge vigenti177

.

La disciplina italiana delle cause di esclusione, come è stato ricordato poco sopra, si

articola fondamentalmente in due disposizioni rinvenibili nel D.Lgs. 163/2006: le suddette

disposizioni sono l’art. 38, concernente i “requisiti di ordine generale”, e l’art. 46 oggi

rubricato “documenti e informazioni complementari – tassatività delle cause di esclusione”. 176

La Direttiva potrebbe, benché sotto il profilo economico, essere tramite di una interpretazione

estensiva dell’art. 27 Cost. e della funzione rieducativa della pena: pare, infatti, desumersi un

orientamento del Legislatore europeo a non rendere di per sé vincolante la sanzione penale quale causa

di esclusione, allorché l’operatore economico si sia sostanzialmente riabilitato. 177

L. DE GREGORIIS, A lo parlare agi mesura: potere di soccorso istruttorio e non tassatività del

principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare di appalto, in Foro amm., 2014, 9, pp.

2268 ss.

143

La prima delle due disposizioni indicate costituisce recepimento dell’art. 45, Direttiva

n. 2004/18/CE, e rappresenta la disposizione sulla quale il legislatore delegato dovrà

concentrarsi maggiormente al momento del recepimento dell’art. 57 della nuova Direttiva n.

24 del 2014.

In ordine alla disposizione in parola, possono, in linea generale, articolarsi alcune

osservazioni: a) in primo luogo, è doveroso ricordare che, nella compilazione dell’art. 38, il

legislatore del 2006178

ha optato per la redazione di un’unica elencazione di cause di

esclusione tutte qualificate come obbligatorie, nonostante l’art. 45 della Direttiva 18

prevedesse la distinzione fra ipotesi obbligatorie e facoltative. Benché la scelta normativa

italiana possa ricondursi alla volontà di ridurre al minimo la discrezionalità della Pubblica

amministrazione, tutelando in misura crescente sia la partecipazione degli operatori

economici, sia la stessa stazione appaltante dall’eventuale aggiudicazione a soggetto privo

delle opportune caratteristiche, occorre ribadire che anche la nuova direttiva del 2014

ripropone la distinzione – pur riconoscendo agli Stati membri la possibilità di tributare

valenza obbligatoria alle cause facoltative – fra carenze che comportano necessariamente

l’esclusione e quelle che non impongono tale conseguenza: peraltro, come riportato, il

legislatore delegato potrà rinnovare la scelta del 2006, ma tale scelta dovrà coordinarsi con la

pressante domanda di flessibilità formulata nella nuova direttiva e con la necessità di chiarire

definitivamente il rapporto fra unica elencazione e istituti della tassatività e del soccorso

istruttorio di cui si dirà poco oltre; b) si deve rimarcare, altresì, la presenza già nell’attuale art.

38 di strumenti di semplificazione quali le dichiarazioni sostitutive ex D.P.R. n. 445 del 28

dicembre 2000, previste dal comma 2, e gli strumenti sanatori di cui al recentissimo comma

2-bis179

.

La seconda delle disposizioni indicate, vale a dire l’art. 46 codice dei contratti

pubblici, permette di addentrarsi immediatamente nell’analisi dell’argomento che occupa

questo ultimo paragrafo e relativo agli aspetti problematici del combinato disposto degli artt.

38 e 46.

Preliminarmente non ci si può esimere da una considerazione inerente la tecnica

legislativa impiegata dal nostro legislatore: se, originariamente, in ognuno dei due articoli

poteva essere riconosciuta una regolamentazione autonoma ancorché coordinata, oggi

178

P.L. PELLEGRINO, Le procedure concorsuali nel codice dei contratti pubblici ex D.LG. 12 aprile

2006, n. 163, in Giur. merito, 2008, 6, pp. 1203 ss. 179

Del quale si tratterà nel proseguio del presente paragrafo.

144

l’impiego, quantomeno disinvolto, della decretazione d’urgenza impone una difficoltosa

operazione di esegesi delle norme, che indubbiamente si pone in contrasto con le finalità di

semplificazione amministrativa e normativa desumibili tanto dalla Direttiva n. 24, quanto dal

D.D.L. delega A.S. 1678/2014. Non a caso, nonostante due significativi interventi operati con

il cosiddetto “decreto sviluppo” del 2011180

e con il D.L. 90/2014181

- quest’ultimo, si ricordi,

intervenuto posteriormente alle nuove direttive – permangono ancora significativi dubbi

interpretativi in ordine a due profili: da un lato, il principio di tassatività; dall’altro lato, il

dovere di soccorso istruttorio.

A) Il cosiddetto “principio di tassatività delle cause di esclusione” è stato disciplinato

nel corpus dell’art. 46 codice dei contratti pubblici mediante l’inserimento di un comma 1-bis

ad opera dell’art. 4 del citato D.L. 70/2011. Il nuovo comma, ex lege qualificato come

principio di tassatività182

, dispone che la stazione appaltante debba procedere all’esclusione

nel caso in cui i candidati abbiano violato le prescrizioni previste dal codice degli appalti

medesimo, dal regolamento o da altre norme di legge, ovvero nel caso in cui si verifichino

circostanze tali da far ritenere violati i principi di segretezza e di corretta individuazione del

contenuto e della provenienza delle domande e delle offerte. Con regola innovativa, il comma

1-bis dispone, altresì, che i bandi e le lettere di invito non possano contenere ulteriori

previsioni a pena di esclusione e che, in ogni caso, eventuali previsioni di siffatto tenore sono

viziate di nullità.

La ratio sottesa a tale elaborazione normativa si identifica nella volontà, tipica della

tradizione italiana, di circoscrivere la discrezionalità della pubblica amministrazione nella

disciplina delle procedure concorsuali183

e, di converso, di eliminare la funzione di lex

specialis di gara riconosciuta al bando in grado precedentemente di prescrivere, a pena di

esclusione, requisiti e condizioni ulteriori a quelli voluti dalla legge: questo orientamento si

180

D.L. n. 70 del 13 maggio 2011, convertito in L. n. 106 del 12 luglio 2011, in proposito A. LEONI,

op. cit. 181

D.L. n. 90 del 24 giugno 2014 recante “misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza

amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari”, convertito nella L. 11 agosto 2014, n. 114, si

veda P. PROVENZANO, Brevi considerazioni a margine della disciplina sugli oneri dichiarativi ex art.

38 D.Lgs. 163/2006 contenuta nell’art. 39 del Decreto Legge n. 90/2014, in www.giustamm.it, 2014 e,

più in generale, M.A. SANDULLI, Il D.L. 24 giugno 2014 n. 90 e suoi effetti sulla giustizia

amministrativa. Osservazioni a primissima lettura, in www.federalismi.it, 2014, 14. 182

Il D.L. 70/2011 ha infatti provveduto alla sostituzione della rubrica dell’art. 46 c.c.p. inserendovi

l’esplicito riferimento al principio di tassatività. 183

P.L. PELLEGRINO, op. cit.

145

identifica nella concezione “classica” del diritto italiano degli appalti pubblici184

volto a

identificare nella normativa concorsuale lo strumento di tutela non tanto della concorrenza e

della partecipazione dei candidati, quanto espediente per impedire che la Pubblica

amministrazione, facendo massiccio ricorso alla propria discrezionalità, maldestramente

impieghi le risorse pubbliche o, addirittura, adotti comportamenti collusivi o corruttivi.

Come è stato efficacemente assodato in una delle relazioni di apertura del

convegno185

, l’adesione della Repubblica Italiana alla Comunità europea prima e all’Unione

successivamente ha imposto il superamento della normativa di contabilità pubblica degli anni

’20 del secolo scorso al fine del perseguimento dell’obiettivo di massima concorrenzialità

insito nel mercato unico: obiettivo, quest’ultimo, che oggi è affiancato dai più volte

annoverati fini di flessibilità, semplificazione, sostenibilità ed innovazione degli appalti.

La disposizione in esame dovrebbe, quindi, essere interpretata sì come delimitazione

della discrezionalità, ma orientandola al fine della tutela del favor partecipationis e

dell’esclusione quale extrema ratio – principio questo d’altra parte già studiato anche

nell’ordinamento interno186

– impedendo alla Stazione appaltante di usufruire della

discrezionalità per raggiungere scopi che non siano riconducibili all’individuazione

dell’offerente più qualificato.

Si deve, peraltro, precisare che il principio di tassatività, così come formulato dal

legislatore d’urgenza, è risultato di difficile applicazione, nonché di complicata integrazione

all’interno del sistema delle clausole di esclusione previsto dal codice degli appalti pubblici,

tanto che la Sesta Sezione del Consiglio di Stato187

ha ritenuto opportuno investire

l’Adunanza Plenaria di alcune questioni di diritto attinenti tanto all’ambito di applicazione

temporale quanto a quello oggettivo del principio in parola: in particolar modo, i quesiti

elaborati dalla Sezione remittente erano tesi a comprendere se alla nuova disciplina fosse

attribuibile valore retroattivo, quali fossero i rapporti con il dovere di soccorso di cui al primo

comma dello stesso articolo 46 c.c.p. e se le clausole esclusive della legge di gara, prive di

base normativa, fossero illegittime.

184

P. CERBO, La scelta del contraente negli appalti pubblici fra concorrenza e tutela della «dignità

umana», in Foro amm. TAR, 2010, 5, pp. 1875 ss. G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo,,

2013, pp. ss. 185

R. GISONDI, cit. 186

N. MACCABENI, L’esclusione dalla partecipazione alla gara come ultima ratio, in

www.giustamm.it. 187

Ordinanza n. 2681 del 17 maggio 2013 annotata da G. CAPUTI, Il soccorso istruttorio al vaglio

della Plenaria. “Una buona idea” ed una “chiara traiettoria”?, in www.giustamm.it, 2013

146

L’organo di vertice della giustizia amministrativa, nella nota pronuncia n. 9 del

2014188

, ha fornito significativi chiarimenti che non solo hanno permesso di superare le

incertezze che parevano desumersi dalle precedenti statuizioni della Plenaria medesima189

, ma

che possono fornire un utile supporto per il recepimento delle direttive del 2014.

L’Adunanza Plenaria, che in prima battuta ha escluso l’applicazione retroattiva della

tassatività, ha preso posizione nel senso di riconoscere al principio di tassatività un valore

“sostanziale”190

, riferibile all’attribuzione di rilevanza esclusivamente a quelle cause di

esclusione significative per gli interessi in gioco e inderogabili tanto per la stazione appaltante

quanto per il concorrente: si ricordi che la stessa Plenaria afferma che la suddetta rilevanza è

frutto del bilanciamento effettuato aprioristicamente e direttamente dal legislatore per il

tramite della legge e discende non solo dall’espressa previsione della pena dell’esclusione, ma

da qualsiasi prescrizione normativa di carattere imperativo imposta a pena di decadenza,

inammissibilità, irricevibilità e simili191

. Il Collegio, infine, giunge ad affermare che la

clausola del bando che introduca una clausola di esclusione innovativa non prevista dalla

normativa vigente è nulla e dunque disapplicabile autonomamente dalla stazione appaltante o,

successivamente, dal giudice.

I principi di diritto espressi dalla Plenaria ci permettono di formulare una

delimitazione dell’ambito di operatività delle clausole di esclusione nell’ordinamento italiano:

esse vengono circoscritte alle sole ipotesi espressamente previste dalla legge, permettendo una

identificazione della tassatività con il più generico principio della riserva di legge192

. Ne

consegue la neutralizzazione di qualsivoglia discrezionalità dell’amministrazione nella

disciplina delle cause di esclusione.

Richiamata la normativa vigente e la consolidata elaborazione giurisprudenziale193

,

occorre soffermarsi brevemente sulla compatibilità della normativa interna con il portato della

188

Adunanza Plenaria sentenza n. 9 del 25 febbraio 2014: si ricorda che nella stessa sentenza la

Plenaria ha anche affrontato l’annosa questione del cosiddetti “ricorsi reciprocamente escludenti”; in

proposito si rinvia a L. FERRARA, L’Adunanza plenaria ritorna sul ricorso incidentale escludente. Un

errore di fondo?, in Gior. dir. amm., 2014, 10, pp. 918 ss. 189

In proposito, nonostante ripetuti interventi della Plenaria nel corso degli anni, permaneva una

significativa problematicità nell’applicazione della disciplina generale delle cause di esclusione: si

veda L. BERTONAZZI, Le sentenze della plenaria nn. 10 e 20 del 2012: alcune perplessità a prima

lettura, in www.giustamm.it, 2012. 190

Ad. Pl. 9/2014, paragrafo 6.1.5. 191

Ad. Pl. 9/2014, paragrafo 6.1.4. 192

DE GREGORIIS, cit. 193

Il dettato della Plenaria n. 9/2014 in ordine agli articoli 38 e 46 è ribadito dalle successive

Adunanze Plenarie nn. 16 del 30 luglio 2014 e 3 del 20 marzo 2015.

147

Direttiva n. 24 del 2014: quest’ultima – lo si desume dai numerosi riferimenti alle procedure

negoziate – pare richiedere agli Stati membri una maggiore fiducia nelle scelte

discrezionali194

e la predisposizione di un contesto normativo meno dettagliato195

, il quale

potrebbe identificarsi nella previsione di disposizioni legislative generali specificate da

provvedimenti vincolanti dell’Autorità di settore, alla quale potrebbe attribuirsi una autonoma

legittimazione a ricorrere all’Autorità giudiziaria – sul modello di quanto previsto per

l’AGCM dall’art. 21-bis, L. 287/1990 – avverso gli atti distortivi delle regole concorsuali196

.

In tale contesto, il principio di tassatività, se interpretato nella sua valenza sostanziale,

come assodato dalla Plenaria, non pare porsi in contrasto con le finalità dell’Unione europea,

ma richiederebbe al massimo uno sforzo chiarificatore del legislatore delegato in ordine ad

una più analitica individuazione delle cause di esclusione: ciò consentirebbe di evitare il

continuo ricorso all’analisi giurisprudenziale per identificare le disposizioni normative munite

di forza escludente, ma non esplicitamente indicate dalla legge.

Significativi dubbi sulla compatibilità con i principi della Direttiva n. 24 – almeno

nell’ottica della semplificazione normativa – emergono, invece, dal combinato disposto fra il

principio di tassatività e il dovere di soccorso, come di seguito sarà immediatamente esposto.

B) Il principio del soccorso istruttorio, disciplinato dall’art. 46 c.c.p., attiene,

fondamentalmente, alla disciplina delle conseguenze dell’omessa o irregolare produzione di

certificati, documenti e dichiarazioni nella procedura di gara197

: la finalità dell’istituto, almeno

nella sua configurazione generale, è tesa ad attribuire irrilevanza alle mere violazioni formali

della normativa concorsuale e a garantire la partecipazione alla gara dell’operatore che sia

incorso nella violazione medesima. Tuttavia, l’esegesi della norma in esame ha condotto a

diverse modalità applicative, le quali sono state influenzate dallo stratificarsi di interventi

normativi sull’originario art. 46 c.c.p.: in un primo momento, il già esaminato “decreto

sviluppo” del 2011 aggiungendo il comma 1-bis, ha previsto il principio di tassatività delle

cause di esclusione e, in un secondo momento, il D.L. 90/2014198

è intervenuto introducendo

194

P. SESTITO, op. cit. 195

Di divieto di “goldplanting” parla anche la relazione al D.D.L. delega A.S. 1678/2014, p. 3. 196

È quanto viene consigliato dal Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione in sede di

audizione presso la Commissione lavori pubblici del Senato della Repubblica il 18 febbraio 2015 in

sede di esame del D.D.L. delega A.S. 1678/2014, disponibile in www.anticorruzione.it. 197

A. LEONI, op. cit. 198

R. DE NICTOLIS, Le novità dell’estate 2014 in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi

e forniture, in www.federalismi.it, 2014.

148

una disciplina di dettaglio del soccorso istruttorio, manipolando contestualmente gli artt. 38 e

46 c.c.p.

Una prima considerazione di ordine generale può nuovamente esporsi in riferimento

alla cattiva tecnica legislativa consistente nell’intervento ripetuto sulla normativa vigente

attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza. L’incertezza che scaturisce da una

siffatta metodologia è espressa in modo cristallino dalla disposizione in esame: il legislatore

d’urgenza ha alterato l’essenzialità della normativa originaria dell’art. 46 c.c.p. inserendovi in

successione i commi 1-bis e 1-ter. Emblematica è, peraltro, l’interpolazione del comma 1-ter

il quale, in forza del D.L. 90/2014, ha significativamente modificato la natura del soccorso

istruttorio quando, da un lato, questa era appena stata chiarita dall’Adunanza Plenaria n.

9/2014 e, dall’altro lato, erano già pendenti i termini per il recepimento della direttiva n. 24

del 2014.

Ciò esposto, occorre una sintetica disamina della natura del soccorso istruttorio con lo

scopo di chiarire la consistenza della normativa italiana all’indomani del recepimento delle

nuove direttive europee.

Come indicato poche righe più in alto, la disciplina italiana del soccorso istruttorio di

cui al primo comma dell’art. 46 c.c.p. e, conseguentemente, la sua interpretazione, sono state

sostanzialmente immutate sino al 2011, quando il D.L. n. 70 ha inserito nello stesso articolo

46 c.c.p. il principio di tassatività al nuovo comma 1-bis.

L’Adunanza Plenaria n. 9/2014199

, interrogata sui rapporti sussistenti fra i due

istituti200

, ha specificato la loro separatezza, pur rilevando che entrambi sono volti al

soddisfacimento di esigenze di certezza, speditezza e semplificazione dell’azione

amministrativa: tale interpretazione veniva rafforzata dal rilievo che il D.L.70/2011 si era

limitato all’inserimento di un nuovo comma senza novellare la restante parte dell’articolo.

La Plenaria201

addiveniva all’elaborazione di un principio di diritto che accoglieva la

tradizionale distinzione fra “regolarizzazione” e “integrazione”202

della documentazione di

gara: la prima consentita, a meno che l’adempimento non fosse previsto a pena di esclusione,

la seconda sempre vietata, risolvendosi in una violazione della par condicio dei concorrenti.

Peraltro, si osserva che la Plenaria, nell’elaborare il principio di diritto, pare ricondurre il

199

Paragrafo 7.4.5. 200

G. CAPUTI, op. cit. 201

Paragrafo 7.5. 202

M. MONTEDURO, Dichiarazioni non conformi a clausole del bando sanzionate con l’esclusione: il

labile “discrimen” tra «integrazione» e «modificazione», in Foro amm. TAR, 2007, 12, pp. 3667 ss.

149

divieto di integrazione alla espressa previsione della clausola escludente203

, lasciando aperta

la strada per un’interpretazione sostanziale che permetta l’integrazione ove la carenza

documentale sia ascrivibile a prescrizioni non comportanti l’esclusione.

Nonostante sia intercorso un breve lasso di tempo dalla pronuncia n. 9/2014, il

ragionamento della Plenaria deve oggi essere ampiamente rimodulato, in seguito al

sopraggiungere del D.L. 90/2014, sia in ordine alla separatezza fra tassatività e soccorso

istruttorio204

sia in merito alla distinzione fra regolarizzazione ed integrazione.

La “riforma” del 2014 ha proceduto, in primo luogo all’inserimento di un nuovo

comma 2-bis all’interno dell’art. 38205

, il quale si qualifica come previsione “speciale” di

soccorso istruttorio in ordine alle carenze degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive con i

quali il candidato attesta il possesso dei requisiti richiesti a pena di esclusione (ovviamente

“obbligatoria”). La specialità del comma 2-bis, rispetto alla previsione generale di cui all’art.

46 comma 1, si identifica in una sorta di “rivoluzione” del diritto italiano, ispirato fino a pochi

mesi prima (Plenaria n. 9/2014) alla netta distinzione fra regolarizzazione consentita ed

integrazione vietata. Il nuovo comma dell’art. 38, infatti, esplicitamente parla di «mancanza,

incompletezza, ed ogni altra irregolarità essenziale», alle quali consegue l’obbligo per il

concorrente di versare una sanzione pecuniaria e il dovere206

della stazione appaltante di

attivare il subprocedimento di soccorso, assegnando un termine al concorrente perché siano

«rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie». Dal tenore letterale della norma

emerge che non solo l’irregolarità della dichiarazione, ma anche la radicale mancanza possa

essere sanata: il concorrente – continua il medesimo comma 2-bis – potrà essere escluso solo

qualora non ottemperi alla produzione documentale entro i termini assegnati

dall’amministrazione. A queste regole si aggiunge, sempre nel comma 2-bis, la totale

203

Si legge infatti nel paragrafo 7.5. alla lettera a): «nelle procedure di gara disciplinate dal codice dei

contratti pubblici, il "potere di soccorso" sancito dall'art. 46, co.1, del medesimo codice (d.lgs. 12

aprile 2006, n. 163) - sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare

certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti ovvero di completarli ma solo in relazione ai

requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire

interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti - non consente la

produzione tardiva del documento o della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa,

ove tali adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal codice dei contratti pubblici, dal

regolamento di esecuzione e dalle leggi statali». 204

Lo stretto legame fra la nuova disciplina del soccorso istruttorio e quella della tassatività è

evidenziata dalla Determinazione n. 1 dell’8 gennaio 2015 dell’A.N.AC., disponibile in

www.anticorruzione.it. 205

R. DE NICTOLIS, op. cit. 206

Doverosità riconosciuta dall’Adunanza Plenaria n. 16 del 30 luglio 2014.

150

irrilevanza delle irregolarità non essenziali e delle dichiarazioni non indispensabili, per le

quali è fatto divieto alla stazione appaltante di applicare alcuna sanzione pecuniaria o di

richiedere alcuna regolarizzazione.

Il comma in esame non si limita ad una procedimentalizzazione del soccorso

istruttorio, ma incide anche sulla disciplina dei requisiti di ordine generale, la carenza

documentale dei quali non potrà comportare l’esclusione automatica in conseguenza degli

accertamenti della stazione appaltante, ma sarà sempre subordinata, se essenziale,

all’esperimento del soccorso istruttorio.

Tuttavia, come rilevato dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 16 del 30 luglio

2014, la scelta del legislatore d’urgenza potrebbe rivelarsi infelice nel momento in cui si

dovesse concretamente distinguere fra irregolarità “essenziale” e “non essenziale”: l’Autorità

Nazionale Anticorruzione207

, in proposito, ha chiarito che sarebbe essenziale ogni carenza,

mancanza o irregolarità che non consenta di stabilire se il singolo requisito contemplato dal

comma 1 dell’art. 38 sia posseduto o meno da un certo soggetto.

Ciò nonostante, l’esegesi fornita dall’Autorità di settore pare permette una corretta

applicazione del “nuovo soccorso istruttorio” nei limiti dell’art. 38 c.c.p.: maggiori perplessità

potrebbero, invece, desumersi dalla generalizzazione della medesima disciplina, compiuta dal

D.L. 90/2014, con l’inserimento del comma 1-ter all’art. 46 c.c.p.

Non a caso, il legislatore delegato, nell’estendere il nuovo soccorso istruttorio alla

generalità delle carenze documentali desumibili dal codice dei contratti pubblici, non ha

ritenuto opportuno modificare né il primo né il comma 1-bis dello stesso articolo 46 c.c.p.: da

ciò si potrebbe desumere che il comma 1-ter si ponga in rapporto di genere a specie,

quantomeno, con il comma 1208

. Ne consegue che, al di fuori dalle ipotesi specificamente

207

Determinazione n. 1 dell’8 gennaio 2015 dell’A.N.AC., cit., p. 6. 208

In ordine, invero, al comma 1-bis e al principio di tassatività non paiono sussistere particolari

perplessità. La tassatività delle cause di esclusione continua ad essere interpretata così come statuito

dalla Plenaria nella sentenza n. 9 del 2014: ne consegue che solo le cause di esclusione desumibili

dalla legge possono ritenersi legittime, ma per la loro applicazione sarà necessario attivare, se le

relative irregolarità o carenze sono essenziali, il nuovo soccorso istruttorio, a maggior ragione per tutte

le cause di esclusione che disciplinate direttamente dall’art. 38 rientrano nel suo comma 2-bis.

Qualche incertezza, per il vero, potrebbe desumersi per tutte quelle cause di esclusione non esplicite

che sono desumibili (Ad. Pl. n. 9/2014) da prescrizioni imperative, le quali, non rientrando nell’art. 38

c.c.p., non potrebbero usufruire dei benefici del suo comma 2-bis: per queste ultime potrebbe profilarsi

un dubbio sull’applicabilità dell’art. 46, comma 1 oppure comma 1-ter c.c.p., anche se, con

un’interpretazione ispirata al principio di proporzionalità e di massima partecipazione, potrebbero

ritenersi assimilate alla cause ex art. 38 e dunque rientrare nel comma 1-ter dell’art. 46 avendo così più

numerose possibilità di sanatoria.

151

riconducibili all’art. 38 – il quale attualmente per tabulas prevede uno specifico soccorso

istruttorio – in tutte le altre eventualità non ci si potrebbe esimere da una interpretazione

conforme al disposto generale del primo comma dell’art. 46 c.c.p.

Il comma da ultimo citato prevede che le stazioni appaltanti, solo ove necessario,

provvedano a chiedere al concorrente di fornire chiarimenti – da cui la tradizionale

ammissione di sole regolarizzazioni – il contenuto di certificati, documenti e dichiarazioni

presentati: dal tenore letterale del nuovo articolo 46, appare che il primo comma sia derogato

dal comma 1-ter, quantomeno per tutto quello che concerne le dichiarazioni presentate dal

concorrente e da soggetti terzi, posto che espressamente il medesimo comma 1-ter le

richiama. Se ne desume che ogni tipo di carenza o mancanza inerente alle dichiarazioni

richieste dalla normativa vigente potrà essere sanata, prima che si addivenga ad una

esclusione del concorrente.

Di più articolata complessità appare invece il riferimento del primo comma a

certificati e documenti che, invece, non sono annoverati nell’ultimo comma dell’art. 46 c.c.p.:

in questo caso, potrebbe profilarsi la soluzione di ritenerli in ogni caso sanabili qualora

dispongano del requisito di “elemento essenziale” (ex art. 38 comma 2-bis per il tramite

dell’art. 46, comma 1-ter); in caso contrario, almeno per una interpretazione strettamente

letterale, dovrebbero permanere nella disciplina del primo comma ed essere sanabili

esclusivamente mediante lo strumento della regolarizzazione.

Delineata per sommi capi la recente normativa nazionale, sono di tutta evidenza tanto i

fini perseguiti dal legislatore, quanto le difficoltà applicative.

Da un lato appare, infatti, palese l’intenzione del legislatore d’urgenza – come

riconosciuto dal giudice amministrativo e dall’Autorità di settore209

– di porre rimedio ad una

propensione eccessivamente formalistica del diritto italiano degli appalti e di perseguire

invece un approccio sensibilmente più sostanziale teso all’accertamento in concreto della

sussistenza dei requisiti di partecipazione. Elementi, questi, che sono in linea con le due

seguenti tendenze: in primo luogo, con i criteri cui si ispira in generale il procedimento

amministrativo italiano nell’ottica della collaborazione210

fra amministrazione (o meglio

responsabile del procedimento) e cives, ma anche di progressiva dequotazione, nella

209

Come esplicitamente affermato dalla Plenaria nelle due sentenze del 2014 che sono state

precedentemente citate e dall’A.N.AC. nelle Determinazione 1/2015. 210

S. TARULLO, Il responsabile del procedimento tra amministrazione solidale e collaborazione

procedimentale, in www.giustamm.it, 2009.

152

disciplina della legge generale sul procedimento amministrativo, del vizio formale sin dal

2005211

; in secondo luogo, con i principi della nuova Direttiva n. 24 del 2014 la quale impone

un minor peso agli aspetti formali212

, semplificando gli oneri a carico dell’operatore213

.

D’altra parte, l’intervento legislativo del 2014 sembra porsi in continuità con la

crescente complicazione della normativa italiana, proprio per gli aspetti interpretativi prima

evidenziati. Il legislatore delegato del recepimento dovrà quindi prendere coscienza

dell’allontanamento della Direttiva n. 24 non solo dalla teoria formalistica delle cause di

esclusione, ma anche dalla complessità normativa e amministrativa in genere, quali elementi

che si pongono in contrasto con il principio di concorrenza.

Non a caso, l’articolata disciplina italiana delle cause di esclusione dovrà essere

necessariamente confrontata con alcuni istituti radicalmente innovativi della Direttiva n. 24:

in primo luogo, la possibilità di sanare eventuali irregolarità senza riferimenti

l’assoggettamento a sanzione pecuniaria214

e, in secondo luogo, il già indicato “selfcleaning”

che, superando il mero diritto all’integrazione documentale, permette una concreta

dimostrazione dell’affidabilità dell’operatore anche in costanza di causa di esclusione.

211

In proposito R. CHIEPPA, Il regime dell’invalidità del provvedimento amministrativo, in R. Chieppa

e R. Giovagnoli (a cura di), Manuale breve di diritto amministrativo, Milano, 2009, disponibile in

www.giustamm.it; 212

P. SESTITO, op. cit. 213

Chiaramente esemplifica questa tendenza la previsione del documento di gara unico europeo –

DGUE. 214

Art. 59, Direttiva 2014/24/UE, in proposito Comunicato del Presidente A.N.AC. del 25 marzo

2015, in www.anticorruzuione.it.

153

Recent working papers

The complete list of working papers is can be found at http://polis.unipmn.it/index.php?cosa=ricerca,polis

*Economics Series **Political Theory and Law Al.Ex SeriesQ Quaderni CIVIS

2015 n.221** Piera Maria Vipiana and Matteo Timo: Le direttive UE del 2014 in tema di appalti pubblici e concessioni

2015 n.220 Gianna Lotito, Matteo Migheli and Guido Ortona: Competition and its effects oncooperation – An experimental test

2015 n.219 Marco Novarese and Viviana Di Giovinazzo: Not Through Fear But Through Habit. Procrastination, cognitive capabilities and self-confidence

2014 n.218** Nicola Dessì et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.5/2014

2014 n.217* Roberto Ippoliti: Efficienza tecnica e geografia giudiziaria

2014 n.216** Elena Ponzo et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.5/2014

2014 n.215 Gianna Lotito, Anna Maffioletti and Marco Novarese: Are better students really less overconfident? - A preliminary test of different measures

2014 n.214* Gloria Origgi, Giovanni B. Ramello and Francesco Silva: Publish or Perish. Cause e conseguenze di un paradigma

2014 n.213** Andrea Patanè et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.4/2014

2014 n.212** Francesco Ingravalle et al.: L’evento. Aspetti e problemi

2013 n.211** Massimo Carcione: La garanzia dei diritti culturali: Recepimento delle norme internazionali, sussidarietà e sistema dei servizi alla cultura .Case study: La valorizzazione della Cittadella di Alessandria e del sito storico di Marengo.

2013 n.210** Massimo Carcione: La garanzia dei diritti culturali: Recepimento delle norme internazionali, sussidarietà e sistema dei servizi alla cultura

2013 n.209** Maria Bottigliero et al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie localiN.3/2013

2013 n.208** Joerg Luther, Piera Maria Vipiana Perpetua et. al.: Contributi in tema di semplificazione normativa e amministrativa

2013 n.207* Roberto Ippoliti: Efficienza giudiziaria e mercato forense

2013 n.206* Mario Ferrero: Extermination as a substitute for assimilation or deportation: an economic approach

2013 n.205* Tiziana Caliman and Alberto Cassone: The choice to enrol in a small university:A case study of Piemonte Orientale

2013 n.204* Magnus Carlsson, Luca Fumarco and Dan-Olof Rooth: Artifactual evidence of discrimination in correspondence studies? A replication of the Neumark method

2013 n.203** Daniel Bosioc et. al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.2/2013

2013 n.202* Davide Ticchi, Thierry Verdier and Andrea Vindigni: Democracy, Dictatorship and the Cultural Transmission of Political Values

2013 n.201** Giovanni Boggero et. al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.1/2013